Estratto charta 142

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Anno 24 - Periodico bimestrale - novembre-dicembre 2015 - Euro 10,00 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, CNS PD, Autorizzazione Filiale E.P.I. di Modena ISSN 1124-2841

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Il sigillo di Manuzio

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Il Natale di Carl Barks Xilografie nella Grande Guerra

Oreste Molina in Einaudi Insegne pubblicitarie

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EditorE - ProPriEtà dElla tEstata Nova Charta via Dietro Duomo, 22 35139 Padova dirEttorE EditorialE Vittoria de Buzzaccarini dirEttorE rEsPonsabilE Francesco Rapazzini

CHarta n. 142 – novembre-dicembre 2015

CondirEttorE Mauro Chiabrando rEdattori Eleonora Menadeo, Andrea De Porti ProgEtto grafiCo Univisual - Milano art dirECtor Andrea De Porti

E. Mantelli, L’aspirante, xilografia monocroma, 1917-18

imPaginazionE Andrea De Porti

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rEdazionE wEb Samantha Lenarda

temi

UffiCio stamPa Paola Mello ufficio.stampa@novacharta.it sEgrEtEria di rEdazionE Caterina Pasqualin segreteria@novacharta.it Hanno Collaborato a qUEsto nUmEro Gianignazio Cerasoli, Luciano De Donati, Piero Falchetta, Corrado Farina, Clemente Fedele, Edoardo Fontana, Massimo Gatta, Anna Rita Guaitoli, Elisabetta Gulli Grigioni, Davide Nuti, Paola Pallottino, Claudio Pavese, Tiziana Plebani, Marcello Soffici

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Editoria

Come dove quando Mostre, mercati, mercatini Appuntamenti Aste Visto, sentito detto a...

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rubriche La lente dell’esperto Libri Cataloghi & idee

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temi il sigillo di Aldo Manuzio 500 anni dopo Tiziana Plebanni

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bibiliofilia Tre Operai di Bernari Marcello Soffici

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iconografia immagini popolari della Crocerossina Paola Pallottino

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fotografiE E riProdUzioni fotografiCHE

Archivio Fochesato, Genova; Archivio di Stato, Venezia; Archivio Sturani, Roma; Biblioteca Comunale Ariostea, Ferrara; Casa d’Aste Gonnelli, Firenze; Dorotheum, Vienna; Little Nemo Casa d’Aste, Torino; Metropolitan Museum of Art, New York; Smithsonian American Art Museum, Washington

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Ephemera

dirEzionE E rEdazionE Giudecca 671 – 30133 Venezia tel. 041-5211204; fax 041-5208538 charta@novacharta.it amministrazionE diffUsionE E PUbbliCità via Dietro Duomo, 22 – 35139 Padova PUBBLiCiTà tel. 049-657574; fax 049-8780842 pubblicita@novacharta.it ABBoNAMENTi E DiFFUSioNE tel. 049-657574; fax 049-8780842 abbonamenti@novacharta.it diffusione@novacharta.it AMMiNiSTRAzioNE tel. 049-656380; fax 049-8780842 amministrazione@novacharta.it

Editoria oreste Molina e l’officina estetica del libro Einaudi Claudio Pavese 40

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fotolito E stamPa Centrooffset Master Via Bologna, 1/2 – 35035 Mestrino (PD) distribUzionE PEr l’italia: FRiULi VENEziA GiULiA, TRENTiNo ALTo ADiGE, VENETo: o.N.B. Distribuzioni Editoriali Via Piutti, 3 33100 Udine ALTRE REGioNi: Joo Distribuzione via Argelati, 35 – 20148 Milano Aut. Tribunale di Verona n. 1375 – iSSN 1124-2841 RoC n. 12888 del 29/08/2001 Nell’impossibilità di prendere contatto con tutti gli aventi diritto, l’Editore si dichiara disponibile ad assolvere i propri impegni circa eventuali pendenze relative alle illustrazioni di questo numero

Ephemera Calendari piccini dell’ottocento e del Novecento Elisabetta Gulli Grigioni 46

autografi

Pubblicità

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Xilografia

autografi Charles Baudelaire tra fotografia e soprassalti della coscienza Anna Rita Guaitoli

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fumetti Le storie natalizie di Carl Barks Corrado Farina

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Pubblicità Le insegne commerciali dal pennello alle lampade al neon Mauro Chiabrando

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Xilografia Gino Barbieri, Renato Serra e la Grande Guerra Gianignazio Cerasoli 68 Ultima Thule Passaggio a nord-est Piero Falchetta

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L’impronta ritrovata Il sigillo di Aldo Manuzio 500 anni dopo Tiziana Plebani

sempre stato lì, al suo posto, a fare il suo dovere di presidio della garanzia di validità dei suoi testamenti, eppure finora nessuno studioso si era soffermato sull’impronta lasciata sulla cera. Aldo Manuzio, il grande editore del Rinascimento europeo, attestava l’integrità delle sue ultime volontà, consegnate poi a un notaio, con un piccolo sigillo di forma ovale, apposto a chiusura dello scritto autografo ripiegato a formare una sorta di busta. Conoscevo già i testi dei due testamenti olografi,

quello del 27 marzo 1506, stilato nella casa di San Paternian (presso l’attuale Campo Manin) in cui si era trasferito a seguito del matrimonio con Maria nell’abitazione del suocero e socio Andrea Torresani, e il secondo del 24 agosto del 1511, scritto a Ferrara, dove si era rifugiato dopo la sconfitta dei veneziani da parte della lega di Cambrai alla fine del maggio del 1509. Erano stati pubblicati nell’Ottocento: quello veneziano era stato trascritto nel 1882 da Rinaldo Fulin tra i documenti riguardanti la nascita della

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stampa a Venezia, mentre uno studioso di storia locale, Luigi Napoleone Cittadella, vent’anni prima, nel 1868, aveva portato alla luce il testamento ferrarese. Entrambe queste sue ultime volontà, a differenza di quelle del 1515 dettate a Venezia al notaio Nicola Moravio a pochi giorni dalla morte, erano state motivate dall’incombenza di un viaggio alla ricerca di manoscritti e sostegni al suo lavoro editoriale e dalla consapevolezza dei rischi a cui sarebbe andato incontro muovendosi in un’Italia dilaniata dalle guerre. Dalle trascrizioni a stampa di questi suoi documenti mi erano note le sue preoccupazioni: nell’esordio del primo testamento, all’indomani della partenza da Venezia in cui lasciava Maria incinta e a poca distanza dal parto del primogenito, scriveva infatti “Essendo Io Aldo Pio Manutio per andar fora de Venetia per alcune mei occurentie, et perche la vita humana e fragile, et sopposta a molti pericoli et infortunij”; avevo presenti le sue disposizioni ereditarie, l’affetto e la stima con cui ricordava il suocero e le molte informazioni in grado di illuminare la sua attività e i suoi sentimenti. I testamenti sono sovente, come ha bene espresso Attilio Bartoli Langeli, delle “biografie concentrate” e nel caso di Aldo Manuzio costituiscono una straordinaria chiave d’accesso ad aspetti


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meno noti della sua vita. Quando dunque mi sono accostata alla visione dell’originale conservato nel fondo notarile dell’Archivio di Stato di Venezia pensavo di dedicarmi solamente a confrontare la trascrizione, ammirando la grafia elegante di Aldo, così simile a quel carattere corsivo con cui aveva inaugurato nel 1501 la serie dei libri di piccolo formato. È stata dunque una grande sorpresa e un’emozione ancora più intensa accorgermi che nel retro del bifoglio sono visibili tre impronte di un sigillo su cera, di cui una caduta. Si presentano attorniate dalla scrittura di Aldo che ribadiva l’autenticità del suo scritto: «Qui d[entro] e scripta la mia ultima voluntate de mi Aldo Manutio Pio Romano de mia mano propria [de qu]ello voglio se faccia de’ miei figlioli et faculta». Colpita dalla scoperta, ero corsa a Ferrara, presso la Biblioteca Ariostea, per verificare se la cedola autografa del secondo testamento esibisse le medesime caratteristiche di chiusura e l’impronta di quello stesso sigillo: la

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consultazione aveva confermato che Aldo nel richiudere e validare anche quelle sue volontà aveva usato proprio quello stesso sigillo ovale.

materia malleabile era impiegata agli esordi per chiudere contenitori di merci e tutelarne l’integrità al tempo stesso apponendovi un marchio di proprietà, in seguito all’invenzione della scrittura e allo sviluppo della pratica documentaria assunse la funzione prevalente di testimoniare con la propria presenza la corrispondenza tra la volontà del soggetto autore dell’atto e il contenuto del testo redatto sul supporto di pergamena, carta o altro. Con l’andare del tempo il sigillo divenne lo strumento

Una lUnga storia Prima di prendere in rassegna l’aspetto più rilevante, la forma e soprattutto l’iconografia del sigillo di Aldo Manuzio, è bene ricordare che la storia di questo oggetto, il sigillo, è antichissima e la sua comparsa viene fatta risalire al VII millennio a.C. Se l’impronta lasciata da una matrice resistente su una

a fronte, da sinistra: Girolamo Olgiati, Aldus Pius Manutius R., in Illustrium philosophorum et sapientium effigies, Venezia, 1568 Sigillo di Aldo Manuzio nella cedola testamentaria autografa del 27 marzo 1506 attorniato dalla sua scrittura, in Venezia, Archivio di Stato, Notarile, Testamenti, b. 765.2

dall’alto: Sigilli di chiusura del testamento olografo di Aldo Manuzio, di cui uno caduto, Venezia, Archivio di Stato, Notarile, Testamenti, b. 765.2 Cedola testamentaria autografa di Aldo Manuzio, 27 marzo 1506, 1 c. recto

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nel basso medioevo su matrici di forma circolare, ovale oppure ovoidale di dimensione di diametro oscillanti tra i 30 e 40 millimetri. Molto in uso in epoca romana, bizantina e alto medievale furono gli anelli sigillari, diffusi tra i sovrani longobardi e franchi, poi caduti in disuso a causa dei costi elevati per il necessario ricorso a orafi esperti, e ricomparsi a fine Medioevo, di fattura più ridotta, in mano a privati che se ne servivano per contrassegnare la propria corrispondenza. L’iconografia dei sigilli, l’immagine dell’impronta lasciata sul piombo o più frequentemente su cera, è assai varia ed è in relazione alle caratteristiche e all’identità dell’istituzione o del soggetto che se ne serviva: vi sono sigilli di tipo a effigie, di maestà, ecclesiastico, equestre, agiografico, araldico, emblematico, con iniziali/monogrammatico, parlante. Si apponeva l’impronta mediante due procedure differenti che denominano il si-

più comune per autenticare i documenti. Le matrici, che in ambiente mesopotamico erano di argilla, ceramica o in pietra, in epoca romana e altomedievale cominciarono a essere realizzate prevalentemente in metallo e nel caso di particolare solennità venivano utilizzati sigilli d’oro, come quelli di Carlo Magno. Dalle forme e dimensioni più varie in epoca antica, sovente con impugnature cilindriche e conoidali, ci si attestò

Il testamento olografo del 27 marzo 1506 venne consegnato al notaio Giovanni Francesco da Pozzo, che lo registrò tra i suoi atti, Notarile, Testamenti, b. 765.2 Elenco delle cedole autografe pervenute al notaio Giovanni Francesco da Pozzo: leggibile alla riga 8 “Aldus Manutius romanus”, Venezia, Archivio di Stato, Notarile, Testamenti, b. 765.2

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gillo: pendente o aderente. Il primo si otteneva con una sigillatura in cera o piombo applicata al documento per mezzo di cordicelle, trecce o fili che passavano attraverso un foro praticato sul bordo inferiore del foglio di pergamena ripiegato; nel secondo caso una piccola quantità di cera veniva scaldata e colata direttamente sul documento e prima che si raffreddasse si premeva la matrice di metallo per ottenere l’impronta. In genere nella corrispondenza e nei testamenti olografi il foglio o bifoglio veniva ripiegato in modo tale da ottenere una sorta di busta e avvolto da una sottile striscia di carta (la “nizza”) che veniva fatta aderire alla cera. Per leggere il documento era pertanto necessario rompere il lembo di carta e talvolta il sigillo: questo sistema di sigillatura garantiva l’integrità e la riservatezza dell’atto. Tale procedura individua il sigillo “aderente sottocarta”. Se quelli pendenti erano in uso a cancellerie di sovrani, papi, feudatari ed ecclesiasti-


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ci, quelli aderenti divennero comuni tra i privati e nel tardo Medioevo diffusi tra mercanti, artigiani e artisti.

il sigillo di aldo Se ci si addentra nella documentazione conservata negli archivi all’epoca di Aldo è facile imbattersi nelle tracce lasciate da piccoli sigilli del tipo aderente sottocarta che erano apposti alla corrispondenza e alle scritture testamentarie autografe da uomini e donne appartenenti ad ampie categorie di persone, e non solo di ceto aristocratico. L’impronta del sigillo utilizzato da Vittore Carpaccio è stata da poco rinvenuta da Daniela Ferrari negli autografi dell’Archivio di Stato di Mantova in occasione della recente esposizione di Conegliano; la stessa studiosa ha portato alla luce i sigilli di cui si servivano per chiudere le proprie missive i pittori Squarcione e Mantegna. Lo splendido e complesso sigillo dorato di Pietro Bembo, opera di un esperto orafo, ha impreziosito il percorso della bella mostra padovana del 2013 dedicata allo scrittore e alla cultura del Rinascimento. Il sigillo che Aldo Manuzio fece produrre per suggellare, come tanti uomini del suo tempo, letterati, artisti, medici e mercanti, i propri testamenti e probabilmente altri atti e lettere – anche se finora chi ha studiato la corrispondenza non ne ha rivelato l’esistenza – era con tutta probabilità una matrice di metallo; con esso Aldo ha lasciato impronte sulla cera di un diametro di 15 millimetri di altezza e di 12 di larghezza. Se non si può scartare a priori l’ipotesi di un anello sigillare, appare più plausibile che un uomo che trascorreva gran parte della propria attività tra punzoni e forme tipografiche scegliesse di affidare la propria memoria a un oggetto plasmato con la stesso metodo e materia con

cui si ottenevano i caratteri a stampa. Con questa sorta di punzone tra le mani, lo possiamo immaginare nell’atto di chiudere i suoi testamenti, sciogliere un po’ di cera sul foglio ripiegato e chiuso dalla nizza e imprimere il suo segno inconfondibile. Se si era diffuso l’uso del sigillo anche tra i privati, grazie alla relativa semplicità dell’applicazione del tipo aderente, l’aspetto più interessante da analizzare riguarda ciò che ciascun individuo voleva trasmettere con un sigillo e a quale immagine affidava la comunicazione della propria personalità. Ciò che è in gioco è pertanto una questione di natura squisitamente simbolica. Che cosa dunque scelse Aldo Manuzio per siglare gli atti e soprattutto per rappresentarsi di fronte alla morte? Nel piccolo ovale impresso si staglia con precisione il disegno in rilievo del delfino attorcigliato a un’ancora: l’emblema che aveva assunto come insegna editoriale a partire dalla pubblicazione dei Poetae Christiani datati gennaio 1501, apparso però già in una variante e in configurazione orizzontale in una pagina del Polifilo del 1499. La profonda aderenza al significato dell’emblema, espresso nel celebre motto, Festina lente, era manifestata nella lettera dedicatoria ad

Alberto Pio da Carpi negli Astronomici veteres del 1499 in cui affermava: “perché posso testimoniare di fronte a me stesso di avere sempre come compagni […] il Delfino e l’Ancora”. Questo rivela che di fronte alla morte Aldo Manuzio scelse di comunicare che quel suo marchio d’impresa era indissolubilmente intrecciato alla sua identità di uomo e di editore. Un’eredità che il figlio Paolo assunse e tradusse anche nel sigillo. Nel suggellare la sua corrispondenza usò infatti l’impronta della marca aldina, anche se è arduo identificare questo sigillo con quello del padre, perché tali piccoli timbri si deterioravano con l’uso. Rimane una questione: chi avrà realizzato il sigillo di Aldo? Se fosse scaturito, come appare plausibile, dall’ambiente della tipografia, dagli incisori e fonditori di caratteri, potremo collegarlo a Francesco Griffo che creò per Manuzio le serie di caratteri greci, i tondi latini nonché il famoso corsivo negli anni della sua collaborazione, dal 1495 sino all’inizio del 1502 in cui ruppe con l’editore. Il periodo trascorso dal Griffo accanto ad Aldo è lo stesso, come si è visto, in cui maturava la profonda identificazione con quell’emblema trasformato in un’impronta: il sigillo dell’editore.

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Particolare del sigillo di Aldo Manuzio che evidenzia l’immagine dell’ancora e il delfino, l’emblema editoriale Sigilli della cedola testamentaria autografa di Aldo Manuzio del 24 agosto del 1511, consegnata al notaio Simone Gillini, Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea, Cl. II, n. 361a



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