Charta 138 abstract

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Anno 24 - Periodico bimestrale - marzo-aprile 2015 - Euro 10,00 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, CNS PD, Autorizzazione Filiale E.P.I. di Modena ISSN 1124-2841

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Storia del pesce d’aprile

Mitologia per fanciulli

Un “atlante” biblico

Cinema e TV in copertina

Peggy Bacon


EditorE - ProPriEtà dElla tEstata Nova Charta via Dietro Duomo, 22 35139 Padova dirEttorE EditorialE Vittoria de Buzzaccarini

CHarta n. 138 – marzo-aprile 2015

dirEttorE rEsPonsabilE Francesco Rapazzini CondirEttorE Mauro Chiabrando rEdattori Eleonora Menadeo, Andrea De Porti ProgEtto grafiCo Univisual - Milano art dirECtor Andrea De Porti

Que me donneres-vous en échange? Cartolina francese “pesce d’aprile” dei primi anni del Novecento

imPaginazionE Andrea De Porti

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rEdazionE wEb Samantha Lenarda

geographica

sEgrEtEria di rEdazionE Caterina Pasqualin Hanno Collaborato a quEsto numEro Piero Falchetta, Corrado Farina, Clemente Fedele, Edoardo Fontana, Massimo Gatta, Anna Rita Guaitoli, Elisabetta Gulli Grigioni, Alessandro Gusmano, Lucio Passerini, Michele Rapisarda, Gianni Rossi, Marcello Soffici, Enrico Sturani, Enrico Tallone

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tipografia

fotografiE E riProduzioni fotografiCHE

Claudio Bruschi; Cambi Casa d’Aste, Genova; Casa d’Aste Urania, Parma; Christie’s, Parigi; Libreria Antiquaria Gonnelli, Firenze; Libreria Antiquaria Pontremoli, Milano; Minerva Auctions, Roma

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dirEzionE E rEdazionE Giudecca 671 – 30133 Venezia tel. 041-5211204; fax 041-5208538 charta@novacharta.it

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iconografia

fotolito E stamPa Centrooffset Master Via Bologna, 1/2 – 35035 Mestrino (PD)

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distribuzionE PEr l’italia: FRIULI VENEZIA GIULIA, TRENTINO ALTO ADIGE, VENETO: O.N.B. Distribuzioni Editoriali Via Piutti, 3 33100 Udine

Editoria

ALTRE REGIONI: Joo Distribuzione via Argelati, 35 – 20148 Milano Aut. Tribunale di Verona n. 1375 – ISSN 1124-2841 ROC n. 12888 del 29/08/2001 Nell’impossibilità di prendere contatto con tutti gli aventi diritto, l’Editore si dichiara disponibile ad assolvere i propri impegni circa eventuali pendenze relative alle illustrazioni di questo numero

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rubriche La lente dell’esperto Libri Cataloghi & idee

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bibliofilia La lirica di Arturo Onofri Marcello Soffici

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geographica Il Dictionnaire historique di Augustin Calmet Piero Falchetta

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tipografia L’avventura nell’avventura: un nuovo Pinocchio Enrico Tallone

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autografi Lewis Carrol allo specchio Anna Rita Guaitoli

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biblioteche La biblioteca della Fondazione Rosellini Corrado Farina

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iconografia Mitologia classica per grandi e piccini dal Seicento a oggi Elisabetta Gulli Grigioni

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Ephemera La collezione futurista di Giampiero Mughini Massimo Gatta

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Editoria Cinquant’anni di libri, cinema e tv Mauro Chiabrando

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Xilografia La Passione secondo Frans Masereel Edoardo Fontana

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Personaggi Peggy Bacon, di gatto in gatto Francesco Rapazzini

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iconografia Breve storia del pesce d’aprile Michele Rapisarda

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autografi

amministrazionE diffusionE E PubbliCità via Dietro Duomo, 22 – 35139 Padova UFFICIO STAMPA E PUBBLICITÀ tel. 049-657574; fax 049-8780842 pubblicita@novacharta.it ABBONAMENTI E DIFFUSIONE tel. 049-657574; fax 049-8780842 abbonamenti@novacharta.it diffusione@novacharta.it AMMINISTRAZIONE tel. 049-656380; fax 049-8780842 amministrazione@novacharta.it

Come dove quando Mostre, mercati, mercatini Appuntamenti Aste

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Personaggi


CHARLES DICKENS, DELIZIOSO E IRRITANTE Lo definiva così un troppo dimenticato Giorgio Manganelli nel suo saggio a Dickens dedicato in La letteratura come menzogna. Sarà che Natale è da poco passato, ma eccomi a riflettere sulla scrittura di Charles Dickens. E comincio proprio dalla presentazione autografa di A Christmas Carol che uscì nel 1843, subito travolto da successo: in pochi giorni più di seimila copie vendute (fig. 1). Piccola, fortemente, e disegualmente, inchiostrata, la scrittura appare sobria, segnata da un controllo che fa risaltare l’organizzazione spaziale. La piccolezza del calibro e le personalizzazioni della forma traducono immediatamente una personalità particolare. Dickens diventerà una vera star nazionale, con continue letture pubbliche (472!), una massa enorme di libri venduti… e tanta capacità (davvero moderna) di farsi pubblicità. La scrittura della fine degli anni Cinquanta (1858, fig. 2) si va ad allargare, ad alleggerirsi, pur tendendo a discendere e mantenendo forti diseguaglianze di colore: si conferma una tranquillità maggiore, ma anche una sua sensibilità accesa che contiene tracce di un vissuto doloroso. Troppo nota è la biografia dello scrittore per ripeterla qui. Ricordiamoci però che quei ragazzini che la- 2 voravano in condizioni miserrime, e che tanto hanno fatto piangere chi leggeva, lui li conosceva bene avendo lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, insieme ai ratti. La situazione di abbandono, lui l’aveva provata. La povertà, dopo la prigionia del padre per debiti, l’aveva sperimentata. Ora ha il successo, la ricchezza, moglie, figli… La firma grande, seppure rispondente al modello del tempo, viene sottolineata con una forza che sa di rivalsa. Non dimentica il suo passato, Dickens. Dal ricordo, doloroso, nasce un concreto impegno sociale. In una lettera del 1852 (all’asta, nel 2014, per settemila euro) mostra il suo interessamento per una donna sola e senza casa: e la vuole in quel rifugio per donne disperate da lui creato nel 1847. D’altra parte, proprio le sofferenze vissute tengono viva una insoddisfazione che lo spinge a uscire di casa di notte, a viaggiare; e lo porta (è molto 3 probabile la consequenzialità) ad

amare altre donne: dalla “doppia sposa” (le cognate, in successione) fino a una giovanissima attrice, Ellen Tetnan. Per lei (1858) si separerà dalla moglie, facendo, in modo davvero poco felice, una dichiarazione pubblica sull’alienazione mentale di quella che non sarebbe stata, addirittura, buona madre (10 figli). Diramerà anche una diffida ai giornali 1 contro voci che definisce “abominevolmente false”. Il legame con Ellen, pur se mai ufficia- Molti critici, (quelli con il naso in su) hanno lizzato, continuerà però nella sua casa, accet- disapprovato l’aspetto un po’ melodrammatitato ora dalla cognata più giovane. co dei suoi lavori. È vero: anche in quel famoso racconto da cui siamo partiti, è possibile evidenziare una morality di stile medievale. Affronterà sempre, del resto, grandi tematiche sociali, e sempre partendo da quello che è il nucleo della sua poetica: l’infanzia. Indubbiamente, a influenzare il suo stile ci sono le esigenze del “romanzo a puntate” che permetteva, sì, una maggiore diffusione dell’opera, ma a prezzo di compromessi – stilistici e contenutistici – con le richieste del pubblico. Non si può però sottovalutare la forza della denunzia di verità scomode alle convenzioni borghesi. I suoi personaggi rappresentano, con una potenza descrittiva che sa unire tragicità e comicità, la nuova, complessa, realtà industriale e metropolitana: con tutta la miseria, anche morale, che vi si accompagna. Dopo lo spaventoso incidente ferroviario in cui rimane coinvolto nel 1865 (una sola delle sette carrozze del treno non precipitò: quella con Dickens), comincia a stare sempre più male. La sua grafia (1870) traduce il venire meno delle forze in quel tratto che sembra spezzarsi, deteriorarsi. Il discendente, già altrove incontrato, non ha più segni che possano compensarlo, e collegandosi a maggiori stentatezze, a minore velocità del gesto, a spazio che non trova le giuste pause, può (finalmente, per chi vuole lettura semplificata) farsi interprete di abbattimento, che sia fisico o morale (fig. 3). Due mesi dopo questo scritto, muore. Dickens, per testamento, non voleva sue statue. Chissà cosa direbbe a vedere il deteriorarsi del Parco di divertimenti Dickens World, e la sua statua a impolverarsi in magazzino. Lui lo sapeva: a ricordarlo, rimanendo nel cuore e nella mente di chi legge, ci sarebbero stati David, Olivier, Sam Weller, Peggotty, Ebenezer Scrooge…

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BUSTE PERSE E RITROVATE Nello scorrere di un lungo Novecento l’espressione “busta” caratterizza la pratica epistolare e postale. Vivendo nel secolo successivo, proprio noi lo possiamo constatare. Nel giro di pochi decenni la scrittura delle lettere a mano è diventata una pratica residuale, di nicchia, e ai pacchetti di buste acquistati e riposti nel cassetto l’inazione ha tolto brillantezza pure al bianco della carta. Sotto il lemma “busta” i dizionari aggiornati registrano le novità legate alla pratica quotidiana aggiungendo tra i significati quello di contenitore per la spesa. In un’ottica di storia della lingua va dunque riacquistando forza il significato originale prepostale, quello mercantile tardo medievale e della prima 2 età moderna, quando “busta” era sinonimo di contenitore per merci. Questi 1 brevi accenni sociolinguistici ci introducono a una storia di carta molto poco indagata e pure ricca di riscontri anche di natura psicologica. La storia postale della busta da lettera comprende due grandi fasi: la prima ante 1850 in cui ciascuno scrivente allestiva gli involucri da sé ritagliando un pezzo di carta, e quella post 1850 caratterizzata da un’industria cartotecnica che dapprima crea un mercato elegante e poi lo estende alimentandolo con materiali che comprendono funzioni aggiuntive. Fino a metà Ottocento – ossia prima delle buste – la modalità usuale di mandare una lettera o un biglietto era quella chiamata a plico. Il foglio di carta con il messaggio, una volta asciugato l’inchiostro, veniva ripiegato su se stesso assumendo la forma da viaggio completata con l’incastro dei lembi e l’applicazione del sigillo. Dovendo raggiungere un destinatario al vertice della scala sociale, tipo il papa o un sovrano, fin dal Cinquecento i manuali di scrittura e di segreteria consigliavano di avvolgere il messaggio in un secondo foglio bianco in modo tale da far arrivare lo scritto esteticamente perfetto, senza macchie o lordure da viaggio. Il principio del rispetto si dilaterà fino a diventare punto di etichetta oggetto di codificazioni. Risalgono a inizio Seicento i primi esempi materiali di soprascritte-buste e cioè dell’utilizzo a mo’ d’involucro di mezzo foglio di carta ripiegato sul quale è presente solo l’indirizzo più il sigillo. In quei manufatti sono già presenti gli elementi che caratterizzano la moderna busta. Allestire missive con soprascritta separata, storicamente, connota i rapporti ad alto livello. Nei collegi i maestri insistevano sul carattere della lettera come omaggio o dono che si invia al destinatario e

dunque da confezionare con la massima cura. Nobili e prelati ambivano alla differenziazione sociale e non si davano troppo pensiero del fatto che l’impiego della soprascritta bianca faceva lievitare il porto postale. Anticamente tale costo non veniva graduato secondo il peso ma in base al numero dei fogli e una soprascritta lo faceva raddoppiare. Non a caso mercanti e uomini d’affari ne aborrivano l’uso. Benché la repubblica di Venezia abbia dei meriti, sembra sia stata la Francia nel Settecento la prima ad aver aggiornato il criterio tradizionale al fine di favorire l’uso della soprascritta bianca o enveloppe. E la nuova moda del bel mondo parigino, insieme al termine enveloppe, si estenderà alle altre nazioni. Da noi la parola d’uso vincente però sarà “busta” e quella francese rimarrà circoscritta ad ambiti particolari o dotti. Le riforme postali di metà Ottocento, nel frattempo, avevano introdotto il criterio del porto basato sul peso e grazie all’adozione dei fogli di carta velina, fabbricati a macchina e più leggeri, il costo base poteva comprendere la busta. Fu l’industria a cogliere l’occasione immettendone grossi volumi sul mercato e dando vita a un circuito commerciale che offriva prodotti di facile reperibilità, comodi, a basso costo. Inizialmente le buste non presentavano i lembi gommati da umet-

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tare perché ancora vigeva lo stile di chiusura con sigillo su ceralacca o con ostia chiudilettere, il famoso obbiadino. La praticità dei lembi pregommati però farà modificare le abitudini. Nel lungo secolo delle buste è stata prodotta una quantità enorme di pezzi con una bella gamma di tipologie e formati che spazia dalle piccole buste del tempo delle diligenze a quelle allungate orizzontalmente all’americana, preferite dalla meccanizzazione postale di oggi. Le cartolerie, le rivendite dentro le sedi postali, i negozi al dettaglio hanno esposto (e in verità ancora offrono) buste di molti tipi: per missive d’ufficio o commerciali, stragrandi, per lettere ministeriali, per messaggi d’amore, per comunicazioni di lutto, per mittenti raffinati; allestite con carte di molti tipi e colori e anche buste foderate (vecchie e nuove), con finestra, coi lembi inviolabili, di forma quadrata, e molto altro ancora. La busta ha costituito il supporto sul quale si applicano i francobolli e poi la posta imprime i suoi annulli, timbri e annotazioni di viaggio. In questo senso gli involucri hanno un ruolo fondante in storia postale. Purtroppo la tradizione del collezionismo filatelico dei francobolli, che li vuole incollati su pagine d’album, ha prodotto una strage di buste. Solo in anni recenti si è sviluppato un tipo di approccio più maturo, attento alla materialità e alla ricchezza dei loro dati. Peraltro anche le scienze archivistiche, privilegiando l’aspetto testuale della lettera, hanno sempre prestato poca attenzione alle buste. Che restano documenti sui generis non meritevoli di tutela. Solo la passione collezionistica può, in parte, sanare le tante ferite. C’è però da dire che un collezionismo mirato non è ancora nato e i contributi bibliografici sono scarsi e dispersi qua e là. Chissà che la fine prossima della busta da lettere, come oggetto di uso quotidiano, non possa aiutare a riscoprirne lo spessore. Le buste comunque serbano intatto il ruolo semiotico che la storia ha loro affidato. Non è un caso ritrovarle tra i richiami iconici sugli schermi dei nostri computer o sui cartelli che devono comunicare o evocare visivamente qualcosa di “postale” al grande pubblico. Fig. 1. Busta allestita personalmente tra ragazze nobili da Cremona a Mantova nel 1835 sigillata con obbiadino a cammeo che reca il volto dell’attore Camillo Ferri (collezione Borromeo - Roma) Fig. 2. Busta foderata per messaggi d’amore con interno parlante, anni Quaranta del Novecento (collezione Bertazzoli - Genova)



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