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Una scuola davvero controcorrente
I nostri Lettori in passato hanno avuto modo di conoscere la scuola parentale G.K. Chesterton. A distanza di anni, vogliamo parlarne di nuovo e mostrare qualche testimonianza sul loro modo di vivere la scuola, decisamente anticonformista.
Jacopo Coghe
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La Scuola libera Chesterton segue ideali cattolici e ama la tradizione, crede nella centralità della famiglia, nella vera libertà e rifugge dal conformismo.
L’idea della scuola parentale è nata nell’estate del 2008. L’avvocato Marco Sermarini leggeva il grande scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton che metteva in guardia da un grande pericolo: l’omologazione per bassi standard (standardization by low standards). Condivideva con alcuni amici l’idea che bassi standard formativi, ma soprattutto bassi standard educativi sono il problema della nostra gioventù, soprattutto in questo momento in cui le famiglie e i nostri ragazzi sono sottoposti a un bombardamento mediatico-ideologico da ogni parte e su tanti fronti. Chesterton nel 1930 scriveva: «La gente è inondata, accecata, resa sorda e mentalmente paralizzata da un’alluvione di volgare e insipida esteriorità, che non lascia tempo per lo svago, il pensiero o la creazione dall’interno di sé». Nello stesso periodo papa Benedetto XVI metteva in guardia a proposito dell’«emergenza educativa» in atto. Il rimedio a tutto questo sono famiglie vive e giovani veri, educati da uomini e donne che prendono sul serio la loro vita. Perciò è nata la Scuola Libera G.K. Chesterton, che vuole dare a tutti questa opportunità. Un gruppo di famiglie ha costituito la società cooperativa sociale “Capitani Coraggiosi”, che da molti anni si occupa dell’educazione dei ragazzi attraverso doposcuola, centri ricreativi estivi, “circolini” e tante altre positive esperienze che l’hanno resa un punto di riferimento nel panorama educativo della zona intorno a San Benedetto del Tronto, nelle Marche.
Gli insegnanti sono lieti di fare questo lavoro, che è per loro una scelta vocazionale, non un mestiere come un altro. La scuola ha la sua sede a Porto d’Ascoli, in locali accoglienti e facilmente raggiungibili dai mezzi pubblici. Usufruisce anche del palazzetto dello Sport di Martinsicuro e della splendida area sportiva e agricola di Santa Lucia a San Benedetto del Tronto. Segue ideali cattolici e ama la tradizione, crede nella centralità della famiglia, nella vera libertà e rifugge dal conformismo. Nella scorsa primavera hanno dovuto anche loro ricorrere alla didattica a distanza. Quest’anno, fino al momento in cui questa Rivista è andata in stampa, sono riusciti a non chiudere, rispettando - ovviamente - tutte le regole necessarie per garantire la salute di docenti e discenti. La professoressa Bernardi fa sue le parole di Alessandro D’Avenia (Corriere.it, 14 settembre 2020): “«La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, fa violenza al suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Nella crisi emerge il meglio di ognuno». Il primo giorno di scuola scrivo alla lavagna queste parole che vorrei illuminassero l’anno da inaugurare e costringo i miei alunni a impararle a memoria, perché
ricordino le coordinate della rotta in ogni istante della navigazione. L’anno scorso avevo scelto Sant’Agostino: «Nutre la mente soltanto ciò che la rallegra». Quest’anno, dato il clima poco allegro, ho scelto invece le parole di un fisico che amava studiare, ma non amava la scuola: Albert Einstein. Mi sembrano perfette per affrontare la paura che ci sta paralizzando e per trasformarla in una sfida. Le soluzioni fisiche non bastano mai, servono quelle metafisiche, perché l’epicentro dei terremoti esistenziali non è in superficie: o cambiamo visione del mondo o avremo sofferto invano. La vita si ribella a schemi e strutture che le imponiamo, soprattutto se, con il passare del tempo, questi schemi e queste strutture non sono più d’aiuto, anzi sono diventate una trappola. A scuola questo è ormai più che evidente. Crisi è un termine d’origine greca, κρίσις, che, fin dall’Iliade, indicava il gesto di separare, nelle spighe, il grano dalla pula: il primo darà pane, il secondo paglia. Un pensiero acritico, cioè
privo di crisi, pasticcia tutto: non riconosce la
differenza tra la pula e il chicco, tra un banco e un ragazzo. Si parla da mesi dei banchi e del loro distanziamento, necessità risolvibili con un po’ di competenza e buon senso, invece questi discorsi hanno occupato, fino al ridicolo, tutto lo spazio che dovevamo impegnare a raccogliere il grano, che a scuola è ciò che siamo impegnati a far crescere: le vite di maestri e studenti. L’epidemia dell’incompetenza, di fatto, a scuola c’è da anni, effetto di un sistema
sempre in ritardo e non regolato sulle persone, ma su criteri asetticamente economici e
interessi politici, avallati spesso da cittadini
disinteressati. Eppure la moltitudine di regole che ci sta soffocando in queste ore segnala il centro di gravità: proteggere la vita. Quale vita è stata protetta in questi anni, a scuola, con la stessa determinazione con cui si comprano banchi e mascherine? Anche se riusciremo a
non fare ammalare nessuno, riusciremo a far
crescere qualcuno? Quanti studenti si spengono perché nessuno si occupa veramente di loro, mettendoli in condizioni di imparare come si deve? Ricordiamoci però che le regole servono a proteggere la vita, non bastano a dare la vita, che nasce e cresce con relazioni generative e qualità professionale. Una scuola ridotta a intrattenimento mattutino, contenitore asettico di vite, distributore di pillole per cervelli senza corpo e futuro, non è un vivaio di vocazioni ma di frustrazioni. «La scuola deve educare al pensiero critico: lo avrete sentito dire sino alla nausea. Ma se «critico» non significa rendere capaci di trovare l’essenziale, la scuola educa solo al pensiero caotico e manipolabile».” Aggiunge la professoressa: «Così scriveva Alessandro D’Avenia il 14 settembre 2020, giorno di inizio scuola. L’elogio dello spirito critico è stato magistralmente tessuto anche da padre Cassiano lo scorso 4 ottobre, alla presenza di insegnanti e genitori, nello splendido scenario di Santa Lucia: la verità va ricercata con determinazione, così come i cani da tartufo annusano e setacciano il terreno per dissotterrare il prezioso tubero. Noi insegnanti della Scuola Chesterton ci adoperiamo quotidianamente con tenacia e fiducia per trasmettere questo fondamentale atteggiamento mentale, per fare in modo che i ragazzi siano desti e vivi».
Queste sono le parole di un’insegnante di scienze umane:
“Mi chiamo Ilaria e sono laureata in psicologia. Ho iniziato la mia esperienza nella cooperativa Capitani Coraggiosi grazie al servizio civile. Mi sono trovata subito a mio agio con gli altri educatori: potevo esprimere i miei pensieri e i miei desideri. Ho iniziato al doposcuola, mi sono appassionata al lavoro e ho deciso di fare un corso per tutor di ragazzi Dsa, con disturbi specifici dell’apprendimento. Ho fatto la mia prima esperienza ai centri estivi per poi realizzare il mio sogno, insegnare scienze umane nella scuola parentale gestita dalla cooperativa. Sto cercando di trasmettere ai
ragazzi la passione per la cultura e l’importanza dei collegamenti per rendere lo studio più
interessante possibile. Ho sempre voluto insegnare, è sempre stato il mio sogno poter fare qualcosa per cambiare, anche con una semplice parola o spiegazione, la giornata dei ragazzi. Ritengo che l’insegnamento sia la forma più grande e importante per favorire un cambiamento. Grazie mille a tutti quelli che hanno creduto in me, sperando di riuscire, nel mio piccolo, a favorire un’inclinazione positiva alla vita.” Chiara, invece è un’ex alunna:
“Mi chiamo Chiara e sono un’ex alunna della Scuola Chesterton: mi sono diplomata al Liceo delle scienze umane, indirizzo Socio-economico, nell’anno scolastico 2018-2019. È la prima volta che mi trovo a raccontare della mia esperienza non più da studentessa Chesterton, ma oramai universitaria. Ho sempre detto che la Scuola Libera
mi ha insegnato la vera gratitudine nei confronti
di ciò che mi viene donato. Per capirne le ragioni devo tornare un po’ indietro nel tempo, alla fine delle scuole medie e alla scelta dell’indirizzo delle scuole superiori. Il momento in cui i migliori della classe vanno ai Licei del centro città e chi se la cava nelle scuole di periferia. Tra le tante, gli amici di mia sorella mi proposero di provare alla Chesterton. Io da ragazzina testarda, quale sono sempre stata, declinai completamente l’invito ed andai dritta per la mia strada, scegliendo uno dei tanto osannati licei statali. Con lo studio me l’ero sempre cavata piuttosto bene ed ero convinta che la Chesterton fosse una scuola per chi avesse difficoltà scolastiche. Come previsto i miei risultati a scuola continuavano ad essere positivi, mi ero fatta tanti nuovi amici e i miei genitori erano fieri di me. Nonostante tutto, crescendo iniziavo a percepire un’insofferenza nei confronti non proprio dello studio, quanto del clima che veniva imposto intorno ad esso. Non ci avevo capito molto, ma qualcosa mi stonava. Notavo una grande incoerenza tra ciò che si cercava di trasmettere attraverso le parole e ciò che si viveva a scuola, soprattutto nei rapporti. Come se passassero mesi interi a raccontarti di quanto sia bella la neve, ma quando nevica davvero non si ha tempo di giocarci un po’ perché i tempi dei programmi ministeriali sono stretti e vanno rispettati così. Sapevo che il problema non riguardava soltanto il mio Istituto, ma il sistema complessivo.
Non a caso, in quel periodo avevo iniziato a prendere ripetizioni di matematica al doposcuola della Cooperativa Capitani Coraggiosi. Sapevo che molti degli insegnanti che prestavano servizio per il recupero didattico erano anche professori della Scuola Chesterton. Ancora una volta non sapevo dare un nome all’intuizione che stava nascendo in me, ma mi sembrava di aver trovato l’inizio di una risposta. Così decisi di buttarmi. Durante le vacanze di Natale del mio secondo anno convinsi la mia famiglia a farmi trasferire dal liceo statale alla scuola parentale che non ha nemmeno l’insegna davanti all’edificio. Fu una piccola battaglia che vinsi. Mi sono dilungata moltissimo, ma ciò per dire che sono fiera di essermi conquistata un banco nella mia futura scuola. A poco a poco ogni mio dubbio è stato chiarito, perché capivo che
avevo trovato un posto autentico dove poter
crescere. Ciò che è più evidente è come l’ottima preparazione scolastica degli alunni non sia dovuta esclusivamente ad un lavoro da parte di formatori specializzati nei vari settori, ma dalla preoccupazione che i professori hanno e dall’amore nel far crescere umanamente ogni singolo ragazzo che incontrano. Se è vero che dalla Chesterton si esce preparati, è ancor più vero che si esce umani. Si respira un'aria di familiarità tra i banchi che mi ha permesso realmente di maturare il mio sguardo nei confronti della realtà. È proprio vero che nella Scuola Libera si torna bambini, perchè si riscopre la meraviglia nella quotidianità,
e persino la tanto odiata matematica era
diventata un piacere. È nata una grande amicizia con tutti i professori e con gli altri studenti, che tutt’ora sono i miei amici più stretti. Ed è proprio di tutto questo che sono grata. Riconosco e sottolineo che la Scuola Libera G.K.Chesterton è un dono tanto grande e bello che deve essere custodito e coltivato ogni giorno. Io voglio bene alla Scuola infinitamente e sono pronta a servirla. Credo si sia capito, ma lo dico di nuovo, la consiglierei a tutti!” Maddalena è attualmente sui banchi di scuola, in terzo superiore: “Mi chiamo Maddalena e frequento da
diversi anni la scuola Chesterton! Quello appena iniziato è il sesto! Sono arrivata qui in prima media e già conoscevo qualcuno della mia classe ma questa bella realtà, che ora mi è familiare, allora mi era sconosciuta. Dei tre anni alle medie ho un ricordo davvero bellissimo: mi sono subito trovata bene sia con i professori che con i miei compagni di classe. «Una cosa morta va con la corrente, solo una cosa viva può andarvi contro»: questa frase dello scrittore e giornalista britannico Chesterton direi che costituisce l’identità della nostra scuola che mi ha subito affascinato perché mi sono resa conto che venivano messi al centro valori importanti, da me pienamente condivisi. La nostra scuola ha meno alunni rispetto alle altre ma proprio questo mi ha permesso, e mi permette tutt’ora, di conoscere e relazionarmi, in un ambiente sereno, anche con persone più grandi e di classi differenti. Quando ero in prima media i più grandi si occupavano di noi appena arrivati, informandosi sul nostro rendimento scolastico ma anche della nostra vita in generale e questo per noi costituiva una sorta di sicurezza perché non ci sentivamo soli nel percorso che stavamo facendo. Poi è arrivato il momento di scegliere la scuola superiore e devo dire che per me non è stato semplicissimo. Mia madre, in cuor suo, avrebbe voluto che io andassi al liceo classico e anche io sono stata tentata nel farlo ma alla fine ho deciso di rimanere qui. Ho fatto questa scelta per gli stessi motivi che mi colpiscono tutt’ora: l’ambiente sereno, gli amici, i professori ma soprattutto il condividere la mia vita e i miei ideali con persone a cui voglio bene. Per me, la scuola è una specie di seconda famiglia, dove mi sento libera di esprimere qualsiasi mio pensiero, idea, proprio come se stessi a casa. Sin da subito qualcuno ha visto in me qualcosa
di bello che forse anche io facevo fatica a vedere, mi sono sentita importante e amata.
Questo percorso mi ha aiutato a crescere anche su alcuni lati del mio carattere. Infatti sono sempre stata una persona introversa e, in parte, lo sono tutt’ora però, grazie alla scuola, sono riuscita ad aprirmi con tante persone e ad esprimermi, cosa che magari non avrei fatto altrove. Mi fermo qui, ma potrei continuare a scrivere pagine intere su questa mia lunga e meravigliosa avventura che ancora deve finire e che spero possa ancora contribuire alla mia formazione in tutti i suoi aspetti.”