C l a u d e - M a r ie E c h a l l ie r
AUGUSTIN PLANQUE L ’audacia e la fede di un apostolo
EDITRICE M ISSIONARIA ITALIANA
Titolo originale: L ’a u d a c e e t la f o i d ’u n a p ôtre. A ugustin P la n q u e (1826-1907) m issio n n a ire p o u r l ’A friq u e, E ditions K arthala, P aris 1995
Traduzione d i D aniela P astore Revisione di G ianni G ualanduzzi
Copertina di
O
mbretta
B
ernardi
© 1998 E M I della Coop. SE R M IS via di C orticella, 181 - 40128 B ologna tel. 051/32.60.27 F ax 051/32.75.52 web :http://www. em i.it e-m ail:serm is@ interbusiness.it
N.A. 1221 ISBN 88-307-0743-0 Finito di stam pare n el m ese di m arzo 1998 dalla G rafica U niversal p er conto della G E S P - C ittà di C astello (PG )
...In ogni cosa ci presentiam o com e m inistri di Dio con m o lla ferm ezza nelle tribolazioni, nelle n e cessità , n elle angosce... n ei tum ulti, nelle fatiche... con p azienza, benevolenza... am ore sincero, con pa role di v erità , con la potenza di Dio
PREFAZIONE
Considero un onore ed a cco lgo con gioia l ’essere stato invitato ad introdurre quest’opera su Padre Augustin Planque. Sono coscien te così di assolvere un d overe d i fraternità autentica e d i amicizia perso nale. Infine, saldo un debito d i riconoscenza n ei confronti d elle Suore missionarie d i N.S. degli Apostoli, cu i devo m olto e a diversi titoli, per il passato ed il presente. Senza Padre Augustin Planque, la Società d elle M issioni Afri cane non esisterebbe. I p o ch i aspiranti, ch e rim anevano a Lione al m om ento della m orte d i Mons. d e M arion Brésillac e d ei suoi prim i com pagni a Freetown n el 1859, si sarebbero dispersi, se al loro fia n co non fosse stato presente quest’apostolo fed ele e sincero ch e fu Padre Planque. Q uest’ultimo, parlando d e l fon da tore d elle M issioni Afri cane, scriveva n el 1885 a l C ardinale Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide: «Q uando questi si preparava a partire, io cercai d i dissuaderlo, ripetendogli senza fin e ch e bisognava fa r partire m e p er prim o e ch e lui sarebbe rimasto in Francia p er porre le fondam enta ed assicurare le basi. Io g li d icevo ch e la sua opera perirebb e se dovesse morire. Lei vivrà, m i rispondeva, fin ch é c i sarà una volontà d i mantenerla e v o i sarete questa volontà» ! Mons. d e M arion B résillac non si sbagliava. Questi due fondatori, così diversi l ’uno d a ll’altro, per le loro origini ed il loro temperamento, si conoscevan o e si com prendevano dal di dentro. Il fondatore della Società d elle M issioni Africane aveva riconosciuto n el suo collaboratore fin dagli inizi e p o i successore, la persona capace di assicurare, co n pazienza e perseveranza, la crescita e la propagazione di un’opera missionaria appena nata. Padre Planque fu in effetti q u el ch e si d ice una volontà. Affatto volontarista, eg li era umile, discreto e tenace. Nessuna contraddizione riuscì ad abbatterlo, anche se patì m olto a causa d i qualche suo con 1 Archivi della Società delle Missioni Africane, Planque, Lettere, voi. II.
fratello. P er ciò ch e con cern e la Società d elle M issioni Africane, egli proseguì la sua strada con grande fed eltà alle intenzioni d el Fonda tore e con la giusta relazione con la Santa Sede. Non voglio affatto canonizzare qu i il suo m od o d i governare, ma soltanto rendere om aggio alla sua lealtà ed a l suo senso della Chiesa. Egli non si credeva padrone della sua m issione. Ciò ch e contava p er lui era tro varsi laddove era stato mandato. Egli non ingombrava le comunità di cu i era responsabile con i su oi stati d ’anim o personali, anche quando provava a portarne d i m olto pesanti. Non cambiava parere secon do la direzione d e l vento o secon d o le m od e d el tempo, cosa ch e non g li impediva p erò di riflettere, ed eventualm ente, di m odificare il suo punto di vista. «Non ascoltate le vostre paure, n é le vostre pene, ma seguite Gesù ch e v i dice: venite, seguitem i» 2. La Chiesa di oggi ha bisogno p er com piere la sua m issione di apostoli d i questa tempra, n el cu i anim o i problem i posti dal m ondo m oderno non fa nn o vacillare le certezze della fed e, ma al contrario aiutano ad approfondirle, a penetrare m eglio a ll’interno di un mistero di cu i n oi siam o i ben eficiari pròna d i essere chiam ati a diventarne g li amministratori. Non posso term inare senza ev oca re la m em oria d i Sr. Elise Balavoine, Superiora generale emerita, ch e trascorse diversi anni in Via della Nocetta, a Roma, p er dattilografare pazientem ente tutti g li scritti di Padre P lanque e perm ettere co sì opere ulteriori. Ringrazio, infine, Sr. Claude-M arie Echallier p er la qualità esem plare d elle sue ricerche e della sua penna. Senza dim enticare questo infaticabile ricercatore ed analista, il m io confratello Padre N oël Douait, che ha am abilm ente messo a disposizione d ell’autrice la sua impressionante documentazione. Grazie ad essi, l ’appello alla m issione Ad G entes risuonerà certa m ente alle orecch ie d i q u ei giova n i in cerca di realizzazione e di felicità al seguito di Cristo. È l ’augurio ch e fa ccio neU’introdurre quest’opera. t J ean B onfils s.m.a. vescovo di Viviers
2 Lettera a Sr. Augustin, 1890.
INTRODUZIONE
Presentando una nuova vita di Augustin Planque ai Padri e alle Suore i cui istituti sono stati fondati per le Missioni Africane, come anche a tutti coloro che si interessano all’Africa e al suo futuro umano e spirituale, vorrei inserire il mio lavoro nell’in sieme delle ricerche che hanno già permesso di conoscere que st’uomo intrepido divenuto, in seguito alla scomparsa di Mons. de Brésillac, il suo primo successore a capo dell’Opera. Quasi 70 anni fa Padre René Guilcher sma, scriveva Un am i des Noirs, seguito più tardi da Raoul Follereau e dal Canonico Christiani con Un héros im m ob ile e Un grand Africain. La novità, e forse l’interesse del libro che si presenta oggi saranno dovuti in gran parte all’importanza dei documenti raccolti da Padre Noèl Douau, anziano archivista delle Missioni Africane, che costitui scono venti volumi, inglobando più di mille lettere scritte da Au gustin Planque e coprendo i 51 anni della sua vita missionaria a Lione. Con tali fonti, era possibile ormai seguire di anno in anno, e quasi giorno per giorno, dal 1856 al 1907, la storia di P. Planque, quella della sua vita ma anche quella delle due Società di cui egli ha diretto e condiviso ciò che allora era veramente l’avventura della Missione. Più che una biografia, questo libro è in qualche modo una rilettura delle lettere. Di qui il ricorso frequente ai testi, i riferi menti continui che, seppure non sempre letterali dato il gran nu mero, rispettano comunque con tutto il rigore possibile il suo pensiero, i suoi orientamenti e la sua relazione agli avvenimenti. Per segnalare il percorso del Padre, qualche data offre dei punti di riferimento di cui non si potrebbe fare a meno: 1856, suo arrivo a Lione - 1859, morte di Brésillac - 1876, fondazione delle Suore, ecc. Queste segnano delle tappe che, sebbene di-
verse nella durata e nell’importanza, non sono state però meno decisive. La fedeltà a questi momenti essenziali ha guidato la mia lettura, e questa permette, così mi sembra, di dedurre più facil mente lo svolgimento dell’azione che il Padre ha condotto. Il mio scopo sarebbe dunque raggiunto se, al di là delle pa role, si definissero alcuni dei tratti straordinari del missionario che è stato e il modo che egli aveva di comprendere con tanta lucidità la Chiesa, l’Africa e il mondo del suo tempo. Perché una volta compiuta in profondità la critica e la riattualizzazione biso gnose di metodi, in onore di quest’epoca, per affrontare i popoli e le loro credenze religiose, dovrebbe apparire ciò che rimane il contributo più personale di P. Planque alla missione della Chiesa di Cristo, cioè la rettitudine e la semplicità nelle sue scelte, il suo disinteresse a servizio di un’autentica carità, la ricerca incessante di nuovi sentieri che potrebbero dare accesso al Vangelo. Tali convinzioni e valori infatti, assumono, nella prospettiva di un se colo chiamato ad aprirsi ancora di più agli altri continenti, un’im portanza ed anche un’urgenza che non devono essere più dimo strate. C laude-M arie E challier
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PRIMA PARTE
UN UOMO VENUTO DAL NORD
Li questa parte della storia di P. Planque che si è svolta tra Chemy e Arras, non ci si poteva accontentare di qualche nota biografica. Bisognava dare un po’ più di spazio al suo ambiente, alla sua stirpe, alla sua formazione. Non è senza importanza oggi si direbbe: non è indifferente - avere, come lui, una terra di cui poter vantarsi, sapere di appartenere ad una regione, ad una famiglia da cui si è ricevuto in eredità il vigore della natura e la sicurezza che danno i legami autentici ed un orizzonte familiare... anche se un giorno ha dovuto allontanarsene. Un radicamento personale, la certezza di occupare un posto all’interno di una continuità offrono una possibilità in più per costruire meglio l’av venire, perché si è preso coscienza della propria identità. Questa convinzione della sua appartenenza ad una lunga stirpe, A. Planque ha dovuto risentirla fortemente. Si tratta di una convinzione e di un sentimento che sono lontani dall’essere estranei al suo equilibrio, e gli hanno dato la fermezza e la sicu rezza con cui egli ha condotto la sua azione. Quando lasciò il Nord, aveva appena trent’anni, ma aveva avuto il tempo di fis sarvi le sue radici, che la sua partenza d’altronde non romperà. Dalla sua ricchezza egli trasse il meglio... Fino alla fine della sua vita, si potrà riconoscere in lui il discendente dei suoi antenati fiamminghi.
CAPITOLO PRIMO
NEL PAESE DELLE PIANURE
1. Chemy
Per scoprire il paese natale di Augustin Planque, a circa quin dici chilometri da Lilla, bisogna ancora oggi allontanarsi dalle grandi vie di comunicazione e spingersi verso Sud, nella cam pagna fiamminga. Percorrendo la Nazionale 25 che si dirige verso Lens, si su pera prima Seclin, un grosso borgo - diventato piccola città celebre sia per la sua chiesa collegiata, che rimane uno degli esempi più importanti dell’arte medievale nel Nord della Francia, sia per l’antico ospizio, la cui facciata è degna di un palazzo reale del Rinascimento fiammingo 1. Ancora qualche chilometro e si arriva ad un crocevia dove la Nazionale incrocia una strada se condaria che unisce Gondecourt a Phalempin. A breve distanza, una nuova biforcazione permette di prendere quello che era, an cora poco tempo fa, un vecchio sentiero e che si è trasformato in una piccola strada fiancheggiata da case dai mattoni scuri. E paese di Chemy, che si raggiunge poco dopo, è rimasto a lungo modesto e molto rurale, quasi sconosciuto, malgrado un antico passato che lo fa risalire al XII secolo, o forse più indietro nel tempo. In esso sono state ritrovate, infatti, alcune vestigia romane. Ma il paese si è trasformato, esteso, le fattorie hanno ceduto qua e là il terreno alle villette fiorite e la popolazione, che 1 In base alla documentazione raccolta sul posto. A Seclin si onora Saint Piat, l’apo stolo di tutta la regione, che subì il martirio in questo luogo alla fine del l i secolo e il cui sarcofago si trova nella Collegiata. Questa fu eretta senza dubbio in epoca romanica, poi ricostruita secondo l ’arte gotica con un magnifico deambulatorio. Attualmente, Seclin ha quasi quadruplicato la sua popolazione e conta circa 12.000 abitanti.
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in buona parte lavora fuori, è quasi raddoppiata. Secondo l’an nuario statistico, contava nel 1841 da tre a quattrocento abitanti raggruppati in tre frazioni: Wachemy, Croisette e Chemy. Fu nella prima di queste frazioni, Wachemy, la più vicina a Gondecourt, che nacque Augustin Planque. Ma la casa natale, che comprendeva la fattoria e locali annessi, fu distrutta nel 1918, quando i tedeschi, per proteggere la loro ritirata, minarono il crocevia principale, cui abbiamo già accennato. Non ne rimase che un muro del fienile. La vedova di Louis Planque 2, nipote del Padre, donna attiva e coraggiosa, fece ricostruire una fattoria nuova sull’ubicazione della vecchia. Attualmente si può vedere una grande e bella dimora, “civettuola” e fiorita, abbastanza fe dele alla pianta originale, se confrontata con certe antiche stampe. Si può ancora vedere il fienile quasi intatto, seppure un po’ malandato, come anche il grande campo che gli è adiacente. Per quanto modernizzata ed ingrandita, la fattoria attuale per mette di farsi un’idea del quadro in cui Augustin Planque tra scorse la sua infanzia3. A seicento metri di là, la frazione di Chemy si distingue per un campanile appuntito che offre una nota pittoresca, con le sue alte linee ben disegnate, su un orizzonte dai contorni piuttosto monotoni. La chiesa, che conta già duecento anni, si stringe tra l’antico presbiterio di vecchio aspetto e la stretta fascia all’entrata del cimitero, che sulle pietre fa rivivere i nomi di antiche genera zioni. Essa offre agli occhi un interno semplice, piuttosto spoglio, ma dignitoso, con delle vetrate senza grande originalità - a parte quella offerta dalla famiglia Bonte in memoria di Charles, il figlio ucciso durante la guerra del 1914-1918 e pronipote di P. Planque 4. Nonostante ciò, sui rivestimenti in legno dei muri, al
2 Louis Planque, la cui moglie era Catherine Crépin, è figlio di Louis-Joseph, terzo fratello di Augustin. 3 A lungo abitata da una pronipote del Padre, Marguerite Planque, figlia dei prede cessori, morta nel 1985, la fattoria non è più ora proprietà della famiglia, ma il ricordo di P. Planque vi è rimasto molto vivo grazie ai proprietari attuali. 4 Charles Bonte è il nipote di Louis-Joseph (cfr. n. 5) da parte di sua madre, MarieFrangoise.
cuni frammenti bellissimi testimoniano l’antichità del luogo. E nell’abside, dietro l’altare, si può ammirare un bellissimo Gesù Cristo in legno scolpito, fortunosamente ritrovato e restaurato. Il minuscolo battistero, quello dove fu portato senza dubbio anche Augustin il giorno della sua nascita, è nascosto in fondo, in una nicchia. Ma ciò che attira ancor di più l’attenzione, vicino all’en trata sul lato sinistro, è un pannello di quercia scolpito, disposto in trittico. Questo porta nella sua parte centrale un medaglione di bronzo che riproduce, forse con un po’ di durezza, il viso energico di P. Planque. Questo memoriale è stato piazzato là, in omaggio a colui che fu il Superiore Generale delle Missioni Afri cane e il fondatore delle Suore di Nostra Signora degli Apostoli, nel 1927 in occasione del centenario della sua nascita. E vi si possono leggere accanto alle date principali della sua vita, i nomi dei primi territori che egli aprì alla Missione. In verità, non ci si aspetterebbe di vedere menzionati, in questo luogo umile e remoto, delle contrade lontane con i loro antichi nomi come Dahomey, Còte de l’Or, Delta du Nil e altri ancora 5. Tuttavia, in un’epoca in cui i gemellaggi si sono molti plicati tra le città e i paesi e spesso da un capo all’altro del mondo, non è questo uno tra i più autentici? I cristiani di Chemy conoscono abbastanza questo legame che li unisce a grandi set tori dell’Africa da quando uno di loro, riservato e modesto come il suo villaggio, ma con una fede capace di trasportare le mon tagne, è stato anche lui, fedele al suo nome, un “ponte” tra i due continenti6?
2. ...in Fiandra
E proprio qua, in questa parte della pianura delle Fiandre, chiamata a volte «gallicana», che bisogna fermarsi se si vuole
5 Questi oggi si chiamano Bénin, Ghana... l’antico «Bénin» designava la parte ovest della Nigeria attuale. 6 Secondo alcuni anziani del paese, una «planque» è un piccolo asse di legno che si getta su un ruscello per attraversarlo.
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comprendere un po’ meglio qual è stato per P. Planque il punto di partenza della sua avventura africana, proprio qui, in queste Marche settentrionali, ampiamente aperte sia verso il mare, sia verso i paesi del Nord. Qui si è costituito, lungo i secoli, un popolo vigoroso, dedito alla coltivazione di un suolo eccezionalmente fertile, ma anche volto al commercio e agli scambi cui lo destinavano le vie fluviali che lo solcano da Sud a Nord. All’epoca che ci interessa, la prima metà del XIX secolo, la Fiandra, paese di miniere e mina tori, entrava appena nel nuovo mondo della grande industria, la cui rapida crescita le avrebbe procurato un grande splendore per più di un secolo 7. A quel tempo, le filande e gli opifici, tutta «questa industria tessile radicata nel passato», l’avevano resa ce lebre. Ancora oggi, la popolazione attiva e coraggiosa tiene sempre alla sua terra, tanto da difenderla contro gli invasori che l’hanno tante volte devastata. Poiché molto prima delle trincee del 1914, o dei colpi senza pietà delle armate del 1940, questa regione del Nord, sconvolta in molte circostanze dalle guerre e dalle conquiste, ha conosciuto «il doloroso privilegio di servire da scudo alla Francia» s. E per la sua vitalità o per il suo cielo pieno di foschia, che la Fiandra è stata tanto cantata o valorizzata da poeti, storici, pittori e cantanti che ne hanno fatto apprezzare l’austera bellezza e le qualità eccezionali dei suoi abitanti9? Poiché è vero che «nel cuore di questa terra si è plasmata una razza dalle virtù ben evidenti di tenacia, generosità, attaccamento tanto al paese e al suolo natale quanto alle credenze...». «Gente umile in cui vi è anche della santità»... «a cui mancano forse apparenza esteriore e vivacità, ma che mostra una grande rettitudine nel giudizio, 7 Oggi lo choc della crisi economica difficilmente dominabile, causa, si sa, in tutta la regione del Nord, gravi problemi sociali e disoccupazione. 8 Da un testo antico di Poncheville: dal tempo delle invasioni normanne e di quello di Philippe-Auguste al Medioevo, la Fiandra non ha cessato di essere ambita dai re di Francia e dai principi stranieri prima di diventare definitivamente francese dopo la rivolu zione del 1789. 9 Per citarne qualcuno: i trovatori del Medioevo, i poeti Albert Samain e MarcellineDesbordes-Valmore... e Jacques Brel.
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lealtà, buona fede in tutte le sue relazioni...» 10. «Questo popolo gioioso e accogliente ha un’attitudine grave, perché è medita tivo... - scrive Pierre Pierrard - questo popolo è retto: esso di stingue la verità e l’abbraccia, scorge l’ingiustizia e la denuncia... Il pudore è il custode delle virtù più solide: il coraggio, la fedeltà, la dedizione che giungono spesso all’eroismo» 11. Questa descrizione, come tante altre ancora che hanno cele brato il paese di Augustin Planque e i tratti della sua popola zione, sembra proprio scritta per lui, rispecchiando esattamente il suo carattere energico così come lo si scopre dalle sue Lettere o nelle testimonianze, che lo descrivono con amicizia ma senza compiacimento. Lui stesso amava ricordare le sue origini, ironiz zando: «Diffidate della gente del Nord! E come un fuoco na scosto sotto la cenere!». Gli anni sono passati... Oggi, in tutta la regione e fino a Chemy, si sono costruite casette e villini, condomini o alloggi per operai, poiché Lilla, come tutte le metropoli di provincia, ha in vaso e cancellato le piccole borgate dei dintorni. Ma se il pae saggio è cambiato, le costruzioni sembrano avere spesso rispet tato l’antico stile, facendo pensare che Augustin Planque po trebbe ancora riconoscere la sua terra... In questa distesa a lui familiare, l’uniformità non impedisce al visitatore di provare un certo fascino, che porta alla percezione di una vita profonda. La si sente vibrare sotto apparenze forse un po’ stereotipate, ma che rivelano un pizzico di mistero. 3. La famiglia
Se ci si allontana da Chemy, dove rimangono ancora vive le tracce dell’infanzia di Augustin, si incontrano, su un raggio da dieci a dodici chilometri, questi villaggi e questi borghi denomi 10 Secondo alcuni testi contemporanei sul Nord e sulla sua storia (Malte-Brun, 1886, il poeta Mousseron, J. de la Vallèe); si veda anche la H istoire des D iocèses d e France, Cambrai et L ille, sotto la'direzione di Pierre Pierrard, ed. Beauchesne, 1978. La quarta parte è particolarmente interessante per aiutare a ricostruire l’ambiente di A. Planque. 11 Si veda C hemin d e traverse, m on itinéraire d e chrétien historien, di Pierre Pierrard, D.D.B., 1993, p. 39.
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nati Annoeulin, Gondecourt o Carmin, Phalempin, Haubourdin, Noyelles, tanti luoghi che restano pieni di ricordi. Essi formano la terra ancestrale della famiglia Planque, anche se i discendenti non hanno tardato a disperdersi, persino in America. Molto prima della Rivoluzione troviamo che, secondo la genealogia ri costruita su più di due secoliI2, è stato Houplin, alle porte di Lilla, la culla del ramo Planque. E i Caillerez - ramo materno che venivano da Béthume, non tardarono a fissarsi nello stesso luogo, verso l’inizio del XVIII secolo. In uno dei villaggi citati sopra, a Gondecourt dove le loro famiglie si erano ormai stabilite da due generazioni, Pierre-Jo seph Planque sposò Augustine Caillerez, il 13 giugno 1820. Gente contadina, gli antenati di Augustin erano diventati, per il desiderio di accedere ad uno stato sociale più redditizio, anche dei piccoli artigiani di villaggio. Dal lato dei Planque, per esempio, vi era una lunga tradizione di taglialegna (boscaioli chiamati anche “bocquillon”) o di mugnai, mentre, tra i Cail lerez, si succedevano di padre in figlio maniscalchi o anche fornai. Quanto a Pierre e Augustine, i futuri genitori di Augustin, essi furono semplicemente dei contadini. A Wachemy, dove si stabilirono dopo il loro matrimonio, sembra che siano stati pro prietari della loro fattoria, una tenuta abbastanza importante per l’epoca, perché comprendeva oltre alla casa e ai locali annessi, una quindicina di ettari di terreno. Pierre diventò in seguito il tesoriere del Consiglio della fabbrica 13 di Chemy. Certamente la famiglia godeva di una certa agiatezza, ma bisognava ugualmente lavorare sodo e gestire i beni con rigore per allevare i dieci figli che non tardarono a popolare il focolare. E il 25 luglio 1826 il giorno in cui nasce Augustin, primo maschio tanto atteso, perché tre bambine lo hanno preceduto: 12 Questa genealogia è stata stabilita da P. Noèl Douau, ex archivista delle Missioni Africane, con la collaborazione delle famiglie Delezenne e Delegrange (discendenti della famiglia Planque). 13 II «Consiglio della fabbrica»: antica espressione per designare i chierici ed i laici incaricati di amministrare i beni di una parrocchia.
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Marie-Louise, Rose e una sorellina che non vivrà. Dopo di lui arriveranno altri sei m aschi14. Sulla sua infanzia, mancano le fonti e si hanno pochi dettagli anche se negli ultimi anni della sua vita il Padre raccontava volentieri qualche aneddoto di quel pe riodo. Si può pensare che il cerchio abbastanza ristretto della famiglia e del villaggio abbia costituito tutto il suo universo fino al suo tredicesimo anno di età, un universo abbastanza chiuso, indifferente ai cambiamenti pur evidenti che avvenivano in tutto il paese. In questa prima parte del XIX secolo, la Francia si risollevava a fatica dai colpi causati dalla Rivoluzione francese, dalle guerre dell’Impero e dalla caduta di Napoleone. Ma l’agitazione politica che diede vita ai partiti opposti tra loro 15 non toccava affatto la vita rurale. Gli avvenimenti e le notizie erano sempre conosciuti in ritardo, da lontano e senza grande risonanza 16 sul mondo ru rale. Bisogna anche dire che la «religione, nel dipartimento del Nord, era rispettata. La popolazione, in gran parte cattolica, era fedele ai riti essenziali della vita religiosa, all’osservanza della Quaresima e dell’astinenza, alla “pratica” regolare dei sacra menti». Questo era molto più vero nelle campagne che nelle città, già toccate dalla scristianizzazione operaia e dalla povertà. Impasto di tradizioni, che mescolavano fede e superstizioni, la religione popolare rimaneva nel Nord una religione di conta dini 17. Ecco dunque l’atmosfera, solidamente cristiana e pacifica che conobbe Augustin, come tutti i giovani del villaggio. A quel tempo, nota il Canonico Cristiani, nel dipartimento, la maggio ranza dei bambini andava a scuola18, e Augustin frequentò 14 Dopo Augustin vengono Benoît, Charles (padre di Sr. Benoît), Louis-Joseph, Apol linaire (padre di Sr. Augustin e di P. Joseph), Armand-Valentin morto a tre mesi, poi un altro Armand-Valentin. In realtà, non sono mai stati dieci i figli in vita contemporanea mente (una della figlie è morta venendo alla luce). 15 Da una parte i monarchici, che erano cattolici, e dall’altra i repubblicani, piuttosto volteriani. 16 Cfr. Un grand Africain, di L. Christiani, Archivi N.S.A., p. 15. 17 Cfr. H istoire des D iocèse d e F rance, op. cit., p. 213-214. 18 Cfr. Un grand A fricain, op. cit., p. 19. Il dipartimento del Nord era uno dei più scolarizzati della Francia.
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quella di Chemy fino a 12 o 13 anni. Probabilmente anche i suoi genitori sapevano leggere e scrivere. Venne poi per lui la tappa, che doveva essere di breve durata, del suo apprendistato alla vita rurale. Essendo il più grande dei figli maschi, Augustin non po teva non essere formato da suo padre ai lavori della fattoria perché, normalmente, egli sarebbe stato chiamato un giorno a succedergli. «Robusto e abile, egli sapeva bene, al pari di un adulto, tenere l’aratro, tracciare il solco diritto, falciare il grano...» 19. Un solo fatto di rilievo in quest’infanzia, tutto sommato nor male: la prima comunione. Augustin era conosciuto senza dubbio come un allievo serio e riflessivo. Amava ascoltare i racconti dei profeti e le cerimonie religiose lo attiravano, quelle della Setti mana Santa in particolare. Si dice che sua madre fosse una donna molto p ia20. Onesti, coraggiosi e senza storia, i Planque sembrano essere stati stimati da tutti. Sarà stato per tutte queste ragioni che il curato di Chemy decise di abbreviare per Augustin i tempi abituali e lo ammise alla Prima Comunione nell’aprile 1836 21, quando non aveva ancora dieci anni? I primi educatori - famiglia, preti, maestri - ebbero certa mente su di lui un’influenza determinante; a loro deve l’essere stato risvegliato molto presto alla fede, l’aver acquisito l’abitu dine al lavoro e allo sforzo, il senso del dovere e la volontà di compierlo 22. Un ragazzo già deciso, cui mancava forse qualche cosa della gioia e della fantasia tipica della sua età, così possiamo immaginare Augustin alla vigilia della sua prima partenza. Poiché egli stava per andarsene, ma non ancora molto lontano... Il cam biamento da Chemy a Lilla sarebbe stato più grande della di stanza da percorrere; e l’orizzonte, di anno in anno, si sarebbe allargato per lui in modo del tutto singolare. 19 Cfr. le note di Sr. Augustin, sua nipote. 20 II ricordo è stato trasmesso dalla sig.na Anne-Marie Duquesne, di Gondecourt, pronipote di P. Planque. 21 Senza dubbio era nell’aprile 1836. I ragazzi facevano allora la prima comunione verso i 12 anni. 22 Nell’omelia che egli fece a Lione per il cinquantesimo del sacerdozio di P. Planque, il 28.8.1900, Mons. Morel, direttore delle M issions C atholiques, evidenziò l’in flusso che ebbe su Augustin il suo primo ambiente.
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4. La Rue Royale
La nonna materna di Augustin, Rosalie Lamour, già dece duta, aveva una sorella minore, Augustine-Charlotte, che in se guito al suo matrimonio con J.-B. Poupart abitava a Lilla, dove possedeva al numero 24 della rue Royale una merceria23. E lei, la fàmosa zia Poupart, il cui nome resta a giusto titolo legato alla giovinezza e alla formazione di Augustin. Vale la pena dire qualche parola di questa donna eccezionale, conosciuta per il suo coraggio come per la sua fede ardente, e che sembra abbia occupato un posto importante nella famiglia grazie alla sua forte personalità, ma anche grazie all’attenzione benevola che aveva verso i suoi familiari. I diversi biografi di P. Planque 24 hanno raccontato a propo sito di Mme Poupart alcuni aneddoti del tempo della Rivoluzione del 1789. Ancora giovane, avrebbe accolto e nascosto in casa sua un religioso carmelitano, minacciato di morte. Costui, travestito di giorno da commesso del negozio, circolava con un libro dei conti sotto il braccio o, all’occasione, vendeva degli articoli di merceria. La notte, egli poteva celebrare la messa nel suo na scondiglio, portando nel periodo del Terrore grande conforto ai suoi ospiti ed ai loro vicini. Passata la tormenta, il padre carmeli tano ritornò al convento, lasciando alla sua benefattrice un bel crocifisso d ’ebano, che in seguito fu ereditato da Augustin e da lui custodito fino alla morte. Si diceva inoltre che la zia Poupart, abitualmente senza peli sulla lingua, si era azzardata a scrivere al vescovo di quel tempo, un prelato che aveva votato per la Co stituzione civile del Clero 25, per esprimere il proprio disappunto. Questa lettera doveva essere pungente, poiché l’aveva indirizzata, 23 Al numero 24 della Rue Royale vi è ora un piccolo ristorante vietnamita. 24 In particolare René Guilcher, Un A mi d es Noirs, A.M.A., 1928; il Canonico L. Cristiani, Un grand Africain, Archivi N.S.A., 1956; Raoul Follereau, Un Héros im m obile, Archivi N.S.A., 1946. 25 La Costituzione civile del Clero: in Francia, decreto dell’Assemblea nazionale co stituente che, nel 1790, volle dare al Terzo Stato il diritto di attribuire gli incarichi e le diocesi, attraverso un’elezione, indipendentemente dal Papa, cosa che scisse il clero in due gruppi: i refrattari e i costituzionali.
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con un simpatico gioco di parole «a M. Frimas, vescovo di Cambrai... fino al disgelo»! 26. Rimasta vedova e senza figli, Mme Poupart godeva di una discreta agiatezza. Nella sua casa della rue Royale, viveva in com pagnia della sua domestica, Catherine, la cui reputazione era si mile a quella della padrona... Sembra che la zia abbia intratte nuto eccellenti relazioni con Augustine Planque, sua nipote, e con la famiglia che continuava a crescere a Wachemy. Così ella conobbe più da vicino suo nipote, e venne attratta dalla sua ma turità e vivacità. Da questo le venne senza dubbio l’idea di of frire al ragazzo, che tutto sembrava destinare ad una vita di con tadino, la possibilità di rispondere alla propria vocazione. Troviamo infatti, in un vecchio quaderno in cui una delle prime suore della Congregazione 27 ha annotato alcuni ricordi ri portati dallo stesso P. Planque, queste parole significative attri buite alla zia Poupart: «Poiché il tuo Augustin si vuol fare prete, che venga da me ed io mi occuperò di tutto». Una tale frase era già nella vita dell’adolescente come «il dito di D io »28. Anche se egli non fece mai delle confidenze riguardo l’origine e le tappe del cammino verso il sacerdozio, tuttavia si può credere che vi pensasse già da diversi anni, senza sapere come realizzare questo progetto. I suoi genitori, con a carico una famiglia numerosa, non avrebbero potuto assumersi le spese dello studio e del manteni mento. Libero e sincero, egli prese dunque volentieri la strada che si apriva davanti a lui, nella sola convinzione che la sua scelta era proprio quella che gli permetteva di rispondere al Signore. Bisogna situare questo passo della zia Poupart nella prima vera del 1836, all’epoca della prima comunione di Augustin, o nell’aprile 1838, al momento dei funerali del piccolo ArmandValentin, il nono dei figli che morì in tenera età? Si sa soltanto che nulla fu stabilito prima di un periodo abbastanza lungo di riflessione —intorno al febbraio 1840 forse - quando la famiglia 26 In realtà, il vescovo si chiamava parole molto del suo mordente (tale “brina”). 27 Si tratta di Sr. Joseph Jasserand, 28 “Il dito di Dio” è un’espressione
Primat (e non Frimas), il che toglie al gioco di termine in francese significa “calaverna” ossia una della Suore venute dal Couzon. che il Padre ripeteva spesso.
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era riunita a Gondecourt per il matrimonio di Augustine Cail lerez, una cugina di Augustin. Per l’adolescente, si tratta del primo strappo con l’ambiente familiare e il paese. Gli stretti limiti del suo villaggio si stanno spezzando. Ma mai egli scorderà «Chemy che gli sta a cuore per i legami più profondi, con il suo quadro familiare, con la cam pagna che lo avvolge e sembra penetrata dei suoi più cari ri cordi»29. I suoi rimarranno sempre presenti nei suoi pensieri. Sappiamo che egli aveva una forte preferenza per suo fratello Apollinaire 30, ma è con tutti che egli mantiene sino alla fine della sua vita delle relazioni piene di interesse e di affetto. E dunque soltanto un caso se più tardi si ritroveranno intorno allo zio Au gustin tre dei suoi congiunti: Léontine, figlia maggiore di Charles, divenuta Sr Benoît e due figli di Apollinaire, MarieLouise, Sr. Augustine, prima Superiora generale della Congrega zione e Joseph, entrato nelle Missioni Africane31? Tuttavia in seguito, ed anche quando le circostanze lo ricondurranno al Nord, egli sarà già molto distaccato... Una vita pacifica, dal per corso ben definito, termina dunque in quell’estate, quando Au gustin si stabilisce a Lilla presso la zia Poupart. Era già a quell’epoca un quartiere aristocratico, allo stesso tempo tranquillo e animato, quello dove andava a vivere. La Rue Royale ne costituiva l’arteria principale, fiancheggiata da palazzi signorili di bell’aspetto, che si alternavano con delle vecchie abi tazioni più modeste. Sulla sinistra, venendo da Sud, si apriva la terrazza Sainte Catherine che conduceva alla stradina dallo stesso nome. Là si scopriva un insieme pittoresco di case fiorite, dallo stile provinciale, incornicianti la chiesa di Santa Caterina, un an tico monumento di architettura fiamminga del XIII secolo, la cui 29 Tratto dal panegirico fatto dal canonico Thone nella cattedrale di Lilla, il 17.10.1927, in occasione delle feste per il centenario della nascita di A. Planque. 30 Cfr. le lettere a sua cognata, Mme Eléonore Planque, il 25 e 30 maggio, il 1° e il 28 luglio 1876, in occasione della malattia e della morte di suo marito, Apollinaire, me dico all’ospedale Saint-Jean-de-Dieu a Lilla. 31 Sr. Benoît lavorò a lungo in Egitto, a Zifta e morì a Bardello in Italia, nel 1938. Il Padre le scriveva spesso e le dava notizie della famiglia. Marie-Louise, alla fine del suo mandato di Superiora generale nel 1910, partì per l’Egitto e morì a Chibin-El Kom nel 1941. Per Joseph, si veda la IV parte, cap. 12.
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torre quadrata cinge una bella torre campanaria32. Era allora il centro di una parrocchia vivace. Il curato Wicquart, un prete at tivo, moltiplicava le predicazioni, le cerimonie e gli incontri spiri tuali e suscitava nell’intera città quelle che un tempo si chiama vano «le buone opere». Era quasi sicuramente in questo luogo, vicino alla sua nuova dimora, che Augustin veniva a pregare e, come a Chemy, a servire la messa ogni giorno. Quanto a casa Poupart, era, se si crede allo stesso P. Planque, «regolata come un convento». Domestica e padrona avevano il culto dell’ordine, il rispetto degli orari e della regola rità a tal punto che, se si faceva qualche lettura, non bisognava superare il numero di pagine fissato giorno per giorno. Si leggeva molto a casa della zia Poupart: il Vangelo, la vita dei Santi, il Martirologio e già (merita farlo notare) gli «Annali della Propa gazione della Fede» che avevano cominciato ad apparire nel 1826 e contribuivano a far conoscere l’opera fondata a Lione da Pauline Jaricot. Tra Mme Poupart, che a quell’epoca aveva già superato i 70 anni, e Catherine, rigida e severa sebbene più giovane, Augustin non si trovò troppo spaesato. Il suo amore per il lavoro, il suo carattere equilibrato e piuttosto serio, come anche una buona dose d’humour che non perderà mai, lo aiutarono ad approfittare al massimo di questa vita austera, un po’ grigia, senza perdere l’apertura e la libertà di spirito che lo hanno sempre contraddi stinto, né la decisione di andare fino in fondo riguardo alla sua vocazione. La zia si assicurò la collaborazione del prete coadiutore della parrocchia per iniziare al latino il suo giovane ospite. Il Padre Sockel era un eccellente professore. Egli incantava i suoi allievi e s’imponeva loro con autorità, ma anche con grande bontà. Augu stin non lo scordò mai. D’altronde come avrebbe potuto dimen ticare l’anno passato a Lilla, dove iniziò quegli studi che continuò poi dall’ottobre 1841 presso il seminario minore di Cambrai? Per 32 Se il fianco nord di Santa Caterina è in pessimo stato, con le pietre annerite, l’interno contiene quadri bellissimi, statue di diverse epoche, stalli in legno scolpito così come pure il pulpito e la balaustra dell’organo che sono del XVIII e del XIX secolo.
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la benevolenza di cui l’aveva circondato e per il clima di vita cristiana che gli aveva dato occasione di vivere, egli mantenne una grandissima riconoscenza verso sua zia. Senza dubbio, l’iniziazione alla liturgia avuta dalla domestica non mancava di pittoresco, se dobbiamo prestar fede a qualche aneddoto 33. Resta il fatto che Augustin ricevette una solida for mazione alla preghiera. A quest’epoca risale in particolare il gusto per la meditazione del Padre Nostro. Catherine gli aveva insegnato a dirlo «non soltanto a memoria ma con il cuore» (si noti che in francese l’espressione «a memoria» si traduce “par coeur”, dando così alla frase un sottile gioco di parole) 34. In Rue Royale, sottoposto ad una disciplina che lo portava al dominio di sé, Augustin aveva forse già misurato le esigenze con le quali si sarebbe confrontato lungo il cammino che stava per intrapren dere verso il sacerdozio.
33 Si racconta che la domestica fosse solita vestirsi del colore liturgico del giorno... 34 La meditazione del Padre Nostro è rimasta uno dei punti forti della sua spiritua lità. Si dice che, a messa, quando lo recitava, la sua voce si faceva più spiccata sulle parole «Fiat voluntas tua» (sia fatta la tua volontà).
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CAPITOLO SECONDO
A CAMBRAI
1. Il seminario minore
In seguito al Concordato del 1801 ', accolto come l'avveni mento provvidenziale che metteva fine ai lunghi anni di travagli, di persecuzioni e di smarrimento nella Chiesa di Francia, la Diocesi del Nord ricevette come nuovo titolare della sede episcopale di Cambrai un ex vescovo costituzionale 2, che veniva dall’Aude, suo dipartimento natale. Per Louis Belmas, il prelato gradito all’auto rità francese, ci volle molto «savoir-faire», molta pazienza ed un gran desiderio di riappacificazione per vincere l’ostilità di una popolazione che lo considerò a lungo «un prete giurato». In una regione dove tante chiese erano state distrutte mentre altre rima nevano disorganizzate o abbandonate, il vescovo Belmas si diede il compito di ricostituire un clero che fosse più giovane, più nume roso e soprattutto più formato. Per questo egli creò sin dal 1807 un seminario diocesano. L’anno seguente, al fine di facilitare l’accoglienza dei futuri chie rici, egli organizzò il seminario minore. Questo conobbe un inizio molto faticoso prima di diventare autonomo e di intraprendere un cammino che sarebbe stato lungo e brillante. E in questo periodo, tra il 1840 e il 1850, che inizia l’epoca dei miglioramenti, delle riforme e delle innovazioni. Una possibilità per Augustin che entra a Cambrai precisamente nell’ottobre del 1841, ammesso dopo un 1 Firmato tra Napoleone I e il Papa Pio VII, il Concordato regolava i problemi del culto e delle nomine agli incarichi e ai vescovati, lasciati in sospeso tra la Francia e la Santa Sede dalla fine della Rivoluzione. 2 II Vescovo aveva firmato la Costituzione civile del Clero, ma nel Nord l’insieme dei preti era piuttosto refrattario.
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esame alla IV classe 3. D’ora innanzi, niente di ciò che avverrà in questo istituto, studi, formazione, stile di vita, potrà lasciarci indif ferenti, poiché il giovanotto di Chemy vi restò quattro anni. Ed è proprio a Cambrai che Augustin comincia a diventare il P. Planque, così come lo conosceremo più tardi, con i suoi tratti definitivi... Ad accoglierlo al seminario minore, egli trova degli uomini di grande valore. Innanzitutto il Reverendo Auguste Désiré Desrousseaux, un giovane superiore a capo della casa dal 1835. Di questo ex avvocato si sapeva che era abile a sbrogliare le più complicate questioni amministrative. Ma diventato prete, si rivela anche un eccellente educatore ed energico maestro, preoccupato di mantenere una disciplina esemplare perché essa sola può assicu rare - diceva - un buon clima e la serietà degli studi. Non di meno egli mostra una grande benevolenza nei confronti degli allievi, convinto che nell’educazione «la dolcezza è superiore alla seve rità». Desrousseaux rifiuta dunque tutti i metodi che potrebbero amareggiare i giovani e preferisce stimolare piuttosto che punire 4. All’inizio dell’anno 1842, soltanto qualche mese dopo l’arrivo del giovane Planque, Mons. Giraud succedette a Mons. Belmas. Questi era stato un uomo zelante, di profonda pietà e di grande semplicità, che si era guadagnata, malgrado tutto, la stima del popolo. Ma gli si rimproverava un giansenismo duro, opposto a tutte le forme esteriori di culto, come processioni, pellegrinaggi, messe musicate, care alla pietà popolare del tempo. Rigido per tutto ciò che riguardava la morale e i riti dei sacramenti, specialmente le condizioni obbligatorie per ricevere l’assoluzione e l’eu caristia, era un forte sostenitore del gallicanesimo, il che non pia ceva alla gente del Nord, molto legata al Papa5. Si noterà in particolare che Mons. Belmas si era mostrato risolutamente ostile alle attività della «Propagazione della Fede» che stavano pren dendo un rapido avvio, a servizio della Chiesa universale. 3 L’esperienza fatta al seminario di Cambrai gli servirà quando, a sua volta, fonderà le sue scuole apostoliche. 4 II Superiore teneva molto a che si vivesse in seminario una vera vita di famiglia. 5 Belmas, che terminava una lunga carriera episcopale di quasi 40 anni, era stato impopolare presso la borghesia monarchica e cattolica del Nord.
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L’arrivo di Mons. Giraud segna dunque una svolta nel cam mino della Diocesi, un vero sconvolgimento nella vita cristiana e nella mentalità. Certo, il nuovo vescovo non adotta affatto lo stile del suo predecessore. «Gli si rimprovererà il suo gusto per il fasto, per la mondanità e per le spese, in contrasto con la semplicità e l’austerità del vecchio Belmas» 6. Ma non di meno si mostra molto ardente nel suo insegnamento e nella predicazione, attento a tutto ciò che riguarda il culto e il risveglio spirituale dei suoi fedeli. Rompendo con le fredde tradizioni gianseniste del passato, egli ama le cerimonie, porta lui stesso l’ostensorio nelle processioni del Santissimo Sacramento, incoraggia la devozione al Sacro Cuore e vuole che si cantino inni nella lingua popolare. E veramente un vento nuovo che comincia a soffiare. C’è tuttavia un campo della pastorale in cui il prelato si trova in totale continuità con Belmas: il buon andamento del seminario. Entrambi vi dedicano il più vivo interesse. E così all’indomani stesso della sua intronizzazione a Cambrai, Mons. Giraud fa la sua prima visita ai seminaristi7. D’accordo con il Direttore, egli vuole procurare loro una solida formazione cristiana. I corsi di cate chismo occupano un posto importante nella ripartizione del lavoro e i tempi forti della preghiera, del ritiro o della riflessione sono sempre rispettati. Si moltiplicano anche le occasioni di feste reli giose. E, per esempio, nella cappella del seminario che l’8 di cembre 1842 si festeggia già l’Immacolata Concezione della Ver gine. Quello stesso giorno viene creata, seguendo numerosi esempi già presenti un po’ ovunque, una congregazione mariana, per sostenere la preghiera degli adolescenti. Bisogna segnalare anche, nel marzo 1844, la posa della Via Crucis, che lasciò un segno negli annali del collegio. A quel punto si stabilì la tradizione di farne l’esercizio ogni giorno e si comprende perché Augustin vi rimase fedele fino alla fine della sua vita. A Cambrai, dunque, tutti i mezzi venivano adottati per prepa rare dei preti formati ed istruiti8. Il livello degli studi era elevato, il 6 H istoire des D iocèses d e France, op. cit. , p. 226. 7 Mons. Giraud arrivò a Cambrai alla fine del febbraio 1842. 8 «I preti formati da Desrousseaux e usciti dal seminario minore tra il 1840 e il 1850 sono stati la gloria della Chiesa e sono diventati fonte d’ammirazione per la diocesi», Histoire du P etit Séminaire, 1809-1900, Boussemart, Cambrai, 1909.
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che contribuì alla reputazione del collegio. Non sembra, tuttavia, che Augustin abbia avuto qualche difficoltà nel seguire la classe malgrado il ritardo inevitabile, dovuto alla sua precedente forma zione abbreviata. Spirito più tenace che brillante, egli potè contare su un sicuro giudizio, una maturità al di sopra della media. Alcuni ammiravano in lui «un’intelligenza viva, una memoria imperturba bile», altri mettevano l’accento sulla sua tenacia, sul suo ardore nel lavoro. Egli aveva certamente tutte queste doti e si mostrava at tivo, assiduo, coscienzioso fin nei minimi particolari9. Tra i profes sori ai quali Augustin fu debitore del suo sapere, merita una men zione speciale Destaubes che insegnava storia e geografia al liceo. Preparatissimo in queste materie e uomo di grande erudizione, egli aveva il dono di risvegliare la curiosità dei suoi allievi e di comunicare loro il suo gusto per la ricerca. Con Augustin, il suo insegnamento cadeva veramente su un buon terreno. E giovane seminarista approfittò al massimo dei corsi del professore. In parti colare, divenne abile nell’arte di disegnare le carte geografiche. Avremo spesso l’occasione di riparlare di questo talento che gli fu tanto utile per orientarsi nei paesi di missione. A Cambrai, ci si preoccupa anche di preparare i giovani al loro compito di educatori, attraverso un insegnamento pedagogico molto aperto, che fa appello all’iniziativa e alla responsabilità. Dal canto suo, il vescovo Giraud segue da vicino i lavori e la forma zione. E stato lui a spingere per la creazione delYAthénée, una sor ta di accademia letteraria dove gli studenti possono approfondire il loro sapere, esercitarsi a prendere la parola e sostenere dibattiti e discussioni. Ma nello stesso momento in cui incoraggia la crea tività, il Vescovo è il primo a volere addolcire la disciplina e of frire ai giovani svaghi e vacanze. Egli acquista una proprietà alla Neuville Saint Rémy, perché nei giorni d’uscita o nelle vacanze i seminaristi abbiano tutti i vantaggi dell’aria aperta in questa casa di campagna vicina a Cambrai, dove lui stesso a volte li rag giunge. Un’atmosfera di famiglia, dove tutto era preso sul serio, gli studi, ma anche l’apertura ad una vita di fede, ecco ciò che Augu9 Cfr. Guilcher, op. c i t p. 24-25 e Follereau, op. cit., p. 18.
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stin trovò nel Seminario minore di Cambrai. Un’atmosfera che rendeva più umano un quadro di vita molto strutturato. In questo ambiente, allo stesso tempo austero e caloroso, egli potè stringere delle relazioni di cameratismo e di amicizia, che i suoi anni di Lilla non avevano particolarmente favorito. Non si possono passare sotto silenzio i nomi di coloro che furono, per periodi più o meno lunghi, suoi condiscepoli e compagni di strada, e che gli sarebbero rimasti fedeli. C’erano i «maggiori», come Bruniaux, il futuro Certosino 10, già al penultimo anno quando Augustin cominciò il primo, e Mortier, il futuro vescovo di Digne, che era al terzo. All’ultimo anno, si trovava Delannoy, al quale sarebbe toccata più tardi la diocesi di Aire e Dax. Nella stessa classe di Augustin, vi erano come compagni d’Herbonez, che in seguito entrò nella congregazione degli Oblati e si consacrò alla missione del Grande Nord in Canada - e soprattutto Armand Fava del quale si parlerà a lungo quando sarà diventato il vescovo di Grenoble. Senza dubbio, il giovane Planque non era un tipo particolarmente comu nicativo. Ma tra questi adolescenti pieni, come lui, di progetti per il futuro al servizio a Dio e alla Chiesa, egli aveva di che informarsi e condividere, ricevendo molto dagli altri, ma offrendo, a sua volta, le sue conoscenze e la sua amicizia u . Le circostanze non potevano essere dunque più favorevoli. Terminato nel giugno 1845 il suo corso di Retorica, Augustin passò l’esame di fine anno e quello di ammissione al seminario maggiore. Furono in quarantaquattro nella sua classe ad essere ammessi. Su questo numero, una tren tina arrivò fino al sacerdozio e tra loro, precisamente, Fava e d’Herbonez, suoi amici. 2. Verso il sacerdozio
Nel 1807, ansioso di aprire un seminario e in mancanza di un locale adatto, Mons. Belmas aveva acquistato nel quartiere di 10 Le lettere di P. Planque fanno menzione a diverse riprese del Padre Abate e del Monastero della Grande Chartreuse, che hanno sempre sostenuto e seguito da vicino lo sviluppo delle missioni. 11 Coloro che si sono espressi su Augustin, Superiori, professori e discepoli, lo hanno sempre presentato come un ragazzo semplice e retto, servizievole e accomodante, buon compagno, serio e senza meschinità, tutto proteso verso Dio.
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Badar un convento di suore. Ma quando, trent’anni più tardi, potè infine acquistare l’antico collegio dei G esuiti12, vi trasferì senza indugio gli studenti del seminario maggiore. La bellezza e le di mensioni della cappella l’avevano spinto a tale scelta. Con il suo altare di marmo, i suoi organi e le tre grandi navate, sembrava proprio predisposta per le future ordinazioni. Fu lì che Augustin andava spesso a pregare e percorse le diverse tappe verso il sacer dozio. Nel 1845, il 28 ottobre, egli entra dunque a filosofia. E nes suno potrà togliergli il primo posto in questa materia dove il suo spirito equilibrato gli permette di essere classificato al di sopra della media con un reale distacco sui suoi compagni. Il suo curri culum di studente porta anche: «Buon allievo in filosofia», un grande riconoscimento, se si tiene conto del fatto che Leleu non era affatto prodigo di complimenti. Questo nuovo superiore di Augustin, ancora giovane, che inizialmente aveva pensato di orien tarsi verso la Trappa, conservava di questo desiderio mai realizzato il gusto dell’ascesi e della privazione. E al pari dei monaci aveva il culto per il regolamento, che egli definiva come il miglior mezzo di formazione dei chierici... Bisogna quindi constatare che, a partire dalla zia Poupart, gli educatori di P. Planque, seguirono tutti la stessa linea austera. Essi gli offrirono un quadro di vita piuttosto rigido, dove la regolarità assumeva valore di ideale. Ma tuttavia nessuno fra loro mancava di comprensione e bontà. E quest’am biente, dove il rigore sapeva allearsi con l’umanità, non mancò certo di influenzare l’evoluzione del futuro P. Planque. Leleu non fece eccezione: sotto le apparenze di fermezza, egli era rimasto semplice e benevolo. Ricco di buon senso, dotato di grande spirito di decisione, amava avvicinarsi ai seminaristi e con quistare la loro fiducia. Il suo rapporto con Dio era quello di un uomo che contempla e medita, ma che è attaccato nello stesso tem po alle «pratiche». Mons. Giraud trovò in lui il collaboratore ideale per ridare alla casa un clima di preghiera e ristabilire, come deside rava, «le pratiche spirituali», alle quali si attribuiva allora gran de importanza: lettura, esame di coscienza, rosario in comune, ecc. 12 Questo acquisto gli permise di separare i due seminari.
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Non v’è alcun dubbio che un tale superiore abbia contribuito a rinsaldare Augustin nella sua scelta e nelle sue aspirazioni perso nali. Egli gli diede, tra l’altro, l’esempio di un’assoluta sottomis sione all’autorità infallibile di Roma, di cui era diventato, molto prima del Concilio Vaticano I, un ardente difensore. E quando il Reverendo Planque, divenuto Fondatore, scriverà le Costituzioni delle sue due Società, si potrà misurare ciò che egli aveva conser vato dei consigli dei suoi maestri. Nel desiderio di migliorare la qualità dell’insegnamento, Mons. Giraud ed il Superiore aggiunsero, alle materie tradizionali, lo studio del diritto canonico e crearono una cattedra di ebraico. Per il corso di fisica, si acquistarono strumenti nuovi. Per la botanica, i giardini della Neuville servirono per le sperimentazioni. Tante innovazioni che permettono di farsi un’idea delle facilità di lavoro offerte agli allievi. Nel corso dei quattro anni che lo incamminarono verso il sacerdozio, alcuni avvenimenti segnarono la vita di Augustin. Tra gli altri, un’interruzione dei suoi studi, poiché soffriva di forti dolori allo stomaco. Già abituato nel seminario minore a seguire le penitenze della Quaresima, nella primavera del 1846 egli aveva senza dubbio forzato un po’ troppo sulla legge del digiuno. Eccolo allora costretto a prendere un periodo di riposo che si prolungò fino all’estate. Ma per tutta la vita egli subì le conseguenze di questo incidente di salute, il che spiega come, in seguito, sia sempre stato attento alla salute dei Padri e delle Suore, ed ostile ad ogni forma di penitenza che avrebbe potuto ridurre la loro resi stenza fisica 13. La sua assenza forzata non impedì al P. Planque di terminare brillantemente il suo anno di filosofia e di entrare, nel l’autunno seguente, nella classe speciale riservata agli allievi mi gliori, coloro cioè che erano giudicati capaci di ottenere il bacca laureato. Augustin lo superò con successo: almeno lo testimoniano i posti di insegnamento che gli furono affidati in seguito. Oramai era libero di cominciare gli studi di teologia. 13 L. PI. a Sr. Alexandre, 16.3.1898 - a Sr. Catherine, 25.6.1888 - alle Suore di Cork, 27.2.1889. Le Suore che chiesero l'autorizzazione a digiunare non la ottennero.
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L’estate seguente, Mons. Giraud, da poco divenuto cardinale, ricevette la berretta cardinalizia dalle mani del re Luigi Filippo 14 e, nell’autunno 1847, egli fece a Cambrai un ingresso a dir poco trionfale, per esservi intronizzato con il suo nuovo titolo. Sempre preoccupato per il rinnovamento spirituale della sua diocesi e per tutto ciò che poteva favorire il culto e la preghiera, il nuovo Cardi nale non occupava un posto di minore importanza nella vita poli tica e sociale del paese, nel momento in cui gli avvenimenti subi vano una grave svolta negli anni 1847-1848. Dopo Mons. Belmas, che aveva elevato la voce contro la sete smodata delle ricchezze e contro una civiltà che trasformava gli uomini in macchine, Mons. Giraud, in diversi documenti, denunciava gli abusi di un lavoro eccessivo che prostrava anche le donne e i bambini e «tutte le forme di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo». «La reli gione - diceva - non è meno intransigente per la tratta dei Bianchi di quanto non lo sia per la tratta dei Neri» 15. Quest’ardente prelato, impegnato, profondamente inquieto di fronte alla miseria materiale, la disoccupazione, il pauperismo cre scente, poteva non accogliere con una certa speranza il cambia mento di regime che si verificava in Francia con la Rivoluzione del 1848? Egli chiese ai suoi preti di aderire alla Repubblica 16 e di riconoscere il nuovo potere. Lui stesso prese parte alla sfilata ufficiale e salutò l’Albero della Libertà piantato sul sagrato della cattedrale, ricordando con forti parole la dimensione evangelica delle idee di fratellanza, di libertà e di uguaglianza 17. Padre Planque partecipò probabilmente a tutti questi aweni14 Per effetto del Concordato, le nomine agli incarichi episcopali si fanno dopo un’intesa tra la Santa Sede e lo stato francese. 15 Cfr. la lettera pastorale del Card. Giraud per la Quaresima del 1845. H istoire des D iocèses d e France, op. cit., p. 233. Se i prelati che presero posizione sulle questioni sociali del tempo furono poco numerosi, bisogna tuttavia menzionare il Card, de Bonald a Lione e il Card de Croy a Rouen. 16 Si tratta della II Repubblica. Instaurata in Francia il 25.2.1848, durò solo fino al 2.12.1852. Si vedrà come l’adesione alla Repubblica fu difficile da ottenere nel 1890, malgrado gli sforzi di Papa Leone XIII e del Card. Lavigerie. 17 La tradizione risalente al 1789 di piantare gli alberi, si era rinnovata nel 1848; questi erano il simbolo dell’avvenimento e delle libertà conquistate. - «Chi dunque ha insegnato agli uomini a celebrare parole di libertà, di uguaglianza e di fraternità?», aveva gridato il Vescovo (cfr. note Douau, documenti Planque).
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menti assistendo alle cerimonie, leggendo i testi... Quali potevano essere allora i sentimenti, forse le paure, o anche le reticenze in un giovane uscito da un ambiente rurale, spesso conservatore, di fronte all’evoluzione politica e soprattutto di fronte alle prese di posizione espresse dal suo vescovo? Egli non ha lasciato spiega zioni. Ma quali che siano state le sue scelte politiche (forse anche una certa diffidenza verso la Repubblica e verso i movimenti che avevano delle apparenze di agitazione o un’aria di sommossa 18), è certo che Augustin Planque era al fianco del cardinale Giraud, quando questi optò per i poveri. Egli era dalla parte di questo mondo mal nutrito e mal pagato, che la miseria rendeva sempre più ostile a Dio e alla Chiesa. Egli mantenne sempre il senso della povertà, il rispetto per i più sfortunati, il desiderio di venire in loro aiuto. Tutto ciò che più tardi segnerà la sua vita di missionario è forse da attribuire in buona parte alla lezione di quegli anni. Anche lui dovette impegnarsi per lottare contro la schiavitù e denunciare le ingiustizie. Ai Padri e alle Suore egli ricordava di farsi prossimo per i più umili tra gli Africani, che la Missione era stata creata per questo, che essa doveva tenere conto di tutti i loro bisogni. Per due anni ancora Augustin Planque proseguì con regolarità il suo studio della teologia. Era l’epoca in cui Alfonso De Liguori era stato appena canonizzato e i suoi scritti servivano spesso come base per gli studenti, in particolare nello studio della morale... una base che il Superiore di Lione utilizzò più tardi nei suoi numerosi corsi o sermoni. Alla fine del 1849, dopo l’esame passato davanti al Cardinale, dove fu promosso con la menzione «bene», il giovane Planque fu chiamato al suddiaconato. Fu una cerimonia grandiosa per il numero dei partecipanti. Vi si contavano infatti ventidue preti, di cui due Benedettini del monastero inglese di Darai, otto diaconi di cui tre Trappisti di Notre-Dame du Mont e ventidue suddiaconi tra cui Augustin, Armand Fava e un Benedettino. Ma terminata l’ordinazione, Augustin Planque non ritornò a Cambrai. A questo studente del secondo anno, il vescovo aveva già affidato una responsabilità, nominandolo professore a Marcq-en-Baroeul, nella periferia di Lilla. La sua preparazione al sacerdozio non era 18 Augustin Planque fu sempre contrario, quasi in forma viscerale, ad ogni movimento di rivendicazione, di rivolta o di violenza...
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term inata, m a d ’ora innanzi egli l ’avrebbe continuata accanto al Superiore della sua nuova casa.
Il collegio di Marcq, fondato nel 1840 con il concorso di influenti cattolici, era diretto dai preti di Saint Bertin, una Società nella quale tutti i membri avevano il compito dell’insegnamento, e che mirava a formare un’élite di educatori, dando loro la possibilità di riunirsi in gruppi e condividere le loro esperienze di m aestri19. Augustin non fu un socio, ma un membro aggregato, sottoposto peraltro allo stesso regolamento minuzioso e molto esigente. Egli vi si trovò bene e a suo agio tra i colleghi e ricorderà volentieri lo spirito e l’unione fraterna che allora regnavano nella Società. Nella primavera del 1850 fece un breve ritorno a Cambrai. In vista del diaconato e del sacerdozio, Augustin dovette passare un nuovo esame, che superò con il giudizio «più che bene». Senza dubbio avrebbe potuto ottenere un «ottimo», come la maggior parte dei suoi compagni, ma egli aveva anche l’incarico dei corsi, ed era assente dal seminario da numerose settimane. Tut tavia conoscendo l’infaticabile e coscienzioso lavoratore che fu sempre, si avrebbe torto nel concludere che la sua preparazione fosse insufficiente, come alcuni cercarono di insinuare più tardi20. Il reverendo Planque ricevette, dunque, il diaconato il 16 marzo 1850. Si fece appello al vescovo di Gand per la cerimonia che ebbe luogo al monastero dei Benedettini a Esquermes, poiché la salute del cardinale Giraud, minata da lungo tempo da una malattia di cuore, l’aveva obbligato a riguardarsi. Con Augustin, erano venti diaconi, cinque suddiaconi e nove preti, di cui tre Trappisti, e vi si trovò ancora, ma per l’ultima volta, l’amico Armand Fava, poiché egli entrò qualche mese più tardi nel seminario dei Padri dello Spirito Santo 21. 19 Fondata nel 1834, la Società di Saint Bertin era un’organizzazione di preti forte mente strutturata, che offriva ai suoi membri un ideale elevato di insegnanti cristiani. Essa dirigeva i principali collegi della regione, quindi, quelli di Marcq, di Bergues e di Arras dove insegnò Augustin. 20 Coloro che più tardi espressero un giudizio negativo a proposito della formazione data al seminario delle Missioni Africane, ne attribuirono la responsabilità all’insufficienza del Superiore in materia di teologia, il che non era affatto giustificato. 21 Si vedrà più avanti l ’itinerario seguito dal grande amico di Augustin, che evangelizzò a lungo i Neri della Costa orientale d’Africa, prima di diventare vescovo di Grenoble.
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P. Planque riceve l’ordinazione sacerdotale il 21 dicembre 1850 dalle mani di Mons. Régnier, che è appena succeduto al cardinale Giraud, deceduto nell’aprile 22. Il novello sacerdote ce lebra la sua prima messa nella sua chiesa natale, il lunedì 23 dicembre 1850, e il curato, Baligaud, che sostituisce a Chemy il caro vecchio Padre Coudrelier 23, fa tutto il possibile perché la festa sia molto solenne ed il villaggio intero vi prenda parte. Sarebbe bello conoscere i sentimenti di Augustin in occasione della sua ordinazione. Se non se ne trova traccia nei suoi ricordi personali, resta tuttavia di lui un insieme di testi, appunti di pre diche, conferenze, che rivelano molto più di qualunque confidenza sull’idea che egli si era fatta del suo ministero sacerdotale. Dei testi che esprimono tutta la sua fede, potremmo dire il suo stupore, di fronte al sacrificio eucaristico, che egli ama definire «il mistero della bontà divina»; e manifestano la sua azione di grazie per il dono di Dio che salva il mondo. «Come è grande un prete - egli scrive - poiché ha ricevuto dal Signore, dopo gli Apostoli, il potere di rinnovare ogni giorno questa offerta di Cristo che ci dona la riconciliazione e la pace»! «Mistero incomprensibile, tanto pro fondo quanto l’amore di Dio per noi! Io pronuncio delle parole, ma chi può comprendere? Bisogna credere e adorare...» 24. Convinto della grandezza del sacerdozio, Augustin ha piena coscienza che la sua situazione è divenuta quella di un umile servizio, poiché il prete non è nient’altro, secondo le sue stesse parole, che «il portavoce di Dio», chiamato a farlo conoscere attraverso la parola e l’Eucaristia fino alle estremità della terra. Allora la sua ordinazione sacerdotale, l’ha forse già vissuta come un primo passo - veramente decisivo - verso un apostolato più lon tano...?
22 Fu proprio il 21 dicembre - e non in settembre - che ebbe luogo l ’ordinazione sacerdotale di P. Planque, come è dimostrato dai documenti trovati recentemente. La cerimonia era stata ritardata per la vacanza della sede. Mons. Régnier arrivò a Cambrai solo il 19 dicembre. 23 Era stato trasferito alla parrocchia di Genech. 24 Egli ricorre sempre alla fede degli Apostoli che, per primi, «hanno creduto alla parola di Cristo: ‘Fate questo in memoria di me’ e l’hanno messa in pratica».
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CAPITOLO TERZO
UN NUOVO ORIZZONTE
1. Professore
Terminato il seminario, tutto sembra contribuire a mantenere il giovane prete nell’insegnamento poiché alla riapertura delle scuole nel 1850, anche prima della sua ordinazione, egli ha la sciato Marcq per Bergues, a pochi chilometri da Dunkerque 1. Questo collegio Saint-Winoc, dove arrivava Augustin, era una venerabile casa, rispettata nella regione per la sua antichità, ma anche per le ore di disgrazia o di gloria che di volta in volta aveva conosciuto 2. Quell’anno, grazie alla legge Falloux3, aveva appena ripreso vita e riaperto le porte. Nel Nord, in effetti, come in tutta la Francia, i vescovi approfittavano del ritorno della libertà per creare nuovi istituti secondari o ingrandire quelli che già esistevano. E in quell’occasione che Padre Planque, del quale tutti apprezzano la cultura e le qualità di maestro, viene proposto da M. Eeleu, d’accordo con i suoi superiori di Saint-Bertin, per diventare direttore legale a Saint-Winoc, un incarico che equivale già ad una promozione. Vi rimane quattro anni, poi, per il gioco dei mutamenti nel corpo insegnante, lo ritroviamo un’altra volta a Marcq, come prefetto degli studi. Un anno dopo, alla riapertu ra dell’anno scolastico 1855, essendo vacante la cattedra di pro fessore di filosofia al seminario di Arras, i Padri di Saint-Bertin, 1 Padre Planque giunge a Bergues, senza dubbio nel corso del mese di maggio 1850. 2 II collegio di St-Winoc, fondato nel 1600 dagli arciduchi di Fiandra, ha seguito il corso dei successi e delle sventure di quella provincia. Si è visto confiscare i propri beni dalla Rivoluzione francese. Nel 1850, passa nelle mani dei preti di St-Bertin. 3 Tra le altre disposizioni, la legge Falloux, votata nel marzo 1850, permetteva ai membri delle Congregazioni religiose di aprire degli istituti secondari sotto il controllo dei vescovi.
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con l’autorizzazione dei vescovi interessati, e conoscendo le com petenze particolari di Augustin, gli propongono questo nuovo cambiamento. Forse hanno l’intenzione di legarlo ancor più al l’insegnamento per mantenerlo al Nord... poiché i superiori non ignorano in quel momento che Augustin pensa di lasciarli. Ben sistemato in un incarico che gli si addice, e promesso ad un avvenire che dovrebbe svolgersi senza scosse, sicuro della fi ducia degli studenti e di quella dei Direttori che l’hanno nomi nato per questo posto importante, Padre Planque ha tutto, sembra, per essere davvero felice. Tuttavia nulla è ancora vera mente deciso. La carriera del professore, infatti, non basta più a colmare la sua aspettativa, poiché, dopo Bergues, egli ha deciso di partire. E stata la casualità degli incontri, delle conversazioni, a spin gerlo a cambiare orientamento? Ma ciò che sappiamo di lui ba sterebbe a smentire quest’interpretazione. Temeva allora la mo notonia di una vita d’insegnamento dalle prospettive necessaria mente limitate? E senza dubbio il suo temperamento più pro fondo, il bisogno di vasti spazi come anche i suoi sogni di adolescente non sono stati estranei alla sua scelta; non esiste vo cazione che sia disincarnata. Ora, è proprio di vocazione che si deve parlare qui. Poiché l’avvenire che attira Augustin - e certa mente da lungo tempo - è la partenza verso le Missioni lontane, quelle che lo porteranno «ai confini della terra». Quello è il luogo dove egli intende servire il Signore. E nulla, nelle nume rose coincidenze che verranno ad orientare il suo cammino, può apparire ai suoi occhi come un effetto del caso. Tutto ormai di venta per lui linguaggio e segno di Dio.
2. Progetti
Durante i suoi anni di adolescenza e di studi, abbiamo già potuto notare alcuni dei punti di riferimento, che hanno illumi nato il cammino di Augustin. C ’è stata Lilla, la lettura degli An nali della Propaganda Fide e, ancor più, tutta una nuova corrente che è, tra i cristiani del tempo, favorevole all’apostolato delle Missioni, fortemente incoraggiato, d’altronde, dall’azione dei 39
Papi Gregorio XVI e Pio IX. A Cambrai, passato il tempo del vescovo Belmas, si è entrati con Mons. Giraud in un clima di apertura alla Chiesa universale. Da allora, le porte dei collegi non si chiudono più ai missionari che rientrano in Francia. Costoro, visitando parrocchie, scuole, istituzioni, raccontano i loro faticosi progressi nelle terre pagane ed i rischi che essi corrono per l’e vangelizzazione. Molti visitatori sfilano così presso il seminario: Mons. de Forbin-Janson, il fondatore della Santa Infanzia, che è inesauribile con le sue storie della Cina e dell’America, un mis sionario marista di Lione, M. Espales, che parla dell’Oceania dove morirà un anno dopo. Vengono anche Ratisbonne, fratello di Alphonse, il convertito di Roma che ha fondato la congrega zione di Sion, poi Mons. Venables, il P. Libermann, che percorre le diocesi della Francia alla ricerca di vocazioni, e tanti altri an cora... Marcq riservava ugualmente ad Augustin un altro incontro con uno dei suoi colleghi, M. Wibaux, che s’interroga in quel momento su un eventuale cambiamento d’orientamento e si ap presta a chiedere consiglio al Curato d’Ars... Come potevano tante idee entusiaste, tante iniziative gene rose, non aver guidato e sostenuto, già durante quegli anni di amicizie, Augustin nella sua riflessione? Gli impegni dei suoi mi gliori amici non potevano che stimolare il suo desiderio e inco raggiarlo nella ricerca di una soluzione. Poiché la situazione del giovane P. Planque non è semplice. Infatti, egli non può disporre di se stesso, né allontanarsi dal Nord. Paradossalmente, l’ostacolo gli viene da colei che più lo ha aiutato a seguire la sua via, la zia Poupart. Ancora lucida e coraggiosa, s’incammina ora verso i 90 anni e, pensando alla vita eterna, conta su suo nipote perché Tassista negli ultimi momenti4. Augustin le è troppo legato e il suo debito verso di lei è troppo grande perché egli non le faccia la promessa che ella si attende. Ma è una promessa che gli pesa, perché rischia di compromettere il suo progetto, o almeno di ritardarlo a lungo. 4 Augustin non potrà assistere sua zia che muore l’8 dicembre 1856, il giorno stesso in cui, con Mons. de Brésillac e gli altri compagni, è a Fourvière per consacrare a Maria la nuova Società.
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Tuttavia, egli non tornerà indietro sulla sua decisione ri guardo alla partenza. Sin dal 1854, deciso a mettere tutto in opera per raggiungere il suo fine, egli comincia a passare ai fatti. Se si tiene conto di una lettera indirizzata al P. Sullivan, sarebbe ancora precedente il momento in cui egli avrebbe intrapreso i primi passi5: «...io ringrazio Dio di aprirvi le porte di questo bel paese d’Australia. Quando io ero un giovane seminarista, avevo avuto l’idea di andare in missione da quelle parti e avevo anche scritto con questo scopo a qualcuno che io credevo potesse darmi delle informazioni. Non ho ottenuto ciò che cercavo. Ma mi sono molto interessato, negli anni seguenti, allo sviluppo di questo paese negli Annali della Propaganda Fide 6. Altre lettere confermano lo stesso orientamento: «Cinquant’anni fa 7, sognavo di essere missionario nei paesi dove voi siete. L’Australia e i paesi vicini non mi uscivano dalla testa. Scrissi anche al segretario della Propaganda Fide per sapere dove do vevo indirizzarmi per realizzare il mio progetto. Allora, ero un allievo del seminario. Più tardi, mi ammalai e per lungo tempo dovetti curare il mio stomaco che si rimetteva a posto a fa tica...»8. Qualche anno più tardi egli torna ancora sullo stesso argomento: «Permettetemi di dirvi che Perth (in Australia) ri sveglia in me vecchissime aspirazioni... Dio ha disposto di me in maniera diversa, ma il nome di Perth mi è rimasto nel cuore» 9. Ma a parte i suoi sogni per l’Australia, è presso i Lazzaristi senza avere delle preferenze per alcun continente in particolare che si rivolge ora il giovane sacerdote Augustin, attirato forse dalla personalità di San Vincenzo De Paoli, che egli ha imparato a conoscere al seminario. Non possediamo le lettere che egli scrisse al Superiore di questa congregazione, ma abbiamo le ri 5 Sarebbe alla fine del seminario minore o nel primo anno di filosofia, al seminario maggiore. 6 L. PI. a P. O’Sullivan, 6.3.1889. 7 L. PI. a P. O’Sullivan, 22.5.1890. Bisogna situare la trattativa prima del momento in cui egli si ammalò, ossia nel 1845 o 46. 8 Questa malattia allo stomaco, che necessitò di un periodo di interruzione degli studi, gli lascerà alcune conseguenze. 9 L. Pi. al Vescovo di Perth, 1.1.1893.
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sposte ricevute senza dubbio in seguito ad una richiesta di infor mazioni 10. Queste non gli portano nulla che sia adatto a lui, né tanto meno che possa entusiasmarlo. La Società di San Vincenzo non è esclusivamente missionaria. Essa invia «nelle Missioni solo coloro che ne esprimono il desiderio». E quindi il progetto ri mane senza futuro. Nuovo passo presso le Missioni Estere. Questa volta, la corri spondenza scambiata potrebbe far pensare che egli stia per impe gnarsi su questo fronte. In una lettera del Superiore infatti si leggono queste parole: «H o il piacere di annunciarvi la vostra ammissione al nostro Noviziato» 11. Ma come seguire il consiglio che gli danno al seminario di Parigi? Laggiù, i Superiori non hanno capito nulla del suo problema... Potrebbe Augustin partire senza parlarne alla zia Poupart? D’altra parte, egli sa che una tale notizia potrebbe essere fatale per l’anziana signora. Poiché le Missioni Estere non gli offrono che una possibilità di partenza immediata per l’Estremo Oriente, eccolo di nuovo in un vicolo cieco. Che fare, se non «seguire i consigli del suo direttore di Arras e contare, per realizzare i suoi progetti, su un cambiamento di circostanze» 12? Ma la sua impazienza cresce, la si sente trapelare in alcuni dei suoi scritti posteriori: «So che l’ostacolo che mi ha trattenuto è fragile e può scomparire da un giorno all’altro, ma può anche rimanere per alcuni anni... ed ecco che mi avvio verso i trent’anni» 13. «Se dipendesse soltanto da me, nessuna considera zione personale mi fermerebbe ed io sarei partito già da due anni. Ma ho seguito dei consigli che devo credere saggi, così ho atteso ed attendo ancora» 14.
10 Lettere della Congregazione della Missione, detta di St-Lazare, rue de Sèvre. 95, a Parigi, 21.2.1854 e 9.3.1854. 11 Si posseggono 4 lettere del Superiore del seminario delle Missioni Estere di Pa rigi a P. Planque, 23.3 e 19.4. 1854, 2 e 24.8.1854. 12 Tale sarà il contenuto delle lettere che Augustin scriverà in seguito a Mons. de Brésillac, quando gli esporrà le sue difficoltà ed il suo smarrimento, cfr. quelle del 23.5.1856 e seguenti. 13 L. PI. a Brésillac, 23.5.1856. 14 L. PI. a Brésillac, 10.6.1856.
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3. L’ora della partenza
Passeranno infatti due lunghi anni prima di quel 23 marzo 1856 in cui, in maniera definitiva, si chiarirà il destino di Padre Planque. Quel giorno, il quotidiano YUnivers pubblica un articolo nel quale si parla dei Neri più abbandonati dell’Africa. Chi scrive è un vescovo missionario, Mons. Marion-Brésillac, di ritorno dalle Indie. Egli vorrebbe, secondo il desiderio della Sacra Con gregazione di Propaganda Fide, fondare una Società a favore di quei paesi in cui il Vangelo è ancora penetrato pochissimo, e pensa al Dahomey. Ma egli deve assicurarsi, per raggiungere il suo scopo, la partecipazione di qualche prete convinto come lui dell’urgenza del compito. Ecco dunque che cosa cade, quasi per caso, sotto gli occhi di Augustin. Dire che provi un colpo di fulmine per la proposta che gli viene offerta, significherebbe dimenticare il suo tempera mento di Fiammingo, riflessivo, che non può prendere una deci sione così importante prima di averla a lungo maturata. Ma una cosa è certa: L’articolo dell’U nivers attira immediatamente la sua attenzione. Con la sua fede e l’abitudine ad incontrare il Signore nella vita quotidiana, Augustin sente che questa chiamata è per lui, tanto più in quanto si adatta in ogni punto alla sua situazione personale. Mons. Marion-Brésillac prevede infatti «che un certo numero di missionari dovranno rimanere momentaneamente in Europa per corrispondere con le Missioni e provvedere alle loro necessità». Non ci sarebbe più il problema di una partenza im mediata. Ed è proprio questo che egli desidera 15. Il futuro si chiarisce. Tuttavia il giovane Padre non ha fretta, egli soppesa tutte le cose, domanda consiglio, e solamente in maggio - due mesi più tardi - scrive a Mons. Marion-Brésillac per esporgli il suo caso e proporgli già la sua collaborazione. Una lettera franca, aperta, in cui «si prende la libertà di chiedere delle informazioni e dei consigli atti ad illuminarlo»... «M i sono 15 Questa clausola è espressa nella notizia redatta da Brésillac, di cui l’originale si trova negli archivi di Propaganda Fide. —Sulle informazioni, si veda Journal 1856-1859, p. 12 e nota 7 p. 105, AMA. - Si veda anche D ocum ents d e M ission et d e Fondation, presen tati da J. Bonfils, ed. Mediaspaul, 1985, p. 273, nota 56.
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chiesto, vedendo nascere la vostra bella opera, se Dio non mi stia offrendo un mezzo per attuare un progetto accarezzato per tanti anni» 16. Egli non nasconde nulla della sua situazione familiare, dei suoi tentativi ed insuccessi, né della sua impazienza «di vo lare verso il campo da dissodare». —«Tuttavia —confesserà più tardi - il mio primo pensiero, Monsignore, era di non parlarvi affatto di tutto ciò... ma ho creduto più conforme allo spirito di semplicità il non lasciarvi ignorare nulla» 17. La risposta di Mons. Marion-Brésillac arriva senza tardare 18, una lunga lettera calorosa, addirittura entusiasta. Il futuro Fonda tore delle Missioni Africane deve essere stato conquistato dalla rettitudine e dalla semplicità del suo corrispondente e sembra aver percepito immediatamente il grande desiderio che abita Augustin e lo spinge a partire. «La perseveranza fino alla vostra età nel progetto di lavorare all’opera delle missioni mi sembra essere un segno potente di vocazione»... «La vostra posizione, i prece denti che voi mi fate conoscere, mi permettono di credere che la vostra vocazione è certa». Anche per il vescovo, la richiesta di Augustin ha un carattere provvidenziale, poiché egli avrà bisogno precisamente «di uomini come lui che non partirebbero subito, ma che, nell’attesa di rag giungerlo più tardi, si renderebbero molto utili alla nascente as sociazione» - «Dio che dispone degli avvenimenti e del nostro stesso cuore così come Egli vuole... non ha voluto forse riservarvi per concorrere all’opera alla quale sto pensando?» 19. A partire da questo momento, tutto sembra procedere senza difficoltà. Da entrambe le parti, le lettere scambiate rivelano che i contatti sono eccellenti. Esse fanno pensare che, sin dal primo istante, ci fu tra Brésillac e il giovane Planque, una sintonia, una prossimità, un’affinità elettiva, si potrebbe dire. Essi hanno le gato il loro futuro nella fiducia, nella sincerità e nell’affetto. Oltre alla serietà di Augustin, che non prende nulla alla leg 16 L. PI. a Brésillac, 23.5.1856. 17 L. Pi. a Brésillac, 10.6.1856. 18 Brésillac a P. PI., fine maggio 1856, AMA e DMF, p. 157 e segg. 19 Ibidem .
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gera, ciò che traspare in questo scambio epistolare è la libertà di spirito che sembrava svilupparsi in lui, ora che gli si apre una strada e cresce la sua speranza di lasciare il seminario nell’au tunno 1856, prima dell’inizio dell’anno scolastico. «Per la grazia di Dio ed il disegno particolare della Sua Provvidenza - scrive al Vescovo - tutto sembra convergere a favore del progetto che Vi ho comunicato e nel quale Voi avete la bontà di incorag giarmi» 20. «Tutto mi fa desiderare, Monsignore, la pronta aper tura della vostra casa... io spero che non ci saranno più ostacoli»21. Ma nella sua grande attenzione per l’equità e la deli catezza, egli vuole regolare anche le questioni che rimangono in sospeso con le Missioni Estere, La Società di Saint-Bertin ed il Vescovo di Arras. Quanto alla zia Poupart, non le lascerà igno rare la sua partenza, ma troverebbe «difficile non prometterle una visita più o meno ogni anno» 22. E vero tuttavia che la decisione di Augustin ha qualcosa di sorprendente ed anche di imprevedibile... L ’offerta che Brésillac gli fa, non è che un abbozzo di un progetto, uno schema pos sibile di Società. Chi saranno i compagni d’armi? Dove si allog gerà? Il Vescovo ha previsto a mala pena un punto di riferi mento... Di che cosa vivranno? Con quali risorse? E la prospet tiva di avere «almeno ciò che sarebbe sufficiente al profeta, un letto, un tavolo e un candeliere» 23, se equivale ad una promessa di privazioni, entusiasmanti per un cuore generoso, non offre una grande sicurezza... Augustin deve essersi poste tutte queste do mande24, ma nulla sembra averlo turbato! Poiché sopra ogni cosa, egli è felice di seguire il suo ideale. E la sua gioia, anche se contenuta, viene da ancora più in alto, e rivela la sua intima convinzione di aver incontrato il suo destino e di rispondere alla sua vocazione. Nel corso dell’estate, le notizie ricevute da Mons. Brésillac si 20 L. PI. a Brésillac, 10.6.1856. 21 L. PI. a Brésillac, 3.7.1856. 22 Cfr. le lettere citate nelle note 16 e 17. 23 Brésillac a PI., fine ottobre 1856, cfr. DMF p. 176. 24 L. PI. a Brésillac, citata nel n. 17e 20: «Permettetemi,Monsignore, di doman darvi dove pensate di stabilire la vostra casa?». - La domandatuttavia nonsembra rive lare alcuna inquietudine.
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fanno un po’ più precise. Il Vescovo è a Lione dove, in giugno, ha pensato di stabilirsi25. Egli ha finalmente trovato la casa che più gli si addice, alla fine di luglio, l’affare è concluso «con le Dame Carmelitane che ne erano proprietarie». «Una casa non priva di attrattiva - scrive - in un piccolo campo, molto vicino alla città, con una vista magnifica», «un’ammirabile posizione sul pendio di Sainte-Foy»... Tutto questo farà forse dimenticare «le cose che mancano», una povertà di cui il Vescovo informa molto semplicemente il suo corrispondente... 26 «Pregate molto - ag giunge - fate pregare le persone pie di vostra conoscenza e do mandate a Dio di darci la forza nelle contraddizioni, e la pa zienza nelle prove e negli impicci inseparabili da ogni inizio» 27. E dunque arrivata l’ora, la sua, in cui attraverso la missione d’Africa, egli si dedicherà alla causa dell’evangehzzazione lon tana. Allora, pronto a camminare sulle acque, perché la sua energia è grande, ma più grande ancora è la sua fiducia nel Si gnore, egli parte per Lione. Vi giunge la sera del 6 novembre e trova alloggio per la notte vicino alla piazza Bellecour28.
25 Lettere BrésiUac a M. Vian, 21.6.1856 —a Mme Blanchet, 24.6.1856, citate nella Vie d e M gr d e M arion-Brésillac, dal R.P. Le Gallen, ed. Paquet, 1910, p. 487. 26 Brésillac a PI, fine luglio 1856. - a Barnabò, 12/18.11.1856. - Cfr. Journal 18561859, pp. 42-43. - Si noti che questa casa, di cui oggi si può localizzare la posizione all’estremità della tenuta delle Suore di Sainte-Ursule, rue Bouvier, a Lione 5°, era a 200 metri dall’attuale casa provinciale delle Suore N .SA. 27 Brésillac a PI., fine luglio 1856. 28 II mattino seguente un garzone di fornaio (o di macellaio) gli mostrerà il cam mino per il Petit Sainte-Foy.
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SECONDA PARTE
IL CO FONDATORE
Sembra che nessuno dei suoi biografi precedenti abbia con frontato le due regioni che furono, nella vita di Augustin Planque, i suoi veri punti fermi: il Nord, suo paese natale... e Lione, chiamata a diventare la sua unica terra di missione. Tuttavia i punti in comune tra i due paesi non mancano e Augustin non ha potuto non coglierli. E vero infatti che bambino, adolescente o prete, egli non ha conosciuto in trent’anni null’altro che la monotonia di un orizzonte uggioso e piatto, quello che va da Lilla al mare... mentre Lione potrà offrirgli, in certe mattine di sole, la possibilità di scorgere, dall’alto della collina di Saint Irénée, la linea delle Alpi, brillante fino al Monte Bianco. Ma giunto in pieno novembre, e certamente anche in piena nebbia lionese, il giovane P. Planque non si trova sicuramente spaesato... I giorni di foschia che l’attendono a Lione, affogati di pioggia, immersi nel grigio, sono gli stessi che ha cono sciuto a Chemy o a Cambrai... C’è di più. Nel carattere piuttosto freddo, distante ed anche taciturno degli abitanti, Augustin deve riconoscere un po’ la gente della sua razza. Egli sa che questa caratteristica esteriore non impedisce un’ospitalità sincera e generosa. Una volta superata la barriera della sua leggendaria riservatezza, Lione - come il Nord non è avara nell’accoglienza e nell’amicizia. E Dio sa se, in cinquant’anni, le barriere non cadranno davanti al P. Planque, tanto egli sarà capace di guadagnarsi l’affetto dei suoi nuovi concittadini e la stima per la sua opera. Egli diventerà uno di loro, interessan dosi alla vita quotidiana della città, facendosi degli amici veri e fedeli. A Lione, ritroverà le stesse tradizioni di famiglia che gli sono care, la stessa fede, quella della Gallia cristiana. Qui, essa è radi cata profondamente sin dai tempi di Potino, Blandina e Ireneo. La 49
pietà - dicono - è un po’ mistica, ma anche, già da secoli, rivolta verso Maria. Senza dubbio, è stata Fourvière a conquistare Augustin: essa diventerà il suo luogo prediletto, il suo pellegrinaggio preferito, e non solamente l’8 dicembre 1856 o nel maggio 1876 1, ma in tutte le circostanze di gioia e dolore. E forse era stata Fourvière, dove egli amava pregare e cele brare l’Eucaristia nell’antica cappella, che aveva convinto anche Marion Brésillac a «mettere su casa» a Lione, lui ed i suoi primi aspiranti, al numero 9 del Chemin du Petit Sainte-Foy, in una modestissima dimora? O era la vicinanza di Ars, ad una trentina di chilometri da Lione, verso le Dombes, dove il santo Curato termi nava allora la sua lunga vita di preghiera e di digiuno? Senza dubbio tutte queste cose insieme. E Augustin fu, lui pure, felice di questa vicinanza, anche se è molto improbabile che egli abbia fatto visita al reverendo Vianney 2. A Lione, inoltre, vi è pure Pauline-Marie Jaricot, la fondatrice della Propaganda Fide di cui egli conosce gli Annali sin dal tempo della rue Royale. Pauline che, in quegli anni 1860, soffre tantissimo per vari conflitti contro negozianti e uomini di legge senza scru poli3. A Lione, infine, c’è il quartiere della Guillotière, dove le Missioni Africane non tarderanno ad installarsi, a poca distanza dal Prado. E nel P. Antoine Chevrier4, quest’altro santo della terra lionese, Augustin troverà un fratello di miseria e di questue, il vero «Discepolo di Cristo», semplice e povero, come lo stesso Augustin cerca di diventare 5. L’ex professore di Arras trova, dunque, il suo posto nel cuore 1 L’8 dicembre 1856 è la data di fondazione della Società della Missioni Africane a Fourvière. Una targa nell’antica cappella della vergine ricorda la cerimonia. Il 1° maggio 1876 è la data di fondazione delle Suore. 2 Poiché Jean-Marie Vianney morì ad Ars il 4 agosto 1859, è impossibile che P. Planque l’abbia consultato prima di accettare la successione a Brésillac, della cui morte fu informato soltanto il 9 agosto. 3 Tra le varie vite di Pauline-Marie Jaricot, si può consultare quella di P. G. Naidenof, alle Edizioni Médiaspaul, 1986. 4 Antoine Chevrier è il fondatore del Prado a Lione. Nato lo stesso anno di P. Planque, è morto nel 1879. 5 Le Véritable D isciple è l’opera fondamentale di P. Chevrier, in cui egli espone il suo ideale di prete secondo il Vangelo.
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di Lione in maniera del tutto naturale. A questa Chiesa vecchia di diciotto secoli, ma che vibra sempre di fronte ai grandi problemi sociali e religiosi che scuotono la sua epoca, anche lui viene a portare la sua pietra. Attraverso le due Società che egli sosterrà con tutto se stesso per circa cinquant’anni6, aiuterà la cristianità lionese ad aprirsi un po’ di più al mondo, specialmente all’Africa dove «non desidera altro che vedere estendersi il Regno di Dio» 1.
6 P. Planque fu Superiore generale delle Missioni Africane dal 1859 e Superiore delle Suore che egli aveva fondato dal 1876 fino alla morte. 7 L. Pi. alle Suore di Lagos, 29.12.1886.
CAPITOLO QUARTO
DUE UOMINI... UNA MISSIONE
1. L’incontro
Si sa veramente poco del primo contatto tra Marion-Brésillac, che da due anni metteva tutto sottosopra per ottenere un territorio di missione, ed il nuovo collaboratore. Due righe nel Diario del Vescovo, riportano che «il 6 Novembre arriva il signor Planque, il cui il primo colloquio è stato tra i più favorevoli» h Chi era dunque quell’uomo, inventivo e pieno di audacia, al quale Augustin Planque si era offerto, in una fiducia completa e spontanea, per partire con lui sulla strada dell’Africa? Non man cano le opere che parlano di Brésillac: delle biografie, il suo Dia rio...ed un recente libro 2 che ha persino reso familiare il suo viso delicato, estremamente attraente, per non dire seducente, il suo sguardo vivo e nello stesso tempo volitivo. Quest’autentico meridionale discendeva da una stirpe di genti luomini, stabiliti da tempo immemorabile nel paese della Linguadoca. Egli era nato il 2 dicembre 1813 a Castelnaudary, ma la vera terra dei Brésillac era, un po’ più a sud, il villaggio che porta ancora il loro nome, un luogo pittoresco, assolato e verdeggiante. Esso si trova a qualche chilometro da Carcassonne, la città medievale, dove il futuro vescovo frequentò il seminario e ricevette l’ordina zione sacerdotale. Della sua razza, quella dei trovatori, gioiosi e viaggiatori, egli ha mantenuto lo spirito intraprendente, sempre 1 jou rn a l 1856-1859, M arion-Brésillac, F ondateur d e la S ociété des M issions Africaines d e Lyon, presentata da Jean Bonflis, sma e Noël Douau, sma, 1985, AMA, p. 53 e nota 26, p. 106. 2 M arion Brésillac, Fondateur d e la S ociété des Missions Africaines de Lyon, D ocuments de mission et de fo n d a tion , edizione preparata da Jean Bonfils, sma, con la collaborazione di Noël Douau, sma, Médiaspaul, 1985.
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portato all’entusiasmo creatore, segno delle vere vocazioni. Uomo di gran cuore, caloroso, portato alle relazioni con le persone, egli tratta tutti con grande cortesia e la sua benevolenza gli attira facilmente degli amici. Ma non per questo è meno risoluto e determinato. E un attivo, un indomabile, che persegue i suoi obiettivi con tenacia, ed il primo di tutti, quello che sogna sin dalla gioventù, è la Missione. «Dio - riconosce - gli ha fatto la grazia di non perdere mai di vista questo pensiero, malgrado i consigli e le suppliche che avrebbero potuto distoglierlo» 3. Dal seminario delle Missioni Estere di Parigi, dove egli entra nel 1841, passa alle Indie, poi, diventato vescovo di Pruse e vicario apostolico di Coi'mbatour, egli compie per dodici anni un grande lavoro di «dissodatore». Ma alcune difficoltà che non ha potuto superare, lo obbligano a rientrare e a presentare le sue dimissioni alla Santa Sede. A 42 anni, sempre pieno di forza e di idee, non chiede che di partire in un’altra direzione: «Non c’è qualche posto nel mondo dove i missionari non siano ancora arrivati?». E perché non il centro dell’Africa? 4 E soltanto nel gennaio del 1856 che nasce il progetto più vasto della fondazione di una nuova società. Si può ammettere con certezza che Mons. Barnabò stesso gli abbia dato un tale suggerimento. Da quel momento, le cose vanno avanti speditamente... e si comprende con quale gioia, nel maggio dello stesso anno, Mons. Brésillac accoglierà la prima candidatura di Augustin Planque. Per entrambi questa è vissuta come una chia mata di Dio. Di fronte al Vescovo dalla personalità molto forte, spirito d’a zione e dotato di una straordinaria vitalità, Augustin appare, al contrario, riservato, sobrio nelle parole e nei gesti. Inventivo ed efficace in tutto ciò che intraprende, il giovane professore man tiene, tuttavia, in tutta la sua persona un che di serio e di grave, che lo trattiene dall’esternare i suoi sentimenti. Nulla in comune sembra esserci, a prima vista, tra Marion-Brésillac, figlio di un’ari 3 Si allude alle difficoltà che il Vescovo ha incontrato da parte della sua famiglia per aderire alla Società delle Missioni Estere di Parigi. 4 Lettera Brésillac a Mons. Barnabò, 26.5.55, op. cit. in n. 2, p. 125.
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stocrazia «di razza», che ha molta spigliatezza ed una grande facilità a stabilire contatti, abituato ad ogni genere di relazione, alle discussioni come agli scontri, ed il P. Planque, che è un uomo di campagna. Semplice e modesto, Augustin appartiene alla vecchia classe contadina francese, ricca, come si è visto, delle sue tradizioni e della sua fede e da cui egli ha ereditato un altro tipo di nobiltà profonda, quella del rispetto dei valori, che danno all’uomo la sua grandezza e la sua dignità. Così, al di là di ciò che sembrerebbe separarli, si possono cogliere già quei tratti che uniranno, in maniera profonda, i due uomini. Della loro origine essi conservano la correttezza e la gene rosità del cuore, che sono alla base di un impegno autentico. Senza dubbio in circostanze diverse, ma con identico ardore, essi hanno dato prova della loro volontà, della loro tenacia, che potrebbe essere scambiata per ostinazione, se non fosse volta a servire un interesse superiore. E vero che Mons. de Brésillac è più anziano di Augustin: una differenza di tredici anni conta molto. Ma contano ancora di più, ad approfondire lo scarto tra i due, gli anni che il primo ha tra scorso presso le Missioni Estere di Parigi e nelle Indie. Il Vescovo, infatti, conosce bene la Missione. E l’esperienza che ne ha fatto anche se è rientrato in Francia in seguito ad un insuccesso - ha mantenuta intatta in lui la risoluzione di lavorarvi ancora, e l’ha persino fortificato in questa sua convinzione. Anche in Augustin è maturato lo stesso desiderio, la stessa convinzione. Gli ostacoli che ha superato per arrivare fino a Lione, lo testimoniano a sufficienza. Ma in fatto di esperienza, egli parte veramente da zero. Il suo sogno e la sua decisione sono stati nutriti soltanto dalle sue letture e soprattutto dai racconti degli altri, dal loro vissuto e dal loro entusiasmo. Perciò non è difficile per lui vedere in Brésillac il suo fratello maggiore ed anche il suo maestro, risoluto com’è a trarre profitto dalle sue lezioni, a collaborare con lui, come un buon «secondo», un ausiliario, eventualmente un sostituto. Eccoli dunque tutti e due, in quell’autunno 1856, giunti da ambienti molto diversi e da orizzonti lontani. Per un complesso di eventi, dove Dio si manifesta sempre, le loro strade si sono incro 54
ciate. E questo destino comune, che li porterà al servizio del Vangelo in Africa, li unisce l’uno all’altro, al di là di ciò che essi possono prevedere. Questo spiega in gran parte la fiducia e la stima che sono nate tra i due sin dal primo giorno. In due anni e mezzo - il loro impegno comune non è andato al di là di trenta m esi5 - vivranno in stretta collaborazione, nell’amicizia e nella più grande trasparenza reciproca, garanti l’uno verso l’altro di ciò che hanno deciso di costruire insieme: una Società per l’Africa. Nella Chiesa del XIX secolo, Brésillac e Planque non sono solo una felice coincidenza, sono un nuovo segno del Regno di Dio sempre in crescita, un incontro di grazia che porta in sé una promessa di efficacia.
2. Le M issioni Africane
Sembra che l’arrivo di P. Planque abbia portato un nuovo impulso al progetto della fondazione. La miglior prova è che l’8 dicembre di quell’anno 1856, con un gesto che evidenzia la loro fede nelFavvenire, Brésillac e la sua piccola compagnia salgono già a Fourvière. Essi vogliono «offrire la loro impresa alla Vergine, ai piedi della sua immagine venerata sulla collina» 6. Questa sarà la data di nascita della Società. Oramai le Missioni Africane si sono messe in moto. Il Vescovo e P. Planque non impiegano molto ad organizzarsi e a dividersi i compiti. Ovviamente, visto il suo temperamento impetuoso che non esita a tornare spesso alla carica per farsi aprire le porte e ottenere i mezzi che gli mancano, Brésillac prende in mano quelli che si potrebbero chiamare gli «affari esterni». Egli continua a percorrere la Francia, sollecitando diocesi, parenti o benefattori, cercando di creare una corrente favorevole alle missioni, di cui egli vuole far capire a tutti l’importanza e la posta in gioco. Soprattutto, gli tocca di «assediare» Roma - la parola non è 5 In realtà hanno collaborato per trentun mesi... 6 Lettera Brésillac al Card. Barnabò, 13.12.1856, op. cit.y in n. 2, p. 182. Cfr. la nota presentata da J. Bonfìls, stessa pagina.
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troppo forte - perché gli venga affidato un territorio, che darebbe al gruppo in preparazione a Saint Irénée la coscienza di esistere a pieno diritto nella Chiesa, stimolandolo all’azione. Mentre Brésillac moltiplica gli incontri con gli esponenti del mondo religioso e politico, e persino con Napoleone III, dal quale sollecita —ma invano - un appoggio finanziario per la sua missione, P. Planque, dal canto suo, comincia a prendere nella Società il suo posto e le sue nuove responsabilità. Divenuto direttore del semi nario, è incaricato di organizzarne l’orientamento, gli studi, e di prendere contatti con gli aspiranti. Per le questioni materiali, come per i progetti riguardanti l’Africa, gli tocca spesso di sostituire il Vescovo, assente da Lione per lunghe settimane durante i suoi viaggi. Come abbiamo già detto, tra i due vi è trasparenza: si tengono continuamente al corrente di tutto ciò che trovano sul loro cam mino - ritardi, delusioni o progressi - e si accordano prima di agire. «Io vi ringrazio - scrive il Fondatore - di tutti i dettagli che mi date e vi prego di agire sempre così. Non abbiate timore di essere prolisso» 7. Lui stesso ci tiene a condividere con P. Planque, non soltanto «le consolazioni e le croci», come gli ha promesso durante l’estate, ma anche « i lavori» e, più in particolare, ciò che gli sta particolarmente a cuore, i suoi punti di vista sull’organizza zione della Società. Benedice il Cielo «per avergli mandato nella persona di Augustin, colui che possiede molto profondamente lo spirito dell’Opera», « l’uomo provvidenziale, molto istruito, pio come un angelo, abituato a guidare i giovani...». «Senza di voi scriverà un giorno - io starei ancora a domandarmi se il Signore vuole il successo della mia iniziativa» 8. Informando la «Propaganda Fide» sullo sviluppo dell’istituzione, il Vescovo si era già felicitato delle qualità del suo collabora tore. «Non mi è stato difficile far funzionare la Casa, perché P. Planque, che io impiego come direttore, è un ex direttore di seminario, che l’anno scorso teneva il corso di filosofia al seminario 7 L. Brésillac a PI., 28.12.1856, op. cit., p. 185. 8 L. Brésillac a PI., 17.1.1857, op. cit., p. 192.
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di A rras»9. Senza dubbio, il Fondatore conosce anche i punti deboli di questo prete peraltro esemplare, e per questo egli osa «parlargli francamente, da amico». Sa che P. Planque si mostra facilmente rigido con gli studenti, esigente per tutto ciò che riguar da la disciplina. Egli lo richiama alla dolcezza e alla pazienza verso «coloro che hanno la buona volontà di concorrere con noi al bene delle Missioni». E importante «dare prova di una grande condi scendenza per i difetti, senza lasciarsi condizionare dalla lentezza dei progressi» 10. E se davanti all’ampiezza e al peso delle respon sabilità, P. Planque manifesta stanchezza e voglia di arrendersi? Il Vescovo lo rincuora: «E soltanto la tentazione di scoraggiamento, che temo in voi - scrive — io credo di potervelo dire con la confidenza che vi porto». Ed aggiunge: «Ma io sono sicuro che voi troverete nella vostra conoscenza del cuore umano e nella vostra profonda pietà, più forza di quanta ne occorra per trionfare...» u . Circa una trentina d’anni più tardi, ricordando i primi anni della Società, Augustin Planque poteva dire in tutta verità: «Nei periodi che Mons. Brésillac trascorreva a Lione, noi vivevamo nella più grande intimità. Mi parlava spesso dello spirito che egli voleva dare alla piccola Società» 12. E importante ricordare che sin dall’i nizio della loro collaborazione, la loro unità di vedute e d’azione è stata completa. E questa continuità dall’uno all’altro è stata, senza dubbio, uno degli elementi essenziali nella storia delle Missioni Africane. Attraverso tutte le crisi, è stata questa continuità a con servare l’originario orientamento dato dal Fondatore. Essa per mette di riconoscere in Augustin Planque un fedele continuatore. Coloro che, in seguito, solleveranno su questo punto delle contestazioni, non hanno dato, forse, sufficiente importanza ai testi e all’esperienza dei primi anni. 3. Freetown
Un cammino di pazienza, un cattivo orientamento, poi, l’insuc cesso e la morte, queste poche parole potrebbero riassumere l’e 9 L. Brésillac al Card. Barnabò, 13.12.1856, op. cit., in n. 2, p. 183. 10 L. Brésillac a PI., 29.6.1857 e 13.7.57, op. cit. 11 L. Brésillac a PI., 12.6.1857, op. cit. 12 Rapporto a Propaganda Fide, 1885.
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popea africana di Marion-Brésillac, terminata tragicamente nell’e state del 1859. Quando, tre anni prima, aveva offerto la sua candidatura per una missione in Africa, a Lione si sognava già il Dahomey. Ma le autorità di Roma decideranno diversamente. Bisognerà attendere ancora quasi un anno per conoscere il cambiamento e l’assegna zione ufficiale, che fa di Brésillac il Vicario apostolico della Sierra Leone. E sicuramente un colpo duro per tutto il gruppo, come una sorta di cattivo presagio per la continuazione della sua impresa. Ma - così il Vescovo rassicura Roma - «lui stesso e i suoi compagni sono entrati nello spirito che animerà sempre la loro Società, adottando in maniera pura e semplice i punti di vista della Propa ganda Fide», ed «essi hanno abbandonato istantaneamente il loro desiderio del Dahomey» 13. Senza dubbio questa coraggiosa riso luzione, vissuta in un’esemplare obbedienza, manca di quell’entu siasmo e gioia che avrebbero portato i futuri missionari verso il Dahomey. Tuttavia, al seminario, hanno già superato la delusione. I Padri si gettano a capofitto nei preparativi, perché, una volta finita la stagione delle piogge sulla Costa africana, tutto sia pronto in vista della partenza. Si arriva all’ottobre 1858. Il 27, il Vescovo accompagna i primi tre in partenza fino a Marsiglia e persino fino in alto mare, tanta è la pena nel vederli allontanarsi senza di lu i14. Da Freetown, dove arrivano due mesi più tardi, i viaggiatori esprimono inizialmente una grande speranza. P. Reymond si dice contento, addirittura conquistato dal paese e senza eccessivo ti more per il clima. Da quel momento, il Vescovo non sta più nella pelle... e chi potrebbe trattenerlo? Senza dubbio la partenza dei suoi figli ha fatto scattare una molla. Si e risvegliato in lui un ardente desiderio di riprendere la vita di prima, di ridiventare al più presto colui che non ha mai cessato di essere, malgrado la rottura con le Indie: un missionario d’avanguardia, sul campo, che si tiene sempre in prima fila. Da quel momento, egli decide di recarsi in Sierra Leone senza più indugiare e di esplorare il paese. 13 L. Brésillac al Card. Barnabò, 25.9.1857, op. cit. 14 «I miei figli sono partiti ed io resto» - parole del Vescovo ascoltate da un testimone della scena, riportate da Le Gallen, Vie d e B résillac, p. 540.
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Alla «Propaganda», il cardinale Barnabò non nasconde, da vanti a questa sua decisione, le proprie perplessità ed anche un certo disaccordo. Egli preferirebbe che fosse il P. Planque a par tire per primo; e questi, molto preoccupato di vedere allontanarsi il responsabile della Società, insiste per sostituirlo, ma invano 15. Brésillac ammette che «restare a Lione sarebbe molto utile» per lui e per i suoi Confratelli, ma «più utile ancora è il viaggio a Freetown» 16, per vedere le cose con i suoi occhi e cercare di organizzare bene la nuova missione. Così, giunto a Roma per esporre i suoi progetti, si affretta ad andarsene per paura che «il cardinale Barnabò non finisca con l’impedirgli di partire per l’A frica» 17. In verità, egli è tutt’altro che libero da preoccupazioni. L’insa lubrità della Sierra Leone gli è ben nota. Sa che gli Europei non vivono più di tre anni nella capitale. Bisognerà, dunque, cercare un altro luogo dove stabilire i Padri con meno pericolo. Non na sconde, perciò, a suo fratello Henri o al Consiglio della Propa ganda Fide, cui richiede nuovi sussidi, nonché a diversi amici, le angosciose domande che si sta ponendo. Egli si dice «contrariato, addirittura spaventato» per ciò che l’attende, al punto di meravi gliarsi ancora della scelta della Santa Sede: perché non si è per messo alla Società di cominciare con il Dahomey 18? Dunque, un colpo di testa? No. Questa partenza ha piuttosto l’aspetto di una fuga in avanti, se crediamo allo stesso MarionBrésillac, che dichiara: « l’obbedienza prima di tutto» 19. Egli ha pensato a tutto, anche al peggio, ma parte ugualmente. Almeno lasciando la Francia, può convincersi che nonostante tutto, l’opera comincia a marciare bene. Qualche vocazione arriva, il capitale finanziario è cresciuto e già prende corpo il progetto della costru zione di un seminario più grande rispetto alla casa del piccolo Sainte Foy. Con Papetard in Spagna e, soprattutto con « l’eccel 15 Rapporto di Planque a Propaganda Fide, 1885: «G li dicevo che la sua opera sarebbe morta, se lui fosse morto». 16 L. Brésillac al Card. Barnabò, 25.9.1857. 17 Rapporto PI. 1885, citato in n. 12 e 15. 18 L. Brésillac a suo fratello Henri, sett. 1857, e alla Propaganda Fide, 19. 4. 1858, Le Gallen, op. cit., p. 531 e p. 534. 19 L. Brésillac alla Propaganda Fide, stessa lettera.
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lente Planque a Lione», ogni cosa sembra essere a posto. Da questo punto di vista è tranquillo. Se in questa circostanza ci fu imprudenza, bisogna ammettere che essa andava ricercata più in alto, ossia a Roma, che aveva assegnato il territorio e, soprattutto, in colui che ne aveva consigliato la scelta al Cardinale Barnabò 20. Ansioso di finire, Brésillac ottiene dal governo francese un passaggio gratuito per sé, per P. Riocreux e per Fratei Gratien, sulla Danae che deve salpare a metà febbraio, nonché delle racco mandazioni presso gli ufficiali della Marina imperiale e gli agenti consolari. Ma è un altro segno funesto? Partiti da Brest, i viaggia tori devono affrontare uragani e tempeste, ritrovandosi sulla costa inglese, poi a Cherbourg, prima di arrivare a Dakar soltanto il 7 aprile. Un mese più tardi, il 14 maggio, sbarcano a Freetown. Le ultime lettere del Vescovo, indirizzate ad Augustin, testimo niano quanto sia grande la sua emozione nel toccare «questa terra, desolata sotto tutti i punti di vista», dove egli sbarca senza ascol tare il comandante del vascello, che vorrebbe trattenere i passeg geri a bordo, perché un’epidemia di febbre gialla imperversa con rara violenza in tutto il paese. Stanco, sembra essere rimasto senza forze, «schiacciato - dice - perché intravede una quantità enorme di ostacoli». Qualche giorno più tardi, informa già Barnabò: «Non nascondiamolo, le difficoltà saranno enorm i»21. E il quadro che abbozza sulla situazione è cupo. Ma per vincere la tristezza inte riore in cui è caduto, «questa tristezza indefinibile» di cui fa partecipe P. Planque, Brésillac fa ricorso alla sua fede, alla sua indefettibile fiducia nell’aiuto del Signore: «Con la grazia di Dio, supererò tutto questo» 22. Egli non sa ancora a quale profondità la sua pena ed il suo sconforto dovranno giungere nelle cinque settimane che gli re stano da vivere. Difficilmente si può comprendere quanto abbia sofferto, tormentato dalla febbre, dal gran dolore nel vedere la sua missione che rischiava di andare in pezzi e con lo spettacolo dei 20 L. di Mons. Kobès al Card. Barnabò, 25.4.1856: «L a missione che mi sembra più degna d’interesse, più facile da cominciare, è la Sierra Leone...», riportato da J. Bonfils, op. cit., DMF, nota 2, pp. 207-208. 21 L. Brésillac al Card. Barnabò 25.5.1859 (archivi di Propaganda Fide). 22 L. Brésillac a Planque, 19.5.1859, cfr. Le Gallen, op. cit., p. 576.
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suoi compagni che lo lasciavano uno alla volta. La coscienza pro fonda delle sue responsabilità di capo è per lui un tormento, perché non riesce a strappare alla morte il piccolo gruppo di amici e di apostoli che si sono affidati a lui. E c’è anche la freddezza di Roma nei suoi confronti che lo fa soffrire; tanto angosciante ed incomprensibile, che egli se ne lamenta con il Cardinale Prefetto. Ma la testimonianza di simpatia, di cui avrebbe tanto bisogno nella sua crudele solitudine, non gli arriverà. L’atteggiamento di Roma ed il suo silenzio inspiegabile, come un immeritato rimprovero, sono forse uno degli aspetti più sconvolgenti di questa triste agonia. Queste sofferenze del cuore e dello spirito, ancora più dure della perdita dei tre compagni e dei primi attacchi del male, hanno avuto per confidente, rispettoso ma impotente, il tenente di vascello Vallon, il cui bastimento ha dovuto fare scalo in Sierra Leone a causa della tempesta. Egli avrebbe voluto portare i malati a Gorée, ma era troppo tardi. Fu lui che raccontò in seguito a P. Planque, con parole piene di emozione, gli ultimi colloqui che aveva avuto con il Vescovo 23. Così, nella miseria più totale, colpito «da un dolore senza misura, ma sempre adorando e benedicendo il nome di Dio», Mons. Brésillac terminò la sua vita di lotte, mantenendo fino in fondo «la speranza e la fe d e »24. Una morte durissima, come quella del chicco di grano, di cui non rimane nulla quando dà il cento per uno. In meno di quattro settimane, cinque tombe... umanamente parlando, è un terribile fiasco... La Società potrà risollevarsi da questo colpo senza pietà?
23 L. del sig. Vallon, luogotenente di vascello sull’awiso-scorta «Dialmath» a P. Planque, 14.11.1859, cfr. Le Gallen, op. cit., p. 593 e segg. 24 Sono le ultime parole del Vescovo, riportate dal sig. Brémond, l’unico testimone oculare della sua morte, cfr. Le Gallen, op. cit., p. 596 e segg.
CAPITOLO QUINTO
«CI SARESTE ANCHE VOI»
1. Il successore
Nello stesso tempo, al seminario di Lione, si sono vissute settimane piene di incertezza e di angoscia. Bisogna temere il peggio dopo la morte dei due Padri Riocreux e Bresson e di Fratei Gratien, il cui annuncio ha duramente colpito tutti? O si può ancora sperare, poiché Mons. Brésillac ha dichiarato: «rico mincio a prendere vita» e dato che egli conta - non potendo credere alla rovina della sua Missione - «di andare da solo, il mese seguente, a fare un viaggio nel Dahomey, dove sarebbe una buona cosa fondare un centro»? 1 Nella sua inquietudine, Augustin Planque non sa che pensare ed informa il cardinale Barnabò esprimendo le sue paure e la sua speranza: «S e Dio dovesse prenderci Mons. Brésillac, toglie rebbe nello stesso tempo la testa della Società e quella della Missione... Ma l’Opera crescerà, malgrado le prove e persino at traverso queste...»2. E T ll agosto, un «incredibile dolore» prostra il seminario quando giungono le prime lettere 3, riportando la morte dei due sopravvissuti, il Vescovo e P. Reymond. Una triste fine che ha avuto per testimoni soltanto rari amici di passaggio, toccati dalla loro grande angoscia in una terra ostile ed ancora straniera... Così, «è piaciuto a Dio mettere a dura prova la nostra Società e 1 L. Brésillac a PI., 18.6.1859 (sua ultima lettera). 2 L. PI. al Card. Barnabò, 14.7.1859. 3 La morte di Mons. Brésillac fu annunciata a P. Planque da Mons. Kobès, 6.8.1859. Questi trasmise la lettera di Seignac de Lesseps, agente consolare in Sierra Leone, datata 20.7.1859. Altre fonti: le lettere di Vallon e di Brémond, cfr. cap. 4, note 23 e 24.
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la nostra missione appena nate». Ma è noto «che nessuno si è rammaricato d’aver lasciato la Francia per morire appena giunti al campo di lavoro» 4. Nella pena e nel dolore che lo prostrano, malgrado la pre senza degli Aspiranti che lo circondano e «rimangono più fermi che mai nella loro risoluzione», P. Planque deve sentirsi partico larmente solo e senza risorse, anche se ha «la dolce fiducia che il Padre e i fratelli più grandi... proteggeranno l’Opera che essi hanno fondata al prezzo di una tale dedizione...»5. Ormai tocca a lui decidere per l’avvenire della Società. Non sembra che abbia esitato a lungo e questo non ci meraviglia più di tanto, sapendo quali risorse d’energia egli portasse in sé. Mons. Brésillac non aveva mai dubitato della forza del suo amico, anche quando lo metteva in guardia contro lo scoraggia mento. Augustin, infatti, è uno di quegli uomini che, con un scossone energico, risalgono in superficie, dopo aver toccato il fondo. Ma il vero motivo che lo spinge ad impegnarsi, è ancora più personale: la Società vivrà perché Brésillac gliel’ha affidata. Du rante i terribili giorni che ha trascorso, deve aver ritrovato spesso nella sua memoria le parole che il Fondatore gli aveva rivolto il 1° gennaio precedente: «Se il mare e i suoi scogli volessero che quest’anno fosse l’ultimo, ci sareste voi ad impedire il naufragio dell’O pera...»6. Augustin si sente legato da queste parole più che da una solenne promessa. Non si interroga sulla strada da se guire, poiché questa è davanti a lui. Ed egli risponde secondo il suo carattere. Senza ostentazione, né inutili commenti, egli è là, pronto a mettersi al lavoro e a proseguire. Se non si tengono presenti le parole di Brésillac, non si capirà nulla di quella che fu la pesante trama della vita di P. Planque.
4 L. PI. alla Propaganda Fide, 29.8.1859 - e al Card. Barnabò, 26.8.1859. 5 L. PI. alla Propaganda Fide, citata in n. 4. 6 D ocum ents m ission et fondation, op. cit., p. 244. Cfr. il Rapporto del 1885, citato in n. 12: «La mia opera vivrà finché ci sarà una volontà a mantenerla e voi sarete questa volontà», aveva detto Brésillac a Planque prima della sua partenza.
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Nulla della volontà tenace con la quale egli vuole radicare la Società in Africa, né del suo coraggio nel superare le opposizioni e le calunnie, che certo non lo risparmieranno. E poco importa se esse falseranno il vero volto della sua lealtà, del suo disinte resse e se lo faranno soffrire. Egli saprà ribattere a tutti gli at tacchi, a volte con molto vigore, ma senza mai fermarsi7. E stato nell’estate 1859 che egli si è giocata tutta la sua vita su ciò che rassomigliava molto ad un contratto di fedeltà tra Brésillac e lui, sull’alleanza che insieme avevano stretto con la Mis sione - e ancora più in alto, con lo Spirito che li aveva mandati dove bisognava seminare. « C ’è il dito di Dio», ripeterà spesso. In quei giorni di dolore e di separazione, Dio è presente, non c’è dubbio, e la seconda chiamata che Augustin riceve da Lui è an cora più esigente della prima vocazione. Per quasi mezzo secolo, sarà suo onore - e spesso suo duro tormento - servire la Società che egli ama al punto di donarvisi corpo ed anima, e di meritare giustamente il titolo di co-fondatore. Nella dura realtà delle re sponsabilità quotidiane che l’attendono, e molto spesso pura mente materiali - si pensi soltanto alle strade di Lione, agli inter minabili scalini che saranno teatro delle sue questue - quell’ap pellativo ha ben poco a che fare con un titolo onorifico. Ancor meno si potrebbe dire che è usurpato!... Il Papa Pio XI non si era sbagliato quando, in occasione del centenario della nascita di Augustin Planque, scriveva ai Padri delle Missioni Africane: «Visti i suoi straordinari meriti, è ben giusto che voi lo conside riate il secondo Fondatore della vostra Società» 8. D’altra parte, nessuno in quel momento gli contesta l’eredità. Piuttosto gli si consiglierebbe di rinunciarvi. Il Cardinale de Bonald, arcivescovo di Lione, è tra coloro che, aH’inizio, lo mettono in guardia contro la continuazione, giudicata temeraria, di un’o pera ridotta a niente. Ma quando giunge l’approvazione da 7 Si veda la V parte, cap. 16: il carattere di P. Planque. Cfr. anche: Un grand Africani, di Cristiani, p. 71. s Lettera di Papa Pio XI a P. Chabert, Superiore generale delle Missioni Africane. Si veda anche la IV parte, cap. IV: la lettera del Card. Gotti, Prefetto di Propaganda Fide, a Mons. Pellet, in occasione della morte di P. Planque, dove costui era ugualmente riconosciuto come co-fondatore.
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Roma, egli non esita più: «Andate avanti senza paura - scriverà a P. Planque - voi siete ormai sulla strada di Dio» 9. Agli occhi di tutti, Augustin Planque è dunque diventato il successore, il “primo”. Ma è anche vero che il posto di vice sem brava proprio fatto per lui, lui stesso lo sa, e conosce bene i suoi limiti. Ma prendendo la guida della Società, esprime subito vere qualità di capo: un giudizio retto e sicuro, una capacità di analiz zare e di prevedere le situazioni per tracciare il cammino futuro, ed una capacità di servizio di cui ha già dato prova. Soprattutto, egli porta la sua fede, profondamente radicata e che lo mantiene umile e semplice, al riparo da ogni colpo di testa. Certamente, il bilancio è molto negativo. Dopo la scomparsa di quelli che erano meglio preparati ad allacciare i primi contatti con l’Africa, chi rimane al seminario di Lione? A settembre, il Padre menzionerà la presenza di due preti e di due studenti di teologia, mentre cinque giovani si preparano e sono attesi nuovi arrivi all’inizio dei corsi in ottobre. Sono veramente troppo pochi per assicurare un ricambio. Tuttavia, sarà proprio su questi pochi aspiranti che la Società riprenderà ben presto forza e sicurezza. Lo si è già visto, il disastro di Freetown non li ha sconvolti e «il loro coraggio si è mostrato all’altezza della calamità» 10. Essi di venteranno i primi fondatori del Dahomey. Altre questioni urgenti si impongono al nuovo Responsabile. Se, a rigor di logica, non si può lasciare la Società nella Sierra Leone, così micidiale, in quale luogo i missionari dovrebbero an dare a piantare le loro tende? E, anche se è possibile sperare che Propaganda Fide, lasciandosi commuovere per l’entità del disa stro, acconsenta a stanziare maggiori sussidi, rimane il fatto che l’assenza di risorse sufficienti e sicure rischia di creare grossi pro blemi, non escluso quello del pane quotidiano e della sopravvi venza... 9 Rapporto del 1885. - Il Card, de Bonald era piuttosto diffidente al momento della fondazione della Società: «La mia opera non sembra piacergli, non potremo contare sulla sua protezione», aveva detto Brésillac. Un po’ più tardi, tuttavia, potè constatare che «l’Arcivescovo cominciava ad essere interessato!», cfr. Journal 1856-59, pp. 37 e 42. 10 Rapporto PI. al Card. Barnabò, 26.8.1859.
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A. Planque sa tutto questo senza bisogno di approfondire ulteriormente l’inventario della Società. Ma la sua decisione è presa e, mentre conferma al Card. Barnabò «la misura del do lore», che ha colpito tutti, presenta già i suoi progetti per dare un seguito all’opera di Brésillac. «In questa triste circostanza, non vedo nulla di meglio da fare che venire a Roma per chiedere consiglio a Sua Eminenza riguardo l’evangelizzazione della Sierra Leone» 11. È il futuro Superiore che parla e lascia intravedere, con un ottimismo coinvolgente, una partenza prossima per l’A frica. Si sente che vuol far presto, senza ignorare, tuttavia, tutto ciò che frena la sua volontà di agire. Parla con lo stesso tono e la stessa sicurezza anche con Propaganda Fide: questa deve sapere che « l’Opera non sarà interrotta e che nuovi missionari parti ranno ben presto per raccogliere l’eredità...»12. Con Mons. Kobès, il cui messaggio di simpatia lascia trasparire qualche dubbio sull’avvenire, P. Planque è ancora più chiaro: «Mons. Brésillac ha predisposto le cose per non essere indispensabile; scrive - la nostra piccola Società è costituita in maniera tale che la sua esistenza non gli fosse totalmente subordinata, ma si po tesse sostenere anche senza di lui» 13. Nulla ormai sembra im possibile alla sua volontà di andare avanti. Nel momento in cui Augustin «prende il largo», è giusto dare ancora uno sguardo alle conseguenze già prevedibili, che com porterà per lui l’awenuto cambiamento. Per la seconda volta, sta per tuffarsi nell’avventura. La prima, come ricorderete, è stato alla partenza da Arras quando, già ben sistemato in un ministero che poteva soddisfarlo, aveva scelto di seguire Brésillac, i cui progetti, invece, non avevano ancora un avvenire certo. Questa volta, l’avventura rischia di durare molto poco: c’è da domandarsi, infatti, se è ancora ragionevole parla re di futuro. All’incertezza che viene ad oscurare il destino 11 L. Pi. al Card. Barnabò, 26.8.1859. 12 L. PI. alla Propaganda Fide, 29.8.1859. 13 L. PI. a Mons. Kobès, 17.9.1859. - Mons. Kobès aveva scritto: «Ho informato «Propaganda Fide», questa si accorderà con Voi sul mantenimento dell’opera», 6.8.1859, Le Gallen, op. cit., p. 590. P. Planque fa capire nella sua risposta di avere preso la situazione nelle sue mani.
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personale, si aggiunge il timore di trascinare con sé in un vicolo cieco i preti e gli studenti che aspettano senza sapere nulla del domani. Il nuovo Superiore, all’inizio, non si preoccupa molto di se stesso. Tuttavia, era stato già deciso che dopo un po’ di tempo a Lione 14, anche lui avrebbe raggiunto l’Africa. Si rende conto in questo momento, invece, che vi sta rinunciando e sta 'rinchiuden dosi in una sorta di circolo vizioso da cui non uscirà mai, tanto più che Roma, approfittando forse con troppa facilità della sua obbedienza e della sua grande disponibilità, non lo aiuta affatto a trovare la soluzione. Poiché partire significava abbandonare il se minario... e per quanto tempo ancora la Casa avrà bisogno d’una presenza costante, di una direzione ferma e continua? Ma rima nere, significa condannarsi ai posti “in seconda fila”, privarsi del l’esperienza vissuta gomito a gomito con i Confratelli in piena attività. Sarebbe come rimanere una figura marginale, tagliato fuori dalla realtà viva dell’Africa. Come dirigere la Missione da lontano, senza sapere che cosa succede, se non per sentito dire, aspettando lettere e rapporti per essere informato, raccogliendo qua e là qualche notizia sulla vita quotidiana dei suoi? Pur intravedendo - e non poteva non farlo - le frustrazioni che dovrà subire, accetta subito tutto quanto - senza far gravare troppo la cosa - come prezzo necessario per affrontare «il doppio compito che gli si impone: continuare una Società che è stata consacrata da un grande sacrificio e cercare di prevedere le ripercussioni di un simile disastro» 15. Allora lui che, in verità, non ha nulla di un mistico, si risolle verà dopo i giorni della prova, come rinvigorito nella fede, ma soprattutto segnato dal mistero della Passione di Cristo. La strada della Croce gli è familiare, dopo che a Lilla e in seminario, ha preso l’abitudine di meditarla. Ma essa diventa ormai, e an cora di più, la «sua» strada, come un lungo percorso di sof 14 Lettera di BrésiUac a Planque, fine maggio 1856: «Verrete a raggiungermi», gli diceva. Cfr. il Registro della Risoluzione solenne, tomo I: alla data del 24.7.1858, P. Planque, nominato Superiore della Casa di Lione, vi scrisse, in seguito alla sua decisione «... senza perdere la speranza di andare in missione anch'io»... 15 L. PI. al Card. Barnabò, 27.9.1859.
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ferenza, poiché Dio, pensa, vuole imprimere su tutta la sua vita il sigillo del sacrificio. La volontà del Padre non può essere che una crocifissione per lui, come lo era stata per il Figlio, e l’opera che si accinge a guidare sarà inevitabilmente marcata dal segno della Passione e dal sangue del Signore. Tale è la sua intima convin zione: «Amiamo Gesù nella sofferenza. Egli non riconosce nessun amore che non sia segnato dal sangue, come il suo...» 16. Bisogna sottolineare che questo tipo di spiritualità è con forme al pensiero dei cristiani della sua epoca - è quella, fra l’altro, di un Jean-Marie Vianney, o di tanti fondatori di istituti. Sicuramente si trovano in questa spiritualità i resti di un gianse nismo rigoroso, secondo cui la giustizia di Dio esige il sacrificio... e non lascia molto spazio alla sua tenerezza di Padre... Le strade che conducono al Calvario non sboccano sempre sulla luminosa scoperta della Resurrezione. Niente di così esagerato, comunque, in P. Planque. Le prove non hanno mai alterato, anzi al contrario hanno aumentato, la sua fiducia nel Signore. Dio è per lui un Padre infinitamente -vicino e buono. In tutti i momenti della sua vita, si sentirà so stenuto dalla speranza «che ha sempre la meglio sulle ore di tristezza» —e fortemente rassicurato nella sua fede. Poiché è la fede, la vera leva della sua vita... al punto che, se si dovesse definire Augustin Planque con una parola, sarebbe questa l’e spressione da scegliere. Occorre constatare che egli ha conosciuto - più di altri, forse - una vita particolarmente difficile. Ed era non senza verità che, parlando della Società ma anche di se stesso, poteva scrivere: «Se la prova è il sigillo delle opere di Dio, noi siamo veramente segnati da questo sigillo sin da quando esistiamo» 17. Non gli sono mancati né i problemi di salute che lo hanno colpito sin dalla giovinezza, né soprattutto la morte che porta via parenti, amici e ancora di più i Padri e le Suore delle due Società: tanti colpi durissimi per l’amicizia sincera che egli aveva per ciascuno e 16 Extraits d es serm ons, AMA. 17 L. PI. a Verdelet, 20.3.1867.
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per la Missione di cui essi erano la speranza. Egli ha conosciuto le difficoltà intime, quelle del carattere - il suo - e delle incom prensioni, delle rivalità o delle gelosie. Senza contare le tante opposizioni in seno alla Società stessa e da parte di coloro superiori di Istituti, vescovi o responsabili - dai quali, invece, avrebbe potuto aspettarsi collaborazione e sostegno. Da tutte queste avversità, egli non ne esce inasprito o disilluso, perché ha un cuore nobile e senza rancore, ma spesso ferito, questo sì, ed anche un po’ fortificato. Nonostante ciò, Augustin è ben lontano dall’essere abitualmente mesto e taciturno, poiché non gli man cano né l’humour né l’ottimismo. E se non ha nulla di ciò che si potrebbe chiamare un uomo espansivo, sereno e disteso, egli de sidera che la gioia splenda intorno a lui, quella gioia che viene da una vita equilibrata, dal dovere compiuto e dalla riuscita dell’o pera, quella delle relazioni veramente fraterne. Forse avrebbe avuto bisogno di incontrare ancora più spesso sulla sua strada altri Armand Fava 18 che, conoscendolo bene e confidandosi con lui, consigliandolo o contraddicendolo all’occorrenza, l’avrebbero sostenuto di più, con il calore della comprensione e dell’amicizia.
2. Con la Chiesa
Per ciò che riguarda Roma e i diversi organismi responsabili, che ne sarà delle relazioni di Augustin Planque? Sulla scia del Vescovo scomparso, egli allaccerà a sua volta rapporti molto stretti con i centri romani. Per esprimere il suo attaccamento alla Chiesa, Brésillac aveva avuto delle parole commoventi e piene di ardore: «Santa Chiesa, madre mia! santa Chiesa cattolica, apostolica e romana, oh unica vera Chiesa di Gesù Cristo, siate fino alla fine della vita l’unica molla della mia ambizione sulla terra!» 19. Nulla si può costruire senza la Chiesa. Il Vescovo dovette convincersene ancora di più, 18 Fava è l’ex condiscepolo di Planque a Cambrai. Si veda la I parte, cap. 2 e III parte, cap. 10, n. 62. 19 Cfr. Ma p en sée sur les M issìons, di Mons. Brésillac, documento non datato, DMF, p. 79.
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attraverso le esperienze vissute successivamente a Coimbatour o a Roma dopo il 1854, quando avrebbe voluto andarsene al più presto e «assolutamente alla maniera degli antichi apostoli, presso nuovi popoli» 20. E dalla Chiesa che parte ogni Missione e queste poche parole che appartengono al documento sopra ci tato, redatto probabilmente al suo ritorno dalle Indie, ripren dono la stessa idea: «Il missionario è un inviato... inviato dal suo vescovo o dal Papa, per occuparsi del ministero apostolico»21, laddove delle nuove comunità cristiane non hanno ancora avuto il tempo di nascere. In termini certo meno entusiasti, ma comunque convinti e sinceri, Augustin ha sempre dato prova degli stessi sentimenti: «Egli amava la Chiesa, il Papa e tutta la gerarchia», riporterà più tardi nei suoi ricordi una delle prime Suore di Nostra Signora degli Apostoli. «E la Chiesa che ci invia come una milizia attiva... con lei e sotto l’ispirazione dello Spirito, bisogna combattere nel miglior modo possibile le battaglie del Signore»... Bisogna ammettere però che, per imparare a camminare su questa via e «perseverarvi malgrado tutti gli ostacoli»22, Augu stin Planque aveva avuto una buona scuola. Si ripensi al tempo della Rue Royale, dei seminari maggiore e minore. La forma zione cristiana, ricevuta da adolescente e giovane chierico, l’aveva condotto ad una sorta di venerazione per il Vicario di Cristo. Su questo punto preciso, riguardo cioè l’unione con Roma, l’influenza esercitata dal Cardinale Giraud, che segnò profonda mente Augustin, fu certamente determinante23. L’Arcivescovo di Cambrai, infatti, era un «oltremontano» dei più risoluti. In lui, nel corso degli avvenimenti, « l’attaccamento alla sede di Pietro si colorerà e si fortificherà di un’amicizia personale molto forte con Pio IX» 24. E quando il Papato dovrà soffrire in Italia durante la 20 21 22 23 24 p. 227.
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L. Brésillac a Mons. Barnabò, 26.5.1855. Cfr. DMF, p.126. Cfr. Ma p en sée sur les M issions, citato in n. 19. L. PI. a Padre Cloud, 19.12.1866. Per il Cardinale Giraud, si veda I parte, cap. 2. H istoire des D iocèses d e France, Cambrai et Lille, op. cit. nella I parte, cap. 2,
Rivoluzione del 1848, il Cardinale Giraud sarà anche fra i difen sori più risoluti di Pio IX, cacciato da Roma e rifugiato a Gaeta 25.
I veri «patroni» Agli occhi di Brésillac e del suo amico, che parlano della Chiesa con molto calore e molta fede, essa non ha nulla di un mito o di un concetto astratto, essa si presenta con dei volti divenuti familiari ad entrambi. Anch’essi, come il Cardinale Gi raud, sono stati affascinati da Pio IX, il Papa semplice e popo lare, al quale «una naturale allegria, una bontà accogliente, un sorriso ricco di finezza» comunicavano «il fascino attraente che emanava dalla sua persona». Queste qualità nelle relazioni gli avevano fatto conquistare la simpatia di gran parte del mondo cristiano. Esse spiegavano, almeno in parte, «la devozione per il Papa, che si sviluppò in maniera spettacolare in Francia negli anni 1870 e facilitò l’accettazione del principio dell’infallibilità, come anche del movimento di centralizzazione, che cominciò ad accentuarsi dopo il Vaticano I» 26. Gli incontri di Augustin Planque con Pio IX furono tuttavia molto rari. Si sa che - dopo la tragedia di Freetown - il Papa accolse con grande soddisfazione la «rimessa in moto» delle Mis sioni Africane. «Dio sia benedetto», aveva gridato. E affermava: «L ’Opera vivrà, sì, essa vivrà!». Questa benevola simpatia di Pio IX per la Società aveva contribuito a dare conforto al nuovo Superiore, che la ricordava con piacere, scrivendo ai suoi amici: «Il Papa stesso si è degnato di dire al Cardinale Barnabò di essere con tento della nostra perseveranza nel continuare l’impresa di Mons. Brésillac. Poi, nell’udienza che ha voluto concedermi, Egli mi ha ripetuto la stessa cosa, con gli incoraggiamenti più paterni ed ha
25 I moti rivoluzionari del 1848 in Italia costrinsero il Papa a fuggire a Gaeta. 26 Cfr. in H istoire d e l ’Église, Fliche e Martin, Le P ontificai d e P ie IX, di Hubert.
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benedetto in maniera del tutto particolare l’Opera, con i suoi benefattori ed i suoi amici» 27. In realtà, molto più che con Pio IX, sarà con Propaganda Fide28 —divenuta oggi la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli — che Mons. Brésillac e P. Planque dopo di lui, avranno dei rapporti continui. Augustin è già debitore al suo maestro e amico per averlo iniziato al governo delle missioni, un universo complesso, nel quale è appena entrato, passando per una porta che egli certamente non aveva scelto. Ma può soprat tutto rallegrarsi di aver preso, grazie a lui, un primo contatto con l’ingranaggio essenziale dell’attività missionaria. L’estate prima della sua partenza, - e affinché «penetrasse bene nello Spirito della Chiesa» - il nuovo Vicario apostolico della Sierra Leone aveva condotto con sé a Roma colui che aveva scelto come suo braccio destro29. Un vero inizio premonitore, questo primo viaggio di Padre Planque. Sarà anche una lezione ben appresa perché, diventato Superiore, egli riprenderà la strada di Roma innumerevoli volte, per tutta la durata del suo governo. Ai due poli, che già orientavano la sua azione, Lione e l’Africa, se ne aggiunge immediatamente un terzo, Propaganda Fide, che diven terà garante di tutte le sue decisioni. E a questa che, in maniera del tutto naturale, P. Planque si rivolge quando cerca di salvare la Società dal naufragio. Se egli, infatti, ha mostrato senza ambiguità la volontà di proseguire, ci tiene anche a testimoniare la sua obbedienza e quella di tutti i suoi, ascoltando «la voce della Santa Sede», che «egli ha sempre creduto essere la voce stessa di Dio» 30. Propaganda Fide - annoverata ancora oggi tra gli organismi 27 L. PI. ad un amico, 5.11.1859. 28 Propaganda Fide fu fondata nel 1622 per dare possibilità di iniziativa e di con trollo alla Sede apostolica su tutto ciò che concerne il campo delle missioni. Essa è diventata, nel 1967, la Congregazione per la Propaganda Fide e per l’Evangelizzazione dei Popoli, e nel 1988 la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. 29 L. Brésillac al Card. Barnabò, 20.1.1858: «Forse porterò con me Planque, perché entri nello Spirito della S. C. di Propaganda Fide», DMF, p. 212. 30 L. PI. a Bouche, 15.12.1867 - e a padre Vallier, 18.7.1862: «La nostra Società è sotto la direzione della Santa Sede, di cui la S.C.P.F. è l’organo». - Cfr. anche L. PI. al Card. Gotti, 6.8.1902.
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più importanti della Curia romana - era già famosa per la sua antichità, oltre che per la sua influenza. Ed il suo prestigio cre sceva ancora a causa del movimento che spingeva i cristiani ad interessarsi alle missioni. Essa era allora dominata da un perso naggio molto sorprendente, «dai modi piuttosto dispotici», il Cardinale Alessandro Barnabò, che aveva appena ricevuto nel 1856, la responsabilità di prefetto della Congregazione, dopo es sere stato consigliere e poi segretario. «Molto attaccato alla sua opera, amico fedele e avversario generoso, malgrado la sua ru dezza, le sue frecciate ed il parlare franco, persino con il Papa, questo appassionato di missioni ne dirigerà il cammino e l’espan sione per quarantatré anni, con rigore e autorità, ma anche con una perfetta competenza e senso dell’organizzazione»31. Sarà per questa sua funzione di Prefetto che Barnabò svol gerà un ruolo fondamentale nei confronti delle Missioni Africane. Poiché la sua carica rende impensabile una partenza per l’Africa, che avrebbe realizzato i suoi desideri, egli cerca di concretizzarli, se così si può dire, attraverso Brésillac e Planque. È lui che spinge per la fondazione dell’Opera, ed accetta infine, dopo lunghi scambi, l’opzione della Sierra Leone, credendo sincera mente che il Dahomey sia pieno di pericoli32, e fidandosi, su questo, del parere di Mons. Kobès. In seguito, incoraggia e pro tegge la giovane Società, segue i primi insediamenti, i tentativi di penetrazione verso l’interno, vuole essere tenuto al corrente di tutto. Ed è sempre lui che, con molta frequenza, dà degli ordini e prende delle decisioni. «Finché Barnabò è stato in vita, è stato il vero patrono dell’Opera, egli l’aveva a cuore e la so steneva...»33, potrà dire Augustin, dopo la morte del Prefetto. Ma come hanno potuto l’impeto di un Brésillac - la famosa 31 H istoire d e l ’Eglise, Fliche e Martin, op. cit., e l’articolo Le Card. Barnabò, di Hubert. Barnabò era stato nominato consultore a Propaganda Fide sin dal 1831. Avendo raggiunto il vertice, vi rimase fino al 1874. 32 II Card. Barnabò aveva preferito la Sierra Leone al Dahomey, fidandosi di Mons. Kobès, che egli aveva consultato. Cfr. la lettera di Barnabò a Kobès, 14.1.1856, DMF, p. 207, n. 2. 33 «Barnabò era il vero “padrone” della Società»: cfr. L. PI. a Propaganda Fide, 21 . 6 . 1886 .
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«furia francese»34 - poi, dopo il 1859, la forte personalità di un Planque, accettare la direzione del cardinale Prefetto, che, bi sogna dirlo, era quasi tirannica? E certamente una bella do manda... Per poter rispondere, bisogna prima ricordare fino a che punto i due fondatori erano visceralmente attaccati a tutto ciò che giungeva da Roma, e comprendere, in seguito, in quale grande smarrimento poteva essere caduto il Vescovo dopo Co'imbatour e, ancora di più, il suo sostituto, all’indomani di Freetown. Successivamente, ebbero entrambi bisogno di un appoggio solido, ma anche di un «direttore dei lavori», che godesse di un certo potere decisionale. Questi fu Barnabò. Se si esaminano, in particolare, i primi quindici anni della direzione di P. Planque, non è possibile non notare il suo bi sogno di scrivere al Prefetto, per domandargli consigli, fornirgli i più piccoli dettagli sui suoi progetti e le sue difficoltà, e persino sui primi conflitti che lo mettono in contrasto con i Padri35... I pareri di Propaganda Fide sono per lui un riferimento costante, quasi un mezzo per portare avanti la Società e fare tacere le opposizioni. Planque ha bisogno, in qualche modo, di farsi co prire da un’autorità più grande della sua. Per avere un’idea di questo comportamento del nuovo Superiore, basta rileggere la sessantina di lettere indirizzate a Barnabò, che vanno dall’agosto 1859 fino al gennaio 1874... senza contare i contatti diretti con lui o con i responsabili della Curia. E nella regolare corrispon denza del Superiore con i Padri in missione, quanti appelli al potere del Prefetto e dei suoi collaboratori, alla loro autorità le gittima, al loro diritto di essere informati dei problemi e di dare ordini36! In particolare, sarà insieme a Barnabò che il P. Planque stabilirà le Costituzioni della Società. Conoscendo la consapevolezza così facilmente ombrosa che il 34 Lettera di P. Dominique, cappuccino, a Mons. Brésillac, 17.8.1856: «Mons. Bar nabò trova in voi un po’ troppa “furia francese”...» - Cfr. DMF, p. 176, n. 1. 35 L. Pi. a P. Borghero, 18.3.1864 e 11.8.1863: «Io tengo il Card. Barnabò al cor rente di tutto ciò che riguarda la missione», come anche di ciò che riguarda il governo della Società... - Cfr. la lettera ai Confratelli, 16.7.1862. 36 Lafitte scrive a P. Planque, 3.10.1862: «Non capisco cosa c’entri in questo il Card. Barnabò...». La risposta del Padre, 16.11.1862, lo richiama al rispetto dovuto al Card., cfr. la lettera a Barnabò, 2.8.1863.
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Superiore aveva della sua carica e delle sue responsabilità, ci si meraviglierà certamente di una così completa docilità. Ma il ri spetto verso la Chiesa non gli ha tolto affatto la libertà di giudi care gli affari che lo riguardano. Egli rimane veramente il capi tano, anche se non è il solo, né il primo. Avrà sempre il coraggio di esprimere e sostenere tanto le sue intime convinzioni, come i suoi disaccordi. Né vi è in lui nulla che assomigli al servilismo o alla rinuncia. Con il Cardinale Prefetto, uomo leale e retto, Augustin Planque sa di poter tornare alla carica, insistere per farsi ascoltare, anche se più di una volta dovrà sottomettersi a delle idee diverse dalle sue. Un tipo di relazione che è facile supporre non privo di contrasti o conflitti. Il nuovo Superiore ha veramente sofferto per la len tezza dell’apparato ecclesiale, per i silenzi, per alcune reticenze che egli crede scorgere nei suoi riguardi, per i momenti di vuoto in cui egli si sente come abbandonato, solo davanti a delle insormontabili difficoltà di governo. Spesso deluso e stanco di aspettare, non nasconderà la sua angoscia, né le sue lamentele. Ma se pure ha fatto - anche lui come tanti altri - l’esperienza di quanto costi essere fedeli alla Chiesa, la sua fiducia verso di essa rimane solida, nella buona e nella cattiva sorte, incrollabile. E, malgrado il suo turbamento, egli persevera nella sua azione, con pazienza e fede, finché infine non torna, con le risposte o le soluzioni di Roma, una nuova speranza... E per questo che, malgrado le ombre che hanno potuto oscurare le loro relazioni, la buona intesa e l’identità di vedute tra il Prefetto e P. Planque hanno sempre resistito. Ed è stata una fortuna: senza questo appoggio, cosa avrebbe potuto fare il Superiore per uscire da certe difficoltà? Scomparso Barnabò - in un periodo particolarmente critico per la Società 37 - ci vorrà del tempo perché si formi di nuovo, con i Prefetti che gli succederanno, una rete di relazioni così dirette e fiduciose. Molti anni più tardi, P. Planque confesserà persino di aver paura di andare a Roma, dove le persone gli sono meno conosciute. Tanto più che le accuse mosse contro di lui in 37 II Card. Barnabò muore il 28.2.1874, le questioni d’Algeria sono ancora mal rego late, la Società si è installata al Capo non senza fatica e si è alla vigilia della controversia con Couzon...
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certi momenti — ed anche i colpi bassi - non contribuiranno certo a creare un clima a lui favorevole. Ma la sua correttezza ed il suo disinteresse si riveleranno sempre vincenti. Ne offre una buona prova una lettera del Cardinale Ledochowski che dichiara: «...non conosco personalmente Padre Planque, ma desidero molto incontrarlo, perché ho sempre stimato profondamente il capo di uno degli Istituti più meritevoli ai nostri giorni nell’ambito del mondo delle M issioni»38. Sarà lo stesso Prefetto Ledochowski - il quarto fra coloro con cui trat terà gli affari dei suoi Istituti39 - ad offrirgli continui segni di comprensione, di sostegno e di amicizia. Presso Propaganda Fide, Augustin Planque rimane quindi un interlocutore sempre stimato... E certamente, la dedizione di cui dà prova verso le Missioni, e la sua sottomissione esemplare alle autorità romane meritano rispetto e considerazione. E lui che scrive: «Noi non siamo nient’altro che i soldati del Papa per le conquiste pacifiche del Vangelo presso i popoli più abbando nati» 40, e a due dei suoi Padri in difficoltà: «Non deve accadere che a Roma si possa dire che uno solo di noi si sia rifiutato di obbedire al Papa... persino nell’interesse stesso della nostra opera e delle nostre m issioni»41. Secondo il desiderio dei due Fondatori, per la Società dei Padri, e per quella delle Suore in seguito, la fedeltà alla Chiesa di Cristo è rimasta uno dei segni distintivi del loro impegno nella Missione.
3. Il seminario
A Roma, la decisione di continuare l’opera di Brésillac è stata accolta molto favorevolmente. «E con vera gioia, direi con ammi razione - scrive Barnabò - che questa Sacra Congregazione 38 Lettera del Card. Ledochowski a Mons. Fava, 10.7.1892. - Si veda la IV parte, cap. 12. 39 P. Planque ha conosciuto dopo il Card. Barnabò altri 4 prefetti: Franchi (187478), Simeoni (1878-92), Ledochowski (1892-02), Gotti (nel 1902...). 40 L. PI. a P . X..., 19.9.1868. 41 L. PI. ai Padri Terrien e Boutry, 11.12.1891.
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prende atto di come, lungi dallo scoraggiarvi per la terribile di sgrazia, voi e gli allievi del vostro seminario date prova, invece, di un nuovo slancio» 42. Senza alcun equivoco, il giovane Direttore è riconosciuto dai diversi organismi ed autorità, come legittimo successore alla guida della Società, anche se ci si potrebbe ram maricare per il mancato intervento di Roma al fine di stabilire con chiarezza le responsabilità e i poteri di Augustin. Deve ac contentarsi di un riconoscimento della sua nomina nell’indirizzo apposto sulla prima lettera inviata da Propaganda Fide: «Al Si gnor Superiore del seminario delle Missioni Africane di Lione». Come atto ufficiale è certamente poco. Le difficili circostanze che hanno accompagnato il cambiamento di direzione avrebbero richiesto un riconoscimento più esplicito della successione, raf forzando così l’autorità del Padre. In questo modo non avreb bero alcuna ragion d’essere tutte le reticenze che in seguito sa ranno espresse riguardo al suo governo, nonché il disagio che lui stesso risentirà. Credeva forse il Cardinale Barnabò che, spin gendo Augustin un po’ più in primo piano, avrebbe sminuito il proprio ruolo nella Società? Bisogna comunque ammettere, in ogni caso, che la mancanza di precisione all’origine della ri-fon dazione ha agito contro l’armonia e l’intesa tra i Confratelli e il Superiore. Nonostante ciò, senza preoccuparsi ulteriormente, Augustin Planque è già all’opera, per riunire «i membri sopravvissuti alla prova e accogliere i nuovi». In realtà, nel corso dei primi mesi e anche dei primi due anni, egli parla assai poco del Seminario nella sua corrispondenza. E l’Africa che lo preoccupa e, soprat tutto, il modo con cui ritornarvi. Si sente comunque che a Lione tutto si rimette gradualmente in moto: non è forse il seminario la riserva indispensabile per fornire, al momento opportuno, dei missionari pronti a partire? D’altra parte, il numero di coloro che si uniscono alla Società cresce in modo regolare. Nell’ultima lettera scritta a Planque, Brésillac gli aveva confidato il suo timore che le morti di Freetown avessero la «funesta conseguenza di spegnere l’ardore degli 42 Lettera Barnabò a Planque, 1.10.1859.
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Aspiranti e di provocare una battuta d’arresto alle vocazioni». Alcuni anni più tardi, il Superiore attribuirà ancora allo stesso motivo una certa lentezza nello sviluppo della Società ai suoi esordi. Un timore infondato - smentito dai fatti. Nell’agosto 1860, vi sono già quattordici Aspiranti, fra i quali due preti; e otto domande d’ammissione che sembrano offrire reali garanzie. Tuttavia il problema delle vocazioni rimarrà aperto ancora per degli anni, perché la malattia e la morte continueranno a portar via uomini da rimpiazzare di continuo... Allora - così come aveva fatto Brésillac, ma con la discre zione di chi non conosce personalmente la Missione - Augustin Planque visita le diocesi, dandosi da fare affinché rientri, appena possibile, qualche Padre dall’Africa per assicurare una migliore informazione. Il Superiore ha dunque ripreso il controllo della situazione. «Il funzionamento dellTstituto deve essere simile in tutto a quello di un seminario», aveva scritto il Vescovo presentando la sua opera a Propaganda Fide. «Noi viviamo in comunità, gli esercizi e le ore di studio sono regolati sia per i giovani chierici che per i p reti»43. P. Planque segue la stessa linea. In questo campo almeno non è preso alla sprovvista, essendo ricco di esperienze acquisite a Cambrai e ad Arras. Ad aiutarlo nell’organizzazione dei corsi, egli ha la fortuna di avere al proprio fianco degli uomini esperti ed appassionati, che diventeranno i suoi primi consiglieri e migliori amici. Tra questi ricordiamo Etienne Arnal, giunto da Carcassonne, a lungo pro fessore presso il Seminario minore, tra i cui allievi si conta il giovane Brésillac, ancora adolescente. Liberato dal suo incarico, Arnal ha accettato l’offerta di Augustin Planque. Sarà lui a libe rare il Superiore dall’impegno dell’insegnamento della Filosofia e a rendere fino alla morte molteplici servizi alla Società44. Dal 43 Lettera Brésillac a Barnabò, 13.12.1856. DMF, p. 182. 44 Arnal arrivò il 20.1.1863 ed assunse la direzione degli studi. P. Planque l’amava e lo ammirava molto. Il giorno della sua morte, avvenuta P i 1.6.1873, tra le altre con fidenze, egli scrisse a Padre Lacuwe, 14.8.1873: «Spesso mi sorprendo a dirigermi verso la sua stanza, tanto ero abituato a discutere con lui il più piccolo dettaglio sulla mia condotta».
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canto suo, l’Arcivescovo di Lione ha fornito un professore per assicurare l’insegnamento della teologia. Sappiamo inoltre che qualcuno tra gli Aspiranti, una volta terminato il suo corso di studi, diventerà professore dei suoi ex compagni. Ma fu proprio qui, su questo punto preciso della formazione, che non mancarono le critiche. A Planque fu spesso rimprove rato il numero insufficiente di professori anche se, a mano a mano che crescevano gli effettivi, egli si impegnava a trovare uo mini competenti per assicurare i corsi. Fu questo un compito difficile e non sempre coronato dal successo. Tra gli altri tenta tivi, si è a conoscenza di quello fatto presso il Superiore generale di Saint-Sulpice, al quale fu chiesto di «prestare» uno dei suoi preti, da tutti conosciuto come amico delle missioni. Un passo inutile... anche se colui che allora era presso il seminario maggio re di Angers, sarebbe diventato volentieri un esperto direttore per la casa di Lione. E anche vero che, già ai tempi di Brésillac, Planque si lamentava del livello troppo basso degli studi, non sempre condotti seriamente, e dell’insufficienza dei risultati. Ci furono anche altre critiche con cui si contestava il modo a volte incompiuto, perché troppo frettoloso, della preparazione al sa cerdozio per alcuni dei seminaristi e certe ordinazioni fatte pre maturamente, a discapito delle conoscenze teologiche. Eppure, P. Planque era contrario ad ogni forma di mediocrità o di super ficialità e si adoperò senza posa per trovare un rimedio a tali lacune 45. Ma è anche vero che i bisogni urgenti esigevano delle partenze immediate per l’Africa... Le più feroci di queste critiche - e vedremo quelle particolarmente dure di Mons. Lavigerie e di Courdioux - dimenticavano forse che la formazione di un princi piante poteva completarsi sul terreno a contatto con la realtà quotidiana e con l’esperienza pastorale dei più anziani. Coloro che chiedevano di entrare alle Missioni Africane non erano accolti senza un serio esame della loro vocazione. «Poco importa, diceva Brésillac, che sin dall’inizio siamo numerosi, l’im portante è che i nostri giovani siano d’animo buono ed abbiano 45 L. PI. al Superiore generale di Saint-Sulpice, 29.1.1980. - e al Vescovo di Carnbrai, 2.8.1870.
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una perfetta dedizione per l’O pera»46. Nella stessa direzione sembrano andare le risposte date da Augustin Planque alle do mande d’ammissione e le informazioni da lui prese su ogni candi dato. Non si può sospettarlo di aver voluto attirare dei giovani senza discernimento, di aver nutrito false speranze o di averli confusi con illusioni e sogni47. «No - scrive a coloro che lo in terrogano —non vi è nulla di affascinante sul piano umano nel l’impegno missionario». Se qualcuno aveva lasciato una buona situazione o un facile apostolato, non doveva aspettarsi di ritro vare in Africa le stesse prospettive per l’avvenire, perché si do veva andare là a lavorare per il Regno di Dio, portando la No vella di Cristo a coloro che non l’avevano ancora udita. «Perché nessuno - egli scrive - deve unirsi a noi se è animato da uno spirito diverso da quello del puro amore di Dio e dal desiderio di farlo conoscere a quelli che ancora ignorano la sua Parola, senza preoccuparsi di consolazioni e ricompense terrene, ma contando solamente sulla ricompensa celeste, offerta al fedele servitore» 4S. Bisognerebbe citare per intero la lettera inviata ad un profes sore tedesco nel Ducato di Baden: «Saremmo molto lieti di avere qualche giovane Tedesco tra noi, ma vorremmo... che questi si facesse un’idea giusta della vita e dei sacrifici del missio nario, prima di venire. E l’unico modo per evitare molti errori e un sempre spiacevole scoraggiamento» 49. Perché «la missione è dura da vivere, essa è fondata interamente sulla rinuncia». «Per far parte della nostra Società, è necessario avere un’autentica vo cazione missionaria, un totale spirito di dedizione alla causa di Dio e seguire alla lettera le parole del Salvatore: prendere la propria croce e seguirlo» 50. All’ostilità del clima, cui gli Europei mal si adattano, spesso si uniranno la lentezza scoraggiante del lavoro apostolico, l’isolamento e i problemi materiali. «Non vi 46 Lettera BrésiUac a Planque, 30.12.1856. 47 In M ission to West Africa : Sr. Bonaventure riporta le lamentele di giovani sul loro letto di morte, i quali affermavano che era stata data loro soltanto una vaga idea di ciò che li attendeva. «Non era facile - aggiunge P. Gantly - prevedere come ciascuno avrebbe reagito di fronte alle dure realtà della missione» (op. cit., p. 74). 48 L. PI. a P. O’Haire, 25.9.1876. 49 L. Pi. a Bolia, professore a Ettlingen, Granducato di Baden, 8.2.1863. 50 L. PI. a P. O’Haire, cfr. n. 48.
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faccio un quadro brillante —riconosceva il Padre - bisogna essere pronti a tutto fino al martirio, ma la Grazia ha i suoi misteri per addolcire le durezze che potrebbero spaventare»51. Tutto quindi era detto con chiarezza, senza nulla nascondere e senza abbellimenti. In seguito vi furono alcuni, è vero, che indietreggiarono davanti a tanta austerità e difficoltà... perché le loro forze non erano all’altezza del loro desiderio... e non perché fossero stati illusi... Al seminario, si vuole andare oltre la formazione di futuri preti, e su questo punto, come su altri, Brésillac ha espresso chia ramente la sua volontà di superare ciò che aveva vissuto alla Mis sioni Estere. In questa casa che è al centro, bisognerebbe meglio dire nel cuore stesso della sua azione missionaria, egli desidera che nasca fra i membri - ossia tra coloro che hanno già in co mune uno stesso ideale di evangelizzazione - quel legame molto forte che egli definisce semplicemente in due parole: «lo Spirito della nostra Società». Anche in questo, P. Planque è in completa sintonia con le sue vedute. E la forma di spiritualità che offre agli Aspiranti vuole spingerli a scommettere «insieme» sul loro avve nire. Insieme, perché la Società è una famiglia. Soltanto all’in terno di un gruppo fraterno si può lavorare bene al servizio di Cristo, ciascuno accettando di sottomettersi al carattere degli altri, di addolcire gli spigoli che «pungono», per mezzo della ca rità che è pazienza e delicatezza. Imparare a farsi delle reci proche concessioni è tanto più necessario, in quanto tutti sono chiamati a vivere in comunità internazionali e «a lottare ben presto contro tutte le meschinità dei nazionalismi esclusivi»52. «Se vogliamo fare un’opera unica e durevole, è necessario che lo spirito nazionalista faccia spazio allo spirito «cattolico» (univer sale)». «Non dobbiamo occuparci di questioni di nazionalità, ma dell’interesse della Società, - scriverà molto piùtardi il Padre, riassumendo in poche parole una delle lotte di tutta lasua vita. Il nostro Fondatore ha voluto che fossero ricevute persone di tutte le nazioni, purché disposte a sottomettersi alle nostre re 51 L. PI. ai Padri Carré e Trugge, 28.12.1862. 52 L. PI. a Papetart, 14.12.1861 - e molte altre lettere.
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gole. Noi formiamo una famiglia e perciò dobbiamo guardare ogni membro con gli stessi occhi. Non vi nascondo la pena che provo nel vedervi ostentare uno spirito che scinde la famiglia delle Missioni Africane in categorie secondo la nazionalità. E ne cessario che siamo uno per compiere l’Opera di D io »53. Di un altro punto il Vescovo è fermamente convinto: che la Società sia secolare. Ma «il nerbo principale» della sua organiz zazione, ossia «la concordia nella carità», si rafforza nell’obbe dienza. «Noi non pronunciamo i voti, ma facciamo un giura mento di obbedienza alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, col quale ci impegniamo ad andare in qualsiasi luogo sa remo mandati ed a rimanervi per tutto il tempo che ci sarà ri chiesto dal Superiore» 54. Così gli Aspiranti devono essere «d i sposti a fare ciò che viene detto loro», per non «diventare una vera palla al piede invece che un aiuto», pronti a mostrare defe renza e rispetto verso chi detiene l’autorità. La Missione, infatti, sarebbe impossibile senza un capo. A questi viene chiesto di co mandare con comprensione e senza rigidità in quanto è «pre posto a guidare i Confratelli» oltre che a governarli. In questo modo tutti potranno vivere nella concordia e nella convivialità, per il bene di tutti, perché il peggior nemico si nasconde in tutto ciò che suscita divisione. Inoltre non è necessario aver fatto un voto di povertà, per abbandonare molte di quelle cose che rendono la vita piacevole e facile. Il missionario è chiamato a vivere anche lui come un po vero. In Africa, non si porta nulla delle proprie comodità o del proprio ambiente abituale, bisogna anzi che si accetti una certa condivisione dei beni in seno alla comunità, far passare, prima dei propri, gli interessi degli altri e quelli della Missione, entrare in una vita dove l’individualismo non ha più spazio, dove l’unione e la solidarietà con i poveri e i più sfortunati sono mezzi per la riuscita. Infatti, nei paesi dove gli Aspiranti si preparano ad an dare, non c’è bisogno soltanto della parola del missionario. Il contrasto della sua vita con quella della gente, l’esempio quoti 53 L. PI. a P. L’Anthoèn, 25.7.1896. 54 L. PI. a P. O’Haire, citata in n. 48.
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diano di abnegazione, di sobrietà, di lavoro e di umiltà, i sacrifici di una vita spoglia e coraggiosa, questi sono i segni che possono testimoniare Dio e queste sono le disposizioni assolutamente ne cessarie in coloro che si dedicano alla Sua causa55. Nulla di tutto ciò è possibile senza coraggio e generosità. Ma per vivere tutti questi piccoli eroismi quotidiani ci sarà Dio, ritro vato nella fede e nella preghiera; Dio, di fronte al quale il missio nario sentirà il bisogno di raccogliersi spesso per restare alla Sua presenza, secondo il ripetuto consiglio di P. Planque. Ecco dunque il programma che la Società chiede ai suoi membri di accogliere con un impegno definitivo. E la «Risolu zione solenne», la stessa espressa insieme nel 1858 da Brésillac, da P. Planque e da qualche altro 56. Ben presto, però, si giungerà anche al cosiddetto «Giuramento», una forma d’impegno più to tale, che Propaganda Fide proporrà agli Istituti57. Per rompere la monotonia degli studi e di una relativa clau sura, e mantenere vivo l’interesse per l’Africa, P. Planque conta molto sulle notizie ricevute dal Dahomey, perché «esse danno vita ad una Società di futuri missionari». «Seguiamo i vostri pro gressi, le vostre difficoltà», scrive ai Confratelli. «Le prime no tizie da Whydah hanno provocato grande felicità, sostengono la preghiera e lo slancio»58. «Sono convinto che più di un Aspirante deve i suoi progressi a qualche parola giunta dai paesi lontani. Continuate a scrivere, voi fate tanto bene» 59. Lui stesso riconosce in maniera molto semplice, il bene che riceve da «questi dettagli che emergono nelle lettere dall’Africa». Egli vi 55 L. PI. a P. O’Haire, stessa lettera. 56 La prima Risoluzione solenne fu fatta il 24 luglio 1858 da Mons. Brésillac, circon dato da P. Planque, dai padri Bresson e Riocreux, dai fratelli Eugène e Pierre. Il testo era quello tratto dagli A rticles Fondamentaux, cfr. DMF, pp. 230-231. 57 L. PI. ai Confratelli, 18.12.1861: «H o pensato di realizzare l’idea di Mons. Bré sillac, facendo fare nella Società, al posto di una semplice risoluzione, un giuramento solenne come facevano gli allievi di Propaganda. Ho chiesto l’opinione del Card. Barnabò a riguardo, ma vorrei avere un vostro parere». Cfr. anche L. PI. a Barnabò, 17.3.1860, 27.4.1862 e 26.7.1862. 58 L. PI. ai Confratelli, 20.4. —19.5. - 19.6.1861. 59 L. PI. a P. Vermorel, 19.7.1868.
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trova, infatti, un motivo in più «per inculcare - dice - nei nostri giovani del seminario, la necessità di donarsi senza riserva, né ricercare i propri piaceri. Senza questo, essi non potranno for mare i loro futuri allievi né alla piccola scienza umana, né alla grande scienza della fede» 60. E poiché tutti aspirano a raggiungere coloro che sono partiti, ecco che ben presto - «animati da un fervido ardore» - essi aggiungono alla preghiera e allo studio, tutto un insieme di pic cole attività d’apprendistato, una formazione pratica, considerata indispensabile già prima della partenza. «Uno impara a conciare il cuoio e a fare scarpe, un altro andrà in tipografia... Molti vanno all’ospedale per imparare a fare le iniezioni ed acquisire delle nozioni sulla medicazione delle piaghe o sui problemi di medi cina più frequenti nelle vostre zone». «Il tempo libero delle va canze - assicura il Padre - sarà in parte impiegato ad istruirci un po’ su queste materie e sulle preparazioni farmaceutiche. Tre o quattro degli studenti hanno potuto essere ammessi al labora torio di farmacia dell’Ospedale Centrale per imparare la prepara zione dei principali composti. E tutti sperano di trarre il meglio dalla buona volontà di chi insegna e guida questo lavoro»61. Si potrebbe affermare che tutto questo non è che un modesto la voro pratico, quasi nulla rispetto alla formazione che possono ricevere gli Aspiranti d’oggi. Ma essi traducono il realismo con cui il Superiore considera la missione. Nulla meglio di questi piccoli mestieri può creare quell’intesa che egli vuole si sviluppi nei rapporti con gli Africani. Essi serviranno spesso come «chiave» per stabilire i contatti e permettere di far acquisire ai giovani di quei territori - in particolare agli schiavi liberati - oltre all’indipendenza, anche il senso del lavoro. La buona volontà degli Aspiranti ed il loro desiderio di ren dersi utili, aiutano il buon andamento della Casa e mantengono 60 L. PL. a P. Tbollon, 19.12.1869. 61 L. PI. a P. Cloud, 15.7 e 16.8.1863. - A P. Bénin, 20.12.1864: «Il dott. Coirai è pronto ad aiutarvi. Risponderà alle difficoltà di ordine medico e chirurgico che voi gli esporrete».
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un’atmosfera eccellente. All’occorrenza, il Padre ama farlo sa pere: «Qui, sono contento di tutti come non lo sono mai stato», scrive ai Confratelli. Pertanto, P. Gondin, dopo un breve ri torno al seminario, potrà ben criticarne l’ordine e la regolarità, ma P. Planque non si lascia turbare e smentisce categorica mente 62. Non si deve però concludere, con questo, che l’ambiente della Casa sia sempre sereno. Vi sono sì, dei legami veramente saldi e fraterni tra gli Aspiranti, come anche con i professori, ma vi sono pure molte ombre... L ’annuncio troppo frequente delle morti, le difficoltà incontrate in Africa sarebbero sufficienti a stendere un velo di tristezza. E sappiamo che P. Planque manca del calore necessario a creare le condizioni per una vita di fami glia felice, cui tuttavia egli è molto legato. E questo darà ai più anziani qualche ragione per rimpiangere la cordialità del Vescovo scomparso 63. Prima della sua partenza per la Sierra Leone, Mons. Brésillac aveva già previsto che - diventando troppo piccola la casa acqui stata nel 1856 - ci sarebbe stato bisogno di un ambiente più grande e più adatto, che potesse accogliere dai quaranta ai cin quanta Aspiranti. E con questa intenzione - e approfittando dei passi fatti dal suo predecessore 64 - che nella primavera del 1860, P. Planque decide di acquistare un edificio nella Grande-Rue de la Guillotière, in un quartiere molto più popolare e più animato di quello di Saint Irenée 65. E molto contento di poter contare sulla generosità lionese per pagare le spese, e ancora di più
62 L. PI. a P. Courdioux, 18.3.1863. 63 P. Courdioux, in particolare, non mancò di esprimere le sue lamentele nel rap porto che inviò al Card. Caverot nel 1878. 64 Lettera Brésillac al Card. Barnabò, 12.3.1858: il Vescovo ha consolidato il semi nario procurandogli qualche rendita prima di partire per la Sierra Leone, preparando così da lontano la futura costruzione. 65 L. PI. al Card. Barnabò, 17.3.1860: «Abbiamo comprato una casa più grande della precedente, al numero 243 della Grande-Rue de la Guillotière». Secondo i quoti diani del tempo, questa era la casa Sauvignac, nel quartiere Hirondelles - Nei ricordi di Sr. Joseph: «Venite dunque in Rue de la Guillotière - aveva detto a P. Planque uno dei suoi amici - non si sta così male come dicono!».
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perché il Cardinale di Lione è il primo in testa alla sottoscrizione lanciata per questo scopo 66. Qualche anno dopo, sul vasto terreno che ha comprato in sieme al seminario, e che si estende fino al Cours des Brosses 67, egli già sogna un altro edificio, diventato necessario per il nu mero sempre crescente di giovani che si presentano, perché, dice, «non sappiamo più dove alloggiare gli Aspiranti» 6S. Questa nuova costruzione comprenderà anche una cappella che sarà de dicata ai Santi Apostoli69. «Non sarà una cattedrale, ma vi si potranno svolgere almeno le cerimonie, cosa che contribuirà a far conoscere la Società, dandole un po’ di fama. Il seminario vi guadagnerà molto ed il quartiere avrà così un nuovo centro spiri tuale» 70. I lavori, cominciati nel 1869, sono interrotti allo scoppio della guerra franco-tedesca. Bisognerà quindi attendere il Natale 1872, perché i Padri e i Seminaristi possano occupare almeno la parte centrale della famosa cappella. Tutti ne sono molto contenti e constatano con piacere che «il pavimento brilla come un sole... al punto che - dichiara P. Planque - P. Arnal ha paura di ca dere!...» 71. Questi lavori gli procurano un soprappiù di pesi e di preoccu pazioni. Troppe responsabilità gravano ormai su di lui, poiché a tutte le preoccupazioni d’ordine materiale e spirituale che ha a Lione, egli aggiunge anche quelle delle Missioni. Senza contare le questue che lo spingono ad estenuanti peregrinazioni per ag giungere alle donazioni della Propaganda Fide, quelle dei bene fattori. Fino al 1901 - anno in cui Mons. Pellet verrà finalmente a liberarlo di una parte del fardello - egli assume l’amministra zione della Società con molta prudenza e rigore, da manager coscienzioso, abile e competente quale egli è, sforzandosi di non contrarre mai debiti. 66 67 68 69 70 71
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L. Si L. L. L. L.
PI al Card. Barnabò, 17.3.1860. tratta dell’attuale Cours Gambetta. PI. ai Padri Thillier, Sequer e Thollon, 20.10.1869 e a P. Migne, 6.1.1870. PI.a P. Bouche, 20.8.1869. PI. ai Confratelli, 20.2.1869 e al Card. Barnabò,12.2.1869. PL.a P. Poupart, 1.1.1873.
4. Finalmente il Dahomey
Questo sogno, ormai creduto morto, sta dunque diventando realtà? P. Planque è deciso ad impegnarvisi. Quando Mons. Brésillac, indebolito dalla febbre, scriveva ancora da Freetown: «Malgrado tutto, se è possibile, andrò nel Dahomey...», Augustin aveva interpretato quelle parole come le ultime volontà del Ve scovo poco prima della morte e si era ripromesso di portarle a compimento. Così, giunto il momento, osò dire a Barnabò: «E il Dahomey che ha fatto nascere la Società... questo, noi non l’ab biamo mai perso di vista» 72. Come mai l’ex vescovo di Coimbatour aveva investito tutte le sue speranze nel Golfo di Guinea e specialmente in questo pic colissimo paese sconosciuto? Ancora una volta, fu un incontro fortuito a guidare la sua scelta 73. Dai Padri Cappuccini di Ver sailles, che l’avevano ospitato durante un viaggio, Brésillac aveva sentito parlare del sig. Régis, un ricco armatore, influente e cri stiano convinto. Costui conosceva bene la costa africana e pos sedeva a Whydah un’agenzia commerciale, stabilita in un antico forte francese e divenuta il suo centro d’affari. A Marsiglia, all’e poca del loro primo colloquio, l’armatore aveva informato Bré sillac che il regno del Dahomey sarebbe stata una terra molto accessibile per la fondazione di una missione. In realtà la giurisdi zione apostolica era già stata affidata ai Padri dello Spirito Santo, ma questi, per scarsità di personale, non vi avevano ancora stabi lito alcuna postazione. Secondo il sig. Régis, le circostanze si presentavano allora molto favorevoli. Da una parte il re Ghézo, ben disposto verso i Francesi, aveva appena firmato con questi ultimi un accordo che assicurava loro la protezione nel suo paese. Egli avrebbe visto certamente con piacere dei missionari bianchi stabilirsi presso di lui e aprire delle scuole 74. Dall’altra, gli Europei avevano sempre 72 L. PI. al Card. Barnabò, 27.9.1859. 73 Si veda il rapporto di Mons. Brésillac a Propaganda Fide sul Dahomey e il collo quio con il sig. Régis, 4.1.1856, DMF, p. 136 e segg. 74 Cfr. H istoire du D ahom ey, di Robert Cornevin e M ondes d ’O utremer, ed. BergerLevrault, 1962. Si veda p. 279 e segg., la convenzione tra il re Ghézo ed il governo francese.
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vissuto in buona armonia con gli abitanti del Dahomey e la vici nanza delle agenzie commerciali forniva una garanzia di maggiore sicurezza e mutua assistenza. A queste favorevoli prospettive, si aggiungeva l’assenza dei musulmani, che non erano ancora arri vati fino alla costa. Per quanto riguardava i Protestanti, «che te nevano gli occhi ben aperti, e volentieri avrebbero preso pos sesso del territorio, si poteva sperare di precederli» 75. Infine, a coloro che muovevano delle obiezioni riguardo al clima del paese, il sig. Régis assicurava che lì era meno temibile che in altri luoghi della costa; bastava, dunque, prendere le necessarie pre cauzioni, in particolare contro le febbri intermittenti. Un ultimo argomento, che finiva per gettare il suo peso a favore del Dahomey, era la presenza di cristiani lungo la costa. L’evangelizzazione di questi luoghi, infatti, risaliva ad un lontano passato 76. Essendo stati seguiti troppo poco per quasi due secoli, i primi convertiti erano tornati ai loro costumi ancestrali, il culto dei serpenti e altri feticci. Vi era anche un prete nero di naziona lità portoghese, che a volte veniva da San Tomé, ma stazionava raramente a Whydah. Erano queste prospettive a sedurre Mons. Brésillac. Nei suoi pensieri, questo luogo corrispondeva esattamente a ciò che lui stesso sperava profondamente da due anni. Pertanto, aveva cer cato di convincere anche Propaganda Fide, con tanto fervore che credette di aver ormai vinto la sua causa... ma come fu amara la delusione77! Nell’autunno del 1859, P. Planque è dunque inten zionato a cancellare l’insuccesso. Mentre è impegnato nell’orga nizzazione del seminario di Lione, egli porta avanti la sua batta glia per il Dahomey e conta di ricevere al più presto le decisioni di Roma.
75 P. Planque era fra coloro che si opposero vivamente all’espansione del Prote stante simo... non era ancora giunta l ’ora dell’ecumenismo. 76 Tra i cristiani, bisogna contare i Brasiliani, ex schiavi ritornati in Africa. Si veda il DMF, p. 138, n. 4. Padre Bonfils annotò le diverse tappe della presenza cattolica nel Dahomey, a partire dal XVII secolo fino all’arrivo delle Missioni Africane. 77 Si veda il cap. 4, la delusione di Brésillac, nonostante la sua coraggiosa determina zione nell’accettare la Sierra Leone, rispettando la decisione di Roma.
Una speranza conferm ata Barnabò conosceva già l’ostinazione di Mons. Brésillac. Scoprirà ora quella di Augustin. Costui, però, non ha ancora la stessa autorità, né soprattutto la stessa esperienza del Vescovo per quanto concerne la Missione, egli giudica quindi necessario portare, a sostegno della sua domanda, molta precisione negli argomenti, nelle informazioni e, come sempre, una grande cura della verità. Ora, la verità che spiega la tragedia dell’estate 1859, è la scelta disastrosa della Sierra Leone. Questo bisogna dirlo a Roma. Augustin redige un lungo rapporto, dando prova allo stesso tempo della sua rapidità nel lavoro, della sua capacità di analizzare la situazione, ed anche delle sue conoscenze geogra fiche 7S. Osa confutare Mons. Kobès, sulla parola di «persone competenti e degne di fiducia», da lui consultate. Sia che si tratti di Mons. Bessieux - un vecchio conoscitore dell’Africa occiden tale - o dell’Ammiraglio a capo delle stazioni navali nella regione - colui che ha «deplorato che si siano inviati degli uomini pre ziosi a morire inutilmente nel punto più inospitale di una costa così micidiale» - o, ancora, di commercianti o uomini d’affari abituati al traffico tra i territori, tutti questi testimoni concordano nel riconoscere la notoria insalubrità della Sierra Leone e l’im possibilità di risiedervi diversi mesi senza pericolo 79. Queste ragioni di un’importanza determinante apriranno una breccia in seno a Propaganda Fide? Riprendendo il contenuto stesso del rapporto che Brésillac aveva presentato nel gennaio 1856, P. Planque avanza allora delle proposte. Non si può pen sare di abbandonare la Sierra Leone, ma vi si potrebbe aggiun gere il territorio che va fino al Golfo del Bénin e del Biafra. Oppure - seconda possibilità - il Dahomey diventerebbe un Vi cariato apostolico distinto, affidato alle Missioni Africane, che conserverebbero nello stesso tempo il loro primo campo d’a zione. Dopo aver preparato minuziosamente il suo rapporto, P. 78 Cfr. il rapporto Planque, fatto al Card. Barnabò, citato in n. 72. 79 Sullo stesso argomento, cfr. la lettera di Brésillac al Card. Barnabò, 20.11.1858, DMF, p. 239.
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Planque non lo abbandona nelle mani dei segretari di Propa ganda Fide, ma lo segue e lo completa per convincere meglio le autorità responsabili. Egli li informa che la popolazione di Whydah è pronta ad affidare i suoi bambini ai missionari, che gli Europei e gli ex Brasiliani, cattolici e numerosi nella regione di Lagos, non hanno che un ministro protestante per celebrare il loro culto. D’altra parte, siccome Mons. Bessieux, Mons. Kobès e P. Schwindenhammer 80, hanno manifestato tutti e tre il loro accordo, non si dovranno temere difficoltà su questa nuova ripar tizione della giurisdizione. Augustin Planque aspetta quindi con fiducia che Barnabò stabilisca il momento in cui la Società potrà finalmente accettare la sfida di Freetown. Deve pazientare fino all’estate seguente... il tempo necessario perché Roma esamini tutti i progetti possibili, tenendo conto, nella sua decisione, della Spagna - sempre potentissima nella Sierra Leone e che non bisogna scontentare. Nel mese di luglio viene firmato il Breve che fa del Dahomey un Vicariato apo stolico affidato al Seminario delle Missioni Africane di Lione 81. Quando ne riceve la notizia, P. Planque è felicissimo: non sol tanto vi vede una prova della fiducia di Roma nei suoi confronti e verso la Società, ma ha la consapevolezza di aver realizzato il desiderio del Fondatore. Inoltre cesserà « l’incertezza espressa da diverse parti sulla continuità dell’Opera... e le vocazioni potranno rifiorire...» 82. Sono passati due anni dalla prima partenza, ed è con una speranza del tutto diversa che i missionari pensano al loro ritorno in Africa. Sicuro dell’aiuto della Propaganda Fide, P. Planque si rivolge ugualmente ai ministri degli Esteri e della Marina per ottenere il passaggio gratuito sulle navi militari che transitano nella regione... perché «la presenza di ufficiali francesi non man cherà di dare ai Padri un grande prestigio agli occhi della popola 80 Tutti e tre erano Padri della Congregazione dello Spirito Santo: Mons. Bessieux era il Vicario apostolico delle Due Guinee, Mons. Kobès era il Vicario apostolico a Dakar e P. Schwindenhammer, il Superiore generale. 81 L. PI. alla Propaganda Fide, a Lione, 24.8.1860 - Il Dahomey fu eletto Vicariato apostolico con un Decreto di Propaganda Fide il 30.7.1860, cfr. L.P1. al Card. Barnabò, 26.8.1860. 82 L. PI. al Card. Barnabò, 26.8.1860.
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zione»83... o anche di garantire la loro sicurezza. Bisogna preve dere tutto. Per questo il Superiore sollecita delle lettere di racco mandazione presso gli agenti consolari della Costa. Venendo da P. Planque, tali sollecitazioni indirizzate al governo francese pos sono sembrare abbastanza sorprendenti. Le relazioni, strette tra la Missione ai suoi inizi e gli Stati in procinto di diventare po tenze coloniali, sono state giudicate più di una volta ambigue, persino sconvenienti. Vedremo più avanti come inquadrarle nel corso degli avvenimenti84. Non passa molto tempo che un altro tipo di problema co mincia a porsi, e P. Planque non esita a sollevarlo. Roma, creando il Vicariato del Dahomey, gli darà subito un Vicario apo stolico? «Questione essenziale, come si vede, poiché riguarda la costituzione stessa del nuovo territorio» 85. E questo Vicario sarà scelto nelle fila della Società o al di fuori di essa? L ’inquietudine del Superiore traspare nel suggerire come misura provvisoria di scegliere un Pro-Vicario tra i partenti, nell’attesa che uno dei Padri sia pronto ad assumersi pienamente la responsabilità. Per quel che riguarda lui personalmente, egli esprime un solo desiderio: rimanere in Francia con lo scopo di lavorare più da vicino e con più efficacia al radicamento dell’Opera ed al suo sviluppo. Il seminario è diventato ormai il suo quartiere generale, egli non desidera allontanarsene o almeno, pensa, non subito 86. Allora perché non prendere per quest’incarico di Pro-Vicario P. Borghero, che da tre anni sta dando buona prova di sé e che per il suo spirito missionario e per tutti i talenti che gli vengono rico nosciuti, sembra il più adatto? Nel novembre dello stesso anno, il Padre torna alla carica. Se il Cardinale Barnabò non si decide ancora a fare questa nomina, «darà almeno un titolo di Superiore della Missione ad uno dei Padri o lascerà che a nominarlo sia P. Planque? Poiché è neces 83 L. PI. al sig. Ministro degli Affari Esteri, 30.11.1860. 84 Si veda la IV parte, cap. 13, n. 5, sui missionari e coloni. 85 L. PI. al Card. Barnabò, 24.11.1860. 86 La sua presenza a Lione stava diventando uno dei maggiori problemi, fonte di numerosi malintesi e di difficoltà di governo.
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sario che sul posto ci sia sin dal principio un’autorità chiaramente riconosciuta e determinata» 87. A Lione, il Cardinale de Bonald, che segue da vicino l’evoluzione della Società, è abbastanza lun gimirante da spingere il Superiore ad interrogare Propaganda Fide su questo punto. Anche lui desidera che il titolo di ProVicario sia assegnato subito. Ma questi passi rimarranno in sospeso ancora per anni. P. Borghero partirà per l’Africa semplicemente come Superiore ad interim, un titolo molto equivoco poiché, nelle intenzioni delle autorità romane, conferisce più o meno la responsabilità di un superiore locale. Ma i primi Padri a Whydah assegneranno subito a Borghero il titolo di «Superiore maggiore», che ai loro occhi gli attribuisce reali poteri di capo di una Missione. Da qui a pensare che il Superiore di Lione usurpi i diritti del suo confratello in Africa, non vi è che un passo. Non occorrerà molto tempo per arrivarci. I malintesi e le tensioni che nacquero in seguito non sarebbero sorti sicuramente, se Roma avesse preso sin dai primi mesi i provvedimenti necessari.
I pionieri Nel gennaio 1861, la strada si apre ormai ai missionari. Erano in tre, i primi tre di una lunghissima serie che, a partire da quel giorno, non finì più di raggiungere il Dahomey88. Partiti da To lone a bordo dell’ «Amazone», fecero un interminabile viaggio con uno scalo di due mesi a Dakar. La seconda fermata, questa volta a Freetown, ebbe il valore di un pellegrinaggio. Ma una nuova tomba venne presto scavata vicino a quelle dei primi com pagni: Louis Edde morì sicuramente per i postumi di una pleu rite, per cui rimasero in due a risalire a bordo della nave. Giunti a Whydah, non si potè toccare la terra ferma prima di aver superato la barra, questo rullo di onde enormi che tratten
87 L. PI. al C ard . B arnabò, citata in n. 85. ss I tre P a d ri erano F rancesco B o rgh ero , F rancisco F ernandez e Louis Edde.
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gono le navi in alto mare 89. Fu uno degli aspetti impressionanti, ma anche temibili, della costa di Guinea, che sarebbe stata quasi inaccessibile senza la forza dei rematori di piroga, abili nel supe rarla. I due viaggiatori fecero questa esperienza e, tuttavia, la superarono nelle migliori condizioni possibili. Nello stesso luogo dove i Padri sbarcarono - non lontano dalle rovine di uno di quegli stabilimenti in cui venivano rinchiusi gli schiavi, prima di essere venduti dai negrieri in America - si innalza da qualche anno una croce, alta e spoglia. E nella sua nudità, essa appare come un memoriale vivente, più commovente certamente di qualsiasi altro monumento. Sull’asse verticale vi sono scritti due nomi: François Borghero - Francisco Fernandez, e una data: 18 aprile 1861. Un giorno che conta nella storia della Chiesa dell’attuale Benin ed in quella delle Missioni Africane 90. A Lione vi è una grande gioia quando si apprende dell’arrivo dei Padri, «una grande felicità» scrive loro P. Planque, anche se è oscurata dal decesso di Edde. «Dovete credere che tutto ciò che vi tocca, tocca la nostra Opera fin nel profondo delle vi scere...». E le raccomandazioni si succedono. «Curate bene la vostra salute, diteci che cosa vi manca... scrivete una lettera al Cardinale di Lione, che vi segue con tutto il suo sostegno...»91, ecc. Al centro di Propaganda Fide a Lione, come a Propaganda Fide, il Superiore dirà con fierezza e speranza: «L ’orizzonte si è rischiarato per la nostra Missione» 92. I missionari, da parte loro, sono in piena scoperta. Il paese è attraente, perché i palmeti molto fitti, alternati con le lagune, fanno dimenticare la costa monotona, dritta e sabbiosa, e danno a quel punto del Basso Dahomey l’aspetto ridente di una regione dove il regime delle piogge rende fertile il terreno, abbondante 89 Cfr. le prime lettere di P. Borghero a P. Planque, 1861-62, AMA. 90 Questa croce fu eretta nel 1986, per il 125° anniversario dell’arrivo dei primi due missionari a Whydah (è noto che il terzo, Edde, morì per strada). Alta quasi 5 metri, affonda nel terreno fino ad 1,50 m di profondità. Essa è di cemento e porta a circa mezza altezza una lastra di marmo su cui sono scritti i cognomi. ( Soltanto la lastra provvisoria portava i nomi...). 91 L. PI. ai Confratelli, 19.6.1861 e segg. 92 L. PI. alla Propaganda Fide, 13.2.1862.
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e molto bella la vegetazione 93. Attraverso un messaggero, il re Glé-Glé ha fatto sapere di essere molto contento della loro pre senza nel suo regno 94. «Siamo oggetto di una venerazione che in nessun altro paese cristiano potrebbe essere maggiore», scri vono 95. Questa popolazione che si mostra così accogliente è in larga parte animista. Appartiene a numerose etnie, tra le più nu merose ed influenti vi sono i Fon e i Yoruba al Sud e al Centro, e i Bariba al Nord. Vi sono, però, anche coloro che lo storico Cornevin96 chiama i Creoli brasiliani. Tra questi, si trovano al cuni discendenti di grandi famiglie portoghesi, navigatori e com mercianti, alcuni schiavi liberati prima dell’imbarco da un pa drone caritatevole, o anche degli schiavi tornati liberi dall’Ame rica. Costoro sono in parte cristiani, o per lo meno battezzati, e parlano il portoghese. Si capisce che un tale miscuglio di popolazione è dovuto in parte al traffico dei negrieri, perché in questo luogo - che ha tristemente meritato il nome di Costa degli Schiavi - tra la Costa d’Avorio ad Ovest e Lagos ad Est, si è svolto su vasta scala uno dei peggiori commerci umani, quello dell’«oro nero», come a volte è stato chiamato. Si è giunti a stimare fino a 600.000 il numero degli schiavi che hanno dovuto transitare per questi luoghi. Soltanto alla fine del XVIII secolo, l’Europa giunse per gradi all’abolizione di questo traffico. Tuttavia le leggi anti-schiaviste erano spesso accolte mal volentieri dai coloni o da alcuni capi africani, come quelli del Dahomey, per esempio, per i quali ci volle del tempo prima di acconsentire all’abolizione, in quanto in questo modo perdevano la loro principale fonte di ricchezza. In seguito gli ex trafficanti si convertirono al commercio delle materie prime o dei manufatti. All’epoca delle prime missioni, però, la schiavitù era ancora molto diffusa. Al loro arrivo, Borghero e Fernandez sono ricevuti all’agenzia commerciale estera di Régis nell’antico forte francese ed il Jévo93 Dalle lettere di Borghero a P. Planque e dalle annotazioni delle Suore di N.S.A. 94 L. Borghero a P. Planque, 30.9.1861: « Il re Glé-Glé mi ha invitato...». Il missio nario ammirava molto Ghézo, più giusto e più umano di quanto non lo fosse suo figlio. 95 L. Borghero a P. Planque, 30.9.1861 - L. Planque alla Propaganda Fide, 25.4.1862 e 22.3.1863. 96 Cfr. H istoire du D ahom ey, op. cit., n. 74, pp. 65-66.
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ghan97, che sembra molto ben disposto in loro favore, li auto rizza subito ad occupare il forte portoghese un po’ diroccato e in disuso. I Padri vi andranno ad abitare, poiché vi è una cappella, da tutti conosciuta come luogo di preghiera e di culto, e che permetterà loro di passare più facilmente, agli occhi della popola zione, per i servitori del Dio dei Bianchi98. Dopo aver risistemato l’edificio del forte, il grande problema di P. Borghero è quello di essere ricevuto dal re che risiede ad Abomey, la capitale, ad un centinaio di chilometri dalla costa. A tal fine sono necessari lunghi negoziati. Glé-Glé è un perso naggio importante, amante delle cerimonie e del fasto di cui le vuole circondate. Si dice che sia potente e volentieri attacca brighe con i piccoli re, suoi vicini, come Toffa, re di Porto-Novo. Egli ha un buon esercito e le sue famosissime amazzoni, «quat tromila intrepide guerriere, le vergini nere del Dahomey, guardie del corpo del monarca, pronte a scattare ad un solo cenno del loro padrone» " . Egli non ha ereditato il carattere pacifico e conciliante di suo padre, Ghézo, che non amava le feste sangui nose, anche se qualche volta vi era costretto dalla potente casta degli stregoni. Al popolo, sua prima vittima, Glé-Glé è noto, in vece, per la sua temuta crudeltà: i grandi festeggiamenti si ac compagnano quasi sempre a riti macabri e sanguinari. Quando P. Borghero si assicura che non ci saranno sacrifici umani per celebrare la sua visita 10°, si prepara per la partenza, e appena superata la febbre che lo ha immobilizzato tutta l’estate, sale fino ad Abomey. L’accoglienza del re è benevola, ma il mis sionario non tarda a capire che egli conta su di lui per servire gli interessi di questo piccolo regno presso il governo francese. Il Padre non si presta facilmente alle sollecitazioni e Glé-Glé, de 97 L. Borghero a P. Planque, 30.9.1861: «Il Jévoghan è il capo dei Bianchi, così chiamati perché Whydah è considerata una città abitata dai “Bianchi” (i Creoli brasi liani)». 98 L. PI. alla Propaganda Fide, 25.4.1862. - Queste buone disposizioni religiose della popolazione lo porteranno addirittura a sbattere in prigione il prete di San Tomé, accusato di aver portato via il crocifisso, considerato come il grande feticcio dei Bianchi... 99 Cfir. H istoire du D ahom ey, op. cit., pp. 65-66. - Cfr. anche la lettera di Borghero a Planque: «Queste donne spiegano le più difficili vittorie di questo re...», 30.9.1861. 100 Lettera di Borghero a Planque, citata in n. 9.
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luso nelle sue aspettative, lo «consegna» nella residenza che gli ha offerto. Questo per due mesi, perché con un po’ di astuzia e molta pazienza, Borghero può infine riprendere la strada del ri torno, dopo aver ottenuto l’autorizzazione a parlare della sua re ligione... soltanto ai «Bianchi», e non ancora agli abitanti del Dahomey. Una m issione d el futuro Rientrato a Whydah, il missionario vi trova il sig. Lafitte in compagnia dei rinforzi giunti durante la sua assenza, i Padri Courdioux e Cloud. Essendo ormai in quattro, cominciano ad organizzarsi. Costruendo loro stessi i primi edifici necessari alla missione, essi vogliono contribuire a dare un nuovo valore ai la vori manuali in un paese in cui questi sono riservati soltanto agli schiavi. Per la stessa ragione danno maggiore importanza alle col ture, in particolare quella deU’igname, come anche alla lavora zione del legno all’interno di piccoli laboratori, montati con l’aiuto della popolazione locale. Una volta costruita, la loro scuola è rapidamente occupata da una cinquantina di allievi. Ini zialmente vi si insegna il portoghese, la lingua più conosciuta dai Brasiliani, che sono anche i più numerosi. Ben presto si crea un orfanotrofio per i bambini schiavi riscattati; ed un dispensario, che, per quanto modesto, dà la possibilità ai Padri di guadagnare rapidamente la fiducia della gente, perché ci sono molte miserie da curare. La catechesi è organizzata sia per i bambini che per gli adulti, e non tardano ad arrivare i primi battesimi. Per la Pasqua del 1862, i Padri ne annunciano già più di ottanta, ma bisogna lottare duramente contro il paganesimo e la poligamia, perché gli stregoni hanno ancora molto potere. Tutti questi piccoli fatti quotidiani vengono descritti da P. Borghero nelle sue appassionate relazioni inviate al Superiore del seminario, e costui, affascinato da tutte quelle notizie, le rende note subito a tutti... «A Whydah - scrive - l’opera di Dio si sviluppa, si curano le piaghe, si insegna, si battezza, si spera!...» 101. 101 L. PI. al Card. Barnabò, 27.4.1862.
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Ma P. Borghero è un «dissodatore», sente il bisogno di an dare oltre e, avendo ricevuto dal re l’autorizzazione ad uscire da Whydah, si muove inizialmente verso O vest102, poi tornando verso Est, attraverso il Capo Palmas, Accra e la Costa dell’Oro, giunge a Lagos, una città di 30.000 abitanti, la cui posizione geo grafica lo conquista, in quanto in essa vede un futuro centro ben situato per il Vicariato 103. Seguiranno altri viaggi, che lo porteranno ad esplorare più a fondo specialmente le regioni di Porto-Novo, Cotonou e Agoné. E Porto-Novo ad essere scelto come seconda postazione, certa mente per la sua collocazione sulla laguna e per la benevola acco glienza dei due re Toffa e Zounon, che hanno da poco rinnovato con la Francia il loro primo trattato 104. Più tardi P. Borghero si spingerà per circa 200 Km neU’interno fino ad Abéokuta e alle montagne del Benin. «E l’interno che attira la nostra attenzione - scrive a P. Planque - perché dove vi è il mare, si può giungere facilmente, ma penetrare all’interno dei territori è tutt’altra fa tica... Tuttavia, se il cristianesimo metterà radici nella regione, sarà sicuramente questo il cammino che esso seguirà nei prossimi secoli!» 105. Borghero si rende subito conto che il Dahomey, come il Benin, si collega a Nord ai due potenti regni di Yarriba e di Elaoussa, e di là le comunicazioni fino a Tombouctou e verso il lago Ciad sono facili. Dal lato occidentale, si apre ai regni degli Achanti e della Senegambia. La Missione ha avuto dunque un buon inizio e non si fermerà. «Dio sembra destinare questo paese ad un ruolo importante nell’evangelizzazione dell’A frica» 106, scrive P. Planque, convinto senza troppa fatica dall’en tusiasmo di Borghero, secondo il quale «la famiglia dahomeana 102 L. PI. al Card. Barnabò, 27.4.1862. Borghero si è spinto addirittura fino a Freetown, dove è stato invitato dal Console di Spagna per le feste pasquali. 103 L. PL. al P. Borghero, 19.4.1862: P. Planque dubitava che Lagos offrisse delle grosse possibilità alla diffusione del Vangelo... ma si lascerà subito convincere! 104 Porto-Novo sarà aperto nel 1864 - Cfr. le lettere di P. PI. a P. Borghero, 18.5.1863 perché ne sollecitasse l’apertura - al Card. Barnabò, 23.10.1864 e al Ministro della Marina, 7.6.1864. 105 Lettera di Borghero a PL, 30.9.1861: le idee di questo missionario sul futuro ed il suo desiderio di spingersi verso il cuore del paese fanno veramente di lui un pioniere... 106 L. Pi. alla Propaganda Fide, citata in n. 95.
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era una bella branca di questa razza africana che non ha subito l’influenza del sangue arabo». «Questo popolo sembra maturo per il Regno di Dio ed il bene è possibile qui come altrove, seppure per vie diverse». «S i potrà fare molto amandoli e accet tandoli così come so n o »107. Sempre di Borghero abbiamo questo bel consiglio dedicato ai seminaristi di Lione: «L ’amore del Bianco per il Nero apre tutte le porte. Che i nostri allievi si preparino all’esercizio più importante delle virtù apostoliche e, soprattutto, che meditino le lettere di San Paolo, se vogliono capire che cosa deve essere un apostolo». Nonostante questo, i primi missionari non si cullano nelle illusioni... la Missione si farà, ma attraverso una lenta conquista. Non sarà facile aprirle le vie in luoghi dove essi conoscono an cora troppo poco i costumi, la lingua, la cultura, perché ci si possa capire da entrambe le parti. P. Planque che, da quando è a Lione, ha avuto il tempo di imparare ad essere paziente, ricorda loro con delicatezza e humour che la pazienza è una virtù essen ziale per un missionario: «Trovo che voi avete fatto già molto. Siate sereni. Fatevi coraggio l’uno con l’altro», scrive 108. Al seminario di Lione, il Superiore misura l’esatta dimensione del suo incarico. Responsabile del futuro della Società in Africa, a lui tocca il compito di prevedere ogni cosa, provvedere ai bi sogni, preoccuparsi di trovare i sussidi sufficienti. E al timone, ma dirige da lontano, un po’ come nella navigazione a vista... Per sostenere, dirigere, incoraggiare, deve veramente diventare nel l’anima e nel cuore, ogni giorno di più, un uomo «umanamente avveduto». Ministero logorante. Vi dedicherà la sua vita. È a giusto titolo che il suo nome con quello di Borghero, l’infatica bile pioniere, rimane legato agli inizi della bellissima storia del Dahomey.
107 Dalle diverse lettere di Borghero 1861-62 e dalla prefazione di Le sacrifice de Borghero, AMA. 108 L. PI. a P. Fernandez, 16.8.1862 e a P. Cloud, 19.5.1870: «Non tormentatevi se non potete fare tutto. Lo stesso N.S.G.C. non ha fatto tutto e la Divina Provvidenza dispone e fa ogni cosa nella giusta misura.
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CAPITOLO SESTO
I PRIMI CONFLITTI
Con il Dahomey le Missioni Africane hanno ripreso a vivere. Nonostante la febbre o le pretese portoghesi riguardo la giurisdi zione di Whydah, il re Glé-Glé o l’insufficienza dei mezzi ancora poco adatti, questo nuovo avvio è buono. Passano però pochi mesi, appena un anno e compaiono altre ombre. Il Superiore intanto veglia perché sia allontanato dalla Società tutto ciò che può minacciarne l’equilibrio e soprattutto l’unità.
1. In Spagna
Senza la fermezza di P. Planque la fondazione in Spagna sa rebbe stata una di quelle pietre su cui la Società avrebbe potuto inciampare. La Spagna era anch’essa una delle idee creatrici di Brésillac perché aveva pensato di aprire, fuori dall’Africa, una casa dove istruire i bambini neri, lontano dall’atmosfera pagana, insegnando loro un mestiere che avrebbero potuto esercitare, una volta rientrati nel loro paese. In Francia, questa impresa sa rebbe stata difficile da realizzare a causa del freddo, mentre di ventava possibile in paesi con un clima più caldo. Il Vescovo teneva talmente a questo progetto, che lo menzionò già negli Articles Fondatnentaux 1. Poiché aveva la capacità di organizzare incontri imprevisti, durante i quali si faceva degli amici subito pieni di interesse per la sua opera, aveva in questo modo scoperto a Roma un ex capitano di fanteria, Adolphe Papetart, 1 Cfr. il testo degli A rticles Fondamentaux, redatti da Mons. Brésillac, citati in DMF, p. 228 e segg. Ben presto, P. Planque fini per preferire la formazione dei giovani e degli studenti all’interno dell’ambiente familiare, cfr. la V parte, cap. 17.
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che aveva fatto la guerra in Algeria. Miracolosamente guarito da una grave ferita, Papetart si era convertito e, divenuto prete, si era dedicato al servizio delle missioni. Appena liberato dai suoi impegni precedenti, egli aveva proposto al Vescovo nominato per la Sierra Leone, di organizzare un giro di questue per aiutare la Società 2. Trovandosi in Portogallo ed in procinto di raggiungere la Spagna al momento della morte di Brésillac, P. Papetart offre immediatamente il suo aiuto a P. Planque, col quale è già molto legato3. Insieme decidono di trovare un luogo dove aprire il col legio desiderato dal Fondatore. Optano per l’Andalusia, poiché un antico convento di monaci agostiniani presso Cadice è stato messo a loro disposizione. Ma essi vi vogliono aggiungere un seminario, perché contano di vedere crescere «le solide vocazioni della cattolicissima Spagna» 4, che la presenza dei piccoli Dahomeani non mancherebbe di attirare, soprattutto in un momento in cui i conventi maschili sono appena stati soppressi nel paese. P. Planque sogna anche un’opera di persone affiliate, che per metterebbero di avere dei fondi per il sostentamento dei bam bini5. Il Cardinale Barnabò è d’accordo, come anche il governo di Madrid, il quale concede le necessarie autorizzazioni6. Ma poiché le cose vanno per le lunghe, con un’evidente mancanza di buona volontà da parte dei ministri interessati, Papetart rinuncia a Cadice e si stabilisce a Puerto del Reale, non lontano da lì, dove non c’è bisogno di alcuna autorizzazione, tranne quella del Vescovo di Cadice 7. Nel Dahomey, tuttavia, Borghero si mostra reticente, sensi 2 «P . P ap etart è venuto per acco rd arsi con m e » , Journal 1856-59, pp. 56-57. 3 L. PI. a B résillac, 2 1.1 .1 85 9 c 22.2. 1859. P apetart c P lanq ue avevano già abboz zato un prim o pro getto per Siviglia, m a non riuscì. 4 L. PI. al C ard . B arnabo, 17.3 .1 86 0 . I conventi m aschili erano stati soppressi in Spagna verso la m età del XIX secolo in segu ito a dispute religiose. 5 L. PI. ai C on fratelli, 1 8.1 2.18 6 1. « L a sorte d ei bam bini neri sarà reg o lata...». 6 L. PI. al C ard . B arnabò, 2 6 .6 .1 8 6 2 . 7 L. PI. al C ard . B arnabò, 2 2.3 .1 8 6 3 ai C onfratelli, 19.5.1863. P . P apetart sta per lasciare R egia, vicino a C adice, per stab ilirsi n ella stessa regione, a P uerto del Reale.
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bile com’è a tutto ciò che potrebbe somigliare ad una forma di traffico: come imbarcare dei bambini neri riscattati dalla schia vitù senza che ciò evochi il ricordo del commercio degli schiavi? 8 Arriveranno tuttavia i bambini di Whydah e si abitueranno al clima spagnolo senza troppi problemi9. Anche un’altra persona non è d’accordo, il Barone d’Id elo t10, che ha accettato di offrire il trasporto gratuito sulla sua fregata, la Junon, contestando però la scelta del luogo: perché non è stata scelta la Francia? Un gesto di stizza che non turba P. Planque, sempre libero di fronte ai poteri ufficiali e che non tarda a rispondere: è il clima che gli ha imposto la scelta, in Andalusia è più mite che in Francia... tut tavia se il governo vuole fornirgli i mezzi, il Superiore stabilirà volentieri la sua piccola colonia in Algeria 11! Tutto è a posto nella nuova fondazione, dove, dal febbraio 1864, tre suore dell’Angelo Custode sono venute da Montauban per assistere Papetart12, come pure due Padri spagnoli, Sarra e Olivero. Ci sono già stati dei battesimi e la casa si prepara ad accogliere una trentina di nuovi ospiti. Il Superiore è soddisfatto, sebbene l’epidemia di vaiolo 13 - alla quale sono sfuggiti i bam bini - sia costata la vita ad una delle Suore. Ma nulla va più per il verso giusto quando, nel maggio 1865, 8 L. PI. a Papetart, 14.12.1861. Borghero invierà dei bambini, ma rimarrà scettico e preoccupato. 9 L. PI. al Card. Barnabò, 10.5.1863 e ai Confratelli, 17.6.1863. Arrivo dei bambini il 16 maggio accompagnati da Sarra e Fialon. Per loro ci sarà bisogno «di cure scrupolose per compensare la perdita dell’abbondante traspirazione cui erano abituati nel Dahomey». 10 II Barone d’Idelot era il comandante della stazione navale francese sulla Costa della Guinea. Servizievole nei confronti dei Padri, «egli ha promesso di aiutarli eserci tando tutta la sua influenza e se si ammalano, li condurrà a Gorée, riportandoli indietro dopo un periodo di riposo». L. PL. al Card. Barnabò, 24.11.1961. Ma su questo punto espresse il suo disaccordo. 11 L. PI. al Ministro della Marina, 16.12.1863: «Non ascolterò il Contrammiraglio d’Idelot nel rimprovero che mi fa di educare bambini neri in Spagna. Si tratta di un problema climatico e finanziario.» 12 Sulle Suore dell’Angelo Custode, si veda più avanti, la III parte, cap. 8. Cfr. L. Pi. ai Confratelli, 19.2.1864: «Ho appena inviato le Suore a Puerto del Reale sotto l’egida di P. Brossard.» 13 L. PI. al Card. Barnabò, 24.12.1863 alla Propaganda Fide, 18.3.1864 e a P. Bor ghero, 21.1.1864. Sul vaiolo, cfr. L. PI. ai Confratelli, 19.11.1864.
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Borghero, in viaggio verso la Francia, si ferma a Puerto per con durvi altri dodici bambini. Il Padre di Whydah - del quale ve dremo in seguito i grossi problemi - è scontento di tutto, critica l’organizzazione della scuola, lamenta una certa negligenza nei confronti dei bambini, dei quali egli è responsabile di fronte alle famiglie. Le sue osservazioni sconvolgono e scoraggiano P. Papetart che, già malato e spossato, alle prese con difficoltà finan ziarie, vorrebbe lasciare tutto in mano agli Spagnoli14. Il Supe riore di Lione si oppone fermamente a quest’idea. Tutti questi malintesi non fanno che accelerare la partenza dei bambini per l’Algeria, dove i Gesuiti, già interpellati, si di chiarano pronti a ricevere il piccolo gruppo nella loro casa di Bouffarik, vicino ad A lgeri15. Nel giugno seguente i bambini lasciano Puerto e, ben accolti dai loro nuovi maestri, cominciano presto a dar loro ogni soddi sfazione 16. Ma il Superiore generale non ritenterà più l’esperi mento, e i successivi ritorni degli alunni in Africa - scaglionati tra il 1867 e il 1870 - segneranno veramente la fine di un’e sperienza 17. Tuttavia la parentesi di Algeri incoraggia i missionari ad adattarsi anch’essi a questo tipo di educazione umana e spiri tuale, che hanno apprezzato presso i Gesuiti e che permetterà loro di puntare alla formazione di una élite africana. «Noi vi attribuiamo molta importanza, aveva dichiarato P. Planque, perché questo tipo di scuola sarà un vivaio di catechisti e sacer doti con cui faremo nel Dahomey e nelle Missioni ciò che non 14 L. Pi. al Card. Barnabò, 6.6.1865. «Papetart pensa che gli Spagnoli avrebbero maggiori possibilità dei Francesi di trovare delle simpatie e di riuscire in Spagna». 15 L. Pi. al Card. Barnabò, 4.4.1866. La partenza per Bouffarik avvenne il 26 giugno 1866. A diverse riprese, il Padre si era già interrogato suiropportunità di inviare dei bambini in Algeria ed anche di aprire una casa della Società: cfr. L. Pi. ai Confratelli, 18.3.1863 e al Card. Barnabò, 22.3.1863. 16 L. PI. al Card. Barnabò, 10.2.1867. «Il Padre Superiore di Bouffarik è molto contento dei giovani Neri. Pensa che bisognerebbe avviare una scuola permanente per i nostri bambini in Algeria. Vorrei collegare questo problema a quello dei nostri missionari che non possono più sopportare il clima del nostro attuale Vicariato». 17 L. PI. a P. Verdelet, 20.2.1867. Si doveva continuare l’esperienza di Bouffarik, che pur sembrava difficile e costosa? D’altra parte, il Padre desiderava sempre di più che i bambini fossero cresciuti nel loro paese, o almeno in una casa della Società.
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potremmo neanche sognare di intraprendere se avessimo solo preti europei» 18. Allo stesso tempo, il trasferimento dei Neri provoca la fine della missione in Spagna, poiché il seminario, che si era aperto insieme alla scuola 19, in vista di vocazioni spagnole che si era certi di ottenere, sta diventando anch’esso una causa di conflitti. I nuovi Aspiranti di Cadice e di Puerto del Reale, infatti, si tro vano bene nel loro paese... e non hanno affatto voglia di andare a Lione. Ora, sarebbe stato conveniente che essi vi avessero tra scorso almeno il tempo del noviziato e si fossero preparati al giuramento con gli altri seminaristi della Società. Ancora più grave è il loro rifiuto di dipendere dal seminario di Lione e di considerarlo come casa-madre. La reticenza che essi manifestano nei confronti delle proposte del Superiore generale denota una tendenza nazionalista talmente esclusiva, una volontà d’indipen denza così assoluta che rischia di «scindere l’Opera in due» 20. P. Planque non può accettare tutto questo: egli vuole, infatti, «creare ed affermare un’opera delle Missioni Africane che sia veramente “cattolica” e non esclusivamente francese, un’opera in cui i membri non abbiano stretto tra loro soltanto dei legami di amicizia fraterna, ma “quel vero spirito della Società...”, che Brésillac desiderava». Vi sono qui due punti di vista incompatibili, che si scontre ranno fino alla rottura. Gli Spagnoli continuano a reclamare un seminario riservato a loro, con Papetart in qualità di Superiore «perché egli è francese soltanto di nascita!», dicono 21. I tentativi 18 L. PI. a P. Régis, 26.12.1861. Era uno dei piani del Padre, come di Brésillac: nulla sarebbe stato fatto senza il laicato, il clero ed i religiosi indigeni. I missionari erano là per aiutarli a formarsi... 19 L. PI. a Papetart, 14.12.1861: «L ’idea di un seminario in Spagna porterà risultati preziosi...». L. Pi. ai Confratelli, 18.12.1861: «Tuttavia non si tratta di due organizzazioni separate» (cioè la Spagna e Lione). 20 L. PI. a P. Borghero, 20.1.1863. «M i preparo a qualcosa di più di una semplice lotta contro il nazionalismo spagnolo, che tenterà di assorbire la nostra Opera, facendone un’opera esclusivamente spagnola». Cfr. L. PI. ai Confratelli, 17.6.1863, a P. Borghero, 20.5.1864 e numerose lettere tra il 1862 e il 1864. 21 L. Pi. al Card. Barnabò, 26.5.1864: «P . Papetart stesso fa di tutto per far dimen ticare di essere un francese».
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di integrazione da parte di alcuni di loro alla casa di Lione si sono rivelati tutti degli insuccessi. Quando era ancora vivo il Ve scovo Brésillac, tre religiosi spagnoli venuti in Francia erano ri partiti quasi immediatamente, scoraggiati senza un serio mo tivo22. Le esperienze che seguirono non portarono nulla di più. Ma questi giovani, piuttosto poveri di slancio missionario, diso rientati nelle loro idee limitate, lo sono ancora di più per le infor mazioni ricevute a Cadice prima della loro partenza, informazioni inesatte, per non dire false. Così, quando gli ultimi, un prete, un diacono ed un fratello laico, giungono a Lione, “queste nuove teste spagnole”, secondo il giudizio di Planque, sembrano sì vi vere con i Francesi, ma hanno delle idee sbagliatissime sul fun zionamento della Società e non mancano di far sapere che sono stati imbrogliati23. Bisogna purtroppo ammettere che Olivero non è estraneo a tanti intrighi ed errori. Egli ha voluto far brillare agli occhi dei suoi giovani compatrioti la possibilità di un noviziato autonomo, di una futura provincia spagnola interamente indipendente, cui la casa di Lione sarebbe piuttosto subordinata. Ciò che inquieta ancora di più P. Planque, è che Olivero ha dipinto la missione «con colori completamente falsi». Se è bello qualche volta fare della poesia, l’entusiasmo diventa malsano se non è accompa gnato dalla verità. Snaturando l’opera, presentandola sotto l’a spetto della facilità e della riuscita garantita, «Olivero ha com messo molti errori e causato profonde delusioni» 24. Che vi sia un seminario a Cadice, e che Francesi e Spagnoli vi si ritrovino per terminare insieme i loro studi teologici e cano nici, è una eventualità che il Superiore è lungi dallo scartare. Ma perché un noviziato separato, se il giuramento si fa in Francia? Sicuramente Roma non accetterebbe la richiesta. P. Planque ri pete instancabilmente che è indispensabile prevedere tra i giovani 22 L. PI. a Papetart, 6.11.1862. Otto giovani inviati da Olivero, senza una vocazione ben precisa, erano tutti ripartiti con la sensazione di «essere stati gabbati». 23 L. PI. a Papetart, 19.7. e 23.7.1864. Cosa significava nel pensiero di Brésillac il titolo di «Vicario generale», che egli attribuì una o due volte a Papetart, nel suo diario o nelle lettere? Non è molto chiaro... Cfr. Le G allen, op. cit., pp. 540-541. 24 L. PI. al Card. Barnabò, 26.5.1864 e a Papetart, 6.11.1862.
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dei due paesi dei contatti prolungati, perché tutti possano acqui sire «il rispetto di una stessa disciplina, uno stesso attaccamento alla casa-madre di Lione, cui ogni membro deve rimanere le gato», qualunque sia la sua nazionalità. «Come si vivrà insieme in missione, se si viene formati separatamente e se non si è impa rato a conoscersi, a comprendersi, ad apprezzare le differenze di comportamento e di carattere... Io sono moralmente certo che ci saranno molti problem i...»25. I problemi del clima, della lingua, dei modi di vivere, rappresentano degli ostacoli che, per quanto reali, sono tuttavia secondari e non potrebbero fermare vocazioni autentiche. Per dare prova di tutta la sua buona volontà, il Supe riore vuole accogliere a Lione un professore spagnolo per inse gnare la teologia agli studenti francesi2<s. Le lunghe lettere del Padre, per quanto amichevoli e persua sive, non riescono ad impedire l’aumento della tensione tra lui e Papetart. Quest’ultimo, infatti, si è lasciato prendere la mano nel “gioco” degli Aspiranti, tanto più che questi non vogliono altro Superiore all’infuori di lui. Per questo motivo, durante l’inverno 186.3-64, egli consiglia a P. Planque di rinunciare al suo progetto di un viaggio in Andalusia «perché la sua presenza ferirebbe la suscettibilità nazionale» 27. P. Planque ne rimane sorpreso e fe rito, perché ha sempre riposto fiducia nel suo collaboratore, che considera designato a rinsaldare i legami tra le due case 28. Lascia trasparire, tuttavia, un dubbio e si domanda se Papetart adempia sempre alle sue promesse. In qualche lettera non esita a disap provarlo 29. Il malinteso si aggraverà all’arrivo di Borghero. Come già detto, egli è piuttosto ostile alla scuola di Puerto e allosradica mento dei bambini che essa provoca, inoltre non ha moltavoglia di sostenere l’azione di Papetart, né il nazionalismo dei suoi 25 L. PI. a P . B orghero, 2 0 .5 .1 8 6 4 e diverse lettere a P apetart c al C ard. B arnabó tra tebbraio e luglio 1862. 2,1 L. PI. al C ard . B arnabò e a P ap etart, citate in n. 24. 2/ L. PI. a P ap etart, 17.5.1864 e al C ard . B arnabò, 26.5.1864. 28 L. PI. a P ap etart, citata in n. 27. 28 L. PI. a P ap etart, 2 0.8 .1 86 3 . Il S u p erio re disapprovava alcune id ee del suo C onsi gliere che nuocevano a ll’unione: «A b b iam o cam m in ato fianco a fianco - diceva - e non uno dietro l ’a ltro ».
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studenti. Tuttavia trova rapidamente delle ragioni per cui ricono scersi nel loro linguaggio e aderire alle loro rivendicazioni. Dal canto suo, Borghero sa che il fatto di essere italiano gli ha già procurato in questi quattro anni tante piccole diffidenze da parte di qualche funzionario francese o allusioni non molto benevole persino da alcuni Confratelli30. Ma se da un lato porge orecchio alle idee d’indipendenza nazionale, d’altro canto è ancora più attento alle delusioni di Papetart - perché sono anche le sue nelle relazioni con P. Planque. Di fronte alle difficoltà quoti diane, i due uomini sono, almeno momentaneamente, in con flitto con colui che è il loro capo ed al quale contestano soprat tutto la mancanza di esperienza in questo campo e il diritto - che tuttavia gli spetta - di arbitrare tutti i conflitti. Comprendiamo da tutto questo come mai l’incontro di Puerto non riuscì a sollevare il loro morale, perché ognuno si trovò col proprio fardello gravato con il peso dello sconforto del l’altro. E P. Planque non si sbagliò. Egli si rammaricò molto di non aver potuto raggiungerli come sperava: «Sono dovuto re stare a guardare - scrisse - mentre Borghero vi scoraggiava...» 31. Per ciò che riguarda Papetart, le cose non tarderanno a met tersi a posto ed il Superiore di Puerto ritroverà delle ragioni per vivere in mezzo ai suoi ventiquattro “negretti” 32. Dopo il tra sferimento della scuola, egli sarà di nuovo libero di riprendere i suoi giri per le questue. Quando si apre la casa di Nizza, che lui stesso ha contribuito a pagare, ne diventa il primo responsabile. Ed è a Nizza che nel 1877 muore colui che fu, secondo le parole di P. Planque: «... un grande lavoratore nella Società sin dagli inizi, il quale ha ben meritato che i suoi Confratelli conservassero di lui un bellissimo ricordo» 33. Chiuso il Seminario, in Spagna rimane soltanto il pensionato 30 Lettera di P. Borghero al Card. Barnabò, 12.8.1865: «Bisognerà che un Supe riore della missione sia francese». - Cfr. la IV parte, cap. 13, il punto di vista di P. Planque. 31 L. PI. a Papetart, 22.8.1865. 32 L. PI. al Card. Barnabò, 7.10.1865. La parola “négrillon” (negretto) non è affatto dispregiativa, ma piuttosto paterna. Idem per “nègre” (negro). 33 Sulle parole di Papetart, cfr. L. PI. a P. Durieu, 15.5.1877, a P. Gaudel. 20.5.1877 e a P. Moreau, 20.5.1877.
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delle ragazze, che era stato creato per rispondere alle richieste dei benefattori. La sua direzione sarà mantenuta dalle Suore del l’Angelo Custode34. Ecco dunque bloccata per un po’ la diffusione delle Missioni Africane in questo paese. Si è creata una rottura incresciosa, che ha causato una vera delusione a coloro che non hanno potuto evitarla. Tuttavia, come tanti altri insuccessi, anche quello di Ca dice non ha nulla d’irrimediabile, nel senso che lascia una porta aperta per il futuro. Alcune vocazioni continueranno a giungere da quella zona, nell’attesa che, negli anni 1880, un seminario venga aperto di nuovo a Bugedo, nella diocesi di Burgos, per ricevere i giovani di Lione 35. Tutti questi conflitti hanno dimostrato che la Società ci tiene molto a diventare «cattolica», secondo quanto è scritto non solo nei documenti della sua fondazione, ma anche nelle prime pagine della sua storia. Lo storico Cornevin non manca di ricordarlo con humour: «G li inizi di questa Missione nel Dahomey, che co stituisce una delle testimonianze più ragguardevoli del cattolice simo francese nel mondo, furono assicurati da un Italiano e da uno Spagnolo, aiutati da ausiliari “brasiliani”» 36... Ma se si vuole accogliere «gente di ogni nazione», bisogna pagare un prezzo. Tutti i membri, da qualsiasi parte vengano, devono percorrere lo stesso cammino, prima di accettarsi come fratelli attraverso le differenze dei loro caratteri, e costituire un «corpo». Ecco, dunque, la parola chiave, quella che deve aprire lo spirito d’accoglienza delle culture e delle civiltà che giungono da lontano. P. Planque sa che neppure lui è spontaneamente aperto a questo cambiamento di mentalità. Ma è questa la strada su cui vuole continuare ad avanzare con decisione e con tutti. Nel caso della Spagna, bisognava in quel momento adottare un’altra linea di condotta, prendere altre misure, con il rischio di 34 Le Suore dell’Angelo Custode continuarono a lavorare in Spagna anche dopo la separazione tra i due Istituti. 35 Sul seminario di Bugedo, si veda la IV parte, cap. 12; L. PI. al Card. Simeoni, 30.10.1880 e 26.12.1880. 36 Cfr. H istoire du D ahom ey, op. cit., p. 298.
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cadere nell’ambiguità e nel compromesso? È chiaro che P. Planque si è sforzato di allontanare sin dagli inizi il pericolo della divisione, «preferendo non accogliere gli Spagnoli finché le rela zioni con loro non fossero stabilite chiaramente»37. Con questa misura egli voleva offrire alla Società una garanzia di coesione per il futuro. Avrebbe potuto fare una scelta migliore...?
2. Un testo che fa problema
Mentre i seminaristi spagnoli rifiutano una situazione di di pendenza nei confronti della casa-madre di Lione, un’altra forma di contestazione sta nascendo in Dahomey, dove la missione ha appena preso piede - una contestazione che fa presagire quelle più gravi degli anni futuri. Bisogna tornare alla morte rapida ed imprevista di Brésillac, poiché questa è stata la causa responsabile del carattere incom piuto che ha segnato le prime tappe della fondazione. E proprio con il termine incompiuto che bisogna definire questo testo, ossia gli Articles Fondamentaux (Articoli Fondamentali), che il Ve scovo voleva dare alla nuova Società come sue Costituzioni. Senza dubbio questi metteva in conto un certo periodo di ro daggio prima di farne una redazione definitiva, ma egli non po teva prevedere che invece ne avrebbe lasciato soltanto una bozza incompleta, tanto meno che al suo successore sarebbe mancata l’autorità indiscutibile e debitamente riconosciuta, che potesse farne accettare le interpretazioni e i cambiamenti38. «La delicatezza del compito di P. Planque sta nel fatto che nulla, all’interno della Società, è ancora regolato in modo com pleto» 39. Non vi è ancora né una vera formazione sull’Africa, né un’esperienza o tradizione missionaria. Tutto è nuovo, anche gli uomini ed il loro lavoro. «N e conseguono dei brancolamenti, dei 3‘ L. PI. a P. Borghero, citata in n. 25. Si veda la IV parte, cap. 14: lo stesso difficile problema d’integrazione si ripresentò con gli Irlandesi. 38 Si veda la II parte, cap. 5. Dalla morte di Brésillac, Propaganda Fide aveva rico nosciuto P. Planque come legittimo successore, anche se non fece alcuna dichiarazione ufficiale. 39 Cfr. Un grand Africain, op. cit., p. 84.
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tentativi, delle soluzioni temporanee che bisogna spesso improv visare» 40. Le difficoltà cominciano quando i giovani Padri, giunti a Whydah per rinforzare il primo gruppo, manifestano, come hanno fatto gli Spagnoli, il loro desiderio di gestire gli affari a loro modo. Ma bisogna anche comprendere - ed è questa, al meno in parte la loro scusa —che alcuni tra loro appartenevano, prima del loro ingresso nella Società, al cosiddetto clero secolare. Membri di una diocesi, essi erano legati al loro vescovo da una generica promessa di obbedienza e godevano di una certa libertà di disporre delle loro persone e, ancor più, dei loro beni. Questi Padri non sempre avevano preso molto seriamente la Risolu zione, secondo cui essi sarebbero impegnati a perseverare nella Società fino alla fine della loro v ita41. E vero che questa solenne Promessa non è un voto, e che la Società non ha nulla di una Congregazione religiosa 42. Planque giunge addirittura a scrivere che «per formare un clero secolare, nulla conviene di più che dei preti essi stessi secolari»43. Ora, questo è proprio uno dei fini delle Missioni Africane: formare un clero secolare africano. Ma i due Fondatori ci tengono molto anche alla costituzione di una società solida, omogenea, con uomini responsabili che, entrando a farne parte, accettano di seguirne il regolamento stabilito. Gli Articles Fondamentaux sottolineano precisamente che «gli Aspiranti non saranno affatto ammessi, se in essi sarà evidente un forte spirito d’indipendenza...»44. Quando Lafitte scrive: «Se sapeste quanto poco importa a noi tutti la Risoluzione solenne...»45, la disinvoltura e la legge 40 Cfr. op. cit., in n. 39, p. 84. 41 Cfr. A rticles Fondamentaux, DMF, p. 221. 42 Planque, come Brésillac, ci teneva al suo carattere “secolare” (A.F., p. 221). Sembra che entrambi abbiano voluto evitare «la pesantezza di un Istituto e del suo spirito di corpo, che rischiava di strozzare lo sviluppo delle Chiese locali» (Dalle Causeries sur le Fondateur, notes Douau, AMA). 43 Si esprime qui con le stesse parole del fondatore. 44 Cfr. A rticles Fondamentaux, p. 221 e la lettera di Brésillac a P. Planque, 18.6.1859. 45 Lettera di P. Lafitte a P. Planque, 3.10.1862: «Nessuno di noi si ritiene legato ad alcunché». Uscito dalla Società, Lafitte chiese di essere riammesso, ma Barnabò si op pose.
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rezza dei suoi discorsi non incontrano sicuramente l’unanimità tra i Confratelli. Ma questi, dal canto loro, hanno rispettato tutti i loro impegni? Più di uno ha già lasciato la Missione per tornare in Francia o in Spagna senza avvisare nessuno. I regolamenti, invece, non permettono il rientro dall’Africa a proprio piaci mento, perché i ritorni sono fissati d’accordo con Lione. Un altro punto molto “caldo”, che oppone il Superiore ai suoi missionari, è quello delle risorse. La vita di comunità ri chiede che - al fine di vivere la condivisione in maniera fraterna - nessuno conservi interamente per sé il denaro proveniente dalle offerte delle messe o da altre funzioni. Ma nella casa di Whydah si è già fissata come regola quella del ciascuno per sé, lasciando alla Propaganda Fide il compito di alimentare le casse della Missione. Ora, questa scelta sembra essere stata autorizzata da Borghero. Imbarazzato e infastidito, sicuramente... ma avrebbe potuto opporsi? Tutto questo dà un’idea della sua dif ficile posizione tra i Confratelli, e dell’assenza evidente di fer mezza nel suo governo... A tal proposito P. Planque ha buone ragioni per lamentarsi: «E increscioso che questo caro Confra tello abbia ceduto su questo punto a delle sollecitazioni, di cui certamente non ha misurato la portata...» 46. Ma la fermezza non manca affatto al Superiore generale. Di fronte alle spaccature e alle trasgressioni che si moltiplicano, egli spera di ricondurre i Padri ad un sistema di vita conforme al regolamento della So cietà. Invia dunque numerose lettere a molti, con lunghi com menti, senza temere di ripetersi - e nello stesso tempo si rivolge a Barnabò 47. E costretto a constatare - poiché è abbastanza lucido per comprendere la situazione - che un clima di piccole incompren 46 L. PI. al Card. Barnabò, 2.8.1863. Cfr. in Le sacrifice d e P. Borghero, citato in n. 107, questo giudizio di P. Schoenem su P. Borghero: «L ’estrema delicatezza del Padre diventava debolezza presso il “Superiore”, egli sa di essere debole nei confronti dei Con fratelli, ne soffre ma non sa tenere loro testa...». Sulla questione delle offerte delle messe - regolata da Mons. Brésillac negli A rticles Fondamentaux - si veda DMF, p. 226, 2 paragrafo e nota 7 di J. Bonfils. Si veda anche la V parte, cap. 16. 47 Su tutti i punti di discussione, offerte delle messe, rispetto degli impegni, ecc. ecc., si vedano le lettere a P. Borghero, da febbraio a settembre 1863, al Card. Barnabò, 10.5. e 2.8.1863.
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sioni si sta diffondendo nel Dahomey. Alla base di questa agita zione, è la sua autorità di Superiore ad essere messa in discus sione. Può essere riconosciuto come capo quando le sue direttive sono discusse, passate al setaccio, seguite pochissimo, per non dire, rifiutate? 48 E di nuovo Lafitte ad obiettare con molta im pertinenza: «Perché non seguire l’esempio del Fondatore?...» 49. Planque sa bene che gli opporranno sempre colui che, per la sua esperienza maturata tra i popoli dell’India, comprenderebbe immediatamente - così credono i Padri - le difficoltà dei primi insediamenti nel Dahomey... C ’è un altro paragone che non va a suo vantaggio: Brésillac si era conquistata una reputazione di grande cordialità nelle relazioni con i Confratelli, parlando di tutto con benevolenza e cortesia. Dove c’era bisogno di un polso di ferro, egli era in grado di ricoprirlo di velluto, una capacità che Augustin non possedeva - o comunque ne aveva molto poca. Era pur vero, tuttavia, che anche il Vescovo, e più di una volta, aveva mostrato intransigenza e severità, raccomandando persino allo stesso P. Planque 50 di usare fermezza. Non sempre i giovani Padri sanno questo quando, per opporsi all’autorità del Supe riore, si rifanno a Brésillac. Pochi, infatti, sono quelli che lo hanno conosciuto, e comunque anche questi non hanno avuto il tempo e il distacco necessari per apprezzare i suoi metodi51. Continuano, quindi, a reclamare l’autonomia per Borghero, il capo della Missione - colui che il Cardinale Barnabò ha voluto nominare soltanto «ad interim »52 appunto con lo scopo di la sciare piena libertà a P. Planque di organizzare tutto il resto per i primi bisogni. Per calmare gli spiriti, il Superiore decide di andare dritto al 48 In W est A frica, op. cit., p. 88, P. Gantly riconosceva che un’autorità forte, indi scussa era veramente ciò che mancava a P. Planque. Questa debolezza nell’esercizio delle sue funzioni divenne un serio pericolo di frattura. 49 Lettera di Lafitte a Planque, citata in n. 45. Cfr. L. PI. a P. Courdioux, 18.2.1863. 50 Lettere Brésillac a P. Pi., 29.6.1857 e 18.6.1859. 51 I soli ad aver conosciuto Brésillac erano P. Borghero, entrato nelle Missioni Afri cane nel luglio 1858, e P. Courdioux nel settembre delle stesso anno. 52 L. Pi. a P. Borghero, 18.5.1863. Il titolo di “Superiore ad interim” è precario e provvisorio. Questi non è un “Superiore maggiore”...
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cuore della questione e pensa che sia giunto il momento di redi gere delle vere Costituzioni, rispetto alle quali gli Atti fondamen tali, che le sostituiscono provvisoriamente, sono una base sicura, ma incompleta. Brésillac, infatti, aveva pensato di «creare la sua Società sull’esempio delle Missioni Estere di Parigi», anche se con qualche modifica. «Noi manterremo - scriveva ad un Padre, suo amico —tutto ciò che un’esperienza di una dozzina d’anni ha mostrato essere eccellente e modificheremo ciò che ci sembrerà difettoso»53. Egli desidera soprattutto prendere le distanze e se gnalare il suo disaccordo con il loro metodo di governo, dove manca «una direzione ferma e regolare». «E un corpo senza testa - diceva. - Le Missioni sarebbero impossibili se - pur es sendo soltanto in due - non ci fosse uno a fare il capo ed a decidere quello che c’è da fare» 54. Su questo punto, P. Planque è formale, tale era la volontà di Mons. Brésillac: «Posso affer marlo con piena cognizione di causa, essendo stato con lui sin dal principio e avendo ricevuto completa comunicazione di ogni suo progetto e di ogni sua id e a »55. «Egli mi ha lasciato delle note molto ampie che aveva avuto cura di sviluppare nelle sue conversazioni intim e»56. È vero che, così com’è descritto negli Articles Vondamentaux, il ruolo del Superiore generale rimane confuso e non può che provocare conflitti57. «In mezzo a tutto ciò che è incompleto nelle nostre Regole - egli scriverà - co nosco tutte le difficoltà della mia posizione». Ma «fortunata mente - potrà aggiungere - io mi comporto sempre secondo le idee di Brésillac» 58. Appare chiaro che un simile lavoro sulle Costituzioni non potrà farsi senza l’accordo di Propaganda Fide, che ne garantirà eventualmente i cambiamenti. P. Planque parte dunque per 33 Lettera Brésillac a P. Viati, 15.1.1856. 34 Lettera Brésillac a P. PI., 29.6.1857. 33 L. PI. a P. Courdioux, 18.2.1863: «D ’altronde, non ho la pretesa d’imporre delle condizioni che il nostro Venerato Fondatore non ha poste ed ero ben lieto che l’autorità della Santa Sede confermasse ciò che Mons. Brésillac aveva stabilito nella sua lunga e saggia esperienza». 36 L. PI. al Card. Prefetto Simeoni, 8.7.1886. 37 Dalla nota 6, p. 222 in DMF, op. cit. 38 L. PI. a P. Courdioux, 19.9.1863.
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Roma, dove «in ventun giorni di lavoro, redigerà il nuovo testo, approfittando della presenza di un esperto, messo a sua disposi zione per evitare di allontanarsi dalle norme del Diritto». Ogni sera, fa il punto con il Cardinale Prefetto 59. Tuttavia Propaganda Fide, che ha presieduto in qualche modo a questo lavoro, non vuole riconoscerlo immediatamente in maniera ufficiale, accor dandogli prima un periodo di sperimentazione. Sarà il Cardinale de Bonald che, in qualità di Ordinario di Lione, darà la prima approvazione 60. D’ora innanzi - in base alla seconda redazione - il Superiore generale dovrà avere autorità su tutti e dappertutto, nel semi nario di Lione come anche nei territori africani. Questo significa che la Missione è affidata alla Società e non a colui che, in un determinato territorio, è designato sotto il nome di Superiore maggiore, ossia il Vescovo Vicario apostolico. Ma le Missioni Africane non hanno alcun vescovo e dovranno attendere degli anni prima di averne uno. Monsignor de Brésillac l’aveva capito quando, agli inizi, scriveva: «...aspettando che la Società si sia costituita veramente, ci si sforzerà di avvicinarsi, per quanto pos sibile, alla lettera e allo spirito che hanno ispirato gli Arti coli...» 61. Facendo riferimento ad una regola già comunicata ai Padri Maristi, che avevano conosciuto le stesse difficoltà, era abba stanza normale che Propaganda Fide raccomandasse l’unità di governo, volendo garantire in questo modo la coesione tra i membri in qualsiasi luogo si trovassero. Tutti i problemi non erano però risolti, perché alcuni missionari accusarono in seguito P. Planque di aver trasformato gli originari orientamenti di Bré sillac. Ma come avrebbe potuto farlo senza attirare l’attenzione di Barnabò, «il vero protettore della S.M .A .»?62 «Non cambiare o innovare nulla nella Regola del Fondatore», questa era la mis 59 L. PI. al Card. Prefetto Simeoni, citata in n. 56. 60 L. PI. a P. Bénin, 20.1.1865. 61 Si veda A rticles Fondamentaux, DMF, pp. 229-230. Si noterà qui che Brésillac chiamava con l’espressione “Superiore maggiore” il Vicario apostolico con funzione epi scopale o semplicemente il Prefetto apostolico..., cfr. pp. 221-222. 62 L. PI. ad un Vescovo di Propaganda Fide, cfr. n. 33, cap. 5.
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sione speciale che aveva ricevuto63. E P. Courdioux - che non può essere accusato di compiacenza verso P. Planque - ricono sceva nel rapporto inviato al Cardinale Caverot nel 1878: «E degna di nota la cura straordinaria con cui Planque si è impe gnato a non cambiare nulla (delle regole di Brésillac) se non per decisione e consiglio di Propaganda Fide» 64. La sua nomina nel 1867 a Pro-Vicario apostolico placherà, almeno momentanea mente, il conflitto. Ma gli scontri si ripresenteranno più gravi quando, in modo autoritario, Roma modificherà di nuovo e più profondamente il testo sostituendo le proprie idee a quelle del Fondatore. 3. Il «secondo» Borghero
Una volta terminato il suo giro in Spagna, Borghero è giunto dunque a Lione 65, dove P. Planque lo aspetta con impazienza, come l’amico col quale poter confidarsi liberamente. Insieme, dovranno regolare delle questioni ancora in sospeso nel Dahomey. Ma il Superiore sogna soprattutto di vedere accolto e salutato dappertutto il vero pioniere della Costa della Guinea, il che sarà un onore per lui e per le Missioni Africane. Il sogno si spinge anche più lontano: poiché presto si dovrà dare al Dahomey un Vicario apostolico che sia vescovo, perché allora non tornare alla sua idea originale e offrire l’incarico e la dignità a colui che, per quattro anni, ha dato prova del suo coraggio e della sua efficienza in campo missionario? 66 E certo che, dall’incontro con Brésillac 67, P. Borghero aveva 63 L. PI. a P. Lafitte, citata in n. 47. Lettera del Card. Barnabò a Pi., 29.12.1862: «La Regola di Brésillac segue le direttive della Santa Sede... nessun cambiamento si può fare all’insaputa di Propaganda Fide». 64 Si veda più avanti, IV parte, cap. 12. 65 L. PI. a Verdelet, 20.5.1865. 66 L. PI. al Card. Barnabò, 5.2.1865: «Borghero sembra adatto a ricoprire l’incarico di Vicario apostolico (a caratterre episcopale)» - a P.Jorrintone, a Utrecht, 2.6.1865: «Sarà Borghero che riceverà probabilmente la consacrazione episcopale fra pochi mesi, se riuscirò a vincere la sua umiltà». 67 L’incontro di Borghero con Brésillac sembra essere stato fortuito, nel giugno del ’58 a Roma. Arrivato il 5 luglio, Borghero fece la sua Promessa solenne l’anno dopo, il 25 luglio 1859.
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autorizzato tutte le speranze. Egli veniva da Genova, nato a Ronco Scrivia 68 nel 1830 e aveva studiato in Piemonte. Dive nuto professore di retorica a Subiaco, aveva ricevuto nel 1854 l’ordinazione sacerdotale. Ma come Augustin Planque - e più o meno negli stessi anni - non si sentiva portato per una carriera di professore. L ’Africa l’aveva conquistato ancora prima di cono scerla. Era partito per raggiungerla con tutta la convinzione della sua fede ed un entusiasmo di cui P. Planque sorrideva volentieri, dicendo che «pur non essendo francese, questa “furia” aveva gli stessi atteggiamenti e lo stesso ardore»69. I contemporanei hanno dato testimonianza delle qualità di Borghero, questo pio niere eccezionale, ammirandone la tenacia e l’energia per fare avanzare la missione in paesi nuovi. Dotato di molto acume e di un grande spirito d’osservazione, era subito giunto in maniera sorprendente ad una profonda comprensione dell’Africa e degli Africani, sentiva il bisogno di farsi loro prossimo, di imparare tutto di loro e dei loro costumi70. Come ritrovare allora in questo missionario che torna scorag giato, prossimo a precipitare nel disfattismo, al limite del più nero annientamento, qualche traccia del primo slancio? È lo stesso uomo che si entusiasmava arrivando dal Dahomey e che dichiarava: «Questo popolo è maturo per il Regno di Dio... avrà presto i suoi preti... e che non mi si venga a dire che non c’è niente da fare con gli Africani...»? 71 Da quando è tornato, Borghero non smette di affermare «che non ci si può aspettare nulla dalla Missione, che tutto è coalizzato per scoraggiarla, clima, ambiente, ostilità dei Porto ghesi o dei capi africani, dissapori. Ad ogni modo, la Società sta per scomparire, d’altronde come potrebbe portare un carico così pesante, se non ha ancora assicurato la propria esistenza?...»72. 68 Era nato a Ronco Scrivia, il 21.7.1830. 69 Cfr. Un am i des Noirs, op. cii., p. 75. 70 Cfr. La Croix du Dahomey, luglio 1961, riferito da Douau, in Le Sacrifice d e Borghero, op. cit.. Si veda anche lo stesso documento, un «ritratto» di Borghero, di P. Schoenem, riferito da Douau - e in Un am i d es Noirs, op. cit., p. 75. 71 Dalla lettera di Borghero a P. Pi., 30.9.1861, A.M.A. 72 Fu P. Planque a redigere per Propaganda Fide questo Rapporto piuttosto disin-
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Per giungere ad un tale cambiamento di linguaggio, bisogna che il Padre sia veramente deluso e ferito nel profondo di sé, spos sato dalle lotte sostenute fino a quel momento. L ’ultimo dei suoi insuccessi non è uno dei più piccoli, poiché il forte di Whydah, al quale egli teneva molto, avendo sudato sangue e acqua per ren derlo abitabile, è stato appena ripreso dai Portoghesi73. Ad ac crescere ulteriormente i suoi crucci, vi è anche la prospettiva di perdere l’Andalusia obbligando i bambini ad emigrare più lon tano, in quanto le difficoltà finanziarie in Spagna non permet tono più di mantenere la scuola. Soprattutto rimane il problema spinoso della sua nazionalità - o almeno egli ne è persuaso senza che nessuno riesca a convin cerlo del contrario. P. Borghero infatti si dice certo che di fronte alle autorità ufficiali, ci vuole un Francese per parlare e agire con indipendenza. Lui, essendo Italiano, non si sente al suo posto 74. Lo è di più nella Missione? Sembra che egli vi abbia provato lo stesso disagio dopo l’arrivo degli ultimi Padri. Alcuni - Courdioux tra gli altri - hanno manifestato la loro superiorità senza troppa delicatezza? Tuttavia è stato lui, Borghero, che ha aperto loro la strada... e quando questi si sono sollevati contro l’autorità di Lione, per fare un gesto di conciliazione, egli ha ceduto sulla questione delle offerte delle messe e li ha sostenuti nelle loro rivendicazioni d’indipendenza. Ma d’altra parte, senza soddisfarli completamente, ha attirato su di sé i più cocenti rimproveri di P. Planque. Tutte queste pene messe insieme lo hanno costretto sempre di più in una scomoda posizione. Al seminario di Lione, l’amicizia dei Confratelli e soprattutto quella di Planque sono rimaste senza effetto. Vani tutti i loro cantato sul Vicariato apostolico del Dahomey, 31.7.1865, secondo i dati di Borghero che aveva preferito rivolgere le sue osservazioni a lui e non a Barnabò. Si trovano numerosi testi simili, abbastanza pessimisti: cfr. L. PI. a Pepetart, 22.8.1865 - a Borghero, 2.10.1865 - a Barnabò, 7.10.1865, 29.5 e 3.11.1865. 73 Sulle manovre del Governatore di San Tomé e dei Portoghesi, cfr. L. PI. al ministro della Marina, 21.4. - 16.5 e 2.7.1865 - al Card. Barnabò, 23.4. e 6.6.1865 e a P. Courdioux, 18.5.1865. Ne seguì per i missionari la perdita del forte portoghese. 74 Essendo il Dahomey sul punto di diventare protettorato francese, si sa che la sua nazionalità era il pretesto avanzato da Borghero per dare le sue dimissioni da Superiore. Cfr. n. 30.
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sforzi per far rinascere in lui un po’ di fiducia e restituirgli la pace. P. Planque non capisce nulla del comportamento inatteso di colui che egli considerava come il suo migliore sostegno. E un colpo durissimo, è amareggiato e, ancora di più, sconvolto. Se Borghero avesse ragione, se «il Dahomey fosse veramente il paese più insalubre del mondo, non avrebbe egli avuto torto ad insistere tanto presso Roma perché lo affidassero alle Missioni Africane? Si potrà continuare ad inviarvi dei Padri, se questi do vranno morire senza vantaggio per nessuno?» 75. Sono domande angoscianti che egli pone al Cardinale Barnabò. Nello stesso tempo, confida a P. Papetart i dolori che lo tormentano: «Ci rallegravamo tutti di vedere tornare Borghero, ed ecco che questo ritorno ci porta il contrario di quanto speravamo...»76. Passato il primo choc, Planque si riprende. Tra tutti gli argo menti presentati dallo scoraggiato missionario, ve n’è soprattutto uno che non può accettare: quello di una Società che va spegnendosi. Lui, il Superiore, sa invece «che questa Società esiste ancora, umile e piccola, è vero, ma con numerosi elementi di vitalità» 77. Perciò a tanti discorsi pessimisti che Borghero non smette di diffondere intorno a sé, non bisogna dare troppa im portanza. D’altronde, vi sono altri testimoni che sostengono il contrario, Mons. Kobès in particolare «il quale trova questo modo di parlare particolarmente disastroso» 78. Mentre il missionario non ha altre idee in testa che quella di fare accettare le sue dimissioni, P. Planque, che non vuole an cora disperare per quel cambiamento di linguaggio, cerca di evi tare questa soluzione estrema, sforzandosi con tutti i mezzi lettere, colloqui, diventando ora persuasivo, ora severo o pieno di fiducia - di far sì che Borghero riprenda a sperare nella mis sione che ha tanto servito. Egli supplica Propaganda Fide di avere pazienza prima di giungere ad una risoluzione così grave 79. 75 Rapporto P. PI. al Card. Barnabò, citato in n. 72. Cosa deve fare in presenza di una situazione così dura per i missionari? 76 L. PI. a Papetart, 22.8.1865. 77 L. PI. al Card. Barnabò, 31.7.1865 e 30.12.1865 a P. Borghero, 2.10.1865. 78 L. Pi. al Card. Barnabò, 6.6.1866 e a P. Courdioux, 1.11.1867. 79 L. Pi. a P. Borghero, 12.7.e 20.7.1866, 2.10.1865. Cfr. Rapporto PI. a Propa ganda Fide, 2.1.1868.
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Ma per quanto gli costi, deve comunque accettare di seguire i consigli del Cardinale de Bonald. L’arcivescovo di Lione è del l’avviso di non opporsi più ulteriormente alle dimissioni del Padre. E in gioco lo spirito stesso della Società che rischia di essere perturbato dal malessere che si è introdotto 80. La decisione, per quanto saggia, non porta tuttavia la risposta a quest’altra domanda: come assicurare la sostituzione del Supe riore di Whydah? Chi, tra i missionari presenti nel Dahomey, potrebbe prendere la guida della missione?81 E soprattutto quanto bisogna aspettare per ottenere una nuova nomina? P. Planque ha buoni motivi per temere i tempi lunghi di Roma... Un timore anche troppo giustificato, perché l’attesa sarà lunga, mentre sia nel seminario sia in Africa, col passare dei giorni, cre scono l’inquietudine ed anche il nervosismo. Tutto rimane in so speso: la situazione di Borghero —e dove trovargli un posto? ma anche quella di Courdioux che, ritornato in congedo, non vuole riprendere la strada del Dahomey prima che le cose siano ben sistemate. Si crea quindi un clima pesante: si giunge persino a domandarsi se Propaganda Fide desideri veramente la soprav vivenza della Società. O forse è lo stesso P. Planque a frenare la decisione di Roma? Ha fatto tutto il possibile per uscire da questa incertezza che paralizza il cammino di tutti? Il Superiore si sforza di rassicurare, moltiplica i suoi inter venti per affermare che la benevolenza di Propaganda Fide è sempre garantita alle Missioni Africane. Ma lui stesso è scon tento. Nella dura battaglia che sta conducendo, Roma non gli rende il compito più facile: «Ve ne supplico, Eminenza - scrive a Barnabò - abbiate pietà dello sconforto in cui siamo. Nessuna delle nostre dure prove ha gettato finora tra noi l’allarme diffuso dal silenzio di Propaganda Fide sulla questione del Dahomey» 82. 80 Su consiglio del Card, de Bonald, P. Planque accettò di parlare al Card. Barnabò, 6.6.1866. 81 L. PI. al Card. Barnabò, 30.12.1865: La questione si pose non soltanto per so stituire Borghero ma per trovare «colui che avrebbe sviluppato la Società e l’avrebbe diretta con più frutto». 82 L. PI. al Card. Barnabò, 5.5.1867: «Sono circondato dalla tristezza, dall’incer tezza e quasi dallo scoraggiamento. Se fossi l’unico in causa, me ne starei tranquillo... ma da ogni parte, mi si fanno domande...».
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In realtà, anche se ogni tanto lui stesso è consultato, tutto deve decidersi tra i due Cardinali, quello di Roma e quello di Lione. Il primo sembra orientato - com’era prevedibile - verso “un capo unico”, un solo responsabile per la Società e per la Missione. Ma si deciderà a nominarlo vescovo? Per lasciare a Roma tutta la libertà nella scelta, P. Planque prende in conside razione la possibilità di dim ettersi83. Questo gesto esprime bene il suo totale disinteresse, ma anche il suo sconcerto. Poiché ha assolto «il compito che la morte di Brésillac e dei suoi Confratelli gli aveva imposto, egli rimette nelle mani dei superiori un’auto rità, che per la sua origine è stata forse giudicata irregolare» 84. Sì, questa è la causa principale del suo dolore: è mai possibile che, dopo aver lavorato tanto e per più di otto anni, la sua fun zione rimanga ancora discutibile? Ci vorranno quasi due anni, dopo l’apertura del dossier, perché si conosca finalmente la conclusione 85. Questa non crea molta sorpresa e P. Planque aveva già dovuto intravedere l’even tualità che, accettando le dimissioni di Borghero, Propaganda Fide gli avrebbe chiesto di essere “quest’unico capo”, responsa bile di tutta l’Opera. Ma di farlo vescovo non se ne parla... riceve soltanto il titolo di Pro-Vicario apostolico... un Pro-Vicario al quanto umile per esprimere la sua sottomissione, ma anche i suoi rimpianti. Perché Roma - egli si chiede - si è lasciata «influen zare dal fatto che è stato un amico fidato del Fondatore», invece di scegliere subito «un uomo nuovo che si sarebbe potuto inve stire del carattere episcopale?» La decisione di Propaganda Fide basterà a «calmare gli allarmismi che agitano gli spiriti»? Egli non ci conta affatto, pensando che sarà difficile «ridare coraggio a coloro che hanno conosciuto la lunga prova dello scoraggiamento e che hanno potuto dubitare della stabilità dell’Opera» 86. In quanto a lui, «ha quasi dei rimorsi per il solo fatto di trovarsi lì, e di essere di ostacolo ad un cambiamento più defini tivo». Tuttavia, «per porre fine alla perplessità di tutti e alle di 83 84 85 86
L. Pi. ai Confratelli, 19.11.1866. L. PI. al Card. Barnabò, 30.12.1865 e 27.1.1867. L. PI. al Card. Barnabò, 15.5.1867. Stessa lettera.
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scussioni, finisce per accettare i titoli e l’incarico che gli sono offerti»87. La Società sta quindi per ripartire... e le nuvole si dissolvono a poco a poco. Il cardinale de Bonald rinnova la sua fiducia e promette il suo appoggio, P. Courdioux riparte, munito dei poteri che fanno di lui il sostituto del Superiore nel Dahomey, mentre i seminaristi si rimettono al lavoro, riassicurati sul futuro della Missione in Africa. Ma vi è una persona che deve sentirsi terribilmente sola ed infelice, con davanti solo il vuoto. Si interroga sul proprio futuro? Spetta a Propaganda Fide di regolare una situazione ogni giorno più intollerabile per Borghero e per tutti quelli che gli stanno intorno. Il Cardinale Barnabò - da tutti conosciuto per la sua energia più che per la sua sensibilità, e certamente preoccupato più del bene comune che della sofferenza angosciata di un mis sionario allo stremo delle forze - approfitta del viaggio a Roma di P. Planque per convocarvi anche l’ex responsabile di Whydah. Questi esita a ripartire immediatamente in missione, ma non si può lasciarlo in seminario, dove demoralizzerebbe e turberebbe gli Aspiranti8S. In un’udienza, che nei ricordi del Superiore di Lione è rimasta particolarmente dura e lacerante, «il povero P. Borghero si sente dire che semina lo scoraggiamento e che deve pensare di utilizzare il proprio zelo in qualche altro posto». «Con suo grande stupore e profondo dolore, deve quindi lasciare la Società»89. P. Planque torna a Lione, solo, con la tristezza di essere stato separato da colui che amava come un amico, «pur contrastandolo»90. Ma era forse possibile un’altra soluzione? «Nessuno può stupirsi di questo epilogo. - dirà Courdioux - Ma 87 Stessa lettera. 88 Sulla questione del ritorno in missione di P. Borghero, si veda L. PI. al Card. Barnabò, 29.5.1867: «Borghero dice di non poter ritornare nel nostro Vicariato finché la missione non sarà organizzata...». Cff. il 3.11.1867 «Gli ho proposto di ripartire in mis sione, ma, senza rifiutare in maniera assoluta, dice che, dopo essere stato superiore, non può ritornare che quando tutto sarà organizzato. Ora, ai suoi occhi, la missione non sarà organizzata finché non si seguiranno le sue idee...». 89 L. PI. a P. Bouche e a P. Courdioux, 19.1.1868. Cfr. gennaio 1888, L. PI. al Card. Barnabò: «Che si conceda a P. Borghero il titolo di missionario apostolico, il che sarà per lui una consolazione nel suo dolore cui io partecipo» (titolo accordato il giorno 11.1.1868). 90 L. PI. a P. Bouche, citata in n. 88.
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è una fortuna che sia stato il Cardinale Barnabò a prendere questa decisione» 91 Francesco Borghero non ripartirà più per l’Africa. Sarà in Italia, a Pisa, a Genova o persino a Roma, e assolverà diversi incarichi... prima di ritornare nel suo paese natale per vivere lì i suoi ultimi anni. La fiducia e l’amicizia tra Planque e lui rimasero intatte sino alla fine della sua vita. Essi non smisero mai di tra smettersi notizie, di scrivere o di incontrarsi nel corso dei viaggi che il Superiore faceva in Italia, e la missione in Africa era sempre al centro dei loro discorsi. «So che state per chiedere altri territori —scriveva Borghero - e questo mi fa molto pia cere» 92. Planque, dal canto suo, stava attento affinché al suo amico non mancasse nulla, avesse una vita dignitosa e ritrovasse se stesso completamente. Certamente il missionario di Whydah non ha mai demeritato agli occhi della Società, che non ha mai smesso di annoverarlo tra i suoi, «come membro in spirito»93. Al pari dei più grandi, il suo nome ha continuato ad essere onorato, come quello del pio niere, il cui tragico destino rimane legato alle ore di sofferenza e di gloria che hanno segnato l’ingresso delle Missioni Africane nel Dahomey 94.
4. L’esilio negli anni 1870-1871
Sono trascorsi anni difficili... ma nell’avvicinarsi agli anni 1870, la Società sembra sulla via della pacificazione e del pro gresso, via via che i precedenti conflitti si calmano. Nel rapporto che P. Planque presenta a Propaganda Fide nel 1868, egli può già fare il punto e, senza nulla nascondere dei problemi vissuti 91 Lettera di P. Courdioux a P. PI. 1868, citata in Le Sacrifice du P. Borghero, n. 192, op. cit. 92 Cfr. lettere di P. Borghero a P. PI. 1.5.1875, 20.10.1883, ecc. 93 E in questi termini che P. Borghero figura nel Necrologio della Società delle Missioni Africane. 94 Alla fine del 1992, la Provincia d ’Italia delle Missioni Africane ha commemorato la morte di Francesco Borghero, deceduto a Ronco Scrivia, il 16.10.1892.
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dal suo governo, presentare un bilancio piuttosto positivo. In Africa, l’evangelizzazione progredisce, il catechismo è assicurato regolarmente ai bambini, agli adulti ed anche ai malati che ven gono visitati dai Padri. Giunto da Couzon nel Mont d’Or, il primo gruppo di Suore Francescane ha raggiunto il Dahomey ed aperto una scuola a Porto-Novo 95. Buone trattative sono avviate per un clero indigeno, grazie ai contatti con Mons. Kobès, che ha già una grande esperienza nella formazione dei giovani Africani che si preparano al sacerdozio96 In questo modo P. Planque potrebbe realizzare i desideri di Mons. Brésillac su un punto che rimane proprio al centro della pastorale missionaria della Società. Infine - ed è un’altra speranza - prende forma l’idea di un primo viaggio del Superiore in Africa, come se la sua nomina di Pro-Vicario apostolico avesse risvegliato in lui - legato ormai da quasi quindici anni al seminario - il desiderio di una vera par tenza. Anche se delle buone ragioni lo trattengono a Lione - i seminaristi cui egli si sforza di essere vicino il più possibile, o anche il nuovo edificio che sta facendo costruire lungo il Cours des Brosses 97 - egli si interroga seriamente sulla possibilità di questo viaggio. La questione è già stata posta al Cardinale Barnabò: «Non dovrei andare a trascorrere un po’ di tempo in mis sione?»98. Se Propaganda Fide fosse d’accordo, un soggiorno nel Dahomey realizzerebbe i suoi desideri. Nello stesso tempo ridarebbe un nuovo impulso all’Opera e rinvigorirebbe la fiducia dei Padri, mettendo a tacere le critiche. E veramente il momento di partire, pensa il Superiore... Mentre l’orizzonte sembra schiarirsi davanti a lui, altri avveni menti concorrono a turbarlo nuovamente. La guerra franco-te desca non è lontana, e con essa, innumerevoli effetti disastrosi per tutti. A Lione, la vita del seminario ne sarà sconvolta per un 95 N el 1868, si ved rà più avanti, III p arte, cap.10. 96 L. PI. a M ons. Kobès, 1 .9 .1867. V i è la necessità d i andare nella fondazione « d i un sem inario e d i religiose indigene. R om a ci tien e m olto ». C fr. anche L. PI. a P. Séquer, 20.9.1867, a P. Bouche, stessa d ata, al C ard . B arnabó, 3.1 1 .1 86 7 , a P. C ourdioux, 17.11.1867 e a P. V erd elet, 19.11.1867. 97 Cfr. cap 5, n. 3. 98 L. PI. al C ard . B arnabò, 15.5 .1 86 7 .
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po’ di tempo, mentre i progetti di P. Planque saranno in parte rimandati, in parte completamente abbandonati. Durante le prime settimane del conflitto, la routine quoti diana non è molto modificata, sebbene il Superiore si dichiari «profondamente inquieto riguardo a un certo numero di Semina risti che potrebbero essere chiamati sotto le armi da un giorno all’altro» Negli stessi giorni, «mette a disposizione del Gene rale comandante della Divisione a Lione, tutto il personale del seminario per il soccorso ai feriti che cominciano a giungere dal fronte» 10°. Con la disfatta tutto cambia bruscamente: i Tedeschi entrano a Parigi e fino a Versailles, e si teme l’invasione. Arrive ranno fino a Lione? E allora che i Lionesi fanno a «Notre Dame de Fourvière», loro protettrice da sempre, il voto al quale si deve la basilica, testimonianza di riconoscenza alla Vergine per aver salvato la città dalla distruzione 101. Ma la proclamazione della Repubblica che segue la caduta di Sedan, è accompagnata ben presto da sommosse che creano di nuovo un clima di paura nelle città più grandi102. A Lione, delle bande senza controllo s’impongono al Municipio ed in quasi tutta la penisola*. Queste ostentano un anticlericalismo molto violento e si mettono a fare perquisizioni nelle case religiose. Dopo aver finito con i Gesuiti e con il convento delle Cla risse 103, gli insorti passano il Rodano e il mattino del 7 set tembre giungono al seminario delle Missioni Africane. Molto ec citati, non rispettano nulla, neanche la bara di un Padre morto il giorno prima e di cui si stanno facendo i funerali104. Bistrattano 99 L. PI. al Card. Barnabò, 15.8.1870: «Un Fratello è già partito, un altro partirà questa sera». 100 L. PI. al Generale comandante della Divisione di Lione, 23.8.1870. 101 L. Pl. a P. Devernoille, 19.9.1873: racconto della festa del giorno 8.9 a Fourvière - a P. Sullivan, 29.5.1896, e al Card. Ledochowski, 1.7.1896: sulla consacrazione della basilica che ebbe luogo il 16.6.1896. 102 La Repubblica fu proclamata il 4.9.1870, dopo la caduta di Napoleone III. * Penisola-, a Lione viene indicata con questo nome quella parte della città che sorge sulla striscia di terra formata dalla confluenza del Rodano e della Saona (N.d.T.). 103 Rispettivamente domiciliati in rue Sainte-Hélène e rue Sala, nel secondo circon dario di Lione. 104 Si tratta di P. François Lecaër, suddiacono, che era morto il 6 settembre. Cfr. il racconto di questa deplorevole scena in Un am i d es Noirs, op. cit., pp. 100-101.
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tutti e costringono gli abitanti del luogo al domicilio coatto con l’interdizione di uscire. Contro questa intrusione e questo comportamento dai modi grossolani, P. Planque protesta inizialmente presso il Sindaco di Lione: «Come si osa tenere prigionieri nella loro casa degli uo mini, il cui compito è di dedicarsi agli interessi della civiltà e deH’umanità?». Stesso intervento, lo stesso giorno, presso il Pre fetto del Rodano cui egli chiede « l’immediata fine di questo in tralcio alla libertà». «Saremo dunque ormai alla mercé del ca priccio e dell’arbitrio del primo capoposto arrivato?» 105. Queste rivendicazioni sono soddisfatte rapidamente. Tuttavia il seminario non può sfuggire alla requisizione: per più di dieci mesi, sarà usato per i servizi della truppa. P. Planque è rara mente preso alla sprovvista, egli ha già predisposto i mezzi per mettere al riparo i suoi seminaristi. Quelli che possono, ritornano nelle loro famiglie o nel seminario della loro diocesi. Per una dozzina di loro, il Superiore ha chiesto ed ottenuto ospitalità presso il collegio delle Missioni Estere di Mill H ill106, presso Londra. Lui stesso, non sentendosi sicuro e temendo per la sua libertà d’azione, lascia Lione per il Sud, ma non tarda a raggiun gere la Svizzera, nel collegio di Friburgo; da dove può facilmente corrispondere con Roma e con l’Africa, per il tramite della nun ziatura 107. Straordinario P. Planque! Fiducia e coraggio non cessano di accompagnarlo, e che cosa potrebbe impedirgli di procedere? Questo periodo in esilio non sarà sprecato. Sin dal suo arrivo a Friburgo, organizza nuovi giri per raccogliere offerte, affinché le Missioni possano continuare a vivere nel caso in cui gli avveni menti privassero la Propaganda Fide delle sue solite risorse. Ma un’altra idea lo assilla, fino a diventare una vera ossessione. Le parole senza pietà di Borghero sui rischi incorsi nel Dahomey, 105 L. PI. al Sindaco di Lione e al Prefetto, 8.9.1870 - Si veda soprattutto il comuni cato che le segue. 106 L. Pi. a Mons. Vaugham, Superiore del Collegio Saint-Joseph per le Missioni Estere, Mill Hill, Londra, 6.9.1870 e al Card. Barnabò, 2.11.1870. 107 L. PI. al Card. Barnabò, citata in n. 105.
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non vi sono estranee. E mentre Lione è ancora sconvolta, egli cerca tutti i mezzi per tutelare la salute dei Padri sempre esposti ai pericoli. La morte di uomini nel fiore della giovinezza non cessa di tormentarlo. Da qualche mese, il suo pensiero si è rivolto verso la Costa d’Oro. Egli crede, sulla base di quanto gli è stato riportato, che in quella parte della costa «dove il mare bagna le rocce, non vi siano acque stagnanti, il che produrrebbe un clima molto meno insalubre. Si dice che gli Inglesi di Lagos vadano a riposarsi ad Accra». P. Planque sogna già una casa di riposo per i Padri stanchi. Come sua abitudine, comincia dunque con l’inviare a Propaganda Fide la cartina dei luoghi, da lui ricoperta con tutte le informazioni che ha potuto raccogliere. In risposta, ottiene ra pidamente l’autorizzazione a stabilirvi una casa di Missione 108. Ma ahimè, il clima in questa parte della costa non è migliore di quello del Dahomey, questo luogo gli costerà caro in Padri e Suore. Ma senza neanche aspettare l’accordo definitivo, ha già ria perto un precedente dossier, rimasto in sospeso in seguito al Concilio Vaticano I e alla guerra, e che avrebbe forse il vantaggio di orientare la Società verso l’Africa del Sud. Due anni prima, nel venire a Roma per prendere parte al Concilio, Mons. Grimley, Vicario apostolico del capo di Buona Speranza, aveva proposto alle Missioni Africane di affidare loro una missione nel suo Vicariato 109. E questa una pista alla quale P. Planque desidera tornare, tanto più che il personale di cui dispone rende possibile stabilirsi al Capo senza tuttavia abbando nare la Costa d’Oro. Infatti, nella Società non mancano gli uo mini. E stata una fortuna per la missione che, in quel periodo di sconvolgimenti, i Seminaristi abbiano retto bene e conservato le migliori disposizioni d’animo. Tornata la pace, entrano due nuovi Aspiranti, che hanno già studiato teologia. In tutto sono una trentina, di cui parecchi già preti. P. Planque vorrebbe approfit 108 Stessa lettera. 109 L. PI. al Card. Barnabò, 15.5.1871: il Superiore fa riferimento alle proposte del Vescovo Grimley, rimaste in sospeso.
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tare di questo periodo felice per le vocazioni al fine di estendere il campo d’azione. Pressato da tutti questi progetti, ha fretta di ritornare a Lione. Tuttavia su consiglio dei suoi amici, si dirige prima in Inghilterra per visitare i suoi a Mill Hill. Poi, tornando in Francia, evita Parigi, dove la Comune è ancora in piena insurre zione 110 e, aspettando che un’ordinanza del Tribunale di Lione costringa la Municipalità ad evacuare il Cours des Brosses, deve chiedere ospitalità al Collegio Fénelon, sul lungofiume Joinville. L’occupazione terminerà nel settembre 1871 111. Dopo quest’anno di disordini e ritardi, il Superiore, aiutato da tutti, si impegna a rimettere a posto il seminario perché sia in grado di accogliere, ai primi di ottobre, gli Aspiranti, felici di ritornare dall’esilio 112. Ma la sua attenzione si rivolge ancora con più forza all’Africa - quella che si augura più favorevole alla sa lute e alla vita dei suoi - come anche all’organizzazione di tutta la Società, ancora fragile.
110 Si è nel maggio 1871. Cfr. L. PI. al Card. Barnabò, 15.5.1871. 111 Quai de Joinville, sulle rive del Rodano ( senza dubbio l’attuale quai Augagneur). Cfr. L. PI. al Card. Barnabò, 15.5.1871 e 9.6.1871: «La nostra casa non ci è stata ancora resa». Più tardi, al Card. Barnabò, 6.9.1871 e a P. Courdioux, 20.9.1871: «Ho ripreso possesso del nostro seminario». 112 L. PI. a P. Courdioux, citata in n. 110. Due lettere del 13.9.1871 al perito sig. Tisseur, testimoniano la risistemazione dei luoghi.
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CAPITOLO SETTIMO
VERSO «U N ’ALTRA AFRICA»
Da quell’interminabile anno di scontri e di incertezze che segue la guerra del 1870, la Francia esce diminuita nel suo terri torio e scossa nel suo prestigio. Gli avvenimenti, che le hanno dato il volto di un paese vinto, si ripercuotono fin nel continente africano. E nello spirito dei capi indigeni si crea un’inevitabile confusione tra gli agenti del governo francese, che momentanea mente ha perso il potere di imporsi o di concludere alleanze vantaggiose in Africa, e i missionari, anch’essi Bianchi, i quali avendo però per scopo l’evangelizzazione e nulla a che fare con l’Impero, non sono rimessi in discussione. A motivo di questo stato d’animo, creato dallo choc della sconfitta, gli ostacoli già incontrati nel Dahomey sembrano molti plicarsi: ostilità più manifesta da parte degli stregoni, intralci al riscatto degli schiavi, spostamenti meno facili, catecumeni sospet tati... Un clima di diffidenza e di piccole difficoltà altera i rap porti, e l’impossibilità di aprire nuove sedi rischia di rinchiudere Padri e Suore nelle tre postazioni allora esistenti: Whydah, Lagos e Porto Novo. Certamente non si tratta affatto di abbandonare il Dahomey che... «resterà sempre la più importante delle nostre Missioni» h Anzi P. Planque vuole, senza indugi, condurre i suoi Padri più lontano. E stavolta, il problema non è solamente di trovare un buon clima «lontano dalle lagune» per ristabilirsi in salute. Egli
1 L. PI. a P. Louapre, 9.8.1876: «...m a il male del Dahomey sta nel suo clima. Quando avremo una o due dimore lontane dalle lagune?».
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deve ad ogni costo evitare un rallentamento dell’azione, il senti mento di inutilità che indebolirebbe profondamente il morale, e sarebbe ancora più grave...
1. In Algeria
Due progetti sembrano già sicuri: la Costa d’Oro ed il Capo. Ma ci si scontra ancora con troppi problemi di giurisdizione e di amministrazione per sperare di realizzarli nell’immediato futuro. Non sorprende che, in quel momento, P. Planque abbia pensato all’Algeria2, un paese ancora nuovo, con delle regioni molto estese, una popolazione spesso dispersa, dove i coloni di ceppo cristiano si mischiano agli Arabi musulmani, ai Berberi ed ai Cabili. Questi ultimi, rimasti legati alle loro tradizioni ance strali, sono più aperti ed accoglienti... Negli anni 1865-1868, dopo la chiusura della casa di Puerto del Reale, l’Algeria è stata terra di accoglienza per i giovani Neri del Dahomey. Essa sembra dunque rispondere alle attese di P. Planque. Ma l’Africa del Nord potrà essere un paese di missione allo stesso modo della Guinea, sulla costa occidentale? La Società sarebbe veramente al suo posto? Sono interrogativi seri questi che i Padri si pongono. Alcuni non mancano di esprimere le loro reticenze. Il Superiore vede più chiaramente e più lontano: «Perché pensare che gli arabi non siano un popolo tra i più ab bandonati d’Africa? Guardate a bene e vedrete il contrario. La Società è stata creata per tutte le parti dell’Africa e Propaganda Fide approva la sua azione in Algeria». «M i sembra che in gene rale, voi tutti applichiate al nostro obiettivo delle idee troppo ristrette... Il nostro Fondatore ci ha destinati all’Africa, senza ec cezione». D’altronde, «è lo stesso bene della Società ad essere in gioco, poiché non tutti potranno sopportare a lungo certi climi come quello della nostra missione attuale... Questo insediamento 2 Si veda la II parte, cap. 6 - Cfr. L. PI. a Mons. Lavigerie, 18.8.1871: «Mons. Callot, prima di andare ad Orano per la prima volta, mi aveva pregato di fare qualcosa nella sua diocesi». Ma l’affare in questione non era ancora maturo.
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fornirà il mezzo per lavorare più a lungo presso gli Africani»3. Con un confratello insiste ancora dicendo: «La questione di queste stazioni missionarie è stata discussa molte volte. Io penso che, una volta comprese, esse saranno utili all’opera... e coloro che non potranno più sopportare le missioni lontane, saranno ben lieti di trovare un’occupazione che sia ancora missione per l’Africa. D’altronde, i Padri sono stati consultati ed erano d’ac cordo»4. Allora perché esitare? Bisogna fare ogni tentativo, pur di stabilirsi in Algeria. Sarà tanto più facile, in quanto in quel momento si sta aprendo una nuova strada: qualcuno desidera vivamente la presenza della Società nell’Africa del Nord.
Morn. Lavigerie Nel luglio 1871, a Lione 5 si incontrano, forse per la prima volta, e su richiesta dell’Arcivescovo di Algeri, questi due «grandi» della storia delle Missioni del XIX secolo, ai cui nomi spesso è stato accostato quello di P. Libermann, fondatore dei Padri dello Spirito Santo, per la somiglianza delle loro opere. Già da quattro anni, Charles Lavigerie, il futuro cardinale e arcivescovo di Cartagine 6, è a capo della diocesi di Algeri. Nel 1868, ha aperto in questa città un noviziato di Missionari che diventeranno i cosiddetti Padri Bianchi. Si tratta d’un perso naggio la cui biografia e la cui opera sono troppo conosciute, perché sia necessario dilungarsi qui. Il posto da luioccupato in quel momento, sia nella storia religiosa della Francia chenegli avvenimenti politici di quell’epoca movimentata, aveva certa mente acuito in lui la coscienza delle sue responsabilità, ma anche della sua autorità. Uomo dai progetti grandi ed ambiziosi, capace di mettere tutto sottosopra per realizzarli, Lavigerie sopporlava molto male chi avesse voluto opporvisi. ' I.. 1*1. a P. Guillet, 8.11.1871 e a P. Devernoille, 21.1.1874. 1 I. PI. a P. Courdioux, 29.12.1873 e a P. Louapre, 1.1.1874. ’ Il colloquio ebbe luogo in Quai Joinville, poiché il seminario era ancora occupato. '■ Mons. Lavigerie fu nominato arcivescovo di Cartagine il 28.6.1881 e cardinale il 27. L I 882.
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Di fronte a lui, forse autoritario come lui, con un’uguale co scienza dei propri diritti e delle proprie responsabilità, ma senza altra ambizione - anche questa molto tenace - che quella di dar compimento all’opera di Brésillac, Augustin Planque si presen tava come l’interlocutore più dissimile che il vescovo di Algeri potesse incontrare. Ed anche il meno docile, un uomo da cui non poteva aspettarsi né compiacenza, né compromessi. In quel mese di luglio, Mons. Lavigerie giungeva con un’in tenzione ben precisa: mettere in piedi «un progetto di notevole importanza per le missioni in Africa». «Conto di fermarmi a Lione sabato notte, scriveva a Planque, e passarvi la giornata di domenica, espressamente per incontrarvi e parlarvi del mio pro getto» 7. Le difficoltà non mancavano: la sua Società, che aveva avuto un inizio molto lento, non riusciva, per mancanza di personale, ad allargarsi e a rispondere ai bisogni della delegazione apostolica per il Sahara ed il Sudan, di cui aveva l’incarico. Se dobbiamo prestar fede al suo biografo più recente, il Superiore dei Padri Bianchi sarebbe persino giunto «a pensare alla soppressione della nascente società» e avrebbe desiderato «fare appello ad un’altra congregazione... quest’ultima non poteva essere che quella delle Missioni Africane di Lione» 8. Mons. Lavigerie sapeva, senza dubbio attraverso P. Payan d’Augery, un prete di Marsiglia, suo grande amico 9, che anche P. Planque aveva dei problemi. Dodici anni dopo la sua fonda zione, la Società di Lione mancava sempre di basi solide: poche risorse sicure e neanche un vescovo alla sua guida, il che, agli ' L ettera di L avigerie a P. P lan q u e, 2 5 .7 .1 8 7 1 - Cfr. PI. a B arnabò, 6.9 1871 ed. il dossier d el 2 9 .1 .1 8 7 2 - Il co lloquio eb b e luogo su richiesta di M ons. Lavigerie. Cfr. anche la le tte ra d i P. P ayan d'A ugery, vicario g en erale di A lgeri: «M o n s. lA rcivescovo, avendo un g ran d esid erio di parlare a viva voce con voi d e ll’affare di cui ho parlato a P. M auger, ha pensato di ferm arsi alcu n e ore a L io n e dom enica prossim a, 30 lu glio » (ripor tato d a P lan q u e nella lettera a P ro p ag an d a F ide del 29.1) - M au g er era un fratello affiliato alle M issio n i A fricane, di cui si p arlerà in seguito. 8 Sui rappo rti tra P lan q ue e L av igerie si veda anche Le ca rd in a l L avigerie ( 18251892), L'Eglise, l ’A frique e t la F rance , di F ran çois R enault, F ayard, 1992, pp. 230-232, 317, 338, 345. 9 Si ved a n. 7: M ons. L avigerie fece di P ayan d ’A ugery il suo V icario G enerale.
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occhi del prelato di Algeri, costituiva un grosso handicap. Ma, nonostante i numerosi decessi di missionari, gli uomini non man cavano a P. Planque. Egli, infatti cominciava ad essere cono sciuto in numerosi seminari, dove gli si dava fiducia 10 e dove si autorizzavano i giovani che lo desideravano ad unirsi alla sua opera. In effetti, come già detto, negli anni 1870, il personale era troppo numeroso a Lione per il solo Dahomey. Lavigerie era a conoscenza di tutto, e sapeva anche che P. Planque pensava all’Africa del Nord. A questo punto, è chiaro che il progetto «di notevole importanza» che aveva concepito, non mirava soltanto a stabilire una collaborazione tra le due So cietà, ma piuttosto a fonderle sotto un’unica guida responsabile, la sua. Egli però conosceva male P. Planque e la sua fedeltà indefettibile all’«eredità» ricevuta da Brésillac. Forse il Superiore delle Missioni Africane non aveva colto nulla dei secondi fini di Lavigerie e si dichiarò soddisfatto dell’incontro di Lione, dove egli aveva potuto esprimersi, «con una completa fiducia» 11, senza nulla nascondere delle debolezze della sua opera. Poco dopo scrisse a Lavigerie: «Noi non abbiamo il prestigio che attira le vocazioni e le risorse. Se il buon Dio vuol fare qualcosa per noi, bisogna che Egli si incarichi di tutto perché noi non abbiamo alcun elemento di successo» 12... Accolse, dunque, con soddisfa zione e senza inquietudine quelle proposte che giungevano ai momento opportuno, e ne rese partecipe il Card. Barnabò, che diede il suo assenso, ma senza grande entusiasmo 13. Soltanto sei mesi più tardi P. Planque apprenderà quali sono le idee dell’Arcivescovo e quale impietoso giudizio costui ha già espresso riguardo alla Società, che ha la sfortuna «di avere come guida un incapace che non merita alcun credito» 14. 10 Alcuni direttori lo sostenevano, in particolare durante il giro di Charmetant. 11 Fu in questi termini che egli riferì l’avvenimento nella relazione che ne fece al Card. Barnabò, su richiesta di quest’ultimo. 12 L. Pi. a Lavigerie, 18.8.1871 - Franchezza e semplicità non lo aiutarono di fronte al suo interlocutore... 13 L. PI. al Card. Barnabò, 6.9.1871: «Fio accettato di cominciare ad evangelizzare i Cabili ed i Tuareg». Il Cardinale si accontentò di prenderne atto, 25.9.1871. 14 Cfr. Rapporto del 29.1.1872.
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Peccato che in quell’occasione, Mons. Lavigerie non abbia comunicato apertamente al suo interlocutore le sue reali inten zioni ed anche le critiche che egli credeva dovergli rivolgere. Un rapporto leale avrebbe evitato così fin dal principio una collaborazione che si rivelò una triste vicenda sia per le sofferenze che provocò, sia per la rivalità tenace e l’aggressività che in futuro sarebbero emerse. M issione senza dom ani In quel momento, i quattro Padri sono già partiti15, tutti de stinati al seminario minore Saint-Eugène, dove sostituiranno i Lazzaristi, che lasciano questo incarico, ed i Padri Eudisti che non l’hanno accettato. P. Planque ignora questi rifiuti successivi16, e la sua delu sione è grande quando apprende che i suoi Padri hanno ricevuto un’accoglienza fredda ed assai poco incoraggiante. A dire il vero, Mons. Lavigerie ha la reputazione di uomo impulsivo, dai com portamenti eccessivi e violenti, dalle parole dure 17. Ed in questo caso particolare, egli si mostra tanto più irritato in quanto i nuovi arrivati non sembrano essere disposti a lasciarsi sedurre, né a cambiare Società, come egli dava per scontato. Tuttavia, sostenuto da Mons. Ginoulhiac, arcivescovo di Lione, suo consigliere ed amico, P. Planque incoraggia vivamente i Padri ad andare avanti, «ad accettare l’umiliazione», aspettando la soluzione di uno stato di cose che non potrà durare: «Vorrei essere vicino a voi per aiutarvi» —scrive con profonda amicizia «lo farò da lontano con la preghiera. Sarò con voi nello spirito, condivido le vostre sofferenze, la vostra am arezza...»18. E nella 15 «Guillet, Louapre, Ménager e Vachez partono il 9.9.1871», proprio nel giorno stabilito. 16 L. PI nel Rapporto citato precedentemente: «Io non avrei accettato questi posti... se avessi saputo che i Lazzaristi si sarebbero ritirati e che li si stava facendo ritirare». 17 Rapporto del 29.1.1872, già citato, sul colloquio tra P. Charmetant e P. Planque, p. 6. Cfr. anche le lettere di P. Guillet a P. PI., 18.9., 25.9 e 17.10.1871 - di P. Louapre a P. PI., 31.12.1871, riportate nel Documento di P. Roeykens, AMA, n. 44. 18 Cfr. Lettera Guillet, citata in n. 17 e risposte di P. Planque 22.9., 16.10. e 20.10.1871.
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speranza di una distensione, lascia partire ancora altri tre Confra telli, che raggiungono Aumale, la seconda postazione proposta alla Società, ai confini della Cabilia. Ma vi è un nuovo affronto: i Padri, giudicati troppo giovani, vengono trattati «da incapaci», «da pretenziosi», o persino da «ragazzini». A questo punto essi cominciano ad interrogarsi sulla loro presenza in Algeria e chie dono di rientrare 19. Con parole concilianti e misurate - per evitare di ferire la suscettibilità del suo corrispondente - P. Planque ricorda al ve scovo le clausole del loro accordo: «Senza dubbio non vi avevo chiarito a sufficienza che tutti i nostri preti erano giovani, che non ne avevo altri disponibili»20. Tuttavia, dato il moltiplicarsi delle lamentele e l’appesantirsi delle critiche ingiuste, bisogna co minciare a prevedere un ritiro. P. Planque, infatti, ha un senso troppo acuto della giustizia e della verità per non reclamare il rispetto per i propri “figli”. Egli non si aspetta né vantaggi, né favori ma... «nessuna missione in Algeria - dice - se la Società non vi è rispettata»21. Nel dicembre seguente, Charmetant, un Padre inviato da Al geri da Mons. Lavigerie, giunge in Francia per visitare i seminari, perciò va anche a Lione. Mons. Ginoulhiac desidera che, prima di rivolgersi ai seminaristi, incontri P. Planque. Questi vuole ten tare, ancora una volta, una riappacificazione. Non fa alcuna obie zione riguardo alla visita, riceve Charmetant, gli augura persino buona fortuna, assicurandolo «che ci sono vocazioni per tutti» 22. Soltanto, egli si mostra fermo ed intransigente su un punto: Charmetant smetta di confondere le due Società, come ha fatto nei suoi discorsi in altre diocesi, e non racconti più certe gravi inesattezze che non possono mancare di nuocere alle Missioni Africane. Tuttavia, ad Algeri, i dissapori e le opposizioni continuano e si aggravavano. L’episodio più serio ha luogo a Saint-Eugène, 19 20 21 22
Cfr. le lettere ed il rapporto citati. L. PI. a Lavigerie, 13.10.1871. L. PI. a P. Guillet, citata in n. 17. Rapporto citato p. 15.
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nella settimana dopo Natale ed è “la goccia che fa traboccare il vaso”. In realtà, si tratta di un fatto banale, una questione di disciplina come avviene in tutti gli istituti scolastici e che non dovrebbe lasciare tracce23. Invece, Mons. Lavigerie non fa che drammatizzare le cose. Dal canto suo, Louapre, che si scusa con lui per la vivacità delle sue parole, non accetta di riconoscere degli errori che, in coscienza, sostiene di non aver commesso. Questa volta la tensione diventa troppo forte per non portare alla rottura. P. Planque, «dispiaciuto perché il Vescovo non è soddi sfatto dei suoi confratelli, gli chiede di rimandarli indietro» 24. E da Aumale, come da Saint-Eugène, rientrano tutti nel giro di pochi giorni25. Mons. Lavigerie è molto scontento. Il grande progetto di fu sione cui ambiva si è rivelato irrealizzabile26. Egli avrebbe do vuto fermarsi qui perché, in realtà, non ci teneva più tanto a prolungare quest’esperienza: le visite di Charmetant nei seminari cominciavano infatti a riempire il suo Noviziato. La cosa più spiacevole in questa sfortunata vicenda, ed anche la cosa più in comprensibile - sebbene siano note le qualità eccezionali che hanno fatto di Mons. Lavigerie, uno dei grandi operatori dell’e vangelizzazione del XIX secolo —fu esattamente il seguito che egli volle dare alla rottura con le Missioni Africane, sotto forma di un lungo rapporto indirizzato a Propaganda Fide, un rapporto che per gran parte metteva in discussione impietosamente la So cietà ed il suo Superiore 27. Accuse gravi, che il vescovo di Algeri si dice «obbligato in coscienza a fare conoscere a Roma in maniera confidenziale, per non compromettere l’avvenire di coloro che portano ugualmente 23 Lettere dei Padri Louapre e Guillet, 31.12.1871. 24 Lettere di Lavigerie a P. PI., 30.12.1871 e 1.1.1872: il Vescovo biasimava il disor dine regnante in tutta la Società. - Cfr. L. PI. a Lavigerie, 2.1. e 5.1.1872: domandava il ritorno dei Padri. 25 I Padri di Saint-Eugène chiederano ospitalità ai Trappisti di Staouéli. Quelli di Aumale li seguiranno poco dopo. 26 Dal luglio 1871, P. Planque non aveva lasciato sussistere alcuna illusione sull’im possibilità di una fusione tra le due Società. Quest’insuccesso del «suo notevole pro getto» fu senza dubbio la causa dell’opposizione che Lavigerie non smise mai di manife stare di fronte a tutti gli altri progetti di P. Planque. 27 Lettera di Lavigerie al Card. Barnabò, 31.12.1871.
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il nome di Missionari d’Africa». Un documento duro, senza sfumature, né alcuna parola di benevolenza... «M a hanno dav vero meritato un tale trattamento ed una tale ingiustizia?». Su richiesta di Roma28, P. Planque fornisce, anche lui, la sua versione dei fatti, cosa che gli permette di confutare le critiche malevole e di riabilitare i suoi Padri, dopo aver fatto il punto con onestà in una lettera precedente sullo stato della sua amministra zione29. No, la Società non ha debiti, ed il Padre spiega come i prestiti e le ipoteche che l’Arcivescovo gli rimprovera sono ab bondantemente coperti. Essa non è affatto sull’orlo del falli mento... Su questo punto gli credono senza fatica, ricordando la sua scrupolosità per l’equilibrio delle risorse, in Africa come in Francia. Il Padre riconosce i punti deboli dell’Opera in maniera molto franca. I suoi preti sono giovani ed inesperti, ma «come rime diare? - dice con humour - non si può farli invecchiare in un giorno!»30. Alcune partenze per la missione sono a volte prema ture, e di questo ne è cosciente. I troppi morti tra le fila dei suoi preti lo spingono a tali misure. E una lacuna, cui dovrà rime diare. Per lo meno, il Superiore può sperare che, a contatto con i più anziani, i giovani Padri possano acquisire un po’ di ciò che loro manca - in particolar modo l’esperienza, della vita missio naria - ed esercitarsi con più facilità nello studio delle lingue indigene. Come osa sostenere, Mons. Lavigerie, che questi stessi Padri, che muoiono in quelle terre con tanto coraggio e non misurano né la loro dedizione né la loro vita, non avrebbero lo spirito della loro vocazione? La loro stessa condotta confuta questo «terribile rimprovero»31. In compenso bisogna riconoscere che il Vescovo di Algeri ha qualche ragione di vedere nel P. Planque un uomo «sempre in giro per cercare denaro»... II. Superiore di Lione è veramente sovraccarico, assorbito dagli impegni che ogni giorno si moltipli 28 Lettera del Card. Barnabò a P. Planque, 18.1.1871, AMA. 29 L. PI. al Card. Barnabò, 24.1.1872: interrogato dal Prefetto, P. Planque rispose ai capi d’accusa del Vescovo che gli erano stati trasmessi. 30 L. PI. a Lavigerie, 13.10.1871. 51 L. PI. al Card. Barnabò, citata in n. 28.
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cano e non gli lasciano tempo per riposare... Comunque, sarebbe stato più giusto - e più conforme alla mansuetudine evangelica onorare la dedizione di un capo che si dà a tutto e a tutti, senza risparmiarsi... E questo invece non viene fatto da Mons. Lavigerie, tanto è chiuso nel suo atteggiamento di opposizione e di rivalità, in modo davvero inspiegabile. Nonostante tutto, nei giorni difficili d’inizio d’anno 1872, a P. Planque rimane un vero conforto: non è solo, e può contare sui suoi amici. Prima di tutti Mons. Ginoulhiac che, sollecitato a dare il suo parere, offre alla Società e al Superiore che conosce bene, una testimonianza molto forte di stima e di amicizia32. A questo si aggiunge anche una parola molto favorevole di Mons. Comboni, che stima profondamente P. Planque 33. Il Cardinale Barnabò, che non ha mai messo in dubbio la sincerità, il disinte resse e la volontà energica di P. Planque, chiede a Mons. Lavigerie delle informazioni più precise sui fatti da lui condannati, in quanto non vede alcuna ragione che possa giustificare la sua presa di posizione 34. A Lione, i Padri possono dunque godere ancora della fiducia e dell’appoggio di Propaganda Lide e del suo Prefetto. E presto dovranno prepararsi a ripartire...
Orano Per quanto deludente e spiacevole sia stato il tentativo man cato nella diocesi di Algeri, agli occhi di P. Planque si è trattato solo d’un incidente di percorso. Ecco che un’altra pista si apre 32 Lettera del Card. Prefetto a Mons. Ginoulhiac, 15.2.1872 - Risposta di Ginoul hiac Propaganda Fide, citata nella Ponenza del 31.5.1872. - L’Arcivescovo illustra la «saggezza con cui è governato il seminario, la preparazione accurata ricevuta dagli aspiranti, anche se si possono non condividere le partenze troppo premature...». 33 Lettera di Mons. Comboni a P. Planque, maggio 1872: «Posso confidarvi che qui, in Propaganda Fide, si è molto favorevoli nei vostri confronti. Voi lo meritate vera mente perché avete fatto tanto per l’Africa e si spera che rimaniate ad essa devoto fino alla morte», AMA - Comboni, che ritroveremo più avanti, fondò una Società di missio nari nell’Africa centrale. 34 Lettera di Barnabò a Lavigerie, 16.2.1872: «Di fronte ad un’accusa generica, non ho potuto avere delle informazioni che mi convincessero pienamente».
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nei mesi seguenti: permetterà questa volta di trovare un luogo più stabile per un’altra missione? Di passaggio a Lione, Mons. Callot, vescovo di Orano, in contra P. Planque. I due si conoscono da lungo tempo: il Ve scovo, originario di Beaujeu nel dipartimento del Rodano, è stato curato della parrocchia del Buon Pastore a Lione. Perché non installare le Missioni Africane da lui, a M ’Sylla, a pochi chilo metri da Orano? E l’invito di Mons. Callot è molto pressante, in quanto ha comprato una proprietà destinata a diventare un’a zienda agricola per gli orfani accolti in seguito alle annate di care stia35. Ha quindi bisogno di Padri e di Fratelli per prendere la direzione di questa casa. L’idea affascina il Superiore sempre alla ricerca di territori. Non sarebbe una riparazione per le delusioni precedenti e l’occa sione di ritornare in Algeria a testa alta? Nello stesso tempo questo insediamento favorirebbe la realizzazione di un altro pro getto che sta maturando da tanto tempo: aggiungere alle Mis sioni Africane una comunità di Fratelli per assistere i missionari nei compiti relativi all’insegnamento, all’apprendimento dei me stieri e di altri lavori m anuali36. Si conclude un accordo con Mons. Callot... ma, ahimè, soltanto verbale! Tre anni dopo, uno scritto avrebbe reso le cose molto più facili37. Per realizzare i suoi piani fino in fondo, Planque vorrebbe creare a M ’Sylla ciò che, in una lettera a Louapre, chiama un vero «chez nous» (“a casa nostra”) 38, una casa che appartenga alla Società e le assicuri la sua indipendenza. In questo modo si potranno evitare ulteriori noie e la necessità di lasciare dei luoghi di lavoro senza alcuna contropartita. Ma Propaganda Fide gli chiede di rinunciare alla sua idea sul noviziato, in quanto è troppo vicino ad Algeri e si teme di provocare nuovi scontri39. 35 Una terribile carestia nel 1867-68 aveva decimato la popolazione. 36 L. PI. a P. Louapre, 2.10.1872. 37 L. PI. a Lavigerie, 23.1.1876. «Tra noi ed il Vescovo d’Orano non c’è stato nulla sotto forma stretta di trattato scritto, ma un accordo che, da solo, ha la forza di un contratto obbligatorio». Ma non potè avere partita vinta. 38 L. PI. a Louapre, citata in n. 36. 39 Lettera del Card. Barnabò a P. PI., 19.11.1872: «Quanto al Noviziato che voi sperate di fondare ad Orano, vi avverto che bisognerà rinunciarvi... Temo che questo insediamento possa alimentare la fiamma»...
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P. Planque obbedisce, non senza esternare la sua pena ed il suo stupore: «Non pensavo che l’Arcivescovo di Algeri si occu passe anche di ciò che avviene nella diocesi di Orano», e ag giunge - a prova della sua correttezza e del suo desiderio di pace: «Ciò che è successo tra Mons. Lavigerie e noi, non è un vero conflitto... ed io consideravo questa faccenda ormai con clusa» 40. Quanto al noviziato dei Fratelli, dovrà attendere del tempo per istituirlo. Ma nei confronti di Mons. Callot e dei Padri di M ’Sylla, P. Planque, che non cerca affatto di riaccendere nuove discussioni, è molto discreto a proposito del rifiuto di Roma e, per giustificare il suo ritiro, avanza semplicemente l’idea che, per reclutare nuovi Fratelli, la diocesi di Clermont potrebbe offrire maggiori possibilità di successo41. Il lavoro prosegue con la cura degli orfanelli e poi nella zona di frontiera del Marocco, sui territori di Lalla Maghnia e di Gar Rouban. L’apertura di questi ultimi insediamenti non manca d’altra parte di sollevare un’altra questione: poiché in entrambi i casi si tratta solamente di un ministero parrocchiale, le Missioni Africane dovrebbero accettare? Ma P. Planque non ha mai perso di vista l’obiettivo della prima evangelizzazione: «Poiché Mons. Callot ci stabilisce sulle frontiere del Marocco - risponde a co loro che esitano - bisognerà contattare la gente del posto e studiare le possibilità di creare una missione presso di loro. D’altra parte, Lalla è vicina alle montagne dove vi sono dei Ca dili, e se vedremo qualche speranza da questo lato, potremmo costituirvi una casa di missionari. In questo modo, non si tratta più di essere semplicemente dei parroci, ma significa appoggiarsi ad una parrocchia per orientarsi verso una vera missione. Ed è in questo senso che vorrei vedere lavorare i nostri Confratelli» 42. Per tentare una prima apertura verso il Marocco, il Superiore 40 L. PI al Card. Barnabò, 31.12.1872: il Padre accettò, ma ne fu veramente contri stato. «Noi esistevamo grazie all’approvazione di Propaganda Fide, avevamo una mis sione, il nostro nome ed uno scopo assegnatoci da Sua Eminenza stessa prima che Monsi gnore giungesse ad Algeri...». 41 L. PI. a P. Louapre, 31.1.1873 e 3.3.1873 - a Mons. Callot, 3.3.1873: «In un’altra occasione dirò a Sua Eminenza alcuni ostacoli che riguardano quest’opera». 42 L. PI. a P. Courdioux, 19.11.1873.
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invia Beaugendre che si spinge fino a Oudja, ma toma molto deluso, poiché non esistono comunicazioni tra i diversi centri, e grande è il pericolo a causa della razzie fatte dalle tribù beduine. D’altra parte, le autorità militari francesi non permettono a nes suno di penetrare il «suolo sacro», e ancor meno ad un prete cattolico, per timore di complicazioni politiche con il Sultano del Marocco. Bisogna concludere, quindi, che questo paese rimane, almeno per il momento, impenetrabile 43. E dunque necessario dirigersi sull’unica pista ancora aperta: la regione di Lalla Maghnia, designata sotto il nome di «piccola Cabilia». «Penso sempre, Monsignore, a quei Cabili che sono nei dintorni di Nedrona. Non credete anche Voi che si possa sperare di fondarvi una piccola residenza di missionari?»44. Per vincere le reticenze di Mons. Callot, che non spera nulla da questa popo lazione, P. Planque deve insistere molto: «Ho detto a Vostra Eccellenza che la piccola Cabilia ci andrebbe bene ugualmente, noi siamo stati fondati per essere missionari e per occuparci degli indigeni africani, per quanto i primi contatti possano essere dif ficili». E perché tutto sia ben chiaro, aggiunge: «I posti che noi occupiamo presso alcuni coloni europei non devono farci dimen ticare lo scopo principale della nostra istituzione»45. Ma ecco un nuovo problema: le due parrocchie affidate alle Missioni Africane sono troppo lontane l’una dall’altra, perché i Padri possano abitare insieme. Il Superiore deve quindi ottenere che siano liberati dall’incarico di Rouban, perché la vita comuni taria è un punto essenziale delle Costituzioni, su cui non si può transigere: «Senza questo modo d’agire, non rispetteremmo le nostre regole, e questo non deve avvenire, nell’interesse stesso
43 Sulla speranze e le impossibilità d’accesso in Marocco: L. Pi. a P. Beaugendre, 15.4. e 24.8.1874 e soprattutto L. PI. al Card. Franchi, 10.11.1874. 44 L. PI. a Mons. Callot, 26.1.1874 e 17.2.1874 - a P. Courdioux, 17.2.1874: «Non sono d’accordo con Mons. Callot, quando sostiene che non ci sia nulla da fare presso i suoi Cabili. Senza dubbio, ci vuole del tempo e pazienza, ma il nostro mestiere è soprat tutto un mestiere di pazienza. E poi, si tratta di una missione vera. Non avremmo fatto molto per l’Africa se riuscissimo a stabilire dei contatti con qualche famiglia di Cabili?». 45 L. PI. a Mons. Callot, 17.2.1874.
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del bene che cerchiamo di fa re »46. I due Confratelli manten gono soltanto Maghnia come residenza comune. «Il titolo di cu rato non potrebbe prevalere». In cambio del Marocco, ancora inaccessibile, Propaganda Fide decide ben presto di attribuire alle Missioni Africane due territori a sud di Tripoli, il Fezzan ed il Bornou47. Da quel mo mento, la Cabilia potrebbe offrire loro «un eccellente mezzo per acclimatare i giovani Confratelli, far loro apprendere l’Arabo e acquisire una certa esperienza dei modi di comportarsi e di vi vere con popoli la cui cultura è per loro tanto estranea 48». Purtroppo, alla fine dell’anno, accade quello che si temeva: Mons. Callot, malato e rientrato in Francia da qualche mese, muore a Beaujeu49 e la sua scomparsa rischia di infliggere un grosso colpo alla Società, i cui progetti hanno conosciuto per tre anni tanti ostacoli. Un nuovo periodo nero si sta avvicinando, poiché l’Arcivescovo di Algeri s’imporrà sicuramente come am ministratore apostolico della sede vacante. Ipotesi che si realizza puntualmente: nei tre giorni successivi alla notizia del decesso, Lavigerie giunge ad Orano. In un primo tempo, fiducioso e pieno d’illusioni, come gli accade talvolta, P. Planque non si preoccupa più di tanto per questa presenza. Egli non crede che «durante il suo passaggio, Lavigerie possa amareggiare i suoi Padri nelle diverse stazioni missionarie in cui si trovano»50. Ma le illusioni durarono poco... infatti uno dei primi atti del nuovo Amministratore fu proprio quello di sopprimere l’orfanotrofio arabo di M ’Sylla. «I nostri Confratelli stanno dunque per tornare», constata semplicemente P. Planque51. Nella lettera di congedo, l’Arcivescovo si preoccupa addirit 46 L. PI. a Mons. Callot, 26.1.1874 - Sulla necessità di conservare la vita comuni taria, vi sono numerose lettere inviate a P. Courdioux, Poupart, Louapre, Beaugendre, da gennaio a marzo 1874. 47 L. PI. al Card. Franchi, 23.6.1875 - Cfr. anche a P. Duret, 10.7.1875. 48 L. PI. a P. Duret, citata in n. 47. 49 L. PI. a P. Moreau, 10.11.1875. 50 Stessa lettera a Moreau. 51 L. PI. a P. Guillet, 11.11.1875 e a P. Pourret, 11.12.1875.
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tura di aggiungere che: «Non trova logico che le Missioni Afri cane continuino ad avere dei rappresentanti in Algeria, dal mo mento che la Società dei Missionari di Algeri ha ora un numero sufficiente di membri» 52. La rapidità e l’autorità con cui gli viene notificato l’ordine di partire sorprende P. Planque. Con tutta la certezza che il suo diritto gli consente, egli fa notare che la sua Società, fondata sotto gli auspici di Propaganda Fide per l’Africa, è stata chiamata dall’Ordinario di Orano: «Noi non abbiamo tra dito la nostra vocazione rispondendo alla sua richiesta»53. Un nuovo fa llim en to Ma il diritto non può impedire ai Padri di lasciare M ’Sylla e l’Algeria. Essi ritornano al seminario di Lione con cinque bam bini dell’orfanotrofio e, senza perdere tempo, si mettono a studiare l’arabo con questa piccola comunità, nell’attesa che Pro paganda Fide prenda le opportune decisioni concernenti la loro futura missione 54. Dal canto suo, P. Planque non rimane inattivo e, sapendo le difficoltà che si incontrano negli uffici romani per procurarsi delle informazioni precise, intraprende alcune ricerche, con lo scopo di preparare un dossier ed una cartina di questo territorio ancora poco conosciuto e che potrebbe comprendere, oltre al Fezzan, il Bornou e la striscia di terra tra i due paesi. Tutto, dunque, sarebbe possibile, compreso un accordo sulla divisione dei luoghi con i Cappuccini, che si sono stabiliti a Tri poli ed hanno giurisdizione sulla regioni a sud della città... se Mons. Lavigerie non fosse risoluto a cacciare definitivamente P. Planque ed i suoi fuori dall’Africa del Nord, e deciso, a tal pro posito, ad impiegare tutti i mezzi. Il Superiore di Lione aveva pensato fosse giusto presentare una richiesta di risarcimento, ricordando al Prelato che, in se 52 Orano, 53 54
L. Lavigerie a PI., 7.11.1875. Si tratta di una lettera di espulsione non solo da ma da tutta l’Algeria. L. PI. a Lavigerie, 15.11.1875. L. PI. a P. Duret, 15.11.1875.
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guito ad un accordo con Mons. Callot era necessario un preav viso di tre anni da entrambe le parti per rompere i loro impegni. Ad ogni modo, aggiunge Planque, «il danno materiale e morale subito dai Padri e dalla Società esiste e Vostra Eccellenza, ne sono convinto, troverà giusta la mia richiesta» 55. Ma sfortunatamente, non vi è un testo scritto56. L’Arcive scovo può così ricusare l’accordo e fare costituire ad Orano un tribunale ecclesiastico 57 che, non solo non acconsente all’indennità, ma pretende di giudicare i Padri e «la loro deplorevole ge stione»: conti mal gestiti, spese inutili, sovvenzioni non do vute... 58. Peggio ancora, si rimproverano loro alcuni comporta menti nei confronti dei bambini. Lamentandosi anche delle cat tive voci che il Superiore di Lione ed i suoi Padri diffonderebbero sul suo conto, Lavigerie assicura che, se esse dovessero continuare, si sarebbe impegneto a divulgare le accuse formulate in questo processo: «Sarà un colpo mortale per voi e per la vostra Società», scrive a P. Planque 59. A Lione, Mons. Thibaudier, che sostituisce Mons. Ginoulhiac, si preoccupa per le m inacce60, ma P. Planque rimane calmo e risponde solamente: «Noi non abbiamo nulla da temere dalla verità» 61. A Roma, dove si sostengono chiaramente le Mis sioni Africane, si continua ad occuparsi del Fezzan-Bornou e, pur attribuendo loro questo territorio, Propaganda Fide decide di ri55 L. PI. a Lavigerie, 7.1.1876 - E Padre rinnovò un’esplicita domanda di risarci mento. 56 Lettera di Lavigerie a PI, 12.2.1876 - L ’Arcivescovo ricusò l’accordo, che era puramente orale, cfr. nota 37. 57 Questa inchiesta amministrativa sulla Società fu condotta dal 24 al 28.1.1876. Il testo fu firmato da Lavigerie, dal suo cancelliere Combet e postillato con il suo sigillo, AMA. 58 Cfr. L. PI. a Mons. Callot, 10.3.1874, a P. Courdioux, 24.8.1874 e a P. Duret, 20.7.1875 - Al tempo di Mons. Callot, i Padri, avendo constatato la cattiva gestione dell’orfanotrofio, avevano avvisato il Superiore il quale, da quel momento, cominciò a cercare di liberarsi di quest’impegno per dedicarsi alla Cabilia. 59 Lettera di Lavigerie a Planque, 12.2.1876 e a Roma, nell’aprile 1876: tre accuse dure ed infondate. 60 Lettera di Mons. Thibaudier, Vicario capitolare di Lione, a Planque, 18.2.1876, dopo la visita di Mons. Charmetant. 61 L. PI. a Thibaudier, 21.2.1876: «Rientro a Lione da Nizza per mettere sotto i vostri occhi tutte le parti del dossier».
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servare a Mons. Lavigerie il Nord dell’Africa, dalla Tunisia fino alle frontiere del Marocco 62. Divisione inammissibile per l’Arci vescovo di Algeri che, precisamente, oltre alle zone della parte dell’Algeria, rivendica «tutto il Fezzan-Bornou che —secondo lui - si sta tentando ingiustamente di togliergli»63. Poiché è necessario mettere fine a questo stato di aggressività e di tensione crescente, Roma sceglie la via della pacificazione. E ad Augustin Planque, - che non ha mai rifiutato di collaborare che Propaganda Fide può chiedere di rinunciare al suo diritto per risolvere la crisi64. Accettando, dà prova di essere molto forte e padrone di sé nel lasciare il posto. Oramai non tornerà più sulle sue decisioni, anche se l’opposizione tenace da parte di colui che diventerà cardinale, e poi arcivescovo di Cartagine, l’obbligherà, molto tempo dopo, a delle puntualizzazioni con di versi corrispondenti65, riguardo al suo abbandono dell’Africa del Nord. Ma i Padri che avevano sofferto, anch’essi, per il modo d’agire di Lavigerie, non osservarono la stessa discrezione del loro Superiore. Quest’ultimo raccomandò loro diverse volte il ri serbo per non attirare sulla Società noie più gravi66. Mons. Lavigerie vinse nel Fezzan... Così, dopo tanti mesi di brancolamenti e di penose prove, il dossier dell’Algeria fu chiuso per le Missioni Africane 67. Ma questi primi contatti con il mondo arabo non andranno perduti; al contrario, saranno serviti come allenamento per 62 Lettera del Card. Franchi a Lavigerie, 10.3.1876 - L. PI. a P. Devernoille, 10.7.1875 e a Mons. Toroni, 23.1.1877. 63 Lettera di Lavigerie a Propaganda Fide, 4,4,1876: egli si definiva primo richie dente del Fezzan... «e motivi gravi dovrebbero, d ’altronde, toglierlo alle Missioni Afri cane». 64 Propaganda Fide difficilmente avrebbe potuto dire no a Mons. Lavigerie. 65 L. PI. alla sig.na X... 11.9.1884: «L ’unione delle due Società (Missioni Africane e Padri Bianchi) fu chiesta, in realtà, dodici o tredici anni fa, ma in un senso compietamente opposto alle voci che sono corse dalle vostre parti...». 66 L. PI. a P. Desribes, 12.7.1884: «Vi prego e vi supplico di non dire mai una parola a proposito di Mons. Lavigerie, che potesse sembrare spiacevole...». 67 I Padri non ritornarono più in Algeria. Ma le Suore, presenti nel Marocco dal 1927, si stabilirono nel 1937 ad Algeri ed ottennero fino ad una dozzina di case nel paese. Dopo il 1945 giunsero in Tunisia. Attualmente, hanno cinque case, divise tra Algeri, Orano e Mascara.
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un’altra forma di apostolato. Perché, per quanto superficiali e traballanti, le strade dell’Africa del Nord sfoceranno presto su una nuova destinazione, questa volta stabile - e sempre in un ambiente arabo. Si tratta dell’Egitto... P. Planque non si sbagliava quando, avendo ritrovato tutto il suo humour, diceva quasi in modo profetico: «Lasciate stare! Se non andiamo nel Fezzan, vuol dire che c’è un’altra missione ad attenderci da qualche altra parte!». Spesso maltrattato, criticato, umiliato, durante tutta questa infelice battaglia, non perde il co raggio e si mette subito alla ricerca di nuovi punti di riferimento sulla cartina del Delta del Nilo...
2. Vicario apostolico?
Tra le difficili situazioni che si sono succedute nella vita di P. Planque, ve n’è una su cui è importante soffermarsi, perché la questione dell’Algeria l’ha resa ancora più ambigua e più dolo rosa. Si tratta del lungo dibattito che mise in discussione, per degli anni, la carica di Vicario apostolico, che Roma avrebbe po tuto tranquillamente attribuire a colui che era diventato il succes sore di Brésillac. La Società ne avrebbe guadagnato in armonia e si sarebbe ulteriormente rinsaldata nel suo lavoro e nella sua unità. Si è già trattato del problema sorto alla partenza di Borghero, la cui inattesa defezione aveva giustamente sconvolto P. Planque, poiché questa lo privava in un colpo solo di un grande missio nario e del suo candidato alla carica di Vicario apostolico del Dahomey. Quando, nel 1867, fu lui ad essere nominato ProVicario 68, quindi senza carattere episcopale, egli accolse questo gesto da Roma inizialmente con una certa soddisfazione, in quanto era salva l’unione nella Società, la cui direzione rimaneva nelle mani di uno solo, secondo quanto era stabilito nelle nuove Costituzioni. Ma in fondo, ne fu anche molto deluso: le Missioni Africane, infatti, non avevano un vescovo. Certamente, non si 68 L. PI. al Card. Barnabò, 15.5.1867, citata nella II parte, cap. 6.
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può sospettare Augustin Planque di essere ambizioso o di desi derare chissà quale titolo. Ma nonostante fosse fondamental mente umile e non avesse altro scopo che quello di lavorare, modesto e nascosto con tutti i suoi, ciò non toglie che, dalla scomparsa del Fondatore, egli rimpiangesse « l’onore e la dignità che la presenza di un vescovo avrebbe portato tra loro». Sì, egli raccomanda di lavorare «nell’ombra», ci tiene. Ma la Società ha bisogno di essere stimata e conosciuta, di avere all’esterno «una certa importanza che ispirerebbe fiducia...»69. E per la Società «che bisognerebbe presentarsi nei seminari con un vero succes sore di Mons. Brésillac!», scrive70. «C i viene spesso chiesto chi lo sostituisce e l’assenza di un vescovo sembra essere, agli occhi di molti, una debolezza o causa di una mancanza di stabilità»71. Non è questo, forse, un ostacolo allo sviluppo delle missioni in Africa? Egli lo teme, tanta è l’importanza che si attribuisce in torno a lui - nel mondo cristiano ed ancora di più in quello religioso o congregazionalista - ai titoli e ad altri riconosci menti 72. Da questo momento egli considera dunque se stesso come «lo strumento che intralcia l’Opera». Offrendo le sue dimis sioni73, propone nello stesso tempo, al posto di Borghero, i Padri Courdioux o Verdelet. E nell’attesa di un sostituto, non trascura nessuno dei doveri della sua amministrazione o dei suoi altri incarichi, ma tuttavia si rifiuta di fare delle scelte di nuovi inserimenti, di cambiare il personale o di prendere qualche mi sura che possa impegnare il futuro. Ma ecco che il 1° agosto 1870, dopo tanti colloqui e discus 69 L. PI. al Card. Barnabò, 30.8.1868 - Cfr. anche al Card. Barnabò, 6.7.1867 e lettera di Mons. Fava a Mons. Jacobini, febbraio 1891: «Se il Card. Lavigerie ha potuto lanciare le opere che ha intrapreso, egli lo deve in parte alla sua posizione nella Chiesa...». 70 L. PI. al Card. Barnabò, 12.12.1868. 71 L. Pi. al Card. Barnabò, stessa lettera: «Una certa freddezza succede all’entu siasmo nei direttori dei seminari quando vengono a sapere che non abbiamo alcun ve scovo». - Cfr. anche L. PI. a Barnabò, 3.2.1872. 72 L. PI. a Barnabò, 11.7.1868: «Il carattere episcopale fa apparire Mons. Bessieux agli occhi dei marinai come il nostro Superiore della giurisdizione». 73 L. PI. citata in n. 5.
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sioni74, il Consiglio dei cardinali di Propaganda Fide si decide, infine, a fare di lui un vescovo. Tuttavia, questa nomina è accom pagnata da una clausola che la rende praticamente irrealizzabile, poiché in base a questa P. Planque dovrebbe risiedere nel terri torio del suo Vicariato. Gli viene persino consigliato di fare al più presto un soggiorno di breve durata per vedere se gli sia possibile abituarsi al clima dell’Africa. Nell’attesa di «ulteriori istruzioni», il Padre accetta. Tuttavia fa notare che gli sarebbe difficile, rimanendo nel Dahomey, as sicurare le sue funzioni al seminario, la cui direzione richiede una presenza quasi continua, e ritiene perciò suo dovere dimettersi da quest’incarico 7-5. Ma significa fare i conti senza il Cardinale Barnabò, che non la pensa così. Contrariato per la decisione appena presa dai suoi colleghi di Propaganda Fide, sui quali non ha potuto avere il peso e l’autorità che sperava, non può accettare che le Missioni Africane passino in mani diverse da quelle di P. Planque: è lui il vero successore di Brésillac. Ora, due ragioni continuano ad op porsi alla sua partenza per l’Africa: la sua presenza, giudicata indispensabile a Lione, ed il timore, rimasto sempre vivo in Bar nabò, di vedere rinnovarsi il dramma di Freetown. Il Cardinale Prefetto desidera, quindi, riprendere tutto il dos sier concernente P. Planque con i membri della Congregazione romana, per cercare di trovare una migliore soluzione. Lui stesso, Barnabò, non ne vede che una, alla quale tiene fortemente: ossia che P. Planque diventi vescovo in forza della sua funzione di Superiore generale, e non come Vicario apostolico del Dahomey. La Missione potrebbe accontentarsi di un Pro-Vicario, ma la So cietà ha veramente bisogno di un vescovo con pieni poteri, che gli faciliterebbero il suo compito di guida. Nello stesso tempo si renderebbe giustizia ai meriti e alle competenze del Padre, così spesso criticato, e si darebbe prova, nei suoi confronti, della
74 L a q uestio n e d e ll’episcopato di P. P lan q u e era in sospeso a Propaganda F ide dall’agosto 1869. ' 5 L. PI. al C ard. B arnabò, 4 .9 .1 8 7 0 .
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stima e della fiducia cui egli ha diritto. L ’idea di Barnabò è saggia e potrebbe soddisfare tutti. Proprio in questo momento in Francia si verifica la disfatta del 1870 con tutte le complicazioni che ne derivano. E neces sario interrompere il processo in corso, e P. Planque ritorna alle questioni più urgenti che riguardano la vita del seminario: la cac ciata degli Aspiranti e la conseguente dispersione, persino all’e stero 76. Quando, diciotto mesi più tardi, tutto ritorna alla normalità, il Superiore sta appena uscendo dalle noie che la Società ha su bito in Algeria. Tuttavia, ritornato a Roma per fare il punto sul dossier aperto da Mons. Lavigerie, considera il momento favore vole al rilancio della questione dell’episcopato 77. Ma se nel frat tempo, la fiducia di Barnabò è rimasta completamente immutata, quella degli altri Cardinali è piuttosto scossa per il fatto che, nell’ambiente romano, l’insuccesso delle «Missioni» nell’Africa del Nord sembra esser stato mal compreso. Una nuova riunione della Curia non fa che ribadire la decisione precedente 78. P. Planque si spiega allora chiaramente con Mons. Jacobini, Segretario di Propaganda Fide, suo sostenitore ed amico - come ha già fatto a Roma con il Cardinale Prefetto 79 -. Comincia col ricordare che, «se è venuto a Lione, lo ha fatto con l’intenzione di partire per l’Africa 80. Ma gli avvenimenti, nei quali ha creduto di leggere la volontà di Dio, hanno deciso diversamente, come anche la prudenza del Cardinale Barnabò, sempre contrario ad un suo soggiorno prolungato in Africa. Per il momento egli ri mane convinto che un Superiore sempre assente non possa as sicurare il buon andamento del seminario. Aspetta, perciò, che la stessa Propaganda Fide stabilisca la linea di condotta da seguire. 76 Si veda sopra, cap. 3. 77 L. PI. al Card. Barnabò, 3.2.1872 - Il Padre ricordò ancora una volta «che ci voleva un vescovo a capo della Società». 78 Riunione dei Cardinali, il 21.5.1872. 79 L. PI. a Mons. Jacobini, a Propaganda Fide, 13 e 23.7.1872 a al card. Barnabò, 3.2.1872. 80 Si tratta di una risposta alle accuse di Lavigerie: «P. Planque non vuole andare in missione, bisogna forzarlo» (cfr. Lavigerie a Barnabò, 31.12.1871).
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Sempre sottomesso alla Chiesa, obbedirà, ma in coscienza non potrà fare lui stesso una simile scelta». Da questo momento si instaura una specie di dialogo tra sordi fra Roma e Lione. Propaganda Fide non ritorna sulla sua decisione. Continua a pretendere che sia lo stesso P. Planque a decidere. Ma deve sapere che diventerà vescovo soltanto a con dizione di risiedere nel Dahomey. Dal canto suo, il Superiore delle Missioni Africane tiene duro: cosa potrebbe scegliere? la mitra, abbandonando il seminario e la gestione della Società? O rimanere a Lione, lasciando credere che egli rifiuti l’Africa o ne abbia paura? 81 Allo scopo di sbloccare una questione che sembra non avere fine, accetta allora che i suoi due Consiglieri, Arnal e Papetart, a lui vicini e molto legati, si rechino a Roma per presentare il loro punto di vista sui problemi della Società e sull’azione condotta da P. Planque. Ma questo viaggio, fatto con tanta buona volontà e grandi speranze, rimane anch’esso senza risultati, poiché, ine sperti della diplomazia vaticana, i due Padri complicano ulterior mente la situazione, anziché farla evolvere. Più tardi, il Superiore confiderà sempre a Mons. Jacobini, che si sforza di sostenerlo negli ambienti romani, quanta sof ferenza e delusione gli sono state causate da questa lunga que stione: «Avrei potuto barcamenarmi, poiché mi sarebbe stato fa cile partire in missione, e poi tornare rapidamente con delle buone ragioni, per seguire finalmente l’unico piano che, con il cardinale Barnabò, credevo realizzabile. Ma non ho voluto se guire questa strada, anche se il consiglio mi era stato dato da persone molto in alto nella Chiesa, e che io consulto regolar mente. Propaganda Fide poteva ordinarmelo ed io avrei obbe dito, ma non potevo prendermi la responsabilità di ciò che consi deravo contrario al bene» 82. Tornato il sereno, egli si spiega ul teriormente quasi con le stesse parole al suo amico Fava: «Avrei accettato l’episcopato nell’interesse e per il prestigio dell’Opera. Ma ero convinto che la mia partenza dal seminario, per la clau 81 Cfr. la nota precedente. 82 L. PI. a Mons. Jacobini, 28.10.1872.
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sola della residenza in missione, avrebbe causato la fine di tutto. Fortunatamente questo progetto non è andato in porto. Oggi, credo di vedere in tutto questo una protezione di Dio sulla So cietà» 83. A partire dal dicembre 1872, sembra che ci si stia incammi nando - da entrambe le parti ed in maniera definitiva - verso lo statu quo. Alcuni anni più tardi, nel 1888, altre voci autorevoli tenteranno di farsi sentire di nuovo per domandare al Papa Leone XIII di riconoscere «il modo straordinario con cui P. Planque ha saputo guidare la Società dopo la morte di Brésillac» 84. Non gli si possono accordare, finalmente, i pieni poteri conferiti dall’episcopato, a motivo della portata delle sue funzioni di Superiore generale?85 Con il vescovo di Grenoble, altri cinque prelati presenteranno questa richiesta 86, augurandosi che P. Planque venga nominato Vicario apostolico d’Egitto, una fun zione che potrebbe soddisfarlo: non essendo più incompatibile in quel momento con le sue altre responsabilità87. Questo facilite rebbe la sua amministrazione, consolidando l’avvenire della sua Opera. Ma, come le precedenti, questa proposta rimarrà lettera morta e senza un domani, sempre a causa del silenzio di Roma, e la situazione del Superiore resterà immutata sino alla fine. Si comprende allora la sua gioia - sicuramente accompagnata da un grande sollievo... ed anche da un certo humour - quando, nel 1891, ricevette da Roma il Breve che nominava P. J.B. Chausse Vicario apostolico del Benin... Finalmente si dava alla Società un primo vescovo. Il Superiore visse l’evento nella fie rezza e nella pace. Lui stesso aveva presentato questa candida tura, come in seguito presentò quella dei Padri Pellet, Lang,
83 L. PI. a Mons. Fava, 16.11.1878. 84 Dalle lettere di Mons. Fava al Papa Leone XIII, 8.1.1888. 85 Mons. Fava riprende qui l’idea proposta dal Card. Barnabò sedici anni prima. 86 Gli altri cinque prelati erano: Card. Desprez, arcivescovo di Tolosa, il Card. Langénieux, arcivescovo di Reims, Désiré-Joseph, vescovo di Arras, Guillaume-Joseph, ve scovo di Le Mans, Victor, vescovo di Aire e Dax - I Padri Desribes e Bricet avevano anch’essi sostenuto la pratica presso Mons. Fava. 87 In questo momento, il Padre si era già liberato di una parte delle sue responsabi lità, avvalendosi di altri confratelli.
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Dartois, Albert... S8. Finalmente una grande speranza veniva ap pagata, quella di vedere la Società - attraverso i suoi Vicari apo stolici - introdotta a pieno titolo nella Chiesa. Era quindi un segno d’approvazione delle Missioni Africane, un segno che il Padre attendeva, con pazienza, da lungo tempo. A più di centoventi anni di distanza, tali dibattiti e rinvìi senza fine hanno perso la loro importanza, sembrano persino sterili e inutili. Ma, nel contesto dell’epoca e soprattutto nel complesso radicamento della Società in Africa, non si poteva considerarli che in termini di rifiuto o di accettazione, con un sentimento di delusione o di speranza. In certi momenti, il rigore della legge sembrava avere la meglio su un vero discernimento che avrebbe condotto a cercare sin dall’inizio il meglio per l’e vangelizzazione stessa... E certo, comunque, che P. Planque ri mase segnato dall’atteggiamento di Roma - o almeno di certi prelati - nei suoi confronti, sebbene si trattasse più di incom prensione che di mancanza di fiducia. Ma non per questo fu meno figlio della Chiesa, anzi rimase tale per sempre, con tenacia e attaccamento. Non ricevette la grazia dell’ordinazione episcopale... La sua grazia, fu quella di continuare a servire nella semplicità, dando a tutti i suoi la testimonianza e l’esempio del disinteresse e di una fedeltà capace di resistere a tutti i venti contrari.
3, La M issione al Capo L’anno 1872 comincia, dunque, nell’agitazione. P. Planque deve battersi su diversi fronti, guadagnarsi la fiducia di Propa ganda Fide contro gli attacchi di Lavigerie nei confronti delle Missioni Africane e, nello stesso tempo, mantenere il sangue freddo per rispondere ad un’eventuale nomina a Vicario apo stolico. Ma nulla di tutto questo gli fa dimenticare la necessità di ottenere un luogo dove la Società possa estendere il suo campo 88 Si vedano nella IV parte i diversi vicari apostolici che saranno nominati nella Società.
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d’azione senza timore di vedere sparire, uno dopo l’altro, tutti i suoi membri. Pensa, allora, di riattivare le pratiche già in corso riguardo al Capo di Buona Speranza. Ed anche se, durante l’e state, Mons. Callot viene ad offrirgli un’altra possibilità per ripar tire in Algeria, egli non abbandonerà la pista del Sud. Sfortunatamente, Mons. Grimley, uno dei primi ad aver pro posto alle Missioni Africane di stabilirsi nel suo distretto del Capo, è morto poco dopo la fine del Concilio Vaticano 189. E vi è ragione di temere che, finché la sede rimarrà vacante, Roma non sarà disposta a fare una divisione del Vicariato. Ma P. Planque, deciso a non perder tempo, prosegue la messa a punto del progetto che era servito da base per gli accordi con il vescovo defunto. Il successore di Grimley, Mons. Léonard, di passaggio a Lione l’anno seguente, si dichiara favorevole ad una collabora zione con le Missioni Africane e pronto a portare subito con sé i Padri disponibili per il S u d 90. Ma a Roma si preferisce riman dare questa partenza, con il pretesto che il nuovo vescovo dovrà visitare il suo Vicariato, prima di modificarne i confini. Al limite della pazienza, sembra che P. Planque abbia reagito molto ani matamente: non è più possibile aspettare ancora - dice —con il rischio di demoralizzare i Padri costretti da mesi all’inazione. Con parole di una fermezza irriconoscibile nei confronti di Barnabò, seppure sempre rispettoso, egli respinge ogni obiezione: «Vogliate dunque terminare, Ve ne prego - scrive - la realizza zione di questa nuova Missione e permettermi di mandarvi im mediatamente un primo gruppo di cinque o sei missionari»91. E dopo aver ricordato che un nuovo ritardo sarebbe dannoso tanto al seminario quanto ai Padri, aggiunge: «Vi supplico, Eminenza, di non indugiare con la spedizione del Breve per la fonda zione» 92. L’audacia del tono riesce a convincere —è anche vero che P. Planque si rivolge ad un amico - ed egli ha partita vinta. In maggio partono due Padri che si fermeranno inizialmente a San 89 90 91 92
L. L. L. L.
PI. al Card. Barnabò, 15.7.1871. PI. al Card. Barnabò, 9.3.1873. Pi. al Card. Barnabò, 2.4.1873. Barnabò a Planque, 30.4.1873, AMA - e L. PI. al Card. Barnabò, 31.7.1873.
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t’Elena. Altri sei li seguiranno93. È un forte gruppo di uomini, quello che giunge in queste terre, per loro più lontane e scono sciute di quelle dell’Africa occidentale: Mossel-Bay, Oudstone, Georgetown, Beaufort, ecc. In quest’immensa regione che non ha nulla in comune con il Dahomey, i Portoghesi sono ancora in possesso della zona orien tale intorno al Canale di Mozambico, dove sono arrivati alla fine del XV secolo, dopo il viaggio di Vasco de Gama. In realtà nella regione del Sud, sono stati gli Olandesi a stabilire le colonie più grandi, aprendo la porta agli emigranti che si sono dedicati all’a gricoltura. Questi hanno trovato facilmente nella popolazione mi gliaia di schiavi, necessari per le piantagioni. A loro volta, gli Inglesi hanno fondato dei centri sulla Costa, in attesa di rita gliarsi la parte più grande in seguito ai trattati del 1815, e di rafforzare ancora di più il loro dominio, dopo aver vinto i Boeri94. Tutto questo può spiegare la presenza, già antica nel paese, di missioni protestanti, attive e ben organizzate, rafforzate dal l’arrivo di calvinisti francesi, che avevano preferito espatriare da vanti all’ostilità dei sovrani cattolici nel XVI e XVII secolo 95. La manifesta rivalità di tutti questi fratelli separati ha mantenuto a lungo i cattolici in disparte, privandoli persino di un accesso di retto al paese, fino all’erezione nel 1837 del Vicariato apostolico del Capo, affidato ai missionari olandesi. Per questo motivo, constatando il ritardo delle Missioni cattoliche, i precedenti ve scovi del posto, Griffith, Devoucaux o Grimley, avevano sperato di ricevere, per le popolazioni indigene, un personale più nume roso, e si erano lamentati della loro povertà, nel vedere d’altra parte l’Europa inviare generosamente dei missionari verso l’E stremo Oriente. In realtà, P. Planque non si era deciso facilmente a lasciar 93 L. PI. a l C ard . B arnabò, 3 1.7 .1 8 7 3 - D ue P ad ri erano partiti il 15 m aggio e altri sei il 5 luglio 1873. 94 I B o eri furono sconfitti nel 1902, dopo due anni di guerra. 95 I pro testan ti erano esp atriati in m assa dopo la revocazione d e ll’E ditto di N antes nel 1685.
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partire i suoi uomini così lontano nell’altro emisfero. Ancor più della distanza, temeva l’influenza degli ambienti olandesi, discen denti dei primi colonizzatori e molto potenti nella regione, tanto da imporre a tutti la loro lingua e la loro cultura. Ora, come già in Spagna o nel Dahomey, la Società non vuole fare opera «na zionale». Poiché viene per servire il Vangelo, adotta uno spirito decisamente «cattolico». Bisogna resistere e, nello stesso tempo, convincere alcuni dei Confratelli, che rimangono ancora scrupo losamente legati alla Costa della Guinea, che le Missioni Africane non sono tenute a restringere il proprio campo d’azione ai soli Neri e che possono stabilirsi nel Sud, così come si continua a cercare di fare nell’Africa del Nord... 96 Se i primi Padri, mettendo piede nell’isola di Sant’Elena, hanno avuto un’impressione favorevole, lo stesso non avviene per quelli che sbarcano sul continente. Poiché il paese è vasto, i vil laggi piccoli, le popolazioni sono disseminate e gli operai che la voravano nelle miniere si spostano spesso, ma le famiglie non li seguono. E quindi un ambiente instabile ed un insieme di condi zioni di vita che non lascia intravedere nessuna speranza reale di costruire una missione. Tuttavia uno dopo l’altro, i Vicari apo stolici hanno chiesto dei rinforzi. Ma dove e come pensano di impiegarli? P. Planque è quasi dispiaciuto di aver inviato un gruppo così grande 97. Tutti gli sforzi dei missionari sono ormai diretti a trovare un corridoio che dal Capo risalga verso il Nord, dove ci sono meno coloni e più indigeni, cioè un popolo più nuovo, presso il quale essi sperano di cominciare una prima evangelizzazione. Se si devono costituire due Vicariati distinti e vitali, la divi sione si rivela già non facile. Agli inizi almeno, il Padre dà prova del più grande disinteresse... ed è quasi come un soffio di aria nuova tra le rivendicazioni dei diversi Istituti interessati. Infatti ai Padri della Società importa poco di andare in un posto o nel l’altro, ciò che desiderano prima di tutto, è di evitare i dis 96 L. PI. a P . D evernoille, 2 1 .1 .1 8 7 4 . 97 L. PI. al C ard . B arnabò, 6 .1 .1 8 7 4 , a P . D evernoille, 2 1.11874 e a M ons. Léonard, 21.3.1874.
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sapori98. Il loro Superiore domanda che non siano attribuiti loro soltanto luoghi deserti o quasi disabitati, dove perderebbero il coraggio, non potendo agire Per quanto la cosa possa sembrare sorprendente, trattandosi del Vangelo, bisogna prendere coscienza del fatto che - in questi paesi già «fatti a brandelli» tra i colonialismi europei che vi si scontrano senza pietà - esiste anche un’altra forma di rivendica zione (bisogna forse chiamarla una sorta di colonialismo eccle siale?). Chiese nazionali o Istituti presenti nella regione hanno ottenuto, a volte da lunga data, delle giurisdizioni rimaste poi immutate e delle quali essi intendono conservare il beneficio. Tutti tengono ai luoghi dove hanno stabilito le loro missioni come fossero un proprietà privata, anche se, per insufficienza di personale missionario, non riescono sempre a rispondere ai bi sogni dell’evangelizzazione. Così, Mons. Léonard che, all’epoca della sua visita a Lione, si era offerto di accogliere le Missioni Africane in una parte del suo Vicariato, una volta tornato là, segue senza problemi il parere del suo vicario generale Mac Mahon, che cerca di recuperare i luoghi concessi 10°. L’intesa, tuttavia, viene conclusa tra i due e, nel giro di qualche mese, Propaganda Fide può creare la Prefettura apo stolica del Capo, che diventa il «feudo» della Società di Lione101. Purtroppo però, questa nuova Prefettura si trova, verso il nord, molto più limitata di quanto non si potesse preve dere. Tocca ora a P. Planque reclamare affinché si permetta che i suoi missionari abbiano accesso fino alle rive dei fiume Grange, dove si troverebbero a loro agio in un lavoro di primo annuncio presso le popolazioni autoctone. Ma quando questi sono ormai pronti per raggiungere la re 98 L. PI. a M ons. L éo nard, c ita la in n. 97 - Si tratta v eram ente di una lettera di conciliazione. 99 L. PI. a P . P ourret, 7 .1 1 .1 8 7 4 : « il lato negativo di questo paese sta n ell’avere pochi abitanti, sparsi su regioni im m en se». 100 L. PI. a! C ard . B arnabò, citata in n. 97: «M on s. L éonard si è lasciato convincere co m pletam ente d alle id ee di M ac M ah o n ». 101 L. PI. al C ard . Franchi, 2 .8 .1 8 7 4 - L a P refettu ra del C apo è stata costituita da P ropaganda F id e il 13.7.1874 - C fr. L. PI. a F ranchi, a P . D cvernoille, 20.9.1874 e a M ons. L éo nard . 21.2 .1 87 4 .
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gione del Lago N’Gami, di cui vorrebbero fare il centro della loro missione verso l’interno, è il Vicario apostolico dei Natal, Mons. Jo livet102, che decide di estendersi da quel lato e li spinge sulla Costa occidentale... Il risultato per loro non è migliore perché questa volta devono scontrarsi con il Pro-Prefetto del Congo, P. Duparquet, che rivendica il fiume Grange come limite meridionale della sua Prefettura - e con i Padri dello Spirito Santo, che non vogliono rinunciare a nessuna parte della Cimbebasia103. P. Planque può ben rassicurare, carte alla mano, Propaganda Fide che questo territorio non appartiene ad alcuna giurisdizione e reclamare che sia concesso loro finalmente di la vorare al di là della riva destra del fiume Grange... deve cedere ancora e rinunciare al suo piano 104. A Roma tuttavia, desiderano che le Missioni Africane abbiano successo nell’Africa del Sud. Si offre loro dunque, verso est, il territorio compreso tra i due fiumi Limpopo e Zambesi. Essi dovranno però preoccuparsi di rispettare la presenza portoghese sempre dominante su questa parte della costa del Mozambico. Sarebbe una buona soluzione, tanto più accettabile in quanto sembra convenire a Mons. Jolivet e ai Superiore generale degli Oblati di San Francesco di Sales 105. Nuova delusione: siccome i dati di Propaganda Fide sono molto vaghi sulla situazione geo grafica dei diversi paesi, si scopre che il Limpopo-Zambesi è già stato attribuito ai Gesuiti... i quali sono sul punto di stabilirvisi! «Un bel pasticcio!», conclude filosoficamente P. Planque... ma aggiunge anche: «La vita è una serie di lunghe pazienze!» 106. La sua è veramente messa a dura prova. Queste complicazioni continue lo costringono ad accettare la 102 Mons. Jolivet, Oblato di San Francesco di Sales, era responsabile del Vicariato del Natal, ad est della Prefettura del Capo. Il Vicariato del Capo di Buona Speranza, con Mons. Léonard, era ad ovest. 103 La Cimbebasia occupava la costa dell’Atlantico, dal nord della Namibia al centro dell’Angola (tra il 10° ed il 20° parallelo). 104 Rapporto di P. Planque a Propaganda Fide, 3.5.1877, sulla prefettura del Capo. 105 L. PI. al Card. Franchi, 2 e 19.5.1878 - La soluzione proposta a Propaganda Fide era soddisfacente - Cfr. L. Pi. a Mons. Zitelli, 4 maggio, a P. Moreau 16.6.1878 e di nuovo a Franchi, il 26.12.1878. 106 L. PI. a P. Gaudeul, 9.1.1879.
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decisione di Roma di scambiare la Prefettura del Capo con la Costa d’Oro... cosa che non avviene senza ulteriori lunghe di scussioni con i Padri dello Spirito Santo... 107 E tuttavia, il Capo stava per diventare una bella missione, alcuni posti lo facevano sperare. C ’era Sant’Elena, dove Moreau animava già una piccola comunità cristiana molto viva, con una scuola che andava bene, malgrado qualche rivalità da parte dei Protestanti - e per prendere parte allo sviluppo del paese, il Padre aveva persino dato avvio ad una piantagione di caffè. Vi era soprattutto Pella, «questo luogo, dove all’inizio non si incon travano che sciacalli». Ma, scrivevano i Padri, «al centro delle terre, che il governo della colonia ha concesso alla Missione, ab biamo attirato qualche famiglia, e si conta già un buon centinaio di abitanti, metà dei quali ha già ricevuto un’educazione catto lica. Con trenta bambini nelle classi, è un inizio modesto, ma solido» 108. Pella prometteva di essere un villaggio cristiano che ne avrebbe aiutati altri a prendere l’avvio, «una bella missione diceva P. Planque con dispiacere - e se tutto fosse stato simile a Pella, noi avremmo mantenuto volentieri la Prefettura poiché ci sarebbe stato lavoro per tutti» 109. In altri luoghi ancora, come Mossel-Bay, Oudstone, delle co munità cristiane cominciavano a riunirsi. Se qualcuna delle comu nità protestanti costituiva come un bastione difficile da pene trare, in altre parti le relazioni erano abbastanza distese perché si potessero celebrare dei matrimoni misti e aiutare i fratelli sepa rati a radicarsi ancora di più nella fede in Cristo 110. P. Planque era persino giunto a pensare di inviare delle religiose a George town, visto il numero di bambini che si presentavano nelle classi111. E Mons. Ricardo, il vescovo del Capo orientale, che 107 L. PI. a P. Gaudeul, 18.5.1879: Le Missioni Africane si stabiliranno in Costa d’Oro e i Padri dello Spirito Santo al Capo mantenendo la Cimbebasia. 108 L. PI. al Card. Franchi, 2.5.1877. 109 L. PI. al Card. Simeoni, 24.12.1881. 110 L. PI. al Card. Franchi, 18.7.1875: «I confratelli mi scrivonoche... se avessero il potere di concedere delle dispense per i matrimoni misti, celebrerebbero essi stessi le unioni che si fanno presso i Protestanti...». 111 L. PI. a P. Devernoille, 21.7.1875: il Superiore non ha potuto ottenere delle religiose della Sacra Famiglia di Bordeaux.
aveva avuto l’occasione di apprezzare il lavoro compiuto dai Padri, se ne era congratulato con il loro Superiore, assicurando che «questa impresa sarebbe stata forse l’inizio di qualcosa di grande» n2. Lo zelo, ma anche il disinteresse della Società e l’ef ficacia dei suoi metodi missionari potevano sicuramente portare qualcosa di nuovo. Come non rimpiangere allora il fatto che la Società abbia dovuto decidersi ad abbandonare il Capo e che la Missione sia terminata bruscamente proprio quando sembrava essere partita bene? Tanti andirivieni da una giurisdizione all’altra, tante pic cole rivalità che portavano alcuni Istituti (tutti al servizio dello stesso Vangelo!) a scontrarsi tra di loro, illustrano bene la situa zione esistente in quel momento non solo nel Sud, ma anche in altre parti del continente. Numerosi religiosi e missionari sono, a quell’epoca, attirati e quasi affascinati da queste nuove terre an cora chiuse alla fede; ciascuno trova delle buone ragioni per cer carvi posto e soprattutto per ancorarsi solidamente, senza un vero desiderio di collaborare con gli altri. E chi ha un’idea esatta di questi luoghi, della loro situazione, del loro clima, del loro tipo di habitat, della densità della popolazione...? Nulla di sor prendente allora se le giurisdizioni sono lungi dall’essere ben ri partite tra gli Istituti e se la missione non sempre risponde ai bisogni della gente o alle possibilità degli evangelizzatori. Grandi spazi non sono visitati mentre in altri c’è abbondanza di perso nale. Lui, Augustin Planque, sarà uno dei primi a fare i rileva menti esatti dei territori, delle loro suddivisioni politiche e reli giose, delle vie verso l’interno seguite dagli esploratori. Forse all’inizio egli è andato troppo in fretta, precipitando la partenza dei Padri, nella sua ansia di soddisfare coloro che non erano occupati a Lione. Allora, si è accontentato di fidarsi di Grimley per il quale «tutto procedeva da sé»! o di Propaganda Fide... ma quali informazioni poteva aspettarsi? Il più delle volte, a Roma, le missioni erano conosciute attraverso i rapporti tra smessi dagli Istituti o dagli Stati coloniali come il Portogallo... Era difficile uscire da quel vicolo cieco... 112 L. PI. a P. G audeul, 11.6.1875.
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A tanti problemi complessi se n’è aggiunto d’altronde un altro, interno stavolta alla Società. Più avanti vedremo quale vento di contestazione ha soffiato dal Capo, turbando m olti113. E proprio uno dei più stretti collaboratori di P. Planque è diven tato il principale agitatore. Quando passerà ai metodisti, dopo aver seminato il disordine intorno a sé, provocherà un duro colpo ai Confratelli, lasciandoli a lungo abbattuti e confusi... Ci vorranno due anni alle Missioni Africane per liberarsi to talmente dall’impegno del Capo, poiché i Padri dello Spirito Santo cercheranno con tutti i mezzi di modificare gli accordi conclusi con la Santa Sede. Per evitare di essere incaricati di alcune postazioni sulla costa meridionale, accetterebbero final mente di cedere una parte della Cimbebasia. Tuttavia P. Planque resiste, anche se dovrà attendere fino al 1882 per la liberazione degli ultimi missionari, destinati anch’essi a raggiungere la Costa d’Oro.
Progetti im possibili Sembra che P. Planque, molto sedentario, abbia in realtà amato i grandi spazi e per questo sogna di inviarvi i suoi! Se guardiamo da vicino i suoi molteplici impegni, ci rendiamo conto che a Lione ha dovuto viaggiare spesso in ispirito preparando nuove strade! L’Africa dell’Est sembra averlo particolarmente at tirato e poiché, nel Sud, gli Istituti proliferano e vivono rivalità e tensioni, perché non spingersi più in alto, in direzione nord, «dove sono penetrati quegli arditi viaggiatori, Livingstone, Stanley, Cameron, Nachtingale», e per far questo, appoggiarsi alla Società internazionale di Bruxelles, presieduta dal re Leo poldo II? «Questa si è prefissato lo scopo di contribuire a diffon dere la civiltà religiosa, umanitaria e sociale nelle contrade cono sciute di recente» - «Sarebbe il momento giusto», scrive al Car dinale Franchi P. Planque, molto attaccato a quest’idea, «per mandare i missionari cattolici in tutto il territorio tra l’Equatore e lo Zambesi, intorno ai Grandi Laghi». Prega dunque il Prefetto 113 Cfr. IV parte, cap. 12, la «contestazione» e « l’uscita» di P. Devernoille.
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«di lare di questo paese una missione e di incaricarne la So cietà» 114. «Se i cattolici non vi arriveranno per primi in numero sull ¡dente - dice - i protestanti non mancheranno di estendere la loro influenza, senza contare che i musulmani hanno già fatto qualche conquista». Egli propone anche che due dei suoi Con fratelli accompagnino l’esplorazione della Commissione interna zionale nelle regioni del lago Tanganica 115. Ma le Missioni Africane non erano destinate ad evangelizzare il paese intorno ai Grandi Laghi... ed i giornali danno ben presto la notizia che Mons. Lavigerie sta inviando una dozzina di Padri verso il Tanganica e Nianza. Ormai, «non c’è più fretta» 116, conclude P. Planque senza turbarsi. Tuttavia, poiché rimane aperto ad ogni proposta, ci vuole poco perché —questa volta a nord-est dell’Equatore - si faccia un nuovo tentativo con Mons. Comboni. Questi aveva fondato a Verona un Istituto per le missioni, subito affiancato da una con gregazione femminile. Egli si trovava allora a dirigere un grande territorio, la cui parte più orientale corrispondeva più o meno all’attuale Sudan ed offriva a P. Planque —con cui aveva stretto buone relazioni in altre occasioni - di occupare, in questo luogo, le rive del Nilo, all’altezza della città di Dongola 117. Nello stesso tempo, aveva fatto capire il suo desiderio di unire le due So cietà118. Riguardo a questo genere di «fusione» - la terza che veniva proposta a P. Planque! 119 - si capisce che non aveva al cuna possibilità di affascinare un Superiore, sempre attaccato al l’integrità della sua eredità. Tanto più che quest’ultimo non ap 114 Rapporto al Card. Franchi, 7.5.1877 per domandare la costituzione di una nuova missione nella regione dei Grandi Laghi al centro dell’Africa. 115 L. PI. a P. Passot, 14.10.1877. 116 L. Pi. a P. Dominique, Cappuccino, a Carcassonne (Aude), 24.3.1878 - P. Planque vede già un altro progetto abbozzarsi in direzione del popolo dei Galla, in Etiopia. 117 Dongola è più a Nord sulla riva sinistra del Nilo, molto vicina alia frontiera egiziana. 118 L. PI. a Mons. Comboni, 19.9.1880: «H o parlato al nostro Consiglio del mezzo desiderio che voi avreste di unire la vostra opera alla nostra. E chiaro che non è una cosa facile...». 119 P. Planque aveva già ricevuto una tale proposta da P. d’Ormières e - almeno implicitamente - da Mons. Lavigerie...
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prezzava affatto i termini stessi della proposta, per cui si affrettò a rispondere: «Non è assolutamente possibile unire la vostra opera alla nostra, secondo il vostro desiderio. Voi avete dei mis sionari di valore e ne benedico Dio! Se pensate che noi siamo sprovvisti di uomini capaci...! Errore...! La nostra disgrazia, sono i nostri morti. Nessuno da noi ha più di sei anni di mis sione...» 120. Planque continua a interrogarsi sull’opportunità di inviare qualche Padre in quella zona della Nubia, temendo di ritrovare lo stesso problema del Capo, con vasti territori, ma una scarsa popolazione 121. Proprio allora sopraggiunge l’annuncio del de cesso di Mons. Comboni122 e questa scomparsa mette fine ad ogni ulteriore iniziativa... Tuttavia, nella corrispondenza del Padre, qualche lettera suc cessiva fa pensare che il suo desiderio di entrare in Africa cen trale non sia ancora spento. E tre o quattro anni più tardi, pre senta a Propaganda Fide un rapporto sui paesi che formano il Vicariato del Natal, richiamando in modo particolare l’attenzione del Cardinale Simeoni sul Transvaal, dove è urgente creare delle vere missioni presso gli Indigeni: la Cafreria, per esempio, non ha neanche un prete... In questo momento il clima della Costa d’Oro lo preoccupa a tal punto da spingerlo a fare nuove pro poste, in vista di un ritorno della Società al centro o al sud del l’Africa. «Se Vostra Eminenza mi domanderà che cosa possiamo fare nel Transvaal, risponderò che potremmo inviarvi dei missio nari senza nuocere alle altre nostre missioni...» 123. Più tardi, si intratterrà ancora sulla Nubia con P. Pied: «Siate certo che io seguo con interesse tutto ciò che riguarda l’interno 120 L. PI. a Mons. Comboni, citata in n. 118. 121 Stessa lettera: «Sembra che ci sia soltanto il deserto al di fuori della valle del Nilo, molto stretta in questa parte e lungo la quale non ci sono che villaggi senza impor tanza. Dove fissare la missione?» 122 Cfr. L. PI. al Card. Simeoni, 20.20.1881 - Il Padre avrebbe accettato la divisione del territorio proposto da Comboni poiché «non vi è ancora alcun missionario in tutta quella parte del Vicariato dell’Africa centrale». Ma avrebbe voluto in più Berber ed il regno di Darfour. 123 L. PI. al Card. Simeoni, 19.3.1884, rapporto e statistiche su tutto il Vicariato apostolico del Natal.
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dell’Africa centrale. Sono sempre stato in contatto con Mons. Comboni e se, alla sua morte, ho dovuto rifiutare di accettare per noi la direzione di quella missione, è stato solo in considera zione delle difficoltà di avere due Istituti nello stesso luogo...» e a P. Duret, aggiunge: «Avrei accettato di prendere la missione di Comboni tutta intera un po’ “ad duritiam cordis”, ma Propa ganda Fide si è resa conto che il seminario di Verona poteva continuarla» 124. Tante piste che egli avrebbe voluto lasciare aperte: «Queste regioni sono sane e salubri - diceva - e i missionari spossati potrebbero rendervi ancora tanti servizi alla causa di Dio» 125. Tuttavia nessuno di questi progetti era destinato ad avere un seguito... almeno durante la vita di P. Planque 126, ma traduce vano bene il suo desiderio di andare avanti e di conquistare alla fede nuovi paesi. Nel 1880, ha un altro compito urgente, quello di volgersi senza ripensamenti verso i due territori, Egitto e Costa d’Oro, dove la Società si è appena introdotta e con essa, ormai, la nuova Congregazione delle Suore. Vi troveranno un grande e duro la voro, ma anche delle belle terre di missione.
4. Nel Delta del Nilo
Nel 1876, Propaganda Fide ha dunque chiesto alla Missioni Al ricane di rinunciare definitivamente ad ogni inserimento nella zona del Fezzan, ma ha sempre l’intenzione di proporre un altro territorio. Nel corso di un «congresso» tenuto a Roma per trat tare la questione, P. Planque è «interpellato» - come racconterà lui stesso - da Mons. Agozzi, il segretario: «Cercate delle nuove Missioni per il vostro seminario? Perché non in Egitto, dove c’è un grande bisogno di missionari?». Ci si può immaginare la ri sposta, che non tarda ad arrivare: «Che la Sacra Congregazione 124 L. PI. a P. Pied e a P. Duret, 22.11.1882. 125 Rapporto citato in n. 123. 126 Attualmente le Suore NDA hanno aperto una missione nel Sudan nella regione di Kharthum (1984).
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ci invii e noi andremo, poiché noi siamo ai suoi ordini». Ma ii Superiore crede prudente aggiungere: «In questo caso, chiederò che tutto sia regolato in modo da non avere conflitti con i Padri Francescani...!» 127. Il paese è completamente nuovo e l’offerta abbastanza ina spettata perché vi-rifletta e consulti i suoi Consiglieri prima di impegnarsi. Il parere è favorevole: «C i è sembrato —scrive allora - che la proposta di aprire una missione ad Alessandria sia per fettamente conveniente allo scopo della nostra vocazione e noi l’accettiamo con riconoscenza»128. Ci vuole del tempo. Nel maggio 1877, si confida ad un Confratello a proposito dell’of ferta di Roma: «Il prefetto ed il personale di Propaganda Fide mi hanno ben accolto ed hanno a cuore che la nostra Società si affermi e si sviluppi per l’evangelizzazione dell’Africa. Mi si pro pone una Missione importante con dei nuovi insediamenti in Egitto. E P. Duret sta per partire per studiare questi punti di inserimento» 129. Così, dunque, come il primo decennio del suo governo si è concentrato sul Dahomey 13°, il secondo continua ad evolversi nel segno del movimento. Dopo Algeri, Orano, il Capo e ben presto la Costa d’Oro, ecco che i Padri sono promessi anche al Medio-Oriente. P. Planque, in verità, non ha abbandonato la sua idea di risalire verso il Sudan. A Roma si sa quanto questa pro spettiva gli sarebbe favorevole e Mons. Toroni non manca di far valere il merito di «quei viaggiatori che attraversano l’Egitto e si spingono lontano alla volta di nuove scoperte... Si potrebbe studiare il modo per seguirli...»131. La valle del Nilo divente rebbe allora la migliore delle vie d’accesso verso il centro o l’est del continente. Ma l’Egitto non sarà né via di passaggio verso l’interno, né una tavola di salvezza momentanea per le condizioni di salute 127 L. PI. al Card. Simeoni, 18.11.1882 —Quando il Padre parla del mese di marzo, bisogna certamente leggere maggio... 128 L. PI. al Card. Franchi, 26.3.1876. 129 L. PI. a P. Moreau, 20.5.1877. 130 Fino al 1870, la Società ha fondato soltanto le prime tre missioni del Dahomey. 131 L. PI. a Mons. Toroni, 23.1.1877.
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della Società. È destinato a diventare molto di più: una nuova Prefettura, poi una grande provincia piena di promesse per l’av venire. E ugualmente certo che esso è considerato molto presto un luogo di bellezza e d’incanto. Basterebbe - se ci fosse bisogno di convincersene - rileggere qualche pagina piuttosto entusiasta nel rapporto che P. Pianque invia al Consiglio centrale della Propa ganda Fide dopo il suo primo viaggio 132. Se egli non ha «visitato il paese come turista, tuttavia si è lasciato affascinare dal sole brillante, dai giorni sempre sereni, dal cielo blu più bello del mondo, dall’aria limpida e leggera... e la valle del Nilo così ver deggiante da promettere fecondità»... Ma anche senza ammi rarne i luoghi, dieci anni prima, al momento della fondazione, il Padre ha colto la sfida missionaria rappresentata da questo vasto paese, dove vivono fianco a fianco riti e religioni diverse. Parlare in questo luogo della fede in Cristo o semplicemente sforzarsi di viverla, anche nel silenzio, se necessario 133: questa è la missione - ed anche la sfida da raccogliere - che egli si prefigge subito per i suoi missionari, con la speranza di infondere in questo popolo la gioia e la speranza della salvezza. ...Una speranza, una salvezza che questa terra, tra le più an tiche del mondo, è stata anche una delle prime a ricevere e a coltivare. Evangelizzato da Marco, il discepolo di Pietro 134, il popolo copto, autentico discendente dei Faraoni, ha dato rapida mente vita ad una comunità cristiana ad Alessandria intorno a Clemente e ad Origene. Due secoli più tardi si è costituito il patriarcato, —di cui Cirillo è il primo titolare - una sede illustre, «potente come una specie di papato alessandrino», ma che an cora accetta di rimanere sottomessa al primato romano. Vassallo dell’Impero fin dai tempi di Augusto, il paese su 132 U primo viaggio di P. Pianque ebbe luogo nel marzo-aprile 1886. Ne inviò un rapporto al Consiglio centrale della Propaganda Fide, a Lione. 133 Dal 1876 egli aveva compreso il tipo di missione che era possibile realizzare in Egitto. 134 La Chiesa di Alessandria ha sempre fatto risalire la sua origine a san Marco. Vi erano degli Egiziani nel momento della Pentecoste a Gerusalemme... Allora, l’Egitto era una provincia romana.
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bisce grandi persecuzioni sotto gli imperatori Settimio Severo, Decio e Diocleziano 135. E più o meno nello stesso periodo che il Medio ed Alto Egitto, essendo sfuggiti, sembra, alle crudeltà del l’Impero, diventano il primo baluardo del monacheSimo cri stiano. Nei deserti e specialmente nella Tebaide, Paolo e An tonio, e più tardi ancora Pacomio, attirano numerosi discepoli, tutti padri di quella vita eremitica che conquisterà presto l’Occi dente. Tuttavia il fervore delle comunità non può impedire il sorgere delle eresie. Queste sono nate quasi inevitabilmente da uno studio del messaggio cristiano che certamente mancava di rigore, di conoscenza dei testi e di fedeltà. Vi è stato il prete Ario, ma contro di lui, per combatterlo vigorosamente, anche il grande Atanasio e i concili di Nicea e di Costantinopoli che riconfermeranno la fede della Chiesa nel Verbo di Dio incarnato 136. In forma ancora più grave si presenta, alla fine del V secolo, la rottura con Roma, in quanto la Chiesa copta, che tuttavia aveva aderito con ardore al concilio di Efeso e alla proclamazione di Maria, Madre di Dio 137, decide di seguire Eutiche e, opponen dosi al concilio di Calcedonia, si chiude nella dottrina del monofisismo 138. Soli e tagliati fuori dalla Chiesa cattolica - di cui sono stati fino a quel momento elementi attivi e brillanti - i cristiani copti devono affrontare la conquista araba, conseguente alla nascita dellTslam 139, e che, in nome del Profeta, invade la regione di cui per lungo tempo distrugge l'equilibrio sia socio-politico che reli gioso. I Copti, nonostante ciò, subiscono la tempesta senza rin negare nulla della loro fede o del loro rito, e continuano ancora 135 Nel IV e V secolo... 136 II concilio di Nicea nel 325, quello di Costantinopoli nel 381. 137 II concilio di Efeso nel 431. Il culto della «Theotokos», la madre di Dio è sempre rimasto molto diffuso in Egitto e in tutto l’Oriente. Si pensi alle innumerevoli icone. 138 Secondo il monofisismo Cristo non ha che un’unica natura. L’Egitto, a quei tempi, era in contrasto con il mondo bizantino, e vide dunque questa separazione come una forma di resistenza nazionale ai Greci, resistenza attribuibile più al popolo copto che al clero. 139 Nel VII secolo, dopo l’Egira. La storia è colma di guerre e di rivalità che ne sono seguite.
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oggi a far rivivere un passato al quale essi sono profondamente legati. Ma la situazione di gruppo minoritario, nella quale si sono trovati, si è deteriorata spesso, nel corso dei secoli, secondo le dominazioni alle quali sono stati sottoposti. Nell’epoca in cui le Missioni Africane giungono in Egitto, la Chiesa ortodossa monofisita gode di una relativa pace. La tolle ranza è la legge del potere da quando Mehemet-Alì, viceré del paese, ha condotto una politica liberale, il che giustifica che gli vengano attribuite queste parole: «Non voglio che vi siano delle differenze tra i miei sudditi appartenenti a razze o a religioni diverse» 140. Ma se la Chiesa copta conta allora quasi un milione di membri, essa è lontana dall’essere la sola ad occupare l’area cristiana del paese; gli altri riti orientali141 vi hanno ugualmente diritto di cittadinanza. Tra questi bisogna menzionare la piccola comunità copta rimasta legata alla Chiesa cattolica, essendo so pravvissuta dopo Calcedonia. In quest’epoca essa non conta più di qualche migliaio di fedeli, ma è per essa che il Papa Leone XIII vorrebbe ristabilire il patriarcato copto di Alessandria. Nel pensiero di P. Planque, questi numerosi riti sono la prin cipale causa dell’impotenza dei cattolici. «Riuniti, sarebbero una forza considerevole, ma essi sono divisi e tutto va in pezzi. Per me, io desidererei che in Egitto non vi fossero affatto, per il momento, tutte queste congregazioni orientali»... E volentieri, egli le avrebbe tutte riunite alla Chiesa latina, non per mancanza di rispetto per la loro originalità o le loro ricchezze particolari, ma - e bisogna ricordare quanto quest’idea gli stia a cuore perché « l’unione di tutti sarebbe una forza ed un mezzo per lottare contro la superficialità dell’istruzione religiosa, che presso di loro costituisce una grave lacuna» 142. In mezzo a tutta questa diversità, il Padre riserva un posto 140 Cfr, H istoire des Coptes d ’Egypte, di Sylvestre Chauleur, ed. La Colombe, 1960, p. 212.
141 I riti orientali sono numerosi: oltre ai Copti, vi sono i Greci, i Caldei, gli Armeni, i Siriaci... Alcuni uniti, altri in rottura con Roma. Vi si aggiungono i Maroniti e i Latini, cattolici. Vi si contavano persino dei protestanti e degli ebrei... 142 Cfr. Rapporto di Planque a Propaganda Fide, 2.6.1886.
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speciale al rito maronita, «il migliore - dice - tra i cattolici» 143. E «un’idea lo assilla da tempo, ossia di avere tra i suoi missionari qualche buon Maronita. Sarebbe un vantaggio per la Chiesa di Dio, per le genti di lingua araba alle quali noi siamo inviati, un vantaggio per il popolo maronita stesso su cui la dedizione di alcuni dei suoi ricadrebbe sotto forma di benedizioni» 144. È vero comunque, come ha precisato precedentemente, che «se essi vo gliono rimanere unicamente nel loro rito, non saranno mai dei buoni missionari e rimarranno sempre degli Orientali...» 145. Il mosaico estremamente complesso di queste comunità che si richiamano al medesimo Gesù Cristo, ma coincidono spesso con delle entità nazionali a volte rivali, ha già attirato l’atten zione di Roma. Lazzaristi e Fratelli delle Scuole cristiane sono già sul posto, presto seguiti dai G esuiti146. Tuttavia l’elemento missionario più importante è di gran lunga l’ordine dei France scani. Costoro, presenti in tutto il Medio Oriente da quando è stata loro affidata la Custodia della Terra-Santa, rimangono at taccati a questi luoghi nel ricordo di Francesco d’Assisi, il mis sionario di Damietta 147. E un Francescano, Mons. Ciurcia, che rappresenta Roma in qualità di Vicario apostolico d’Egitto e P. Planque, che vuole essere realista... comprende che, qui come al Capo, la divisione delle terre e dei poteri non sarà molto facile... Propaganda Fide vedrebbe con favore le Missioni Africane ad Alessandria, «dove vi è del lavoro serio e la necessità di so stegno religioso» 148, ma si tratta di un feudo francescano, e Mons. Ciurcia preferirebbe che si stabilissero a Port-Said e Ismailia. «Queste città sono fornite - risponde allora P. Planque a Mons. Toroni - . Se Roma ci manderà, andremo a Port-Said
143 C fr. lo stesso rapporto. 144 L. PI. a M ons. D ebs, arcivescovo d i B eiru t, 20.1.1886. 145 L. PI. a P . D uret, 4 .1 2 .1 87 8 . 146 Q uesti, n el 1879, furono in caricati d ella form azione del clero. 147 San F ran cesco d'A ssisi acco m pagnò i C ro ciati nella V C rociata, verso il 1219, avendo avuto l ’id e a di u na spedizione pacifica e più evangelica di q u ella delle arm i. I suoi colloqui con il Su ltan o M alik-el-K am a! sono rim asti leggendari. 148 L. PI. a M ons. Toroni, 2 3.1 .1 87 7 .
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per obbedienza, ma come accettare Ismailia dove i due Padri si annoierebbero non avendo nulla da fare? L’Africa ha dunque troppi missionari per impiegarli nelle sinecure? Questo non rientra più nelle prospettive che voi avevate dichiarato l’anno scorso... delle prospettive che ci convenivano - aggiunge il Padre sognando ancora di spingersi lontano per aprire nuove missioni Tutto, invece, sembra cambiato» 149. D’altra parte il Superiore desidererebbe molto la costituzione di una missione e anche di una prefettura apostolica tra il Nilo e il Mar Rosso 15°, cosa che converrebbe molto di più ad una So cietà destinata esclusivamente all’apostolato missionario propria mente detto. Infine, ci si accorderà su Zagazig e Tantah. Si tratta delle due città più importanti del Delta - una molto vicina a quello che poi è diventato, dal 1869, il canale di Suez, la seconda più al centro, tra i due bracci del Nilo - ed hanno tutto per soddisfare i missionari, poiché la popolazione è numerosa e meno europea che in altri luoghi15b Questa volta sembra che i Padri abbiano trovato una missione a dimensione del loro zelo ed il Superiore non tarderà a definirne i contorni. Infatti, non si tratta soltanto di occupare i luoghi o di orga nizzare un’opera per i cristiani già stabiliti, come se «si fosse venuti unicamente per vegliare alla conservazione delle fede presso coloro che l’hanno già ricevuta» 152. Questo è forse il modo troppo restrittivo che hanno i Francescani di considerare la missione: vivere nel paese e mantenervi un posto, senza però un obiettivo apostolico preciso 153. Sicuramente, un missionario «dal cuore grande» 154, com’è Augustin Planque, che si impegna a 149 Stessa lettera. 150 E probabile che Mons. Comboni non sia stato estraneo a questa proposta (in base alle note di P. Roeykens, AMA, p. 75). 151 Dopo l ’esperienza del Capo, il Padre dubitava dei luoghi quasi inabitati. All’e poca, Tanah doveva avere circa 80.000 abitanti, Zagazig un po’ meno. 152 Cfr. Rapporto a Propaganda Fide, 18.11.1882, citata in n. 127. 153 Cfr. il Rapporto comunicato a Mons. Toroni, 18.11.1882 - «In missione - dirà il Padre - non basta dire la Messa o il Breviario, bisogna anche preoccuparsi delle scuole e di altre opere!...» 154 L’espressione «at heart» (in profondità) è derivata da P. Gantly, Missions to West Africa I, p. 317. Essa definisce bene P. Planque...
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fondo in tutto ciò che intraprende, ha idee completamente di verse: «Non ci sarebbe dunque nulla da fare in Egitto, nulla di nuovo da creare? Bisogna incrociare le braccia e, immobili, guar dare avanzare gli altri, protestanti, massoni? Come si può non cercare di andare avanti nel momento in cui tutti gli occhi sono fissi sull’Egitto ed il paese aspira ad un vero sviluppo?» 155. Uomo dinamico, Augustin Planque è soprattutto nemico del l’immobilismo, la carità di Cristo lo spinge e lo sprona. Per questo egli è certo che la sua visione missionaria sia quella giusta... E un giorno dirà, anche con un po’ di fierezza, a P. Duret: «La teoria francescana del “non far nulla” è stata passata in rivista e studiata nel dettaglio a Roma... Io sono certo che Propaganda Fide è favorevole alla gente d’azione... Il segretario me l’ha detto diverse volte...» 156, e si può credere facilmente che il paragone sia tornato a vantaggio delle Missioni Africane...! Effettivamente egli vuole lanciare una missione vivace e dinamica che lasci trasparire, attraverso la condivisione della vita, la parte migliore dell’amore del Signore. E dunque in un ambiente composito e pieno di contrasti, nel quale sul piano dell’apostolato tutto sembra ancora da creare, che i due Padri Duret e Gallen arrivano nel novembre 1877. Dalla città di Alessandria, dove sono sbarcati, raggiungono rapi damente Zagazig, designata da Mons. Ciurcia. Il primo insedia mento è sommario, ma possono contare sulla benevolenza del Khedivé Ismail per ottenere un terreno dove costruire la loro casa 157. Le cose si svolgono secondo le regole e, poiché la legge musulmana non potrebbe autorizzare lo Stato a fare un dono a dei cristiani, è il Presidente francese Mac-Mahon a ricevere il terreno, concedendone in seguito la proprietà alle Missioni Afri cane. La facilità di questa transazione testimonia in maniera suf ficiente come tra i due paesi vi siano eccellenti relazioni, perché la cultura islamica non ha impedito all’Egitto di volgersi verso 155 Rapporto a Propaganda Fide, citato in n. 152. 156 L. PI. a P. Duret, 6.7.1886. 157 II Khedivé era il terzo successore di Méhémet-Ali. Fu lui ad inaugurare il Canale di Suez nel 1869.
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l’Occidente con il quale ha numerosi scambi archeologici, lette rari ed economici158. Alla fine del 1878, qualche mese dopo la fondazione di Zagazig, comincia quella di Tantah. Si tratta di una sorta di citta della nello stesso tempo religiosa e politica, una città santa poiché possiede una moschea celebre contenente la tomba di Said-el-Badawi, e quindi luogo di pellegrinaggio molto frequen tato 159. Ma a questi inizi relativamente calmi e favorevoli - e come per ricondurre i Padri alle realtà della loro situazione seguirà un periodo di ribellione dovuto al movimento naziona lista che insorge contro le misure dell’amministrazione francobritannica. Questa tende a prendere sul paese un controllo giudi cato abusivo 16°. Soffia allora un vento di xenofobia e di fana tismo religioso, che costringe i Padri e le Suore ad allontanarsi per un po’. Vi sono saccheggi, incendi, massacri di cristiani. La casa di Tantah, ad esempio, è saccheggiata. P. Planque che segue le notizie con grande inquietudine e divora i dispacci dei giornali, scrive: «C i siamo tormentati per settimane a causa di un Confra tello. Fortunatamente è riuscito a passare in Siria sano e salvo. Soltanto il Superiore di Zagazig è rimasto a Ismailia. Gli altri stanno imparando l’arabo in Libano...»161. Questa ribellione è repressa abbastanza rapidamente dall’esercito inglese 162 a Teli el Kébir, cosa che offre all’Inghilterra l’occasione di affermare an cora di più il suo dominio. Una volta sedate le rivolte, i missionari «possono ritornare ai loro posti e pensano di allargare il loro campo di attività» 163. 158 La spedizione di Bonaparte del 1798-99, anche se si trattò di un fatto di guerra molto sventurato, ebbe il vantaggio di aprire la strada agli scienziati e ai ricercatori: Champollion che decifrò i geroglifici, Mariette e tanti altri che si appassionarono per i luoghi archeologici dell’Egitto. 159 Said-el-Badawi, uno sceicco la cui storia era molto antica, fu secondo la tradi zione un ex crociato, medico, che in seguito si stabilì in Egitto, curò e guarì molti musul mani. 160 L’amministrazione anglo-fraancese depose il Khedivé Ismail, giudicato troppo indipendente, e impose suo fratello Tewfik, ma costui non potè impedire la rivolta del 1882. 161 L. PI. al Card. Simeoni, 4.9.1882. 162 La Francia non prese parte alla repressione. 163 Cfr. L. PI. al Card. Simeoni, 19.11.1882.
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Prima dell’insurrezione, essi avevano già aperto una scuola in ogni città e a Tantah avevano gettato le fondamenta di quello che sarebbe diventato il Collegio Saint-Louis 164. In tutto il paese infatti, come alla Costa e forse ancora di più, l’insegnamento è un bisogno fortemente sentito dalla popolazione. P. Planque in coraggia molto su questo punto: «In Egitto, si è missionari con le scuole. Nello stato attuale del paese, i collegi e le scuole sono ancora l’unico mezzo per compiere la nostra opera missio naria» 165. Quanto alle Suore già stabilite a Tantah dal 1881, tornano anch’esse dopo la rivolta ed aprono la loro seconda casa a Zagazig alla fine del 1882, con scuola, ospizio e dispensario. Se, negli ambienti più istruiti soprattutto, il francese è una lingua corrente, l’arabo è tuttavia indispensabile per entrare nella comprensione delle mentalità, specialmente nell’ambiente dell’I slam. I missionari cercano perciò dei maestri, sia per le loro scuole che per loro stessi, e i Gesuiti sono pronti ad inviare qual cuno dei loro ex allievi. L ’arabo è ancora più necessario, se i Padri e le Suore vogliono avvicinare, come hanno intenzione di fare, il mondo dei fellah, i contadini della campagna egiziana che hanno la reputazione ben meritata di essere dei lavoratori pa zienti, poveri, perché la vita del fellah è dura, tanto più che spesso sono sfruttati. Vi è là tutta una popolazione che P. Planque aveva trovato «dolce, educata, benevola. Tuttavia non ho potuto abituarmi - scrive —a vedere un tale contrasto tra una natura dove tutto è gioioso e dei volti tristi, cupi e sofferenti» 166. E uno dei suoi grandi desideri è che «la missione possa raggiun gerli tutti, così come raggiunge la gente della città». In base all’esperienza fatta alla Costa, il Superiore spinge dunque per la creazione di fattorie e di orfanotrofi agricoli, dove si possono perfezionare dei modi di coltura rimasti ancora allo
164 Per più di 80 anni, i Padri vi educarono generazioni di giovani Egiziani. 165 L. PI. a P. Vacheret, 6.1.1899 - A P. Wellinger, 28.9.1898 e altri testi. 166 Rapporto al Consiglio Centrale di Propaganda Fide, citato in n. 132.
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stato primitivo. Un progetto è avviato a Tantah per acquistare una proprietà, che diventerebbe terreno di riporto. «Da soli scrive il Padre - noi non potremmo comprare che 6.000 feddan» 167 ma si giungerebbe a 20.000 nel caso in cui i Trap pisti 168 partecipassero all’operazione. Ed anche se, in seguito, questi ultimi si ritireranno dall’impresa, il Superiore, da parte sua non abbandonerà mai l’idea, tanto questo tipo di lavoro - dove «i Padri saranno i missionari di questa colonia destinata a rag giungere i fellah» 169 - gli sembra interessante. Anche con i Copti, egli si mostra molto attento, poiché essi formano ai suoi occhi «una parte importante della popolazione, laboriosa e onesta» 170. Ma prima di intraprendere qualsiasi cosa presso di loro, egli chiede sempre consiglio. In questo caso scrive a Mons. Morcos, un vescovo orientale residente a Roma: «Mons. Cretoni desidera che si facciano delle proposte per delle opere copte al Cairo. Per parte mia, mi trovo in imbarazzo perché non conosco il modo di trattare le questioni orientali, ignoro tutti i punti di vista e le situazioni... Non vorrei affatto fare delle opere, che possano essere accusate di nuocere a quelle già esistenti... Avete un progetto realizzabile? Venite a trascorrere qualche giorno a Lione e, là, «prepareremo le batterie»... Lavoreremo per i Copti con ardore» 171. Quando rilancia il lavoro della terra, il Padre Superiore non pensa solamente ai fellah. Se egli insiste perché ci si possa instal lare a Fayoum - un grosso villaggio ad ovest del Cairo, il cui prete residente è appena morto - è perché «Fayoum accoglie molti Copti. Le colonie agricole sarebbero un mezzo per riu nirli». Tale è il suo modo di lavorare per l’unità e provocare delle «conversioni». «Questo piano avrebbe un risultato molto più grande di semplici scuole o di un seminario copto. Non è irrea 167 II feddan è valutato a circa 58 are... 168 L. PI. a P. Wellinger, 18.5.1881 - Furono i Trappisti di Aiguebelle in Francia a promettere il loro aiuto... 169 Stessa lettera a P. Wellinger. 170 L. PI. a Mons. Toroni, 21.2.1883. 171 L. PI. a Mons. Morcos, 13.5.1886.
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lizzatale... Fate una Prefettura apostolica del Fayoum e del Medio Egitto e vedrete» 172. Roma era attenta ai suoi progetti: «A Propaganda Fide, noi abbiamo aperto un orizzonte nuovo, che potrebbe servire enormemente alla propagazione del Van gelo» 173, a condizione che si sappia attendere, poiché in quei paesi, più che altrove, la penetrazione sarà un’opera di lungo respiro. «Bisognerà andare adagio e sarà già molto se potremo spianare la terra perché i successori possano edificare»174 e perché il popolo intero sia infine restituito alla fede che profes sava nei primi secoli della Chiesa... «Se i Copti - scrive ancora nello stesso rapporto - sono sepa rati dalla Chiesa (cattolica) per la loro adesione ad Eutiche, chi potrebbe affermare che essi non le appartengano col cuore? Valga come prova la gioia sincera con cui... mi dicono di essere cristiani come m e!» 175. E sulla questione del battesimo, il Supe riore pone sempre innanzi il rispetto della libertà delle persone: «Se bisogna ribattezzare sotto condizione, non si potrebbe allora fare desiderare questo battesimo con una spiegazione chiara e franca?» 176. Malgrado la sua reticenza di fronte ai riti, sembra che P. Planque abbia compreso i diversi ambienti egiziani. Egli chiede che si rispettino le credenze di tutti, cristiani ortodossi e musul mani, e che si faccia attenzione a non ferire nessuno, pur conti nuando a vivere, Padri e Suore, secondo le proprie convinzioni. «Nei nostri collegi - scrive a Propaganda Fide - noi non po tremo attaccare direttamente l’ortodossia e l’islam. Tuttavia i ca techisti potranno fare molto per distruggere il fanatismo, le 172 L. Pi. a Mons. Toroni, citata in n. 170. Questo desiderio di «fare delle conver sioni» è di un’altra epoca... Ma è opportuno notare anche che P. Planque ha sempre attribuito più importanza alla «testimonianza» che ad ogni forma di proselitismo... 173 L. PI. a P. Wellinger, citata in n. 168. 174 L. PL. al Card. Simeoni, 1.11.1882. 175 Rapporto di P. Planque a Mons. Toroni, citato in n. 153. 176 Rapporto di P. Planque a Propaganda Fide, 24.12.1888 - Si trattava di coloro che, tra gli ortodossi, domandavano di diventare cattolici: «Mons. Morcos dice di ribat tezzarli sotto condizione e dare le ragioni che fanno dubitare della validità del battesimo. Altri pensano che sarebbe una causa di conflitto. Ma il conflitto è una causa sufficiente per non ribattezzare sotto condizione?»
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idee false e i pregiudizi» 177. Che non ci siano né proselitismi, né spirito di superiorità, ma un clima di benevolenza, di stima reci proca e di pace. E così che la missione porterà testimonianza in questo paese. Siccome i Francescani l’hanno preceduto a Fayoum, il Padre chiede che si cerchi la possibilità per allargarsi verso Benha e Mahalla-el-Kébir, delle piccole città del Delta al centro di terre immense. «S e avremo la libertà d’azione e uno spirito attivo e intraprendente, ci rallegreremo dei risultati»178. Quest’entu siasmo non può mancare di indisporre alcuni Padri della Costa della Guinea. Essi non risparmiano le loro critiche al Superiore. Non sta abbandonando gli altri territori? Non sta forse inve stendo per l’Egitto delle somme notevoli - compresi gli aiuti concessi dal governo francese —che si trovano così sottratte alle altre fondazioni? 179 Il Padre non l’ha certo meritato questo rimprovero di disinte ressarsi delle missioni del Golfo. Non è proprio nello stesso pe riodo che egli sostiene le avanzate nella Costa d’Oro e nel Bénin? - anche se è evidente che l’Egitto gli è sempre stato a cuore e che vi si è recato fino a sette volte tra il 1886 e il 1898. Si può dimenticare che il seminario minore che ha aperto nel 1890 ha spesso reclamato la sua presenza? E vero che il paese è più accessibile dell’Africa dell’Ovest ed i viaggi per giungervi sono meno lunghi e pericolosi. Un clima sano e favorevole agli Europei facilita una durata più lunga del soggiorno: un paese rilassante insomma, dove il Superiore non deve più temere per la vita dei suoi. Certamente tutto questo lo rende più tranquillo e gli permette di governare le cose più da vicino. Lo sviluppo della Società nel paese è segnato ben presto dal l’apertura di una terza stazione a Zifta, poi di una quarta a Ma177 Rapporto di P. Planque al Card. Simeoni, citato in n. 127. 178 Cfr. L. PI. a Mons. Toroni, 21.2.1883. 179 P. Planque si vide indirizzare lo stesso rimprovero riguardo la Chiesa da parte di M. J. Marshall, che l’accusò di volere estendere l’influenza francese a svantaggio dei territori sotto il protettorato britannico, come il Bénin o la Costa dell’Oro.. «Queste accuse sono senza fondamento - rispose P. Planque - noi non vogliamo essere presi per ciò che non siamo»...
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halla 180. Queste fondazioni fanno sentire la necessità di godere di una maggiore autonomia, poiché si resta sempre molto dipen denti dai Francescani: «Inviando dei missionari in Egitto, non li ho messi a disposizione di altri religiosi, ma ho conservato tutta la mia autorità di Superiore, ed anche se siamo sotto la giurisdi zione del Vicario apostolico, Propaganda Fide desidera certa mente che noi agiamo in base a ciò che crediamo sia il vero bene» 181. Con Mons. Ciurcia, egli non aveva incontrato alcuna difficoltà, ma con Mons. Chicaro, suo successore, i rapporti erano più te s i182. Da allora, il Padre si adopera per accelerare la separazione e reclama la costituzione di una Prefettura che sia completamente indipendente. Il progetto è accettato da Roma, ma è reso effet tivo soltanto due anni dopo... ed ha come risultato solamente una struttura dipendente dal Vicariato! 183 «Non importa, si è fatto un passo - dice - ed è un mezzo per sistemare tante altre cose!». Ma il decreto definitivo tarda ad arrivare: «Ho fatto chie dere se il decreto della nostra Prefettura deve dormire in eterno!» - scrive ai Confratelli d’Egitto. «E proprio vero che con Roma bisogna sapere attendere!» 184. L’indipendenza per la Prefettura del Delta del Nilo, affidata alle Missioni Africane, è acquisita 185 soltanto nel 1891. E allora nulla più impedirà ai Padri e alle Suore di avanzare verso il Cairo... dove gli avvenimenti stessi li spingeranno ad estendere la loro presenza. 180 Zifta, che si trova sul braccio «D am iette» del Nilo, è stata fondata nel 1886. Mahalla-el-Kobra ( che si trova più a Nord) nel 1890. 181 Cfr. Rapporto a Propaganda Fide, 18.11.1882. 182 L. PI. a Mons. Chicaro, 2.4.1884 - e al Card. Simeoni, 15.6.1884. Il Padre non voleva più passare attraverso il Vicariato per le questioni materiali e specialmente per ricevere i fondi di Propaganda Fide. 183 P. Planque ricevette «con riconoscenza» il decreto di costituzione della Prefet tura del Delta del Nilo, il 31.1.1886. A tale prefettura venivano assegnate le quattro province della Gharbieh (Tantah) della Charkieh (Zagazig), della Menoufieh (Chibin-elKom) e della Galoubieh (Benha fino ai confini del Cairo). - Cfr. L. PI. a P. Terrien, 3.2.188: «Finalmente Duret sarà contento!» - Quest’ultimo ne diventerà prefetto apo stolico. 184 L. PL. a P. Duret, 27.1.1886. 185 L. PL. a Propaganda Fide, 5.6.1891: la prefettura è stata dichiarata totalmente indipendente (decreto del 15.5.1891).
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TERZA PARTE
LA MISSIONE AL FEMMINILE
Diverse volte nei capitoli precedenti, si è parlato delle Suore: quelle dell’Angelo Custode in Spagna e quelle di Couzon a Porto Novo. E progetto di avere un ramo femminile, che possa prendersi cura nelle missioni delle donne e dei bambini, è vecchio quanto la fondazione dei Padri. «Questo lavoro presso le donne, voi non potreste farlo - scriveva P. Planque ai primi Missionari - e tut tavia sarà bene preoccuparsi di questa parte del vostro gregge» L Come affrontare l’evangelizzazione senza associarvi delle suore, la cui azione è giudicata indispensabile perché in Africa si co stituisca il popolo di Dio, secondo la sua vera struttura, con delle famiglie e dei focolari? Quando, nel 1876, P. Planque aggiunge a quello dei Padri «questa sorta di secondo seminario per formare le Suore missio narie»2, si è giunti al termine di una complessa storia lunga e penosa come una difficile gestazione. Perché il sogno dei primi giorni si concretizzasse, ci sono voluti non meno di venti anni di ricerca, di tentativi seguiti da collaborazioni sincere, ma troppo rapidamente decise ed intraprese senza il tempo necessario per riflettere e per discernere, perché avessero qualche possibilità di continuare. Ci si potrebbe chiedere, infatti: perché P. Planque non ha fondato prima la sua congregazione? Ma avrebbe potuto?... Rim proverargli il ritardo sarebbe dimenticare che, negli anni 1860, la Società delle Missioni Africane era appena sorta... Come avrebbe potuto pensare nello stesso tempo ad una seconda fondazione? D’altra parte - e in questo seguiva le idee di Mons. Brésillac - il 1 L. Pi. a P. Borghero, 19.5.1862. 2 L. PI. ai Padri Certosini, 28.8.1883.
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Superiore del seminario non pensava ad una congregazione parti colare. Egli desiderava solamente entrare in relazione con l’una o l’altra di quelle che esistevano già e che avrebbero potuto accet tare di inviare qualche Suora in Africa per lavorarvi con i suoi missionari. Una sorta di istituto «Fidei Donum» prima del tempo: è chiaro che, per vent’anni, il Padre non ha pensato ad altre forme di collaborazione diverse da questa.
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CAPITOLO OTTAVO
CI VOGLIONO DELLE SUORE
1. Primi passi Fu nell’ottobre 1856 - prima dell’arrivo stesso di Angustio Planque a Lione - che Mons. Marion Brésillac, tornando da un giro di questue nella regione d ’Albi, annotò nel suo diario: «Dopo averci pensato, mi decisi ad andare a Castres per visitare le Suore dell’Immacolata Concezione e, in particolare, quella che avevo conosciuto una volta, quando si chiamava Mlle Dupérier. Speravo che questa mi desse delle informazioni esatte sullo scopo della loro Istituzione per ciò che riguarda le missioni in Africa e che, forse, avremmo potuto intenderci per preparare da lontano un’azione comune. Ma lei era assente e la Superiora ge nerale mi è sembrata poco aperta alla proposta»3. Più tardi a suo fratello Henri, Mons. Brésillac chiede ancora l’indirizzo di Mlle Dupérier: «Il bene che le Suore del suo ordine fanno nel Gabon e nel Senegal mi spinge a chiedere loro se, all’occasione, non acconsentirebbero ad estenderlo in Sierra Leone»4. Un’altra volta, quando sulla strada per l’Africa, egli vede a Dakar queste stesse Suore all’opera nel loro grande col legio, torna ancora sullo stesso progetto: «Sarà indispensabile creare delle scuole per ragazzi e ragazze e, per queste, avere delle Suore. Ho appena scritto alia Superiora generale dell’Im macolata Concezione, perché mi dica definitivamente se potrà inviarmene alcune quest’anno»5. Durante questo tempo, P. 5 Journa l, M . B r., ottobre 1856, p. 49. 4 L. M . B r. a suo fratello H en ri, 18.1 .1 85 9 , citato da Le G allen, Vie d e Mons. B résillac, ed. P a q u e t, 1940, p. 558. 5 L. M . B r. a P. P I , citata nel L e G allen , op. di ., p, 573.
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Planque ha sollecitato le Suore di Sant’Orsola 6: «La nuova Su periora è di una capacità infinitamente al di sopra della prece dente (sic)... e se la risposta di Castres sarà negativa, spero che questa ci fornirà da quattro a sei religiose per la partenza di Novembre» 7. Alla morte di Mons. Brésillac (25 giugno 1859) il problema delle Suore, lungi dall’essere risolto, continua a porsi con la stessa urgenza. Ed anche prima della partenza per il Dahomey, il Superiore vorrebbe supplire al piccolo numero di Padri con l’invio di religiose che si potrebbe organizzare anche a partire da ottobre 8. Proposito più che azzardato: le religiose, dove potrà trovarle? Ma nell’agosto 1860, gli ostacoli sembrano a P. Planque facili da superare 9! In effetti, il problema non sta tanto in una questione di numero, bensì nel trovare le persone adatte. Diventa un ob biettivo così urgente che si ripete senza posa come un leitmotiv. E più di un centinaio di volte, tra il 1862 e il 1868, lo troviamo sotto diverse forme: «N el Dahomey, missionari e popolazione chiedono a gran voce delle religiose» 10. «Prima ci saranno delle religiose, prima si formerà intorno a loro una buona rete di donne cristiane» u . «Se non vi saranno delle Suore per seguire le fanciulle, non si formeranno famiglie cristiane. Mi sembra che questa sia una questione di grande importanza» 12 ecc. D’ac cordo con Mons. Kobès, P. Planque pensa che occorra agire il più presto possibile senza lasciarsi fermare dalla paura di veder scambiare le religiose per mogli dei missionari. «Aspettate finché volete - gli ha detto il Vicario apostolico di Dakar - lo diranno al
6 A St Irénée le Suore occupavano la casa vicina a quella dei Padri. 7 L. PI. a Mons. Br., 19.5.1859. 8 L. PI. ai Consigli centrali di Propaganda Fide, 24.8.1860. 9 In questo momento, P. Planque è pieno di entusiasmo: il Vicariato del Dahomey è appena stato creato...! 10 L. PI. alla Superiora generale delle Suore dell’Angelo Custode di Montauban, 14.8.1866. 11 L. PI. ai Confratelli, 19.2.1862. 12 Era ciò che egli ripeteva ancora a P. Zappa tanti anni dopo, 2.3.1904.
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principio, come lo hanno detto per noi. Ma queste voci si dissol veranno presto da sole e le suore faranno tanto bene» 13. Tenace e perseverante, Augustin Planque continua la sua ri cerca. Dopo le Orsoline, sono le Francescane delle Charpennes, a Lione, che potrebbero dare un’altra speranza: «La Superiora è disposta a tutto e sembra di animo molto buono» 14. Tuttavia qualche mese più tardi, egli crede di dover «rinunciare a questo progetto: noi non troveremmo là né le persone, né la forma che vorremmo» 15. Si apriranno altre piste e sembreranno numerose. Almeno è quello che P. Planque confida un giorno al Superiore dei Certosini, suo amico: «G ià sette anni fa abbiamo duvuto pensare di procurarci delle Suore per aprire delle scuole nelle nostre missioni. Mi sono rivolto a quindici congregazioni e tutte mi hanno risposto con un rifiuto» 16. Di questi tentativi, che erano destinati a rimanere senza un futuro... ne ricorderemo tuttavia due, i quali avevano qualche possibilità di successo: quello di Montauban e, soprattutto, quello di Couzon, perché gli inizi di collaborazione che ne segui rono andarono più lontano... fino a portare una vera speranza e, finalmente, a decidere del futuro.
2. Le Suore di Montauban
All’inizio vi fu, nel 1863, un accordo stipulato con Mons. d’Ormières, un prete di Montauban, originario di Carcassonne, che era stato condiscepolo di Mons. Marion Brésillac al semi nario minore di questa città. Come il Vescovo, egli aveva avuto per professore il Rev. Arnal, divenuto poi, come sappiamo, amico di P. Planque e suo braccio destro nella direzione degli studi alle Missioni Africane. L’ex professore fece, dunque, da interme diario tra Montauban e Lione.
13 14 15 16
L. L. L. L.
PI. PI. PI. PI.
ai Confratelli, 19.6.1862. a Papetart, 4.3.1862. ai Confratelli, 19.6.1862. al Superiore dei Certosini, 28.8.1883.
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Era un uomo sorprendente questo d’Ormières 17, intrapren dente, imprevedibile anche nelle sue numerose iniziative. Una ventina d’anni prima, aveva fondato una piccola congregazione, le Suore dell’Angelo Custode, con qualche religiosa che aveva fatto venire da Saint-Gildas-des-Bois 18. Ed egli non desiderava altro che di vederle diffondersi in Africa, ma, in un primo tempo, era soprattutto «molto desideroso di stabilire una casa in Spagna» 19. All’inizio, tutto procede molto bene, se si crede ad una let tera scritta al cardinale Barnabò: «Vostra Eminenza apprenderà con piacere... che le suore dell’Angelo Custode hanno promesso di prendersi cura della Missione nel Dahomey, e non appena P. Borghero avrà disposto un locale adatto ad accoglierle, esse rag giungeranno Whydah» 20. E abbastanza facile trovare un alloggio a Lione per queste religiose, di fronte al seminario, dove potranno svolgere qualche mansione. «Desidero molto che esse possano stabilirsi al più presto - dichiara P. Planque - ma desidero ancora di più, che tutto sia finalmente pronto nel Dahomey per poterne ricevere qualcuna»21. E dal canto suo, il Superiore di Montauban scrive: «Vi prego di prenotarmi entro breve tempo una stanzetta nelle petites m aisons di Lione» (sic) e: «Se la cosa riuscirà partirò per Lione a fare il mio noviziato» 22. Già alla fine dell’anno giungono al seminario tre suore, por tando con sé qualche postulante, mentre altre tre raggiungono Puerto del Reale per prendersi cura dell’orfanotrofio dei bambini neri, di cui Papetart si occupa sin dalla fondazione. E presto si vedrà aprire nello stesso luogo un pensionato di ragazze, la cui direzione è affidata alle suore. Ma P. Planque preferirebbe che le cose si sviluppassero di più riguardo all’Africa... è laggiù che il bisogno di religiose si fa sentire di più. «Esaminate dunque tutto 17 18 19 20 21 22
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La causa di beatificazione di M. d’Ormierès è già introdotta a Roma. Nel dipartimento della Loire-Atlantique. L. PI. a Papetart., 20.8.1863. L. PL. al Card. Barnabò, 27.9.1863. L. PI. a M. d’Ormières, 20.9.1863. L. M. d’Ormières a P. Arnal, 2.5 e 17.10.1863.
ciò che conviene fare - scrive a P. Courdioux 23 - per l’alloggio e la sicurezza». Quanto a P. Borghero, che si sa reticente ad acco gliere un rinforzo femminile, «ci preoccuperemo di fargli cam biare idea e superare questa montagna di difficoltà, che ha da vanti agli occhi» 24. Tuttavia P. Planque stesso non è compietamente tranquillo: «Non posso agire imprudentemente - scrive ancora - se gli Inglesi arrivassero ai ferri corti con il re di PortoNovo, temo che la posizione delle Suore si farebbe critica»25. Ma purtroppo esse non giungeranno a Porto-Novo... perché co minceranno a sorgere difficoltà con Montauban. In realtà l’ostacolo viene da d’Ormières. Egli accarezza infatti grandi idee e sogna già - ma il suo sogno non è affatto realistico - di raggruppare in una confederazione religiosa o meglio, in una sola famiglia con un unico capo, i Padri e i Fratelli delle Missioni Africane con le Suore dell’Angelo Custode. P. Planque non prova alcun entusiasmo per questa futura associazione, anche se gli si propone di prenderne la direzione, e quando ne riceve i primi statuti, vi oppone immediatamente un fermo rifiuto. «A nessun prezzo posso accettare un progetto che, attraverso il gro viglio delle Congregazioni, aprirebbe la via a mille complicazio ni» 26. E di fronte all’insistenza del Superiore di Montauban, P. Planque si chiede: «Riuscirò mai a fargli abbandonare queste idee di am algam a...?»27. Per respingere questo piano, usa quindi l’argomento che deve essere il più decisivo, e ribadisce le intenzioni stesse del Fondatore... «Ho ricevuto un’opera che non è la mia - scrive - e non posso cambiarne le Costituzioni»28. Ma egli non trova nessun appoggio presso la Superiora dell’Angelo Custode, Suor Saint Pascal, che dichiara di rimettersi al volere del responsabile della sua congregazione, «persuasa - dice - che Dio parla attra verso il suo ministero». 23 24 25 26 27 28
L. L. L. L. L. L.
PI. PI. PI. PI. PI. Pi.
a a a a a a
P. Courdioux, 21,2.1865. P. Verdelet, 19.9.1865. P. Verdelet, 19.10. 1865. M. d’Ormières, 8.4.1866. Papetart, 4.4.1866. M. d’Ormières, 8.4.1866.
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Con dei punti di vista così opposti, ogni lavoro comune di venta impossibile. Lo scambio di lettere nel febbraio e nel marzo 1867 29 segna la fine di un’intesa durata tre anni. P. Planque non nasconde il suo dispiacere, rifiutando nello stesso tempo la re sponsabilità dell’insuccesso: «Noi potremo soffrire a lungo per la partenza delle vostre Suore e la Missione soffrirà anch’essa di questo ritardo»... ma «non ho fatto nascere io le difficoltà che hanno provocato la rottura» 30.
29 Altre lettere furono ancora scambiate con la Superiora generale di Montauban, 30.12.1868 - e con M. d’Ormières, 3.3.1869 e 5.5.1869, con un tono da entrambe le parti meno amichevole, per terminare di regolare le questioni finanziarie rimaste in so speso. 30 L. PI. alla Superiora generale di Montauban, 12.3.1867.
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CAPITOLO NONO
CON COUZON
Più lunga e molto efficace sarà la collaborazione delle Suore Francescane di Propaganda Fide con i Missionari di Lione, più decisiva per l’avvenire della missione in Africa e feconda come il germe che affonda nel terreno... P. Planque aveva compreso che la fusione con Montauban sarebbe stata un’utopia. Ancor prima che le Suore dell’Angelo Custode abbiano lasciato il seminario di Lione, «egli si preoc cupa di supplire gli impieghi che queste avevano» 1. E il 20 feb braio di quello stesso anno 1867, scrive ad un confratello del Dahomey: «Ho trovato definitivamente delle religiose che hanno accettato di venire nella vostra m issione»2.
1. Le «fondatrici»
D’altra parte P. Courdioux, superiore di Porto-Novo in quel momento, aveva forse fatto una proposta concernente un altro Istituto? E probabile, se si considera la risposta di P. Planque: «Mi dispiace di non aver saputo di più sulle persone che si sareb bero prese cura di prepararci delle religiose. Con dei dati più precisi, avremmo avuto il modo di occuparci di quest’affare» 3. Ma nonostante ciò non abbandona la sua idea e, in una missiva seguente, aggiunge: «Spero che si potrà fare qualcosa con le suore di Couzon. E difficile ottenere che un ordine più impor tante si occupi della nostra Missione. D’altra parte, le vocazioni 1 L. PI. a M. d’Ormières, 16.3.1867. 2 L. PI. a P. Verdelet, 20.2.1867. 3 L. PI. a P. Courdioux, 20.8.1867.
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in questa congregazione giungono numerose e, dopo una prima partenza, ne arriveranno ancora di più. In poco tempo il gruppo s’incrementerà... e si potranno fare delle scelte»4. Questo sa rebbe già sufficiente per mostrare che P. Planque sperava di poter ottenere per la Missione alcune delle giovani che entravano a Couzon - e sicuramente le migliori! - ma anche che la sua intenzione non comprendeva certo l’annessione di tutta l’intera congregazione... Se si fa riferimento alla testimonianza di Madre Bonaventure, le prime relazioni delle Suore Francescane con P. Planque fu rono nel 1866: « Dobbiamo - scrive - fornirgli delle persone, sia per le missioni, sia per il suo seminario» 5. Chi erano dunque queste religiose destinate a diventare la prima semente delle «Suore per le Missioni Africane»? Venivano da Couzon, un piccolo villaggio nella zona dei Monts d’Or, ap pena fuori Lione, dove esse si erano riunite negli anni 18361837, dietro invito del curato della parrocchia, P. Jean-Frangois Moyne. Erano appena quindici anni che Pauline-Marie Jaricot aveva fondato, a Lione, la Propaganda Fide per le missioni lon tane. Spinto dall’entusiasmo che quest’opera già sollevava in tanti cristiani della regione, il Reverendo Moyne aveva maturato il suo progetto: preparare delle missionarie per inviarle tra gli infedeli. Le ragazze che avevano risposto al suo appello erano delle ope raie della seta. Abitavano a Lione nel quartiere della CroixRousse e facevano parte della grande famiglia dei «Canuts» (setaioli), il cui lavoro di tessitura aveva reso famosa tutta la collina. A Couzon, esse si costituirono in comunità e ricevettero l’a bito di San Francesco, aggiungendo ai voti della professione reli giosa, quello di una completa dedizione alla Propaganda Fide, e impegnandosi a versare per l’opera tutti i guadagni del loro la voro. Attive, dinamiche, esse avevano saputo tener testa alla tem pesta del 1848 e alle sanguinose giornate durante le quali il loro 4 L. PI. a P . C ourdioux, 7 .1 0 .1 8 6 7 . Rapporto d i M ad re B o naventure, S u p erio ra generale delle Su ore di Propaganda F ide al C ard. C avero t n el 1878. N el 1866, P . P lanq ue era in ottim i rapporti con la Superiora g en e rale di allora.
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laboratorio di tessitura era stato distrutto dai rivoltosi che le ac cusavano di togliere il pane ai poveri. Sono «queste donne determinate, forti, e di animo buono» 6 che P. Planque visita nel febbraio 1867, inviato dal Vicario gene rale di Lione, Mons. Pagnon, e accompagnato da P. Brun, guar diano del convento dei Brotteaux, e da Neyret, curato di Couzon. Con gioia, esse accolgono questo visitatore, che viene ad aprire loro «le porte assolate del mondo: l’Africa... le mis sioni», verso le quali esse sognano spesso di partire... 7 ma anche perché egli ispira loro fiducia: «Era - scrive una suora contempo ranea agli avvenimenti e che gli è stata molto vicina - una figura ben nota a Lione quella di codesto prete venerabile, di costitu zione solida, di una statura al di sopra della media, una capiglia tura folta e brizzolata, una lunga barba, dagli occhi profondi e vivi... Egli dava un’impressione di vigore, di volontà silenziosa alla quale non era possibile resistere» 8. Dal canto suo, P. Planque ha avuto un’eccellente impres sione. Eccolo di nuovo ricolmo di speranza. I progetti procedono benissimo: «D a qualche tempo, non sembrano più le stesse. Esse si sono ben “svegliate” seguendo le mie osservazioni e si istrui scono seriamente. Hanno undici novizie, alcune delle quali sono di una capacità poco comune»! 9 - «P. Cloud ha assistito ad una vestizione a Couzon. Sei postulanti hanno rivestito l’abito di San Francesco e l’entusiasmo era grandissimo. E l’avvenire che si prepara per le donne della nostra missione» 10. Dal mese di marzo, tre di loro vengono al seminario per oc cuparsi della biancheria e della cucina... con l’affascinante pro spettiva di una prossima partenza per il Dahomey. E questa non tarda: il 28 febbraio 1868, sul veliero Stella Maria, s’imbarcano
6 Fu con queste parole, che esprimono bene la sua stima per le Suore, che P. Planque annunciò a P. Courdioux l’arrivo delle prime quattro a Porto-Novo nel 1868. 7 Dal libro sulle Suore Francescane di Propaganda Fide, Je te dorinerai les nations en héritage, 1953, p. 55. 8 Op. cit., pp. 55 e 56. 9 L. PI. a P. Courdioux, 17.11.1867. 10 L. PI. allo stesso, 15.12.1867.
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le prime religiose così a lungo attese sulla costa africana. Sono in quattro: Sr. Bonaventure che sarà la Superiora, Sr. Angèle, Marie du Sacré-Coeur e Saint Bruno. Il viaggio lungo e difficile le condurrà a Porto-Novo, dove giungono soltanto il 6 aprile. Immediatamente si mettono all’opera, cioè visitano le capanne, riscattano i piccoli schiavi, organizzano le scuole. «Esse danno un grande impulso ai primi elementi della missione - scrive P. Planque - dando dignità alla donna e permettendo di fondare la vera famiglia cristiana con dei matrimoni tra fedeli» 11. Una seconda partenza ha luogo nel 1872 per un altro gruppo di quattro Suore, «piene di forza e di salute» 12, e queste quattro sono destinate a fare un buon lavoro in Africa: Sr. Claire, Sr. Véronique, Sr. Saint-Joseph e in particolare, Sr. Colette, della quale non ci si può dimenticare. Era nata a Thurins, tra i monti dell’Ovest lionese e trascorse più di quarant’anni nel Dahomey. «Laggiù - scrive Georges Goyau - ella conobbe tre generazioni, occupandosi dei bambini, soccorrendo malati e poveri, al punto che tutti, alla fine della sua vita, la chiamavano “Maman Co lette”. Quando morì nel 1916, a 70 anni, fu un Africano, Achille Béraud, che ricordò con grande emozione l’affetto materno che Sr. Colette aveva avuto in maniera speciale per tutte le ragazze cui aveva dedicato la sua vita». «Ella incarna veramente - dice ancora lo stesso autore - l’azione missionaria femminile nel Da homey del XIX e XX secolo» 13. Qualche mese dopo il loro arrivo, il secondo gruppo se ne va a Lagos per aprire una seconda missione. P. Planque non na sconde la sua soddisfazione né le sue speranze davanti a tutto il lavoro che si è messo in moto: «Le Suore hanno nella loro casa più alunni di quanti essa ne possa contenere. Non ci si potrebbe fare un’idea del rispetto di cui sono circondate da parte dei capi 11 L. PI. al Consiglio centrale di Propaganda Fide, 11.4.1868 - Cfr. altre lettere nel 1868 e 1869. 12 Erano partite verso P ii ottobre. Cfr. Les nations en héritage, p. 76. Sr. Joseph, anche lei originaria di Thurins, come Sr. Colette, fece diversi soggiorni nel Dahomey prima di ritornare a Moulin-à-Vent. E colei che si ritroverà al capezzale di P. Planque con Sr. Cyr, al momento della sua morte. H a lasciato un eccellente diario di ricordi. 13 In Les Soeurs d e Notre-Dame d es Apótres, Georges Goyau, p. 27 (Archivi NSA).
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e di tutta la popolazione. Esse curano le donne malate che le vengono a trovare o vanno a visitarle a domicilio...» 14. Vi fu ancora una terza ed una quarta partenza nell’aprile e nel dicembre 1874. Ma le Suore, come i Padri, dovettero anch’esse pagare il loro tributo alla febbre e alle epidemie. E nell’e state 1874, si ricevette, quasi un colpo dopo l’altro, a Couzon, l’annuncio delle prime morti: Sr. Marie du Sacré-Coeur e Sr. Marie des Cinq Plaies. L’anno seguente, si apprese ancora del decesso di Sr. Marie-Françoise, giunta in Africa qualche mese prima.
2. Disaccordi
Sfortunatamente altre ombre continuano ad oscurare l’oriz zonte. Mentre P. Courdioux a Porto-Novo si mostra molto sod disfatto della collaborazione con le Suore 15, la stessa cosa non accade a Lagos, dove l’intesa con P. Cloud lascia a desiderare. Questi, alquanto autoritario e piuttosto pungente, a quanto sembra, manca di sfumature e di delicatezza nelle relazioni quo tidiane, e lo stile di certe sue lettere gli procura un richiamo all’ordine da parte del Superiore. «Ho profondamente deplorato la forma della lettera che avete indirizzato a Madre Bonaventure. Bisogna che voi moderiate sempre le vostre espressioni e questa regola non è affatto osservata nella vostra lettera» 16. La cordialità dei primi giorni sta disgregandosi a poco a poco? Lo si sente qua e là nella corrispondenza. Così ad esempio, P. Planque si stupisce che le Suore non parlino ancora il portoghese... o ancora, che una di loro possa essere stata man data da Lagos a Porto-Novo, senza che egli ne sia stato infor mato. Ed il tono comincia a salire quando esige da Madre Bona14 L. PI. al Consiglio centrale di Propaganda Fide, 25.3.1869. 15 Secondo il rapporto di P. Courdioux e quello di Madre Bonaventure al Card. Caverot, 1878. Si veda più avanti, cap. 10. 16 L. Pl. a P. Cloud, 27.9.1874. - La lettera di P. Cloud di cui si parla si trova nel Dossier Douau (Archivi NSA).
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venture la ridefinizione netta e chiara dell’accordo relativo alla sistemazione delle Suore 17. In effetti, il vero motivo della scissione che si sta preparando è da cercare nell’ambiguità che ha segnato i primi contatti tra il Superiore e la Congregazione. Nell’entusiasmo di un’intesa che si è conclusa - troppo in fretta - intorno alla Missione, non si è sentito il bisogno di precisare i ruoli e soprattutto i diritti di cia scuna delle parti. Niente è stato fissato per determinare come dovranno essere regolati i problemi di giurisdizione su tutte le questioni inerenti alla vita delle persone in Africa, al loro inseri mento, al loro trasferimento, ecc. Ma la vera disarmonia è di natura più grave. Il Padre, il quale non pensa che alla sua opera, considera veramente come sue quelle religiose che hanno optato per il Dahomey. Dal canto suo, Madre Bonaventure teme di ve dere crearsi un ramo a parte della sua Congregazione. Tutt’al più, è disposta a mettere a disposizione delle Missioni Africane alcune delle sue Suore che preferiscono questo tipo di apostolato lontano. Le prospettive non sono, dunque, molto in sintonia... e non se n’è ancora preso abbastanza coscienza fino a quel mo mento. Inoltre succede che alla fine della guerra del 1870, certa mente su richiesta di P. Planque, il noviziato di Couzon è stato trasferito a Montplaisir, un quartiere di Lione vicino al semi nario 18 ed in questo cambiamento vi è il germe dei problemi che seguiranno. P. Planque si sente un po’ a casa sua a Montplaisir, dove si formano alcune future missionarie, ed innegabilmente egli acquista un vero e proprio ascendente su alcuni membri di questa casa, in particolare sulla Maestra delle novizie e su molte altre. Si è, dunque, in totale confusione. Qualche giovane entra come novizia per appartenere alla congregazione di Couzon, altre per andare in Africa. Questo duplice modo di «reclutamento» e di appartenenza è la fonte dei malintesi. A quel punto sarebbe necessario mettere d’accordo i vari punti di vista... Ma la Supe 17 L. PI. alla Superio ra d ella S u o re di C ouzon , 29.3.1875. 18 S i trattava di un m odesto im m ob ile, situ ato al num ero 9 d ella via T huiliers, nella parrocchia Sain t-M aurice-d e-M o n tp laisir, a L ione.
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riora generale di allora, Madre Saint-Jacques, e P. Planque come persone che si comprendono bene e hanno fiducia nel fu turo - non sembrano averne sentito la necessità! Tutto cambia, però, quando Madre Bonaventure rientra dal l’Africa e vuole riprendere in mano la formazione delle novizie, compresa quella delle future missionarie, ritornando così ad una certa unità di visione per tutte, riguardo l’orientamento france scano della Congregazione. Non si tratta più di cercare un’altra base su cui accordarsi... Una volta eletta Madre Bonaventure alla carica di Superiora generale —cosa molto preoccupante per P. Planque, i cui rapporti con la Madre precedente erano sempre stati eccellenti - la tensione non può che aggravarsi. Tra queste due personalità ugualmente forti, ugualmente convinte del loro diritto in materia di autorità e attaccate ai loro obiettivi propri, come anche alle leggi della Chiesa, non è più possibile alcun dialogo. E né la mediazione di Mons. Pagnon, vicario generale di Lione e superiore ecclesiastico dei Francescani, né la compren sione del curato di Saint-Louis, Chapuis, amico di P. Planque, hanno alcuna possibilità di successo. Ci si separò, dunque 19. La fíne dell’anno 1875, doloroso per tutte le persone coinvolte, non portò che irritazione e delusione, come testimoniano gli scambi della corrispondenza. Secondo la decisione di Pagnon che pensava così di regolarizzare la loro si tuazione, si reputò giusto che quelle Suore che, trovandosi in Africa, desideravano proseguire la loro vita di missione, sareb bero rimaste religiose di San Francesco e avrebbero potuto ag gregarsi alla comunità di Belleville. «Piena libertà è lasciata loro in questo, come anche di rientrare in Francia. Esse devono sol tanto dire che cosa vogliono e sarà fatto» 20. Sul posto rimarranno in sette. La loro azione sarà in seguito sempre soddisfacente e feconda; esse diventeranno le «anziane» della futura Congregazione. Non si potrebbe sospettare P. Planque di avere, in quel momento, esercitato qualche pressione o d’aver commesso delle indelicatezze, leggendo la corrispon 19 L. PI. a P. Devernoille, 21.10.1875. 20 L. PI. a Cloud, 19.10.1875.
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denza inviata in Africa. Tutto, nel suo carattere, la sua rettitu dine, il suo modo onesto e franco con cui ha sempre trattato gli affari, fa scartare una simile idea. Ma ulteriori testimonianze, se ce ne fosse ancora bisogno, sono le lettere che chiaramente evi denziano la libertà lasciata alle Suore di scegliere la loro strada: «Se qualcuna di voi preferisce rimanere unita a Couzon, farà ritorno in Francia non appena riusciremo a rimpiazzarla»21. Così quelle di Lagos, di Porto-Novo, e uno dei Superiori, Poirier sono stati informati della nuova situazione e delle possibilità offerte a ciascuna. Anche Cloud ne è stato informato, ma forse non ha dato prova della stessa riservatezza del Superiore ed ha incorag giato le Suore a restare in missione... In quanto a P. Planque, ha già provveduto ad informare Pagnon che «ogni religiosa che uscisse irregolarmente da Couzon o da Montplaisir non lo fa rebbe per suo consiglio e non troverebbe il suo appoggio» 22. Giunge così al termine questa povera e umanissima storia... che è stata una sofferenza feconda. Dio non si lascia mai scon certare dai nostri insuccessi e dai nostri tentativi di ricominciare. Dai frutti di questa sofferenza, nascerà un nuovo Istituto per l’Africa. E le suore Francescane di Propaganda Fide, che restano le anziane della famiglia NSA, «conservano come prezioso gioiello di famiglia la grazia e la firezza delle prime sem ine...»23.
21 Diverse lettere di P. PI. del 19.10.1875. - Alle Suore di Lagos, 16.2.1876: «Voi mi dite che consultate Pagnon riguardo alla vostra decisione... Io credo che non farà altro che lasciarvi la piena libertà». 22 L. Pi. a Pagnon, 25.8.1875. - Si notino ancora queste parole a Sr. Marthe, il 29.10.1875: «Sono stato sorpreso del vostro appoggio a Sr. Hélène... Nessuno meglio di voi sa come ho rispettato la libertà di ognuna...». 23 Queste ultime righe sono riprese dal libro J e te dorinerai les nations en héritage, op. cit., p. 83.
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La casa natale idi P. Planque a Chemy (Nord).
La cappella di N ostra S i gnora di Fourvière dove, l’8 dicem bre 1856, M ons. M arion-B résillac, P. Planque e i loro com pagni fon darono la Società delle M issioni A fricane. U na ta r ga vicino all’altare ricorda l ’evento.
L a prim a casa acquistata da M ons. M arion-B résillac nel 1856 sulla collina di Santa Irenea a Lione.
Casa delle suore a Venissieux-Moulin Ă Vent (lato della costruzione edificato dal 1878 al 1881).
Prime aspiranti con P. Planque.
Suore a bordo di una feluca sul N ilo a Zifta.
M arie Q uayes, d el G hana, e Suzanne Adanhom ou, del Benin, due d elle prim e suo足 re africane d ella C on grega足 zione di N ostra Signora d e 足 gli Apostoli (1930).
Agoué (Dahomey). Il cimitero con le tombe dei primi padri e suore morti in Africa.
Grand Bassam (Costa d’Avorio): monumento ai pri mi missionari e missionarie morti nella zona.
P . P la n q u e n e l 1 8 / 6 , a llâ&#x20AC;&#x2122;e p o c a d e lla f o n d a z io n e d e lla C o n g r e g a z io n e d e lle S u o re .
Uno dei primi gruppi di suore e novizie a Bardello.
Bardello: prim a casa in Italia, sede d el noviziato dal 1922.
Abengourou (Costa d ’Avorio). Professione religiosa di suore africane della Congrega zione delle Suore di Nostra Signora degli Apostoli.
Benin. Suore missionarie in visita ad una comunità.
C A P IT O L O D E C IM O
«M I SONO DECISO A FONDARE»
1. Una «succursale»
La collaborazione con Couzon è finita nella sofferenza e nella delusione, lasciando da entrambe le parti amarezza ed un po’ di animosità. Ma almeno, la situazione è diventata più chiara per tutti. Sui due fronti si può sperare di ripartire con nuovi progetti e permettere al tempo di cancellare i ricordi dolorosi, restau rando l’amicizia e la stima reciproca dei primi giorni... Ma P. Planque deve trovare un altro alloggio per sistemare «le nove religiose o novizie che hanno lasciato Montplaisir, per seguire la via delle missioni» 1. Durante l’estate, prevedendo la tempesta, egli ha già contattato un’altra comunità, quella della Tour Pitrat, a Lione, anch’essa francescana, che accetta di rice verle. Nuova delusione: la superiora muore nei mesi successivi ed il capitolo generale, così come la nuova eletta, respingono l’opzione della missione. Non importa: la comunità di Belleville, filiale di quella di Couzon2, accetta di collaborare, «promet tendo di fornire in futuro delle religiose»3. Tuttavia le cose prendono ben presto un’altra piega. «Mons. Pagnon, Vicario generale, Superiore ecclesiastico dei France scani, ha permesso l’annessione a Belleville. Ma sebbene auto rizzi questa comunità a prestare il suo aiuto, non vuole che questa prenda concretamente e direttamente le missioni a suo
1 L. PI. a M on s. P oirier, 1 9.10.1875. 2 La co m un ità di B elleville era stata ap e rta n el 1854. 5 L. PI. alle Suore d i Lagos e a P . C lo u d , 19.10.1875.
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nom e»4. Le Novizie, tuttavia, continuano a formarsi, ma «la casa è piccola» e P. Planque si vedrà forse «obbligato ad aprire una succursale per formare un postulato, dove si possano acco gliere ed istruire le numerose candidate che si presenteranno» 5. Intanto i Padri e le Suore già in Africa sono tenuti informati. Nel febbraio seguente, la situazione finisce di chiarirsi e si apprende che «Madre Agnès, una donna intelligente e desiderosa di fare del bene, sempre disponibile a tutto, ha finito col convin cere P. Planque. Insieme riconoscono che, per il bene delle Mis sioni, occorre un’organizzazione speciale ed adatta allo scopo» 6. «Lavoriamo già di buon accordo - egli aggiunge - e sarà cosa fatta in poche settimane». In altre parole, questa «succursale» sarà semplicemente l’em brione di un nuovo Istituto... Si sta dunque procedendo ad una fondazione, e ormai non è più una sorpresa: lo sviluppo degli avvenimenti, infatti, portava già da qualche mese a questa logica conclusione. Ma bisogna riconoscere che il momento non è molto felice. Gli anni dal 1876 al 1878 sono fra i più neri per P. Planque. Il Vescovo di Orano è morto nel novembre 1875 e le conseguenze del ritiro dall’Algeria sono ancora da regolare. E morto anche l’Arcivescovo di Lione, Mons. Ginoulhiac, così be nevolo e comprensivo, seguito qualche mese più tardi da Apollinaire Planque, il fratello tanto amato da Augustin 7, e tutti questi lutti sono pesanti da sopportare 8. Ancora più inquietante per la pace e l’equilibrio della Società, un conflitto partito da Città del Capo e da Nizza minaccia di causare un’estrema agitazione tra le case e P. Planque ha delle difficoltà per stabilire la calma e l’intesa. Tuttavia, è proprio in questo periodo che egli si accinge a «fondare»... mentre per vent’anni non aveva mai considerato 4 Questa restrizione era dovuta, secondo P. Planque, alle difficoltà che esistevano tra le due comunità. 5 L. PI. a P. Cloud, 3.11.1875. 6 L. PI. alle Suore di Lagos, 16.2.1876. 7 Si tratta del padre di M. L. Planque, la futura Sr. Augustin. 8 Tante morti che si aggiunsero a quelle dall’Africa: 32 decessi dalla fondazione, di cui 23 in missione.
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questa eventualità. Ma è proprio questo il lato sconcertante, per sino paradossale, della sua azione. Bisogna ammettere che i colpi duri galvanizzano e moltiplicano le sue energie. Poiché egli crede, e nel vero senso della parola. Legge i segni e cerca di scoprirvi la volontà di Dio, che è la sua sola norma di condotta e di decisione. Questa volta il segno c’è ed è chiaro. La contro versia serrata che l’ha opposto a Madre Bonaventure, non gli ha impedito di gioire del fatto di avere finalmente delle suore in Africa, e quelle di Couzon hanno risposto bene alla sua aspetta tiva, cosa di cui si è rallegrato spesso nei rapporti inviati a Roma o alla Propaganda Fide. Bisogna dunque continuare. Curiosamente, non sembra troppo turbato per questa deci sione. «Questa nuova comunità sembra mettersi in moto in ma niera soddisfacente» avanzando passo dopo passo9. Ed anche «se ha faticato un po’ a decidersi, spinto da persone molto serie e costretto dalla necessità - egli scriverà più tardi - ha comin ciato a riunire alcune ragazze» 10. Per rassicurarlo pienamente sulla giustezza della sua deci sione, P. Planque ha già ricevuto da Roma non solo le autorizza zioni necessarie, ma anche grandi incoraggiamenti. Di fronte al suo atteggiamento ancora esitante, il Cardinale Prefetto avrebbe veramente risposto con queste parole che spesso vengono ripor tate: «Volete delle Suore? F atele!...»? Non è sicuro n . Ma si può credere al Fondatore, quando scrive: «E Propaganda Fide che mi ha spinto a fondare queste Suore» 12. Anche a Roma, non gli mancano gli amici che gli dicono le stesse cose e lo incoraggiano su questa strada. Quando dieci anni più tardi, inviterà Mons. Cretoni13 a «fare una piccola vacanza a Lione», sarà contento di ricordargli: «Vedrete oltre al nostro seminario anche quell’altra Comunità che mi avete spinto a fondare, e per le cui regole voi mi avete cortesemente dato dei consigli14. In questo momento 9 L. Pi. a P. Durieu, 20.12.1876. 10 L. PI. al Card. Prefetto, 22.1.1901. 11 Tali parole sono riportate nell’opera Un grand Africain, op. cit., p. 102 e in altri racconti della fondazione (Archivi NSA). 12 L. PI. a M lleX ... 11.9.1886. 13 Uno dei segretari di Propaganda Fide. 14 L. PI. a Mons. Cretoni, 11.8.1886.
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(1886) - aggiunge non senza un po’ di fierezza - stiamo fon dando la decima casa e me ne vengono richieste altre due»... Vale a dire che l’inizio è molto buono! Ed è vero che, a partire dall’inizio del 1876, tutto sembra andare per ¡1 verso giusto. C ’è bisogno di un locale e si può prendere quello che il seminario —trasferendosi in Cours des Brosses - ha lasciato vuoto in rue de la Guillotière. P. Planque, che lo aveva affittato, si è già preoccupato di rescindere il con tratto 15. In primavera la cosa è fatta !6. Le novizie hanno ormai un alloggio assicurato. Sembra certo che esse vi siano entrate nel maggio dello stesso anno... Era il primo maggio? - come afferma una tradi zione che si è mantenuta tra le Suore più anziane 17. Ed il Supe riore era a Lione quel giorno? E difficile stabilirlo. Tra il febbraio e la metà di maggio, ha fatto diversi viaggi a Nizza e a Roma... Ma che importa se la data è esatta o soltanto simbolica! P. Planque amava tanto celebrare l’apertura del mese di Maria al quale partecipava spesso con la propria predicazione, per cui si può benissimo continuare a considerare questo giorno come quello della fondazione... e perché no? a Fourvière! E la casa si riempie... Si può seguire questo sviluppo nelle segnalazioni che il Padre non smette di fare nella corrispon denza, contento di rassicurare le missionarie sul futuro ricambio. Da nove che erano, alla fine dell’anno diventano quindici, nel 1878 ventuna, e dopo dieci anni sono già cinquantaquattro... Alla domanda postagli da un prete esterno: «Da quale classe proven gono le ragazze che Dio chiama all’apostolato delle vostre mis sioni?», il Superiore risponde con humour: «secondo il Suo piaci mento, vengono un po’ da ogni parte... Gesù Cristo spesso sceglie per l’apostolato nella classe dei barcaioli del lago di Gene15 L. PI. a P. Codant, 28.12.1875. «Questo locale è in questo momento in possesso di un curatore fallimentare, ma domani stesso dovranno fare la perizia dei danni, ed il resto delle formalità legali non tarderà ad essere espletato perché possiamo rientrarne in possesso». 16 L. PI. a P. Codant, 11.2.1876: da tre giorni, disponeva della casa... 17 Secondo alcune Suore, vi fu una cerimonia a Fourvière, per altre, la festa ebbe luogo nella cappella della casa.
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saret... Lui stesso era fa ber, film s fabri, e sua madre era la sposa di un artigiano!» 18. Ma c’è un altro punto più importante da sottolineare, e non si tratta di un dettaglio: se le prime novizie - e quelle di Couzon in particolare - erano originarie di diverse zone della Francia, non tardano ad arrivarne altre da oltre frontiera: Irlanda, Sviz zera, Inghilterra, Italia e persino dalla Siria 19: in dieci anni di esistenza, sei nazionalità sono presenti nell’Istituto, quattordici nel giro di vent’anni...: vi è anche una Latino-Americana!... Come non ricordare Gabrielle Quinteros che, nata in Argentina a Cordoba20, venne in Francia per fare visita a dei parenti... e vi restò! Diventata Sr. Macaire, sarà una delle prime a raggiungere la Costa d’Avorio, ma ahimè, anche una delle due vittime della febbre gialla che imperversava, all’inizio del secolo, nella regione di Grand-Bassam21. Così la Congregazione si può considerare internazionale sin dalle origini e P. Planque, che aveva desiderato delle Società di Padri e di Suore «veramente universali», ne è pienamente soddisfatto22... Ma conta soltanto il numero?... Avremmo torto nel credere che chi riceve le postulanti non mostri nei loro confronti serie esigenze. Prima di tutto, ovviamente, un desiderio molto pro fondo di consacrarsi a Dio, di vivere per Lui nella missione in Africa e... di non passare tutta la vita a cercare la propria strada!... «S e dopo tante riflessioni maturate nel profondo, voi credete che il buon Dio vi chiami a lavorare nelle nostre mis sioni, potete venire qui, al convento di Moulin-à-Vent» 23. Per resistere in una vocazione che deve essere pronta ad ogni tipo di fatica, egli vuole delle donne forti ed energiche, mature e 18 L. Pi. ad un abate, 11.11.1884. 19 II Padre parla anche di una postulante algerina, cfr. L. PI. a Sr. Joseph, 13.3.1878. 20 L. Pi. al P. Superiore dei Lazzaristi a Buenos-Aires, 18.8.1888: «Vogliate dire alla Suora di Carità che ha portato una postulante da Cordoba, che la ragazza soddisfa la maestra delle novizie». 21 Sr. Macaire muore a Grand-Bassam nel 1903. - E una semplice coincidenza? A Cordoba la Congregazione aveva raggiunto i Padri nel 1892 per fare un’animazione pa storale e missionaria nella regione. 22 Attualmente, le Suore sono di venti nazionalità diverse. 23 L. PI. ad una futura postulante, 2.5.1897.
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«senza sdolcinatezze né puerilità», con un giusto discernimento per capire persone e situazioni, sufficiente padronanza di sé e dedizione per compiere un lavoro serio, senza dar troppo peso ai sacrifici. Parlando delle qualità necessarie alle future Suore, scrive: «Su due cose non si può transigere: una ferma volontà e il dono di sé. Quando bisogna decidere un’ammissione, io non vedo che la profondità della devozione a Dio, la nobiltà dei sen timenti soprannaturali che spinge a lasciare tutto per servirlo ed estendere il Suo regno, con volontà ferma e concreta»24. In breve, gli servono delle donne del calibro di Augustine Planque, sua madre, della zia Poupart e di qualche altra25. E merito di queste se egli ha offerto alle suore e alle altre donne del suo ambiente, stima e rispetto, se ha dato loro fiducia, affidando loro le stesse responsabilità che dava ai Padri... Questo lo porta molto avanti rispetto al proprio tempo, in cui la donna rimaneva gene ralmente una figura minore, giudicata inadatta ad occupare de terminate cariche o funzioni. Egli vorrebbe anche che le po stulanti avessero ottimismo e gioia, il miglior rimedio, secondo lui, contro lo scoraggiamento e «nel clima dell’Africa, una sincera allegria sarà spesso fonte di salu te!»26. Desidera che abbiano «intelligenza per apprendere», sufficienti attitudini e capacità per svolgere ogni tipo di compito 27. Infine, devono essere abili nel «trarsi d’impaccio», anche se a volte bisogna ammettere che, «quella che si definisce una suora disinvolta», non è facile da trovare come si potrebbe pensare!...28. In poche parole, il Supe riore vuole delle «donne vere» e non delle ragazzine! Ma sa anche moderare le sue esigenze: «Chiedere la perfezione, è cosa impossibile!... Bisogna contare sulla grazia che ci rende mi gliori»29. E «la postulante de La Chapelle Saint-Florent, intelli gente, dotata di un carattere eccellente, molto seria e veloce nel 24 L. PI. ad un abate, lettera citata in n. 18. 25 Gli accadeva di presentare alle Suore sua madre come esempio di coraggio e di energia (diari di ricordi delle suore). Forse citava anche la famosa mamma di Sr. Maxime, di cui parlava spesso. 26 L. PI. alle Suore Perpétue e Vincent, 21.5.1879. 27 Diverse lettere, 1898. 28 L. PI. a Sr. Marie de l’Assomption, 24.11.1895. 29 L. PI. a P. Bonnefoux, 18.10.1865.
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l’apprendere», è già un modello eccellente!... «Quante ce ne vor rebbero come le i!...» 30. «M lle X, invece,... che si scandalizza di tutto, non è fatta per noi...!».
2. Modesti inizi
«La Guillotière... un periodo eroico», raccontavano coloro che l’avevano vissuta. «In casa, a parte i muri nudi delle quattro stanze in cui eravamo, si incontrava soprattutto Sorella Povertà, ma anche una gioia molto grande nel lavorare per il nostro ideale, ed una fiducia senza limiti in Dio e nel nostro Fondatore, il che ci portava ad accettare tutto con allegria»31. Per «allegge rire il peso dei problemi materiali», alcune di loro, essendo sarte, proposero di lavorare per i grandi magazzini di Lione. A poco a poco la casa si organizzò, si fece il piccolo oratorio ed anche un vero e proprio orario di vita religiosa. Cucendo per gli altri, le postulanti vollero anche per sé... un abito! Le storielle, pittoresche e divertenti, delle Suore anziane riguardo a questo argomento non mancano: cuffie di cotone, col letti bianchi... P. Planque finì per accettare che le Suore avessero un abito, come tutte le altre Suore di quel tempo, e la prima vestizione ebbe luogo il 15 aprile 1877. Ma ai suoi occhi, la que stione di un vestito particolare era secondaria, quasi senza impor tanza. E con tono un po’ secco chiese alla madre di una novizia che se ne preoccupava parecchio «che l’abito non diventasse l’u nica cosa essenziale della vita religiosa»... e «che d’altronde, in certi Istituti del passato, non se n’erano mai portati...»32. Quando partiranno per il convento Moulin-à-Vent, «sarà in abito civile»... perché i tempi sono difficili e si è obbligati ad una certa riservatezza senza cercare di attirare l’attenzione...». Non ho vo glia di dare alle Suore un vero abito religioso - dice alla futura 30 L. PI. a Suor Monique, 11.6.1878. 31 Dal diario dei ricordi di Sr. Vianney e di Sr. Joseph. 32 L. PI. ad un abate. Lettera citata in n. 18. «D ’altronde - scriverà ancora il Padre - è possibile che in un’altra casa, occorra portare un altro abito». Chiederà anche «che le vesti non siano troppo lunghe... e senza veli lino a terra...!» (a Sr. Héliodore, 13.10.1887).
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Suor Théodore - visti i giorni difficili che si preparano per la Francia. Credo che un abito semplice, nero, che attiri poco gli sguardi sarebbe quello più adatto per il momento»33. Stessa cosa per il nuovo nome che una volta si era soliti scegliere, prendendo i voti... Per il Superiore, anche questa è una consuetudine senza importanza, egli l’accetta semplicemente ma... a suo modo! Redige infatti una piccola lista di santi africani, tra i quali le future Suore potranno scegliersi un Protettore... nomi sconosciuti, curiosi o anche bizzarri, non sempre facili da portare!... 34 Al contrario, quando le case ed il personale cominciarono a moltiplicarsi, egli si mostrò apertamente contrario che nella Con gregazione, le Superiore diventassero «M adri». «Da nessuna parte la superiora deve essere chiamata in questo modo e se, in qualche posto, si è già presa quest’abitudine, si approfitti subito del primo avvicendamento per riprendere il nome di “Suora”. Non so neanche se la stessa Superiora della Congregazione avrà questo nom e»35. Ma anche su questo punto, dovette cedere in seguito per le insistenze di qualche sua figlia di ritorno dall’A frica 36. Bisognerà attendere l’aggiornamento del Concilio Vati cano II perché la Congregazione ritorni alle vedute semplici del Fondatore. Per parte sua, in questi primi anni egli dà l’esempio: «Chiamatemi Sig. Superiore, Sig. Planque, Padre, Reverendo, o mio Reverendo Padre, io non vi baderò affatto, né vi leggerò particolari intenzioni»37. E riguardo a tutti quei nomi ai quali a quel tempo si è tanto legati, il Superiore si spiega chiaramente con uno dei suoi Padri: «Non c’è nulla nel nome. Si è qualcosa 33 L. PI. a Sr. Théodore, lettera senza data, Archivi NSA. 34 L. PI. a Sr. Raphael, 28.11.1877. - Ci saranno così delle Nicanor, Nilamon, Ca strile, Classique, Hermogène...! Ed una, che chiese un nome africano, fu chiamata Elesbaan, dal nome di un re di Abissinia... 35 L. PI. a P. Moreau, 30.1.1884 e a Sr. Claire, 2.1.1884 e 17.4.1884. 36 «Alcune Suore rientrate dall’Africa - si legge nei quaderni di ricordi delle Anziane - avevano chiesto a P. Planque di chiamare le superiore “Madre, reverenda Madre”, o anche “Reverendissima Madre”, come si faceva negli altri Istituti! Ed egli non ritenne di doversi opporre, viste le usanze del tempo». Ma dal 1967, il nome di “Madre” non è più in uso nella Congregazione. 37 L. PI. ad un abate citata in n. 18.
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per la carica che si riveste, secondo l’obbedienza ordinata da Dio e il modo in cui si lavora». Tenere al titolo nella vita di semplicità che egli predica a tutti, sarebbe sbagliare il bersaglio. Ciò che conta, «ciò che renderà saldi», è «fare davanti a Dio, per Dio e con il Suo aiuto, tutto quello che dovete fare, per il bene...» 38. Una volta aperta la casa della Guillotière, il Superiore è im paziente di vedere arrivare la persona sulla quale contare per la formazione. Sembra che abbia fatto appello ad una suora dome nicana del Santissimo Rosario, proposta da P. Codant, anche lui domenicano 39. Siccome non ottiene risposta, ripete la richiesta: «Siamo in attesa della giovane che dovrà essere la Madre delle nostre future missionarie» ed esprime il suo desiderio di vedere risolta la questione al più presto per «installare la piccola comu nità prima del viaggio a Roma, dove diverse questioni richiedono la sua presenza» e decidere, « d ’accordo con P. Codant, le regole e le costituzioni adatte allo scopo» 40. In ottobre, un’ulteriore lettera, questa volta alla Domenicana stessa: «Sarebbe ora di occuparci delle nostre future Suore». «Ho un grandissimo desiderio di vedervi arrivare il più presto possibile, le vostre figliole hanno un gran bisogno di vo i»41. Ma la Maestra attesa non si decide a collaborare... voci maligne giunte da Nizza le hanno fatto credere che le Suore che trove rebbe a Lione non sarebbero altro che le serve dei Padri ed alloggerebbero sotto lo stesso tetto... P. Planque si sforza di ras sicurarla, ma non riesce a convincerla42. Ella non verrà mai. E Mlle de Cossigny, una persona importante e che parla molte lingue, non rimane presso il noviziato per più di qualche mese. 58 L. PI. a P . C h au tard, 15.11.1890.
39 L. Pi. a P. Codant, Superiore della casa delle Domenicane a Sèvres, 28.12.1875. Planque ringrazia anticipatamente quasta Suora che ha capito così bene i bisogni dei Neri dell’Africa. 40 L. PI. a P. Codant, 11.2.1876. 41 L. PI. alla Suora Domenicana, 15.3.1876. 42 L. PI. alla stessa, 27.10.1876. P. Planque le spiega,senzaconvincerla, le condi zioni di vita delle Suore a Nizza. Cfr. all’abate X ...11.11.1884:«Non è serio dire che le Suore sono impiegate come domestiche, anche se hanno dei compiti materiali». - A P. Poirier, 7.12.1887, raccomanda «che le Suore non facciano la cucina, perché in Africa, è troppo faticoso per i Bianchi».
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«Non è riuscita a far niente e ha anche causato uno spaventoso pasticcio» 43, riconosce il Padre, deluso ancora una volta. Che cosa gli rimane da fare... se non di candidarsi volontario per il posto vacante e prendere lui stesso la direzione del gruppo? Queste situazioni di supplenza le conosce bene, ma questa volta, il sovrappiù di lavoro che ne deriva per lui è consi derevole, in quanto, alle responsabilità della formazione, si ag giungono le questioni materiali e l’aumento inevitabile delle que stue e altre pratiche. Si confida allora con qualcuno che gli è vicino: «Il mio tempo è tutto preso dalle più diverse occupa zioni» 44. «E un grande imbarazzo per me occuparmi della for mazione di queste ragazze...»45. «Potete facilmente immaginare che questa comunità non faccia che aumentare il mio lavoro, che già è enorme», ma aggiunge subito: «Il bene che ne deriverà per le missioni mi dà forza...»46. Il Padre eserciterà questa funzione per lunghi anni, finché non si deciderà a chiamare dall’Africa una o due Suore, per of frire ad un noviziato ormai numeroso la loro esperienza di mis sione. Ma nel 1877 è ancora presto. Osa persino contare ancora su una terza persona, che conosce bene la vita religiosa e missio naria ed ha promesso il suo aiuto. Ma anche quella non arriverà m ai47. Nell’anno che segue la fondazione, senza alcuna pretesa, ma con la sua provata esperienza di formatore, un acuto senso dello scopo da raggiungere e la sua abitudine a mettere Dio al centro dell’azione apostolica, comincia dunque le sue funzioni e «fa prendere corpo e anima a questa piccola comunità che avanza lentamente»48. Tutto questo non lo sorprende perché, dice, «non è cosa facile cambiare il proprio carattere...». «Io vedo tanta buona volontà, molte hanno fiducia. Quasi tutti i giorni, 43 L. PI. a P . D urieu, 1 4.11.1877 - e a Sr. Jo sep h , 28.11.1877. 44 L. PI. a Sr. M arie-V éro niq ue, 6 .2 .1 8 7 8 - « L a funzione di m aestro delle novizie mi richiede m olto tem p o ». 45 L. PI. a P . D urieu, citata in n. 43. 46 L. PI. a Sr. Jo sep h , 2 8.1 1.18 7 7. 47 L. PI. a Sr. M arie de l’A ssom p tion, 18.5.1877. 48 L. PI. alla stessa, 3 .11.1877.
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trascorro una o due ore a loro disposizione» 49. Ore certamente ben impiegate, se possiamo credere Sr. Joseph: «Quando gli si chiedeva un consiglio, ci si sentiva sempre incoraggiate...ed aveva anche il dono particolare di farci aprire il cuore...»50. Lui stesso è abbastanza psicologo da capire che deve adat tarsi: «La direzione delle Suore è molto più complessa di quanto pensiate»51. E comunicando la sua esperienza a coloro che si apprestano ad accogliere le Suore in Africa, dirà: «Con le donne, bisogna saper essere molto misurati perché queste sono spesso estremiste. Una pazienza perseverante, invece, porta sempre ad un buon risultato» 52. Finalmente «la piccola comunità va avanti bene, fa molti pro gressi, e in poco tempo sarà ben seria e solida»... «Le ragazze sono contente e si impegnano seriamente nella vita religiosa»... «Noi facciamo le cose seriamente e senza rumore, ma Dio bene dice i nostri sforzi» 53. Con serietà e senza rumore, questo è il tono dato... Non bisognerà mai perdere di vista queste due parole, che non si stanca mai di ripetere, tanto gli sembrano essenziali per lo spirito che vuole far regnare nel Noviziato. «È per Dio che noi lavo riamo, non per le chiacchiere del mondo» 54. «Le Suore restano nell’ombra», si legge in una lettera posteriore. Non fanno parlare di sé, ma compiono un lavoro serio 55, malgrado i commenti dei contestatori e degli invidiosi. E non ne mancheranno... 3. Dalla G uillotière al M oulin à Vent
La Guillotière poteva essere il posto giusto, quando si conta vano soltanto nove postulanti... Inoltre era molto pratico per un Superiore come lui, che diviso tra due case, poteva passare facil 49 L. PI. a Sr. Marie-Raphaèl, 27.11.1879 - e numerose lettere alle Suore tra giugno e dicembre 1877. 50 Diario di Sr. Joseph. 31 L. PI. a P. Pourret, 16.6.1880. 32 L. PI. a P. Ménager, 11.6.1879. 33 L. PI. a P. Louapre, 24.10.1877. 34 L. PI. a Sr. Marie-Véronique, 19.6.1878. 33 L. PI. a P. Voisin (Crest, Dròme), 25.10.1879.
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mente da una all’altra 5<s. Ma anche per le Suore, la tenda diven tava troppo piccola, bisognava allargarsi, cercare un altro alloggio in quanto la congregazione cresceva velocemente. Presto avrebbe dovuto ottenere anche uno statuto canonico. Decisamente, le strade di P. Planque non sono mai prive di ostacoli e di giri complicati! Negli anni 1878-1880, il clima poli tico è lungi dall’essere favorevole alle congregazioni, e l’Arcive scovo di Lione, in considerazione del numero delle comunità re ligiose stabilite nella sua diocesi57, sarebbe disposto a chiuderne qualcuna piuttosto che ad aprirne delle altre. Come sperare, in queste condizioni, di ricevere un’approvazione ufficiale?... E questo è un primo ostacolo, anche se non il solo, né il principale. Accade, infatti, che quasi nello stesso momento, il Cardinale Caverot debba fornire a Roma delle informazioni concernenti lo stato delle Missioni Africane ed il loro Superiore (più tardi si vedrà il tono di questo rapporto, come anche le ragioni che lo hanno provocato). Fidandosi dei due informatori che si è scelti, P. Courdioux e Madre Bonaventure - la cui versione dei fatti recenti, viste le circostanze, potrà difficilmente essere obiettiva il Cardinale Caverot trasmette a Roma un dossier, nel quale P. Planque viene piuttosto bistrattato 58. E nell’ultima parte della sua relazione - quella che riguarda la fondazione delle Suore dichiara che «P. Planque ha fatto dei tentativi per creare una congregazione di religiose dipendenti da lui e consacrate alla sua opera». Ma aggiunge: «gliel’ho espressamente vietato. Ignoro se P. Planque abbia già sciolto “questa specie di congregazione ibrida” (sic) che io rifiuto di riconoscere. Sarebbe quindi urgente che Propaganda Fide gli ordinasse di congedare queste Suore e soprattutto di farle uscire dal suo seminario...!»59. 56 Le due case sono molto vicine... 57 Si tratta del Card. Caverot che ha sostituito Mons. Ginoulhiac nel 1876. - A quell’epoca, si contavano più di 350 comunità religiose nella diocesi di Lione. 58 Cfr. la IV parte, cap. 12, l’insieme di questo rapporto, le ragioni che lo hanno provocato e ciò che pensava P. Planque riguardo la richiesta fatta dal Card. Caverot a quei due «informatori». 59 Lettera del Card. Caverot al Card. Simeoni, prefetto di Propaganda Fide, 28.4.1878. - L ’Arcivescovo aggiunse anche in una seconda lettera, 10.11.1878, «che gli sembrava evidente che la creazione di un Istituto di uomini e di donne sottoposti allo stesso Superiore presentasse immensi pericoli»...
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L’atteggiamento intransigente e senza appello del Cardinale di Lione nei confronti deU’iniziativa coraggiosa di P. Planque non trova alcuna eco a Roma dove, da più di diciotto mesi, si conosce questo progetto di congregazione; ci si è congratulati e si spinge lo stesso Superiore a completarne al più presto l’organizzazione. Tutto questo il Card. Caverot sembra ignorarlo... ma possiamo comprendere perché P. Planque, cercando dove stabilire la casa delle Suore, abbia deliberatamente scelto di passare - tre chilo metri più in là - il confine della diocesi di Lione e di stabilirsi in quella di Grenoble 60. Nella sconfessione dell’Arcivescovo si può, quindi, trovare la vera ragione della fondazione del convento di Moulin-à-Vent, come anche la decisione di non fare alcuna pro fessione di voti, finché si rimarrà alla Guillotière, ma di aspettare che le Suore raggiungano l’Africa. Il Cardinale, infatti, non con cederebbe mai l’approvazione canonica richiesta per queste pro fessioni. Pertanto, si «stabilisce temporaneamente - dichiara P. Planque - che le Suore emettano i voti in missione. Questa mi sura dipende soprattutto dal fatto che esse abiteranno qui solo provvisoriamente, perché non trovo prudente domandare l’auto rizzazione all’Arcivescovo di Lione per una comunità che si tra sferirà a venti minuti da lì nella diocesi di Grenoble»61. Davanti a questo nuovo colpo, Augustin Planque non si ar rende. Forte dell’appoggio romano, trova nell’accoglienza calo rosa del suo amico Fava, diventato vescovo di Grenoble, una sorta di compensazione al sospetto del suo Arcivescovo. Fava, felice di aiutare il suo ex condiscepolo, gli ha già chiesto di an dare a costruire da lui il suo noviziato per le Missioni62. D’altra parte, il Padre confiderà più tardi che «Propaganda Fide gli aveva chiesto di mettere le sue Religiose sotto la giurisdizione 60 Quando il settore del Vénissieux/Moulin-à-Vent ritornerà alla diocesi di Lione (nel 1955), in seguito ad una riorganizzazione delle diocesi limitrofe, la Casa-Madre sarà reintegrata nella sua diocesi di origine. 61 L. PI. a P. Louapre, 30.10.1878. 62 Mons. Armand Fava, uscito dal seminario di Cambrai come Augustin Planque e, divenuto Padre dello Spirito Santo, fu missionario alla Réunion e a Zanzibar, poi vescovo di Saint-Pierre e di Fort-de-France nella Martinica. Nel 1875, divenne vescovo di Gre noble, dopo 24 anni di ministero nelle colonie francesi. Nei confronti di P. Planque fu l’amico più fedele e spesso il più efficace.
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immediata di Mons. Fava: un’apertura quasi ufficiale, che poteva proteggerlo davanti a certe eventualità» 63. Quante Suore non hanno mai saputo - anche molto tempo dopo - che la loro Congregazione avrebbe potuto soccombere appena nata, se non fosse stato per la fiducia inalterabile di Roma nella serietà dell’azione di P. Planque e per l’amicizia fe dele dell’ex Vicario apostolico di Zanzibar...! Confortato e sicuro sulla strada da seguire, nell’estate 1878 il nuovo Fondatore acquista - ad una mezz’ora dalla Guillotière un vasto terreno quasi adiacente alla chiesa delle Sauterelles, nel quartiere del Moulin-à-Vent, e comincia a farvi costruire la casa definitiva delle Suore. «Esse vi si potranno stabilire nel mese di settembre dell’anno prossimo. Vi sarà un giardino più grande di quello del seminario». «N e costruiremo soltanto la metà, ma quando sarà finita, sarà ugualmente più grande del seminario dei Padri» 64. Ci vorranno tuttavia tanta pazienza - come per la costruzione di Cours des Brosses - molte preoccupazioni, e molti va e vieni tra la Guillotière ed il cantiere per vedere la fine dei lavori... P. Planque confessa di incontrare «ogni sorta di difficoltà per fare terminare la casa delle Suore». «Tuttavia - scrive - riesco ad ottenere una casa abitabile con un anno di ritardo e con pene infinite» 65, «e non vedo l’ora che si sistemino là» 66. F trasloco fu come il primo insediamento, nel maggio 1876: una vera piccola epopea di famiglia!... «Era ora!, raccontano le prime Suore. Eravamo più di quaranta e nell’unica sala di sog giorno della Guillotière si poteva ancora respirare solo perché erano stati installati due ventilatori posti verso l’alto delle fine stre, nell’attesa della partenza, desiderata dal Padre e da noi!» 67. Questa ebbe luogo l’8 giugno 1881. Un primo gruppo fu incari 63 L. PI. ad una Reverenda Madre X..., 2.2.1880. 64 L. PI. a Sr. Elesbaan, 8.10.1878 - e a Sr. Raphaël, 27.11.1878. - La seconda parte dell’edificio di cui parla il Padre fu costruita solo nel 1930-31 e ultimata nel 1932. 65 L. Pl. a P. Devoucoux, 28.5.1881. 66 L. Pl. a P. Moreau, 27.4.1881. 67 Dal quaderno di ricordi di Sr. Vianney e di Sr. Joseph.
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cato di sistemare la nuova casa dopo la fine dei lavori. Poi, tre giorni più tardi, giunse il secondo gruppo. Questo edificio molto spazioso 68 fu ben presto conosciuto da tutti, non come un novi ziato - le difficoltà di quell’epoca molto anticlericale consiglia vano di non mettersi in vista - ma come il Pensionato SaintJoseph 69, che effettivamente servì da scuola ai bambini del quar tiere fino agli altri anni difficili all’inizio del secolo seguente, quando le congregazioni religiose non ebbero più il diritto di insegnare. Era una scuola importante, se dobbiamo credere alla lettera indirizzata a P. Devoucoux in Irlanda: «L ’università rico nosce la Casa come capace di ricevere 187 educande, senza con tare le maestre. Potrete dunque inviare tante allieve»70. Mlle Holley, venuta dalla Normandia per essere titolare della scuola71, ne assunse la direzione. Le Suore hanno dunque ormai la loro casa72 e si trovano sotto la giurisdizione del Vescovo di Grenoble, che le ha appro vate. Egli è venuto a benedire gli edifici e la cappella e sarà lui a presiedere la vestizione e la professione73. P. Planque è tran quillo e sempre sicuro «che lo Spirito Santo sa benissimo come risolvere ogni cosa a suo tempo». Egli guarda con fiducia all’av venire del suo Istituto.
68 L. PI. a Sr. Marie-Véronique, 27.11.1878: «L ’edifìcio ha tre piani, con sotterraneo e piano terra, 24 m di lunghezza e 17 m di larghezza. E più o meno la metà di ciò che sarà quando la casa sarà completata». 69 Una statua di San Giuseppe fu posta sulla facciata ovest, all’ultimo piano (vi è ancora). «Sarà benedetta la settimana prossima dal vescovo di Grenoble», scrive il Padre a P. Boutry, il 17 maggio 1883. - I vecchi del quartiere si ricordano di aver sentito parlare di questo pensionato St-Joseph dai loro genitori... 70 L. PI. a P. Devoucoux, 28.5.1881. 71 L. Pi. a P. Terrien, 29.5.1903. - Mlle Holley divenne Sr. Théodore e fece parte del primo Consiglio generale della Congregazione (fino al 1910). 72 La Congregazione lasciò questa casa costruita da P. Planque nel 1971, dopo 90 anni di presenza al Moulin-au-Vent per acquistare un’altra casa più funzionale e meno grande a Sainte-Foy-les-Lyon (a quasi duecento metri dalla prima casa del Petit SainteFoy). 73 L. PI. ad un abate (lettera citata in n. 18) - e ad una Reverenda Madre (lettera citata in n. 63).
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CAPITOLO UNDICESIMO
SOPRATTUTTO MISSIONARIE
Mentre preparava «i suoi progetti per l’organizzazione della nuova Congregazione», P. Planque scriveva: «Piuttosto che farne delle Domenicane credo che sarebbe meglio farne... delle buone ed autentiche religiose missionarie». Infatti, l’esperienza appena fatta con le Suore Francescane - anche se tutt’altro che negativa —basta a dimostrargli che il suo progetto per l’Africa può difficil mente coincidere con gli scopi di un altro Istituto, e che quindi è obbligato a crearne uno nuovo 1. La sua intenzione di «fondare per le Missioni» è ormai ben ferma, per avere così «delle Suore che lavoreranno in collaborazione con i Padri». «E per il bene dell’Africa, che Dio ha fatto nascere questa piccola Istituzione» 2. Lo scopo è quindi definito sin dall’inizio. Ma il Superiore avrà spesso l’occasione di ritornare su questo punto: «Bisognerebbe far capire che le Suore sono unicamente a servizio delle Mis sioni» 3. Non vi è alcuna ambiguità. E se si vorrà parlare del carisma della Congregazione, lo si farà sempre nella linea del carisma di P. Planque. La grazia che egli ha ricevuta, è quella di lasciare la forza dello Spirito agire in lui, perché progredisca l’evangelizza zione dell’Africa. Come il loro Fondatore, le suore dell’Istituto mantengono le stesse vedute e la stessa direzione: nella fedeltà allo Spirito, si rendono disponibili al servizio del Vangelo, specialmente presso le donne africane, i bambini e le famiglie. 1 L. PI. a P. Codant, 29.12.1875. 2 L. PI. a Sr. Marie de l’Assumption, 3.11.1877. 3 L. PI. a P. Terrieri, 29.5.1903 - Al momento della legge sulle Associazioni, l’affer mazione del Padre riguardo allo scopo dell’Istituto non era solamente un mezzo per distinguersi e difendersi da eventuali attacchi, ma la semplice verità...
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1. Il progetto di vita
Per definire l’orientamento della sua Congregazione, non ha dunque bisogno di consultare nessuno. Ma, convinto della sua ignoranza su ciò che concerne la vita regolare stabilita dal diritto della Chiesa, ha già chiesto aiuto a P. Codant4 e, «ringrazian dolo dello zelo nel servire la Missione», non avrà paura di rico noscere con la sua solita franchezza: «Voi avete nei confronti delle comunità di Religiose un’esperienza che io non ho e che, tuttavia, è indispensabile in questo momento» 5. Ma il Fondatore fa prima di tutto riferimento a Roma, al segretario Mons. Cretoni, nel quale ripone una grande fiducia. «Deciso a prendere dalle regole approvate dalla Sante Sede, per esempio “quelle del Buon Soccorso”, tutto quello che concor derà col suo scopo», egli vorrebbe, comunque, che «le Suore ne avessero una adatta a loro» 6. Perché bisogna pensare a delle Costituzioni. «Come potrebbe esistere una Società senza delle regole fisse, osservate da tu tti?»7, e lui stesso, come potrebbe guidare il destino della Congregazione senza tali punti di riferi mento, esercitando la sua carica di Superiore? Nelle sue mani la regola sarà un mezzo per governare e risolvere i conflitti. Per decidere del cammino di un’opera, di un gruppo o anche della Chiesa, prima di ogni altra considerazione, soprattutto in quel periodo, occorre considerare in primo piano l’autorità di un capo, l’organizzazione gerarchica ed il diritto. Ma nel suo pensiero - pur esigendo una strettissima osser vanza - la regola è qualcosa di più della lettera che riveste lo spirito, ha essa stessa un aspetto fortemente spirituale: «Il bene sarà fatto con l’applicazione della regola» 8 e «ad essa è legata la benedizione di Dio» 9. 4 Cfr. nota n. 1. 5 L. PI. a P. Codant, 29.12.1875. 6 L. PI. alla Suora Domenicana, 20.10.1876 - e al Prefetto di Propaganda Fide, 20.7.1884. 7 L. PI. a P. Courdioux, 19.9.1864. 8 L. PI. 1897 - Cfr. L. PI. a Sr. Honorius, 24.6.1895. 9 Dal testo delle prime costituzioni e la lettera di P. PI. alle Suore di Cork, 19.5.1889.
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In realtà, egli si ispirerà soprattutto alla Regola di Sant’Ignazio, rifacendosi in particolare al Sommario delle Costituzioni della Compagnia 10. E questo, per due ragioni: quando menziona nelle sue lettere questo riferimento ai Gesuiti, chiarisce sempre ciò che lo ha portato a tale scelta: «Se questa regola sembra la più adatta alla vita apostolica, è perché è scevra da ogni austerità. D’altronde, per la vita di missione l’austerità non è obbliga toria» 11. Egli cerca una regola che sia «umana», guidato in ciò sia dalla sua esperienza personale, sia dal suo buon senso. Sa quanto gli è costato al tempo del seminario maggiore l’aver abu sato delle penitenze, e mai autorizzerebbe i digiuni o le mortifi cazioni corporali. «La salute ed il lavoro sono spesso incompati bili con i digiuni», dice 12. «Voi avete bisogno di tutte le vostre forze per svolgere i vostri compiti» 13. Ma se non vuole «nulla che indebolisca il corpo», incoraggia vivamente le Suore a vivere un’ascesi personale, accettando le occasioni che si presentano per mortificarsi. «Vi restano tante penitenze da fare» 14. «Il peso delle contrarietà, della fatica e delle malattie, la padronanza di sé che lo svolgimento dei compiti ed i piccoli problemi della vita in comune esigono, ecco tanti punti che sostituiscono i digiuni e che saranno altrettanto meri tori!...» 15 Il secondo aspetto che apprezza nella regola dei Gesuiti, «è che essa si presta bene ad ogni forma di opera, ed è quindi adatta all’apostolato» 16. Ed il suo desiderio è proprio quello di non introdurre alcuna contraddizione, alcuna incompatibilità tra gli esercizi quotidiani della preghiera, la vita comunitaria e le atti vità della Missione. Un uomo d’equilibrio, qual è Augustin Planque, non può che 10 Q uesto som m ario è u n d o cum ento sem plice nello spirito e nella redazione, ri volto in m odo partico lare agli A spiranti. 11 L. PI. a P . D urieu, 18.7.1877 - e a P . G uérin, 23.7.1884. 12 L. PI. a Sr. C atherin e, 2 5 .6 .1 8 8 8 . 13 L. PI. a Sr. A lexan dre, 3 .1 2 .1 88 8 . 14 L. PI. a Sr. É dèse, 2 8.1 2.18 8 6. 15 L. PI. a Sr. H éliodo re, 2 .1 1 .1 8 8 8 . 16 L. PI. ad u n abate, citata in n. 18 nel cap . 10.
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apprezzare e desiderare degli orientamenti in cui «tutto sia coor dinato per rendere più facile e più sicura» tutta la vita delle Suore e, in particolare, «la pratica delle virtù» cui esse si sono impegnate. Giunge, quindi, alla conclusione che bisogna demi stificare la vita religiosa: «Tante persone del mondo vi cercano ogni genere di mistero - dice - mentre invece non c’è nient’altro che la vita cristiana» - battesimale - «vissuta in modo più radi cale» 17. Il testo che segue, è sempre stato considerato come fondamentale nell’Istituto, poiché esprime, in maniera ancora più forte di tutto ciò che lo precede, uno dei caratteri particolari con cui il Padre ha voluto segnare, sin daH’inizio e con insistenza, la spiri tualità delle Suore: «Non voglio nulla d’insohto, ma solamente la semplicità, vissuta in una larghezza di vedute veramente apo stolica» 18. In questo vi è non soltanto un atteggiamento, a lui molto familiare, ma una vera scelta di vita spirituale, un modo di andare verso Dio per il quale nulla è più grande del riconoscersi, davanti a Lui ed ai fratelli ed alle sorelle, per quello che si è, umilmente, con rettitudine e senza nulla nascondere, con la natu ralezza di colui o colei che compie ciò che ha promesso. Essere semplice come Maria, semplice come Pietro, gli Apo stoli, ed in particolare, come quel Natanaele sotto il fico in cui Cristo aveva lodato «il vero Israelita senza artifici». Ecco i mo delli. Sarà da questo, avrebbe potuto dire alle Suore, che vi rico nosceranno, dalla semplicità della vostra vita. Non è un atteggia mento facile, poiché la vera semplicità - grande come una bea titudine - è prima di tutto ricerca di Dio, con un cuore retto e disponibile. E in questo servizio, che si compie nel nome del Signore, non possono entrare né meschinerie, népiccinerie. Lo spirito che si lascia plasmare dalla tenerezza di Diononpuòes sere che «magnanimo». Se rimane lucido, senza alcun compro messo con il male, non è incline prima di tutto al sospetto, ma all’amore, alla benevolenza, alla scusa e al perdono. Vivere così, nella semplicità dei figli di Dio, non può realizzarsi senza una 17 L. PI. a P. Guérin, 22.7.1884. 18 L. PI. alla Suora Domenicana, 27.10.1876.
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forza venuta dall’alto. Per questo egli aggiunge immediatamente: «Lo Spirito Santo asseconderà le nostre intenzioni e trarrà gloria dai nostri sforzi» 19.
2. Dal Cenacolo alla Pentecoste
Un nom e Lungi dall’essere casuale, il nome dell’Istituto, scelto dal Fon datore, esprime già da solo l’essenza della spiritualità. «Suore delle Missioni Africane» 20, esse diventeranno ben presto e per sempre «per le Missioni Africane» le «Suore di Nostra Signora degli Apostoli», un titolo al quale P. Planque tiene molto fino a domandare a Propaganda Fide, al momento dell’approvazione della Congregazione, di voler conservare bene il nome che egli ha dato 21. Dove è stata fatta la scelta? Nel corso dei suoi numerosi viaggi a Roma? Nella basilica di San Pietro, o anche in quella dei Santi Apostoli, non lontano dalla città antica e dal Colosseo? Impossibile dirlo... Quello che invece si sa con certezza è che egli ha voluto porre al centro del suo Istituto, «la Vergine Maria, nel suo titolo di Regina degli Apostoli, nel cenacolo e nelle loro fa tiche apostoliche»22. «Che cosa avrebbero potuto fare senza di Lei, nei primi tempi della Chiesa, durante il grande inizio?», oserà dire il Padre, allontanandosi un po’ dai testi, e sicurissimo che Maria, dopo aver condiviso con i Dodici il periodo di raccoglimento nel Cenacolo, era là con loro anche quando si sparsero, nell’entu siasmo della Pentecoste, per le vie di Gerusalemme. «Non v’è alcun dubbio che Ella abbia sostenuto coloro che si mostravano deboli e che abbia svolto magnificamente il suo ruolo di madre verso tutti i nuovi convertiti». «E noi stessi - amava ripetere 19 2,1 21 22
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S tessa lettera. Q uesto era il loro prim o nom e. L. PI. al C ard in ale-P refetto L edo ch ow ski, 22.2.1901. N egli app un ti d elle prim e S u o re...
che cosa saremmo senza Maria? Senza di Lei, non saremmo mai esistiti!» 23. E le Suore sono chiamate a vivere questa meravigliosa storia - riportata nei primi capitoli degli Atti - con Pietro ed i suoi compagni, invitate, anch’esse, ad entrare nella «Camera Alta» del Cenacolo, per raccogliersi con Maria, Madre di Gesù, e lasciarsi invadere dallo Spirito per conoscere e amare Dio. Così potranno a loro volta essere inviate, per farlo conoscere e amare, dai loro fratelli e sorelle d’Africa 24. In questo sta lo spirito apostolico vero, nei due aspetti inse parabili di contemplazione del Padre e di servizio del Regno. Questa è, dunque, la spiritualità su cui poggia tutta la formazione delle Suore della nuova Congregazione. Alla presenza d i Dio In una giornata apostolica, vi sono dei tempi privilegiati, ri servati al Signore, durante i quali le Suore si ritrovano insieme alla Sua presenza, tempo della celebrazione eucaristica, dove si costruisce la comunità intorno a Cristo, ore dell’Ufficio, dell’ora zione, della meditazione della Scrittura... Ma parlando della preghiera, il Padre insiste anche su un’altra forma di incontro, per sonale con il Signore, di preghiera incessante, che egli chiama «unione con Dio»: «Tutte voi, vivete nella più intima unione con Lui», raccomanda a Sr. Benoìt, sua nipote e superiora a Zifta 25. E quest’abitudine, che crea l’inte riorità nel raccoglimento e nel silenzio, è indispensabile ad ogni vita apostolica, anche - e forse soprattutto —nei giorni di lavoro più faticosi: «Soprattutto durante le vostre occupazioni, non di menticate voi stesse. Abbiate il tempo per scendere nel profondo del vostro cuore e, in presenza di Dio, rendetevi conto del punto in cui siete »26. Per convincere meglio le Suore, il Padre ama 23 24 25 26
Idem e Conferenze del Noviziato. Si tratta di orientamenti-chiave nella spiritualità della Congregazione. L. PI. a Sr. Benoìt, 21.1.1903. L. PI. a P. Cloud, 19.2.1963.
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citare l’episodio di Betania nel Vangelo di Luca27, dove Maria rimane accanto al Signore, lasciando a Marta la cura delle fac cende domestiche. «Voi siete delle Marte - dice - poiché tale è la vostra vocazione. Siate dunque delle buone Marte» - c’è tanta gente da accogliere a casa vostra come a Betania - «ma, nel mezzo delle vostre occupazioni, sappiate sempre essere raccolte come Maria, per intrattenervi con il Maestro nel Cenacolo del vostro cuore» 28. «A noi —dirà ancora - è stato detto come ad Abramo: “Camminate sempre alla presenza di Dio”» 29. Questo è ciò che vive lui stesso, in profondità, «rimanendo semplicemente accanto a Cristo, come facevano gli Apostoli du rante la vita pubblica». In maniera particolare, sente il bisogno di ritrovarsi davanti a Dio poiché, dice, «nel mezzo della nostra vita civilizzata, ho bisogno più di chiunque altro di un aiuto partico lare per non allontanarmi troppo dal giusto sentiero» 30. La sua spiritualità semplice, diretta, ma forte, lascia un grande spazio alla meditazione del Padre Nostro e della Passione di Cristo, così come dello Spirito Santo, che dà un senso alla sua vita e la forza per seguire la volontà di Dio, sua guida, come dice spesso, per lavorare alla nascita del Regno31. Alle Suore consiglia questi sentieri sicuri. In questo modo potranno con Maria, rimanere attente e conservare la fede. Poiché questo è il fondamento: la fede, la roccia su cui si frantumano il dubbio e lo scoraggia mento, mentre si affermano la fiducia nella bontà del Padre e l’audacia di continuare a rischiare, per Lui, una vita spesso in pericolo... «Non abbiate paura - ripete spesso - andate a Dio con grande fiducia, poiché anche voi vincerete tutto grazie alla fede...». «N ella dura vita delle Missioni, i missionari hanno bi
27 In L u ca, cap. 10, 38-42. 28 M a il racco glim ento e il silen zio ch e il P a d re raccom andava non erano, tuttavia, quelli d el chiostro, com e disse in a ltre occasioni. Leggendo alcuni com m enti, si potrebbe dim enticare tu tto il bello slancio m issio nario ch e eg li sapeva com unicare bene. Le Suore erano, anch’esse, d elle «co n tem p lative n e ll’az io n e». 29 C fr. C on feren ze d el N oviziato, A rchivi N SA . 30 L. PI. a P . C loud, 18.10 1863 - E a P. Borghero, 20.2 .1 86 4 , dichiarava: «H o un grande bisogno d i p regh iere per tirarm i fu ori vantaggiosam ente da m ille cose che m i riem piono la testa e distraggono il m io sp irito ». 31 C on feren ze d el N oviziato (A rchivi N SA ).
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sogno, più degli altri cristiani, di una fede solida e convinta»32. Colui che parla in questo modo ha fatto l’esperienza della fedeltà di Dio, che non l’ha mai deluso. Non per niente, dopo la morte di uno dei suoi missionari, scrive: «Sarebbe irreparabile se da vanti a Dio vi fosse qualcosa di irreparabile» 33. Si può scoprire così, attraverso le lettere di P. Planque, una vera e propria spiri tualità della fiducia. Se spesso parla di peccato, ancora più spesso evoca il perdono, la tenerezza di Dio, che chiede soltanto di riconciliarsi con Lui. «Scoraggiarsi sarebbe offendere Dio, di menticare la sua bontà e l’amore che ha per noi».
...e davanti a l m ondo Ma se le Suore hanno fatto della fede il principio della loro vita, allora si sentiranno motivate ad agire, ad uscire da sé per incontrare gli altri. Si potrebbe parlare lo stesso di missione o di vita apostolica senza la fede in Cristo e nel Suo Vangelo? Lungi dall’essere soltanto un privilegio personale, ancora meno una sorta di tesoro da custodire gelosamente per paura di perderlo o di metterlo in pericolo, la fede è la Parola stessa di Dio divenuta vivente in noi. E questa Vita, questa Novella, non devono rima nere sotto il moggio delle nostra timidezza e delle nostre paure. Agire così, dice, sarebbe «diventare assassini della fede» 34, pri vandola della forza, della fiamma alla quale altri sono chiamati a venire per illuminare la loro vita. In queste sue convinzioni, che condivide con tutti i suoi, traspare tutta l’anima apostolica di Augustin Planque. Quindi, lungi «dal chiudersi in un chiostro», le Suore saranno presenti laddove potranno stringere delle relazioni, «disporre le donne a favore della missione, educare le ragazze» 35. Dovranno uscire, visitare, percorrere il paese, cercare la gente dove questa vive. «Diffondere la Novella di Gesù Cristo, è perquestoscopo 32 L. PI. a P. Mairesse, 20.3.1862 e molte altre lettere. 33 L. Pi. a Sr. Claire, 30.6.1886. 34 E l’espressione che usa in un sermone sulla Fede per uccidono con l’inutilità della loro vita cristiana (Archivi NSA). 35 L. PI. a Sr. Émile, 1887.
designare coloroche la
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che voi siete in missione» 36, scrive. In questo modo esse sono spinte ad una costante disponibilità e ad un servizio disinteres sato che accetta il cambiamento, gli imprevisti, il trasferimento da un paese ad un altro, ed anche questo carattere «di straniero nella casa del Padre», che rimane legato - si voglia o no - alla condizione missionaria. C ’è qualcosa di più doloroso che lasciare «la propria missione» per entrare in un’altra e riadattarsi? E una vita dura, un lavoro spesso ingrato, «soltanto col tempo guada gnerete la fiducia degli Africani», ha predetto loro il Padre. E spesso, «quando si crede che tutto abbia avuto buon esito, bi sogna ricominciare e piantare la tenda altrove»...37. Che im porta, se si vuole andare fino al dono più assoluto di sé: «La vostra vita non è per voi stesse, e dovete essere pronte a tutto...!» 38. Per questo, egli aveva le sue buone ragioni nel volere delle «donne» dotate di sufficiente perseveranza e generosità per resi stere... E certamente le prime Suore non hanno deluso le sue aspettative; «esse avevano fatto crescere in se stesse», come lui stesso chiedeva, «lo zelo apostolico per attirare a Dio tutti quei popoli». Per educare le prime generazioni di bambini e di gio vani su questa costa della Guinea, che ormai tenevano cara come il proprio paese, non avevano risparmiato né fatiche, né la loro vita, ma li avevano soprattutto amati profondamente 39.
Comunità La Congregazione non è nata inizialmente per creare delle comunità di vita, ma questa costituisce una delle componenti es senziali, uno dei sostegni indispensabili della sua azione apo 36 Stessa lettera. 37 «La pazienza e la perseveranza sono delle virtù di prima necessità», 18.1.1864 (e altre lettere), poiché «le prime conversioni sono le più difficili da fare...», 7.3.1888. 38 L. PI. alle Suore del Niger, 28.12.1877. 39 Le Suore furono comunque contraccambiate perché, tra gli Africani, la ricono scenza e la fedeltà sono innate. Era particolarmente bello vedere come il ricordo delle Suore anziane rimaneva vivo in quelli che le avevano conosciute...
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stolica. Infatti, secondo il progetto di Dio, non si può fare nulla da soli, ci devono sempre essere gruppi, insiemi di fratelli e so relle, di popoli... e tutti sono in cammino, non solo uno. «Per questo l’Istituto considera ogni comunità come la cellula di base, dove vivere la condivisione dei compiti affidati. A sua volta, ogni Suora riceve dalla sua comunità il posto preciso da occupare, come una pietra di un’unica costruzione. E questa coesione, che rimane soprattutto fraterna - e che P. Planque ha raccomandato spesso con tanta insistenza - assicura a tutte l’equilibrio e la forza per l’apostolato. Tuttavia non c’è nulla di meno facile, di meno evidente di una vita in comune, quando si proviene da orizzonti tanto di versi, famiglie, regioni, ambienti, gruppi d’età... Per loro, come per i Padri, possono derivarne delle incomprensioni, degli screzi o degli scontenti, soprattutto quando vi si aggiunge «il clima, in quei paesi dei Tropici dove il sole eccita la bile e rende più dif ficile la sopportazione del prossimo ed anche dei Superiori»... 40. Più delicato ancora, è l’incontro delle diverse nazionalità. Origi narie di diversi paesi41, le Suore portano con sé tutto un insieme di culture, di stili di vita, di lingue ed anche di riti religiosi o familiari, la cui ricchezza e varietà non sono beni facili da condi videre. «Io credo che vi facciate delle illusioni sulla vita comune, - scriverà un giorno, ricordando quanto sia difficile da vivere non si può amare il prossimo che con il sudore della fronte!»42. Ma Gesù Cristo non ha scelto i suoi Apostoli né nello stesso ambiente, né in una totale identità di vedute. Erano tutti Galilei forse? Tra Pietro, che conosceva soltanto la sua barca ed il mare di Tiberiade, impulsivo e franco, i figli di Zebedeo, che pensa vano sempre al primo posto, Giuda, che pensava a riempire la sua borsa personale, Matteo, anche lui uomo abituato a trattare il denaro, ma buon funzionario, Simone lo zelota, senza dubbio ostile ai Romani e piuttosto conservatore... l’intesa poteva essere perfetta soltanto intorno al Signore, loro Amico. Per questo è 40 L. PI. a P. Crétas, 13.6.1888. 41 L’internazionalità non ha smesso di crescere, si veda il cap. 10, n. 22. 42 L. PI. a P. Vermorel, 18.1.1869.
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importante vivere nella carità. Senza dubbio il Padre ne ha dato spesso l’esempio: «Sono nella Congregazione da 40 anni - os serva una Suora - e non ho mai udito una parola non caritate vole uscire dalla bocca del nostro Padre» 43. E a questo modello della prima comunità che bisogna rifarsi continuamente per imparare a superare le mancanze e riuscire in una vita fraterna felice e feconda. Infatti, l’amicizia tra tutte sarà fonte di forza e di gioia. Questo era il pensiero di P. Planque, quando moltiplicava i suoi appelli all’unità, alla concordia, alla dolcezza: «M ettete - diceva - dell’olio negli ingranaggi e smus sate gli angoli!...», e soprattutto, «accettatevi come siete, por tando i fardelli le une delle altre, sostenendovi nell’amicizia e nella gioia, perché è questo che addolcisce veramente le miserie della vita» 44. Ma dopo i primi conflitti con la Spagna, il Padre è attento soprattutto a che lo spirito nazionalista non nuoccia alla buona intesa. «Che non vi siano mai gruppetti divisi per naziona lità». «Si dica alle Suore quanto il P. Superiore sia nemico di tutto ciò che è spirito di parte nella Congregazione. Egli vuole un cuor solo e un’anima so la...!»45. «Che ciascuna si senta stimata, rispettata, e trovi nell’Istituto la possibilità di riuscire nella sua vocazione, traendo il meglio da sé... allora il Superiore benedirà Dio per aver stabilito tra tutte l’amicizia e la pace, pregandolo di mantenere nelle case questi preziosi doni» 46. Ma se la comunità è il luogo per eccellenza dove si può vi vere nella fraternità e nella gioia, essa è soprattutto finalizzata alla riuscita della Missione. Questa è la sua funzione, la responsa bilità di offrire la testimonianza della carità a tutti coloro che le vivono intorno. «Se l’amore regnerà tra voi - diceva P. Planque - sarete come i primi cristiani, un bell’esempio agli occhi degli altri». «Dove si insinua la zizzania, non si può fare nulla di buono per il Regno». Allora egli raccomanda di «pregare il Mae stro perché doni a tutti e a tutte quell’unità che ha chiesto a Suo 43 44 45 46
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Dal d iario d i Sr. Joseph. N u m ero se lettere alle Su ore e a P . B eau g en d re, 20.5.1872. L. PI. a Sr. R aphael, 3 .7 .18 90 . L. PI. a Sr. F rum ence, 5 .1 .1 8 8 7 .
Padre per coloro che lavorano per l’evangelizzazione del mondo» 47. E la comunità potrà svolgere veramente il suo ruolo di cellula apostolica nell’Istituto.
3. Consacrate per servire
«La vita delle Suore è più o meno simile alla nostra» 48. Così, il Superiore vuole informare, e nello stesso tempo rassicurare, i Padri che, in missione, si preparano ad accogliere le prime Suore. Mentre i Padri non sono «religiosi», le donne si consa crano emettendo dei voti. «Ve lo ripeto - dirà ancora in un’altra circostanza - nella Società delle Missioni Africane, la nostra vita è la riproduzione della vita religiosa, tranne che per i voti, so stituiti dal giuramento di Propaganda Fide» 49. Ma allora vi è una differenza tra voto e giuramento, e che cosa rappresenta ai suoi occhi questa forma di impegno? Si sarebbe nell’errore a credere che il Padre vi attribuisca poca importanza. Al contrario, egli è convinto che fare profes sione attraverso dei voti sia «la base della santità di una vita consacrata a Dio... un atto serio davanti a L u i»50. Ma, tra i due, non vede soprattutto una differenza di situazione canonica nella Chiesa? E non è il voto, meglio dell’impegno, il mezzo per as sicurare stabilità ed equilibrio ad una scelta definitiva che non ha paura di affrontare la durata? Molto più importante - si potrebbe anche dire essenziale - è per lui il modo d’essere che deriva dalla scelta. Le Suore hanno optato per un altro modo di vivere. E queste nuove abitudini - o meglio la pratica delle «virtù» - che dovranno diventare loro fa miliari, lungi dall’impoverirle o dal causare la perdita delle forze vive, le libereranno da numerosi legami. Così saranno più aperte 47 Numerosissime lettere di P. PI. ai Padri e alle Suore sulla vita fraterna e molto spesso collegata all’evangelizzazione. Cfr. Lettera a Sr. Claire, 12.2.1879. 48 L. PI. a P. Guérin, 23.7.1884. 49 L. PI. al Rev. Marcellin, curato di Sorbiers (Hautes-Alpes). 50 L. PI. al Fratello Xavier, 15.12.1886.
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ad accogliere altri beni, la libertà, la gioia, e un amore più grande che il Cristo ha promesso a coloro che lo seguono. Più che all’aspetto canonico del voto, il Superiore attribuisce particolare attenzione a questo tipo di vita che, come legge, ha scelto la povertà, la castità e l’obbedienza. E mette tutta la sua convinzione ed il rispetto che nutre per i consigli dati da Cristo stesso, per aiutare le Suore a vivere pienamente il loro impegno. La povertà, quando ne stabilisce le norme per l’Istituto, la vede come una situazione di dipendenza e, inizialmente, come uno spirito di distacco che aiuta a semplificare i bisogni abituali della vita. Vivere da povero, significa imparare a ricevere tutto e a mettere tutto in comune, non possedendo nulla di proprio. Ed in quella che potrebbe essere sentita come una frustrazione, fio rirà la gioia di un cuore veramente libero. Ma se non manca il necessario, o tutto ciò che può assicurare una salute solida, come è possibile conoscere qualche cosa della dura condizione dei veri poveri, la cui spoliazione giunge fino alla miseria e alla fame? Sarà con l’abitudine alle rinunce personali, attraverso la condivi sione di tutto ciò che si ha e di ciò che si è, nella semplicità delle loro scelte e del loro modo di vita, nella solidarietà stretta con i più poveri, che le Suore vivranno veramente un’effettiva povertà, pronte a dare tutto di ciò «che hanno ricevuto gratuitamente dal Signore», e capaci di accettare con coraggio le privazioni, la man canza di comodità ed anche l’insicurezza che - almeno momen taneamente - potrebbero sopraggiungere nella loro vita. E celibato consacrato —per chi vuole andare al di là di un amore e di un focolare e donarsi più liberamente a tutti - esige padronanza di sé, un’abitudine alla riservatezza e soprattutto un dono senza limiti al Signore. Ma questo è lungi dall’esdudere la ricchezza delle relazioni, i legami fraterni o l’amicizia, di cui P. Planque ha un’alta considerazione. «E nome stesso è santo», si legge negli appunti dei suoi sermoni, «ed i suoi diritti sono invio labili». «Due cose creano una soHda amicizia: l’affetto, che ne è il fondamento, e la fedeltà, che interviene come il sigillo e E consolidamento deU’affetto, di quella specie di contratto con il quale ci si impegna nella fiducia reciproca»... 220
Poiché esse abitano in paesi che conoscono ancora poco, il Padre raccomanda alle sue figlie la prudenza, tanto più che le mentalità ed i costumi di quei luoghi tengono in grande conside razione la fecondità del matrimonio e non sono ancora preparati a comprendere il celibato. Ma ama anche ricordare spesso che è l’amicizia di Cristo a dare senso a questa consacrazione. Dove trovare, se non nella preghiera, la virilità e la forza per riuscire a crearsi un cuore libero, e cercare con gioia di rendere felici gli altri? Un mezzo molto sicuro per riuscire in una vita apostolica è quello di irradiare la carità e saper creare intorno a sé un clima franco e sano dove, nella trasparenza, nella semplicità e libertà del cuore, il celibato consacrato può dare veramente testimo nianza di ciò che vuole essere - un segno della tenerezza di Dio. Quanto all ’obbedienza, questa era senza dubbio la virtù che il Padre poneva volentieri davanti a tutte le altre, e che raccoman dava più spesso alle Suore 51. Il modello che propone è sempre Gesù Cristo, ubbidiente nel compiere la volontà del Padre. «Che importa dove vado - amava ripetere - se è Dio che mi manda». Nell’Istituto che sta fondando, il modo di obbedire si pre senta inizialmente come rispetto dell’autorità quasi assoluta dei Superiori, e questa stretta esigenza corrisponde bene all’orienta mento del suo pensiero52. Una forma di obbedienza che non manca senza dubbio né di grandezza, né soprattutto di meriti e di appello alla rinuncia, poiché il Padre - secondo l’uso del suo tempo, ma anche secondo la sua propria visione - dà poco spazio al dialogo o all’ascolto delle preferenze legittime che le Suore potrebbero esprimere - pur essendo sempre attento a rispettare i loro doni e le loro disposizioni naturali, quando affida un posto, un incarico o una mansione. Non vuole nessuna obbedienza che sia soltanto un esercizio di ascesi, cioè un’assurdità. Realista, equili 51 L. PI. alle Suore di Cork, 22.12.1887: «E l’umile obbedienza che porta a Dio» a P. Bouche, 19.9.1868: «Conservando lo spirito di obbedienza e di devozione, farete avanzare l’opera di Dio». 52 Sull’autorità assoluta del Padre nei confronti delle Suore, vi è una lettera di P. Pourret, 29.4.1880, che gli rimprovera «di esercitare un potere troppo personale e costrit tivo, e di privarle così di iniziative e di libertà...». In realtà, il Superiore aveva voluto adottare una linea di condotta vicina a quella della Compagnia di Gesù.
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brato, umanissimo, il Padre si allontana anche qui da certi mae stri spirituali del passato. E stato il Concilio Vaticano II a ridare alla virtù dell’obbe dienza religiosa la sua vera grandezza, che è teologale, e la sua dignità di atto libero e responsabile - sottraendole forse un po’ del rigore e dell’assoluta sottomissione che esigeva P. Planque. Oggi, se ci si rimette sempre alla mediazione dei Superiori e delle comu nità per leggere nella propria vita i segni di Dio, se si fanno proprie le decisioni venute dall’autorità, si è più coscienti che è a Dio che si obbedisce. Tutte sanno di essere chiamate insieme, responsabili e suore, a capire come rendersi disponibili a Lui per favorire il bene delle persone ed il progresso dell’intero popolo di Dio. Questo è il tipo di obbedienza vissuta nella Congregazione. Anche rivalorizzata, riumanizzata in qualche modo da una tren tina d’anni, essa rimane sempre, come al tempo di P. Planque, un esercizio esigente e difficile perché, rimanendo nella ricerca costante della volontà di Dio, chiama a vivere il mistero pasquale della morte e risurrezione del Signore. Così il Padre - che forse non ha nulla di quello che si suole chiamare un maestro di spiritualità, ma che tuttavia è da conside rare un vero «spirituale», interamente guidato dalla Parola e dallo Spirito di Dio - ha saputo dare sin dall’inizio alle suore della Congregazione, delle condotte di vita abbastanza forti, perché queste possano affrontare senza paura, e nella speranza, il mondo sconosciuto che le attende. 4. Dal Dahomey alle rive del Nilo
Dall’aprile 1877 al febbraio 1880 si contano già sedici Suore imbarcate per la Costa della Guinea, in cinque ondate successive. Dopo Marie de l’Assomption e Marie Raphael, ne seguiranno altre nel 1881-1882, per le prime fondazioni in Egitto: Sr. Ale xandre, Héliodore, Athanase... 53 53 I loro nomi meritano di essere ricordati, la prima diventò superiora generale nel 1910, la seconda, provinciale dell’Egitto, la terza, dopo il suo ritorno in Francia, esercitò diverse funzioni.
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Partenze spesso troppo affrettate - ma laggiù aspettano il cambio. Inoltre, fino al 188 1 54 P. Planque non può pensare di fare le professioni religiose alla Guillotière55. Sembra che egli abbia chiesto nei primi tempi a P. Durieu, superiore a Porto Novo, uno dei Confratelli di fiducia56, di controllare che le Suore con un solo anno di noviziato, potessero completare là la loro preparazione. Quando potrà disporre di un personale più numeroso, il Padre incaricherà una delle anziane - Sr. Thais a Zagazig, Sr. Dominique a Tantah - di vegliare sulla continua zione della formazione religiosa, «come si fa nella maggioranza delle comunità, dove le giovani rimangono cinque anni sotto la guida della Maestra delle N ovizie»57. Analogamente, «desidera che Sr. Claire resti ad Elmira, perché non vuole che le ultime arrivate rimangano senza una Suora anziana»58. Ma il Superiore non cessa con questo di interessarsi direttamente, come si può vedere dalla corrispondenza che è aumentata notevolmente —a partire dal momento in cui le Suore di N.S.A. hanno «sciolto gli ormeggi» —e da tutte le lunghe pagine o brevi biglietti che invia loro, in cui egli rimane sempre presente e pieno d’interesse: «Scrivetemi se ne avete bisogno, sono sempre il vo stro Padre» 59. Autentici biglietti di spiritualità per condurle ad orientarsi un po’ di più, attraverso tante piccole cose concrete della loro vita, verso il silenzio interiore che si adatta a tutte le «parole» dell’apostolato... 60 - e a volgersi verso «questo pros simo africano», al quale esse hanno promesso di rendere servizio e di portare la gioia del Cristo. Come al tempo del noviziato, il Padre ha spesso delle parole piene di severità e di rigore, che bisogna capire in tutta la loro 54 In questo periodo le Suore avevano stabilito il loro domicilio nella diocesi di Grenoble... 55 Le Suore dovevano prepararsi alla loro Professione religiosa in Africa. La prima a prendere là i suoi voti fu Sr. Raphael (cfr. lettera del 4.6.1878). 56 P. Durie era stato appena nominato Pro-Prefetto del Vicariato. 57 L. PI. alle Suore in Egitto, 30.4.1884. 58 L. PI. a P. Moreau, 11.6.1884. Sr. Claire era una delle prime Suore venute da Couzon. 59 L. PI. a Sr. Eugène, 20.9.1882. 60 «Vi sono dei santi che si sono ritirati nel deserto... Voi non avete questa voca zione!» (Conferenze del Noviziato), cfr. n. 28.
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durezza, anche se oggi sarebbero difficilmente accettate. Non ri sparmia alle Suore né osservazioni, né il biasimo meritato, né i richiami all’ordine o agli obblighi verso tutto ciò che le rende apostole. Ma soprattutto, diventa, attraverso la corrispondenza, un appoggio, una specie di rifugio, un punto di riferimento per i problemi difficili da risolvere. Appoggia e sostiene, sempre com prensivo, buono e vicino ad ognuna. Le Suore sanno di potersi affidare a lui, alla sua rettitudine e all’immenso desiderio che ha di vederle stabilirsi saldamente in Africa. Uno dei punti che lo preoccupa maggiormente è la buona intesa tra i due gruppi, quello delle Anziane di Couzon, le Aìnées (maggiori) come lui le chiama, e le Suore nuove. Il Padre spesso ha espresso il desiderio «che esse formino una sola famiglia, e che quelle che arrivano siano accolte con bontà e carità...»61. Ma l’incontro non avviene senza screzi: le prime sono naturalmente attaccate al loro ideale francescano e, con la loro esperienza di quasi dieci anni in Africa, tendono a trattare «senza troppa indul genza le più giovani», di cui criticano facilmente l’insufficienza delle attitudini e della formazione. Allora, dovrà forse «separare i due gruppi», proprio lui che «contava tanto sulle più anziane per incoraggiare e stimolare quelle che arrivano con tutta la loro buona volontà?» 62. Preoccupato di non «lasciare l’opera nascente affon dare per questo linguaggio di biasimo e di disprezzo»63, reagisce vivacemente, tanto più che tutto viene detto e scritto fino al Novi ziato a Lione... 64. Quanto basta per seminare un po’ di panico... Successivamente il tono si calma. Louapre, il superiore di Porto-Novo, deve intervenire. P. Planque, che tiene tanto alle Anziane, non chiede di meglio che riconoscere il loro merito e la loro dedizione alla Missione 65, pur continuando a reclamare un 61 L. PI. a Sr. R aphael, 2 7.1 1.18 7 8. 62 L. PI. a P . L ouapre, 3 1.7 .1 87 8 . 63 L. PI. a P . L o uapre, 4 .9 .1 8 7 8 e1 6.1 0.18 7 8. - Cfr. L ettera a P. M énager, 4.9.1878: « N o n lasciam o diffondere uno spirito che distruggerebbe tu tto ». 64 L. PI. a P . L o uapre, 2 8.1 1.18 7 8. 65 II P a d re ci ten eva che le A nziane, che avevano optato per la nuova C on grega zione, vi m anten essero il loro posto. F u p er q u esto che non desiderava che si continuasse con C ouzon una corrispondenza che non sem b rava giovare né alle une né alle altre... Cfr. Lettere a P . M én a g er (11 .6.1 87 9), a P . C h au sse (25 .6.1 87 9), a P. L o uapre (29.1.1879 e 19.2.1879).
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po’ più di moderazione, o addirittura di giustizia nelle parole. E lui, che non perde mai un’occasione per riferire a Roma o ai consigli centrali di Propaganda Fide il successo delle sue missio narie, ha già informato tutti gli alti responsabili «che le Suore sono più che mai venerate» e che «veramente, fanno tanto perché la Missione metta radici» 66. D’ora innanzi, dal Dahomey alle rive del Nilo, saranno dunque dappertutto, ovunque si avventureranno i Padri. E in questa condivisione della stessa vita apostolica, è importante che tra loro vi sia un mettere insieme i progetti, gli sforzi e i compiti. «Studierete con il Padre Prefetto - raccomanda P. Planque a Sr. CI aire - il modo migliore per rendere fruttuosa la missione che state facendo presso le donne e le ragazze. Da questo accordo combinato e da questa completa intesa uscirà il vero bene» 67. Ma poiché egli ama anche le situazioni nette, ci tiene molto a che le Suore formino delle comunità autonome. Per il momento spetta ai Padri di «vegliare perché non manchi loro nulla - anzi, di essere ‘larghi’ su questo punto», tenendo conto «che vi sono delle cose che possono essere loro necessarie, perché hanno dei bisogni diversi dai nostri...!». Perciò devono astenersi dall’immischiarsi nelle questioni relative alle case delle Suore. Esse hanno le loro responsabili e devono da sole regolare le proprie que stioni. Dappertutto all’opera negli stessi territori, come i Padri, anche le Suore si trovano ñeñe situazioni più svariate, ambienti, usi e condizioni di vita che sono chiamate ad affrontare, a volte pittoresche o commoventi, raramente pericolose, anche se spesso estremamente faticose. Ora, devono riscattare, con un po’ di di plomazia, le ragazzine destinate alla schiavitù da Zounon, il re del giorno, o da Toffa, il re della notte. Ora, partono aña raccolta dei bambini abbandonati nella boscaglia, perché le donne, sep pure molto attaccate ai loro figli, devono tuttavia separarsi da quelli che potrebbero portare disgrazia - i gemelli, gli ammalati... 66 L. PI. al Cardinale Barnabò, 12.12.1868 - a Propaganda Fide, 25.3.1869 - e molte altre. 67 L. PI. a Sr. Claire, 24.2.1894.
Ad Agoué, in un’ex prigione, cominciano a formare una classe e si possono ancora vedere i resti degli anelli, ai quali i negrieri legavano il loro sfortunato gregge umano, prima di imbarcarlo per l’America. Altrove, conosceranno le traversate sulle piroghe, o in Egitto, sulle famose «feluche» del Nilo con le loro pesanti vele, per andare ad incontrare i fellah. Sarà sempre in Egitto che, poco dopo aver aperto la prima scuola a Tantah68, per via delle rivolte, dovranno fuggire in tutta fretta fino in Francia. Quelle rimaste ad Alessandria avranno di ritto allo spettacolo dei combattimenti e dei bombardamenti se guiti dallo sbarco delle truppe inglesi. Visitare i vecchi nelle ca panne, curare al dispensario piaghe o oftalmie, e già pensare ad aprire un ricovero per i lebbrosi, insegnare a leggere o a rica mare, insegnare il catechismo ma anche la pittura e la musica, e soprattutto, incontrare le donne per le quali esse sono arrivate fin là... no, le Suore non hanno il tempo di rilassarsi o di so gnare! Come farsi «un’idea del rispetto di cui sono circondate, queste donne che passano facendo del bene a tutti?». Ed il Padre, con ammirazione, aggiunge: «Devo dire che la gente è abbagliata dalla carità di queste «Sabaa banate»! (le sette ra gazze senza m arito)»69.
68 Le Suore aprirono a Tantah nel 1881. 69 Quando, dopo la rivolta alla fine del 1882, tornarono a Tantah, erano in sette, ed il nome è rimasto!
QUARTA PARTE
DALLO SVILUPPO AL COMPIMENTO
Sembra che - nella vita di A. Planque - la fondazione delle Suore sia l’inizio di una nuova tappa che si annuncia nello stesso tempo feconda e movimentata. Gli anni che seguono - e che lo conducono in un sol colpo al termine della sua presenza effettiva a capo delle Missioni Africane - saranno pieni di realizzazioni. E questo, infatti, il momento di una grande espansione. Nuovi ter ritori sono affidati alle Missioni Africane, che a poco a poco si spingono verso l’interno. Esse avranno ben presto i loro Vicariati apostolici. L ’Istituto delle Suore ha cominciato il suo cammino, quello dei Padri si sviluppa e si avvia alla maturità... Ma sono anche anni tumultuosi, attraversati da tempeste e serie crisi, al cune interne alla Società, ribellioni di figli, a volte anche violente, contro la volontà del Padre, inevitabili come i problemi causati dalla crescita. Le altre sopraggiungeranno come contraccolpo alle scosse politiche, socio-religiose o coloniali, nate negli Stati che, alla fine del secolo, cercano di equilibrare le loro forze ed i loro poteri. Così i due Istituti - che il Padre ancora dirige da solo continuano a progredire, ognuno secondo il proprio ritmo. Seb bene spesso difficile, il loro cammino non rallenta mai. Colui che ne ha preso la guida, si ferma talvolta, anche lui stanco, ma sol tanto per riprendere fiato, prima che giunga il momento di pas sare ad un altro tale responsabilità.
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CAPITOLO DODICESIMO
CONTESTAZIONI E CRISI
Se, periodicamente, si sono sollevate nella Società delle onde di fondo che hanno costituito una seria minaccia per la coesione del gruppo e per le sue speranze di riuscita apostolica, esse non erano né impreviste, né improvvise. E malgrado la tendenza del Superiore ad un tenace ottimismo, i segni precursori non manca vano. Vi era abbastanza malcontento, stanchezza o delusione per oscurare l’orizzonte e far scoppiare nuovi temporali. Nelle ore del suo più profondo scoraggiamento, P. Borghero l’aveva affermato: la Missione era dura, impossibile, sovrumana... Vent’anni dopo, la tristezza dei lutti li accompagna sempre. Essa può demoralizzare anche i più forti, senza contare che a volte le giornate spossanti di sole e di lotte possono attenuare ora nel l’uno, ora nell’altro, chiarezza di giudizio e padronanza di sé. Altrimenti, come spiegare la violenza di alcuni scritti, gli eccessi nelle parole mal controllate e l’assenza di ogni fondamento nelle accuse mosse senza prova? Ad indebolire le comunità, vi sono anche le partenze e gli abbandoni. E un fatto certo che qualche Padre, indubbiamente attivo e zelante, è venuto alle Missioni Africane come un vero «secolare» ed intende conservare la sua indipendenza. Perciò, sopporta male il regolamento e le costituzioni e non comprende nulla dello spirito di corpo, di famiglia ben salda di cui Brésillac e Planque hanno fatto una colonna portante della Società. Per al cuni missionari del genere non è difficile trovare il pretesto per sciogliersi dai legami che avevano accettato malvolentieri o per rivendicare quel potere che negano a coloro che lo detengono. In questo modo viene introdotto un male che potrebbe minare, al l’interno di un gruppo, il senso della sua azione. 230
Senza dubbio per rassicurare e correggere gli animi inquieti, c’è P. Planque, che cerca di convincere, sempre presente... se non altro, attraverso la sua corrispondenza, poiché, il più delle volte, egli è lontano dai luoghi in cui si organizzano i piccoli intrighi. Ma come potrà essere efficace, dato che la contestazione è indirizzata precisamente contro la sua autorità di Superiore 1? I missionari non hanno completamente torto, certe riforme sono necessarie, la Società ha bisogno di decentrarsi a vantaggio dei consiglieri e responsabili dei territori, che dovrebbero essere con sultati più regolarmente e potrebbero presentare i problemi della Missione in una luce completamente diversa. Ma, dove i più bellicosi si sbagliano gravemente, è sulla legit timità delle funzioni di P. Planque: essa è inattaccabile, come ben sappiamo. Soltanto, si potrebbe rimpiangere - e sino alla fine della sua lunga carriera - che questa legittimità non abbia ricevuto, alla morte di Brésillac, una consacrazione più ufficiale... che avrebbe dovuto portare fino all’episcopato... Si è già detto e lo si ripeterà a ragione - che a Roma, egli non ha mai smesso di essere amato, rispettato per la sua azione e per la dignità della sua vita... Ma per imporsi nelle ore difficili e rispondere a qualche indisciplinato, gli sarebbe servito qualche cosa di più.
1. Il «com plotto» di Nizza
La prima tra le grandi crisi fu una sorta di cabala che fu montata a Nizza2, nel centro di convalescenza aperto per i Padri stanchi3. Ma in questa città troppo mondana, al centro di piccole combriccole, nulla facilitava il tentativo di apostolato mentre, dal canto suo, P. Geay, un prete affiliato alla Società e noto predica tore in città, maturava tranquillamente le sue ambizioni sulla Casa, che si aspettava di dirigere dopo la partenza di Papetart. 1 La prima revisione delle Costituzioni aveva in effetti confermato P. Planque nella totalità dei suoi poteri, sia sulle persone che sulle opere e sui beni della Società. 2 La crisi di Nizza scoppiò all’inizio del 1876. 3 Questa casa era stata fondata dopo la chiusura di quella di Spagna (si veda sopra). Papetart ne era il responsabile, ma stanco, dovette partire per riposarsi e non tornò che poco prima di morire il 6.5.1877. P. Guillon giunse per sostituirlo nel maggio 1876.
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Deluso di vedersi soppiantato da un nuovo Superiore, si allea con altri due Confratelli, e con essi incomincia a far conoscere il suo scontento alla Missione del Capo, nel Dahomey, e nelle case francesi per conquistarne qualcuna alla sua causa. Vuole ottenere da Roma la convocazione di un’Assemblea generale che potrebbe reclamare le dimissioni di P. Planque 4. Le lettere che cominciano a circolare creano un certo di sagio 5, in Africa soprattutto. Siccome l’affare minaccia di ingran dirsi, il Superiore parte per Nizza per incontrare i tre sobilla tori6. Ma il male è ancora più grande nella missione del Sud, dove «Padre Devernoille organizza ben presto un’assemblea di contestazione ed instilla la rivolta negli animi, pur mantenendo all’esterno l’atteggiamento di uomo di Dio» 7. Per molto tempo, P. Planque vuole credere alla buona fede di Devernoille, deviato, dice, dagli altri8. Infine, deve arrendersi all’evidenza e constatare che una delle menti della ribellione è proprio colui per il quale ha una così grande stima da affidargli la carica di viceprefetto del Capo. Devernoille, che si è dichiarato «pronto a seppellire la Società, se questa non fosse più in grado di continuare a vi vere»9, sceglie alla fine di sparire dalla sua Missione senza che nessuno sappia «dov’è andato a finire» 10... finché si apprende 4 Cfr. L. Pi. a P. Louapre, 9.8.1876: «Era un vero complotto per mettermi alla porta». - Anche nel rapporto a Mons. Fava dell’ottobre 1878, si trova: «La rivolta non aveva che uno scopo, cacciare il Superiore per installarsi al suo posto... E chiaro che mi sono trovato di fronte ad una vera rivoluzione...». 5 Tra gli altri scontenti, i Confratelli del Bénin si lamentarono inaspettatamente della «triste situazione materiale e morale in cui la Missione si trovava». E Superiore si stupì di «questo grido di angoscia lanciato all’improvviso e che non sembrava avere la sua ragion d’essere». Cfr. L. PI. ai Confratelli del Bénin, 18.1.1876. 6 Si trattava dei padri Beaugendre, Ollagnier e Geay. Costui aveva persino scritto al Padre Superiore una violenta lettera di cui non tardò a scusarsi, chiedendo di dimettersi. Ma la contestazione era ormai lanciata. E Padre informò a Lione E Vicario capitolare, Mons. Thibaudier e a Roma, E Card. Franchi. 7 Questa assemblea si tenne a Georgetown, una deUe Missioni del Capo, E 6.7.1876. E Padre ebbe l’occasione di farne una lunga menzione nel suo rapporto a Mons. Fava, neU’ottobre 1878. 8 L. PI. a P. Gaudel, 22.1.1877. 9 L. PI. a P. Jan, 2.11.1876, in cui riporta questo discorso. 10 L. PI. a P. GuElet, 12.3.1877: «DevernoEle ha detto a P. Cloud che non si sentirà più parlare di lui». - Fino aU’ottobre 1877, P. Planque scrive diverse volte: «Nessuna notizia di DevernoEle, da nessuna parte!» - Cfr. L. PI. a P. Passot, 14.10.1877.
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che, sempre al Capo, il disertore insegna presso i metodisti, e che sicuramente è diventato uno di loro 11. Anche altri due Padri hanno già lasciato la Società ed hanno chiesto a Mons. Lavigerie di accoglierli. Tuttavia, Roma non sembra avere molta fretta di accordare loro la dispensa dal giuramento 12. La sofferenza del Superiore è grande, ed anche i suoi dubbi. Perché questa specie di cospirazione del silenzio che da tempo circondava la questione 13, impedendogli così di agire rapida mente? Si sente un po’ trascurato, abbandonato, anche dai mi gliori. Ma presto, - e grazie al suo carattere che non riesce a credere facilmente ai tradimenti o alle cattive intenzioni degli altri - si persuade che la maggior parte dei Padri si è lasciata trascinare da pochi esaltati. «Hanno firmato alla cieca - dice - le richieste che venivano loro presentate» 14. Egli li ama al punto da essere pronto a ripartire daccapo, «come se non fosse successo nulla» 15, con tutti coloro che hanno riflettuto e già rimpiangono questa cabala. Moltiplica le lettere e le parole di fiducia e fa ogni sforzo per calmare gli animi. «Lo scontento indubbiamente non era così profondo ed esteso, come dicevano alcuni - constaterà uno storico della So cietà studiando questo periodo - ed in tutto questo vi era proba bilmente molto fumo e poco di concreto» 16... Torna la pace, che 11 Era il 14.11.1877 quando il Superiore annunciò successivamente ai Padri Durieu, Poirier e Louapre, la partenza definitiva di Devernoille: «Sono costernato da due giorni per una lettera da cui ho appreso che è passato al protestantesimo... Non ci sono dubbi». 12 Si tratta di Deniaud e Guillet che volevano diventare Padri Bianchi. Il secondo, tuttavia, aveva subito, più degli altri, i rimproveri e gli affronti del Vescovo di Algeri, a St Eugène... ed ecco che chiedeva di tornare! Nonostante ciò, Roma teneva a che la di spensa giungesse dal Superiore. - Sembra che l’ostilità non si fosse affatto spenta tra Algeri e la Società. E Mons. Fava, tornando da Roma, riferì in maniera amichevole a P. Planque: « “Qualcuno” era passato al seminario di Roma, e anche Charmetant... Ma io ho fatto chiarezza...!» (23.11.1878, Archivi SMA). 13 I Confratelli hanno esitato a lungo prima di designare i sobillatori, non preve nendo affatto o troppo tardi il Superiore. 14 L. PI. a P. Devoucoux, 13.11.1876. 15 L. PI. a P. Chausse, 17.10.1877. - Cfr. L. a P. Gaudeul, 22.1.1877: «Non ho creduto un solo istante al fatto che possiate aver preso parte al complotto». - e a P. Durieu, 13.2.1877: «Dite a Poirier che l’ho sempre considerato un uomo forte e dall’a nimo buono». 16 Dal rapporto Collins, 1931 (Archivi SMA).
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molti desiderano. D’altronde la Missione, benché scossa da tutti quei mesi di agitazione, non ha rallentato il suo cammino. Quanto al Padre Superiore - per quanto possa apparire straordi nario - non ha affatto interrotto i suoi impegni, né le trattative in corso riguardanti l’Egitto o i Grandi Laghi, né l’istituzione del Noviziato a Lione. Se spesso ha confessato la sua sofferenza, apparentemente è rimasto imperturbabile, regolando al meglio i problemi, franco come sempre nel suo modo di esprimersi, pur senza animosità 17. È grazie a lui che la Società ha resistito du rante la tempesta senza subire fratture e senza compromettere la propria immagine. Ed ora, per mettersi già sulla via delle ri forme, si affretta ad organizzare un nuovo Consiglio 18. Nell’anno seguente P. Planque è di nuovo messo alla prova. A Roma, Mons. Simeoni19 sostituisce come Prefetto il cardinale Franchi, che nel frattempo è diventato Segretario di Stato e, in formato delle difficoltà che stanno scuotendo le Missioni Afri cane 20, vuole saperne di più dal Cardinale Caverot. Ma l’Arcive scovo di Lione ha la malaugurata idea, come abbiamo già visto, di chiedere la loro testimonianza alle due persone più implicate nelle precedenti controversie e dalle quali non ci si può attendere un giudizio imparziale e sereno21. Il Cardinale, al contrario, crede «che le informazioni raccolte siano infinitamente preziose e che, vista la saggezza e la virtù di coloro che le hanno redatte, si possa prestare loro una fede completa»22. Ignora, forse, che P. Courdioux è uscito dalla Società, insoddisfatto di avervi cer
17 Come testimoniano diverse lettere del 1876-1877. 18 Nella lettera a Franchi del 18.6.1876, già citata, il Padre spiega il suo progetto al Consiglio. Il Dahomey, la Francia ed il Capo si sarebbero scelti un delegato in attesa che fosse riadattato il testo precedente delle Costituzioni. 19 Già Segretario di Propaganda Fide, in seguito Mons. Simeoni ne divenne Pre fetto il 15.3.1878. - Tutti questi cambiamenti seguirono la morte di Pio IX, avvenuta dopo 32 anni di pontificato, il 7.2.1878. Leone X ill gli succedette il 20.2.1878. 20 Si pensi al problema di Algeri e di Nizza, ma anche quello di Couzon. 21 Si sa che queste due persone consultate furono P. Courdioux e Madre Bonaventure. - P. Courdioux, che aveva lasciato la Società nel 1875, era all’epoca dei fatti, cap pellano in un’istituzione di Saint-Etienne, nella diocesi di Lione. Divenne poi curato di St-Louis de la Guillotière, la parrocchia del seminario, e morì nel 1898. 22 Rapporto del Card. Caverot al Card. Simeoni, 28.4.1878.
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cato invano per diciassette anni un posto all’altezza delle sue am bizioni - e che perciò gli è piuttosto ostile?23 Il rapporto presentato da questo ex Superiore del Dahomey passa dunque al vaglio in maniera impietosa sia il modo con cui Planque esercita la sua autorità, sia la sua gestione e la forma zione che egli dà al seminario. Tutto nella Società va male per colpa di colui che ne ha la direzione. Questa testimonianza è così nera ed opprimente che un ecclesiastico di Lione, venutone a conoscenza, dirà: «E veramente opera di un nem ico...»24. Rifacendosi alle ragioni di Courdioux, l’Arcivescovo di Lione esprime una certa diffidenza nei confronti delle attitudini di Planque ad esercitare le sue funzioni25. Ma rifiuta la proposta fattagli dal Cardinale Prefetto di discuterne personalmente con l’interessato e consiglia a Propaganda Fide di affidare il dossier a Mons. Fava. Per il Superiore e per la sua opera, non vi potrebbe essere soluzione migliore. Infatti, il Vescovo di Grenoble, one stamente, prende tempo per far luce, rivolgendosi a tutte le per sone coinvolte, il che gli permette anche di raccogliere - in con trasto con tante accuse - apprezzamenti ed elogi ben fondati26. Il rapporto che presenta a Roma non omette i punti deboli, né gli errori da correggere. Ma facendo appello alla sua esperienza missionaria, Mons. Fava riporta le cose alla loro giusta propor zione, dando della Società una visione meno drammatica e più oggettiva, e sul Superiore un giudizio molto favorevole27. Tra Propaganda Fide e le Missioni Africane, le relazioni si riallac 23 Cfr. L. PI. al Card. Simeoni, 1.8.1878 - Il Superiore trovò strano il fatto di chiedere informazioni sulla Società ad una persona che ne era uscita «arrabbiata»... In realtà, Courdioux aspettava forse il momento favorevole... «Se le cose dovessero si stemarsi, sarei il primo a tornare»! Cfr. L. P. Courdioux a P. Chausse. Costui la trasmise a P. Planque, 23.7.1878. 24 L. PI. al Card. Simeoni, 1.8.1878. 25 Si suggerì al Card. Caverot l’idea di fondere la Società con quella delle Missioni Estere. Secondo altre voci, fu Roma che avrebbe voluto affidare le Missioni Africane ad una Congregazione religiosa. Ma a Propaganda Fide, queste voci non ebbero alcun cre dito. 26 Tra le testimonianze più benevole si trovano quelle di P. Chapuis, il curato di StLouis, di P. Viannay, Superiore del seminario minore St-Jean, di P. Desgeorges, Supe riore della casa diocesana dei Certosini a Lione, dei PP. Desribes e Guillon, che apparte nevano alla Società. 27 Cfr. Rapporto Mons. Fava, 19.11.1878.
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ciano nella fiducia e nella cordialità 28, come dimostra la ripresa della corrispondenza epistolare. P. Planque, finalmente sollevato, osa sperare in giorni migliori.
2. Alle prese con le leggi
Mentre il ritorno alla calma sembra consolidarsi attorno a lui, P. Planque deve affrontare un’altra battaglia che d’ora innanzi, tranne rari periodi, lo terrà in allerta per tutto il resto della sua vita. Nel periodo che va dagli anni 1880 all’inizio della guerra del 1914-18, infatti, in Francia scoppia un vero e proprio conflitto tra il governo e la Chiesa, in particolare contro le congregazioni reli giose e contro le società di chierici non religiosi, che spesso ven gono assimilati senza distinzioni. La III Repubblica, instaurata in Francia nel 1870, si era ap poggiata in maniera paradossale sugli elementi piuttosto monar chici del paese, e specialmente sulla Chiesa, rimasta, nel suo in sieme, conservatrice e monarchica29. E questo non è stato estraneo al sorgere, per contrasto, in seno ai partiti repubblicani, di una nuova ondata di anticlericalismo veramente aggressivo. Quando Jules Ferry diventa successivamente ministro dell’Istru zione e capo del governo, nella sua visione non soltanto socia lista, ma ostile al cattolicesimo, decide - come una sorta di mi sura collegata alla sua politica scolastica 30 - la soppressione delle congregazioni religiose e l’espulsione dei Gesuiti, tutti accusati di detenere il monopolio dell’istruzione. Ancora una volta, P. Planque si trova nel pieno della mischia. Finché «non può vedere come saranno quei decreti proscrit tori» 31, «rimane tranquillo di fronte a tutte quelle misure presi 28 L. Pl. a P. Ménager, 9.1.1879. - «A Roma, dopo aver esaminato questionari e rapporti, Propaganda Fide mi scrisse per rendermi nota la sua soddisfazione». 29 L’adesione dei cattolici alla Repubblica fu lenta e difficile. Su richiesta del Papa Leone XTTI, il Card. Lavigerie la favorì fortemente. Il brindisi di Algeri, il 12.11.1890 è rimasto famoso, cfr. Le Cardinal L avigerie, François Renault, op. cit., p. 589 e segg. 30 Jules Ferry partecipò al governo tra il 1879 ed il 1885. La sua politica scolastica, mirante ad instaurare la laicità, fu soprattutto fortemente anticlericale. 31 L. Pl. a P. Pourret, 7.8.1880.
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denziali che minacciano di cacciare tutti» 32 e resta «ancora im perturbabile davanti alla forza brutale, che tuttavia potrebbe col pire la Società delle Missioni Africane, presa di mira come le altre da questa legge» 33. Ma la sua tranquillità non dura a lungo: «Dove saremo tra due mesi? Forse dispersi con la forza?34 Noi siamo come un uccello sul ramo» 35. E quando i decreti fanno la loro comparsa, non gli rimane che qualche settimana per trovare un luogo dove evacuare gli Aspiranti. Pur nella speranza «che Dio prowederà», sa bene che come Superiore responsabile dovrà provvedere lui stesso... Desribes è dunque inviato in Spagna per preparare l’apertura di un nuovo seminario, perché assolutamente «non è il caso di lasciar disperdere i quarantasei giovani» di Cours des Brosses, considerati «un prezioso nu cleo»36. Presto può annunciare che la Società ha acquistato come una specie di misura preventiva - «un antico convento a Bugedo, vicino a Miranda, nella diocesi di Burgos» 37. Ma alla fine dell’estate, la Società si trova anch’essa catalo gata al livello delle congregazioni toccate dalle leggi di sciogli mento. Il Padre deve prendere grandi misure, scrivere al Mini stro e con parole molto cortesi, ma decise, chiedere «che i suoi missionari siano riconosciuti per ciò che realmente sono». «Essi non appartengono - dichiara il Superiore - a nessun ordine reli gioso, ma sono preti secolari sotto la giurisdizione del Vescovo del luogo e si dedicano tanto alla civilizzazione quanto all’evan gelizzazione tra i popoli ancora sottosviluppati» 38. Il Vescovo in questione - Caverot - vuole certificare con una dichiarazione allegata, « l’intera verità delle affermazioni di P. Planque»39. Bisogna notare qui - tra parentesi - che i ponti, 32 L. PI. a P. Duret, 8.4.1880. 33 L. PI. a P. Gaudeul, 8.4.1880. 34 L. PI. a P. Ménager, 19.5.1880 e a P. Gaudeul, 5.5.1880. 35 L. PI. a P. Chausse, 19.5.1880 e a P. Duret, 2.6.1880. 36 L. PI. al Card. Simeoni, 3.10.1880 - Era un ritorno in Spagna, ma come si vedrà fu di breve durata. 37 L. PI. al Card. Simeoni, 8.10 e 26.12.1880. 38 L. PI. al Ministro dell’Istruzione Nazionale, 28.9.1880. 39 Cff. Lettera del Card. Caverot allo stesso Ministro, 28.9.1880: «Il seminario è sotto la mia giurisdizione e i preti liberi da ogni impegno religioso».
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rotti malauguratamente tra Planque e Caverot in passato per i problemi già visti, sono stati ristabiliti e, sebbene ancora lontani dall’intesa e dall’amicizia che un tempo univano il Superiore a Mons. Ginoulhiac, nello spirito del Cardinale Caverot si è fatta luce sulla portata delle accuse lanciate contro P. Planque e sulla sua vera personalità. Tuttavia il tentativo compiuto presso il Ministro non ottiene che un risultato parziale: «I Confratelli di Clermont sono stati espulsi, quelli di Nizza anche» 40. Ed anche se quest’ultima casa è stata un focolaio di disordini e di diatribe, il Padre rimpiange molto «il piccolo ospizio, dove i missionari potevano recuperare la loro salute compromessa dalle febbri tropicali»41. Ma il semi nario di Lione, dove temeva di veder rinnovarsi le espulsioni del 1870, non sarà affatto toccato42. E nella scuola di Clermont, «dove soltanto una parte dei professori sarà mandata via, le le zioni non saranno interrotte» 43. In realtà, è subito evidente che il governo repubblicano non cerca di spingere troppo lontano le misure radicali prese in ma niera sconsiderata. Un buon numero di congregazioni possono restare in Francia e le loro scuole continuano a funzionare. Si può tirare un sospiro di sollievo... almeno fino all’inizio del se colo seguente, quando le ostilità tra la Chiesa e lo Stato avranno delle conseguenze più gravi. Una minaccia rimane, tuttavia, ancora latente e «fa tremare P. Planque». Si tratta delle leggi militari che vorrebbero inviare in caserma, come gli altri, gli studenti ecclesiastici che si vedreb bero così privati della clausola dell’esenzione - un favore che era ammesso in quell’epoca in cui la Chiesa costituiva un mondo un po’ a parte 44. A questo punto, per salvarne qualcuno, d’accordo 40 L. PI. al Card. Prefetto, 8.10.1880. 41 Cfr. la lettera al Ministro, citata in n. 38. - Nel 1883, il Padre compì numerosi altri tentativi a Parigi e a Nizza per ottenere la riapertuta della casa e offrirla di nuovo ai missionari stanchi. Cfr. lettere del 16.6.1883 ad un membro della Corte di Cassazione e del 20.11.1883 al Vescovo di Nizza. 42 II Padre non abbandonò tuttavia il progetto della Spagna. Contava anche sull’in tervento della regina Isabella. 43 L. PI. alla Presidente di un’Opera di beneficenza, 16.9.1881. 44 L. PI. a P. Duret, 1.6.1881.
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con il Cardinale-Arcivescovo, il Superiore chiede a Roma di anti cipare l’ordinazione al suddiaconato di quei seminaristi che hanno già fatto tre anni di teologia 45. E, malgrado «la legge che sarà definitivamente adottata» nel 1887, rimane alla Società un’altra possibilità: essa potrà approfit tare della dispensa concessa ai giovani che, prima dei 19 anni, avranno stabilito la loro residenza all’estero. In quel momento, l’Egitto si presenta come un felice rifugio, anche se aprire un secondo seminario è un’operazione non solo costosa, ma difficile, perché occorrerà raddoppiare il personale ed i professori. Ma il Superiore risolve rapidamente la questione: «Abbiamo appena deciso - scrive al Cardinale Prefetto - di mandare in Egitto tutti gli Aspiranti che possono beneficiare di questa legge d’esenzione. Per il momento, li sistemiamo a Ramleh, vicino ad Alessandria, in una casa che per quest’anno è sufficiente... e che altro non è che il cappellanato dei Fratelli delle Scuole Cristiane» 46. In quel momento, il Padre conta ancora su «una soluzione che non lo obblighi a stabilire definitivamente questo secondo seminario. L ’esilio sarà forse provvisorio47, perché «il governo stesso sembra molto a disagio per questa legge militare in ciò che riguarda le missioni»48. Ma «da un ufficio all’altro, quando si tratta di prendere una decisione, tutti i ministri “si rimandano la palla”, tanto hanno paura delle interpellanze e degli schiamazzi della camera dei D eputati»49. Il Padre si rende conto che di venta necessario «stabilire definitivamente una casa in Egitto» 50. 45 L. PI. al Card. Simeoni, 26.12.1880 - Ad ogni costo, bisognava sfuggire al ser vizio militare!... «L a caserma non fa bene a nessuno e spesso danneggia i seminaristi», a Mme S., 20.2.1898. 46 L. PI. a Mons. Corbelli, vescovo di Alessandria, 10.12.1889. «Siamo presi alla sprovvista e non possiamo fare un insediamento vero e definitivo» - Cfr. al Card. Si meoni, 10.12.1889. Ma il vescovo di Alessandria accettò male questa «intrusione». «Non potevo pensare che qualche seminarista continuando gli studi sotto la spinta degli avveni menti imprevisti, andasse ad invadere una postazione riservata ai Francescani!...», cfr. Lettera a Propaganda Fide, 1.2.1890. 47 Cfr. le lettere già citate al Card. Prefetto, 10.12.1889 e 1.2.1890 e a Mons. Cor belli, 10.12.1889. 48 L. PI. a P. Duret, 22.5.1890. 49 L. PI. a P. Duret, 22.5.1890 e a P. Schrimpff, 20.6.1890. 50 Diverse lettere Pi. a P. Duret, 19.9.1890, a Borelli, 10.7.1890, a P. Terrien, 16.11.1890 e a P. Boutry, 12.1.1891.
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Sarà la «Casa del Diavolo» a Mahalla-el-Kobra (Kébir), un grosso villaggio di quasi 100.000 abitanti, ad un’ora e mezza di ferrovia da Tantah. Una casa certamente grande e costosa, per la quale P. Planque conta sull’aiuto finanziario e sulla fedeltà dei suoi amici - quelli della Grande Chartreuse, in particolare, il cui Padre Abate è uno dei suoi vecchi condiscepoli di Cambrai51. Duret, che è sul posto, ne sceglie l’ubicazione, ma non dimentica, se condo la raccomandazione del Superiore, di provvedere ad un luogo per le Suore e di cercare già colei che ne assumerà la guida 52. Terminato l’insediamento di Mahalla nell’autunno del 1890, P. Planque riuscirà, a forza di reclami, ad ottenere per la Società due anni di proroga a favore dei seminaristi interessati, per tro varsi così completamente in regola con la legge dei 19 anni? 53 Senza attendere altre autorizzazioni, il seminario in Egitto fun ziona già al meglio 54, anche se il Superiore deve ritornarvi più spesso di quanto non desideri. Deve infatti curare il buon anda mento della casa 55. Anche la presenza di Joseph Planque, suo nipote, entrato nelle Missioni Africane, si aggiunge alle sue mol teplici preoccupazioni, in quanto il giovanotto si rivela molto di verso dagli altri Aspiranti, attirandosi più critiche che amicizie 56. 51 Si tratta di Dom Anseime Bruniaux, Padre generale dei Certosini, che aveva aiutato molto il Padre e la Società: «Senza di voi, il seminario non esisterebbe», gli scrisse P. Planque, 4.1.1891. 52 Si è già visto che il Superiore prevedeva per le Suore una scuola e un dispensario. Considerò anche i servizi che avrebbero potuto rendere al seminario. Le prime tre furono Sr. Dominique, Fulgence e senza dubbio Potamienne. Cfr. lettere a P. Duret, 22 e 29.8.1890. 53 II Superiore cercò ugualmente di ottenere il beneficio «dell’impegno decennale», che riduceva ad un anno per gli istitutori laici e per i membri delle Congregazioni ricono sciute, i tre anni obbligatori. 54 II Padre mise al corrente Propaganda Fide dell’apertura di Mahalla e dell’insedia mento dei seminaristi e delle Suore, 17.1.1891. 55 Vi furono a volte delle lamentele da parte dei giovani sia per la severità del regolamento sia per le condizioni materiali. 56 Joseph era il fratello di Sr. Augustin. Sembrò essersi integrato male nella Società, in quanto era senza dubbio molto indipendente e senza grande regolarità. Lo zio, che non gli risparmiò né incoraggiamenti né moniti, soffriva certamente di questa situazione sia nel suo affetto sia nelle sue relazioni con i Confratelli, molti dei quali pensavano che il nipote fosse troppo favorito.
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Ancora quattro anni... e questo stesso seminario si ritroverà a Choubrah, quando la Società avrà finalmente il diritto di instal larsi alla periferia del Cairo.
3. La revisione delle Costituzioni
Al momento tanto atteso della redazione definitiva della Co stituzione scoppia il più grave dei malintesi che lascerà tracce profonde nei rapporti del Superiore con alcuni dei suoi figli. Dopo i tremendi giorni di Nizza e del Capo, il Padre desi dera ardentemente riportare la pace. E volendo dare ai suoi Confratelli una prova evidente della sua buona volontà, con un gesto che crede sarà gradito, rinnova a Roma la richiesta di un riconoscimento degli statuti della Società 57. A diverse riprese, ha già chiesto che gli venga concessa «un’approvazione più ufficiale» di quella data precedentemente dal Cardinale de Bonald. È giunto il momento, pensa, di portare questa faccenda, di per sé molto giuridica, ad una conclusione che costituirebbe anche un punto d’appoggio per la sua autorità, continuamente rimessa in discussione. «Desideriamo molto che le nostre Regole ricevano da Propaganda Fide almeno un primo riconoscimento»5S. Il Cardinale Prefetto, anche lui convinto di questa necessità, lo prega di inviare «quelle modifiche che l’esperienza gli avrà rive late come le più utili allo sviluppo dell’Istituto» 59, al fine di mi gliorare il testo del 1864. Si è nel luglio 1885 e P. Planque, che senza indugiare ha fornito le informazioni richieste 60, si aspetta una revisione rapida e senza problemi. In realtà, si sta mettendo con le proprie mani
57 Questo gesto gli offre l’occasione di ricordare al Prefetto che «il Fondatore ha voluto creare una Società governata da un vero Superiore. Il centro della Società deve essere un vero governo». Lettera a Simeoni, 10.4.1879. 58 Cfr. le lettere a Propaganda Fide, 6.2.1882 e 7.3.1885. - Nel 1864, Roma aveva preferito rimandare l’approvazione definitiva. 59 Lettera del Card. Simeoni a P. Pi., 30.3.1885. 60 P. Planque rispose nel luglio seguente.
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in mezzo a controversie e conflitti che lo turberanno gravemente, e tutta la Società con lui, per lunghi anni... Infatti, dalla voce «consultori» alla voce «Assemblee plenarie», Propaganda Fide ha deciso di rivedere, secondo un ordine giudicato migliore, tutto l’insieme degli articoli redatti vent’anni prima con Barnabò61. E mentre Brésillac - e Planque con lui - voleva mantenere ad ogni costo l’unità di governo62, la decisione romana sostituisce a questa regola la divisione dei poteri. Essa dà al capo della mis sione l’autorità su tutto ciò che riguarda la giurisdizione affidata dalla Santa Sede e lascia al Superiore della comunità il compito di regolare la vita dei Confratelli. P. Planque, fortemente contrario a questo cambiamento, di scuterà a lungo con tutti gli esperti romani in nome della volontà stessa del Fondatore, ma inutilmente. E cos’altro fare, se non sottomettersi, sforzarsi di entrare nella mentalità di Propaganda Fide, farla propria per convincere meglio i membri della Società? Ed anche se intimamente combattuto, non cessa di essere fedele a Roma. In realtà, dalla prima redazione della Regola 63 è passato molto tempo, e sono cambiati anche i Prefetti, che ora fanno riferimento a dei testi nuovi64. Il futuro dimostrerà che, in defi nitiva, la separazione dei poteri da lui tanto temuta, servirà alla sua autorità di Superiore generale molto più di quanto non possa nuocerle. Uno dei più gravi handicap che peserà su quest’affare, ag giungendosi al nervosismo di tutti, deriverà dall’eccessiva len tezza dei lavori. Tra luglio 1888 e luglio 1890, si contano tre viaggi del Superiore a Roma per fare andare avanti il dossier. Deve anche andare alla ricerca del testo delle Costituzioni, «tal mente seppellito sotto montagne di carpette, che l’avevano di 61 P. Planque manifestò il suo disaccordo con quest’ordine che gli sembrava com pletamente illogico. Cfr. Lettera al Prefetto, 8.7.1886. 62 Al contrario di ciò che accadeva alle Missioni Estere di Parigi, si sa che Brésillac voleva che il Superiore generale fosse responsabile sia dei Padri che delle opere in mis sione. 63 Quella del 1864, come già detto sopra. 64 Vi furono tra gli altri, come documenti nuovi, la Bolla Firmandis (Benedetto XTV, 1744) rimessa in auge e il Documento R om anos P ontífices di Leone XIII nel 1881.
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menticato»! 65 Sebbene il Cardinale Prefetto si dichiari «infuriato per tutti i ritardi» e affermi «che la prima cosa da fare è di terminare con le Regole della Società»66, «non succede nulla dirà P. Planque - e tuttavia non sono io a mettere degli ostacoli al lavoro: ho accettato tutto quello che volevano». 67. Infatti il secondo Consultore, un Cistercense 68, se la prende con calma e continua a sconvolgere, a suo piacimento, i docu menti affidatigli, tanto che, degli articoli e dei diversi emenda menti inviati da Planque, non ne rimane che una piccolissima parte. Inoltre, pur lodando «i grandi meriti di questo Superiore così devoto al suo Istituto», il Consultore nota, sulla base dei reclami giunti da numerose case in Africa, gli eccessi di autorità che gli si rimproverano. Nelle missioni, infatti, l’agitazione comincia a crescere e si mormora contro un ritardo di cui, molto ingiustamente, il Supe riore è considerato responsabile, come se egli non facesse nulla per accelerare i lavori. In realtà, anche lui sbaglia nel non dire nulla ai suoi Padri riguardo a tutte le discussioni con gli uffici romani, né riguardo alle pressioni subite per accettare dei cam biamenti ai quali lui stesso sarebbe molto ostile. Sarebbe stato più saggio, ed anche più realista, informare almeno i Consiglieri e i capi delle missioni. Si sarebbe messo dalla loro parte, mentre, per il silenzio e la riservatezza che si è imposto, ha suscitato la loro diffidenza, sembrando complice dei cambiamenti di cui essi vengono a conoscenza a poco a poco 69. Il primo agosto 1890, «la questione delle Regole è finalmente conclusa» 70 —come fa sapere a Duret - dopo aver atteso dodici giorni a Roma, «deciso a non allontanarsi prima di avere otte 65 L. PI. a P. Poirier, 31.10.1888. 66 L. PI. a Mons. Jacobini, 4.10.1889. 67 Stessa lettera. 68 Si tratta di Dom Henri Smeulders, abate generale. 69 Si sa tuttavia che in altre circostanze, il Padre era piuttosto portato a fare delle confidenze e a raccontare i problemi che lo tormentavano. Cfr. più in là la lettera di P. Guillon a PI., 30.5.1876. 70 II Papa aveva firmato il Decreto di approvazione delle Costituzioni della Società il 3.8.1890.
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nuto soddisfazione»71. Ma la burocrazia non ha ancora pronun ciato l’ultima parola riguardo a questo «Decreto di encomio» tanto atteso (mancano le ultime firme) per cui l’uscita è rinviata al 1° novembre. E visti i ritardi dovuti alla traduzione ed alla stampa, le nuove Costituzioni giungeranno in Africa soltanto nel l’estate 1891 72. Si può comprendere come, stretto nella morsa tra Propaganda Fide ed alcuni Padri più facilmente portati al sospetto e alla critica, il Superiore abbia i nervi un po’ logori.... Per favorire la distensione, ancora prima che il Documento, finalmente ultimato, abbia fatto il giro nelle case, P. Planque si propone di festeggiarne la pubblicazione, associandola alla cele brazione annuale dell’8 dicembre. Dovrebbe essere una buona occasione per rinsaldare i legami di famiglia e disporre gli animi ad accettare meglio la nuova redazione. A trentaquattro anni di distanza, si trovano dunque in più di ottanta a Fourvière, nella cappella della loro fondazione, dove P. Planque ha voluto una cerimonia molto solenne d’azione di grazie perché tutti si impe gnino a vivere una nuova tappa nel cammino di fedeltà73. Si sta preparando anche un altro grande avvenimento che aprirà probabilmente una nuova speranza a coloro che hanno mal sopportato questi lunghi anni di pazienza: la nomina di P. Jean-Baptiste Chausse come Vicario apostolico del Bénin. Propa ganda Fide, alla fine, si è decisa a scegliere un vescovo tra i ranghi della Società. Alla richiesta fatta dai cattolici e dai missio nari del paese, P. Planque non può che dare il suo pieno as senso 74. Lui stesso ha presentato questa candidatura da molto tempo e la consacrazione di questo suo figlio tanto amato lo colma di una gioia attesa dai tempi della morte del vescovo Bré71 L. PI. a P. Poirier, 30.7.1890. 72 La lettera di P. Planque che annunciava l’invio delle Costituzioni era del 24.6.1891. 73 La messa fu celebrata da P. Chausse con una lunga omelia di P. Planque. Cfr. lettere PI. a P. Pied, 9.12.1890 e Chausse a Zimmermann, 21.11.1890. 74 Jean-Baptiste Chausse, «il più anziano dei missionari della Società» - pur avendo solo 44 anni - fu nominato ufficialmente Vicario apostolico del Bénin con il Breve del 12.5.1891. Fu consacrato a Fourvière il 12.7.1891 dal Card. Foulon, arcivescovo di Lione, Mons. Fava, vescovo di Grenoble e Mons. Boyer, vescovo di Clermont. - P. Planque aveva chiesto la dignità episcopale per P. Chausse nel quale aveva una grande fiducia, e costui, dal canto suo, era molto vicino al Superiore (cfr. lettera al Prefetto, 12.12.1890).
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sillac. Con questa prova di fiducia, Roma non dà forse una ri sposta a quelli che hanno tentato di screditare le Missioni Afri cane? Forse egli può finalmente sperare di intravedere la fine del suo lungo tunnel di angoscia e di pena. Ma questi avvenimenti felici non basteranno tuttavia ad allen tare le tensioni, che riemergeranno con più animosità di prima nel momento in cui i Confratelli verranno a conoscenza del nuovo testo delle Costituzioni. Molti lo dichiarano inaccettabile per la sua grande differenza dal primo 75 e non tardano a dire che a redigerlo è stato lo stesso Superiore, - domandando poi a Roma di avvallarlo - tradendo così Brésillac... 76 Sappiamo bene che la verità era del tutto diversa. Quei rimproveri - come tanti altri - non potevano ingannare i responsabili romani, ma colpi vano profondamente colui al quale erano rivolti. In effetti, i missionari mal sopportano la nuova ripartizione dei poteri tra il capo della missione - il vescovo, se c’è - ed i superiori delle comunità 77. E ancora più difficilmente accettano che un «Visitatore» sia imposto loro in qualità di delegato del Superiore generale in Africa. Questa nuova funzione sembra una specie di intrusione e di controllo intollerabile 78. Da questo na scono le vivaci proteste di un gran numero di Padri, tra i quali P. Planque ritrova il nuovo Vicario apostolico del Bénin. Come non esserne sorpreso e addolorato? 79 Così anche l’anno 1892 è cominciato male, tanto da far pen
75 Vi era già stato un primo manifesto di rivendicazioni ad Elmira, al quale il Supe riore aveva risposto francamente e con autorità perché le accuse erano false. Cfr. lettera del 25.2.1891. 76 Ecco le parole usate dallo stesso P. Chausse in una lettera a P. Brun, 3.10.1893: «Il Superiore ha fabbricato un testo, ha fatto un vero colpo di stato, ha tradito la So cietà»... Parole che possono essere giustificate dalla delusione, ma anche - come già sottolineato - dalla troppo grande riservatezza di P. Planque: «Avrebbe dovuto avver tirci». 77 Finché non vi fu un vescovo a capo della missione, i capi delle regioni o delle comunità facevano riferimento normalmente, come i Padri, al Superiore generale. 78 «Queste costituzioni sanno di dispotismo e di tirannide», scrisse ancora P. Chausse. 79 E conflitto che oppose il nuovo Vescovo del Bénin a P. Planque fu quasi incom prensibile, visto il loro lungo passato di intesa e amicizia.
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sare di essere di nuovo nei tristi giorni del 1878 80. In gennaio muore improvvisamente il Cardinale Simeoni. Mons. Jacobini, segretario e amico di lunga data, si è anche lui allontanato, perché nominato da poco nunzio in Portogallo81. Roma si po pola di uomini nuovi, ignari di tutti gli affari delle Missioni Afri cane. E il Padre ora ha persino paura di recarvisi: «Se tutto ciò che è stato detto contro di me viene considerato vero, non sarei cacciato come un essere nocivo e distruttore della Società?» 82. Tuttavia ancora una volta, nulla è perduto, perché ritrova l’a mico fedele, Fava, sempre pronto a sostenerlo. Come dopo i fatti di Nizza, egli veglia sui destini della Società83. Tra lui e Ledochowski, il nuovo Prefetto di Propaganda Fide, si sono al lacciate delle relazioni franche e cordiali, e l’interesse che tutti e due hanno per le Missioni Africane costituisce un legame in più84. La calorosa simpatia del Vescovo di Grenoble, come le lettere molto benevole che gli giungono dal nuovo Prefetto, aiu tano P. Planque a vedere più chiaro nel nuovo modo di gover nare al quale deve assoggettarsi. Tuttavia, l’abitudine di avere ogni cosa nelle sue mani, gli giocherà più di una volta brutti scherzi e lo condurrà a provocare situazioni imbarazzanti intorno a lui. La Società, infatti, si è evoluta, non è più il piccolo gruppo senza esperienza dei primi anni. Anche se sta ancora attraver sando una vera «crisi di crescita», dovuta in parte all’eterno rin novamento del suo personale, dove i decessi non smettono di creare dei vuoti, i missionari - e Mons. Chausse più degli altri rivendicano il loro ruolo nel governo e nella direzione dell’O 80 Abbiamo già visto più sopra le conseguenze della crisi di Nizza. 81 II 14 gennaio 1892. Per un certo periodo, P. Planque si sentì molto solo. 82 Cfr. lettera di P. PI. a P. Bricet, 11.11.1892: «Sono nero più di tutti i Neri messi insieme...». 83 Cfr. lettera di Mons. Fava a P. PI., 5.7.1892: «Scriverò di voi al Card. Prefetto... Pregate, caro amico, il coraggio tornerà». 84 Cfr. lettera del Card. Ledochowski, appena nominato a capo di Propaganda Fide, a Mons. Fava: «Avevo bisogno di essere rassicurato sul conto dell’eccellente Planque. Sono sempre stato portato a stimare il capo di uno degli Istituti più meritevoli dei nostri giorni nel campo delle missioni... Ho sempre avuto l’idea di pregare Planque di venire a Roma poiché ci si intende meglio quando ci si conosce... Tranquillizzate pure il vostro vecchio condiscepolo...» (10.7.1892).
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pera, compresa - e soprattutto - la gestione dei beni che ven gono loro affidati85. Nulla di sorprendente allora se, nei primi mesi del 1893, giunge a Roma una lettera firmata da tutti i capi di missione e indirizzata a Propaganda Fide, chiedendo, secondo le Costitu zioni che ne riconoscono il diritto, la convocazione di un’Assem blea generale allo scopo «di arrivare ad una completa riorganiz zazione della Società». Quando P. Planque riceve dal Cardinale Prefetto una copia di questa richiesta, rimane costernato 86, com prendendo fin troppo bene i motivi di coloro che hanno avanzato una simile richiesta. «Voi capite quanto mi senta triste e de presso per la causa che sapete» 87. Egli teme infatti (qualora una tale Assemblea dovesse essere influenzata dai due uomini che conosce b en e)88 che si giunga ad un vero e proprio scon quasso 89. Ma Roma è decisa e vuole esaudire la richiesta, venuta dal l’Africa, di un’Assemblea che potrebbe essere benefica, come «mezzo efficace per zittire gli scontenti e riconquistare la fiducia di tutti» 90. Essa dunque si farà e P. Planque, che non ha mai respinto una decisione di Propaganda Fide, accetta senza alcuna obiezione. Per sostenerlo, il Cardinale Ledochowski lo aiuta a fissare i punti che saranno sottoposti al dibattito e nomina l’Arci vescovo di Lione come suo delegato. Questi presiederà le sedute e controllerà il loro corretto svolgimento, domandando che sia esclusa ogni rimessa in questione del posto di P. Planque, che deve rimanere Superiore generale della Società. Tali misure ba 85 II Superiore continuò ad inviare al Vicariato soltanto secondo i bisogni, le somme che gli venivano concesse. Mons. Chausse si scagliò fortemente contro ciò che chiamava un abuso di potere. 86 Alcuni, infatti, desideravano approfittare di un’Assemblea generale per fare annul lare gli articoli delle nuove Costituzioni che non accettavano. L. PI. al Card. Ledo chowski, 15.8.1893. 87 L. Pi. a P. Duret, 29.4.1893 e a Mons. Cornazzoni, 10.5.1893. 88 Questi «due uomini» erano Mons. Chausse e P. Terrien, quest’ultimo sempre dalla parte dei contestatori. 89 Lettera di Propaganda Fide a P. PI., 1.7.1893. 90 Lettera del Card. Prefetto a P. PI., 11.11.1893 e di P. PI. a P. Desribes, 16.11.1893, con cui fu annunciata la nomina del Card. Couillié, Arcivescovo di Lione, come presidente dell’Assemblea generale, fissata per il 22 novembre.
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stano a calmare le iniziative dei più combattivi. I dieci giorni in cui si svolgono i lavori, trascorrono senza particolari scosse, ri portando gli animi alla serenità e ai veri interessi della Missione. Il resoconto delle sedute manifesterà anche, a più riprese, la sot tomissione e l’attaccamento dei membri alla Chiesa, come pure la lealtà e il rispetto verso il Superiore, del quale vengono ricono sciuti l’immenso lavoro e la dedizione. E davanti ai risultati di ciò che aveva rappresentato per il suo vecchio amico una prova an gosciante, Mons. Cornazzoni può felicitarsi con gioia: «Non avevo ragione a dirvi: coraggio!? L’Assemblea non vi ha dato la prova di considerarvi il custode dell’O pera?»91. In un rapporto molto obiettivo, il cardinale Coullié sembra avere messo il dito sul male della Società, un male che ne spiega il percorso difficile. In effetti, esistono due correnti opposte tra i Padri, una più conservatrice, l’altra più rivendicatrice, che auspica un alleggerimento della Regola e di tutte le dipendenze che questa comporta, e allo stesso tempo una divisione delle respon sabilità. Da qui le tensioni che rendono più difficile calmare gli eccessi di linguaggio di alcuni ed il loro modo di drammatizzare i fatti più insignificanti. Ma, secondo il Cardinale, «P. Planque potrà benissimo, insieme al suo Consiglio, normalizzare la situa zione e realizzare i miglioramenti necessari» 92. Appena terminata l’Assemblea, ecco che un lutto improvviso colpisce brutalmente la Società e particolarmente il Bénin. Tor nando da Roma, dove è stato ricevuto da Propaganda Fide e dal Papa Leone XIII, Mons. Chausse è colpito da un’infezione pol monare acuta e muore a Lione in pochi giorni93. È uno choc per tutti, per P. Planque soprattutto, attaccatissimo a P. Chausse, che perde così la speranza di ricostruire con lui una nuova tappa di fiducia e di amicizia. Per lo meno, la cerimonia del viatico che il Padre ha portato al Vicario apostolico morente sarà stata tra loro l’ultimo gesto di affetto e di riconciliazione... 91 Lettera di Mons. Cornazzoni a P. PI., 18.12.1893. 92 Lettera del Card. Coullié al Card. Prefetto, 8.12.1893. 93 L. PI. a Propaganda Fide, 28.1.1894: «Mons. Chausse è deceduto il 17 e i suoi funerali sono stati celebrati nella cattedrale St-Jean il 22, sotto la presidenza del Card. Coullié».
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Al seminario riprende una vita più regolare, anche se i disac cordi non mancano tra gli allievi e i professori. Sembra che una delle cause sia la troppo grande diversità delle nazionalità94. «Perché ricevere tanti stranieri sia a Lione, sia nelle scuole apo stoliche?», si chiedono i Padri. Poiché su sei territori di missione, tre sono di lingua francese, che cosa faranno quei seminaristi venuti da altre parti, soprattutto quelli di lingua tedesca? Ora, il numero degli Adsaziani-Lorenesi è alto, soprattutto a Clermont95. I giovani non si amalgamano tra loro e secondo Chautard «per fare una vera famiglia da questo guazzabuglio, ci vor rebbe il soffio del giorno della Pentecoste e la voce di Pietro!... ed anche allora - aggiunge con humour - malgrado i miracoli e il fervore delle prime comunità, il «cor unum et anima una» non durò a lungo!...»96. In realtà, nessuno adotta veramente un atteggiamento di ri fiuto degli stranieri, ma tutti protestano contro il loro numero che sembra eccessivo 97. Si vede il pericolo che sembra rinascere dagli scontri tra nazionalismi rivali. P. Planque mal sopporta questo timore che nasce, in alcuni, da ciò che essi chiamano « l’invasione straniera» 98 e che è così contrario al suo desiderio di Istituti «universali» 99. Moltiplica perciò gli sforzi, sia presso i Padri che presso le Suore, per mettere fine a dei problemi, che derivano soprattutto da una «coabitazione» male amministrata. Ma lui stesso rimane fragile come se le cicatrici del 1891 e 1893 fossero ancora aperte, e come se temesse di veder formarsi qualche nuovo intrigo. Questo spiega come mai i Direttori del seminario, che mal si adattano alle sue vedute, non rimangano a lungo presso gli Aspiranti 10°, ad un punto tale che Propaganda 94 Se si giudica da diverse lettere dei Padri in questo periodo... 95 Vent’anni prima le due province erano state annesse all’Imperotedesco. Si com prende l’antagonismo che opponeva i giovani tra loro. 96 Lettera di P. Chautard a P. Duret, 26.2.1895: «Nel Noviziato, per 29 novizi si contano sei nazionalità...». 97 Lettera di P. Duret al Card. Couillé, 30.1.1897. 98 L’espressione è di P. Duret nel suo rapporto al Card. Couillé. 99 Si sa che il Padre usava volentieri questo aggettivo... e che citenevaall’intemazionalizzazione della Società - come anche della Congregazione delle Suore. 100 Per tale compito si succedettero molto rapidamente i PP. Brun, Chautard, Dartois, Devoucoux...
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Fide si preoccupa per -i cambiamenti troppo frequenti. Il Cardi nale Prefetto propone anche all’Arcivescovo di Lione di accettare l’incarico di visitatore apostolico della Società in Francia - il che contribuisce grandemente a sostenere e ad incoraggiare un Supe riore piuttosto stanco. Comunque, non mancano amici molto fe deli e fortemente attaccati all’opera, tra i Padri che lo circon dano, come il Superiore di Clermont, Desribes, o il futuro Mons. Pellet, Superiore delle missioni del Bénin, e P. Auguste Duret, Prefetto apostolico del Delta del Nilo... Costoro sanno parlare al Superiore con franchezza e rispetto: «Non ho mai messo in dubbio la vostra dedizione ed il vostro coraggio - scrive Duret Sono ormai ventiquattro anni che mi trovo al vostro fianco e rimango sempre più riconoscente e stupito, e sono contento ogni volta che ho l’occasione di manifestare questi sentimenti...»101. Saranno questi Padri che lo aiuteranno di più ad orientarsi verso nuove forme di governo. Quando il secolo giunge alla fine, P. Planque può godere di un ambiente più sereno, e di un clima di fiducia 102, che lenta mente si è ricostruito. Tuttavia deve ancora subire lo choc di un altro lutto, che lo colpisce duramente: il vescovo di Grenoble, il caro Armand Fava, viene a mancare all’improvviso, nell’autunno 1899... Con l’amico, che non l’ha mai abbandonato, che l’ha compreso certamente meglio di chiunque altro e che l’ha aiutato a superare i giorni della prova senza perdere la fede 103, è una parte della sua vita che comincia già ad allontanarsi. Ma per lui, Augustin, il numero degli anni non è ancora compiuto, deve an cora andare sino alla fine delle sua strada e della sua Missione...
101 Lettera di P. Duret a P. PI., 9.1.1896. 102 L. PI. a Mons. Pellet, 2.6.1897 e a Mons. Comazzoni, 23.11.1897. 103 L. PI. a Mons. Cornazzoni, 30.10.1899: «Ho assistito ai funerali di Mons. Fava (deceduto il 17.10.1899). Dio sia benedetto per gli onori che gli sono stati resi...».
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CAPITOLO TREDICESIMO
IN PIENA ESPANSIONE
Bisogna ora tornare indietro, verso gli anni 1880, a partire dai quali le Missioni Africane - la cui azione è ormai sostenuta ed affiancata in qualche modo da quella delle Suore - prosegui ranno regolarmente la loro avanzata, sia sulla costa occidentale del Golfo di Guinea, dove soltanto tre stazioni sono state fon date, sia in Egitto, dove le prime due stazioni aprono la strada ad uno sviluppo maggiore. Di questo periodo - e grazie alla corri spondenza di P. Planque, che dirige e segue passo passo gli avve nimenti - possiamo farci un’idea di come erano allora, alla fine del XIX secolo, la povertà, l’insicurezza causata dalle guerre, le difficoltà dell’incontro con le popolazioni, ma anche, alla fine, l’adesione a Cristo delle prime comunità, da cui è nata rapida mente una robusta cristianità. 1. La Costa d’Oro
La Società, dunque, comincia finalmente a stabilirsi in questo paese, dove da dieci anni aspetta di fondare qualche stazione l. In effetti, quando Propaganda Fide ha accettato di affidare alle Missioni Africane la Costa d’Oro, appena eretta a Prefettura apostolica, vi ha incluso anche la Costa d’Avorio 2. E questa co stituisce un immenso territorio dal fiume Volta ad est fino al fiume Cavally ad ovest, ossia tutto lo spazio compreso tra il Vica riato apostolico del Bénin e quello della Sierra Leone - un terri1 La prima autorizzazione data da Propaganda Fide alle Missione Africane di stabi lirsi in Costa d’Oro risale al 19.1.1871. 2 H decreto per l’istituzione della Prefettura è del 27.1.1879. Sembra che le fron tiere tra i due paesi fossero ancora mal definite.
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torio che faceva parte del grande Vicariato delle Due Guinee, ma la cui evangelizzazione non era stata sufficientemente assicurata fino a quel momento. Tuttavia, P. Planque dovrà aspettare il momento favorevole, prima di mandare i suoi missionari fino a Grand-Bassam e nella parte occidentale della Prefettura. Fidandosi troppo frettolosamente di qualche racconto fanta sioso di funzionari o di coloni britannici - come quello, secondo cui lungo questa parte della costa, vi sarebbe stata una specie di riviera dal clima temperato e più sano - P. Planque sognava già di costruirvi un sanatorio, o almeno una casa di riposo per i Padri del vicino Dahomey... Fu una tremenda delusione poiché, in questa regione, la salute subì molto presto le devastazioni più micidiali. Quando i Padri Moreau e Murat sbarcano ad Elmina nel maggio 1880, condotti da una nave militare inglese, la Dwarf, provengono da Sant’Elena. Sono stati i primi a lasciare la mis sione del Capo, dove il passaggio dei poteri va per le lunghe. I Missionari dello Spirito Santo, nell’accettare di andare al Capo, mostrano la stessa scarsa premura che hanno mostrato nel riti rarsi dalla Cimbebasia3. Essi vorrebbero tornare indietro, e anche se Roma rifiuta ogni nuova modifica, i missionari della Società trattenuti in Sudafrica non riescono mai a raggiungere Elmina. I due Padri sono sorpresi di trovare nelle case e nelle ca panne che cominciano a visitare, un certo numero di tracce cri stiane, anzi cattoliche. Vestigia che testimoniano un culto auten tico: immagini, acquasantiere, celebrazioni di feste, quella di San t’Antonio in particolare, la cui statua considerata miracolosa è molto venerata. Nulla di strano in questo: da quattro secoli, il paese ha sentito parlare di Cristo dagli occupanti che ad ondate successive l’hanno dominato, e che erano in gran parte cristiani. Bisogna dire che, con le sue ricche miniere d’oro, questa parte della costa non poteva che attirare numerosi navigatori, mercanti, esploratori, senza contare i negrieri e trafficanti di ogni 3 Si veda la III parte, cap. 7, la Missione al Capo.
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genere. Per primi, come sempre, giunsero i Portoghesi che, non appena insediatisi ad Elmina, costruirono un castello fortificato, aggiungendo ad esso una cappella. Anch’essi molto cattolici, vo levano in questo modo far capire a tutti, che stabilendo sulla costa la loro base commerciale, si sarebbero incaricati anche del l’evangelizzazione degli Indigeni. A San Tomé era stata costituita addirittura una diocesi, i cui preti nel passato dovevano aver visi tato il Dahomey, molto tempo prima della venuta della Società di Lione. E si sa che questa pretesa giurisdizione, esercitata da uno di questi preti a Whydah, pose diversi problemi ai Padri della stazione missionaria. Nel XVII secolo, arrivarono gli Olandesi, che spazzarono via tutto ciò che era rimasto dei primi occupanti. Dei Cappuccini, venuti dalla Francia e colpiti dall’ignoranza dei cristiani e dalla fragilità delle conversioni, avevano cercato di rimediarvi con un insegnamento più serio, ma anch’essi dovettero partire per ce dere il posto ai Calvinisti4. Infine, verso il 1860, toccò agli Inglesi «far sloggiare» gli Olandesi, sulla base di accordi conclusi con loro per scambiare le rispettive zone d’influenza. Per dei missionari come Moreau e Murat, che hanno cono sciuto un altro orizzonte, il paese ha ancora di che stupirli, poiché possiede un’antica civiltà e delle tradizioni solide che sem brano risalire a decine di secoli prima dell’era cristiana. L’arte in particolare vi occupa un grande spazio e si esprime nella poesia, nella danza, nel teatro, ma anche nella cesellatura dei metalli e nella stampa dei tessuti, in una grande varietà di simboli religiosi o familiari... La popolazione già a quest’epoca è ad alta densità. «Si conta a milioni» - aggiunge P. Planque scrivendo a P. Gaudeul - , « è un campo che non assomiglia in niente ai vostri deserti del Capo centrale, ed il paese è pronto, spalancato per acco gliervi»5. Tra le numerose etnie, due sono quelle dominanti, gli Ashanti e i Fanti, entrambe vigorose e di bell’aspetto fisico, seb bene differenti, d’intelligenza viva e dotate di grandi capacità di lavoro e di adattamento. Ma anche qui, come nel Dahomey, il 4 Nello stesso periodo giunsero anche dei missionari Protestanti da Basilea e tutti, con i Calvinisti, svolsero un serio lavoro. 5 L. PI. a P. Gaudeul, 16.11.1881.
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potere dei capi e dei re, che si esercita in maniera assoluta, s’im pone spesso con il terrore. Tuttavia i Padri si sentono accolti molto bene ad Elmina e, subito conquistati dal paese, comunicano al Superiore di Lione le loro prime impressioni: «La Provvidenza sembra avere disposto tutto per il successo della nostra opera... La popolazione ci è molto favorevole e vi sono speranze di riuscire a fare del bene qui» 6. Al loro arrivo hanno avuto la fortuna di incontrare due Francesi, Brun, addetto al Consolato, e Bonnat, agente commer ciale, che facilitano i primi contatti e la ricerca di un terreno dove costruire la missione e la scuola, senza dimenticare una casa per le Suore 7. Poi, nel desiderio di informarsi e di comprendere meglio il paese, fanno un breve soggiorno a Lagos, da dove rientrano sod disfatti e contenti di avere incontrato i Confratelli. Ma durante il viaggio, purtroppo, contraggono una febbre perniciosa. Questa abbatte Murat, che muore dopo appena due mesi di soggiorno, il 5 agosto 1880. Sarà lui il primo dei ventisette Padri e delle tre dici Suore che, in vent’anni, costituiranno il pesante tributo pa gato dai due Istituti a questa parte dell’Africa. Si comprende che P. Planque, sconvolto da tante perdite umane, «profondamente afflitto» e «non sapendo come fermare questa terribile emorragia», faccia appello senza posa a Roma, rinnovando la stessa domanda: «più che mai - scrive - sento l’importanza che rivestirebbe per noi l’avere più missioni in paesi temperati. A parte la Prefettura del Delta egiziano, le altre quattro sono diventate, in pochi anni, la tomba di tutti quelli che sono stati inviati» 8. E senza dubbio il clima è sfavorevole. Ma, se dobbiamo credere al dottore che si impegnò a salvarne parecchi, le numerose morti sembrano essere state causate anche da una salute troppo debole per resistere alle epidemie e al ritmo accele rato di una vita di fatica e di strapazzi. 6 Lettera di P. Moreau a P. Planque, 23.5.1880. 7 Per acquistare un terreno, dovranno sollecitare le autorità britanniche, nonché il Card. Manning di Londra, perché appoggi la loro richiesta. 8 L. PI. al Card. Prefetto, 14.4.1888. Altri due Padri erano appena morti...
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Tuttavia, tutti si attaccheranno a questo paese con coraggio, con «un grande amore nel cuore e il desiderio di consacrargli la vita»9. Nel ricevere le loro lettere entusiaste e risolute, P. Planque conserva la fiducia; è sicuro che «sta nascendo una cat tolicità e non dispera di veder fiorire in questo paese, in un fu turo molto vicino, una vita cristiana simile a quella di Lagos» 10. Con la stessa sicurezza, ripeterà quasi nei medesimi termini a Gaudeul: «La Costa d’Oro ha tutto ciò che è necessario per diventare una grande missione» 11. Ormai solo ad Elmina, in attesa dei rinforzi, P. Moreau non ha nulla di meglio da fare che studiare la lingua fanti senza la quale, scrive, «non potrei lavorare qui». E si mette anche lui, come quelli del Dahomey, a tradurre i testi biblici e liturgici nella lingua locale ed anche a comporre dei manuali scolastici. A Na tale, con Boutry, che l’aveva raggiunto a novembre, raccoglie già i primi risultati: qualche battesimo, ed anche degli allievi sempre più numerosi nella piccola scuola, che si ingrandisce rapida mente, segni di speranza che incoraggiano a cercare altri insedia menti 12. P. Planque lascia in questo campo una grande libertà, raccomandando soltanto che - secondo la regola adottata - si creino pochissime stazioni sulla costa e che ci si diriga il più pos sibile verso l’interno, lontano dagli Europei. Ci sarà sicuramente un vantaggio, data la salubrità dei luoghi e, d’altra parte, la mis sione raggiungerebbe più rapidamente le popolazioni indigene, quelle per le quali ci si è stabiliti nel paese. Approfittando dell’invito del re degli Ashanti, e accompa gnato dal sig. Brun, P. Moreau percorre le centocinquanta miglia che li separano da Kumassi, la capitale di questa etnia. Ma si trova ben presto nella situazione già conosciuta da Borghero, in visita presso il re Glé-Glé... Anche lui torna con delle speranze... e nient’altro. La provincia degli Ashanti, sempre in guerra, non 9 Lettera di P. Moreau, pubblicata in Les Annales d e la Propagation d e la Poi, nel 1883. 10 L. PI. a P. Moreau, 15.12.1881. 11 L. PI. a P. Gaudeul, 31.5.1882. 12 Anche P. Moreau credeva nell’importanza della scuola: «Essa è il nostro princi pale mezzo d’azione —diceva —non bisogna trascurarla».
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vuole aprirsi a nessun progetto. Ed anche se «quattro preti sono pronti ad essere inviati per fondare una stazione nella capitale», bisognerà rassegnarsi e pazientare... una trentina d’anni perché le Missioni Africane raggiungano il centro del paese 13. Di ritorno dalla sua vacanza in Francia, Moreau conduce con sé le due prime religiose destinate alla Costa d’Oro, una, Sr. Ignatia, irlandese, la seconda, Sr. Potamienne, svizzera. Il loro arrivo è un grande evento, in un paese in cui non si sono mai viste delle donne che non si sposano per consacrarsi a Dio. Nella loro casa vicino all’imbarcadero, non tardano ad organizzare, al piano terra, una scuola per le ragazze. Sr. Claire le raggiunge, proveniente da Lagos, poi Sr. Basile, un’italiana, Sr. Thais, un’altra svizzera, le quali resteranno nella loro missione più di trent’anni una, quasi cinquanta l’altra e saranno molto amate dai bambini e dalle famiglie. Moreau non ha ritrovato al suo ritorno né P. Legeay - colui di cui P. Planque diceva «che era intrepido fino all’imprudenza», e che è giunto troppo in fretta allo stremo delle sue forze - né Brun, l’addetto consolare, diventato un grande amico della Mis sione. È morto anche un giovane Padre, Miessen, che non ha trascorso più di ventisette giorni in missione. Molto afflitto da questi lutti, ma senza dare segni di debolezza, Moreau si è ri messo all’opera e sogna di fare di Elmina il centro di una cristia nità numerosa e vivace. Ma a sua volta soccomberà nel pieno dell’azione, e quando si deciderà a partire per Madera per ripo sarsi un po’, morirà sul battello, di fronte ad Axim 14. Con queste ripetute perdite di missionari di valore, giovani e pieni di fede 15, si comprende come mai le nuove fondazioni siano state ritardate o che qualche casa appena aperta abbia do vuto essere chiusa. Ma il grave problema della salute e del perso nale non è l’unico. Vi si aggiunge anche, ad ostacolare lo sviluppo, l’instabilità politica dovuta alle continue guerre, specialmente quelle condotte dagli Ashanti, non solo contro le tribù 13 La stazione di Kumassi sarà fondata soltanto nel 1910. 14 Moreau muore a 39 anni, il 21.3.1886. 15 Gaudeul, venuto a sostituire Moreau, muore a sua volta il 23.3.1887, a 39 anni.
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vicine, ma anche contro gli Inglesi, di cui sono temibili opposi tori, decisi a farli retrocedere. Tuttavia i loro sforzi saranno vani e questo popolo fiero e bellicoso diventerà a sua volta «colonia della Corona britannica». Nel 1885 - un anno che si annuncia particolarmente duro dal punto di vista della salute - è nominato prefetto apostolico della Costa d’Oro P. Albert, e con quest’uomo coraggioso, legato alla missione come pochi, non vi sono ragioni per disperare 16. La sua prima preoccupazione è quella di provvedere a delle costruzioni più comode per i missionari, lontane dalle paludi e sopraelevate perché siano meno umide. Inoltre, trasferisce la sede della prefettura da Elmina a Cape-Coast, centro del governo amministra tivo. Non chiude nessuna delle quattro stazioni che sembrano ben sistemate 17 e la cui influenza comincia a irradiarsi tutt’intorno nelle stazioni secondarie. Le scuole per le ragazze e per i ragazzi progrediscono, e lui stesso ha amministrato sessanta cre sime a Keita... tutto questo può far prevedere che in un prossimo futuro si raggiungeranno le città e i villaggi dell’interno. Ma la missione rimane povera. P. Albert ha contato troppo - e anche P. Planque - su delle sovvenzioni del governo britannico... queste sono state promesse, ma non versate...! Nel 1901, Mons. Albert è elevato alla dignità di Vicario apo stolico con grande gioia di tutti perché è molto stimato. Ma non avrà più di due anni per continuare un lavoro che l’ha tenuto vicino alla popolazione e ai suoi problemi: muore nel 1903, dopo avere contribuito, uno tra i migliori, a radicare la missione in questa parte dell’Africa che gli era stata affidata. E certo che la Chiesa di questo paese rimane una delle più belle fondazioni di P. Planque, anche se agli inizi ha avuto tante prove da superare e se la presenza dei governatori britannici non ha sempre facilitato la realizzazione della missione. Forse è grazie 16 P. Albert succede a Pellat, colui che ha fatto ultimare la chiesa di Elmina nel 1890 - e provocato in quell’occasione un assembramento di «contestatori» della re gione... Si veda il capitolo 12. 17 Con Cape-Coast ed Elmina, vi erano anche Keita e Saltpond. Axim dovette es sere abbandonata, ma fu riaperta nel 1902.
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agli sforzi che l’hanno aiutata a costituirsi, che la Chiesa del Ghana ha già da tempo recuperato il ritardo e si è dotata in particolare di preti, vescovi e religiose autoctone. Le prime Afri cane venute nella Congregazione di Nostra Signora degli Apo stoli - Sr. Benigna-Consolata Archer e Sr. Augustina Quayes erano precisamente due giovani originarie dell’ex Costa d’Oro 18. 2. Alle porte del Cairo
A partire dal 1877, P. Planque stabilisce dunque i suoi mis sionari proprio nel delta del Nilo. Quattro stazioni sono già al lavoro. E si è già visto che l’ultima, Mahalla, funge da seminario perché là i più giovani tra i seminaristi possono beneficiare della legge d’esenzione 19. Ma l’obiettivo immediato è quello di avvicinarsi al Cairo. Il Padre vuole assolutamente stabilirsi a Choubrah, un immenso quartiere molto popolato, una specie di sobborgo della capitale. Ora Choubrah fa parte della Galoubieh, una delle quattro pro vince che costituiscono la Prefettura del Delta, affidata alle Mis sioni Africane... il che resta ancora da provare, perché i France scani contestano la presenza della Società in una zona che rientra - assicurano - nella loro giurisdizione del Cairo. Eterno pro blema di giurisdizione, logorante e quanto mai deludente... Il Padre è deciso a battersi, anche se c’è bisogno di tempo e di molte trattative. Scrive al Cardinale Simeoni tutte le ragioni del suo scontento. «Perché si accusano le Missioni Africane di invadere il terreno dei Francescani, quando tutte le verifiche ne cessarie sono state fatte al catasto del Cairo e al Ministero delle Finanze?». E come accettare da Mons. Chicaro, il vicario apo stolico dell’Egitto, «questa opposizione che non è affatto giustifi cata»? «Choubrah - ha dichiarato quest’ultimo - giunge proprio fino alle porte del Cairo!». Al che P. Planque risponde, non senza una certa irritazione: «Bisognerà pure che il Cairo finisca da qualche parte! Ebbene! Il Cairo finisce là dove comincia 18 Sr. Benigna e Augustina entrarono nel Noviziato a Vénissieux nel 1930. 19 Si vedano sopra le leggi militari del 1887 in Francia.
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Choubrah!» 20. E l’ufficio di Statistica, anch’esso consultato, dice la stessa cosa!... «Altre ragioni, tutte perentorie» spingono il Superiore ad usare fermezza. Prima di tutto le scuole, la cui apertura è stata richiesta con insistenza in occasione di un recente viaggio che ha fatto in Egitto21. «Saranno subito fiorenti», gli hanno assicurato. Si vuole dunque aspettare che i «Protestanti, che hanno tante magnifiche opere, occupino il posto?»... o si preferisce vedere una scuola dell’Alliance française, piuttosto ostile alla religione...? «Si riesce ad immaginare il vantaggio incomparabile che si avrebbe per la Prefettura delle Missioni Africane ad avere una stazione vicina alla capitale, dove sono gli organismi ufficiali, il che faciliterebbe il mantenimento di relazioni continue con il go verno?» 22. Ancora una volta, Roma - e non è una sorpresa... - chiede a P. Planque di piegarsi davanti al più forte. Niente scuole per il momento, gli dicono. L’apertura sarà rinviata addirittura fino al 1914. Il Prefetto Simeoni gli fa scrivere da Mons. Morcos che la Società deve accontentarsi per il momento di stabilire una Pro cura a Choubrah. La decisione è dura, difficile da comprendere... P. Planque ci tiene tanto alla scuola, « l’opera veramente capitale per arrivare allo scopo della missione». E tanto più in Egitto dove «non bisogna farsi illusioni: chiunque voglia farsi missio nario deve farsi maestro di scuola!» 23. Tuttavia, «come figlio sot tomesso a Propaganda Fide», il Padre accetta, «per il momento, di sospendere il suo progetto». Ma da buon Fiammingo testardo quale è sempre rimasto, anche se si mostra rispettoso, non può soccombere completamente quando sa di essere nel giusto. Una Procura? «No, egli non ama quel genere di istituzione, ma poiché è necessario, se ne occuperà». E incarica Duret «di ve 20 L. PI. al Card. Prefetto, 29.4.1886 - e a Mons. Morcos, 13.5.1886. 21 II primo viaggio del Padre in Egitto risale al marzo-aprile 1886. Ne segue un rapporto a Propaganda Fide, il 2.6 seguente e un secondo rapporto a Propaganda Fide. Si noti che ritornerà in Egitto altre sei volte... 22 L. PI. al Card. Prefetto, 12.8.1886. La lontananza dalla capitale era stata causa di difficoltà in occasione dell’apertura della casa di Zifté. 23 L. Pl. a P. Desribes, 1.7.1885 e a P. Biel, 22.7.1885.
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dere con molta calma le vie e i mezzi per stabilirla» 24. «Tuttavia - ripete al Cardinale - questo non vuol dire che Choubrah non sia un territorio della Galoubieh e non sia incorporato nei limiti della Prefettura, che ci è stata affidata da Propaganda F ide»25. Da Roma giungono parole di incoraggiamento. Un suo amico segretario gli ha scritto: «Abbiate pazienza, a poco a poco arrive remo a quello che voi desiderate...»26. Rimane quindi in attesa, assorbito d’altronde da numerose altre occupazioni, ma non ab bandona la sua idea... A partire dal 1891 si comincia a parlare nuovamente di Choubrah. Il Padre cerca anzitutto di accertarsi di nuovo sui li miti: non si sa mai... e i Francescani sono così puntigliosi, per non dire fastidiosi! Ma che cosa lo spinge a riprendere il dossier? Forse il decreto di indipendenza totale della Prefettura promul gato il 15 maggio, o l’arrivo di un nuovo Prefetto di Propaganda Fide?27 Si sa anche «che un grosso affare» militerebbe ora a favore di Choubrah. Quella proposta con la quale «gli è stato chiesto il concorso della Società», e che egli vuole studiare sul posto con Duret in occasione del suo prossimo viaggio, potrebbe essere la creazione di una scuola di medicina, al Cairo o in un luogo vicino, che gli è stata suggerita da alcuni medici e benefat tori. Ed anche se quest’ultimo progetto rimane senza un domani, Il Padre ha tuttavia deciso di agire e anche di «forzare»... Senza aspettare ulteriormente la conferma dei limiti della Prefettura, che saranno definitivamente riconosciuti da Roma in giugno - e già dalla fine di aprile, ha chiesto a Duret di proporsi come ac quirente del famoso palazzo della principessa Anga Hanem a Choubrah 28. In questa vasta casa «potremo mettere il seminario 24 L. PI. a P. Duret, 2.6 - 13.10 e 29.10.1886: «Voi a Choubrah non siete in terra straniera, abbiamo il diritto di rimanerci!». 25 L. PL. al Card. Prefetto, citata in n. 22 e a P. Duret, 16.4.1892. 26 L. PI. a P. Duret, 14.9.1886. 27 Si veda più sopra il decreto sulla prefettura del Nilo. Fu all’inizio dell’anno se guente che il Card. Ledochowski giunse a Propaganda Fide. 28 Ciò avvenne il 9 maggio 1893. In seguito il Padre spiegò tutto al Card. Prefetto (15 maggio) messo in qualche modo davanti al fatto compiuto... Bisogna dire che il nuovo Prefetto non era molto al corrente del dossier.
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- scrive al Card. Ledochowski - e altre opere importanti, a co minciare dal dispensario dove si curerà ogni giorno un gran nu mero di malati. E vi si potranno battezzare eventuali bambini in pericolo di morte». Non è la prima volta - vogliamo farlo notare a questo punto - che P. Planque menziona il battesimo dei bambini moribondi. In Egitto, infatti, questo è stato uno dei più importanti punti del suo apostolato per vari anni, e lui stesso ci teneva molto. Le «lunghe passeggiate» che raccomanda alle Suore, le «corse lon tane da cui esse tornano spossate, ma contente, e di cui egli si complimenta» sono sempre piene «di avventure», e si capisce subito che cosa si intende dire con queste parole. Ma dal punto di vista della teologia attuale, e del rispetto delle convinzioni e della responsabilità dei genitori, è certo che questa forma di zelo appare oggi più che discutibile. Ma per giudicarla, bisognerebbe saperla inserire all’interno della sua epoca, nel contesto di un’e ducazione alla fede, dove la certezza della salvezza era insepara bile dalla pratica dei sacramenti e dall’appartenenza visibile alla Chiesa. La missione di Choubrah sta quindi per nascere, e il semi nario vi è trasferito in tempo per l’inizio delle lezioni nell’ottobre 1893, ma le Suore rimangono a Mahalla. «Libere dai Seminaristi che davano loro tanto da fare» - ironizza il Padre - «esse po tranno sviluppare la scuola senza trascurare il dispensario». In realtà, l’anno seguente, sono già in due - Sr. Dominique e Sr. Athanase - a raggiungere Choubrah dove non si può fare a meno di loro sia per cucire tonache sia per occuparsi dei malati, perché nella nuova missione, la prima opera dopo il seminario sarà un grande centro di cure. A partire dal 1894, la casa sembra dunque solidamente stabilita... e senza altre contestazioni... ci saranno voluti «appena» otto anni! Da quel momento « i Padri Francescani potranno ben agi tarsi» e decidere di stabilirsi a Matarieh e a Zeitoun... ma arrive ranno almeno in fondo ai loro progetti? P. Planque non se ne cura, anche lui ha intenzione di fare a Matarieh una piccola co struzione e poi, nel 1896, avere a Zeitoun - all’altra estremità del Cairo - parrocchia, collegio e pensionato che, con Choubrah, 261
diventerebbero per i Padri e le Suore uno dei loro più grandi centri di attività nel paese 29. Quando nel 1903 Mons. Pellet visita le missioni in Egitto P. Planque è troppo stanco per spostarsi - trova al Cairo e nel Delta sei stazioni in cui lavorano venti Padri e trenta Suore... un buon inizio! Missioni attive che camminano bene e si sviluppano rapidamente, e che giustificano la richiesta del Superiore di ve dere elevare la Prefettura d’Egitto al rango di Vicariato apo stolico. Per questo scopo, ha preparato sin dal 1900 un rapporto che vuole fare passare tra le mani del Segretario ai Riti orientali. Ma non vedrà la promozione di questa provincia, che gli sta tanto a cuore. Soltanto nel 1909 sarà costituito il Vicariato del Delta Egiziano, di cui P. Auguste Duret - che ha già più di trent’anni di presenza nel paese, nel quale ha aperto la prima missione - diventa naturalmente il primo Vescovo.
3. Il «prim o» Vicariato
II D ahomey Mentre i missionari andavano dall’Algeria al Capo e poi in Egitto, che ne è stato delle prime stazioni fondate, del loro sviluppo, della vita delle prime comunità cristiane stabilite sulla Costa di Guinea? Certamente, non sono state né abbandonate, né lasciate a se stesse, ma dopo i lutti ripetuti subiti dalla Società sin dalla fonda zione, è vero che P. Planque si è volto verso altre terre e altri climi per sfuggire al ciclo infernale di morte ed inviare Padri e Suore dove questi avrebbero avuto qualche possibilità di conti nuare e di vivere. Riguardo a questo punto, si spiega con fran chezza presso il Cardinale Simeoni: «Noi amiamo il Bénin30, io credo che questo sia, di tutta l’Africa, il punto più favorevole per 29 Ci si occupò anche di far costruire la chiesa di Zeitoun: L. PI. a P. Villevaud, 5.2.1902 e a P. Faillant, 14.5.1904. 30 Dal 1870, «Bénin» era il nuovo nome del Vicariato apostolico del Dahomey, creato nel 1860 per le Missioni Africane.
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lo sviluppo di una missione. Ma, come ho già detto a Sua Emi nenza, per una Società c’è bisogno di punti più favorevoli, perché se i membri sono spazzati via rapidamente, come si possono avere degli uomini con esperienza e maturati nella pratica?»31. Sarà sempre uno dei problemi più angoscianti della Società, quello della scomparsa di uomini e donne giovani e spesso pieni di ardore. Quando P. Borghero si è allontanato da questo paese per non tornarci più, ha lasciato due stazioni in piena attività, Whydah e Porto-Novo. La seconda è già promessa ad un grande futuro cristiano - anche se non è stato facile entrarci, sia per gli Inglesi, sempre pronti ad occupare un punto della costa, sia per gli ufficiali francesi, che avrebbero volentieri dato la preferenza ai Padri dello Spirito Santo. «Propaganda Fide non si meraviglierà dunque che Porto-Novo sia stato scelto per ricevere la prima comunità di religiose e la prima scuola femminile»32. «Il loro arrivo, d’altronde darà un grande slancio alla missione, elevando la condizione della donna e permettendo di fondare presto delle vere famiglie» 33. Nello stesso anno (1868), sarà fondata anche la stazione di Lagos, una città di più di ventimila abitanti e la cui importanza è grande nel Golfo a causa della sua posizione e del traffico mer cantile. Nel pensiero di Borghero, che l’aveva già visitata, questa città aveva tutto il necessario per diventare la sede del Vicariato. P. Planque ci teneva anche lui a Lagos: «Non potete dubi tare del mio desiderio di stabilirci subito e convenientemente», scrive a Courdioux34. Ma la casa che questi ha scelto costa molto e il Cardinale Prefetto ne sconsiglia l’acquisto. Allora, nel l’attesa di qualcosa di meglio, Bouche che non vede l’ora di aprire la sua missione, decide di costruire lui stesso una capanna di bambù insieme al Fratello che lo accompagna. Così sarà fon 31 L. PI. al Card. Simeoni, 2.2.1880. 32 Cfr. il rapporto indirizzato a Propaganda Fide da P. Planque il 2.1.1868. Fu a Porto-Novo che si stabilirono le prime quattro Suore inviate dalla Congregazione di Couzon, nell’aprile 1868. 33 Rapporto di P. Planque al Consiglio di Propaganda Fide, 11 aprile 1868. 34 L. Pi. a P. Courdioux, 20.3.1868.
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data Lagos, in maniera molto modesta e in una reale povertà. Appena si sarà trovato da alloggiare le Suore, arriveranno anche Colette, Angèle, Marie-Joseph e Véronique che apriranno la scuola e si metteranno al lavoro. E poiché la città è sotto il con trollo britannico, P. Planque prende già delle misure per permet tere ai seminaristi di imparare l’inglese 35. Tuttavia Whydah, la prima stazione a dare tante speranze, è diventata nel corso degli anni un luogo di meschinerie e di riva lità. I Padri sono stati cacciati dal forte portoghese e le vessazioni continuano, sia da parte del prete di San Tomé che degli agenti del governo. Dopo molte esitazioni e rimpianti, si giunge dunque «a sopprimere questa missione», che non è ormai altro che «il campo della delusione», sebbene non sia mai venuta meno la speranza di ritornarvi36. Già i Padri avevano rivolto la loro attenzione su Agoué. Al centro del regno del Dahomey, questo porto, ad ovest di Whydah, è uno dei più frequentati della costa, anche se ha perso importanza con l’abolizione della tratta. Agoué diventerà «una bella missione da cui ci si potrà spingere più avanti, sarà un an golo dove il Vangelo darà più frutti» 37. In poco tempo «vi sono più bambini in questa scuola che in quella di Porto-Novo ed è già stato celebrato il primo matrimonio cattolico» 38. Una volta rassicurate riguardo alle disposizioni pacifiche degli abitanti, vi giungono anche le Suore. «Date notizie del vostro insediamento e di ciò che fate», chiede il Padre, sempre un po’ sul chi-va-là, vista la precarietà delle condizioni di vita... «e poi, ricordatevi: l’opera che state intraprendendo su questo nuovo campo sarà come voi stesse la farete con le vostre virtù e la vostra dedi zione» 39. 35 L. PI. al Card. Barnabò, 19.3.1869. P. Planque aveva chiesto a Mons. Vaugham di accettare due giovani di Lione al nuovo Seminario delle Missioni Estere di Londra, affinché potessero studiare l’inglese mentre continuavano gli studi di teologia. 36 L. PI. al Card. Barnabò, 9.6.1871. Cfr. lettera PI. a P. Bouche, 19.8.1868: Il Superiore avrebbe voluto mantenere il posto per poter agire più vigorosamente al mo mento opportuno, ma non ci fu verso... 37 L. PI. a P. Moreau, 16.6.1878 e a P. Poirier, 20.3.1878. 38 L. PI. al Card. Simeoni, 2.2.1880. 39 L. PI. alle Suore di Agoué, 4.9.1878.
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Ma se si vuole portare ancora più avanti lo sviluppo di questo grande Vicariato del Dahomey, - chiamato dal 1870, Vicariato del Bénin - che va dal fiume Volta fino al Niger, e favorire la fondazione di nuove stazioni40, diventa importante pensare ad una divisione del territorio. E senza dubbio la trattativa non sarà facile, poiché Propaganda Fide ha altri progetti da offrire alla Società dalla parte della Liberia. «M a io farò ugualmente con molta calma la mia proposta - scrive il Superiore a P. Ménager Se riuscirò, dal Volta al fiume di Porto-Novo avremo una piccola ma bella missione che potrà estendersi a piacimento verso l’in terno»41. Alla fine otterrà che tutta la regione intorno a Lagos, dal Niger al fiume Ouémé, formi da sola il Vicariato del Bénin, affidato a P. Chausse che ne diventa Pro-Vicario, mentre l’altra parte, dall’Ouémé al Volta, costituirà intorno ad Agoué una Pre fettura indipendente da Lagos, quella del Dahomey - che ripren derà così l’antico nome. Per Ménager, che ne è diventato Prefetto, «è troppo poco avere una sola residenza: Agoué». Desidera quindi fondare altre stazioni, anche all’interno, il che sarebbe molto conveniente per uscire dalla zona delle febbri. Sono passati ormai vent’anni dal primo arrivo e se, nel Bénin, i Padri Chausse e Holley sono par titi dopo poco alla conquista di questo entroterra, di cui non si finisce mai di preoccuparsi, dal lato del Dahomey, nulla è ancora stato veramente tentato per allontanarsi dalla costa. Tuttavia, non ci si può meravigliare se i Padri non hanno continuato le prime indagini cominciate da Borghero, se si pensa in quali con dizioni essi hanno cominciato la loro missione. Poiché una volta superato l’ostacolo della lingua, - al quale si sono dedicati con coraggio ed efficacia - resta, per penetrare all’interno del paese, la barriera costituita dalla mancanza di sentieri o anche di piste e di ogni mezzo di trasporto. A volte vi si aggiunge anche l’ostilità di alcune popolazioni di fronte all’arrivo di Bianchi più o meno imparentati con quegli Europei la cui dominazione fa paura. 40 Si veda quanto il nome Rapporto di P. 19.3.1869 e del 41 L. PI. a
n. 30. Fu P. Borghero a sollecitare il cambio di nome al Vicariato, in di Dahomey era detestato dalle tribù vicine al regno di Glé-Glé. Cfr. il Planque a Propaganda Fide, 31.7.1865. Si vedano anche le lettere del 24.4.1870. P. Ménager, 3.5.1882.
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Come i suoi confratelli di Lagos, P. Ménager vuole osare. Ma la prima delle sue audaci iniziative non sarebbe quella di ritor nare a Whydah dove, malgrado i cattolici che reclamano dei mis sionari e il Chacha 42, che promette la pace, vi sono sempre gli stessi problemi causati dai Portoghesi? P. Planque si chiede se quello sia veramente il momento opportuno di riaprire la stazione, ma mentre egli moltiplica le trattative in questo senso, P. Dorgère, - del quale vedremo più avanti il carattere piuttosto «ardito» —senza porsi problemi, rioccupa la missione con due religiose! Whydah riprende vita nel giugno 1884 e il Superiore si aspetta di «vedere rinascere le speranze di una volta in questa residenza che rimpiangeva di aver così a lungo abbandonata» 43. Una volta acquisito questo primo punto, P. Ménager si dirige verso ovest e fonda Atakpamé nel Togoland. Ma l’avvelena mento, di cui sono vittime P. Beauquis e P. Morati, che muore, obbliga ad un ritiro momentaneo. In seguito alle convenzioni che la Francia deve accettare di firmare con la Germania, bisogna rinunciare alla parte occidentale del Dahomey, che forma il nuovo protettorato tedesco e passa sotto la giurisdizione dei Mis sionari del Verbo Divino. Tutta questa zona costituirà ben presto la Prefettura apostolica del Togo 44. Dal 1888 al 1894, la situazione diventa estremamente tesa tra la Francia e il regno del Dahomey, dove Béhanzin è succeduto a Glé-Glé 45. Ma il figlio è ancora più feroce del padre, assoluto nel suo potere, che fa della crudeltà e della schiavitù i suoi mezzi di governo. Ne scaturisce un conflitto aperto, nel quale si trova particolarmente implicato - soprattutto nel primo periodo, quello in cui si spera ancora in una soluzione pacifica - P. Alexandre Dorgère, superiore di Whydah. Preso tra gli ostaggi, maltrattato e imprigionato come loro, è alla fine incaricato dal governo francese di tentare una conciliazione presso il re ad Abomey46. 42 43 44 dovuto 45 46
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II Cha-Cha svolgeva un ruolo di viceré o di governatore. L. PI. a P. Ménager, 30.7.1884 e al Card. Simeoni, 5.8.1884. L. Pi. a P. Zappa, 11.5.1892: «Malgrado le promesse fattemi a Roma, abbiamo cedere le nostre stazioni ai missionari tedeschi». Glé-Glé era morto alla fine del 1889. Si veda più avanti in «Missionari e coloni».
La missione riesce, ma la situazione rimane ambigua e i due ne goziatori, Cuverville e Dorgère, sono criticati dal governo per aver mancato di fermezza. Un anno dopo, nulla può impedire lo scoppio di una guerra, e Béhanzin non sfugge ad una sorte che la Francia si sarebbe probabilmente onorata di addolcire, una volta ristabilita e assicurata la pace 47. P. Planque è vissuto lontano dagli avvenimenti, ma nono stante ciò vi ha svolto un ruolo attivo, cercando soprattutto di evitare il rinnovarsi delle guerriglie sanguinose che in passato avevano straziato tutto il paese48. A partire dal 1893, durante la seconda fase delle ostilità, è sollecitato a venire in un altro modo in aiuto ai suoi compatrioti vittime della guerra, quando il Segre tariato di Stato delle Colonie chiede delle religiose per il servizio negli ospedali di Porto-Novo, Whydah e Cotonou49. «Abbiamo ritenuto giusto accettare», scrive, e ben dodici Suore saranno mobilitate per questo nuovo genere di missione. Sempre pronto a rispondere agli appelli e a rendere i servizi che considera neces sari per il bene delle persone, fa affidamento sulle sue fighe, ricordando loro di essere all’altezza delle nuove responsabilità e, sempre come testimoni della fede, mostrarsi attente al bene spirituale di coloro che vanno a curare50. La situazione è nuova e piuttosto delicata, incarica perciò Sr. Véronique di supervisionare i tre centri mentre Sr. Colette controllerà il mantenimento della riservatezza, della serietà e dello spirito della Congrega zione. Quanto a P. Pellet, sempre fraterno con le comunità, gli è chiesto di essere vicino a queste infermiere improvvisate per aiu tarle e sostenerle. «Una volta avviato il lavoro - aggiunge il Padre - avranno meno difficoltà»51. Il ritorno alla pace e ad una maggiore sicurezza per tutti offre 47 Béhanzin era stato bandito dal Dahomey nel febbraio 1894. Partito per la Marti nica con la sua famiglia, tornò per morire a Blida nel 1906. Le sue ceneri furono restituite dalla Francia nel 1928 e il Dahomey accompagnò questo ritorno con grandiose cerimonie. 48 Fu a questo scopo che fece numerosi interventi presso funzionari francesi. 49 L. PI. al Sottosegretario di Stato delle Colonie, 3.5.1893. 50 L. PI. a Sr. Monique e a Sr. Marie de l’Assomption, 8.11.1893. 51 L. PI. a P. Pellet, 9.7.1893. Egli desiderava che «le Suore fossero rispettate e che si comportassero in modo da essere in tutto e sempre rispettate».
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alla missione del Dahomey un’altra possibilità per progredire. La stessa Whydah sembra ritrovare il suo primo slancio. E anche vero che il protettorato portoghese non esiste più. «Vengo a sa pere con piacere che la casa va avanti bene», scrive il Padre alla comunità. «Bricet ha avuto ragione di stabilirvi la sua residenza, questa città sembra essere chiamata a svolgere un ruolo sempre maggiore, ma voi non tarderete a vedere ancora altre stazioni stabilirsi e acquistare importanza» 52. Tuttavia rimane da regolare un punto delicato, ossia la deli mitazione esatta della Prefettura del Dahomey, in maniera parti colare nelle due zone dell’Est e del Nord, una decisione che interessa, come vedremo più avanti, il governo francese, ma so prattutto Propaganda Fide che suddivide le giurisdizioni. Il primo sforzo di P. Planque consiste nel convincere Mons. Pellet ad abbandonare Porto-Novo, poiché questa stazione che di pende dal suo Vicariato del Bénin si trova in territorio dahomeano. «Non è senza sofferenza che Mons. Pellet ne accetta il ricongiungimento alla Prefettura - perché Porto-Novo è una mis sione fiorente - ma ha dato il suo assenso a fin di bene» 53. Una volta risolto questo problema ad est, rimangono da de terminare i limiti del nord che non sono mai stati veramente fissati. Ora, il Padre desidera vivamente vederli allargati fino ai confini del protettorato francese, perché ha il progetto di instal lare una stazione nel Gourma54. Invia, dunque, a Roma una carta della regione, che si è fatta dare dal governatore; sa, però, che questo significa opporsi ai Padri Bianchi. Costoro non na scondono la loro intenzione di ingrandire verso sud il territorio della loro delegazione del Sahara e del Sudan, «già così esteso rispetto alla piccolezza del Dahomey - scrive il Padre, prote stando - che non si potrebbe neanche credere se non lo si ve 52 L. PI. a Sr. Claire e alle Suore di Whydah, 21 e 22.1.1900. Egli deplorava che «Agoué, vicinissima al Togo tedesco, vedesse la sua popolazione diminuire e svilupparsi poco...» 53 L. PI. a P. Pellet, 3.12.1900, al Card. Ledochowski, 23.5.1900 e 20.12.1900. 54 L. PI. al governatore del Dahomey, sig. Ballot, 16.6.1898. La proposta di andare nel Gourma gli fu fatta dal governo francese.
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desse con gli occhi sulla carta!...»55. «La questione dei nostri limiti settentrionali nel Dahomey potrà essere veramente si stemata soltanto dall’autorità di Propaganda Fide» - dirà ancora - perché «Mons. Hacquart non vorrà mai ascoltare le nostre ra gioni». Ci vorranno altri mesi di messe a punto 56, per arrivare ad un accordo. Ma questa volta, dopo un attento esame, Propaganda Fide si schiera a fianco di P. Planque. Se è stato veemente, se condo la sua abitudine, il Padre è riuscito a far valere le sue ragioni con franchezza e convinzione. Il Cardinale Prefetto rico nosce dunque al territorio della missione del Dahomey gli stessi limiti che ha la colonia francese57, e, nello stesso tempo, per manifestare ancora di più il suo interesse verso la Società, eleva la Prefettura al rango di Vicariato apostolico58. Mons. Louis Dartois ne diventa il primo titolare, ricevendo, qualche settimana dopo, la consacrazione episcopale a Cambrai, sua diocesi di ori gine 59. Il nuovo vescovo avrà appena quattro anni per ridare vita alle stazioni esistenti - scompaginate dalla guerra - e per aprirne delle altre, come Cotonou nel 1901, Abomey nel 1902. Stanco per le sue attività e i suoi numerosi spostamenti, non resiste all’e pidemia di febbre gialla, che infierisce di nuovo. Al ritorno da Agoué, dove è andato ad accogliere Mons. Pellet in giro per le missioni del Golfo, muore a Whydah, vinto dalla malattia, in modo così repentino che P. Planque scriverà a Roma: «Ho per sino dubitato per un istante del senso del dispaccio che annun-
55 Questa nuova frontiera avrebbe lasciato alla giurisdizione delle Missioni Africane la regione tra il sud del Parakou e la costa. Cfr. lettere PI. a Mons. Hacquart, 20.8.1901 e al Card. Prefetto, 22.10.1898 - 22.3.1900 e 20.12.1898. 56 Fu necessario ricorrere al governo francese: si veda più avanti. 57 Questo Decreto di Roma riguardo ai limiti risale al 24.5.1901, cfr. L. PI. a P. Darois. Propaganda Fide aveva voluto soddisfare allo stesso tempo il governo francese, cfr. L. PI. a P. Zappa, 4.6.1901. 58 L. PI. al Card. Prefetto, 11.5.1901, a P. Dartois, 24.5.1901, 13 e 17.6.1901. P. Bricet aveva rifiutato l’episcopato e divenne Procuratore a Roma. 59 Louis Dartois fu consacrato il 25.7.1901 a Cambrai. Si veda L. PI. a P. Bricet, 13.8.1901: «Dopo la Consacrazione, ho assistito P. Dartois alla sua prima messa nella sua parecchia natale di Wez-Macquart».
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dava la sua morte» 60. Lui stesso e Mons. Pellet non potranno che provare rimpianto e pena per questa grave perdita che col pisce il Dahomey, e tutta quanta la Società. Era il 3 aprile 1905 e Mons. Dartois aveva solamente quarantaquattro anni... L’anno seguente, P. Steinmetz, Superiore di Whydah, è no minato per sostituire il suo confratello defunto. Il nuovo Ve scovo, da lungo tempo al lavoro in questo paese, è conosciutis simo da tutti ed ha già redatto un catechismo in lingua fon. Ciò sta a significare che avrà maggiori possibilità di estendere il Vica riato creando nuove stazioni all’interno. Il suo episcopato, che durerà quasi trent’anni61, sarà, a ragione, identificato ad un pe riodo di grande espansione cattolica nel Dahomey 62. Verso Lagos Che ne è stato intanto dell’altra metà del territorio che ha conservato il nome del Bénin - quella che diventerà in seguito la zona ovest nella futura Chiesa della Nigeria? Per seguirne lo sviluppo, bisogna tornare a Lagos e alla vasta regione che la cir conda. Dopo aver aperto la stazione, Bouche aveva concentrato tutti i suoi sforzi sui giovani, e P. Chausse che lo aveva sostituito, aveva continuato a lavorare allo sviluppo delle scuole, da sempre uno dei tratti caratteristici di questa missione. Si comprende il motivo per cui quest’ultimo lancerà ripetuti appelli all’Irlanda, in quanto bisognoso di Padri e Suore che parlino l’inglese 63. Quando diventa Superiore delegato, decide di andare a visi tare i dintorni. Per quest’uomo coraggioso e intraprendente certamente non si potrà accusarlo di immobilismo - risalire verso il Nord, sarà uno dei grandi obiettivi della sua lunga presenza nel Bénin. Un primo viaggio lo conduce, in compagnia di P. Holley 60 L. PI. al Card. Gotti, 18.4.1905. 61 Nominato il 13.6.1906 (L. PI. al Card. Gotti), Mons. Steinmetz morì il 29.3.1952 a.Whydah, dove si era ritirato. 62 Cfr. Cornevin, H istoire du D ahom ey, op. cit., p. 437. 63 Si veda più avanti (cap. 14).
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presente in tutte le spedizioni, fino a Abéokuta, la capitale del paese degli Egba. Prima di loro, Borghero aveva già visitato questo grosso centro di più di 100.000 abitanti, ben situato sul fiume Ogun, dove sperava di poter fondare una futura stazione. La cosa va a buon fine grazie al favore del re Ogundipe e ai buoni uffici di un commerciante della regione. «Buone notizie da Abéokuta», annuncia P. Planque nel dicembre dello stesso anno, «ogni domenica, almeno 600 persone vanno a sentire le pre diche» 64. Anche le Suore avranno la loro parte nel successo della stazione, che ha dato loro un immenso campo di apostolato con la scuola, la cura dei neonati e, più tardi, un importante villaggio di lebbrosi costruito poco lontano 65. Ma Abéokuta non è che un punto di partenza. Chausse e Holley pensano ad una spedizione di più ampio respiro e, nel l’autunno del 1882, nella stagione in cui più facilmente si può risalire il Niger, tutti e due ripartono in direzione nord. «Lì, hanno trovato un paese sano e una popolazione numerosa. Credo che si possa stabilire una bella missione in questa zona» 66. Questa zona di cui parla P. Planque reperendola sulla carta - e da cui i viaggiatori non torneranno che dopo un lungo giro di quattro mesi - bisogna situarla ad ovest e a nord di Lagos. Raggiungono quindi Onitsha, poi Lokodja alla confluenza del Niger con la Bénoué, notando che sulla riva sinistra, si trovano in pieno paese musulmano, mentre sull’altra riva sono radunati gli animisti, fuori dalle frontiere del loro Vicariato. Con un lungo periplo sulla riva destra della Bénoué, tornano a Ilorin. Là, sono ricevuti dal re, sorpreso, ma molto onorato di sentire i missionari salutarlo in yoruba, la sua lingua, senza aver bisogno di inter prete. Prima di rientrare a Lagos, nel gennaio 1883, i missionari visitano anche Ibadan - importante quasi quanto Abéokuta. Ma il luogo che sembra più adatto ad accogliere una nuova stazione è certamente Oyo, dove il re si è ugualmente mostrato molto ben disposto. A cinque giorni da Abéokuta, questa nuova mis 64 L. PI.al Card. Simeoni, 26.12.1880. 65 L. PI. al Card. Simeoni, 20.7.1884 e a Sr. Monique, 13.11.1886. 66 L. PI. a Propaganda Fide, 24.3.1883 e 27.12.1883.
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sione dovrebbe permettere di spingersi su tutto il regno. «Adesso conosciamo bene l’insieme del Vicariato», scrivono, stilando un bilancio positivo di tutto ciò che hanno vissuto e delle popola zioni che aspettano il loro arrivo... anche se il Yorubaland, in gran parte animista, conta una forte presenza musulmana e tante chiese protestanti molto frequentate! Sfortunatamente, P. Holley, il compagno così entusiasta nella scoperta e nell’arte dei racconti pittoreschi di ogni viaggio, muore improvvisamente; ma nonostante il dolore di questo lutto, Chausse prosegue la sua azione. A Tokpo la fattoria funziona bene: è una vera colonia agricola alla quale sarà presto aggiunto il primo orfanotrofio, dove «i giovani saranno preparati a fare lavori proporzionati alla loro e tà » 67. Dopo Oyo, altre stazioni potranno essere create, se si lascerà il tempo necessario perché si formino solidi nuclei cristiani. A questo punto, questa missione che sembra già pronta per una grande espansione non merita un vescovo? Sono «i cattolici di Lagos e i missionari del Bénin che hanno preso l’iniziativa delle trattative» e chiedono che P. Chausse sia nominato Vicario apostolico del Bénin 68. Ma il Superiore generale li ha già prece duti di parecchi mesi. E stato lui a chiedere a Roma di concedere la dignità episcopale a questo missionario, che ha tanto lavorato e si è conquistato stima ed affetto69. Diventato vescovo, P. Chausse vorrebbe spingere ancora l’evangelizzazione nello Yoru baland, ma richiamato a Lione per l’Assemblea del 1893, non rivedrà più il Bénin, perché vinto in pochi giorni da una polmo nite aggravatasi improvvisamente 70. Viene meno, così, un altro grande missionario della Società, i cui ventitré anni in Africa ma due e mezzo soltanto di episcopato - lasceranno una pro fonda traccia. Nonostante gli screzi degli ultimi anni con P. Planque, quest’ultimo l’ha sempre considerato un sostegno e uno dei suoi figli prediletti. 67 L. PI. a Propaganda Fide, 2.2.1880 e a P. Chausse, 23.9.1885. 68 L. PI. al Card. Prefetto, 12.12.1890. 69 L. PI. al Card. Prefetto, 18.1.1890: «Quando le nostre Costituzioni saranno ulti mate domanderò a Sua Eminenza di nominare P. Chausse Vicario apostolico.» 70 Sulla consacrazione e la morte di Mons. Chausse, si veda sopra, cap. 12.
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A succedergli nella sede di Lagos viene P. Paul Pellet71, un missionario «prudente e moderato», già in Bénin dal 1884. Molto attivo e amatissimo, lascerà il suo popolo con grande sof ferenza quando, nel 1901 nominato Vicario generale della So cietà e Assistente di P. Planque, dovrà risiedere a Lione. La stazione, ancora una volta vuota sarà affidata a Mons. Joseph Lang, allora Superiore a Lagos, «un buon confratello - dirà P. Planque - i cui precedenti ci permettono di sperare che il suo ministero porti dei buoni frutti in tutto il Vicariato» 72. Malgrado questi ripetuti cambiamenti, la missione del Bénin non ha smesso di progredire, per cui, alla morte di P. Planque, conta otto stazioni residenziali, di cui cinque all’interno del paese, altret tante case di Suore e numerose stazioni secondarie.
L’Alto N iger Bisogna prendere in considerazione ora, quei luoghi in cui il grande giro intrapreso dai Padri Chausse e Holley nel 1882-1883 ha dato comunque dei risultati molto positivi, che si estende ranno al di là del Dahomey e del Bénin. Dalle osservazioni fatte dai Padri in direzione nord, si deduce infatti che tutta la zona lungo la riva destra della Bénoué potrebbe diventare un buon territorio di missione73. Su loro indicazione, P. Planque informa Propaganda Fide delle possibilità di tentare l’evangelizzazione in una regione poco conosciuta dai missionari, ma già percorsa in tutti i sensi, anche in modo veramente esagerato, dalle agenzie commerciali. Secondo Cornevin74 si contavano, nel 1883, 63 agenzie commerciali, di cui 32 inglesi e 31 francesi, le prime si tuate soprattutto verso sud, vicino al Delta del Niger, le altre lungo il fiume fino alla confluenza della Bénoué 75. Dalla stessa fonte sappiamo che tra i due fiumi, sebbene i 71 P. Pellet era in quel momento Procuratore del Bénin. 72 L. PI. al Card. Prefetto, 6.8.1902. 73 Si veda sopra il viaggio dei PP. Chausse e Holley. 74 Cfr. H istoire du D ahom ey, op. cit.y p. 307. 75 II Conte di Semellé, esploratore commerciante, offrì il suo aiuto per questi inse diamenti.
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prìncipi siano musulmani, la gente invece, e particolarmente gli schiavi, è in maggioranza animista, quindi più facile da incon trare. Quanto ai Protestanti, sono già ben stabiliti con un nu mero elevato di stazioni, ma tuttavia non sono molto amati, a causa del loro comportamento autoritario con gli abitanti. Altre informazioni sono state fornite da un agente di commercio francese, il sig. Viard. Ma costui, che continua le sue indagini, per non dire i suoi intrighi, tra Abéokuta e il mare, sarà causa di tensioni e d’incidenti diplomatici in una regione dove politici e mercanti sono già rivali tra di loro. Preoccupato per i nuovi insediamenti più che dei protettorati che rivaleggiavano, il Superiore generale propose a Roma «di stabilire una nuova giurisdizione in quelle contrade che comincia vano ad aprirsi e di affidarla alle Missioni Africane» 76. Questa volta, la risposta non tardò e in sei mesi arrivò il Decreto che stabiliva la Prefettura del Niger, quarto cantiere apostolico della Società77. D’accordo con Mons. Fava, P. Poirier fu designato come primo Superiore, perché, efficiente nella sua azione, aveva già una buona esperienza della missione. Nel settembre 1884 partì con due compagni e giunse in tempo per risalire il fiume, prima che le acque fossero troppo basse, e poter sbarcare a Lokodja 78. Furono ricevuti dal sig. Mattei, un comandante francese che offrì loro, in attesa di una vera casa, tre stanzette dove allog giare. Ma la città, per quanto importante, non era ancora un centro possibile per l’evangelizzazione. I Padri si trovarono coinvolti in una grossa rete di agenti commerciali, di compagnie rivali, e di fronte ad un Islam potente e organizzato. Avrebbero preferito passare sulle rive della Bénoué, il che fa supporre «che si volesse loro concedere tutta la libertà possibile di spostarsi sul terri torio». Tuttavia né P. Schwindenhammer 79, né Roma sembra vano voler dare questa «carta bianca», e si capisce l’amarezza di 76 L. PI. al Card. Prefetto, 27.12.1883. 77 L. PI. al Card. Prefetto, 23.5.1884. /8 Non si poteva risalire il fiume da luglio a novembre. 79 L. PI. al R.P. Schwindenhammer, Superiore generale dei PP. dello Spirito Santo, 15.9.1884.
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P. Poirier che si vide rinchiuso in un ambiente musulmano e poco ricettivo, mentre di fronte a lui, ci sarebbe stato tanto bene da fare presso gli animisti che nessuno visitava. Quindi, deci dendo di stabilirsi a Lokodja, i Padri intrapresero un giro di rico gnizione della regione. Ma al ritorno, Fiorentini morì per la febbre dopo dieci mesi di missione, con grande sofferenza e de lusione di tutti: « l’interno» sarebbe stato così funesto per la sa lute come ai bordi dell’Oceano? A Lione, per timore di un insediamento troppo sommario e per motivi di sicurezza, si decide di rimandare la partenza delle Suore. Tuttavia, dicono i Padri, vi sono tanti compiti che esse potrebbero svolgere. Le prime tre, Sr. Umile, Sr. Paul e Sr. Cornélie, giungono nell’autunno 1886, quando già P. Zappa, un uomo entusiasta, coraggioso, pronto ad accettare contrattempi e difficoltà, ha raggiunto Lokodja da gennaio. Era dunque chiaro che la configurazione stessa della Prefet tura comportava una modifica dei suoi limiti. «Datemi il vostro parere, scrisse il Superiore a P. Chausse il cui Vicariato era vi cino, perché io possa rispondere a Propaganda Fide che vor rebbe cambiare la ripartizione dei territori. Fare una divisione per lasciarla ad un’altra Congregazione, non mi va. Una divisione tra noi, è un’altra cosa, perché mirerei a conservare alla nostra Società ciò che costituisce il Bénin attuale, con tutte quelle popo lazioni che avete visitato e che si mostrano ben disposte» 80. D’altra parte «è meglio non estendersi verso est», secondo la consegna data a Poirier. Invece di andare a fondare qualche stazione risalendo la Bénoué, «andate dunqueverso quel reche si trova a due giorni da Lokodja e che ha chiesto dei missionari a P. Chausse perché non vuole musulmani e non va d’accordo con i Protestanti»81. «Nella regione degli Iyagba, venticinque città aspettano dei missionari». Conviene quindi orientare la Prefet tura in questa direzione, verso ovest e nord-ovest, partendo dalle due rive del Niger, con Lokodja come punto di partenza. E se si usurpa qualcosa al Vicariato del Bénin, Chausse sarà d’accordo 80 L. PI. a P. Chausse, 26.1.1887. 81 L. PI. a P. Poirier, 26.1.1887 e a P. Terrieri, 3.3. 1887.
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e si presterà a tutto a fin di bene 82. «Bisognerebbe dare alla prefettura del Niger tutta questa zona popolata di pagani che lottano contro la propaganda musulmana ed offrono al Vangelo concreti elementi di successo», ripete il Padre al Cardinale Pre fetto o a Mons. Jacobini83. Solo nel giugno 1894 saranno otte nuti i nuovi tracciati della Prefettura, rimasti a lungo in que stione 84. Ma in quegli anni, P. Poirier è tornato in Francia e Mons. Chausse è morto. Dietro consiglio di Marshall, i missionari abbandonano pro gressivamente Lokodja, dove le pratiche della schiavitù, profon damente ancorate nei costumi al pari di quelle dell’Islam, paraliz zano ogni lavoro apostolico. Ridiscendono verso sud e fondano Assaba sul fiume dove, a loro volta, giungono le Suore. Ma la scuola non sarà l’obiettivo primario. Qui, lontano dagli Europei, la gente non sente come prima necessità il bisogno di essere istruita. «Non vi chiederanno delle persone istruite - scrive il Padre - ma delle ragazze ben preparate per i diversi lavori fem minili. Avrete così il merito di preparare le prime madri di fami glia cristiane!»85. Senza trascurare i bambini, dovranno, come i Padri, essere molto vicine agli adulti, occuparsi dei malati e degli anziani, lavorare per i poveri, in mezzo a loro, essere veramente sorelle dei poveri. Infatti queste popolazioni del Niger sono po verissime, in certi luoghi possiedono appena di che nutrirsi e sono spesso decimate dalle incursioni dei musulmani che scen dono dal Nord. E molto importante, dirà P. Zappa, che i Padri e le Suore siano amate, che si mostrino «all’altezza del loro com pito» e disponibili verso gli Africani. Ci vorrà una grande dedi zione per svolgere gli umili lavori ed una pazienza immensa perché i progressi saranno lenti. 82 L. PI. a P. Poirier, 4.5.1887. 83 L. PI. a Mons. Jacobini, 10.11.1888. E vero che i funzionari britannici non facili tavano le cose e tra loro vi erano il governatore di Lagos e il sig. Marshall, uomo d’affari influente, vicino tuttavia ai missionari. Furono loro ad incoraggiare le popolazioni a vol gersi verso i Protestanti, anche se questi ultimi si mostrarono spesso troppo tolleranti per i costumi locali, anche i più condannabili. 84 Un Decreto di Roma, 25.7.1894 fissava questi nuovi limiti che corrispondevano più o meno a quelli della provincia Ovest della Nigeria attuale... 85 L. PI. a P. Zappa e a Sr. Boniface, 19.6.1889.
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Anche nelle stazioni, tutti vivono poveramente. A volte, sembra mancare anche il necessario, se dobbiamo credere a certe lettere delle Suore, a un punto tale che il Superiore, rattristato per le loro privazioni, raccomanda a Poirier di non essere molto austero 86 ed invia a ciascuna qualcuno dei suoi migliori pensieri spirituali per sostenere il loro coraggio... «Voi siete lontane ed isolate, ma Dio è con voi, non avete nessuna consolazione, ora voi seminate, più tardi verrà la messe... e voi stesse sarete stupite dalle benedizioni che Dio diffonderà attorno a voi» 87. Per il Na tale 1887 scrive: «In questi giorni in cui da tutte le parti ci si scambiano degli auguri, ai piedi del tabernacolo, io faccio gli au guri più cari ai vostri cuori di missionarie. Che la buona semente porti frutti di salvezza... il campo è grande, coperto di cespugli e spine, ma non lavorate da sole, il Maestro è con voi... Coloro che voi siete andate a cercare sono la dracma perduta di Cristo e voi gliela ridate per la Sua gioia e la riconoscenza che Egli vi por terà... Faccio anche auguri a voi personalmente: Che Dio vi con ceda di lavorare a lungo con forza e salute alla sua opera... Gioia e pace fra di voi per sostenervi a vicenda. La Sua grazia sempre... e qualche volta le Sue consolazioni!»88. In uno o nell’altro punto di questi territori, la Compagnia reale del Niger ha già compiuto numerose spedizioni punitive per fermare le guerriglie o gli usi sanguinosi. Nel gennaio 1898 questa decide di sferrare un colpo decisivo, che le permetterebbe anche di estendersi presso gli Ibo. Gli ufficiali britannici mar ciano sui villaggi e le città che vengono bruciate e devastate. Un secondo assalto più violento è lanciato in ottobre e le perdite sia di vite umane che di edifici sono pesanti. Con P. Rousselet, che ha rifiutato di lasciare i luoghi assediati, P. Zappa89 e i suoi compagni si mettono a ricostruire, mentre le Suore curano, visi tano, confortano, perché, dicono i missionari, le opere di carità in questo tempo di miseria fanno più effetto di tutte le prediche! Per riportare l’ordine e la pace, il governo britannico, che ha 86 87 88 89
L. L. L. P.
PI. a P. Poirier, 16.1.1889 e a Sr. Boniface, 8.5.1889. PI. alle Suore Émile e Boniface, 16.1.1889. PI. ai Confratelli del Niger, 28.12.1887. Zappa divenne Prefetto apostolico dopo la partenza di P. Poirier, 5.8.1896.
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ritirato ogni potere alla troppo potente Compagnia reale del Niger, crea un primo protettorato a Sud, un altro al Nord-Lagos con statuto proprio. E così che si organizza per tappe successive questo vasto territorio, che verso il 1900 prenderà il nome di Nigeria. «A poco a poco - dirà P. Strub - gli ostacoli saranno superati, e verrà il tempo delle conversioni. Il progresso del Van gelo, una volta lanciato, non si fermerà più» 90. Ma, a causa della forte presenza di musulmani, la missione sarà messa in piedi con tanta fatica...
4. La Costa d’Avorio
La parte occidentale di questa lunga Prefettura che riuniva per effetto del decreto romano del 1879 - la Costa d’Oro e la Costa d’Avorio e che si stendeva su quasi 1.000 chilometri, era rimasta - come abbiamo visto - a lungo abbandonata. Tuttavia P. Planque non ha dimenticato che la Società deve ugualmente farsi carico di quella che allora si chiamava «la Costa dei Denti». Ha già sentito dire «che laggiù vi è della gente molto interessante, buone popolazioni... che lontano dalle zone mal sane, non mancano luoghi salubri»91. E poiché, nei ministeri francesi, si comincia a parlare di Grand-Bassam e di Assinia, «noi non potremo fare a meno - dichiara - di andarvi prima o poi». Aspetta dunque che i suoi missionari ad Elmina «si informino in tutti i modi» sulle possibilità di accedere all’ovest. Dal canto suo, egli ha già raccolto diverse informazioni, sia di ordine umano che geografico, su «questa parte della costa dove la gente è vera mente forte, lavoratrice, energica, e devota», il che può «ri svegliare il massimo interesse» 92. Ma ci vuole molto per decidersi. A dire il vero, gli manca tutto per poter tentare una nuova avanzata, risorse e missionari disponibili. Non bisogna prima consolidare le fondazioni della Costa d’Oro, e «soddisfare Accra che aspetta, anch’essa, la sua 90 Citato da P. Gantly, M ission to w est Africa 2, p. 261. 91 L. PI. a P. Moreau, 16.8.1884. 92 Stessa lettera.
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missione»? 93. Tuttavia, quando Propaganda Fide, vedendo le di stese che rimangono da evangelizzare in questo grandissimo ter ritorio, gli propone di affidarne una parte ad un altro Istituto, il Superiore risponde di non averne nessuno in mente, combattuto com’è tra le sue difficoltà di personale e il desiderio di conser vare alla Società, per l’avvenire, questa «bella missione che sarà la Costa dei Denti». A partire dagli anni 1888-1890, il porto di Grand-Bassam sta cominciando ad aprirsi, grazie a due spedizioni francesi giunte al termine della loro esplorazione del paese. Le loro diverse transa zioni fanno pensare a P. Planque che non bisogna più esitare e che è arrivato il momento di andare verso ovest. Offre, quindi, al nuovo Residente, il sig. Treich-Laplène, l’aiuto dei suoi missio nari per lavorare nel paese che è stato appena affidato alla sua amministrazione. Senza dubbio una trattativa prematura, infatti si risolve con un rifiuto - senza che vi si possa scorgere tuttavia, una manifestazione di quell’anticlericalismo, la cui portata sta di ventando in questo periodo piuttosto preoccupante. Il governo mostra soltanto, sembra, una certa preoccupazione per la sicu rezza delle persone di cui ancora non può farsi garante 94. Il Padre comprende che bisogna temporeggiare saggiamente ma che nulla è perduto. «Pazienza - dice a P. Pellai, Prefetto della Costa d’Oro che vorrebbe stabilirsi al più presto a GrandBassam - voi non siete il solo ad andare in questa direzione, al ministero delle Colonie, infatti, stanno cominciando ad accogliere l’idea in maniera favorevole» 95. Soltanto alla fine del 1894 egli rilancia il suo progetto presso il Cardinale Ledochowski. Poiché gli Stati desiderano sempre più vedere coincidere i limiti delle giurisdizioni missionarie con quelle dell’amministrazione civile, ci sarebbe un grande van taggio, scrive, a «staccare la Costa d’Avorio, francese, dalla Costa d’Oro che appartiene all’Inghilterra» e formare due Prefetture
93 L. Pl. a P. Pellet, 28.5.1890. 94 Cfr. P. Trichet, C ôte d ’ivoire, les prem iers pas d ’une Eglise, t. I, p. 20, n. 16. 95 L. Pl. a P. Pellai, 10.12.1890.
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separate 96. Il Superiore ha visto giusto perché, a distanza di due settimane, gli giunge, in forma ufficiale stavolta, la proposta che aspettava. Con molta benevolenza, Binger, divenuto governatore, lo assicura che «la colonia sarebbe disposta a favorire un insedia mento» delle Missioni Africane su questo territorio che si trova «nella loro sfera d’azione» 97. Il Governatore non nasconde di avere bussato ad altre porte prima di rivolgersi alla Società. Invece non dice - ma la cosa è ugualmente certa - che, nella scelta compiuta a favore dei mis sionari cattolici, rientrano più questioni politiche che un vero in teresse per l’evangelizzazione... Per quanto lui stesso sia Prote stante, Binger vuole sbarrare la strada ad una possibile avanzata di ministri anglicani o protestanti, presenti nei paesi vicini del Bénin o della Costa d’Oro, ormai colonie della Corona, resi stendo anche in questo modo all’avanzata dell’Inghilterra. Le Missioni Africane gli sembrano quindi adatte per fare da ba luardo. Tuttavia, bisogna ammettere che la sincerità di Binger, la sua onestà e la sua volontà di operare per il bene, non sono in discussione. In appoggio alle sue proposte, il governatore presenta della Costa d’Avorio alcuni aspetti piuttosto rassicuranti, tra i quali «il clima, che è meno malsano di quanto si dica e una vegetazione più bella di tutte le altre zone. La popolazione, feticista sul lito rale e nell’interno del territorio, è molto ben disposta a ricevere i missionari, e i musulmani del Nord, molto tolleranti, non co stituiranno un ostacolo. Tante ragioni valide per lanciare un’evan gelizzazione, i cui lontani tentativi dei secoli XVII e XVIII non hanno lasciato traccia» 98. Il Superiore, deciso ad accettare l’offerta, non bada molto a ciò che essa può presentare di sorprendente, sapendo che il go verno della Repubblica —dal ministro Jules Ferry in poi - non è particolarmente favorevole alle scuole cristiane. Ancora meno 96 L. PI. al Card. Ledochowski, 27.12.1894. Cfr. anche la lettera di P. Pellat a Propaganda Fide, 9.3.1893, citata da P. Trichet, op. cit., p. 17. 97 Lettera di Binger a PI., 11.1.1895. 98 Stessa lettera.
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deve essere disposto a concedere loro sovvenzioni di qualsiasi genere, «tratte dal bilancio locale», come pensa Binger... Ma questi non desidera privarsi dell’appoggio che i missionari pos sono portargli in Africa con la loro presenza, garanzia di pace e civiltà, senza contare l’apporto prezioso della lingua francese che essi insegnano nelle scuole. Per approfittare di queste facilitazioni inattese per entrare in Costa d’Avorio, P. Planque «studia i mezzi per soddisfare le ri chieste del Governatore e prima di tutto inviare un Padre per individuare con lui il luogo dove conviene stabilire il primo inse diamento» 99. Ma nonostante la raccomandazione del Superiore, sempre timoroso delle epidemie, di scegliere «le località più sane», P. Brun designa come prima postazione Grand-Bassam... Scelta abbastanza sorprendente, dato che la città è nota per la sua posizione insalubre a causa «delle paludi dalle esalazioni pe stilenziali» 10°. Il viaggio di esplorazione non è ancora cominciato, che il Su periore ha già comunicato a Roma le proposte della Francia, as sicurando che questa ha già le mani libere nei confronti dell’In ghilterra per inviare i missionari di sua scelta 101. E dietro le sue ripetute richieste di avere una missione separata dalla Costa d’Oro, viene infine creata la Prefettura apostolica della Costa d’Avorio che diventa indipendente. Il primo titolare sarà P. Mat thieu Ray, già missionario della Costa del Bénin 102. Ma l’onore di fondare Bassam, la prima stazione della Costa d’Avorio, spetta a due missionari veterani, Alexandre Hamard e Emile Bonhomme, due anziani che hanno lavorato in Algeria e in Tunisia ai tempi in cui erano Padri Bianchi, prima di passare alle Missioni Africane. Come i loro confratelli di Whydah, del Capo e di Elmina, eccoli accolti sin dal loro arrivo con simpatia, rispetto ed entusiasmo, sia da parte dei funzionari che della popolazione. «Il vecchio re di Memni ha riservato loro un’accoglienza così amichevole» che 99 L. PI. a Binger, 24.2.1895. Il Viaggio di P. Brun cominciò a fine marzo 1895. 100 Cfr. Joseph Gorju, La C ôte-d’Ivoire ch étien n e, citato da P. Trichet, op. cit., p. 37. 101 L. PI. al Card. Ledochowski, 20.2.1895. 102 II Decreto romano per l’istituzione della prefettura della Costa d’Avorio era del 28.6.1895.
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essi decidono di ritornarvi e di aprire una scuola nella sua città... cosa che sarà realizzata lo stesso anno 103. Secondo il procedimento seguito da trent’anni in tutti i terri tori, se i Padri cominciano per prima cosa col cercarsi una casa, è per farvi in un secondo tempo una scuola. Ma a Grand-Bassam essi hanno, più degli altri, la grande fortuna di poter contare subito su un comodo aiuto del governo francese, secondo il primo accordo concluso nel 1895. Una seconda convenzione 104, più vantaggiosa ancora, mentre aumenta il sussidio versato, lascia ai missionari, secondo la loro richiesta, una grande autonomia nella ripartizione dei fondi ricevuti, sia per la costruzione degli edifici scolastici che per il loro equipaggiamento. Queste disponibilità finanziarie non sono certamente estranee al progresso della missione, più rapido in Costa d’Avorio che altrove. Alle prime stazioni di Bassam e Memni (1895) si aggiun gono già nel 1896 due nuove stazioni, Moossou e Dabou, poi nel 1897 Bonoua e Assinie, infine Jacqueville nel 1898. In tre anni già sette missioni aperte, cosa che avrebbe fatto sognare Borghero e i suoi compagni degli anni 60!... Bisogna dire che il go vernatore Binger stima molto il modo in cui si comportano i Padri nell’insegnamento e nella gestione delle scuole. Mouttet, che lo sostituisce dopo il 1896, è altrettanto soddisfatto della loro azione e desideroso di vedere moltiplicare le scuole. Con questo personale missionario più qualificato, meno fragile e so prattutto meno costoso dei maestri laici reclutati in Francia, come non avrebbe potuto il governo francese apprezzare il ser vizio reso dalla Società? Il clima di questi inizi sembra dunque favorevole. Ma un primo conflitto nasce quando i missionari si accorgono che la Costa d’Avorio, come il Dahomey o Bénin, ha i suoi mercanti di schiavi. Alcune città, come Moossou, hanno addirittura grossi de positi, dove sono «parcheggiati» tutti quegli infelici che servi ranno da moneta di scambio, venduti a volte a gran prezzo per i 103 Dai ricordi dei PP. Hamard e Bonhomme, in Les M issions catholiques, 1896, 31.1, pp. 54-55 e 26.6, p. 305. 104 La seconda convenzione fu firmata il 22.2.1900.
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sacrifici umani. P. Bonhomme si oppone energicamente a questo commercio e riscatta tutti gli schiavi che può. Anche P. Ray, appena arrivato, vorrebbe agire ed avere abbastanza denaro per aumentare i riscatti. Ma deve avvertire il Superiore generale che - lottando così contro questo traffico - i Padri si attirano molti rancori da parte degli abitanti, che si considerano danneggiati. Ancora più grave, l’amministrazione stessa che vuole ignorare tutto per non avere noie, potrebbe disapprovare i missionari a causa dell’aspetto provocatorio della loro azione, per quanto umanitaria. Di conseguenza, rischiano di vedersi privati delle sov venzioni promesse... I Padri ritrovano ben presto il favore delle autorità con la creazione di scuole professionali che danno ai ragazzi la possibi lità di guadagnarsi la vita e di contribuire nello stesso tempo allo sviluppo del loro paese. Infatti in Costa d’Avorio la concorrenza è forte ed occorre formare falegnami, muratori, fabbri o mecca nici, se si vuole smettere di essere dipendenti dal Senegai e dalle colonie inglesi, le quali non chiedono altro che di mandare i loro artigiani. Per questo motivo soprattutto, l’insegnamento manuale è fortemente raccomandato dall’amministrazione coloniale che, peraltro, ha il diritto d’ispezione sulle scuole che sovvenziona. Dabou avrà così la sua tipografia e Moossou la sua famosa for nace per mattoni, che sarà di grande aiuto per le costruzioni105. Più tardi si organizzeranno piantagioni di banane, caffè, caucciù... creando così anche delle risorse locali per assicurare la vita di ogni stazione. Per portare a termine questi numerosi progetti, P. Ray, sin dal suo arrivo in Costa d’Avorio, fa immediatamente richiesta a P. Planque di mandare delle Suore: esse sono assolutamente ne cessarie per strappare le donne dallo stato di abbandono e di grande ignoranza in cui si trovano, ma «dove prendere le risorse per avere queste Religiose...? E tuttavia senza di loro, la donna non potrà uscire dalla specie di degradazione in cui vive» 106. 105 Lettera di P. Hamard a P. Ray, 12.11.1897, citata da P. Trichet, op. cit., p. 33. 106 Lettera di P. Ray a P. Planque, marzo 1896. Cfr. Les M issions catholiques, 23.4.1897 in C ôte-d’Ivoire, les prem iers pas d ’u n e Eglise, op. cit., p. 89, n. 5.
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Dopo aver preso accordi con Sr. Augustin, divenuta Supe riora generale, le religiose si stabiliranno, anch’esse, a GrandBassam. Sono in tre, Sr. Damien, Sr. Basilide, Sr. Adrien, presto raggiunte da Sr. Aloysia, che sarà la loro Superiora. E dal marzo seguente, avendo preso contatto con le famiglie, «cominciano se riamente la scuola» 107, la prima di tutte quelle che si apriranno nel paese. Ma questo bell’inizio rischia di essere fermato brutal mente a causa di una forte epidemia di febbre gialla che scoppia a Bassam nel mese di maggio. Uno dei primi ad essere colpiti è il Prefetto, P. Ray, che muore nei giorni successivi. Altri tre Padri lo seguiranno, poi Sr. Damien che soccomberà a Memni, dove la comunità si è rifugiata 108. Senza perdere coraggio, le altre Suore si insediano a Dabou, dove la situazione in collina sembra mi gliore. Là aprono un orfanotrofio, dove sono accolti una cinquantina di bambini e di ragazze, fidanzate per la maggior parte e deside rose di prepararsi al battesimo e al matrimonio cristiano. I Padri hanno già tentato con i ragazzi questa esperienza dell’internato, offerta a coloro che hanno una situazione familiare difficile. As sicurando loro «una educazione più accurata, sperano di prepa rali a diventare più tardi la vera classe dirigente» 109 del paese e, perché no, della Chiesa. Essendo arrivati dei rinforzi dalla Francia, - ai quali affida no la stazione di Dabou - le Suore sono felici di ritornare a Bassam, dove i giorni difficili sembrano finiti. Nell’attesa di ritro vare la loro prima casa 110, occupano quella che viene chiamata «la casa romana», in riva alla laguna, e che i Padri hanno preso in affitto per conto delle Suore. Ma nel luglio 1902 una nuova epidemia di febbre gialla obbliga i missionari ad allontanarsi una seconda volta. Tuttavia non tardano a tornare e, nel settembre, la vita riprende il suo corso. Sr. Aloysia può anche scrivere al 107 Fu nel novembre 1898 che le Suore giunsero a Bassam, dove Sr. Aloysia le raggiunse in dicembre. 108 P. Ray morì il 13.5.1898, Sr. Damien il 18 e altri tre Padri negli stessi giorni. 109 Cfr. una relazione più tardiva di P. Hamard nel novembre 1909. 110 La casa dei Padri era stata distrutta dal fuoco in seguito alla prima epidemia, perciò si erano stabiliti in quella delle Suore, allora rifugiate a Dabou.
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Superiore Generale che tutto va per il meglio; Sr. Jules a GrandBassam, Sr. Adrien a Dabou, dirigono benissimo le classi, sono amate dai bambini e svolgono un buon lavoro. Purtroppo il terzo allarme è vicino, e sarà il più terribile. L’anno 1903 vede bloc carsi per molto tempo una missione che si è ostinata a riprendere vita nonostante tutto. In marzo, Sr. Macaire è vinta dal male, poi due Padri. E una grande desolazione per tutti assistere alla com pleta distruzione della casa data alle fiamme, mentre i resti della Suora sono seppelliti nella calce viva, tanto è il timore del con tagio. Si deve lasciare di nuovo Bassam, dove i Padri non ritorne ranno che cinque anni più tardi. Ma Sr. Aloysia, spossata per la fatica e la sofferenza, muore anche le i111. E dopo i giorni così duri e coraggiosamente vissuti, P. Hamard - che ha sostituito P. Ray come Prefetto - rende a tutte loro una grande testimonianza «per gli esempi di virtù che danno e per il profondo spirito di fede da cui sono animate». «Le Suore sanno - scrive - lavorare, soffrire e morire per Dio, è il più bell’elogio che io possa fare di loro» 112. Due anni più tardi lasciano Dabou e si stabiliscono a Moossou, in un edificio nuovo, poi a Jacqueville. Ma dovranno attendere il dopoguerra del 1914-18 perché la loro missione in Costa d’Avorio raggiunga tutta la sua espansione, con un numero notevole di stazioni e con attività sempre più diversificate 113. Quanto ai Padri, se anch’essi hanno dovuto chiudere Bassam, sono comunque pronti a spostarsi verso altri luoghi e in partico lare a dotare di scuole le succursali «che si irradiano intorno ad ogni missione. Tuttavia devono subire un nuovo colpo con la legge 1901, così violentemente ostile all’insegnamento confessio nale e che rischia di bloccare i loro progetti, poiché esige, per 111 Morte di Sr. Aloysia a Jacqueville, 4.10.1903. 112 Lettera di P. Hamard alla Superiora generale delle Suore NSA nel dicembre 1903. Cfr. la lettera di P. Vacherei nell’agosto 1904, con quest’altra testimonianza: «Le Suore ci assecondano in modo ammirevole. Senza la loro presenza, ci sarebbe difficile formare delle famiglie veramente cristiane». 113 La Congregazione ha avuto fino a 35 case in Costa d’Avorio. Malgrado varie chiusure, poi il passaggio delle missioni alle Suore di Nostra Signora della Pace, ha man tenuto 14 stazioni nel paese, tra cui il Noviziato per le regioni francofone ad Abengourou.
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ogni scuola, l’autorizzazione legale d’esistenza. Nel 1904, la seco larizzazione va ancora oltre, con il divieto di insegnare ad ogni membro di Congregazione religiosa. Il ministro delle Colonie, che senza dubbio avrebbe preferito ammorbidire la legge per l’A frica, deve tuttavia adottare il tono e le misure della metropoli. Questo comporta per la Società la rottura della Convenzione scolastica del 1900 e, a partire dal 1° gennaio 1904, la soppres sione dei sussidi. Ma i Padri, tuttavia, non hanno nessuna inten zione di abbandonare la scuola, il loro migliore strumento di apostolato. Sono quindi decisi fermamente a trovare altri mezzi per vivere. E in quest’anno 1904, particolarmente difficile, non hanno paura di aprire la stazione di Korhogo. Una vera sfida agli avvenimenti,... d’altra parte altre seguiranno con Bingerville, lo stesso anno, poi Abidjan e Abosso. Sta di fatto, però, che ben sette scuole verranno chiuse. Ma nulla è perduto: ci si concentrerà un po’ più sull’essenziale, la catechesi, le visite, la preparazione dei battesimi, la pastorale, ed anche su quel «villaggio di libertà» vicino a Korhogo, a Wassonville, dove si sono voluti riunire degli schiavi liberati, dando loro un po’ di terra da coltivare. Tanti sentieri aperti ai laici che po tranno diventare responsabili di comunità. Il Vicariato apostolico della Costa d’Avorio sarà creato sol tanto nel 1911. Alla morte di P. Planque nel 1907 114, la storia di questa Chiesa, che ha avuto un’imponente e rapida partenza, non ha molto più di dieci anni, ed è stato il Padre a darle un forte e decisivo impulso. Durante i primi anni, egli ha seguito tutto, condiviso tutto dell’azione dei suoi missionari, portando, con ciò che gli rimaneva delle sue forze, il meglio della sua ef ficienza, della sua esperienza e della sua comprensione. Ma gra vemente colpito nella salute e ormai anziano, lascia a Mons. Pellet il compito di vigilare sul completamento della fondazione. Per lui, i suoi anni di attività africane, cominciate nel Dahomey con immensa speranza - si completano al tempo di Abidjan,
114 II Vicariato della Costa d ’Avorio fu costituito il 17 novembre 1911 e P. Jules Moury ne fu il primo vescovo il 6.6.1912.
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sempre con la stessa speranza. Tra le due tappe, quanto lavoro e sofferenze e quale manifestazione d’intelligenza, d’inventiva e di fede di un apostolo... 5. Missionari e coloni
Nel momento in cui - con la fondazione delle prime case della Costa d’Avorio - P. Planque è quasi arrivato alla fine della sua lunga vita attiva, è possibile fare il punto sulle relazioni che ha stretto con gli stati europei - Portogallo, Inghilterra, e in par ticolare la Francia - relazioni che lo hanno spesso condotto a collaborare, ma anche a trovarsi in opposizione con essi. Basta guardare alla storia per vedere quella che alcuni hanno chiamato la collusione tra la Missione e l’azione, politica e mili tare, delle potenze coloniali - senza parlare del loro appoggio finanziario agli Istituti, oggetto di frequenti transazioni. Non si tratta di rifare qui lo studio di situazioni il cui interesse è pari solo alla difficoltà di condurlo in maniera oggettiva. Ma non si può parlare dell’attività missionaria di P. Planque senza rilanciare in un certo modo un dibattito ritornato attuale grazie ad un gran numero di articoli, ricerche e libri. Per restare al tempo in cui egli è vissuto - XIX e inizio del XX secolo - si noterà che i missionari si stabiliscono nel Golfo di Guinea, nel momento in cui questa zona si prepara ad entrare nella turbolenza delle guerre dette «coloniali», che la faranno cadere per quasi un secolo sotto la tutela dell’Europa. La coinci denza è degna di nota: missionari e coloni sono partiti in sieme 115. In quegli anni, è stata la colonizzazione a beneficiare dello slancio degli evangelizzatori... o il contrario? Un fatto sembra certo. Il forte movimento d ’interesse a favore delle missioni lon tane che ha sollevato l’Europa e la Francia, dopo l’ondata di 115 «I missionari arrivati nei furgoni dei colonizzatori», è un’immagine che necessita di essere sfumata... anche se «la penetrazione del cristianesimo sembrava legata all’espan sione europea», cfr. La M ission en question, di Claude Prud’homme, nella rivista Golias, n. 35, p. 125.
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ostilità della Rivoluzione dell’89, ha ridato ai cristiani una sorta di zelo conquistatore come se ritornasse alla loro memoria il tempo in cui «la figlia maggiore della Chiesa si diceva scelta da Dio per diffondere il Vangelo» 116. Il Cardinale Lavigerie sembra aver condiviso queste idee di grandezza e di dominio cristiano. Ed anche P. Desribes, missionario nel Dahomey, scriveva che «la Provvidenza aveva riservato tutto il continente nero alla Francia perché questa vi compisse la sua opera di evangelizzazione» 117
I prim i servizi reciproci Stando così le cose, perché mai i colonizzatori non avrebbero dovuto sperare di servirsi della missione che assicurava una tale presenza francese in Africa - anche se questa presenza era sem plicemente, unicamente, cristiana? e come avrebbero potuto ri fiutare, soprattutto agli inizi, gli aiuti che questa sollecitava? Fin dal 1860, P. Planque - forte dell’esempio di Brésillac «che aveva ottenuto dal ministero degli Affari Esteri, dei favori preziosi» - prende un primo contatto con tutti coloro che, negli uffici della Marina o delle Colonie, non possono rimanere indif ferenti alla fondazione del Dahomey. Sempre alla ricerca di aiuti materiali, chiede ed ottiene abbastanza facilmente la semi-gra tuità dei trasporti in treno o in nave. Altrettanto importante è l’assistenza degli ufficiali della marina, che egli sollecita sia per il prestigio che non mancherà di riflettersi sui suoi modesti «batta glioni» di missionari, sia per la sicurezza stessa, alla quale le loro visite regolari forniranno una solida garanzia. «Oso sperare scrive al Ministro - che i nostri ufficiali visiteranno qualche volta i nostri missionari» 118. Tuttavia non arriva fino al punto di accet tare che essi ispezionino le scuole. E sia che si tratti di stabilire i bambini neri in Algeria, di avere un intermediario per l’acquisto di un terreno e la promozione delle colonie agricole in Egitto o 116 L’idea è espressa in Noirs dans le regard d es Blancs, ed. Français et Africains, di W. Cohen, cap. IX, p. 381. 117 Op. cit., n. 16, pp. 381-382. 118 L. Pl. al ministro delle Colonie, 13.9.1861. Cfr. L. Pl. ai Confratelli, 18.3.1863 e a Régis, 16.9.1863.
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di sostenere scuole, fattorie e centri di cura, si può contare sul governo francese che non si fa troppo pregare... Tra gli altri piccoli servizi significativi, perché non menzionare ancora il prestito di numerosi strumenti di misura per l’esplora zione dei luoghi, che testimonia sia la buona volontà del Diret tore generale delle colonie sia le reali preoccupazioni geografiche del Superiore? 119 Di tutto questo P. Planque si rallegra vivamente. E felice di parlarne anche al Cardinale Barnabò, come pure ai confratelli, dichiarando «di trovare sempre la stessa accoglienza simpatica negli uffici dei ministeri dove gli promettono considerevoli aiuti per la Missione» 120. Allora tanto meglio, pensa il Padre, se la Missione dal canto suo aiuta la Francia ad estendere la sua influenza - che è civiliz zatrice e veicolo a suo modo di valori cristiani... almeno così egli pensa... - essa è d’altronde l’unico stato cristiano tra le grandi potenze a professare la religione cattolica. Egli ama lealmente il suo paese e non vede ostacoli nel collaborare con esso. «Non abbiamo dubbi - scrive al tempo della prima fondazione - che l’accoglienza fatta ai missionari debba molto alle relazioni della Marina imperiale con il Dahomey»... Pertanto, «cercheremo di far amare e stimare sempre più il nostro paese... Questi rapporti reciproci mi sembrano proficui sia alla causa della religione che e a quella della Francia» 121. Se i rispettivi obiettivi convergono in qualche maniera, questo non può compromettere, pensa, l’indi pendenza della Missione. Ma come rimproverargli d’aver cercato degli appoggi laddove sapeva di trovarli, nel momento in cui, rimasto solo a Lione, e sprovvisto di tutto, di denaro e di mezzi d’azione, lancia tuttavia le sue prime truppe con l’intrepidezza di coloro che credono nel 119 L. PI. al Direttore generale delle Colonie, 1.9.1865 e 11.11.1865 al ministro della Marina, 1.12.1889. 120 L. PI. ai Confratelli, 18.9.1861 e 18.3.1863 al Card. Barnabò, 17.1.1862 e 2.8.1863. Il barone d’Idelot aveva persino promesso la sua assistenza in caso di malattia dei Padri. Cfr. L. al Card. Barnabò, 24.11.1861. 121 Al ministro della Marina, 13.9.1861.
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loro ideale? Gli ostacoli sono enormi: il Dahomey, per quanto accogliente, ha tuttavia dei capi che bisogna convincere dell’op portunità della presenza missionaria. I Portoghesi rivendicano su Whydah il «diritto del primo arrivato» e sostengono il Padre di San Tomé 122, mentre gli Inglesi hanno una gran voglia di allar gare i loro chilometri di conquista al di là di Lagos - o di Accra e si stabilirebbero volentieri sulla parte della costa tra PortoNovo e Whydah. In questa situazione complessa, Augustin Planque reputa giusto tenere al corrente il ministero degli intrighi inglesi di cui è informato dai Padri del Dahomey 123. Egli si dice soddisfatto che «il nuovo Direttore delle Colonie desideri mante nere l’influenza francese nel paese e non la lasci sostituire con un’altra» 124. E sappiamo bene che, in P. Planque, questa prefe renza è più missionaria che politica perché, con gli Inglesi, sono tenuti lontani anche i Protestanti. Ha quindi tutte le ragioni per gioire del fatto che «la creazione di un’agenzia consolare a Whydah e la nomina del Sig. Daumas» giungono al momento opportuno per rafforzare il credito della Francia 125. Sì, perché sorprendersi che egli abbia governato - soprattutto nei primi anni - facendo riferimento sicuramente a Barnabò, ma anche alle personalità ufficiali del suo paese? 126 A volte, però, la sua situazione finanziaria difficile da far quadrare, o le incertezze della politica, lo hanno messo nella scomoda posizione di solleci tatore. E in quei momenti, si può deplorare di trovare degli at teggiamenti o uno stile più vicini all’adulazione o alla buona di plomazia che non alla sua solita semplicità. Così scrive al mini stro degli Affari Esteri: «Sua Eccellenza sa che tutto il bene com piuto dai missionari francesi nei paesi infedeli serve allo stesso tempo anche alla gloria della Francia e all’estensione della sua influenza» 127. «Qualsiasi cosa succeda - si trova ancora nella sua
122 Sui problemi con i Portoghesi a Whydah, si veda più sopra. 123 L. PI. al ministro della Marina, febbraio1863 e a Régis,13.2.1863. 124 L. PI. ai Confratelli, 20.3.1863. 125 L. PI. ai Confratelli, 16.1.1863. 126 Un esempio tipico di questo comportamento si trova in una L. PI. a P. Borghero, 18.5.1863. 127 L. PI. al ministro degli Affari Esteri, 30.11.1860.
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corrispondenza - noi sappiamo che la protezione della Marina ci è assicurata e dobbiamo ringraziare Sua Eccellenza per gli ordini dati a favore della nostra Missione» 128.
differenza... divergenze Tali parole e atteggiamenti possono sorprendere in un Supe riore dalla natura francamente indipendente, poco portato a le garsi agb interessi di una potenza protettrice. Ma non c’è da preoccuparsi: se tanti aspetti - senza dubbio non trascurabili e molto spiacevoli - hanno avvicinato gli evangelizzatori ai loro go verni 129, ve n’è uno che crea tra le due parti la distanza essen ziale, in qualche modo fondamentale, quella che non può per mettere di assimilare missione e colonizzazione o di mettere in relazione i loro obiettivi, tanto meno di confonderli. La missione è la risposta ad una chiamata di Cristo, l’altra si prefigge lo scopo di un’espansione, o addirittura di una dominazione territoriale. Le intenzioni originarie rimangono irriducibili fra loro. Il vero missionario non ha niente del colono o anche del crociato con quistatore. Quando Brésillac, al ritorno dalle Indie, esprime il suo sogno di partire «direttamente, alla maniera degli apostoli» per qualsiasi parte del mondo dove Cristo non è conosciuto, quando Planque lascia Arras per seguire «il progetto che sta ma turando da lunghi anni» 13°, non desiderano appropriarsi in questi nuovi paesi di un potere, sia pure ecclesiale, alleandosi con le potenze del momento. Mentre il colonizzatore cerca prima di tutto di estendersi e di dominare, il missionario ha la sola am bizione di «uscire», secondo il senso biblico della parola 13*, per dare testimonianza a Dio. Ed anche se spesso ha sbagliato nel suo modo d’agire, non ha mai perso di vista o sottovalutato il
128 L. PI. al ministro della Marina, fine dicembre 1866. Cfr. anche, 2.9.1861. 129 Le relazioni di P. Planque erano state ugualmente frequenti con i governi stra nieri, abbastanza conflittuali d’altronde, come si è potuto notare con la Spagna, il Porto gallo, la Gran Bretagna... 130 Si veda sopra, II parte, cap. 4 e I parte, cap. 3. 131 Ogni missione è «uscita», al seguito di Cristo uscito lui stesso dal seno di Suo Padre per incarnarsi nel mondo...
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senso della sua partenza. Questa differenza così chiarita po trebbe già permettere di correggere certe valutazioni troppo fret tolose. D’altronde, non tarderemo a notare che P. Planque - pur continuando a sollecitare i potenti di questo mondo - prende sempre più distanza da loro, affermando, tutte le volte che sarà necessario, l’originalità dell’iniziativa missionaria e le esigenze di un compito per il quale rivendica rispetto e libertà. Ed anche se, in certi giorni, l’obiettivo apostolico che si prefiggeva ha potuto giustificare ai suoi occhi i mezzi di cui si serviva, bisogna ricono scere onestamente che ha sempre saputo mantenere il controllo di questi strumenti. Cominciate in modo facile e su un registro amichevole, le sue relazioni con la Francia non rimarranno buone a lungo. Uno dei primi scontri avverrà a Whydah dove Borghero è maltrattato dagli abitanti per aver rifiutato di pagare un’ammenda (verosimil mente ai ministri dei culti feticisti), cosa che egli avrebbe consi derato come una concessione fatta all’idolatria. Ma gli ufficiali lo hanno biasimato temendo per se stessi le conseguenze di quel gesto. P. Planque va fino a Parigi per difendere i suoi Padri e lo fa energicamente: «Siamo agenti della Propaganda cattolica o del governo? Allora, che ci lascino fare il nostro mestiere di missio nari e ci permettano di usare i mezzi necessari per raggiungere il nostro scopo!» 132. Nuove discussioni sorgono al momento della fondazione di Porto-Novo. «Le difficoltà che non ci aspettavamo, ce le crea proprio la F rancia...»133. Mentre gli intrighi inglesi bloccano lo sbarco del materiale necessario, sono gli ufficiali della marina, d’Idelot in testa, a sostenere che, poiché questo territorio passa sotto il protettorato francese, la giurisdizione spetta a Bessieux e ai Padri dello Spirito Santo. La Santa Sede, invece, ha affidato questa parte della costa proprio alle Missioni Africane 134. La 132 Fu in questi termini che P. Planque riportò il suo colloquio ai Confratelli, 20.12.1863. 133 L. Pi. al Card. Barnabò, 24.1.1864. 134 L. Pi. al ministro della Marina, 16.12.1863. Cfr. anche sulla fondazione di PortoNovo: L. PI. a P. Borghero, 18.5.1863, al Card., 2.8.1863, a Régis, 31.7.1863.
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preferenza del governo si spiega con il fatto che «si vuole un clero coloniale a Porto-Novo». «Noi abbiamo in missione un Genovese e uno Spagnolo - risponde P. Planque - ma non ci mancano i Francesi, anche se molti sono già morti». Allo stesso modo «rintuzzerà una dopo l’altra tutte le obiezioni che gli ver ranno opposte»: perché «Borghero non è più Inglese, Italiano o Portoghese di quanto non sia Francese, è un missionario che cerca di diffondere il Vangelo e niente più». «Questi bravi Francesi si sbagliano - scrive ancora - quando si immaginano che la nostra missione debba fare opera nazionale francese» 135. Con altrettanta determinazione, rifiuta di lasciarsi condizio nare dalla questione della lingua. Come a Whydah, anche a Porto-Novo bisogna insegnare in portoghese - almeno per un certo periodo. Si deve forse usare il francese che i bambini non capiscono, con il rischio di vederli disertare la scuola e privarsi così della possibilità di fare loro catechismo? Il Superiore si spiega con il ministro. «Sarebbe importante che i nostri coman danti a Porto-Novo comprendessero che una popolazione non cambia in un colpo solo i propri usi e la lingua...» 136. E la diret tiva che dà ai padri si può riassumere benissimo con queste pa role rivolte a Noché: «Fate ciò che potete per essere gentili con il comandante, ma non prendete nessun impegno assoluto ri guardo alla lingua francese. Se questa lingua fosse dominante a Porto-Novo, ciò faciliterebbe il compito dei missionari. Ma prima di cercare il nostro gradimento e quello della Francia, ri cordiamoci che siamo gli agenti della propaganda cattolica...» 137. Sarà ancora la sua abitudine a parlare francamente a con durlo più tardi a contestare il modo in cui il governo sembra incoraggiare il «maomettanesimo». «Diversi governatori vedono nella diffusione dei musulmani un mezzo per portare i popoli alla civiltà. E un errore. Non è né progresso, né un bene per l’Africa. - afferma —Forse ha un’apparenza di verità, ma in realtà, so stenendolo, non si fa che aprire la porta alla schiavitù, alla poli 135 L. PI. a P. Lafitte, 20.12.1863 e 18.1.1864 al ministro della Marina, 16.12.1863 a P. Noché, 20.12.1863. 136 L. PI. al ministro della Marina, 7.6.1864. Cfr. anche 16.12.1863. 137 L. PI. a P. Noché, 19.5.1864.
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gamia, con tutto ciò che ne deriva, di ripudi e di cambiamenti. Di conseguenza, non si avrebbero più famiglie vere» 138. E, cosa ancora più grave, «si perderebbe la speranza di portare i paesi dell’Africa al Vangelo e alla conversione cristiana». Altri avvenimenti lo portano ad assumere un atteggiamento di opposizione altrettanto radicale. Si pensi, per esempio, al mo mento dell’occupazione del seminario nel 1871 o negli anni 1880, quando si manifesta l’ostilità nei confronti delle congrega zioni. Augustin Planque esprime allora ad alta voce il suo scon tento e rivendica le misure legali di giustizia cui ha diritto. A partire dal 1901, nel difficile periodo che porterà alla separazione tra Chiesa e Stato in Francia, egli userà fermezza, persino accani mento, ma anche diplomazia per fare intervenire a favore della sua opera quei senatori o altri funzionari che sono rimasti favore voli alla causa delle missioni.
Quale bilancio p er i p op oli d e ll’A frica? E questa la questione di fondo: in che cosa queste relazioni Stato/missione, di volta in volta cordiali e conflittuali, hanno por tato dei benefici a quei paesi che vedevano arrivare da diversi luoghi - insieme o quasi - tutti questi occupanti, sia missionari che coloni? Dal lato dei governi, abbiamo già notato come siano stati passati al setaccio - e ancora di più dall’epoca delle decolonizza zioni - i comportamenti di coloro che avevano servito i propri interessi nazionali, prima di rispettare il bene delle popolazioni e i loro diritti più elementari. E evidente che i colonizzatori si sono spesso insediati nei territori africani conquistati senza preoccu parsi per prima cosa di sostenerli nella loro evoluzione verso una maggiore modernità. Da qui si può comprendere che per gli Afri cani «la colonizzazione rimane un male». «Nessuno può so stenere seriamente che colonizzare sia umanizzare, come se, prima della colonizzazione, il colonizzato non fosse “umano”», si 138 L. PI. a Chabat, al Liceo di Auch, 20.10.1900.
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legge in un’opera recente 139, e come non comprendere questo punto di vista? Ma forse siamo «troppo vicini ancora al grande movimento di decolonizzazione per essere capaci di giudicare obiettivamente la colonizzazione»... Non bisognerebbe riconoscere che questa «è stata una modalità storica dell’incontro tra i popoli e le cul ture»? 140... Senza tirarsi fuori dalla controversia o rifare l’esame delle ragioni giuste o sbagliate di questi comportamenti del pas sato, è importante qui situare al suo giusto posto lo sforzo di un Augustin Planque e i suoi modi di agire, attraverso le correnti che segnarono gli inizi di quelle che oggi si chiamano le relazioni Nord-Sud. Troppo spesso queste si sono limitate in passato ad una politica d’integrazione in tutti i campi. Non ci nasconderemo - e Padre Planque non sfugge comple tamente a questo rimprovero - che i missionari non hanno evi tato il rischio di sottomettere anch’essi le popolazioni che incon travano alle abitudini dei propri paesi, compresi i riti e la liturgia del mondo cattolico romano, e di cercare spesso di «fare dei proseliti» piuttosto che proporre la propria fede testimoniandola con la propria vita. Tuttavia, nell’azione del Superiore delle Mis sioni Africane e nelle direttive che egli dava ai Padri e alle Suore, si possono annoverare diversi elementi contro giudizi espressi troppo precipitosamente in forma negativa. In primo luogo, si sa che egli aveva per l’Africano - e questo sin dai giorni in cui Borghero giunse nel Dahomey - molto interesse e benevolenza, ed anche una specie di attenzione paterna, quella dell’«Anziano» che aiuta le giovani generazioni a prendersi cura della loro stessa vita. I suoi «bravi Neri», come spesso li chiamava, secondo i termini impiegati a quell’epoca, erano diventati i suoi figli. «Noi siamo qui per loro», ripeteva a tutti. Allora, si tratta di civilizzare o di evangelizzare? Non sembra 139 Espressioni riprese da François Kabasele-Lumbala, Le Christianisme et l ’A frique, une chance réciproqu e, ed. Karthala, 1993, p. 40. 140 Cfr. «Mission et colonisation, un problème ambigu», Intervista di René Rémond, nel quadro della preparazione al progetto Planète-Mission 1994, Archivi NSA, FranceHorizon, n. 56, p. 7.
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che Augustin Planque si sia mai interrogato su questi due mo menti di una stessa azione, che, nel nome di Cristo, considera liberatrice. Vuole - ed invia dei missionari per questo scopo convertire la gente alla Parola di Dio e niente affatto alla reli gione dei colonizzatori. D’altronde, nel campo della fede e dei modi di vita, l’Eu ropeo in Africa non dà sempre il buon esempio e spesso procura al missionario più problemi che aiuti, offrendo lo spettacolo dei suoi facili costumi, del suo egoismo e della sua superficialità. Il Padre non ha sempre temuto il contatto dei bambini e delle fa miglie africane con gli Europei della Costa i cui costumi non sono sempre esemplari? Egli consiglia di allontanarsene: «Più vi stabilirete lontano da quei luoghi di vizio degli Europei o degli Americani, più i frutti del nostro lavoro saranno al riparo dalla corruzione» 141. E se i confratelli devono mantenersi «in pace con gli agenti di commercio» o altri funzionari, devono guardarsi «da ogni tipo di familiarità o da una troppo grande intimità con loro», ancora meno devono intervenire negli affari commerciali o servire da intermediari. Devono mostrare grande prudenza per non creare situazioni ambigue. Si comprende, quindi, tutto il vantaggio della missione nell’allontanarsi dalla costa, avanzando verso l’interno per incontrare la vera Africa. Augustin Planque riprende con altre parole il consiglio di Libermann: «Se volete essere “negri con i Negri”, spogliatevi dell’Europa, dei suoi co stumi e del suo spirito» 142.
Contro la schiavitù La battaglia in cui il Superiore delle Missioni Africane si op pone maggiormente ai poteri civili del tempo è quella che egli combatte con perseveranza - simile in questo a tutti i grandi missionari e uomini di Chiesa, suoi contemporanei - contro i due 141 L. PI. al Consiglio centrale della Santa Infanzia, a Parigi, 15.2.1863, e diverse altre lettere... 142 Cfr. Noirs dans le regard d es B lancs, op. cit., in n. 116, p. 382.
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flagelli che rovinano le forze vive dell’Africa: la schiavitù e la barbarie dei capi. Riscattare degli schiavi e soprattutto i bambini, è stato il primo lavoro dei Padri alla nascita della missione nel Dahomey. E in tutti i territori, le Suore aiutano anche loro quei poveri tra i poveri a ritrovare la loro libertà e spesso, nello stesso tempo, ad avere salva la vita. Ma la barbarie resiste. Per esempio, presso gli Ashanti nella Costa d’Oro - anche se il punto più duro rimane sempre il Da homey con Glé-Glé e Béhanzin, suo successore, un uomo intelli gente, avveduto e più temibile ancora di suo padre - è ormai radicata l’abitudine delle razzie nei regni vicini. Si ammassano a buon mercato truppe di schiavi, i più deboli dei quali serviranno per i riti sanguinosi delle feste e dei funerali. Verso il 1880, la Missione si estende, e di pari passo anche la pressione delle grandi potenze alla ricerca di territori. Il Padre non può più quindi agire da solo. Più che mai, deve contare sull’aiuto esterno. Allora, si impegna a fondo con gli Stati, senza temere di compromettersi. Nulla, d’altronde, potrebbe togliergli la libertà di parola o d’azione né impedirgli di denunciare le vio lazioni del diritto qua o là, tutte le volte che lo riterrà necessario. Davanti alla cattiva volontà di alcune compagnie commerciali sempre pronte ad aggirare la legge, egli protesta e s’indigna: «Voi che siete ascoltato dal re del Belgio - scrive al barone Béthune — domandategli di vietare al Congo di andare a cercare uomini nel Dahomey. E una tratta dalle caratteristiche più cupe e dalle pra tiche più abominevoli» 143. Si indigna anche contro il capo di un’agenzia commerciale straniera: «Non ha commerciato con il re del Dahomey per quattromila schiavi al prezzo di 300 franchi per ogni uomo, che gli verrà pagato 400 franchi?» E peggio an cora: «Non hanno offerto a P. Dorgère» - lo stesso che ha trat tato l’accordo di pace alla corte di Abomey - «una gratifica di 40.000 franchi qualora avesse procurato 1.000 Neri?» 144. 143 L. PI. al Barone de Béthune, 16.11.1889. 144 l PI. al Card. Prefetto, 1892.
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Non è senza ragione che in un rapporto sulla schiavitù scrive: «Verso i paesi della Guinea superiore, le nazioni cristiane hanno un grande debito da pagare per i milioni di schiavi che ne hanno tratto, per quella vera caccia all’uomo che hanno alimentato per diversi secoli con le richieste eternamente rinnovate di merce umana» 145. Indignazione e rimproveri non possono mancare di essere ascoltati perché si fa un gran parlare, da alcuni anni, riguardo alla tratta dei Neri e alla schiavitù 146. Il cardinale Lavigerie è uno dei principali fautori di questo movimento di opinione. Con grande convinzione egli lancia una vasta campagna antischiavista di modo che, malgrado le reticenze o le opposizioni incontrate, si formino dei comitati e si moltiplichino un po’ dappertutto in Eu ropa e nel mondo. Ed anche se Leopoldo, re del Belgio, cerca di volgere a suo vantaggio l’iniziativa dell’Arcivescovo di Cartagine, questi convince anche il comitato di Parigi ad organizzare una questua annuale i cui profitti confluiranno a Propaganda Fide che si incaricherà di ripartirli147. Da allora, in maniera regolare, saranno versate delle sovven zioni alle missioni più impegnate contro la schiavitù. Anche P. Planque riceve da Roma un invito a far conoscere i bisogni della Società. «La risposta è facile - dice - . Quattro delle nostre mis sioni si trovano in paesi dove gli schiavi si contano a migliaia... L’opera antischiavista è fattibile e il risultato è certo» 148. E in un rapporto posteriore inviato a Propaganda Fide, Mons. Pellet con ferma questa situazione: «Abbiamo mantenuto la stazione di Péréré e già i missionari hanno raccolto un certo numero di giovani schiavi da educare. Quanto al lebbrosario di Abéokuta, che acco glie soprattutto gli schiavi lebbrosi, si spera di ingrandirlo» 149. 145 L. Pi. al Card. Prefetto, marzo 1892. 146 L. PI. a P. Chausse, 22.8.1888. Le campagne antischiaviste si svilupparono nel l’ultimo quarto di secolo. 147 Si tratta della questua detta «antischiavista», divenuta questua per le Missioni d’Africa e che ancora oggi si fa il giorno dell’Epifania. 148 L. PI. al Card. Prefetto, 2.2.1892. 149 Rapporto sull’Opera della Società antischiavista nel Bénin, anno 1900, fatta da Mons. Pellet, apostolico del Bénin, su richiesta di P. Planque, al Card. Prefetto, 10.10.1901.
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Azione politica... e com prom esso? Persuaso che, «se riuscirà a convincere il governo francese ad estendere il suo protettorato per vie pacifiche, avrà fatto molto per la Francia ed anche per la fede» 150, P. Planque moltiplica i suoi sforzi. Già, ha avuto il dispiacere di apprendere che, in se guito ad un accordo tra Francia e Germania, quest’ultima ha appena acquisito dei diritti sul Togoland151. Di conseguenza, la missione di Atakpamé passa sotto il nuovo protettorato. «I nostri Padri saranno espulsi?», si chiede il Superiore. «Io posso inviare degli Alsaziani, ma il governo tedesco non sembra volerli. Tut tavia - aggiunge - noi siamo ben lungi dal voler impedire che il Togoland sia evangelizzato da altri missionari» 152. Nuova delusione da Whydah, dove il governo portoghese ha appena rinunciato al suo protettorato. Tutte queste misure cau sano un regresso della presenza cattolica nella regione. E si può temere che la Germania spinga le sue ambizioni fino a Whydah per sostituirsi al Portogallo 153. Altra delusione: la Francia non ha fatto nulla per estendersi nel paese degli Yoruba, verso il regno degli Egba, presso delle popolazioni che desiderano la presenza del suo governo pacifico. Un altro colpo molto duro per la mis sione giunge dallTnghilterra che è già avanzata nelle terre intorno a Porto-Novo, ed avanzerà ancora di più negli anni seguenti sui vasti paesi a nord di Lagos ed Abéokuta. Rimane il Dahomey... La Francia ha il dovere di riprendere il suo posto venendo in soccorso delle popolazioni decimate. E de ciso a farsi ascoltare, P. Planque non esita ad insistere per ri durre la potenza distruttrice di questo piccolo regnoindomabile. Fa un lungo rapporto al ministro degli Affari Esteri egli presenta persino un piano d’azione possibile - precisando che non si tratta di una guerra, ma di una repressione contro degli atti continui di 130 L. PI. a Keller, Presidente del Comitato antischiavista, 25.2.1889. 131 L. PI. a P. Terrien, 18.6.1877 e a Mons. Jacobini, 16.9.1887. Si tratta più o meno del territorio dell’attuale Togo le cui frontiere con il paese del Dahomey erano allora mal definite. 132 L. PI. a P. Lecron, 6.8.1890 e 14.9.1891 al Card. Prefetto, 16.9.1891. 133 L. PI. a Pedroso, 3 e 28.2.1888.
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brigantaggio di cui sono vittime i regni vicini. «Distruggete - dice - questo covo di pirati...» e «la schiavitù non sarà più alimentata ad est e ad ovest» 154. «E una vergogna per la Francia permet tere che il Dahomey rovini Porto-Novo, posto sotto la prote zione della bandiera francese», scrive al governatore Ballot. «Quattordici villaggi distrutti e incendiati, millesettecentoquarantacinque persone uccise o ridotte in schiavitù, di cui centottantuno vendute ad un capitano straniero, tale è la sorte di questo piccolo paese. Come può la Francia restare impassibile?...» 155. Nello stesso tempo, il Padre porta il suo sostegno e la sua com prensione a Toffa, bersaglio preferito dai re del Dahomey, inco raggiandolo anche a lottare per preservare il suo popolo e a chie dere al Comitato antischiavista i soccorsi di cui ha bisogno 156. In questa situazione di caos, di guerriglia, di intrighi diploma tici hanno luogo i primi scontri diretti, ma non i più gravi, con il Dahomey, dove allora si trovava implicato - come abbiamo già visto - Alexandre Dorgère, Superiore della missione di Whydah. Egli fa parte del gruppo di ostaggi rapiti dai «cabécères» del re 157, maltrattati, fatti prigionieri e, dopo numerose e lunghe trattative, dove si è potuto temere per la sua vita, finalmente liberati. Qualche mese più tardi, accetta di essere inviato ad Abomey in qualità di negoziatore a nome delle autorità francesi. Queste - e l’Ammiraglio di Cuverville in particolare - desiderano evitare la guerra e contano sulle buone relazioni e l’amicizia di Dorgère con il re per concludere un accordo pacifico. Accordo che non è nulla più di un compromesso, ma almeno Whydah non è stata bombardata e si può sperare di arrivare ad una vera tregua. Questo era lo scopo di Dorgère, uomo di pace e «dal cuore di vero Dahomeano». Ma da questo momento le cose gli sfuggiranno di mano. A Parigi vogliono adottare le maniere forti, e Dorgère è soppian 154 Rapporto di P. PI. al ministro delle Colonie, 28.4.1889. Il Padre era pienamente convinto della necessità di una tale trattativa. Cfr. lettere a P. Pied, 28.5.1890, a P. François, 5.11.1890 e al Sottosegretario di Stato alle Colonie, 7.11.1890. 155 L. Pl. a Ballot, Governatore di Porto-Novo, 7.7.1889. 156 L. PI. a Toffa, re del Porto-Novo, 10.7.1889. 157 I «Cabécères» erano ufficiali di palazzo.
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tato. Nuove provocazioni di Béhanzin offrono ben presto alla Francia il pretesto per aprire vere e proprie ostilità. Dopo due campagne successive condotte dal generale Dodds 158, alla fine Béhanzin deve cedere. I due regni di Aliada e di Abomey diven tano, come Porto-Novo, dei protettorati francesi. P. Planque è rimasto al di fuori dell’intervento di Dorgère e dei pericoli che questi ha corso. Le prime notizie che egli riceve vengono dal Prefetto, P. Lecron159. E per rompere il silenzio che segue, deve rivolgersi al Ministro. Davanti alle interpretazioni malevole di cui il missionario è oggetto, il Superiore si mostra sempre solidale con la sua condotta 160 e fiero di ciò che egli è riuscito a compiere 161. Tutti avevano sperato che si allentasse la morsa di un così terribile potere, che stava schiacciando il paese. Mentre Planque non credeva che si sarebbe risolto senza scontri162, Dorgère avrebbe voluto che si utilizzassero altri mezzi, diversi dalla guerra. Ma è stata la tutela della colonizzazione che ha prevalso alla fine. Nonostante le speranze di P. Planque, la guerra avrà rispettato il diritto dei popoli e la loro libertà? E chiaro che la nuova situazione del Dahomey avrebbe favo rito la Missione. Ma i membri della Società, visto il ruolo che avevano avuto nella conquista - seppure come conciliatori - non potevano forse essere sospettati di connivenza, o addirittura di complicità con il potere coloniale? Questo caso specifico del Da homey potrebbe forse aiutare a comprendere la difficoltà di pro muovere un’azione che si vuole semplicemente umanitaria, soli dale con i popoli e per il loro bene. L missionari si sono trovati spinti anch’essi ad una sorta di ingerenza per tentare di ridurre la 158 Vi furono due campagne nella guerra del Dahomey, nel 1892 e 1893, condotte dallo stesso colonnello Dodds. 159 Lettera di P. Lecron a P. PL, 23.7.1890 e al ministro della Marina, 1.10.1890. 160 Lettera al Sottosegretario di Stato alle Colonie, 21.5.1890. 161 Lettera al Card. Prefetto, 17.1.1891, all’Ammiraglio di Cuverville, 31.3.1892. P. Planque avrebbe voluto che P. Dorgère incontrasse amici e benefattori che aspettavano notizie dal Dahomey. Cfr. lettere a Dorgère, I l e 22.1.1893, 1 e 25.2.1893. 162 L. PI. già citata in n. 159 e 160. P. Dorgère lasciò definitivamente l’Africa nel 1896. Morì nel 1900, il 23.2. vicino a Fréjus, mentre curava un malato colpito dal vaiolo.
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schiavitù e la crudeltà, a dimostrazione che ogni impresa umani taria sfugge difficilmente all’ambiguità, anche quando richiede di mettere in gioco la propria vita in nome della fede...
«Villaggi d i libertà» Nella Società la questione giunge all’ordine del giorno un po’ tardi, nel 1898. In realtà, sembra che i primi di questi villaggi di libertà siano apparsi molto tempo prima, nelle missioni dei Padri dello Spirito Santo 163. Si conoscevano già le fattorie-orfanotrofi, le fattorie-scuole, quelle di Tockpo, per esempio, ed altre dove venivano radunati, perché imparassero a coltivare la terra, i bambini salvati dalla schiavitù. E già da quell’epoca il Padre desiderava che si potes sero riunire in un solo luogo i primi focolari cristiani che comin ciavano a formarsi. Allora, - pur riconoscendo l’importanza di questa nuova organizzazione alla quale si dà ormai il nome, nelle Commissioni antischiaviste, di «villaggi di libertà»164 - P. Planque ci tiene a ricordare le altre opere che già esistono e si sono costituite con difficoltà trentacinque anni prima. «Su larga scala, anche queste presentano un carattere di lotta contro la schiavitù e meritano la stessa attenzione e gli stessi aiuti» 165. Ma quando gli è rivolta la domanda esplicita, P. Planque si dichiara pronto a collaborare, con i suoi missionari, alla costitu zione delle nuove strutture. «Voi avete voluto domandarmi con la vostra lettera se fosse possibile ai nostri missionari fondare un villaggio di libertà in territorio francese - scrive al Presidente della Società antischiavista. - Dopo uno studio del problema, credo che questa creazione sia possibile ed io sono anche con vinto che se si vorrà fare un’opera durevole e creare un centro cattolico, si riuscirà sicuramente in paesi di feticismo come la 163 Bouche, 164 165
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Cfr, Les villages d e liberté en Afrique noire française, 1887-1910, di Denise Paris, La Haye, Mouton, 1968. Si trattava precisamente di inserirvi ex schiavi liberati. L. PI. al Direttore della Società antischiavista, 13.7.1898.
Costa d’Avorio e il Dahomey...» 166. Si deve a Mons. Pellet la descrizione di uno di quei villaggi che la Società ha creato, quello di Saint-Lazare, nella zona di Zagnanado, ad un centinaio di chilometri dalla costa a nord di Cotonou. «La regione è fertile scrive il Padre in un suo rapporto - e si presta sia a tutte le colture del paese - igname, mais, manioca ed arachide - sia ad altre importate - caffè, cacao, caucciù e vaniglia. Centotrenta bambini potranno diventare coltivatori, con metodi di coltura che ci si sforza di migliorare. I Padri insegnano loro il francese, ma anche la loro propria lingua - e quest’idioma che era unicamente orale prima deH’arrivo dei missionari può ora essere letto e scritto. I più anziani di questi alunni sono in età di matrimonio e per questo le Suore sono venute a Zagnanado per occuparsi del l’educazione delle ragazze. Avremo così un vero villaggio e con tiamo molto sull’influenza che esso eserciterà presso la popola zione dei dintorni» 167. In Costa d’Avorio ritroviamo più o meno lo stesso tipo di fondazione. Vicino alla missione di Korhogo vi è Wallonville, fon dato all’inizio del 1904, una specie di villaggio comunitario «dove il grosso del lavoro si fa in comune» mentre, in alcuni giorni, ciascuno può lavorare per il proprio profitto. E importante no tare che a Wallonville, « i focolari cristiani si raggruppano intorno agli altri abitanti», il che fa pensare che si vuole evitare la forma zione di ghetti cristiani168. Così sino alla fine della sua vita attiva, P. Planque non ab bandona mai lo sforzo intrapreso quarant’anni prima a sostegno dei Padri e delle Suore nelle loro battaglie - tra cui la sua lotta continua contro tutte le forme di asservimento della persona non è la meno importante - anche se, a volte, quando le tensioni si attenuano, esita sulla condotta da tenere con i governi britannico e francese. Tocca a loro adesso far cessare ogni traffico di schiavi 166 L. PI. allo stesso, 29.12.1898. 167 Rapporto di Mons. Pellet al Card. Prefetto, 12.3.1901. 168 «De Wallonville à Korhogo», di P. Bebel, R evue d e la S ociété anti-esclavagiste d e France, n. 46, pp. 299-310.
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e gli strascichi di una tratta che persiste anche sotto il loro pro tettorato 169. E forse per la sua azione perseverante e coraggiosa che ot tiene il diritto all’ingresso nel Consiglio d’amministrazione dell’o pera antischiavista? 170 In occasione del Congresso che si prepara proprio per questa opera, nel quadro dell’Esposizione universale di Parigi, il ministro degli Affari Esteri lo nomina membro della commissione organizzativa 171. È vero che di fronte al colonia lismo, che ha troppo spesso esportato in Africa un’altra forma di sfruttamento delle persone e dei beni, P. Planque si presenta come un testimone. Se il Vangelo cui fa riferimento comanda di far scomparire la condizione di schiavitù, è perché si possa aprire una porta verso la libertà, quella che Cristo vuole per tutti.
169 L. PI. a Mons. Jourdan de La Passardière, 3 e 10.5.1898. 170 L. PI. al Direttore della Società antischiavista, 13.7.1898. 171 L. Pi. al Conte de Beaucaire, 18.4.1899.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
LA MISSIONE IN EUROPA
Pur spingendo i Padri e le Suore ad avanzare verso nuove fondazioni, lavorando e lottando lui stesso con loro su tutti i fronti, il Superiore rimane in seconda linea. Sin dalla sua entrata nella Società, è rimasto legato in qualche modo alla missione dall'interno, ed ha avuto dunque il tempo di coglierne il vero ruolo e l’importanza. Ora, a quell’epoca almeno - e lo sa bene la Chiesa che inco raggia Propaganda Fide —non si può fare nulla in Africa se non c’è una base, un appoggio che assicuri le migliori possibilità per aprirsi alla fede in Cristo. La missione ha bisogno di numeroso personale - per motivi di salute... Ma questi uomini e donne consacrati al Vangelo, non possono ancora essere trovati sul posto. La missione ha bisogno di denaro, di risorse senza le quali non potrebbe neanche intraprendere il viaggio, ha bisogno di guide, di costruttori, di organizzatori... Sarà questo il ruolo delle Province dette «d ’origine» - chia mate così in passato perché hanno visto nascere le prime case e partire i primi missionari - ossia il compito di assicurare il so stegno, di rispondere alle più diverse richieste che giungono dal l’Africa. Bisogna aiutare le popolazioni da poco raggiunte dal Vangelo ad organizzarsi, a costruire scuole, ospedali, chiese; bi sogna inviare degli animatori e soprattutto dei veri testimoni della fede per permettere loro di diventare autonomi nella vita cristiana e farsi carico delle loro future Chiese. Al tempo di P. Planque, sono la Francia e l’Irlanda a svolgere queste funzioni nell’attesa che Italia, Olanda, Spagna ed altri paesi si uniscano a loro. E tutte devono orientarsi verso questo scopo.
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1. In Francia ed oltre
Come provincia d’origine, e fin dalla fondazione della So cietà, la Francia riceve il triplice compito, il cui svolgimento è indispensabile al futuro della missione come anche all’equilibrio delle persone. Un compito che richiederà di aumentare il nu mero delle case e di diversificarle.
«R eclutare» Sin dal suo arrivo al Petit Sainte-Foy, ancor prima della morte di Brésillac, anche P. Planque ha questa grossa preoccupa zione: assicurare il «reclutamento», come si diceva allora, propo nendo a dei preti o seminaristi di unirsi alla Società. Non sembra che le Suore abbiano conosciuto, nei primi venti o trent’anni, e a parte qualche raro periodo, gli stessi problemi di vocazione. Ma al seminario la preoccupazione di riunire degli uomini determi nati per la missione e di trovare per questo scopo i mezzi adatti è per il Padre una pesante e continua preoccupazione. Ben presto, si trova spinto ad allargare la base della Società fuori dal territorio metropolitano, affidando a Papetart la cura di fondare in Spagna il seminario di Puerto del Reale. Il tentativo, risoltosi con un insuccesso, lascia, tuttavia, il desiderio di rifarne l’esperienza. Nell’attesa del momento opportuno —la prossimità di Algeri e il timore di scontentare Lavigerie ha fatto abbando nare il progetto di stabilirsi vicino ad Orano 1 - sarà in Francia che verrà aperta una casa per i Fratelli, a Clermont dove sarà pronta dall’autunno 1872, come sappiamo da Desribes che ne diventerà Direttore 2. Qualche mese più tardi, «i primi tre novizi vi ricevono l’abito». «Con la grazia di Dio, speriamo di riuscire scrive P. Planque - abbiamo un grande bisogno di Fratelli per coadiuvare i missionari». E se sono poco numerosi, «che almeno
1 Si veda II parte, cap. 4. 2 L. PI. a P. Louapre, 17.9.1873 e a P. Devernoille, stessa data.
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siano formati a comprendere l’opera di Dio nei suoi aspetti più umili» 3. Nel 1877, Clermont diventa scuola apostolica. «Sono andato a benedire la cappella, era una vera festa, quattro Vicari generali vi assistevano», scrive il Superiore 4, che si reca spesso nella casa e si mostra soddisfatto perché «vi è un buon nucleo. Sono an dato per fare gli esami a quella gioventù. Quasi tutti promettono un buon risultato»5. Ma quando nel 1881 arrivano le leggi ri guardo l’insegnamento confessionale 6, anche la scuola di Cler mont è colpita, il che obbliga a mandar via un certo numero di professori. Riaperta abbastanza presto grazie a Desribes e al l’aiuto di certe protezioni, continua a funzionare brillantemente fino al 1904, vero vivaio che prepara per l’avvenire tanti missio nari e diversi futuri Vicari apostolici della Società. Prevedendo il temporale degli anni 1880, e nell’incertezza di poter rimanere in Francia, il P. Superiore si è già indirizzato una seconda volta verso la Spagna e ottiene dal vescovo di Burgos l’autorizzazione ad aprire, a Bugedo, un seminario che sarà presto trasformato in scuola apostolica. Ma, per la Società non è ancora arrivato il momento di collaborare a fondo con gli am bienti spagnoli. Nel dicembre 1890, si deve chiudere la casa di Bugedo per trasferirsi a Pont-Rousseau, vicino Nantes, dove le Missioni Africane non tarderanno a stabilirsi7. L’anno seguente, per rispondere ad «un desiderio di Propa ganda Fide di reclutare qualche persona nelle nazioni che non suscitano gelosie» - forse bisogna intendere con queste parole i paesi che non hanno missioni, poiché si trattava dell’Olanda e della Svizzera - «una nuova scuola apostolica è prevista a Maa stricht, nel Limburgo olandese» 8. Poi sarà «il vescovo di Gre noble a volere che sia organizzato da lui, a Sassenage, un centro 3 4 pella». 5 6 7 8
L. PI.a P. Bouche, 20.6.1867. - Da molto tempo, il Padre desideravadei Fratelli. L. PI. a P. Ray, 25.8.1877: «Il 6 di questo mese, sono andato a benedire la cap L. PI. a P. Moreau, 1.3.1879 e a P. Lepoultre, 5.3.1879. Cfr. IV parte, cap. 13. L. PI.a Mons. Cornazzoni, 28.12.1890. L. PI.al Card. Simeoni, 22.2.1891.
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di formazione dei Fratelli in grado di fare diversi mestieri e di insegnarli poi nelle missioni. Per farlo, egli promette il suo aiuto»9. Di questi due istituti, il primo, in Olanda, sarà fiorente e formerà numerosi missionari. Il secondo, che non riuscirà mai a «prendere quota», verrà chiuso nel 1895. Mancò poco che fosse aperta un’altra scuola nel Valais, in Svizzera, grazie ad una trattativa fatta in questo senso da P. Planque presso il vescovo di Sion. Ma le possibilità offerte da un prete del settore che desiderava collaborare all’opera non sem bravano sufficienti ed il Superiore preferì ritirare la richiesta.
A ccogliere... riorientare Purtroppo si deve provvedere anche a quegli uomini che in Africa arrivano ben presto allo stremo delle forze. Hanno bi sogno di fare una sosta e di rimettersi in salute. Molti tra loro ritornano dall’Africa veramente sfiniti. Bisognerà offrire loro un posto per la convalescenza e il riposo 10. E coloro che potranno ancora esercitare un ministero, predicare dei ritiri spirituali, ren dersi utili nelle parrocchie, vi troveranno nuove occasioni d’apo stolato. Questa sarà, a partire dal 1871, la destinazione della casa di Nizza. Soltanto in seguito a diversi progetti e tentativi il Padre riu scirà ad insediarvisi. Si sa già che, nel 1866, il Superiore di un orfanotrofio si era proposto per accogliere in Provenza qualche Padre stanco. «Vi confesso che sono rimasto sbigottito da una tale richiesta», risponde il Superiore, e senza dubbio avrà pen sato: «Perché stabilirci in Francia dato che questa non è la nostra via?». «M a una riflessione del nostro Fondatore mi ha fatto uscire da questo primo sbigottimento. In effetti nelle sue Co stituzioni egli afferma che i membri della Società che non po tranno rimanere in Africa, si occuperanno di orfanotrofi e di pre dicazioni alla gente del popolo...». E perché «non far diventare 9 Stessa lettera. 10 L. Pi. a P. Barthe, 7.10.1871. - La casa di Nizza sembrava già in funzione nell’ot tobre 1871.
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più tardi l’orfanotrofio di Saint-Cyr un piccolo vivaio di buone vocazioni... per le missioni?» 11. Anche se non realizza questo progetto, P. Planque non riesce più ad abbandonare l’idea... perché la realtà ormai lo spinge ad agire. «L ’interesse generale della Società richiede che si creino degli impieghi per quei missionari che, per una ragione o l’altra, non possono rimanere in missione. Ne ho già due qui. Ma coloro che si trovano in questa condizione, non possono rimanere tutti nel nostro seminario. Il nostro Fondatore ha sempre avuto l’in tenzione di farli occupare nelle opere di apostolato. Io deside rerei anche, se la cosa fosse possibile, che si trovassero per loro delle opere concernenti gli Africani... Ci sarebbe almeno il van taggio di essere più conformi alla nostra fondazione». Ma in quel momento, P. Planque «non si sente pronto ad occuparsi in prima persona di una simile creazione che sarebbe però molto utile e necessaria ai Padri» 12. Tuttavia, appena qualche mese più tardi come testimoniano le lettere scambiate con l’Arcivescovo di Aix ed il suo Vicario generale - sta già preparando un insediamento nel Sud della Francia. Si tratta di andare in Camargue per colla borare al servizio religioso, o forse nella regione di Arles dove il clima sarebbe migliore. Nel luglio 1870 tutto sembra annunciare una prossima realizzazione... che la guerra franco-tedesca ha cer tamente impedito di proseguire. Dunque, si può vedere nella fondazione di Nizza una felice ripresa di questi tentativi rimasti incompleti. Certamente le que stue di Papetart hanno dato un bel contributo all’acquisto 13. E se il Padre ha affidato momentaneamente questa casa della rue Saint-Etienne a Mauger, un prete affiliato, lo ha fatto aspettando appunto l’arrivo di Papetart, il quale oltre ad esserne il fonda tore, ne conserverà la responsabilità quasi fino alla sua morte. Ma il primo occupante sopporta molto male di vedersi soppian
11 L. PI. a P. Vincent, fondatore dell’orfanotrofio Saint-Cyr-de-Provence, 3.12.1866. 12 L. PI. al Card. Barnabò, 11.9.1869. 13 L. PI. a P. Barthe, citata in n. 10: «Papetart ha appena fondato una casa a Nizza».
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tato 14. Così sin dagli inizi, anche prima dei grandi sconvolgi menti suscitati da Gaey nel 1876, la casa di Nizza sembra essere stata un piccolo focolaio di agitazione! Tuttavia P. Planque si aspettava molto per la gioia e l’unità di tutti. Scrive infatti a Barthe: «Andate a Nizza, Papetart vi aspetta, ed anche i vostri confratelli. Li farete felici, sarete utile e lo spirito della Società si conserverà meglio» 15. Il Padre aveva anche installato in un alloggio vicino una pic cola comunità di Suore per contribuire al buon andamento della Casa. Ed è a questo proposito che ha l’occasione di fare una puntualizzazione molto netta sia per il lavoro fornito dalle Suore sia per le relazioni che queste hanno con i Padri. «A Lione, non abbiamo preso Suore nel seminario senza che l’Arcivescovo ap provasse questa misura. La stessa cosa vale per Nizza con il Ve scovo. In missione - come a Nizza - le Suore avranno sempre degli appartamenti o delle case completamente separate. Se aves simo abbastanza Fratelli, non avremmo Suore al seminario, ma se esse curassero la cucina, la biancheria per la chiesa e per i Padri, non si occuperebbero mai dell’interno della casa» 16. In altre circostanze ricorda, anche con forza, che le suore non sono delle domestiche, e che in Africa non devono fare la cucina. Sempre con i fondi delle questue di Papetart e per lo stesso desiderio di avere una comunità attiva, intraprende la costruzione di una chiesa dedicata al Sacro Cuore di cui il vescovo di Nizza è venuto a porre la prima pietra. Secondo la descrizione fatta ad un amico, senza dubbio un benefattore, «sarà una chiesa roma nica, semplice, con una portico d’ingresso soltanto, ma molto grande» 17. Come casa di riposo, offrendo anche un’attività di parrocchia in un clima familiare, Nizza ha tutto per riuscire. Di retta da Guillon, che è succeduto a Papetart - e fino al 1881 accoglie spesso i Padri di passaggio. Ma la sua esistenza è minac14 Cfr. IV parte, cap. 12 e L. PI. al Card. Barnabò, 7.6.1872. 15 L. PI. a P. Barthe, citata in n. 10: «Vi troverete un’atmosfera eccellente e dovrete fare soltanto ciò che potrete». 16 L. PI. alla Suora Domenicana, 27.10.1876. 17 L. PI. a P. Cloud, 31.2.1874 e ad un amico, 18.1.1874: «La nostra chiesa potrà accogliere 2.000 persone».
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data con l’approvazione delle leggi del ministro Ferry che presto espelleranno i confratelli. Il Superiore pensa allora che è meglio partire. Sarebbe una storia lunga da ripercorrere per tutte le transazioni causate da questa chiusura di Nizza, effettiva solo dal luglio 1893. Lebouvier, che ne aveva fatto la sua residenza, non se ne staccherà tanto presto 18. Tuttavia la Società ha veramente bisogno di un sanatorio per i Padri stanchi. Per questo viene scelta la località della CroixValmer sulla costa del Mediterraneo, tra Hyères e Saint-Raphaèl, vicino a Cavalaire. «A Mons. l’Arcivescovo di Fréjus e ai membri del Consiglio il luogo è sembrato vantaggioso, come anche le condizioni dell’acquisto», fatto nella primavera del 1896. E a breve distanza dalla residenza dei Padri sarà costruito in seguito sul Boulevard Walmer il sanatorio per le Suore «che intendiamo chiamare Notre-Dame du Bon Repos», annuncia il Padre al Ve scovo di Fréjus, aggiungendo «che sarà facile per i nostri missio nari andarci per dire la messa» 19. Nel 1901 è costruita la casa e «le Suore che la gestiranno, prenderanno per sé soltanto una parte degli edifici, perché la parte principale dovrà essere ricon vertita in pensionato femminile», il che assicurerà introiti per la comunità. Se si aggiunge Saint-Priest che fu, alla periferia di Lione, un luogo di sosta in campagna a disposizione dei seminaristi, e le due Procure di Marsiglia e di P arigi20, incaricate in modo parti colare di fare gli invii, di ripartire le risorse e di raccogliere i doni, si avrà una visione del modesto insieme rappresentato dalle proprietà acquistate in Francia per i Padri e le Suore fino alla morte del Superiore Generale. Così, questi ha avuto la saggezza di situare bene, nella mis sione globale dellTstituto, ciò che deve restare il servizio delle «retrovie», dove si continuano a preparare i missionari «stra 18 L. PI. a P. Lebouvier, 27.4.1896. 19 L. Pi. al Vescovo di Fréjus, 17.11.1899. - «Bon Repos» esiste ancora, ripresa dai Padri dello Spirito Santo; la casa è sempre luogo d’accoglienza e di convalescenza. 20 La prima fu aperta molto presto per le necessità delle forniture all’Africa. La seconda, soltanto nel giugno 1899: L. Pi. a P. Lebouvier, 20.6.1899.
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nieri» di cui l’Africa, ancora per molto, avrà bisogno, dove si accolgono quelli e quelle che devono rientrare e reinserirsi, ri prendere le forze o concedersi un riposo ben meritato. Così le case d’Europa possono restare dei testimoni viventi della mis sione che si fa altrove e diventare membri attivi di questa mis sione che oggi si vive dapertutto attraverso le migrazioni dei po poli.
2. In Irlanda
Dopo il tentativo interrotto di Cadice21, il Superiore non ha mai rinunciato a vedere la Società estendersi al di là delle fron tiere della Francia. E stato forse l’esilio momentaneo a Mill Etili22 a dargli l’idea di volgersi verso i paesi anglofoni - oltre al vantaggio per i missionari di Lagos e di altre sedi, che vivendo in ambiente britannico, potrebbero parlarne la lingua? E possibile, ma bisogna aggiungere la sua convinzione che la cattolicissima Irlanda «può avere la sua parte attiva e viva nell’opera dell’evan gelizzazione dell’Africa» - come scriverà al Vescovo di Cork23. In effetti l’Irlanda manterrà questo ruolo vivace e dinamico, e darà all’Africa alcune ed alcuni dei suoi grandi missionari24. Ma per tutto il tempo in cui visse P. Planque, vi fu tra loro una sorta di incompatibilità, di incomprensione su alcuni punti di vista, come se i loro obiettivi apostolici ed i mezzi per realizzarli non trovassero punti in comune. Fu una vera spina, bisogna ricono scerlo, nel governo di P. Planque, questa difficoltà a farsi capire dai suoi Confratelli irlandesi. Egli ne soffrì molto ed anche lui fece certamente soffrire molto, il che può spiegare il ricordo deludente che di lui è rimasto un po’ nella Provincia. I suoi primi rapporti con l’Irlanda sono iniziati attorno a P. O’Haire, un prete secolare che ha conosciuto al Capo i confra 21 22 23 24
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Cfr. II parte, cap.6. Stesso riferimento. L. PI. al Vescovo di Cork, 16.6.1880. Ad esempio i PP. Wade, Moran, Slattery, le Suore Ignace, Aquiline, ecc.
telli della Società e che il Superiore accetta volentieri di ricevere per sei mesi al seminario. Ma, venendo a sapere che il Padre ha avuto dei problemi con i vescovi dell’Africa del Sud, O’Haire deve ritornare sulle sue decisioni per non scontentare quelli del Capo. Tuttavia nulla impedisce a questo prete zelante di prose guire in Irlanda un’azione a favore delle missioni. «Voi farete per le missioni - gli scrive il Padre - molto più che se foste in mezzo a noi... è pur sempre un modo di essere missionari il cercare persone per l’Africa» 25. O’Haire potrebbe anche, «se il Consi glio della Società fosse d’accordo, diventare un membro affiliato delle Missioni Africane...»26. Nel giugno 1878, P. Planque suggerisce al suo nuovo colla boratore di «fondare una scuola apostolica destinata a reclutare e preparare delle persone per l’A frica»27. Perché, già a questa data, emergono delle paure nel suo animo che lo spingono a richiamare fermamente a quali condizioni «la gioventù irlandese dovrà essere ricevuta in questa scuola ed educata al di fuori di ogni idea o ricerca di comodità, al di fuori di ogni pensiero di ritrovare in Africa i compatrioti»...? «Lo spirito della scuola apo stolica dovrà essere una completa dedizione all’opera delle anime, scrive loro28. Le parole che invia al Vescovo di Cork riguardo a questo problema esprimono le stesse vedute, quelle che d’altronde il Padre ha sempre voluto fare condividere a qual siasi Aspirante: «C i vogliono degli uomini generosi, perseveranti, disinteressati. Da noi, il giuramento è per tutta la vita... Bisogna essere missionari e apostoli nel pieno significato di questo ter mine e non sperare nulla in questo mondo se non di dedicarsi a Dio e alle anim e»29. Verità valide per tutti, indipendentemente dalla nazionalità cui si appartiene... Ma si avverte che P. Planque non si accosta all’ambiente irlandese in tutta serenità, diviso com’è tra la speranza e il timore di una delusione. 25 L. PI. a P. O’Haire, 25.10.1876. 26 L. PI. a P. O’Haire, 24.9.1877. 27 L. Pi. a P. O’Haire, 2.6.1878. - Cfr. Lettera a P. Ménager, 30.8.1882: il Padre visitò la casa per la prima volta soltanto nel 1882. 28 L. PI. a P. O’Haire, citata in n. 27. 29 L. PI. al Vescovo di Cork, 18.12.1888.
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In alcune lettere ai Confratelli, si può osservare il suo proce dere esitante, che vorrebbe fidarsi, ma non riesce a decidersi veramente... In certi momenti confessa «di non contare su un grande successo», ma altrove si legge che «spera di trarre da Cork delle persone molto utili» e, «con un coraggio perseve rante, ottenere dall’Irlanda buoni operai per la vigna del Si gnore» 3tì. Senza dubbio il penoso ricordo della Spagna e dell’at teggiamento dei Seminaristi spagnoli, è ancora presente nel suo animo. Più tardi, giustificherà la severità del suo giudizio, fa cendo riferimento a qualche esperienza deludente vissuta da altri Istituti. Tuttavia il Padre è fermamente deciso a stabilire le Missioni Africane a Cork. Invia un aiuto a P. O’Haire nella persona di Devoucoux, e si rallegra per aver ricevuto senza fatica l’autoriz zazione dal Vescovo del luogo. Infatti «nella situazione in cui si trova la Francia, di fronte ai progetti rivoluzionari di coloro che la governano e si oppongono alle congregazioni religiose», tutto ciò costituisce per lui una sicurezza 31. Ma quando egli sollecita la benedizione per la sua nuova scuola - assicurando «che sarà un grande incoraggiamento per quelli che si dedicano a crearla e per i vescovi irlandesi» - il cardinale Simeoni fa attendere la risposta. Bisogna ricordare qui, tra parentesi, che questo Cardinale Pre fetto, soltanto da pochi mesi alla guida di Propaganda Fide, non è in principio molto favorevole alle iniziative del Superiore, nel clima di tensioni e di lamentele da cui, nel 1878, la Società è appena uscita... Una volta ritrovata l’intesa con Roma ed accor data la benedizione del Santo Padre 32, diventerà necessario per mantenere l’armonia della nuova casa, separarsi da P. O’Haire e far venire a Cork P. Poirier per sorvegliarne l’organizzazione. Il vero problema di P. Planque va oltre le difficoltà comuni ad ogni insediamento. Infatti, egli dovrà lottare molto contro il desiderio d’indipendenza che si manifesterà subito in Irlanda nei confronti della casa di Lione. In una situazione che ricorda Puerto del Reale, egli reagirà allo stesso modo, rifacendosi 30 L. Pi. a P. Moreau, 11.8. e 6.10.1878 e a P. Devoucoux, 6.4.1879. 31 L. PI. al Vescovo di Cork, 16.6.1880. 32 L. PI. a Mons. Agnozzi, 22.7.1879.
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sempre al principio del Fondatore: «una Società, una famiglia, un capo». «Credo come voi - scrive a P. Devoucoux che vor rebbe vedere a Cork un superiore irlandese - che questo paese sia chiamato a dare dei veri missionari, ma io la penso diversamente sulla questione del Superiore... non otterremmo, infatti, altro che una scissione con la nostra Casa-Madre. Bisogna che la casa di Cork rimanga dipendente da quella di L ione»...33 Sul netto rifiuto che egli oppone ad ogni divisione che po trebbe toccare la Società o la Congregazione, il Superiore avrà spesso l’occasione di esprimersi. E una delle ultime lettere che scrive - nel 1906 - è particolarmente chiara a questo proposito. A quell’epoca, d’altronde, deve affrontare grosse difficoltà. In fatti Zimmermann, che ha sostituito P. Devoucoux, nel suo desi derio di mettere fine alla tensione sempre viva tra Cork e Lione, non teme di oltrepassare i suoi diritti di Superiore della casa. Egli scrive direttamente «al Ministro degli Esteri d’Inghilterra, pregandolo di fare il necessario perché la scuola di Cork diventi indipendente dalla Casa Madre e la Prefettura del Delta del Nilo sia interamente affidata agli Irlandesi». Tanto il modo seguito, quanto la richiesta, non possono certo essere graditi al Superiore generale. Involgendosi allora a Propa ganda Fide che è stata, anch’essa, messa in allarme da Zimmer mann, mette le cose in chiaro. La Prefettura dell’Egitto è di competenza della Società tutta intera e non di una parte 34. Su questo punto non si può transigere. «I missionari non lavorano contro l’influenza inglese, una tale accusa è ingiusta. Scuole, di spensari, parrocchie e altre opere si ispirano unicamente agli inte ressi della religione». Lui stesso ammette la necessità di modifi care l’insegnamento delle lingue e di tener conto del cambia mento sopravvenuto nelle condizioni politiche dell’Egitto - dove l’influenza inglese è cresciuta dopo gli avvenimenti del 1882. Quanto all’indipendenza reclamata per Cork, il Superiore non ne riconosce le ragioni. Aveva già scritto: «Non facciamo a Wilton un’opera puramente irlandese, ma un seminario per le 33 L. PI. a P. Devoucoux, citata in n. 30. 34 L. PI. al Card. Gotti, 3.1.1906.
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Missioni Africane». Con il Prefetto è ancora più chiaro: «La ri pugnanza che i giovani irlandesi manifestano nel lasciare il loro paese per proseguire gli studi a Lione non rischia di ingrandirsi quando dovranno andare tra gli Africani? Il loro soggiorno obbli gatorio in Francia non è una prima tappa su questa strada?...». Cibo, clima, costumi, lingua, tanti punti sui quali potrebbero fare una buona esperienza della loro possibilità di adattamento all’Africa... «La scuola di Cork potrà avere successo - aggiunge - ma dovrà rimanere molto unita al centro dell’Istituto»...35. La questione della nazionalità gioca certamente un ruolo molto importante nel conflitto: «Io so bene - dice - che i nostri Irlandesi amano trovarsi tra i loro compatrioti. Vogliono forse recarsi soltanto in paesi dove faranno i parroci per altri Ir landesi? 36 Ma per noi, si tratta di formare delle persone animate dallo spirito apostolico e disposte a vivere non soltanto fuori dalla patria, ma nel cuore dell’Africa»... «A Lione, troveranno degli allievi di tutti i paesi d’Europa e gli Irlandesi saranno trat tati con gli stessi riguardi degli altri»...37. La difficoltà di fondersi nella famiglia delle Missioni Africane è stata forse all’origine delle defezioni che si sono prodotte fre quentemente presso i Seminaristi d’oltremanica? E un fatto che, agli inizi, vi fu una mancanza evidente di perseveranza, che pro vocò, nel Superiore e per quelli che lavoravano in Irlanda, più che uno scoraggiamento, bisogna dirlo, una certa irritazione. Il Padre non riesce a nascondere la delusione per queste ripetute partenze; se ne lamenta molto, anche troppo spesso, e le sue parole amare o ironiche nella corrispondenza non hanno nulla che possa calmare gli spiriti e fare evolvere la situazione3S. Chiede di accettare meno studenti - non perché voglia agire contro la casa di Cork, anzi lui, più di chiunque altro, vorrebbe ricevere molti Irlandesi, ma vorrebbe anche poter far affida mento su di loro... «Dite pure a P. Barret che desidero avere molti missionari irlandesi. Limitando per il momento il numero 35 36 37 38
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Stessa lettera. L. Pi. a P. Moreau, 11.8.1878 e al Card. Gotti, 9.5.1903. L. PI. al Card. Gotti, citata in n. 34. Numerose lettere a P. Zimmermann e ad altri Padri.
degli allievi, non ho altra intenzione che accogliere delle volontà ben salde» 39. L’inquietudine che ha preso quei giovani - dopo gli Spagnoli - di non vivere più soltanto tra connazionali, è sentita anche dai Francesi, quando, airindomani della guerra del 1870, giungono a Clermont e a Lione degli Alsaziani che, a causa della loro annes sione alla Germania, hanno dovuto adottare la lingua e la nazio nalità d’oltre-Reno. Ed alcuni Padri non mancano allora di solle vare la questione del numero troppo grande di stranieri tra loro... «Non sarà questo un ostacolo all’unione?», domandano 40. Il Superiore ci tiene molto, come abbiamo già detto, a questa diversità che è una delle note caratteristiche della fondazione, ma deve convenire che abitare gli uni presso gli altri, gli uni con gli altri, e in maniera il più cordiale possibile, non è cosa facile. Saper apprezzare il proprio patrimonio culturale, ma anche quello degli altri, riconoscendo le debolezze e le mancanze reci proche, senza essere troppo feriti, è un cammino d’umiltà, di coraggio e di delicatezza. Non è affatto strano che Zimmermann, lui stesso d’origine svizzera, si sia scontrato con i Padri e Semina risti francesi, a causa del loro spirito di superiorità, la loro troppo grande fiducia nei vent’anni di esperienza missionaria precedente - e che gli Irlandesi si siano trovati molto spaesati sul continente, dove tutto è diverso per loro, mentalità, costumi, forse anche il comfort. Per tutti si tratta di una dura scalata verso una vita di condivisione e di ascolto. Da qui l’eccessiva sicurezza degli uni, il ripiegamento su di sé degli altri e infine la richiesta esplicita di autonomia, da cui Zimmermann pensa di ottenere una maggiore libertà d’azione. Ma tutti i punti oscuri, che hanno adombrato gli inizi della Società e della Congregazione in Irlanda, non devono tuttavia nascondere la parte dei successi e delle esperienze positive in Africa di coloro che sono riusciti a perseverare. Dopo la casa di Cork, vi fu Wilton, poi Blackrock, che passò in seguito alle Suore. E tutti quei luoghi, funzionanti come centri di formazione 39 L. PI. a P. O’Sullivan, 7.8.1902. 40 Cfr. IV parte, cap. 12.
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per i giovani Irlandesi, videro la loro importanza accresciuta nel momento in cui si amplificò quella che noi chiamiamo oggi la politica linguistica dei due Istituti. Sin dalla fondazione di Lagos in effetti, si fece sentire il bi sogno di avere un personale che parlasse correntemente inglese, perché al Vicariato del Bénin si aggiunsero ben presto la Prefet tura della Costa d’Oro e quella del Niger, passate tutte sotto il controllo britannico. In questi territori non si smette di richie dere dei maestri preparati41, «altrimenti non si può lavorare. Al lora se avete soltanto un piccolo numero di allievi irlandesi, ri date alla casa l’altro scopo della sua fondazione, che serva cioè a coloro che vi saranno inviati da qui per imparare la lingua», dice il Padre 42. Vi era forse in questo modo di usare la casa di Cork, una certa visione utilitaristica... una sorta di recupero dei servizi che poteva rendere, ma resta il fatto che questa funzione era essenziale ed indispensabile agli occhi del Superiore, come un mezzo a disposizione del paese per servire bene l’Africa. Attraverso quali strade alcune ragazze erano già arrivate dall’Irlanda all’appuntamento della fondazione delle Suore, nella Grande Rue de la Guillotière, nel 1876?... Non si sa bene. E tuttavia esse sono ben presenti, tra le prime: Charlotte Kirwan, Marguerite Riordan, Jane Burk che partiranno ben presto per il Bénin, Elly Howard, Sr. Ignace, la fondatrice di Elmina, Sr. Maria d’Egitto e molte altre venute da Dublino o da altre loca lità... Sembra che, fin dall’apertura di Cork nel 1878, già siano state presenti anche le Suore di Lione, poiché gli scambi erano cominciati prestissimo. Ma fu nel 1887 che le Irlandesi si stabili rono ufficialmente. P. Planque ne fa un primo accenno in marzo, scrivendo a Sr. Marie-Véronique «che probabilmente organizzerà a Cork una casa di Suore». E alla fine del mese di agosto confida a Sr. Benoìt la sua partenza imminente «con Sr. 41 L. PI. a P. Devoucoux, 9.9.1882. 42 L. PI. a P. Zimmermann, 8.8 e 27.10.1881.
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Augustin, per regolare certi dettagli sull’insediamento e provve dere al buon andamento della casa» —«Perché sarà un vero po stulato, quello che stabiliremo». «Voi non ci credereste, se non ve lo dicessi, scrive ancora a Sr. Maria d’Egitto - lei stessa origi naria di Cork e già in missione ad Abéokuta - sono appena tor nato dall’Irlanda ed il nuovo Vescovo ha espresso il desiderio che noi apriamo un postulato di Suore. Sarà un po’ più lontano del collegio apostolico». Il nuovo vescovo era Mons. Callaghan. Molto benevolo verso i missionari, aveva accettato di riconoscere il piccolo gruppo di Suore stabilite da otto anni e quasi senza autorizzazione... Da allora, gli scambi si moltiplicano tra i due paesi. Mentre le notizie francesi fanno degli stages oltremanica e alcune vi pronun ciano anche i primi voti43, la signorina Mac Carton, che diventerà suor Marc, è chiamata a dare dei corsi d’inglese alle suore di Lione e numerose giovani d’Irlanda vengono in Francia a prose guire il loro noviziato. L’intesa tra tutte è buona. Il loro lavoro e la loro perseveranza sono incoraggianti. «Sono dieci volte più perseveranti dei Padri» - assicura P. Planque - e, «in base a quello che mi scrive Suor Cassien, vi è a Blackrock qualche po stulante proprio del tipo come vorrei che fossero tutte. Spero che queste prime ne trascineranno altre» 44. Cerca, dunque di seguirle da lontano. Aspettando di riceverle a Lione, raccomanda loro uno spirito di fede ed un’umile obbedienza. Bisogna pensare - se condo questa riflessione di P. Chausse - che «le Suore ben prepa rate perseverano» e non pensano di andarsene? Allora «il Consi glio di Lione chiede che la loro casa di Cork assuma il compito di preparare le insegnanti di inglese di cui le scuole della Costa hanno bisogno» 45. P. Chausse chiede infatti il loro aiuto: «Oh! caro Padre Zimmermann - scrive - non potreste far preparare delle Suore capaci, delle Suore che sappiano e possano insegnare la lingua inglese? Oh! sì, dateci, per favore, delle Suore che pos
43 Fu il caso, ad esempio, delle Suore Timothée, Germaine, Marcelline... 44 L. PI. a P. Zimmermann, 11.10.1893. 45 L. PI. a P. Zimmermann, citata in n. 42.
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sano fare onore ad una classe... e renderete alle nostre missioni il servizio più im portante!...»46. Un servizio ben fatto a giudicare dal numero delle giovani Suore irlandesi e dai compiti svolti da loro in Africa. Da Lagos a Topo, a Oyo nel regno degli Yoruba o a Lokodja nel Niger supe riore, le troviamo attive, dedite fino al dono della loro stessa vita, nelle scuole che più tardi diventeranno dei grandi collegi, come quello di Saint-Mary a Lagos e di Cape-Coast, nei centri di cura e di assistenza medica, nell’attesa di essere inserite negli ospedali47. Ma alla morte di P. Planque, non tutti i problemi sono an cora stati risolti. Nel 1903 e 1904, Mons. Pellet, allora Vicario generale, compie due viaggi successivi in Irlanda, per studiare la possibilità di trasferirvi il seminario di Lione - se gli avvenimenti lo rendessero necessario. Zimmermann, prima favorevole a questa eventualità, l’accoglie infine molto male, quando capisce che Cork, almeno momentaneamente, diventerebbe la nuova Casa-Madre. L ’inviato di P. Planque torna molto irritato 48 e non riesce ad accettare che - animato senza dubbio delle migliori intenzioni - Zimmermann cerchi l’indipendenza non soltanto per gli studi, ma anche per le risorse che ottiene dai benefattori e di cui assicura la gestione al di fuori della Società. In effetti, è tutta l’organizzazione di una provincia ad essere già in questione e Mons. Pellet ne è ben consapevole. Il Superiore di Cork la solle cita espressamente da Roma e ne ottiene anche già qualche ga ranzia evidente 49. Questa lunga tensione tra Lione e l’Irlanda, che va crescendo 46 Lettera di P. Chausse, Vicario apostolico del Bénin, a P. Zimmermann, 21.11.1890.
47 Nei primi venti anni morirono nove Irlandesi, che furono seppellite a Topko, a Lagos, ecc. - Le Suore assunsero, tra l’altro, la guida dell’ospedale del Sacro Cuore che fu fondato da P. J.M . Coquart, delle Missioni Africane. 48 Mons. Pellet fu ancora più irritato quando apprese che il P. Superiore non aveva realmente l’intenzione di inviare i Seminaristi a Cork. Cfr. lettera a P. Desribes, 25.1.1904.
49 In questo modo furono accordati da Roma a P. Zimmermann il diritto di pos sedere delle risorse proprie, quello di aprire una seconda scuola apostolica e di far seguire sul posto agli studenti i corsi di filosofia e di teologia.
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per più di vent’anni, è abbastanza tipica del cammino e dell’evo luzione che ogni gruppo deve fare, se vuole costituirsi solida mente neH’internazionalità dei membri, a maggior ragione se si tratta di Società o di Congregazioni. Infatti, per essere stabile ed avere qualche possibilità di durata, un Istituto deve prima di lutto darsi degli obiettivi comuni, una stessa prospettiva per l’av venire, con uno stesso ideale e la condivisione degli sforzi, dei successi o degli insuccessi. In breve, un minimo di fratellanza, una solidarietà attiva e disinteressata. E senza dubbio ci vuole anche, per individuare bene gli obiettivi ed interiorizzarli nella propria vita, una formazione solida e adeguata. Una volta acqui sita, l’unità del gruppo potrà allora essere vissuta —e bisognerà tendervi - non nell’uniformità, che rischia di livellare tutte le ric chezze secondo un unico modello, ma nella diversità delle cul ture e dei modi di vita, delle lingue ed anche dei particolarismi nazionali. L’equilibrio rimane tuttavia sempre necessario perché la coesione e la solidarietà non siano mai messe in discussione, pur nel rispetto del libero esercizio delle abitudini e delle tradi zioni proprie. Il tempo di Brésillac e di Planque - fondatore e co-fondatore che si prendono cura della loro «creatura»... - è il tempo del «raduno». Essi creano la prima base su cui porre l’edificio, an cora fragile e pesante, della missione ai suoi inizi. Essi non pos sono ancora accettare di concedere troppo alle rivendicazioni na zionali, così come trovano inaccettabile, perché sospettata di por tare la divisione, l’idea delle province, che tuttavia prevale nello statuto delle Congregazioni d’oggi. Per vivere il pluralismo delle sensibilità e degli stili nazionali, non si può fare a meno di una struttura forte, che sia però anche benevola e aperta a tutti. Ma, per stabilirla, ci vuole molta pa zienza fraterna, attesa e comprensione, prima di ottenere che i ritmi si armonizzino e le mentalità si trasformino dall’una e dal l’altra parte. Non si guadagna nulla a bruciare le tappe. Lo Spirito ha bisogno di tempo perché il volto dei gruppi si plasmi in modo armonioso e in un’unità fraterna.
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CAPITOLO QUINDICESIMO
GLI ULTIMI ANNI (1900-1901)
Si aspettava Augustin Planque di vedere gli albori del nuovo secolo? Stanco e vecchio, vive questo passaggio sapendo che il tempo è vicino e presto sarà terminata la sua corsa, per entrare nella pienezza di quell’unione con Dio che ha sempre cercato di vivere. Tuttavia, non pensa di aver già finito il suo compito, o almeno non ancora. Superiore degli uni, fondatore delle altre, non si volta indietro a guardare il cammino percorso. L’avvenire della missione è davanti a lui ed egli vuole continuare a prece dere i suoi sulla strada che devono percorrere. Il tempo che gli rimane da vivere, lo impiegherà a risolvere con loro alcuni dei problemi più gravi. Infatti nel 1900 sorgono altre difficoltà: nel Dahomey, nel Niger e nel Bénin, in Egitto e nella Costa d’Avorio, la missione più giovane, ma anche in Francia, con la nuova fiammata di anticlericalismo, ed anche nella sua stessa casa dove i suoi figli e le sue figlie si trovano schierati su fronti opposti, invece di comprendersi e accettarsi. Sette anni... in cui egli sarà, come sempre, diviso tra il timore e la speranza, tra la gioia e la pena. Il timore, perché sa quanto le opposte ambizioni, e gli Stati preoccupati di costruire i loro im peri coloniali, rischino di rendere vani gli sforzi di coloro che lottano contro tutte le forme di schiavitù. Ma conserva soprat tutto la speranza che la missione supererà gli ostacoli, che i po poli dell’Africa accetteranno sempre più numerosi il Vangelo e troveranno accesso alla libertà come anche ad una vita più giusta e più umana. Si potrebbe delimitare questo breve ed ultimo periodo della vita di Augustin Planque con due date: quella del suo Giubileo sacerdotale, nel 1900 - un giorno di gioia - e quella della sua
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ultima lettera nel 1907, dove si ritrovano alcune parole chiave della sua vita, quali «la sottomissione a Dio» e «la formazione dei missionari».
1. Ore di gioia
In apparenza poco sensibile e a volte quasi indifferente - ma solo apparentemente - P. Planque è tuttavia una persona che ama cogliere i momenti felici della vita. Se, durante questi quarant’anni di superiorato, è stato spesso toccato dalle prove, dai duri colpi, daH’ingratitudine o dalla mancanza di rispetto, questo non dovrebbe far dimenticare le sue ore di grande gioia. Esse infatti non sono mancate, ed egli le ha apprezzate, e soprattutto verso la fine della sua vita, quando ne sentiva maggiormente il bisogno. Amava le feste di famiglia, gli anniversari, commosso molto più profondamente di quanto non sapesse esprimere quando «nos messieurs» - come era solito chiamare i Padri del seminario - si organizzavano per «fare qualche sorpresa» in suo onore e dirgli con rispetto e affetto ciò che egli rappresentava per loro... La festa di Sant’Agostino fu spesso l’occasione di queste ma nifestazioni di simpatia. Così, un 28 agosto - era nel 1881 Mons. Fava era venuto per ordinare a Lione otto giovani missio nari. Poi, terminata la cerimonia, consegnò al Superiore la mozzetta di canonico della diocesi di Grenoble. Questo gesto di stima e di vecchia amicizia, fatto dal Vescovo che amava tanto, aveva per il Padre più valore della sua nuova dignità! E P. Poirier non ebbe torto a sottolineare con humour: «Possiamo per dere pure ogni speranza di vedere il Padre indossare questa mozzetta...!» L Ma nel 1900, il 28 agosto fu ancora più solenne. Al semi 1 L ettera d i P . P o irier a P. D evoucoux, 13.10.1881. - U n ’altra ricorrenza di Sant'Agostino m olto significativa, q uella d ell'ag o sto 1876, al m om ento del «co m p lo tto ». L. PI. a P. M oreau, il 1 0.9.1876: «M a i qui i nostri Signo ri hanno fatto tan te sorprese, senza dubbio per p ro testare contro quello ch e è su ccesso ».
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nario, fu preparata per lui in occasione del suo Giubileo sacerdo tale «una delle sorprese più felici, unendo alla sua festa di ono mastico il cinquantesimo anniversario della sua ordinazione al sa cerdozio» 2. Mons. Pellet ha preso in mano i preparativi e deciso che «la prima e principale celebrazione si farà a Lione, non a Clermont», come Desribes aveva proposto 3. «Li ringrazio tutti per i loro sforzi e la loro buona volontà - scrive il Superiore Essi hanno soprattutto trasformato la nostra cappella mettendo un altare di marmo bianco e facendola dipingere all’interno»4. Nulla l’avrebbe reso più felice. Era nello stesso tempo bello e familiare. Mons. Morel, direttore delle Missions Catholiques, ri percorrendo la storia della sua vita, rese omaggio alle qualità di fede e di energia del Superiore, così come alla grandezza dell’o pera compiuta in seno a «due grandi società di apostoli e di valorosi». Fu un’occasione per ricordare che «questa doppia fa miglia era stata per P. Planque il sogno di ogni istante, la pas sione di tutta la sua vita, lo scopo delle sue energie spese nel l’ombra e nell’um iltà»5. E Mons. Pellet, che aveva desiderato «con queste feste, rafforzare e rinsaldare i legami che univano i membri al capo» poteva essere felice d’aver raggiunto il suo scopo 6. In dicembre, il Padre ebbe ancora la gioia di andare a Chemy, il suo villaggio natale, per celebrarvi il cinquantesimo della sua prima messa nella chiesa dove era stato battezzato 7, come confidò a P. Dartois, suo compatriota. Un’altra occasione di grande soddisfazione per lui fu l’arrivo degli statuti definitivi per ciascuna Società. Egli infatti, li atten deva da tanto tempo, come il sigillo della Chiesa, necessario al proseguimento dell’opera. La prima approvazione romana delle Missioni Africane era stata concessa «ad experimentum» soltanto 2 L. Pi. a Chateau, curato di St-Roch, 30.8.1900 - a P. O’Sullivan, 2 e 13.9.1900 - a Sorniani, Milano. 3 Lettera di Mons. Pellet a Desribes, 24.6.1900. 4 Cfr. L. PI. a Chateau, citata in n. 2. 5 Omelia di Mons. Morel, per le Nozze d ’Oro sacerdotali di P. Planque. Archivi SMA e NSA. 6 Lettere di Mons. Pellet a P. Bel, 14.9.1900 e ad alcuni altri. 7 L. PI. a P. Dartois, 17.12.1900.
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per cinque anni8 e ricevuta - come già detto - in mezzo alle più vive contestazioni. Ma da allora, P. Planque aveva potuto rad drizzare la rotta. E la Società, avendo raggiunto una maggiore maturità, sembrava ormai al riparo dagli scossoni del passato e da nuove discussioni. Questo, il Padre lo doveva in gran parte, e lo sapeva, ai Cardinali Ledochowski e Coullié, alla loro saggezza, al loro sostegno sempre attivo. Tuttavia Propaganda Fide considera opportuno differire il ri conoscimento definitivo. Nel 1895, poi 1896, essa concede una proroga soltanto per un anno. Alla fine del secondo periodo, il Superiore rinnova la sua richiesta per tre anni, affermando che «gli animi sono molto più calmi e che lo diventeranno sempre di più. Questa approvazione più lunga contribuirebbe, d’altronde, al bene e alla pace...»9. L’assicurazione data da P. Planque, ri guardo alla pace ritornata in seno alla Società, è stata ben intesa perché Roma decide una nuova proroga fino alla fine del 1899. Il documento finale infine promulgato per decreto, il 23 agosto 1900, concede alle Missioni Africane l’approvazione definitiva delle loro Costituzioni, chiedendo tuttavia che siano inserite le correzioni proposte 10. Bisogna dire che si è evitato un altro ri tardo solo per un soffio... il Consultore di Propaganda Fide inca ricato del testo, P. Cormier, un domenicano, si è pronunciato per il rinvio del decreto... 11 Fortunatamente il suo parere arriva troppo tardi!... la Società l’ha scampata proprio bella!... Il Superiore può allora informare i Padri che è stata scritta l’ultima pagina di quella lunghissima storia. Lo fa con semplicità, senza manifestare un eccessivo entusiasmo, e ancor meno con trionfalismo... «Le nostre costituzioni sono approvate, nel com plesso senza cambiamenti, se non per qualche piccola modifica» 8 Fu nel 1890. La prima approvazione al livello di diocesi era stata data dal Card, de Bonald, nel 1864, cfr. II parte, cap. 6. 9 L. PI. al Card. Ledochowski, 14.12.1897 e 12.11.1898. 10 Queste riguardano principalmente: a) il giuramento, la cui dispensa è riservata alla Santa Sede. —b) il Superiore generale che verrà eletto per sei anni e sarà rieleggibile. Questa disposizione non riguarda P. Planque: essendo co-fondatore, è Superiore a vita (cfr. sopra, cap. 12) - c) i consiglieri designati d ’ora in poi dall’Assemblea. 11 P. Cormier non era favorevole a P. Planque, né al testo delle Costituzioni, né all’organizzazione della Società.
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- questo il discorso succinto inviato a P. Poirier. Stessa sobrietà con P. Duret. «Vi invio anche due copie delle nostre regole, le prime che ho ricevuto dalla tipografia» 12. A causa della legge sulle associazioni, «non ha giudicato prudente, visti i tempi che corrono, aggiungere alle stesse regole il testo dell’approvazione, che sarà stampato a parte» 13. Per la stessa ragione gli articoli sulla proprietà dei beni saranno riportati nel Direttorio. 11 fatto che P. Planque abbia preso le distanze e manifestato un completo distacco parlando del decreto di Roma, o che in quella circostanza non abbia esternato i suoi sentimenti presso gli altri Padri, non può farci dubitare della gioia che deve aver pro vato: la gioia di una vittoria dopo una dura battaglia fatta per dotare la famiglia di Brésillac di strutture più elaborate e più adattate di quanto non lo fossero all’inizio gli articoli fondamen tali. Molte contraddizioni e altrettante sconfessioni subite prima di giungere alla fine, avrebbero potuto fargli dubitare della dire zione scelta. Ma ora, se l’approvazione è un atto definitivo per la Società, che l’ha finalmente ottenuta, per il Padre diventa una testimonianza resa al suo lavoro, svolto al prezzo di una grande pazienza! Egli ha ben il diritto, nel fondo di se stesso, di esserne felice e fiero, e soprattutto, sollevato... u . Per quanto riguarda le Suore, il problema a Roma sarà risolto più rapidamente a partire dal momento in cui la redazione della loro regola di vita e l’organizzazione della Congregazione in So cietà indipendente da quella dei Padri si faranno in due tappe successive. La definizione delle loro Costituzioni deriva da un adattamento delle leggi e delle strutture proprie all’insieme delle congregazioni religiose, secondo i bisogni e la spiritualità partico lare di ciascuna. Ora, esiste già una regola nell’Istituto sin dai primi mesi della sua fondazione. Si sa che P. Planque l’ha voluta semplice e orientata verso la vita missionaria, suo obiettivo prin cipale. 12 L. PI. a P. Poirier, 10.3. 1901. - a P. Duret, 10.4.1901 - a P. Bricet, 29.4.1901 a Mons. Pellet, 17..5.1901. 13 Era meglio non menzionare la relazione con Roma su un documento ufficiale... 14 E tuttavia, dovette piegarsi alle decisioni dei diversi consultori. Alcuni dei loro articoli non tennero conto dei punti di vista cui egli teneva di più.
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Di questa regola religiosa, Mons. Fava - diventato responsa bile ecclesiastico delle Suore poiché queste risiedono nella sua diocesi - si è fatto garante con l’approvazione data da lui nel 1881, poco dopo l’insediamento al Moulin-à-Vent15. Ma venti cinque anni più tardi, P. Planque vorrebbe per la sua Congrega zione un’approvazione più ufficiale che «venga da Propaganda Fide, affinché le Suore siano veramente riconosciute nella Chiesa come Istituto». A questo scopo, approfittando di un soggiorno a Roma, si rivolge al Cardinale Ledochowski per preparare il ter reno. Il Prefetto, che conosce bene la Società dei Padri, è meno informato riguardo alle Suore. Con un certo piacere, il Superiore gli ricorda come sia stato spinto a fondare delle religiose «quasi suo malgrado» e «pressato dalla necessità di inviarle in Africa per occuparsi delle donne» 16. Non manca di insistere su «tutto il bene che queste fanno nelle loro ventuno case di missione, inca ricandosi di compiti che i Padri non potrebbero svolgere». Per tanto, come non vedere « l’utilità che si avrebbe nello stabilire per loro una regola definitiva approvata dalla Santa Sed e...?»17. Ricorda anche al Prefetto «la promessa fattagli di inviare alle Suore una parola di incoraggiamento... che sarebbe molto gra dita!». Poi, prima di terminare questa sorta di arringa, non di mentica un ultimo desiderio: «Vorrei tanto che potessero conser vare il nome che ho dato loro, ossia ’Suore di Nostra Signora degli Apostoli’ sotto la protezione della Santa Vergine nel suo titolo di Regina A postolorum». E vero che P. Planque teneva molto a questo nome. Senza dubbio lo considerava come un motto, il riassunto della sua spiri tualità, che egli voleva trasmettere. Venerava Maria come la Madre di Cristo, ma la ricordava volentieri negli avvenimenti della Pentecoste e dello Spirito Santo, dopo il Cenacolo. Era il tempo della Chiesa, quello degli Apostoli con i quali si era legato nella fede e nella fedeltà alla missione. La Congregazione è nata 15 Approvazione data il 18.8.1881, secondo Cristiani, Un grand Africain, p. 170. 16 L. PI. al Card. Ledochowski, 24.2.1901. Lettera successiva alla visita fatta a Roma. 17 Egli si dichiarò pronto a redigere questa regola secondo le indicazioni che Propa ganda Fide gli aveva dato.
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ed ha ricevuto il suo nome a Roma, forse non meno che a Fourvière. La risposta del Cardinale Ledochowski sarà benevola ed anche piena di elogi, interamente positiva, e soddisferà tutte le richieste del Superiore. Il Prefetto riconosce «la grandissima uti lità delle religiose preparate ad aiutare il lavoro apostolico dei missionari...». Egli «loda il Padre per la creazione della Società» - cui lascia il nome di “Nostra Signora degli Apostoli” - e lo invita a completarne la fondazione attraverso la redazione di re gole che saranno sottoposte a Propaganda Fide. «Così il Supe riore renderà un nuovo e grande servizio alle missioni, al cui progresso ha dedicato con zelo l’attività di tutta una vita» 1S. Quale migliore approvazione poteva sperare P. Planque, se non questo documento, favorevole quanto un encomio? Nel frat tempo, deve andare avanti e redigere il testo richiesto. Nell’a gosto 1900, Sr. Augustin — che è Superiora ufficialmente dal 1898 - lavora già in questo senso, con l’aiuto di alcuni collabora tori. Vista la richiesta di Roma, il Superiore la sollecita ad occu parsene più attivamente. I diversi Vicari apostolici ed i capi delle missioni sono stati consultati ed invitati a mandare suggerimenti e osservazioni sul progetto delle costituzioni che è stato loro sot toposto 19-. Mons. Pellet ha lui stesso risposto 20 ed impegnato i suoi Confratelli a dare il loro parere perché «è importante per tutte le missioni che la Congregazione delle Suore sia ben rego lata e fondata su basi so lide»21. Ed anche se il Vescovo non sembra aver sempre condiviso le idee di Sr. Augustin, racco manda tuttavia alle Suore del Dahomey di «seguire il nuovo re golamento quando arriverà». Ma «voi avete fatto benissimo aggiunge - a seguire quello che il vostro Fondatore vi ha dato e farete bene a continuare fino a quando le vostre Superiore non ve ne imporranno un altro »22... 18 Risposta del Card. Ledochowski, 6.3.1901. 19 Mons. Lang, i PP. Zappa e Duret avevano risposto; si attendeva la risposta di Mons. Dartois, di Mons. Albert, di P. Hamard. 20 Lettera di Mons. Pellet a Sr. Augustin, 16.4.1903. 21 Lettera di Mons. Pellet a Mons. Lang, Vicario apostolico del Bénin, 12.1.1903. 22 Lettera di Mons. Pellet alla Superiora delle Suore delDahomey, probabilmente Sr. Colette, 4.11.1903.
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Una volta rivisto e completato il testo, P. Planque vuole sot toporlo al vescovo di Grenoble, Mons. Henry. Essendo immobi lizzato da una piaga alla gamba, si fa sostituire dalla Superiora delle Suore e da una Consigliera. Al livello della loro diocesi, esse non hanno alcun problema e ricevono approvazione e pro messe di sostegno 23. Poi il testo è inviato a Roma 24 ed il Padre informa le Suore di questa nuova tappa verso l’approvazione. Ma vuole soprattutto riferire le decisioni che ha prese - da solo e senza consultarle: «In qualità di Fondatore, ho chiesto a Propa ganda Fide di convalidare una scelta che ho fatto da tanto tempo, quella di Sr. Augustin come Superiora generale. In più, data la difficoltà attuale di riunire un capitolo generale, ho chiesto anche una convalida per le quattro consigliere che de vono aiutare la Superiora generale nel governo della Congrega zione: Sr. Théodore come assistente, Sr. Claire, Cyprien e Simplicienne!» Poi aggiunge semplicemente, quasi umilmente: «Spero, figlie mie, che siate contente di ciò che ho fatto per la gloria di Dio e il bene della congregazione» 25. I problemi sono più facili da risolvere quando si tratta di congregazioni di Suore? Si potrebbe credere di sì, perché l’ap provazione richiesta non tarda. E stato forse grazie a P. Bricet che, con diligenza, ha seguito da vicino, a Roma, dove è procura tore, il loro dossier, ascoltando così le preghiere di Sr. Augu stin? 26 E vero che P. Planque si trova anche lui a Roma, dove è andato per conoscere il nuovo Prefetto di Propaganda Fide, che durante l’estate 1902 è succeduto al Cardinale Ledochowski27. Ritorna felice di aver visto il Cardinale Gotti, ed ancor più per il 23 Questo viaggio a Grenoble delle Suore Augustin e Simplicienne avvenne il giorno 11.4.1903. 24 L’invio a Roma fu fatto il giorno 11.12.1903. 25 L. PI. a tutta la Congregazione delle Suore, 31.1.1904. - Furono contente tutte le Suore del rinnovo dei poteri di Sr. Augustin? Sembrerebbe di no. Questa era stata nomi nata molto giovane a guida della Casa Madre. Fu per questo che il Padre aveva dovuto scrivere: «Preferirei dei bambini a governare il Moulin-à-Vent piuttosto che adulti i quali credono di sapere tutto meglio del Superiore»? (Sr. Dominique, 8.12.1886). - Sr. Augu stin fu «bocciata» per un secondo mandato nel capitolo del 1910, dopo la morte del Padre... 26 Lettera di Sr. Augustin a P. Bricet, 16.4.1903. 27 II Card. Ledochowski era deceduto il 22.7.1902.
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colloquio con il Papa e per la certezza che le Costituzioni sa ranno pronte in breve tempo. Firmato il 17 giugno 1904, il decreto giunge alla Casa Madre, abbastanza presto, tanto da poter gioire del suo arrivo già alla festa degli Apostoli Pietro e Paolo28. Una nuova lettera del Padre, questa volta molto ufficiale, annuncia a tutta la Congrega zione che «il prossimo corriere porterà senza dubbio le Costitu zioni». «Le riceverete nello spirito della fede, come davanti a Dio stesso con il rispetto e l’amore dovuti a tutto ciò che viene da Roma... Che d’ora innanzi queste dominino dappertutto e sempre, annullando anche ciò che io ho potuto fissare preceden temente...» 29. Il decreto laudativo, per quanto importante, non è che una prima tappa. Tuttavia, esso riesce a soddisfare molto P. Planque, che le Suore descrivono «tutto ringiovanito e raggiante»!... Nel 1905 sarà concessa l’autorizzazione di una festa propria per No stra Signora degli Apostoli, la domenica precedente la Pente coste30. Ma solo nel 1912 sarà concessa allTstituto l’approva zione definitiva e, nel 1928, quella delle prime costituzioni 31. Al Superiore rimane un ultimo e duro compito, che vuole portare a termine per loro prima di morire, ossia fare della Con gregazione una Società interamente autonoma, indipendente dai Padri sia per le risorse che per il funzionamento. Un altro avvenimento felice, che il Superiore aspettava con impazienza e molta speranza, si verifica prima della fine di quel l’anno 1901, in cui sono avvenute cose di ogni genere. E l’arrivo di Mons. Pellet, designato come Assistente generale di P. Planque. Qualche mese prima, quasi alla vigilia dell’Assem 28 Questo decreto apparso nel giugno 1904 figura nel I libro delle Costituzioni delle Suore. 29 L. PI. alle Suore NSA, 9..9.1904. 30 La festa comportava l’attribuzione di una messa particolare in onore di Nostra Signora degli Apostoli. - Attualmente, questa è fissata al sabato prima di Pentecoste. 31 Dopo l’aggiornamento del Concilio Vaticano II e la redazione di Costituzioni «ad experimentum», il testo delle Costituzioni aggiornate è stato definitivamente approvato l’8 dicembre 1984 dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
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blea32, questi aveva posto la questione al Cardinale Prefetto di cendo: «Non farei bene, nell’interesse del nostro seminario, a chiedere che il Vicario apostolico del Bénin resti a Lione per aiutarmi nell’amministrazione della Società?». E il Cardinale Ledochowski, sollecitato a dare il suo parere, aveva accettato senza aspettare le ragioni espresse. Da parte di P. Planque, questa richiesta può sorprendere o almeno suscitare degli interrogativi. Comincia forse a considerare che il compito sia troppo pesante e troppo esteso ora per gravare sulle spalle di uno solo? Poiché anche se esiste un consiglio della Società, il Superiore mantiene ancora per sé - come sempre l’essenziale della direzione generale. E vero che dieci anni prima, egli già scriveva: «So molto bene che con l’allargamento delle nostre opere, non mi sarà più possibile occuparmi di tutti i det tagli. Sarebbe bene quindi che me ne alleggerissi a poco a poco per concentrarmi sull’amministrazione più generale»33. Sente forse più fortemente oggi il bisogno di appoggiarsi sull’esperienza delle missioni posseduta da Mons. Pellet, che «sarebbe di una grande utilità da tutti i punti di vista»? Un problema, in realtà, continua a tormentarlo: è necessario «raddoppiare o anche tripli care il numero delle stazioni» 34. Pertanto, il Vescovo divenuto Assistente, non potrebbe, meglio di chiunque altro, trascinare altri giovani verso l’Africa? Ma la vera ragione che gli fa deside rare una presenza al suo fianco, non è soprattutto la coscienza che a poco a poco le sue forze non gli permettono di continuare a fare ciò che aveva sempre fatto e che ora deve pensare al futuro?... Fortemente sorpreso dell’offerta che gli giunge35, Mons. Pellet - che è allora in Messico —la respinge prima di sapere che, all’unanimità, l’Assemblea generale l’ha eletto Assistente 36. Inu tilmente fa presente a tutti «che non ha nessuna delle qualità 32 L. P i al Card. Prefetto, 29.8.1901. 33 L. PI. a Mons. Fava, 29.8.1901. 34 Stessa lettera. 35 L’offerta gli fu trasmessa da P. Planque, il 6 (o 7). 9. 1901. 36 Lettere di Mons. Pellet a P. Pi., 5.10.1901 e 27.11.1901. - Riposte di P. Planque, 4.10.1901 e 9.10.1901.
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richieste per quell'incarico». «Non è difficile per Lione fare una scelta migliore - dice - e lasciarmi continuare la mia opera nel Bénin» 37. Conosce le lingue del paese, la sua salute resiste bene al clima: sono, questi, argomenti che possono contare come al trettante «buone ragioni per ritornare nella sua M issione»38. «Dire addio al Bénin, è il più grande sacrificio che l’obbedienza potesse chiederm i»39, scrive ai Confratelli. Vorrebbe rifiutare. Ma come potrebbe sottrarsi alle istanze che gli vengono dal Pre fetto di Propaganda Fide e dal Cardinale Coullié, oltre che dai Confratelli e da P. Planque? «Voi mi consigliate di accettare que st’incarico, scrive al Cardinale Ledochowski... I consigli di Sua Eminenza saranno sempre per me degli ordini»40. «M ai - e questo la dice lunga sulla sua fedeltà - sarei potuto andare a comandare nel Bénin, dopo aver disobbedito qui a Rom a»41. Tuttavia, «se egli ha lasciato la sua cara Missione, nessuno gliela toglierà dal cuore...»42. E l’anno seguente confesserà ad un amico: «I miei pensieri sono spesso laggiù ed il mio cuore non se n’è ancora staccato»43. All'inizio del gennaio 1902, l’ex Vicario apostolico del Bénin riceve tutti gli attributi che il Consiglio gli ha affidato. E con la più grande soddisfazione che P. Planque l’accoglie, desideroso che questi sia molto utile tanto al seminario quanto alle Mis sioni44. Nel fondo del suo cuore, il Superiore è ugualmente sen sibile al fatto che la Società possa ritrovare, tra i suoi primi re sponsabili, un vescovo che è vissuto in Africa. Infatti, con la morte di Brésillac, il governo della Società era rimasto privato di questi due importanti attributi: il carattere episcopale e l’e sperienza missionaria sul posto. Ma ora il vuoto è colmato... 37 Avrebbe anche potuto aggiungere che diventare Assistente del P. Superiore non gli sembrava cosa facile! 38 Lettera di Mons. Pellet al Card. Ledochowski, 5.10.1901. 39 L. Mons. Pellet a P. Klaus, 30.12.1901. 40 L. Mons. Pellet al Card. Ledochowski, 24.12.1901. 41 L. Mons. Pellet a P. Klaus, citata in n. 39. 42 L. Mons. Pellet a Sr. Colette, Superiora provinciale delle Suore del Dahomey, 28.1.1902. 43 L. Mons. Pellet al Superiore del seminario di Grenoble,12.6.1902. 44 L. PI. a P. Duret, 4.1.1902. - Cfr. a P. Zappa,5.2.1902 e a P. Villevaud, 22.1.1902.
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P. Planque non sarà deluso. Avrà, infatti, un eccellente sup plente, «un uomo provvidenziale», come lui stesso era stato per Brésillac. Questo convinto originario di Prado, Paul Pellet45, la cui spiritualità potrebbe, secondo P. Guilcher, definirsi in due parole «rinuncia e povertà», si preoccuperà molto, in effetti, di adoperarsi anche lui per l’unione dei membri. Senza mai usur pare i poteri del Superiore Generale, il nuovo Assistente svolgerà una notevole quantità di compiti con molta efficacia e rettitu dine, e non soltanto nei riguardi del seminario: egli farà tutto ciò che il Superiore - la cui salute va declinando - non può più fare. Andrà dove P. Planque non può andare - almeno da solo - e dall’Irlanda all’Egitto fino ai paesi del Golfo di Guinea, girerà molto. Si sa che Pellet si trovò a volte in disaccordo con P. Planque e certamente anche con il Consiglio delle Suore. Ma sino alla fine, circonderà il vecchio capo con estrema attenzione ed una grande nobiltà di sentimenti. Associando pienamente al suo governo un uomo di questo calibro, che sarebbe diventato suo successore, P. Planque aveva dunque preso una felice inizia tiva per l’avvenire della Società. A fianco l’uno dell’altro, chiameranno ancora una volta tutti i Confratelli e particolarmente quelli del seminario ad una grande celebrazione, in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione. L’8 dicembre 1906, è di nuovo a Fourvière - dove non si stancheranno mai di andare —che si ritrovano numerosi per una messa mattutina. Dell’8 dicembre 1856, rimane solo un testimone, lui, il vecchio compagno del Fondatore, che rende grazie per il cammino percorso, per il coraggio dei vivi, ma anche di tutti quelli che hanno amato l’Africa fino a darle la loro vita. Al seminario, la messa pontificale è ancora più solenne, intorno a Mons. Pellet. Discorso di P. Planque, telegramma del Papa, tutto testimonia che le Missioni Africane rimarranno solidamente fondate sulla fede e sul servizio del Vangelo; tutto, compresi gli stemmi e i motti che decorano la casa richiamando alla mente il
45 Mons. Pellet era fiero di essere stato cresciuto a Prado da P. Chevrier. Cfr. M issiom A fricaines, di R. F. Guilcher, 1956, ed. La Société des Missions Africaines, p. 69.
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ricordo dei nove Vicari apostolici della Società, cinque dei quali sono già scomparsi46. Il trentesimo anniversario di Nostra Signora degli Apostoli festeggiato a Vénissieux nell’intimità familiare intorno al Fonda tore - sarà l’ultima manifestazione alla quale P. Planque potrà partecipare.
2. Nuove crisi in Francia
Negli stessi anni in cui il Superiore raccoglie con piacere, come un frutto meritato, qualche felice risultato, dei segni di riconoscenza o delle testimonianze calorose, sopraggiungono an cora una volta eventi difficili da superare e da vivere. Saranno gli ultimi ostacoli ai quali dovrà far fronte, spalleggiato e sostenuto, è vero, da Mons. Pellet e da Mons. Terrien, quest’ultimo nomi nato procuratore a Parigi al suo ritorno dall’America e che, più di una volta, fungerà da efficace intermediario. Di questi eventi suc cessivi, i cui esiti saranno lunghi e difficili da regolare, P. Planque non vedrà la fine...
La Chiesa e lo Stato Con un grave impatto sulle missioni e sulle opere che queste hanno creato, le leggi del governo ostili alle Congregazioni - una vera onda d’urto che, con timore, si sente arrivare - scuoteranno il mondo cristiano sia in Africa che nella metropoli. Da più di un secolo, si udivano gli scricchiolii. La Rivoluzione del 1789, nata dal secolo dei Lumi, era stata apertamente ostile alla religione. E le idee di libertà, uguaglianza e di tolleranza su cui si appoggiava la filosofia di quel tempo, spinsero a rifiutare un potere ecclesiale portato a condannare tali princìpi che giudi cava distruttori. Né il Concordato firmato da Napoleone e da 46 C in q u e d i q uei V icari ap o stolici d e lla S o cietà erano m orti: M ons. B résillac, M ons. C hausse, D artois, A lbert, Klaus. G li altri q u attro erano M ons. P ellet, Lang, H um m el e Steinm etz.
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Papa Pio V II47, né - e forse ancora meno - il ritorno dei «cri stianissimi re», Luigi XVIII e Carlo X, riusciranno ad impedire lo sviluppo del movimento di opposizione, che prende di mira so prattutto nella Chiesa una certa potenza attaccata ai suoi privilegi e un’istruzione che teme l’evoluzione del mondo. Dopo il 1870, l’atteggiamento di numerosi cristiani rimasti conservatori e mo narchici provocherà, come abbiamo già visto, una spinta repub blicana ostile, quella di Jules Ferry e dei governi che gli succede ranno. Purtroppo, lo sforzo di Papa Leone XIII e del Cardinale Lavigerie, che chiedono ai cattolici francesi di optare per l’«Adesione» alla Repubblica 48, non ottiene il risultato sperato che, al contrario, avrebbe permesso, avvicinando gli animi, di far evol vere la situazione verso un clima di serenità. E il XIX secolo si concluderà, invece, nell’agitazione e nella divisione create da certi scandali - come ad esempio l’affare Dreyfus 49 - o anche dal sentimento della rivincita contro la Germania, che comincia a prevalere fortemente in Francia. Questi lunghi contrasti portano ai conflitti dei primi anni del 1900. Come tutte le istituzioni religiose in Francia, le Missioni Afri cane e le Suore sono colpite dall’insieme delle leggi che, dal 1901 al 1906, minacciano di modificare le loro condizioni di vita e d’azione. Sin dalle prime scosse, e come vi è già stato costretto vent’anni prima, P. Planque si chiede: «Chi sa se saremo obbli gati a lasciare la Francia?». «Non sappiamo ancora come saranno applicate nei nostri confronti le nuove misure sulle congrega zioni»50. E chiaro, comunque, che le due Società stanno per cadere sotto i colpi della legge del 1901 51. Questa riconosce la 47 Sul Concordato del 1801, cfr. I parte, cap. 2, n. 1. 48 Fu nella speranza di ottenere questa «adesione» che Lavigerie pronunciò il brin disi d’Algeri, il 12.11.1890: «... Quando la forma di un governo - ricordava riecheggiando Leone XIII - non ha nulla in sé di contrario ai princìpi che soli possono far vivere le nazioni... viene il momento... di sacrificare tutto ciò che l’onore e la coscienza ordinano a ciascuno di sacrificare per la salvezza della patria». Cfr. Le Cardinal Lavigerie, François Renault, op. cit., pp. 590-591. 49 Nel 1894, « l’Affaire», una delle prime manifestazioni antisémite del tempo, avrà enormi echi all’inizio del secolo successivo. 50 L. Pl. a P. Morelli, 9.8.1901 - a P. Zimmermann, 26.8.1901. 51 La legge del 1° luglio 1901 fu rafforzata ancora da quella del 4.12.1902.
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libertà di costituirsi in società civile ad ogni associazione che ne faccia richiesta e ne riceva l’autorizzazione, ma è facile prevedere che quest’ultima sarà rifiutata a quegli Istituti che il governo sembra considerare suo principale bersaglio 52. Infatti, un gran dissimo numero di congregazioni dovrà espatriare verso i paesi confinanti come il Belgio o la Gran Bretagna, l’Irlanda, ecc. L’e sodo sarà ancora più imponente dopo la legge del 1904 che ag grava la situazione togliendo la facoltà di insegnare ai membri delle congregazioni e provocando immediatamente la chiusura di quasi duemila scuole 53. Ma a P. Planque non mancano né le relazioni, né gli appoggi. E così che, attraverso Mons. Dartois, fa conoscenza con il curato di Radinghem, nel Nord: «Il buon canonico, non potrebbe dunque aiutare a far conoscere la Società come semplice associa zione? Noi non siamo religiosi, e questo riconoscimento ci evite rebbe tante difficoltà». Grazie al canonico Quentin, alcune trat tative potrebbero essere facilitate presso l’Amministrazione dei Culti54. Nello stesso tempo, invia al ministro un rapporto re datto su consiglio dell’Arcivescovo di Lione e nel quale fa riferi mento - come ha già fatto nel 1881 - ad argomenti che gli sem brano indiscutibili. Sottolineando la qualità di secolari, che è ef fettivamente quella dei membri delle Missioni Africane, insiste ancora di più - e chi glielo potrebbe rimproverare, se si tratta di salvarsi? - sui servizi che essi rendono in Africa al governo francese, come è stato dimostrato, per esempio, nel momento degli incidenti franco-britannici di Porto-Novo 55. Superata questa trattativa, il Superiore vuole rimanere ancora fiducioso, scrivendo alla fine del 1902: «Sembra che non dob biamo preoccuparci della persecuzione contro le congrega 52 II m inistro W ald eck -R o usseau che aveva fatto votare la legge era piuttosto m o d e rato. Superato d a lla fazione di sin istra, dov ette dim ettersi n el 1902 e lasciare il posto a Em ile C om bes, il più settario an ticlericale che la Francia abbia m ai conosciuto. 53 L a leg g e d el 1904 fu v otata il 17 luglio . L e scuole riaprirono q uasi dappertutto, m a secolarizzate. 54 L. PI. a M ons. D artois, 2 7 .8 .1 9 0 1 - al canonico Q uentin, 1.10 e 27.10.1901 - a D um ay, d iretto re g en erale dei C ulti, 3 .1 0 .1 90 1 . 55 R apporto indirizzato da P . P lan q u e al m inistro degli Interni e dei C ulti, 18.9.1902.
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zioni»56. Infatti, nei giorni seguenti viene a sapere che «il go verno, persuaso, e a ragione, dell’utilità della Società per mante nere l’influenza francese in Africa, ha preso in considerazione la sua domanda e proposto al Senato un progetto di legge in suo favore» 57. Ma ha qualche buon motivo per aggiungere: «Ma si può veramente sperare nel futuro?», perché ha appena saputo che «le scuole apostoliche saranno soppresse» e ne è molto con trariato 58. Mette in allarme il suo amico canonico, e per so stenere ancora più fortemente la sua causa, decide di inviare una supplica «a ll’attenzione del Presidente e di tutti i Senatori», sperando che questi votino non soltanto il testo sottoposto dal ministero, ma anche l’emendamento aggiunto e che non è stato conservato. Infatti, egli deve «salvaguardare con l’esistenza del seminario, quella degli altri Istituti, tutti indispensabili alla vitalità delle missioni» 59. Ricorrendo ai suoi soliti argomenti, quelli che, a suo parere, hanno maggior peso e verità, mette ugualmente in luce il ruolo di P. Dorgère nel negoziato con Béhanzin. Ad appoggiare questa richiesta giunge, abbastanza inattesa, una vera arringa a favore delle Missioni Africane da parte del signor Le Hérissé, deputato delle Colonie per l’Africa occiden tale. Questo lungo documento è indirizzato a Georges Clémenceau, che allora è Presidente della Commissione senatoriale chia mata a decidere riguardo alle autorizzazioni d’insegnamento. Con termini sinceri e pieni di lode, il deputato scrive: «Da cinque anni, per due volte, P. Planque mi ha dato la possibilità di vedere i Padri all’opera...». Egli desidera, quindi, che il voto non soltanto non si concluda con un’ingiustizia ma «riconosca come la presenza e l’azione dei missionari sia un vantaggio per il governo. Per quanto si sia scettici, sig. Senatore - dice conclu dendo - quando si vede da vicino la vita così dura, così penosa, così ingrata, che gioiosamente conducono queste brave persone, ci si sente un po’ scossi! Che peccato che non abbiate potuto vederli all’opera! Perché, non potendo il vostro cuore restare in 56 L. PI. a P. ViUevaud, 2.12.1901. 57 Furono le parole che adoperò nella Lettera ai Senatori, 20.1.1903. 58 L. PI. al canonico Quentin, 13.12.1902 e a P. Zimmermann, 28.3.1903 - a P. Terrien, 29.3.1903: «Avete speranza di salvare le nostre scuole apostoliche?». 59 L. Pi. ai Senatori, citata in n. 37.
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differente davanti a ciò che è grande, semplice e bello, voi diven tereste, davanti al Senato, il loro più eloquente difensore!»60. A dire il vero, il Superiore conta molto sulla Camera Alta. «Essa può pronunciarsi per un’approvazione reale della Società, ma mi domando se la Camera dei Deputati non rifiuterà di fir mare, dato che essa ha respinto tutte le congregazioni che le erano state proposte»61. Per prudenza, Mons. Pellet andrà in Irlanda per studiare la possibilità di un trasferimento degli studenti da Lione, il che alla fine si rivelerà inutile 62, dato che il seminario sarà poi riconosciuto, con la Croix-Valmer e PontRousseau63. Solo la scuola di Clermont non avrà la stessa for tuna. «Questa scuola deve chiudere presto», scrive il Padre 64. E in Costa d’Avorio, la Società dovrà subire la stessa sorte per diverse scuole, il che sarà un colpo duro per questa Missione 65. «La situazione che si è creata nei confronti delle congregazioni religiose in Francia - e tenuto conto che alcuni Confratelli non possono più sopportare il clima micidiale dell’Africa» - spinge il Consiglio della Società ad inviarne qualcuno in America del Nord. Là si stabiliscono in un alloggio momentaneo, nell’attesa di trovare un’opera diocesana dove lavorare mentre altri trovano risorse con le questue 66. Presso le Suore, il problema posto dalle nuove leggi si pre senta in maniera ancora più critica che per i Padri per il fatto che queste rientrano nella categoria presa di mira dal decreto, quella delle congregazioni religiose. Per giunta, esse sono considerate come insegnanti. La prima 60 Lettera di Le Hérissé a Georges Clémenceau, presidente della Commissione se natoriale, riportata in EMA, di marzo-aprile 1903, pp. 37-42 e in Un Ami des Noirs, R.F. Guilcher, op. cit., pp. 248-249. 61 L. PI. a P. Zimmermann, 28.3.1903 - a P. Hamard, 15.3.1903 - a Mons. Pellet, 27.5.1903 - a P. Terrien, 1.6.1903. 62 Si è visto sopra che P. Planque non ci teneva a questo spostamento... 63 II Superiore dovette rimanere ancora qualche mese in attesa. Cfr. Lettera a P. Devoucoux, 21.8.1903. Alla fine, furono cinque istituti a beneficiare dell’autorizzazione: con le Missioni Africane, vi furono anche i Trappisti, i Cistercensi, i Frati di St Jean de Dieu e i Padri Bianchi. 64 L. PI. a P. Delmont, 14.4.1904. 65 Cfr. cap. 13. 66 Tutto ciò fu deciso dal Consiglio della Società, si veda l’Atto del 20.8.1905.
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difficoltà da risolvere è dunque quella dello statuto della scuola Saint-Joseph del Moulin-à-Vent. Ciò che aveva dato loro un po’ di tranquillità nel 1881 - quando P. Planque non osò dichiarare, a causa delle leggi, l’apertura di un convento - rischia di diven tare un serio handicap nel 1901, nel momento in cui le scuole congregazioniste sono destinate a scomparire. Il Superiore fa ap pello ancora una volta al Ministro, ricordando che egli preceden temente aveva fondato una sorta di «seminario femminile» per l’istruzione delle ragazze che si preparavano alle Missioni. Questa istituzione aveva ricevuto in quel momento un’autorizzazione all’esercizio, firmata dal Prefetto del Rodano e dall’Ispettore del l’Accademia. Per questo motivo, egli chiede a favore della sud detta casa, la non applicazione della legge sulle congregazioni67. Davanti alla risposta negativa, non rimane che sottomettersi alle formalità richieste. Il primo passo sarà quello di dichiarare che si rinuncia alla scuola del Moulin-à-Vent per aprire, in quello stesso luogo, una casa di religiose missionarie riconosciuta dalla legge68. Nei giorni che seguono, una ricevuta della prefettura dichiara che la domanda è stata depositata e dà atto dei docu menti che vi sono allegati. Ma lo statu quo si prolunga ed il Superiore che non sa ancora come interpretarlo preferisce cer care tutte le garanzie. Dopo i Padri, sono le Suore a dover cer care un luogo di rifugio nel caso in cui siano veramente costrette a partire. In Belgio, il vescovo di Tournai accetta che, eventual mente, si stabiliscano nella sua diocesi69. Tuttavia Mons. Pellet non è d’accordo che esse «entrino nell’idea di traslocare», poiché, dice, «è possibile che riceviate l’autorizzazione»70. Dal canto suo Mons. Terrien a Parigi, è pregato di occuparsi «delle Suore facendo capire bene nei ministeri che esse sono destinate unicamente alle M issioni»71. 87 II rappo rto inviato al m inistero d a P . P lan q u e il 18.9.1901 ed il rifiuto che gli fu attribuito provocarono una nuova rich iesta di Sr. A ugustin, 25.9.1901. 68 L. PI. a P . T errien , 2 9.5 .1 90 3 : « S e q u esta scuola ostacolasse l ’approvazione, po trebbe essere so ppressa». 68 L. PI. a Sr. B enoit, 27.5 .1 90 3 - a M on s. P ellet, stessa data. 70 L ettera d i M ons. P ellet a Sr. A ugu stin, 6.5.1903. 71 L. PI. a P . T errien, citata in n. 68 - L ettera di M ons. P ellet a P. Terrien, 17.8.1904.
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Nel luglio 1904, una nuova preoccupazione: un decreto pre fettizio ordina la «chiusura della casa delle Suore». Il testo è piuttosto ambiguo e, di nuovo, P. Terrien deve prendere con tatto a Parigi con i ministeri: «Riusciremo a far rinviare questa dichiarazione che inserisce le Suore nella categoria delle comu nità che devono sparire subito?», chiede Mons. Pellet72. Mal grado la rettifica apparsa nel Journal o ffìciel, viene nominato un liquidatore per il Moulin-à-Vent. Ma tutto si calmerà e tornerà un po’ più tranquillo quando il Comune invierà, in termini molto cortesi, le spiegazioni richieste da P. Planque. «Ormai ogni scuola o classe annessa all’istituto delle Suore dovrà essere chiusa dal prossimo primo ottobre. Ma la casa conserva il beneficio della sua richiesta di autorizzazione per i servizi estranei all’inse gnamento. Quanto al Noviziato per le Missioni, la sua situazione sarà determinata ulteriorm ente»73. Questa comunicazione rappresenta l’unico documento ufficiale ricevuto dalla Congrega zione. Essa rimane dunque in «istanza di autorizzazione» per un periodo di tempo indefinito... E non vi sarà alcun altro docu mento, né visite o divieti ulteriori... le Suore non saranno più importunate in alcun modo... In Francia - anche se l’allarme è stato forte ed i mesi di attesa abbastanza pieni di inquietudine - le due Società hanno evitato il peggio. Si potrebbe dire anche che è stata manifestata nei loro confronti una certa benevolenza, dovuta senza dubbio, alle trattative intraprese, sempre franche e coraggiose, agli inter venti di amici, ma soprattutto al tipo di attività volte interamente verso i paesi d’oltremare. Attività che, agli occhi del governo, erano umanitarie oltre che missionarie. Ma questa fortuna, di cui sembra aver beneficiato la Società delle Missioni Africane e la Congregazione delle Suore, non può far dimenticare a che punto nel paese la cristianità tutta intera è stata colpita e lo sarà ancora di più nella tappa seguente, per la rottura delle relazioni diploma tiche tra la Francia e la Santa Sede e per la legge di separazione tra la Chiesa e lo Stato. Questi avvenimenti sono rivelatori del 72 Lettera di Mons. Pellet a P. Terrien, 17.5.1904. 73 Lettera del Consigliere delle Prefettura del Rodano a Planque, Superiore del seminario delle Missioni Africane, 22.8.1904.
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l'incompatibilità esistente allora tra le idee professate da una parte e dall’altra. Essi evidenziano soprattutto la difficoltà a fare avanzare una situazione in funzione dell’evoluzione delle civiltà e della storia. Le relazioni saranno ristabilite nel 1921-22 grazie agli sforzi dei Papi Benedetto XV e Pio XI che sono stati, dopo la guerra del 1914-1918, gli agenti delle grandi riconciliazioni74.
Un altro problem a di separazione Un nuovo contrasto, che sarà lungo e penoso per tutti, sta nascendo, questa volta, nei rapporti tra i Padri e le Suore. Fino all'inizio del secolo, essi costituiscono insieme un’unica famiglia, quella delle «Missioni Africane». Tutti e tutte si trovano vicini gli uni alle altre nello spirito, uniti fraternamente in una stessa vita di cui si sa quanto sia dura, ma anche abbastanza esaltante perché tutti insieme si sforzino di resistere. È stato così sin dalla fondazione di Nostra Signora degli Apostoli: la missione delle Suore sembra legata a quella dei Padri, come una forza comple mentare. P. Planque non la considera diversamente, e la circo lare che invia ad esempio alle comunità delle Suore del Bénin chiarisce bene il suo pensiero. «Il Superiore di una residenza è per voi il Superiore più vicino. Quanto al Superiore di tutta la Missione, egli è investito di un’autorità che si estende sia alle Suore che ai missionari e, secondo il diritto e il dovere della sua carica, imprime ad ogni cosa il movimento e la direzione ed eser cita su tutto un controllo legittimo». Tuttavia, il Padre ha avuto cura di fare osservare che lui, «il Superiore generale, è il supe riore ecclesiastico di tutti ed è anche un appoggio, se neces sario» 75. Ma un punto fondamentale rimane da precisare in questo tipo di relazione tra i due Istituti. Se il Superiore della Missione è responsabile di tutto ciò che concerne le opere, non può es serlo per ciò che riguarda le comunità delle Suore. P. Planque 74 Già nel 1905, il ministro Aristide Briand avrebbe voluto una legge di separazione che fosse «franca, onesta e leale»... 75 L. PI. alle Suore del Bénin, 21.12.1881.
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capisce subito che è necessario fissare un limite, e dà la regola dell’«ognuno stia a casa sua». «Non tocca ai Padri governare le Suore, queste hanno le Superiore da cui dipendono» e, certa mente con modalità diverse, queste ultime hanno una vera auto rità. «Il capo di una missione, per esempio, non dovrebbe farsi carico dei cambiamenti in una comunità» 76. E Mons. Pellet, di ventato Vicario generale, dice negli stessi termini, rivolgendosi al Visitatore del Niger: «Comprendo che i Padri e le Suore si con sultino e si intendano per un’azione comune. Ma questo si può benissimo fare rimanendo ciascuno nel proprio ambiente. I Su periori dei Padri non sono Superiori delle Suore» 77. Il fatto di costituire una sola famiglia presenta anche - so prattutto a quell’epoca - un altro aspetto che è spesso all’origine di numerosi disaccordi, ossia quello di possedere insieme dei beni che rimangono indivisi e di rimettersi ad una sola gestione, sotto l’autorità del «capo», sia che si tratti di un padre di famiglia o di un Superiore d’istituto. Era la legge del tempo. Era così anche alle Missioni Africane. Da più di vent’anni, si è fatta cassa comune, o quasi. Bisognerebbe dire piuttosto che i Padri si as sumevano le spese delle Suore, mentre la casa di Lione si incari cava di fornire l’essenziale delle risorse e di colmare gli eventuali deficit78: un tipo di finanziamento davvero inadatto ai cambia menti di mentalità per cui diventa indispensabile farlo evolvere. Il Padre Superiore ne è pienamente consapevole. Se insiste continuamente perché ci sia un’armonia totale tra le due Società sui rispettivi compiti, desidera sempre di più che essa sia acqui sita con l’accordo ed il dialogo piuttosto che con l’autorità. Nelle questioni finanziarie, egli comincia a lanciare l’idea di una certa indipendenza che diventa necessaria per le Suore nell’ammini strazione dei loro beni, il che presuppone prima di tutto che si costituisca un loro proprio patrimonio 79. Dieci anni più tardi, 76 L. PI. a P. Dorgère, 29.10.1884: «Con le Suore, dovete avere soltanto i rapporti dovuti al ministero... Non siete il loro Superiore» - a Sr. Marie-Véronique, 30.10.1895 e 19.8.1896 - a Mons. Pellet, 26.11.1896 - a P. Pellet, 19.10.1892. 77 Lettera di Mons. Pellet a P. Hummel, visitatore del Niger, 9.12.1903. 78 Non si poteva affatto contare sulle risorse che potevano venire dalle missioni stesse. 79 L. PI. a P. Duret, 16.1.1884.
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non è più possibile alcuna esitazione, «si deve cominciare a sepa rare totalmente i conti delle Suore». Infatti, «bisogna che queste figlie abbiano qualcosa per sé e per la loro Casa M adre»80. L’idea che le Suore prendano direttamente in mano le loro fi nanze gli sta molto a cuore. Vuole, dice, «mettere i conti in or dine prima di morire». Mons. Pellet ha capito benissimo l’evolu zione: «Sicuramente - confida a Bricet - il Superiore vuole attri buire dei beni alle Suore, ed il Moulin-à-Vent è l’unico motivo che lo spinge ad agire»81... L’unico motivo... no, perché il Supe riore tiene ugualmente al seminario e ai Padri di cui non perde di vista gli interessi. Ma le opere si estendono, la Congregazione delle Suore è ora matura e ben fondata. E giunto il momento in cui l’autonomia deve diventare la regola negli affari della ge stione. Il Vescovo del Bénin tuttavia, non condivide affatto queste idee. Nel suo Vicariato egli aveva redatto un regolamento, una sorta di base comune «per evitare le occasioni di scontro tra le due case di una stessa stazione». Ma pur convenendo che «le Suore hanno bisogno di una maggiore libertà, chiede che i beni rimangano comuni, almeno per ciò che riguarda la Missione, al trimenti si verificherebbero due modi di agire differenti». Egli ci tiene prima di tutto a salvare l’unità d’azione. E certamente, non vuole che «le Suore siano trattate come delle maestre (o delle infermiere) stipendiate. Ma è positivo che abbiano una gestione a parte nella Missione? sarebbe un errore pregiudizievole»... «La loro Congregazione non è pienamente sorella della nostra»?82 Questa maniera di regolare il problema da parte del Vescovo non ha alcuna possibilità di convincere l’altra parte. Infatti, le Suore si sono messe, anch’esse, a rivendicare - con l’intera responsabilità del loro lavoro e delle loro attività - la propria indipendenza in materia finanziaria. Il Consiglio creato attorno a Sr. Augustin Planque - sua nipote - che il Padre ha scelto ufficialmente come Superiora generale della Congregazione83, sollecita con forza 80 81 82 83
L. PI. a P. Duret, 1.11.1895. Lettera di Mons Pellet a P. Bricet, 17.3.1901. Lettere di Mons. Pellet a P. Planque, 2.12.1896 - 13.1.1897 e 29.1.1897. Si veda sopra, cap. 15, n. 25.
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una separazione effettiva. E senza dubbio bisogna vedere parti colarmente in quelle rivendicazioni - e nei loro eccessi... - l’in fluenza di Sr. Simplicienne Maudhuit, una delle Consigliere di cui Mons. Pellet dirà «che è molto ab ile...»84. Soltanto nell’ottobre 1905, nel Consiglio delle Missioni Afri cane, Sr. Augustin presenta sullo stato finanziario della Congre gazione, il suo rapporto completo di tutte le condizioni da lei considerate necessarie per stabilire una divisione. Ma le richieste sono troppo forti, bisogna ammetterlo, riguardanti capitali, ter reni, case e diversi risarcimenti esigiti dalle Suore in numerose stazioni e le dilazioni sono troppo brevi perché i Padri possano soddisfare queste esigenze e regolare tutto. Davanti a questa prospettiva, alcuni territori —l’Alto Niger in particolare, una re gione poverissima - incominciano a pensare di fare a meno dei servizi delle Suore. Tuttavia questa questione della loro partenza preoccupa Mons. Pellet: «Sarebbe gravissimo ed una vera di sgrazia per le Missioni» 85. Egli farà di tutto per evitarlo e vor rebbe «avviare un colloquio tra loro ed il Prefetto del Niger, P. Zappa, affinché, malgrado le poche risorse, non si separi dalle sue comunità» 86. Nel 1905 dunque, «il nuovo assetto non può essere con cluso» 87. Ma l’anno seguente « i colloqui sembrano essere sulla buona strada, si spera in un prossimo regolamento capace di sod disfare tu tti88. Ma proprio allora - con un cambiamento impre vedibile - le due Suore Augustin e Simplicienne decidono di scri vere di nuovo a Roma - vi andranno anche personalmente - per fornire, dicono, altre spiegazioni al Cardinale G otti89. E una vera delusione. Sicuramente, sostenute senza dubbio dal Supe riore nei suoi ultimi mesi di vita, le Suore vogliono ottenere di più. Mons. Pellet ha già constatato - e senza illudersi - che 84 L ettera d i M ons. P ellet a P . C h au tard , P rocuratore a Rom a, 13.12.1906. 85 L ettera d i M ons. P ellet a Sr. A ugu stin, 2 5.9.1905. 8” L ettera d i M ons. P ellet a P . Z appa, 3 1.1 0.19 0 6. - L a decisione tuttavia fu presa nel 1906: M ons. P ellet ne fu m olto disp iaciuto , cfr. lettera a Sr. A ugustin, 20.5. 1909. 87 L ettera di M ons. P ellet a P. V illev aud, P ro curato re in Egitto, 18.10.1905. 88 L ettera d i M ons. P ellet a Sr. M o n iq u e, 31.1 0.19 0 6 e a Sr. D om inique, 17.11.1906. 89 L ettera di M ons. P ellet a P . C h au tard , 2 .12.1906.
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«Roma non vuole comunicare né con lui, né con il Consiglio delle Missioni Africane. Sarebbe dunque meglio - dice - che le cose fossero trattate qui, se potessimo intenderci con le Suore!»90. Ma da Propaganda Fide giunge finalmente la deci sione che deve regolare gli obblighi degli uni e delle altre. «E ancor peggio - dice il Vicario generale - di quanto non avessi previsto!»91. Non gli resta che firmare l’accordo e chiedere al Cardinale Prefetto l’autorizzazione ad accedere a due prestiti per essere in grado di versare alle Suore, alle scadenze convenute, le somme che lui stesso, Gotti, ha fissato» 92. Si capisce come queste lunghe trattative abbiano oscurato gli ultimi anni di P. Planque mettendo nel contempo tutti in agita zione. Il Padre non poteva aspettarsi questo clima di disaccordi e di conflitti prolungati. Certamente non avrebbe voluto compro mettere, a beneficio delle Suore, l’equilibrio della Società. E stato tradito dalla malattia, dall’età avanzata e dal suo attacca mento alla Congregazione. Ma non è stato tradito soprattutto dalle piccole rivalità cresciute intorno a lui... a spese dello spirito fraterno? La sua scomparsa, che si sentiva prossima, rendeva ine vitabile, persino necessaria, la divisione che si stava operando, ma questo lasciava dietro di sé il gusto amaro di un momento vissuto nel modo sbagliato. Probabilmente sono mancati al modo di procedere sia delle Suore, sia dei Padri, una maggiore cura di consultarsi, maggiore fiducia e chiarezza e soprattutto solidarietà fraterna93... Il tempo, ed anche qualche cambiamento di per sona, faranno evolvere le cose... rinascerà così la fiducia. Tra il P. Superiore ed il suo Vicario generale, le relazioni non potevano che risentire dell’avvenimento. Tutti e due ne hanno sofferto al punto che Mons. Pellet, su consiglio dell’Arcivescovo di Lione, ha espresso a Propaganda Fide il suo desiderio di ripar tire per l’Africa «temendo i pregiudizi reciproci che, in futuro, 90 Lettera di Mons. Pellet a P. Bricet, 24.4.1906 - a P. Chautard, 12e13.12.1906. - U Vescovo si stupì delle pretese e della sicurezza di Sr. Simplicienne. 91 Lettera di Mons. Pellet a P. Chautard, 29.1.1907. 92 Lettera di Mons. Pellet al Card. Gotti, 20.3.1907. - H Vescovo domandò l’auto rizzazione a fare due prestiti di 100.000 franchi... 93 Sarebbe stato necessario tener conto delle difficoltà del tempo, della chiusura , delle scuole...
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avrebbero impedito l’armonia tra lui e il Superiore». Per questo appassionato delle Missioni, «vi è un compito urgente, quello di assicurare il loro sviluppo: è meglio quindi dedicarsi ad esso, piuttosto che irrigidirsi su delle questioni che rischiano di allonta nare dal vero scopo» 94. Ma sappiamo che non andrà in questo Bandara al quale pensa perché, alle Missioni Africane, dovrà presto assumere a sua volta l’eredità del Fondatore 95.
3. «Ho combattuto la buona battaglia»
Prossimo ormai alla fine della sua vita, P. Planque può dire, anche lui, con umile sicurezza, le parole di Paolo: «Ho conser vato la fede...». Gli rimane da «conquistare la corona che aspetta con fiducia», la fedeltà di Dio, suo Padre, non gliela potrebbe negare. Come Paolo che visse gli ultimi anni prigioniero in catene a Roma, Augustin Planque si troverà anche lui incatenato, ma a causa della malattia e delle prove fisiche che ormai non gli la sceranno più respiro. Così, prima di «passare sull’altra riva» che è Luce, terminerà la sua traversata del mistero delle sofferenze di Cristo, da lui tanto meditate nella sua via crucis quotidiana. Le nuove ombre che si sono allungate intorno a lui, dal 1901, l’hanno fortemente colpito. Ma una delle sue sofferenze più forti, «la spina nella carne», la prova nella coscienza del declino delle sue forze e nell’inattività che lo vince. A poco a poco co mincia a sentirsi inutile... Infatti l’energia, che per quarant’anni ha messo al servizio di tante attività, delle sue veglie, dei suoi viaggi, ma non c’è più ora a ridare un po’ di vigore al suo corpo stremato. Allora, scrivendo ai suoi più intimi amici, Padri e Suore, si apre e confida le sue miserie: «Senza essere veramente malato, 94 Lettera di Mons. Pellet al Card. Gotti, 10.5.1906. 95 Mons. Pellet fu nominato dall’Assemblea del 1907 a succedere a P. Planque. Ma chiese a Roma di lasciare il posto a P. Duret per ritornare in Africa. La proposta non fu accettata e rimase Superiore generale della Società fino al 1914 (morì l’i l marzo a Lione).
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sono annientato». «Avrei bisogno di una grande forza fisica ed ecco che non ne ho quasi p iù » 96. Dopo la consacrazione di Mons. Dartois, che lo ha portato a fare un piccolo viaggio nel Nord, fino presso la sua famiglia 97, sembra portarsi dietro «una brutta influenza ed una febbre continua» 98. Sempre affaticato, assicura tuttavia la preparazione dell’Assemblea generale che si terrà in settembre E nel febbraio dell’anno seguente arriva il primo grave colpo. Influenza o congestione polmonare, non si sa, ma P. Planque sta così male per qualche giorno che Mons. Pellet informa i Supe riori delle case e chiede delle preghiere 10°. «Abbiamo creduto di perderlo, scriverà più tardi, ora è fuori pericolo, ma rimane an cora molto debole e il cuore è sempre stanco» 101. Lentamente, il Padre si ristabilisce e fa un piccolo soggiorno alla Croix Valmer. Tuttavia in novembre, nulla riesce ad impedirgli di ritor nare a Parigi, dove deve recarsi presso i ministeri e seguire da vicino le decisioni concernenti le congregazioni religiose. E sicuramente nell’inverno 1902 che, ulteriore complicazione, una caduta per strada lo mette a mal partito. Ne deriva una piaga alla gamba che non riesce a guarire e provoca un eczema. Ogni giorno, bisogna medicarla. Eccolo condannato per delle settimane al riposo, un vero dramma per un uomo irrequieto come lui e sempre sulla breccia 102. E la fine dei suoi lunghi giri per le questue attraverso la città, delle visite ai benefattori dive nuti degli amici. Le sue gambe gli rifiutano ogni servizio. Non 99 L. P l. a Sr. B enoît, 1 4.11.1900 - a M on s. C ornazzoni, 2 0.1 1.19 0 0 - a P. Bricet, 29.5.1901 e 1.9.1901. 97 Sulla consacrazione di M ons. D arto is, si veda il cap. 13; L. P l. a P. Bricet, 13.8.1901: « H o sposato la m ia u ltim a n ip ote a St-A ndré-les-Lille e ho fatto una breve visita ai m em b ri dispersi d ella m ia fam iglia. D i là, sono ritornato passando da Pont Rousseau: sono stato 17 giorni in v iagg io ». 98 L. P l. a M lle M arie Ja n d u P erray, 12.8.1901. 99 L 'A ssem b lea d el 1901 si apri il 25 settem b re. E ssa fu p resied uta dal Card. Coullié. 100 L ettera d i M ons. P ellet a P . M o isso n, 2 7.2 .1 90 2 e alle case. 101 L ettere di M ons. P ellet a P . G uyot e a P . W ellin ger, 3.3.1902 - ai PP. M oison e Zappa, 6 .3 .19 02 - ai P ad ri O ’Sullivan e D esrib es, 9 ..3 .1 90 2 , ecc. 102 L. PI. a Sr. B enoit, 2 1.1 .1 90 3 - a P . O 'Su llivan , 4.2.1903 - a P. Zim m erm ann, 5.2.1903.
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per questo però, smette di seguire da vicino il cammino dei due Istituti. Dalla Croix dove si sta riposando, si conferma sempre come il vero Superiore della Congregazione, nomina la Signorina Holley (Sr. Théodore) assistente, autorizza per certe Suore la professione pubblica dei voti, delega Chautard a riceverli, ecc... 103 I due anni che seguono trascorrono quasi senza problemi di salute. In maggio e giugno 1904, compie addirittura un viaggio a Roma per le costituzioni delle Suore - sarà l’ultimo. Si direbbe che stia riprendendosi. E il suo Vicario generale, di ritorno dal l’Egitto, può scrivere a Duret: «Al mio ritorno, ho ritrovato il P. Superiore nella migliore forma possibile» 104. Se qualche volta si lamenta dei suoi vuoti di memoria 105, la sua corrispondenza tra le altre la lettera indirizzata a Propaganda Fide sulle questioni irlandesi - basterebbe a testimoniare che gli interessi della So cietà gli rimangono ancora molto presenti106. Ma nell’estate del 1906, mentre sta per terminare il suo ot tantesimo anno, il suo ritmo rallenta, sembra che cominci a riti rarsi a poco a poco dalla vita attiva. Volentieri demanda a Mons. Pellet. Questi si è fatto carico non solo del seminario, ma anche delle missioni, dove sono necessarie lunghe visite, e si impegna a fondo per trattare i problemi più importanti della Società sempre rispettoso, come si è già detto, dei poteri del Superiore generale. Un sintomo significativo dell’indebolimento di P. Planque sta nel fatto che nell’ultimo tomo delle sue lettere vi sono soltanto, per l’anno 1907, brevi biglietti, quelli che egli indi rizza ancora ai Confratelli, in qualità di segretario del Consiglio, per trasmettere loro le decisioni o i cambiamenti. Più nessuna parola per le Suore... L ’ultima lettera che abbiamo di lui, il 28 luglio - tre settimane prima della sua morte - è indirizzata a P. Sullivan. È ormai l’ora del suo «passaggio», lo sente avvicinarsi e chiede che si preghi per lui perché «ha bisogno di Dio per accet 103 L. PI. a Sr. Augustin, 17.12.1903 - Andò fino a Clermont per far passare gli esami, cfr. lettera di Mons. Pellet a P. Desribes, 20.2.1903. 104 Lettera di Mons. Pellet a P. Duret, 3.9.1905. 105 L. PI. a Mme Marie Ambroise, 24.11.1906. 106 L. PI. al Card. Gotti, 5.1.1906.
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tarlo con sottomissione» e compiere fino in fondo la volontà del Padre Celeste, guida e scopo di tutta la sua esistenza - così come è stata la parola-chiave del suo insegnamento. Gli ultimi giorni della sua vita sono stati raccontati nei minimi dettagli da coloro che lo circondavano 107, e, in maniera partico lare, da due infermiere, Sr. Joseph e Sr. Cyr che lo assistevano giorno e notte. Si sa della sua visita di addio al Moulin-à-Vent domenica 4 agosto, che nella sua camera ha celebrato la Messa per la festa dell’Assunzione - sarà l’ultima volta - e infine, che il mercoledì 21 all’alba, è partito verso Dio, pregando fino alla fine e stringendo nella mano il suo crocifisso. Mons. Pellet che, con D uret108, non l’ha abbandonato nelle ultime settimane, racconta il trapasso di P. Planque al Cardinale Gotti con parole semplici, che però rivelano l’emozione di tutti: «Oggi, ho il dolore di comunicarvi la sua morte avvenuta questa mattina. Si è spento dolcemente senza sofferenze e senza agonia con ammirevoli sentimenti di fede e di amore di Dio. Aveva 81 anni, ne aveva passati 51 nella Società, che ha governato per 48 anni» 109. «E una bella morte dopo una vita lunga, piena di la voro e di meriti...». Per «una straordinaria coincidenza», come sottolinea P. Le Gallen no, alla fine di quel mese d’agosto deve tenersi a Lione l’assemblea generale della Società. I capi delle missioni e i dele gati sono dunque arrivati, come pure i Superiori delle case di Francia e i preti che fanno il loro ritiro annuale. Il seminario è pieno. Così il Padre se ne andrà verso la sua ultima dimora, accompagnato da molti dei suoi figli - ed anche delle sue figlie 107 T utto è riportato nelle note d i Sr. Jo se p h , la sua inferm iera, nelle circolari di Sr. A ugustin e T h éod o re, 10.9. e 2 7.8 .1 9 0 7 - n e l quaderno di Sr. V iann ey e J . Joseph, in M issions ca th o liq u es , in l ’E cho d es SMA, in Un a m i d es Noirs di P. G uilcher, op. c it . , p. 255 e segg. 108 P. D u ret, P refetto apostolico d e ll’E gitto , era in Francia per l'A ssem blea g en e rale. D ivento po i V icario apostolico, e su ccessivam ente Superiore gen erale alla morte di M ons. P ellet. U n gran d e m issionario le cui lettere rivelano anche un g ran cuore. 109 L ettere di M ons. P ellet al C ard . G otti, 21.8.1907 e a M ons. L ang, V icario apo stolico di L agos, 22.8 .1 90 7 . 110 Le G allen , in l ’E cho d es M issions A fricaines, ott.-nov. 1907, pp. 20-21.
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come se, per la celebrazione della sua morte, li volesse ancora radunare, riunirli tutti nella grande famiglia delle Missioni alla cui costruzione egli aveva così ardentemente lavorato. Fu nella chiesa di San Luigi della Guillotière - la parrocchia del seminario - che ebbero luogo i suoi funerali, il venerdì 23 agosto. A fianco di Mons. Pellet, che celebrava l’Eucarestia, e in mezzo alla folla dei missionari, Padri, Suore e amici, il Vescovo ausiliare di Lione, Mons. Déchelette, diede l’assoluzione. Poi ci fu il lungo corteo che seguì il suo feretro fino al cimitero di Loyasse, sulla collina di Fourvière. Ma venti anni più tardi, do veva essere riportato nella cappella del seminario. P. Planque vi riposa da allora accanto a Mons. Marion-Brésillac m . II cardinale Coullié non aveva potuto essere presente il giorno dei funerali. Ma volendo rendere omaggio all’amico e al missionario che aveva ammirato e sempre amato e sostenuto, venne a presiedere il sevizio solenne che fu celebrato in San Luigi, due settimane più ta rd i112. Se vi fu - per salutare la grande figura del Superiore defunto - l’elogio funebre di Mons. Morel, suo amico delle M issions catholiques, giunsero numerosi al Seminario anche ricordi e testimonianze. «E un grande operatore dell’evangelizzazione africana che scompare...», scriveva Mons. Le Roy. E Mons. Livinhac ricordava «la nobile figura che gli rimaneva presente come quella di un uomo, di un prete, intera mente votato a Dio e alle anime» m . E Cardinale Gotti di Pro paganda Fide espresse, a nome della Chiesa, «la sua grande stima verso questo Superiore che aveva saputo mostrare una fe deltà a tutta prova». «La vostra Società - aggiungeva - deve III Le ceneri di P. Planque furono portate da Loyasse al seminario nell’agosto 1927. Il piccolo monumento dove riposano si trova all’entrata della nuova cappella, di fronte a quello che raccoglie i resti di Mons. Brésillac, riportati da Freetown nel gennaio 1928. Questo ritorno delle spoglie dei due fondatori doveva precedere di poco le feste del Centenario della nascita di Augustin Planque, che furono celebrate in modo molto so lenne dal 18 al 20 marzo. Questo «missionario venuto dal Nord» era stato già onorato nel suo paese natale, a Lille e a Chemy, nell’ottobre 1927. 112 II 7 settembre 1907, Mons. Pellet cantò la messa di Requiem, assistito da Mons. Hummel, Vicario apostolico della Costa d’Oro e da Mons. Steinmetz, Vicario apostolico del Dahomey. 113 Mons. Le Roy era il Superiore generale dei Padri dello Spirito Santo, Mons. Livinhac, Superiore generale dei Padri Bianchi.
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ricordare con grande riconoscenza i benefici di colui che rico nosce come suo secondo Fondatore» 114. Già, Mons. Pellet, scrivendo al vescovo di Lagos, Mons. Lang, - e Sr. Augustin e Sr. Théodore, alle comunità di Nostra Signora degli Apostoli - avevano espresso gli stessi sentimenti. «Ciò che ci resta da fare - diceva il Vicario generale della Società - è di pregare per amore e per riconoscenza per colui al quale dobbiamo tanto». E ricordando la perdita subita dalla Società e dalla Congregazione, aggiungeva: «Resta per noi un bell’esempio per lo spirito di fede e l’infaticabile lavoro» 115. Un coraggio perseverante, uno zelo apostolico sostenuto da un gran cuore, è stato ciò che ha permesso a P. Planque di aprire 45 stazioni missionarie portate avanti da 168 missionari con 87 religiose in 21 case. Questo bilancio è una delle più solide te stimonianze che gli si possano rendere. Come Paolo, al quale egli assomiglia per diversi aspetti, poteva già intravedere, nel mo mento di raggiungere Dio, le solide cristianità che aveva aiutato a crescere. Presto sarebbero sorte le Chiese. Quelle di cui oggi il primo secolo di storia racconta la vitalità, e che sanno - perché l’Africano è fedele - con quale cuore le hanno amate coloro che le hanno precedute nella fede.
114 Lettera del Card. Gotti a Mons. Pellet, 2.9.1907, AMA - Papa Pio XI parlò anche lui di P. Planque, co-fondatore della Società, cfr. II parte, cap. 5. 115 Lettera di Mons. Pellet a Mons. Lang, 22.8.1907 - Lettere delle Suore Augustin e Théodore, citate in n.. 107.
QUINTA PARTE
ABBOZZO DI UN RITRATTO
Nel momento in cui P. Planque scompare, in cui cade, come un albero dai rami deformati dal peso dei frutti che hanno portato stagione dopo stagione, a quel punto si può misurare, con stupore forse, lo spazio che occupava e la profondità della terra fertile dove egli aveva affondato le sue radici. Chi era? Un uomo dal destino eccezionale, non soltanto perché aveva grandi doni, ma perché seppe vivere all’altezza di ciò che era e di ciò che aveva ricevuto in eredità. In lui, tutto si era unificato, il vigore di una natura scolpita nella roccia del rigore e della fedeltà, l’intelligenza penetrante ed il giudizio retto, la seve rità, ma anche l’indulgenza e la forza per sostenere tutti i suoi, Padri e Suore, nel loro progredire. Tutto dedito al suo scopo, che non perse mai di vista, sviluppare l’opera di Brésillac e concretiz zare così il suo stesso sogno di servire Dio in missione, portando la responsabilità che la morte del Fondatore gli aveva imposto. In verità, chi era Augustin Planque, se non semplicemente un Missionario? Una volta letta la sua storia, è proprio così che appare, missionario autentico, colui che, al seguito di Cristo, era capace, co me Paolo, di «passare in Macedonia» 1 per portare il più lontano possibile, nel cuore del mondo, l’annuncio della salvezza di Dio. Egli aveva la fortuna di compiere bene il suo viaggio, di possedere in sé due carte essenziali, lo zelo dell’Apostolo, ardente e conquista tore, e l’energia del carattere che lo aiutò a superare ogni cosa per raggiungere il suo scopo. Sotto un aspetto modesto - senza nulla che potesse attirare l’attenzione sulla sua persona, senza mai cer care di trattenere per sé l’interesse e la stima che reclamava per le sue due famiglie religiose e sempre sostenuto dalla sua fede.
1 Cfr. Atti degli Apostoli, 16, 9.
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CAPITOLO SEDICESIMO
UNA VOLONTÀ ENERGICA
Era una consegna ripetuta diverse volte ai Padri e alle Suore: «Abbiate un carattere risoluto siate energici...». Lui, ha sempre saputo volere. Tale era la sua natura. Energico e serio, quando aveva preso una decisione che gli sembrava giusta, si impegnava e perseverava nella sua scelta, ignorando la possibilità di tornare indietro. Aveva ricevuto una formazione preziosa nella sua adole scenza e nella sua giovinezza, sia dalla zia Poupart, sia da tutti i Leleu o Desrousseaux, suoi maestri, sia dall’esempio del Cardi nale Giraud o dei Messieurs de Saint-Bertin. Lilla e Cambrai sono state il crogiolo in cui ha purificato le sue energie, ha messo alla prova le sue reticenze, ha imparato che il valore di un uomo si misura prima di tutto dalla sua determinazione... al punto che coloro che mancano di volontà gli sembreranno sempre degli es seri incompleti. La forza di carattere, il coraggio, li ammira quando li incontra 2, li annovera tra i capisaldi infallibili per giu dicare le vocazioni vere 3. 1. Rettitudine e autorità
Gli avvenimenti del 1859 che hanno forse rivelato la qualità di capo che non aveva avuto l’occasione di sperimentare. Darà così prova della sua capacità di aprire una strada ai missionari, Padri e Suore, attraverso la complessità dei problemi, di persone 2 L. PI. a Sr. Maxime, 20.10.1886: «Ricordatevi del coraggio, dell’energia e della fede di vostra Madre e siate degna di lei in tutto». - Al Noviziato, 1896: «Che faremo di queste ragazzine?». 3 L. PI. al professore Bolia a Baden, 8.2.1863: «H a una volontà forte e nettamente determinata a sopportare tutto per il regno di Gesù Cristo? E di carattere fermo e aperto?».
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e di Istituti, fra le piccole rivalità, il groviglio delle giurisdizioni ecclesiastiche, l’asprezza delle lotte coloniali o la diffidenza - su bito placata d’altronde - dei paesi africani. Prende in mano la direzione della missione, governa e tiene testa, se è necessario, agli oppositori e agli invidiosi. Quando è convinto di avere ra gione - o che sono in gioco gli interessi dei suoi - allora, que st’uomo retto e sincero sa smontare pezzo dopo pezzo gli argo menti degli avversari. Per persuaderli, sa tornare alla carica, bat tere il chiodo dei suoi argomenti il più a fondo possibile. I con fratelli di Whydah, ribellatisi troppo presto contro alcuni punti del suo governo, hanno avuto la primizia di quelle lunghe lettere ripetitive dove il Superiore si sforzava di provare a suscitare l’adesione, con il rischio di sembrare spesso testardo e tenace. Con un carattere di tal tempra, che evidentemente manca di flessibilità — e nel quale l’intransigenza, soprattutto secondo i suoi detrattori, è piuttosto la regola - si capisce perché egli non sempre abbia attirato le simpatie attorno a sé. Il Cardinale Caverot lo accuserà a Roma «di assorbire tutta l’autorità con una cura deplorevolmente gelosa». A questo, Courdioux aggiunge che «P. Planque non saprebbe accettare altro parere che il suo». Pur essendo troppo drastiche, perché senza sfumature, queste due affermazioni hanno tuttavia un fondo di verità. Non si può negare che non ci sia stato in Augustin Planque una tendenza all’esercizio di un’autorità troppo assoluta. Spirito vivace e lu cido, utopista in certi momenti, ma nel complesso realista, vede spesso più chiaramente e più lontano degli altri e, spontanea mente, decide e organizza. Era quasi inevitabile che molti in torno a lui si sentissero frustrati4. Tuttavia, questa rigida condotta che gli viene rimproverata infinitamente spiacevole, è vero, quando si è incaricati di gover nare gli altri5 - non gli deriva da un fondo di durezza, di arro ganza o da un gusto eccessivo del potere. Augustin Planque non è duro, ma esigente all’estremo sulle questioni d’obbedienza e di disciplina. Ancora di più, divenuto Co-fondatore, ha fatto della 4 Si veda IV parte, cap. 12, 5 Mons. Brésillac deplorava di trovare questa rigidezza nel suo amico, si veda II parte, cap. 4.
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sua fedeltà a Brésillac una delle linee essenziali della sua azione, al punto che si è identificato con la Società delle Missioni Afri cane, così come era stata concepita al suo inizio. E lui stesso si fa garante, a volte con irruenza, della sua completa onestà nelle interpretazioni e nei cambiamenti necessari che toccano i primi regolamenti. Di conseguenza, non può sopportare il minimo sospetto, la minima contestazione sulla continuità di governo tra lui e il Fon datore. E poiché lui solo ha ricevuto « l’intera confidenza dei pro getti e delle idee di Brésillac», prendersi il diritto di discuterne, significa sempre attirarsi vive rimostranze o almeno - se si è car dinale Prefetto di Propaganda Fide - delle puntualizzazioni e delle rettifiche precise. Su tutte queste convinzioni che lo fanno vivere, sul carattere assoluto di cui vuole siano rivestite le Co stituzioni e la regola, sul rispetto dovuto all’autorità, P. Planque non cede m ai6. E poco gli importa in quei momenti di essere impopolare. Quando l’equilibrio ancora fragile dell’una o del l’altra società gli sembra minacciato da ciò che egli chiama mala nimo, nulla può impedirgli di reagire, perché è un uomo senza compromessi. Egli intende vivere la sua carica e le sue responsa bilità di «successore» con tutta la sua energia, nella verità - oggi si direbbe nella trasparenza - senza che nulla, nelle sue parole o gesti, cerchi vie traverse. Sono queste qualità di rettitudine, di lealtà, di probità in tutti i campi che gli hanno attirato spesso fiducia, stima e rispetto. 2. Esigenza e rigore
Eppure, tutto era cominciato bene con i Padri. Il Superiore si diceva felice e fiero dei suoi missionari, aveva in loro una grande fiducia... e poi, la situazione si è degradata un po’ tra i Confra telli in Africa, senza dubbio per effetto della stanchezza e soprat tutto della lontananza. È difficile per loro farsi comprendere, i 6 L. PI. a P. Courdioux, 20.3.1868: «Sono deciso a non esitare mai quando non si camminerà secondo lo spirito necessario al buon ordine». - A P. Ray, 13.7.1888: «Tutti i servizi che si credono resi sono annullati dal rifiuto di obbedire». - Cfr. anche a P. Jean Bouche, 20.3.1868.
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problemi sono nuovi e il Superiore non conosce il paese. Allora, quando cominciano i mugugni, i conflitti non tardano a manife starsi, e uno dei primi sembra essere stato sollevato per la que stione delle finanze. P. Planque, che ne è responsabile, ci tiene a controllare il bilancio delle missioni, ma a modo suo, sempre stretto ed esigente. Troppo, a dire di alcuni, che preferirebbero spendere più largamente o almeno godere di un gruzzolo più importante 7, acquistare dei terreni od operare altre transazioni. Il Superiore non l’intende così. Per temperamento, come pure per gli obblighi stessi della sua carica, è sempre stato il contrario di uno sprecone o di un prodigo, sempre preoccupato di poter arrivare alla fine del mese e facendosi un punto d’onore nel non contrarre debiti8. Dotato delle qualità di un amministratore abile e fondamen talmente onesto 9, si comprende perché abbia voluto mantenere il monopolio dell’amministrazione dei beni nella Società. Con i negozianti o le imprese di ogni genere, compresa Propaganda Fide, discute delle spese e dei profitti al punto che a volte dà l’impressione di essere legato al denaro, e sappiamo che è molto bravo a trovare delle risorse. Courdioux ed altri lo accuseranno persino di considerare un’opera o una stazione sotto l’aspetto della resa finanziaria. Vi è una parte di verità, ma in fondo anche un’ingiustizia. Perché Augustin Planque è l’unico a conoscere - e questa è la sua scusante - l’estensione dei bisogni materiali del l’Opera. E con quanta fatica ha ottenuto mezzi per provvedervi. La sua vita di «questuante» gli peserà fino alla morte e spesso gli accadrà di confidarsene con qualcuno 10. Di conseguenza, egli ha 7 Fu il conflitto sugli onorari della messa di cui il Superiore - seguendo in questo Brésillac (cfr. A rticles fondam entaux, DMF, p. 226) - non concesse che una parte. Cfr. L. Pi. a Papetart, 8.3.1872: «G ià da tanto tempo ho una grande voglia di scrivere un piccolo trattato sulla povertà apostolica!». 8 «Non siamo ricchi ma non abbiamo debiti», ripete in diverse circostanze. 9 Così, nel momento in cui «le Congregazioni correvano in Francia un vero peri colo» sul piano finanziario, egli avrebbe voluto costituire una Società civile che fosse proprietaria dei beni. «M a - scrisse ad un membro di Propaganda Fide - il Sig. Berlotty (il notaio) che è grande sostenitore di questo principio, è troppo timido per realizzarlo» (16.1.1891). Cfr. L. PI. a Mons. Dartois, 13.6.1901. 10 L. PI. a P. Cloud, 18.4.1870: «U na sola cosa mi ha sostenuto in questa occupa zione che è così diametralmente opposta ai miei gusti: il pensiero della volontà di Dio».
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acquisito, si potrebbe dire, un certo rispetto per il denaro, così duro da guadagnare... e vi è tanta gente che si impone delle privazioni per aiutare le Missioni! «Il denaro di Propaganda Fide deve essere rispettato», diceva ai Confratelli. E per questo che a nome della Società, ma anche a nome dei benefattori, ha recla mato spesso un controllo severo delle spese fatte. Dopo la revisione delle Costituzioni, che daranno ai capi di missione una certa autonomia nella disposizione dei loro beni, farà fatica a cambiare il suo modo di agire. Ma presso i Padri, il desiderio di indipendenza rispetto ad una tutela giudicata troppo stretta comporterà fatalmente dello scontento o addirittura dei movimenti di rivolta.
3. Il coraggio di cedere, di osare, di soffrire...
Ma se ci siamo soffermati a lungo su un P. Planque esigente, rimangono da considerare le altre sfaccettature, altrettanto im portanti, della sua personalità. Egli sapeva mostrarsi «docile» u , umile e modesto, abbastanza lucido davanti agli avvenimenti per accettare, quando necessario, di sottomettersi e di acconsentire ai cambiamenti o compromessi, rinunciando alle proprie scelte. Così accadde, come abbiamo visto, quando dovette abbandonare il Fezzan o ritardare l’apertura della scuola di Choubrah e, an cora più penoso, quando alla richiesta di Propaganda Fide, ce dette alle ingiunzioni del Prefetto modificando i regolamenti della Società con il rischio di diventare il capro espiatorio, bersa glio delle recriminazioni di tutti. Sugli atteggiamenti che adotta in questi casi e che non mancano né di nobiltà né di coraggio, il canonico Cristiani ha detto le parole giuste che descrivono esat tamente P. Planque: «Se deve cedere per amor di pace, si sotto mette senza ripensamenti e senza serbare, verso le persone o le istituzioni, il minimo risentimento» 12. Per quanto fermo nelle proprie idee, Augustin Planque è 11 La parola è nel Documento di P. Roeykens, citato nella II parte, cap. 7, AMA. 12 Cfr. Un grand Africain, Canonico Cristiani, op. cit., nelle parti precedenti, pp. 7172.
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dunque abbastanza padrone di sé per piegarsi alle circostanze... ed equilibrato, prudente e saggio per guardarsi da tutto ciò che potrebbe sembrare temerarietà. Bisogna credergli quando scrive: «Sapete che non amo le idee avventurose...» 13 - a condizione che ci si intenda bene sulle parole!... Infatti non gli si può negare un certo gusto per l’avventura e la novità, e neanche un desiderio di grandi spazi... Ma ha ricevuto un dono essenziale per un Supe riore di Società apostoliche: è l’audacia missionaria, quella che si appoggia sulla fede e sul coraggio di affrontare rischi, perché l’opera di Dio non può essere fatta con vedute ristrette, o nella paura che tratterrebbe dall’osare e dall’avanzare. E certamente, non si è mai comportato come un timoroso o un pavido, colui che, al momento giusto, ha rimesso in piedi le Missioni Africane e, più tardi, fondato le Suore. L’audacia, egli l’ha mostrata in tutti i momenti della sua vita, spesso sul filo del rasoio, senza bravate, ma colmo di speranza e meravigliosamente aiutato da un’immaginazione creatrice mai a riposo. Augustin Planque è uno spirito continuamente al lavoro, alla ricerca di un progresso, di un miglioramento da compiere. Si potrebbe dire che è solito prendersi molto vantaggio sull’azione del momento. Ma se ha l’intenzione di aprire un nuovo cammino - per «fare delle Suore» 14 o per prevedere una nuova fondazione - non improvvisa mai: «Se non vedessi delle basi serie ed anche la cer tezza di un buon risultato, non vorrei per nulla al mondo una tale iniziativa», scriveva già parlando della scuola dei bambini neri in Spagna 15. Egli deve al suo coraggio - come anche al suo modo di confrontare i suoi desideri con i mezzi concreti per rea lizzarli - l’aver condotto a termine tante imprese. Ancora di più lo deve alla sua abitudine di contare su Dio. Di lui abbiamo una lettera in cui, con un discreto humour, dà la sua «ricetta» ad un Padre timoroso del domani, una vera ri 13 L. PI. ai Confratelli, 18.12.1861. - Cfr. anche a P. Guillet, 8.11.1871: «La par tenza per la Guinea senza bisaccia né calzari è una pura impossibilità! La poesia è bella sulla carta, ma bisogna poter vivere, sistemarsi...!». 14 Allusione alle parole dette al Padre da Propaganda Fide: «Volete delle Suore? Fatele!», cfr. I li parte, cap. 10. 15 Si veda sopra, II parte, cap. 10.
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cetta di fiducia! «A dire il vero, se io mi fossi detto ciò che voi dite: prima di avere un personale, bisogna avere del denaro per nutrirlo, io non avrei quasi mai accettato nessuno. Mi dicevo in fatti: accettiamo sempre quelli che si presentano, la Provvidenza è in cammino; Dio invia gli uccelli, manderà il cibo. Da 25 anni sono alla guida della «congregazione», non ho rifiutato né una persona, né un mezzo per prepararle, per timore di non avere il pane di ogni giorno. La miseria non è andata via, ma il pane del giorno è venuto, spesso senza che io sapessi per quale porta è entrato. Verrà anche da voi, sotto l’ala della Provvidenza» 16. Questo non esclude l’insuccesso, né gli errori, tanto più che egli conserva il suo lato ingenuo, fiducioso fino all’esagerazione nella rettitudine delle persone e nelle loro promesse o nel buon esito degli avvenimenti. Allora, quando giungono le delusioni, ne è duramente colpito 17. Nelle ore difficili, la sua sicurezza non gli impedisce di conoscere lo scoraggiamento, i momenti di ama rezza, nei quali si lascia sfuggire qualche lamentela disincantata: «Dopo tutto, la vita passa e tutto questo finirà...» 18. E Dio sa se la vita non l’ha risparmiato dalla prova, se ha imparato, anche lui come l’Apostolo Paolo, «cosa si deve soffrire per il nome di Cristo!». La morte dei suoi missionari è stata ogni volta un colpo brutale, spesso inatteso: «Non ho più parole e da sei giorni il mio pensiero sembra spento», scrive dopo il decesso di P. Verdelet, vinto rapidamente a Lione dal vaiolo, al momento di ripartire per il Dahomey 19. E quando apprende che una setti mana prima, anche Vermorel è morto a Lagos: «Ho il cuore lacerato - dice ancora - quando devo annunciare alle famiglie la morte di uno dei loro» 20. Nel 1900, al momento del suo Giu bileo sacerdotale, il Superiore ha già visto morire più di 45 Suore e 150 Padri, di cui molti a lui carissimi, ed anche preziosi per tutta la speranza che egli riponeva in loro. A tutti questi lutti, si aggiungono ancora a rattristarlo, le op 16 17 18 19 20
L. Si L. L. L.
PI. a P. Devoucoux, 14.10.1881. ripensi alla dolorosa storia di P. Borghero. PI. a P. Courdioux, 17.6.1863. PI. a P. Courdioux, 6.5.1869. PI. a P. Courdioux, 6.6.1869.
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posizioni contro di lui, a volte persino di quelli che egli chiamava suoi amici21, le critiche, i sospetti e le accuse portate a Roma. La sua buona fede, le sue competenze, persino la sua onestà sono state messe in discussione 22. Stanchezza, salute indebolita, lutti di famiglia, la croce col passare degli anni, si farà sempre più pesante, e sino alla fine. Allora, si comprende come egli abbia potuto esitare, dubitare di sé stesso, della sua capacità di guidare la Società. Mai però dubitò dello scopo fissato, ed è questo senza dubbio il motivo potente che l’ha sempre riportato a combattere23. Passata la tempesta, guarda di nuovo la situazione in faccia e poi tutto rico mincia, ci si rimette in cammino... come dopo Freetown, dopo Orano, o dopo la rottura di Couzon... Tanti incidenti di per corso, pensa, che non devono compromettere il seguito del viaggio. Ci chiediamo però se la prova maggiore della sua vita, la più dura forse, non sia stata quella di essere stato considerato una persona fredda e poco cordiale. Tale reputazione, era veramente meritata? A volte, lamentandosi il Padre assicura che «queste paure svanirebbero se lo si conoscesse meglio»... 24 E vero che è di approccio austero e poco coinvolgente? Il suo carattere non lo porta a stringere relazioni, sembra sempre un po’ sulla difensiva quando deve entrare in contatto con qualcuno. Forse riflessi di timidezza e conseguenze della prima formazione 25? Quando uno dei suoi collaboratori gli rimproverava i suoi modi di agire, egli non si sottraeva: «So di non avere sempre il tatto necessario per 21 Cfr. il voltafaccia di Mons. Chausse in cui riponeva grande fiducia. - Si vedano anche in occasione del «complotto» di Nizza, le lettere a P. Devernoille, 12 e 22.7.1876 e a P. Gaudeul, 22.7.1876. 22 Questo nasceva da un’inverosimile calunnia. Per giustificarsene, ci tenne a pre sentare il suo testamento al Consiglio della Società. 23 Cfr. tra gli altri esempi, la lettera del 15 maggio 1867. «Pieno di tristezza e d’inquietudine»; accetta tuttavia la carica di Pro-Vicario apostolico e si dice pronto ad andare a fare una visita nelle missioni (al Card. Barnabò). 24 L. PI. a Sr. Marie-Véronique, 17.9.1879. 25 L. PI. a P. Courdioux, 19.8.1865: così il Superiore difendeva la causa di Borghero. - Cfr. altre raccomandazioni allo stesso Courdioux perché si mostrasse indulgente verso le persone.
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attirare, avvicinare e favorire il legame tra i confratelli e me». «La dolcezza senza dubbio gli fa un po’ difetto, di questo egli è il primo a soffrirne» 26. Come Mons. Brésillac, anche P. Planque è nato in una fami glia unita, ben costituita - patriarcale come erano le famiglie di quel tempo - saldata da legami rimasti molto forti. Di conse guenza, per lui, come per il primo Fondatore, la società non può essere che una famiglia e la Congregazione delle Suore pure. Poco espansivo, a volte sceglie di avvolgere il suo operato con una certa aria di mistero e fatica a creare l’ambiente fraterno della vita di comunità. Tuttavia è così grande il suo desiderio di arrivare ad un clima di amicizia che moltiplica senza stancarsi gli sforzi e le raccomandazioni. 4. Uomo di cuore
Anche a rischio di stupire coloro che di lui ricordano soltanto questo volto di severità, bisogna andare più avanti e superare le apparenze che possono essere ingannevoli, per conoscere Augustin Planque sotto uno degli aspetti forse più reali della sua per sonalità, ma anche il meno conosciuto. Infatti, fondamental mente buono, generoso - contrariamente a ciò che si è spesso detto o scritto a tal proposito - egli è quello che si potrebbe chiamare un uomo di cuore, fortemente affezionato a coloro che lo circondano. Ama e cerca di far piacere, di essere utile a tutti. Estremamente sensibile, ha bisogno per vivere e resistere nei momenti più duri, di sentirsi circondato di amicizia e sostenuto. Sensibile alle testimonianze d’affetto, è felice quando ci si ri corda delle sue feste e dei suoi anniversari. Sempre pieno di humour, ama le battute di spirito, i piccoli aneddoti, anche se non è per sua natura portato alla risata o allo scherzo. Così, scorrendo le lettere che invia a tanti corrispondenti, si può apprezzare la profondità e la sincerità dei sentimenti espressi. E vero che traduce meravigliosamente per iscritto ciò 26 Rapporto di P. Courdioux al Card. Caverot, aprile 1878. Si veda IV parte, cap. 12.
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che esprime male con la parola o con i contatti personali. Molte le testimonianze di simpatia, di incoraggiamento e di compren sione di cui non era avaro, emergono dalla sua corrispondenza epistolare. Si trovano anche biglietti che il Superiore - pur così poco comunicativo - invia ad uno dei Padri «soltanto per fargli sapere che a Lione ci si ricorda di lui con affetto», e ad un altro per «assicurarlo che la lontananza non ha indebolito, ma al con trario ha rafforzato, i sentimenti che egli ha sempre avuto per lui», aggiungendo anche «che sarà un giorno felice, quello in cui potrà rincontrarlo» 27. Lo si dice intransigente, persino tagliente, con i contestatori, ed è vero. Tuttavia, vi sono tanti altri casi in cui egli si mostra caloroso, ama ringraziare, fare un elogio discreto o valorizzare il lavoro compiuto, qualunque esso sia 28. P. Verdelet ha sostituito il Superiore della sua Missione durante il periodo di riposo che questi ha trascorso in Francia. Padre Planque ci tiene a congratu larsi con lui «per il buono stato in cui ha tenuto la casa e gli fa sapere che P. Courdioux al ritorno ne è stato soddisfatto» 29. Se deve presentare ad un Superiore i nuovi Confratelli che stanno per arrivare, lo fa sempre in termini di stima e di amicizia. E quando non può tacere le debolezze, rivela con calore i lati posi tivi. Così è per Legeay «che è intrepido, certamente, fino al l’imprudenza», ma che ha dato buona prova a Freetown e «con tinuerà a compiere l’opera di Dio». Di Devoucoux, apprendiamo «che ha lavorato a formare la scuola apostolica di Cork con logi cità, intelligenza, affetto e successo». Quanto a Guyon, si dice che «sia severo, ma è un professore giusto che non ha mai man dato via un allievo senza motivo» 30. Poiché ha fiducia nei suoi missionari, sa anche consultarli e 27 L. PI. a P. Falco, 18.1.1865. - Si trova ancora: a P. C.: «Più di ogni altra cosa, ho un grande desiderio di rivedervi»... e a P. B.: «Siete atteso con impazienza...». 28 Sia che si tratti del tuttofare, del giardiniere, del musicista, come del traduttore delle lingue africane, il Padre sa sempre trovare per ciascuno la parola che fa piacere e ringrazia. 29 L. PI. a P. Verdelet, 18.9.1867. - a P. Chausse, 15.2.1882: «Ripensando a ciò che è stato fatto nel Bénin, non posso che ringraziare Dio che ha dato ai vostri lavori un vero successo per la Sua gloria». 30 L. PI. a P. Moreau, 10.2.1883 e a P. Mathivet, 15.8.1902.
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rimettersi al loro giudizio per risolvere alcuni problemi: «Fate come meglio credete per l’organizzazione e la gestione della casa - dice a Borghero - le cose del Dahomey non assomigliano alle cose della Francia ed io mi guarderei bene dal dirvi come fare...»31. A proposito di un affare delicato, «vorrei avere un parere da ciascuno di voi - scrive ai Confratelli, e se dovrò deci dermi prima di averlo ricevuto, esaminerò seriamente con Padre P. la soluzione più utile» 32. Agisce così anche con i Capi delle missioni e le Superiore delle comunità. A coloro nei quali rico nosce «uno spirito veramente buono», è pronto a parlare dei suoi problemi o anche a confidarsi... Ma può accadere che l’in terlocutore manchi di discrezione! «Perché fate tante confidenze a P. X? - dice P. Guillon - Sapete che ne fa un cattivo uso?»33. Ed è proprio questo l’aspetto curioso del carattere di P. Planque, ora chiuso, ora espansivo... Quante volte ancora per incoraggiare, rassicurare, non ha in viato una parola che aiuta a riprendere slancio: «Farete meravi glie, ho questa dolce fiducia...»34. Incoraggia uno a prendere delle iniziative, un altro ad accettare delle responsabilità, e divide con tutti la fatica e le noie... Al momento della fondazione di Lagos, invia a Bouche una lettera che bisognerebbe citare per intero. «Sapete con quale gioia vi ho visto cominciare la missione a Lagos. Conosco tutte le difficoltà che comportano i primi inizi di tutte le cose e soprattutto nei paesi lontani. Non mi stupisco che abbiate dovuto soffrirne..., né delle incertezze da parte del vostro Superiore. L’amministrazione di una Missione è un carico pesante per lui, bisogna che ogni missionario lo aiuti a portarlo. Faccio appello al vostro spirito di fede, alla vostra devozione che mi avete così spesso manifestato per l’opera di Dio e la salvezza dei Neri. Fateli rinascere nel vostro cuore con l’umiltà, la dol 31 L. PI. a P. Borghero, 16.7.1862. 32 L. PI. a P. Courdioux e ai Confratelli, 19.1.1863. - A P. Ménager, 11.7.1875: «Non prenderei una decisione senza il parere dei missionari». - A P. Malen, 26.6.1879: «Qual è il vostro parere? P. X. può essere lasciato nella Società?» - e a P. Chausse, 25.6.1879: «M i fareste la cortesia di dirmi chi vedreste come procuratore delle mis sioni?». 33 Lettera Guillon a Planque, 30.5.1876. 34 L. PI. a P. Ménager, 16.11.1875.
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cezza, prendetevi all’occorrenza qualche giorno di ritiro e ritrove rete il vostro primo vigore» 35. Spesso, si preoccupa della salute per la quale non risparmia né le cure, né le raccomandazioni: «Soprattutto, curatevi bene e vivete in maniera comoda. Non è questo il momento di fare delle mortificazioni. Desidero sapere che regime seguite... e i dettagli della vostra vita materiale. Non potete credere quanto ne sono interessato...» 36. Per dare loro tutto ciò che può in fatto di sostegno e gioia, non manca di far circolare regolarmente le grandi e le piccole notizie, quelle della Società ma anche quelle delle famiglie, felice di mandare a coloro che sono lontani un po’ di aria del paese natale 37. Attraverso la sua corrispondenza non si farebbe molta fatica a ricostruire una vera piccola gazzetta della Lione dell’epoca, perché egli è un eccellente cronista della vita lionese che tutti conoscevano bene.
5. Operatore di giustizia e di pace
Se deve «decidersi a credere alla colpevolezza di qualcuno», P. Planque pensa sempre che «si tratti più di imprudenza e leg gerezza che di malizia». E poiché lui stesso è senza rancore, mai esitante nel dimenticare o nel perdonare, si impegna a far scom parire le piccole ombre del passato: «Non temete di avermi fatto soffrire... non ho mai dato importanza ad un po’ di vivacità...». «Avete scritto sotto il peso di qualche problema... So quanto possono influire la sofferenza e la febbre, perciò attribuisco in gran parte a queste cose l’amarezza di un certo tipo di lin 35 L. PI. a P. Bouche, 5.9.1869. 36 L. PI. ai Confratelli, 19.6.1861: «Preferisco che facciate troppe spese per il cibo piuttosto che non abbastanza...» - a P. Bouche, 20.6.1869: «Vorrei che nessuno man casse del necessario e ho il cuore profondamente afflitto quando sento la penuria in cui si sono trovati i missionari». - A Régis, 17.10.1863: «Continuate a fornire abbondante mente i Confratelli di tutto ciò che è loro necessario». 37 II Padre aveva una capacità incomparabile nel trasmettere le notizie e permettere a tutti di rimanere vicini gli uni agli altri. A Zappa che era nel Niger, promise di fare una sosta a Milano, tornando da Roma, per andare a visitare la Mamma di P. Carlo - Andò a Roches de Condrieu in visita alla mamma di P. Thollon: «Ella è piena di carità e visita i malati» - Si potrebbero moltiplicare gli esempi...
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guaggio...» o ancora: «Voi ignorate quanto la mia fiducia in voi sia sempre stata totale. Non un pensiero vi è sfavorevole... Conto su di voi, e voi contate su di me e credete al mio affetto»... «Io non attribuisco cattive intenzioni a nessuno, ci sono degli errori che sono inerenti all’umanità stessa»38. In seguito ad un ma linteso, scrive a Moreau: «Non ho smesso un solo istante di es sere, nei vostri confronti, pieno di fiducia e di affetto. Non mi conoscete da ieri. Credete che io sia cambiato completamente da un giorno all’altro?»39. «Cancelliamo - scrive ad un altro questi tristi pensieri... Camminiamo dritti come se niente fosse mai accaduto»40. Se si rende conto di aver causato lui stesso qualche dispiacere, si spiega con franchezza: «M i dispiace, per mancanza di chiarezza e forse per un’omissione involontaria, di aver creato delle difficoltà tra voi e Bouche. Cercherò in futuro di spiegarmi meglio...» 41. Quando è necessario rimproverare, raddrizzare o correggere qualche passo falso per il bene della Missione, richiamando al l’ordine e al dovere, è allora che mostra la sua benevolenza e il tatto di un pedagogo attento a non ferire inutilmente colui o colei che vuole aiutare a progredire. Così a Padre X che beve senza dubbio un po’ troppo e di cui i Confratelli gli hanno par lato, scrive: «Voi stesso potreste non esservi accorto della cosa e sareste il primo a smettere se ve ne rendeste conto. Ma per me, la testimonianza stessa dei vostri Confratelli non mi permette di non dirvelo. Ve ne prego, accettate questo avvertimento con semplicità e umiltà così come ve lo do, in tutta carità»42. La stessa delicatezza si ritrova nelle righe inviate ad un altro missio nario. «Siate persuaso che nessuno ha mai avuto l’intenzione di contrariarvi durante il vostro soggiorno, ma le frequenti assenze non motivate fanno un cattivo effetto. So che voi desiderate l’or dine e il bene e se io ho dovuto contrariarvi, è perché sono persuaso che l’interesse generale lo esigeva» 43. 38 39 40 41 43 43
Numerose L. PI. a P. L. PI. a P. L. PI. a P. L. PI. a P. L. PI. a P.
lettere ai Confratelli e alle Suore. Moreau, 28.2.1874. Chausse, 17.10.1877. Chausse, 20.8.1873. O’Haire, 17.2.1879. Vermorel, 17.12.1866.
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Nessuna debolezza lo turba, «egli non considerava né irrepa rabili gli errori, né incorreggibili le persone». E lungi da ogni meschinità, ha il dono di sdrammatizzare le situazioni, sempre pronto a scusare e a difendere più che a condannare. Mai accon sente a chiudere una porta e conserva sempre la speranza nelle persone: «E vero che il carattere di Padre X... lasciava a deside rare quando era da noi, ma ciò può essere spiegato con il fatto che non si trovava al suo posto nella nostra casa» 44. Di un altro, dice: «La dura lezione di un’espulsione può stimolarlo a fare me glio ed anche bene. Da noi, ha mostrato dei lati buoni che po trebbero svilupparsi» 45. Deve persino giustificarsi per aver accolto troppo bene a Lione un Confratello che ha avuto dei problemi in Africa. «Dovevo dunque infliggergli una specie di interdizione con il rischio di farlo irritare per sempre? Ho pazientato e cercato di addolcire la pillola. Calmatevi - scrive ai Confratelli irritati per la sua grande benevo lenza - e credete che nulla è perduto perché non ho voluto rimpro verare troppo un povero Confratello. Volete che siamo senza mise ricordia e senza pietà?» 46. Il suo grande interesse per la giustizia e per il rispetto verso le persone lo obbliga alla prudenza e all’atten zione verso i loro diritti e la loro dignità. «Guardatevi dalla parzia lità», scrive ancora ai Confratelli. «Poiché non bisogna accusare senza prove, senza addurre fatti precisi, né ci si può attenere a delle testimonianze fragili, come quelle dei bambini facilmente ingannevoli e mutevoli»47. Si preoccupa soprattutto che colui o colei che è accusato, ne sia informato e possa difendersi: «Voglio credere che l’accusa che è stata avanzata contro di voi sia falsa scrive ad una Suora - e aspetto che me ne parliate voi stessa». «Non ho affatto preso posizione contro di voi - dice ad un altro. Vi informo del fatto e desidero darvi in questo modo un vero segno di fiducia»48. Le spiegazioni franche e amichevoli gli sembrano di gran lunga preferibili ai giudizi troppo affrettati. Perché non cer 44 45 46 47 48
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L. L. L. L. L.
PI. PI. PI. PI. PI.
a un Superiore di seminario. al Vicario generale di Marsiglia, 19.12.1875. a P. Thillier, 19.8.1869. ai PP. Durieu e Pagès, 22.5.1878. a P. Ménager, 16.10.1883.
care soluzioni di conciliazione? Perché soprattutto non parlarsi a cuore aperto? Bisogna moltiplicare gli sforzi per arrivarvi, «è questo che dissipa le nuvole e può abbassare le montagne dei malintesi». Lui stesso desidera sempre regolare i problemi con rettitudine e semplicità: «Dico chiaramente e senza secondi fini ciò che penso. Ma non sono per questo senza fiducia nei confronti delle persone con le quali parlo» 49. Quante testimonianze di vera stima e di bontà non ha dato in questo modo soprattutto a coloro che avevano delle difficoltà?
6. Relazioni e contatti
Se P. Planque invita i Padri e le Suore a vivere tra loro nel rispetto e nella giustizia reciproca, il suo tono diventa ancora più fermo quando, fuori dalla Casa, deve difendere i suoi, trattati a volte senza riguardo. Li difende allora come la pupilla dei suoi occhi. Basta ricordare le risposte energiche rivolte a Mons. Lavigerie o a Mons. Comboni, che giudicavano il personale delle Missioni Africane inesperto, per non dire inadatto50. Con la stessa dignità e la stessa nobiltà, il Superiore difende i suoi Padri davanti al Consiglio della Santa Infanzia: «Non posso lasciare pesare su coloro di cui Dio mi ha fatto momentaneamente capo uno sfavore immeritato e pregiudizievole. Noi non siamo ricchi, ma non abbiamo debiti, e quando abbiamo comprato una casa, avevamo il denaro»... 51. Con l’Arcivescovo di Arles, che gli pro pone di prendere un posto nella sua diocesi, P. Planque vuole mettere subito le cose in chiaro: «Per quanto piccola, la nostra Società ha il dovere verso se stessa di non accettare una situa zione indegna o precaria. Se dunque... non possiamo essere al riparo da meschine seccature, l’onore delle Missioni Africane mi impone di non accettare una tale posizione»52. E a chi dubita della vitalità delle Suore che ha appena fondato, non tarda a 49 50 51 52
L. PI. a Sr. Marie-Véronique, 17.9.1879. Si veda II parte, cap. 7. L. PI. al Consiglio della Santa Infanzia, 12.1.1865. L. PI. al Vescovo di Aix e Arles, 20.6.1870.
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replicare: «Non è che una piccola Congregazione... che resta nel l’ombra. Non fa parlare di sé, ma svolge un lavoro serio»53. Considerando questo linguaggio combattivo, non bisogne rebbe concludere che i rapporti di P. Planque mancassero abi tualmente, all’esterno, di affabilità e di cortesia. Anche se sempre cosciente dei suoi diritti, esige che ogni affare sia trattato con la franchezza e l’onestà che lui stesso usa, dando a tutti prova della sua benevolenza, di simpatia e, secondo le circostanze, di defe renza e rispetto. Con la sua semplicità e le sue buone maniere, desidera che il seminario sia un luogo di accoglienza. Non è mai tanto felice come quando può aprire la casa ad amici, parenti, prelati con cui lavora. Ama ricevere visite, coglie le occasioni di festa, partenze in missione, ordinazioni e consacrazioni per fare grandi inviti. E senza dubbio l’ospitalità non manca di cordialità e di spirito fraterno. «Non abbiamo fatto niente per accogliere Mons. Mezezinski, risponde al Prefetto che lo ringrazia, l’ab biamo ricevuto semplicemente come uno della famiglia e questo è tutto» 54. Quanto alle sue relazioni con i governi o altri membri delle organizzazioni ufficiali, si è già detto sopra che queste erano im prontate spesso a diplomazia o almeno ad una certa abilità. Ma si sa anche che egli non ha mai ceduto nulla davanti a loro della sua dignità, del senso della verità, che gli erano naturali, né so prattutto della convinzione del bene che era urgente compiere.
7. Con le Suore
Nelle diverse relazioni di P. Planque, bisogna ancora fare un posto a parte ai legami che lo unirono per trent’anni alla Congre gazione che aveva fondato. Si può dire che, per le Suore, fu veramente il Padre, con tutto ciò che questa parola comporta soprattutto a quell’epoca, e ancora di più nel mondo religioso di fermezza ed anche di superiorità benevola che una volta si 53 Si veda III parte, cap. 10. 54 L. PI. al Card. Ledochowski, 9.8.1892, in risposta ai ringraziamenti che costui gli aveva rivolti.
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attribuiva ai pater familias. Guardava la loro giovinezza e la scar sità dei mezzi di cui disponevano con benevolenza, e al momento della partenza in missione, dava a ciascuna tutta la bontà e l’inte resse del Fondatore. Nulla di sorprendente quindi che le Suore abbiano accettato volentieri da lui, un’autorità talvolta assoluta, ma che egli ha sa puto rendere paterna, affettuosa e sempre equa. Con i Padri, egli è il Superiore. La grande maggioranza di loro ha una personalità forte e decisa quanto la sua, alcuni sono rigidi e ombrosi non sempre docili quando bisogna accettare gli ordini di un capo! Ma nulla di tutto ciò si può temere tra le Suore... Molto più giovani dei Padri, esse sono a volte meno istruite di loro, perché rare erano allora le ragazze che - come Marie-Louise Planque, sua nipote, o Mlle Holley, la futura Sr. Théodore e altre - avevano raggiunto un livello di studi un po’ elevato. I rapporti sono dunque ben diversi. Anche se vi sono state delle tempeste, do vute al loro carattere, alle loro maniere di agire incompatibili con la vita religiosa, il Moulin-à-Vent non ha conosciuto nulla dei conflitti o contestazioni che hanno sconvolto, a più riprese, il seminario e le Missioni. Nei primi tempi soprattutto, esse non possono neanche immaginare che il loro Superiore le consulti o le lasci gestirsi da sole!... E forse qui, presso le Suore che P. Planque è più natural mente, più spontaneamente se stesso, intrattenendosi con cia scuna, ascoltando le piccole storie e raccontando a sua volta aneddoti o ricordi, si trova bene nella loro vita di famiglia sem plice e rilassata. Qui non vi sono intermediari, né riferimenti ad un altro - anche se questo «altro», Brésillac, egli lo venera... Al Moulin-à-Vent, tutto è nelle sue mani, egli è il solo a governare... e questo verbo non è troppo forte! Egli vi mette tutta la sua attenzione amorevole, esse sono veramente le «sue» figlie, che lo ricambiano, con affezione e rispetto, la cura che ha per loro nel prepararle bene per l’opera che le attende, come donne capaci di prendere iniziative e responsabilità. Severo ma buono, rude ma delicato, intransigente ma com prensivo ed anche affettuoso in certi momenti, ecco dunque Au gusto Planque, come può sembrare a coloro che lo vedono più 373
da vicino... profondamente umano attraverso le sue debolezze, i suoi difetti e le sue contraddizioni, ma anche le sue grandezze, sempre rivolto verso un mondo da costruire, interessato a tutto ciò che è vita e promessa di crescita. Valeva la pena, prima di cercare quegli altri tratti che hanno contribuito a fare di lui un vero servitore della Missione di Cristo cioè il suo ardore di apostolo e la sua fede - restituirgli un po’ del suo volto di uomo, e confutare alcuni giudizi troppo frettolosi e superficiali sul suo conto. Poiché a forza di considerarlo soltanto sotto l’aspetto della funzione, un po’ rigida, del Superiore, lo si è spesso deformato, dimenticando di vedere che - malgrado la forza della sua natura e della sua volontà senza debolezze, o meglio a causa di queste - egli era già pronto a diventare un testimone autentico della fratellanza evangelica e della tenerezza di Dio.
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CAPITOLO DICIASSETTESIMO
LO ZELO PER LA MISSIONE
1. Un solo scopo
Rivolgendosi a Sr. Marc per chiederle delle notizie dall’Africa e domandarle di «guardare un po’ più spesso verso Lione», P. Planque aveva aggiunto: «Io non vivo che per le Missioni» L Più tardi, ad un corrispondente che si informava sulla Congregazione che aveva fondato, il Padre aveva ricordato con parole quasi identiche che «le Missioni erano il suo unico scopo»2. Da sempre, si ricordano queste sue parole, senza pretese, venute, come tutto ciò che scriveva, sotto la sua penna in maniera del tutto naturale. Ma esse esprimevano - ed esprimono ancora - le convinzioni che sostenevano la sua vita ed il senso del suo im pegno. Di lui, si è sempre saputo che la Missione era alla base, nel cuore stesso, della sua vocazione. Ma quale missione? Per il suo sguardo di fede, non ve n’è che una, quella del Cristo, e un modo solo per realizzarla, quello degli Apostoli, invasi dalla forza dello Spirito che non cesserà mai di spingerli a solcare il mondo. Oramai, come dei servi, ardenti ma semplici, essi saranno pronti a rischiare tutto e, se necessario, fino al martirio3. Ecco il modello. E la strada che è stata presa da Augustin e che, sicuramente con percorsi diversi, va nella stessa direzione. A tutti i suoi, amerà spesso ripetere: «Siete stati scelti da Dio per 1 L. PI. a S u o r M arc, 30.9 .1 89 1 .
2 L. PI. a P. Voisin, a Crest (Dròme), 25.10.1898. - Le missioni sono state lo scopo della fondazione delle Suore, ma erano prima di tutto il suo impegno personale. 3 Ci si ricorda che, agli Aspiranti, presentava il martirio come un’eventualità della vita missionaria (cfr. II parte, cap. 15).
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continuare a modo vostro l’opera che Gesù Cristo ha affidato agli Apostoli. Vi è un compito che possa piacergli di p iù ?»4. Nelle sue due Società, essere missionario, significa impegnarsi definitivamente e offrire la propria vita per dare l’Africa a Cristo e Cristo all’Africa. Nello stesso tempo, significa aiutare la Chiesa a radicarsi nelle contrade rimaste troppo a lungo lontano dal Si gnore, perché essa diventi al più presto - e pienamente - indi gena. La visione di Augustin Planque è dunque fin dall’inizio netta mente definita. Ma per tradurla nei fatti, è necessario che il gio vane Superiore possa unire alla conoscenza di Dio - della quale è riempito, per non dire impastato, grazie ad una vecchia abitudine allo studio delle Scritture - una conoscenza dell’Africa altrettanto solida, quella che solo un contatto diretto e quotidiano avrebbe potuto dargli. E sappiamo che tutto il problema sta proprio qui. Vi è stato, è vero, il breve viaggio in Algeria - poco più che un «andata e ritorno» da Marsiglia ad Algeri - al tempo del trasferi mento dei bambini neri dalla Spagna a Bouffarik. O anche le sette brevi spedizioni in Egitto, sufficientemente lunghe tuttavia, per lasciare credere ai Confratelli della Costa che il Superiore aveva una preferenza per quella zona! 5. Ma non ci sarà niente altro. Infatti, egli è stato chiamato a vivere questa situazione quasi inconcepibile, lontano da quello che avrebbe dovuto essere il suo campo d’azione e senza mai conoscere i luoghi per i quali, tuttavia, resterà sulla breccia per più di cinquant’anni. È una delle grandi prove della sua vita, il dilemma in cui si è trovato prigioniero senza potervi sfuggire, indipendentemente da quello che possono avere pensato o scritto alcuni dei suoi detrattori6. Tuttavia, al tempo in cui Brésillac lasciava la Francia, l’accordo era chiaro e prevedeva che anche Planque sarebbe dovuto partire, una volta giunto il suo turno 7. 4 L. PI. a Sr. Jacques, 27.4.1887. 5 Si veda II parte, cap. 7. - Dal 1886 al 1898, P. Planque andò sette volte in Egitto. 6 Nel suo rapporto a Roma, 31.12.1871, Mons. Lavigerie aveva dichiarato: «Bisogna costringere Planque a partire in missione, non ci vuole andare». 7 Cfr. II parte, cap 5, n. 14.
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Allora, agli inizi della Società, se intorno a lui deve parlare delle Missioni, il Padre è sempre modesto e reticente: «Vado occasionalmente nei seminari - dice - ma non sono il missionario che arriva da quei paesi lontani... e non faccio molta impres sione!». «Che cosa vale la mia parola a paragone di quella di un Padre che ha visto i luoghi e che ha partecipato ai fatti che rac conta?» 8. E si capisce che, sentendosi così lontano dall’Africa, abbia manifestato una specie di avidità di ricevere notizie e rac conti. «Tutto mi interessa - ripeteva spesso - e la comunità del seminario, come me, legge con piacere ciò che ci inviate» «Non temete di comunicarmi ogni sorta di informazioni e di det tagli. E un piacere per me riceverli e ne traggo delle conoscenze utili» 9. «Bisogna continuare a scrivermi come ad un uomo che non sa niente dei costumi, degli usi e dei luoghi dove vi tro vate...» 10. Alcuni Padri hanno esaudito pienamente il suo desi derio: «Il Diario di Borghero - diceva - e quello di Courdioux sono le due cose che mi hanno iniziato di più alla vita africana». Così intrattiene regolarmente la corrispondenza tra le missioni e Lione, chiede dei rapporti per Propaganda Fide o per la Santa Infanzia, e si informa su tutto, specialmente sulle possibilità aperte all’evangelizzazione. A forza di seguire da vicino il lavoro dei missionari, giunge alla fine ad identificarsi con loro e, par lando dei loro lavori, impiega con naturalezza il «noi», tanto è diventato parte piena di ciò che essi vivono laggiù. Con tenacia, il Superiore è dunque arrivato con gli anni a soddisfare la sua curiosità e la sua attesa e a farsi dell’Africa un’immagine viva, per quanto possibile autentica e completa. E suo gusto particolare per la geografia l’ha aiutato molto, altri menti come potremmo spiegarci che senza fatica riesca a dise gnare i tracciati delle frontiere, i limiti delle giurisdizioni ecclesia stiche, conoscere le etnie di una regione e le loro risorse? La facilità con cui segue i Padri e le Suore nei loro spostamenti è più che sorprendente. Parla dei paesi come se questi gli fossero 8 L. PI. ai Confratelli, 19.11.1864, 20.10.1864 e 20.3.1866. 9 L. PI. a P. Bouche, 19.8.1867. 10 L. PL. a P. Deniaud, 20.5.1878 —a P. Moreau, 19.1.1880: «L e vostre informa zioni sulla Costa d’Oro sono molto più complete delle mie».
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familiari. E le relazioni che invia a Roma, sono sempre esatte e precise, come se avesse tratto ogni dettaglio dal vivo. Propa ganda Fide può veramente essergli grata delle carte che egli pre senta ogni volta che i Padri arrivano in un nuovo territorio, e delle correzioni o rettifiche che egli suggerisce sui dati che essa stessa gli ha fornito11. In quanto alla Società Geografica di Lione, essa riconosce le sue competenze conferendogli un di ploma di Membro fondatore, apprezzando in questa maniera i servizi resi, tanto più importanti in quanto l’Africa conta ancora alla fine del XIX secolo molte terre poco conosciute o inesplo rate 12. Tutte queste informazioni, che P. Planque ha riunito metodi camente, vuole che siano comunicate a coloro che hanno accet tato di sostenere l’Africa nel suo cammino verso la fede, affinché vivano anch’essi la Missione il più direttamente possibile. «Tante persone leggono con avidità ciò che arriva da voi», scrive ai Con fratelli e alle Suore. Poi aggiunge: «Se non è cosa buona parlare troppo di sé, ricordatevi anche che tacere porta all’oblio» 13. E da infaticabile questuante, spera sempre che questi non tacciano! Le lettere arrivano dunque spesso al momento giusto dalla Costa o dall’Egitto per ravvivare la simpatia e incoraggiare i donatori. Infatti oltre a Propaganda Fide ed alla Santa Infanzia 14, innume revoli sono gli amici che P. Planque si è conquistato nella re gione lionese e anche più lontano. Tra questi spicca il monastero della Grande Chartreuse, che gli dona, con tanta fedeltà, denaro e amicizia. Ad un altro titolo, i ministeri francesi e gli organismi ufficiali fanno parte dei corrispondenti ai quali è sempre fiero di trasmettere quelle informazioni che rappresentano un’aria di no vità 15. 11 P. Planque non si stupisce dell’ignoranza di Roma sui paesi dell’Africa? 12 Questo diploma della Società Geografica di Lione è del 15.12.1882 (Archivi NSA). 13 L. PI. al P. Pagès, 16.10.1878. 14 Propaganda Fide e Santa Infanzia pubblicavano nelle loro riviste i racconti dei missionari. Il Superiore insisteva presso i Padri perché inviassero delle notizie: cfr. Lettere a P. Holley, 21.12.1881 - a P. Dartois, 3.2.1902 —a P. Zappa, stessa data - a P. Joulord, 10.2.1902. 15 L. PI. a P. Courdioux, 19.10.1863: «H o molto gradito il vostro Diario, ne ho parlato al ministero della Marina dove hanno apprezzato questo tipo di informazioni».
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Nulla di sorprendente se, sin dai primi mesi della fondazione, si è messo in testa di aggiungere al seminario un museo africano e se chiede insistentemente «che non si dimentichino di man dargli alla prima occasione una “collezione di oggetti del Dahomey”» 16. « L ’inizio del museo attira già l’attenzione dei visita tori», ma «si potrà sperare ancora di più - scrive - quando avremo ricevuto le aggiunte successive che ci invierete» 11. «Perché, infatti, qualche volta occorre accontentare gli amatori e dimostrare che i missionari non disdegnano affatto di occuparsi delle cose umane». Il Padre non si sbagliava: il museo delle Mis sioni Africane è ora un’istituzione ben avviata... noto a Lione come uno dei migliori della città... Tanti mezzi che possono sem brare senza importanza, ma che gli hanno permesso tuttavia di creare dei legami, di aprire dei circuiti di scambio e di relazioni, e di allargare, intorno alla Società e alla Congregazione, la grande famiglia delle Missioni. Vedendo quanto si è adoperato per conoscere quei paesi e quei popoli lontani, e rispondere così nella maniera più precisa possibile ai loro bisogni, constatiamo quanto egli li ha amati, avendo sempre nel cuore « l’unico desiderio di diffondere il Van gelo in quell’Africa così a lungo abbandonata» 18.
2. Al servizio dei M issionari
Formazione Occorreva ad Augustin Planque una conoscenza molto pro fonda dei territori, sia pure indiretta, per portare a buon fine la sua propria missione, quella che è rimasta l’opera della sua vita: l’avvio dei due Istituti e soprattutto la formazione dei loro membri. Per questo, pur continuando senza stancarsi a fare il massimo possibile, per ben «possedere» l’Africa nella sua testa e nel suo cuore, rimane tuttavia convinto che il servizio più grande 16 L. Pi. a P. Borghero, 20.2.1861. 17 L. PI. ai Confratelli, 18.9.1863. 18 L. PI. al Card. Barnabò, 9.3.1873 - e al Card. Franchi, 7.5.1874.
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che rende alla Chiesa, è quello di «darle dei buoni e fedeli servi tori», rimanendo, lui stesso, in coda alle sue truppe. Vent’anni dopo, egli si prefigge sempre lo stesso obiettivo: «Nulla mi sta più a cuore che di vedere il Regno di Dio diffondersi in quei lontani lidi grazie alle persone che io ho la missione di in viare» 19. E ancora più tardi, già vicino a cedere ad un altro una parte della sua immensa attività, torna sulla stessa idea: «Lavo rando alla formazione dei missionari, si è come alla radice delle Missioni. Senza questa formazione, non potrebbero esistere... Sono quarantasei anni che lavoro e, malgrado il mio desiderio di partire, sono rimasto al posto assegnatomi dal nostro Fondatore. Ma ho fiducia di aver lavorato per le Missioni» 20. Così, giunto al termine, non dà prova di aver trovato veramente il suo posto in questa Chiesa che comincia a costruirsi in Africa? Scopre che nel sacrificio fatto accettando il suo incarico, stava e sta la sua mis sione. E senza rimpianti inutili, riconosce che questa gli ha dato la pace e lo ha appagato.
A ccom pagnam ento Non era certo un compito facile accogliere gli Aspiranti e le future Suore e far loro intravedere, durante il tempo del semi nario o del Noviziato, gli aspetti pratici delle rinunce future. Meno facile ancora, dopo la loro partenza, accompagnarli da lon tano e restare loro vicino, aiutandoli a farsi penetrare dallo spirito della loro vocazione e soprattutto a viverlo affinché, sotto il sole dell’Africa, potessero mantenere tutto l’entusiasmo e l’ar dore, e affrontare la novità del loro apostolato con le migliori possibilità di riuscita. Per questo P. Planque non dimentica mai la parte spirituale. Essa giunge sempre a proposito nelle sue lettere come un ri chiamo discreto alla presenza e al sostegno di Dio. «Eccovi dunque arrivato in Missione al culmine dei vostri desideri. Non crediate che tutto sia finito. Avrete sempre la cura di voi stesso, e 19 L. PI. alle Suore di Lagos, 29.12.1886. 20 L. PI. a Sr. X..., 6.12.1902.
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in piy quella degli altri. Fate in modo di essere sempre affabile, avete tante eccellenti qualità...». D’altronde: «Lo Spirito inte riore e il raccoglimento abituale davanti a Dio ve lo dimostre ranno più di me». «Tra le vostre occupazioni - scrive ad un altro - non dimenticate la cura della vostra anima. Che Dio sia sempre il vostro inseparabile compagno di tutto ciò che fate...»21... «Cercate in tutto il Cristo, il vostro migliore amico e il vostro appoggio» 22. Tuttavia, il peso della giornata non è affatto leggero e «gli inizi della Missione sono spesso duri e deludenti». Lui stesso è passato per questa esperienza e ha seminato nella tristezza. Ma «se i primi tempi sono difficili, non sono però così sterili come si pensa» 23, e invita a fidarsi della parola del salmista che promette la gioia della mietitura: «Pazienza dunque - dice a tutti - non tormentatevi perché non potete fare tutto in una volta. Il nostro Signore non ha fatto tutto e la divina Provvidenza non dispone e non agisce che con il giusto peso e la giusta m isura»24. «Noi saremo forse come le fondamenta di un edificio che si nascon dono sotto terra, ma che tuttavia sostengono la costruzione. E come diceva il nostro venerato Fondatore, noi, i primi arrivati, dovremo soffrire molto, ma dopo di noi, verranno altri che fa ranno crescere l’edificio» 25. «Per quanto sia umile e realista, la nostra Missione porterà ugualmente dei frutti» 26.
Tutti uniti La prospettiva è austera, quella di un avvenire promesso alla lotta... Allora per lottare contro lo scoraggiamento che rischia di sopraggiungere, occorre ricordarsi che nulla di buono potrà es sere fatto senza il sostegno dell’amicizia all’interno di veri gruppi fraterni. Su questo punto, Planque, come Brésillac, si sono già a 21 22 23 24 25 26
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P. Bonnefoux, 18.1.1865. Sr. Marie de l'Assomption, 5.9.1877. Sr. Benoit, 8.12.1886. P. Cloud, 19.5.1870. P. Verdelet, 20.4.1867. P. Galien, 26.6.1879.
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lungo espressi. Che «tutti e tutte accettino di ascoltare la parola dell’altro, di credere alla sua buona fede, di collaborare...». «Camminiamo uniti - ripete - e faremo l’opera di Dio». Si sa quanto egli ci tenga allo spirito: «Ve ne prego - scrive a P. Borghero - in nome degli interessi più cari della Società e della missione, non lasciate nessuno dei nuovi Confratelli sotto l’in flusso della disaffezione verso la Casa-Madre e le regole... adope rate quindi tutti i mezzi per non lasciare compromettere lo spirito che deve regnare nella Società. E l’unica via per fare un’o pera durevole e benedetta da Dio». E importante soprattutto «lottare contro gli atteggiamenti meschini di tutto ciò che è gretto nazionalismo». E ciascuno sa bene che i progetti della Spagna sono falliti a causa dell’incomprensione e dei contrasti tra nazionalità. «Che tutti si ricordino che noi formiamo una grande famiglia, a qualsiasi nazionalità apparteniamo, e abbiamo per ogni membro la stessa considerazione»27. Ma tali gruppi non possono costituirsi nella fiducia e nella lealtà, se i membri non si assumono la loro parte di responsabi lità. E a questo proposito, nelle lunghe ed esigenti istruzioni, P. Planque presenta ai Superiori dei Padri e delle Suore, una sorta di pedagogia della vita comune che traduce bene il suo desiderio di rafforzare i legami e l’unità. Nel Dahomey, per esempio, agli inizi, il meccanismo cigola un po’. «Che i responsabili imparino ad avere a che fare con le mancanze insite all’uomo, perché nes suno è senza difetto, ma neanche vi è una persona che sia com pletamente inadatta» 28. «Quando Dio ci dona così facilmente la Sua misericordia, come non fare altrettanto per i Padri e le Suore della casa?»29 - «L ’arte di governare, è anche l’arte di sopportare più degli altri»... e di offrire a ciascuno l’occasione di mettere a profitto i propri doni e le proprie possibilità, di «sen tirsi ascoltato e stimolato...»30. 27 L. PI. a P. L'Anthoèn, 25.7.1896 - cfr. a P. Borghero, 1863. 28 L. PI. a P. Courdioux, 20.4.1870 - a P. Cloud, 18.4.1870: «...Se esigete una tale garanzia di perseveranza nella perfezione... bisognerebbe chiudere ogni seminario! Ho sempre creduto necessario tenere conto dei difetti umani... e trarre il meglio da ciò che, nelle persone, non è direttamente inadatto allo scopo prefissato». 29 L. PI. a P. Courdioux, 19.8.1865. 30 L. PI. a P. Courdioux, 20.4.1870.
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Di qui, la pressante richiesta del Padre perché si costitui scano, in ogni residenza, dei consigli di comunità dove tutti siano chiamati a prendere parte alle responsabilità e alle iniziative nella gestione della casa, per evitare che «i membri si disinteressino di tutto senza prepararsi a niente... Ma, se possono esprimere il loro parere e concorrere a ciò che si fa, allora acquisteranno esperienza ed equilibrio, si sentiranno qualcuno, e a poco a poco mostreranno di che cosa sono capaci. I legami di fraternità si rinsaldano intorno ad un’azione definita di comune accordo. Lungi dal perderci, i Superiori guadagneranno tutta la forza data da una volontà di agire insiem e»31. E le comunità non porte ranno così una migliore testimonianza dell’amore di Dio? Per questo fa tutto il possibile per avvicinarli gli uni agli altri, ricor dando a coloro che li governavano che «la dolcezza non è debo lezza» e che «meno rimproveri e un po’ di bontà sistemerebbero bene le cose». Allo stesso tempo consiglia ai Padri ed alle Suore, di agire con i Superiori «in tutta semplicità e fiducia» e di chia rirsi con loro per ristabilire la pace 32.
3. I grandi orientamenti
Con un punto di ancoraggio così solidamente fissato in Dio e sull’amicizia fraterna, tutti prenderanno la loro strada con più sicurezza. Inoltre bisogna che possano orientarsi per meglio defi nire il loro cammino. Proprio in questo, la perspicacia del Supe riore e il suo acutissimo senso dell’umano, illuminato dalla luce della fede, hanno contribuito ad aprire lo sguardo di coloro che egli inviava a grandi prospettive d’azione. E, unendo la sua pro fonda intuizione apostolica alla loro giovane esperienza, ha cer cato di adattare al bisogno delle popolazioni delle vedute che si potrebbero chiamare «profetiche», poiché, un secolo e mezzo più tardi, sono ancora di attualità. Una delle prime direttive di P. Planque punta alla necessità di impiantarsi nel cuore stesso dei luoghi in cui vive la gente. 31 L. PI. a P. Courdioux, 20.5.1872. ■32 L. PI. a Sr. Benoit, 5.9.1889 - a P. Mercier, 9.7.1878.
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Infatti, il suo interesse va prima di tutto agli Africani e agli Orientali nei paesi dove lavorano i suoi missionari. Egli consiglia di evitare gesti o comportamenti che costituirebbero degli scogli per l’apostolato come, ad esempio, restare troppo vicino agli Eu ropei. Ora, quasi inevitabilmente, è proprio quello che è acca duto con i primi arrivi. L ’urgenza di trovare alloggio e interlocu tori capaci, ha spinto i Padri ad installarsi nei quartieri dei «Bianchi». Il Superiore si rende conto a poco a poco del pericolo di questa scelta: «Ultimamente mi è venuta un’idea - scrive che rimpiango di non avere avuto prima, ossia che noi siamo troppo lontani dai centri delle popolazioni. Ne ho parlato a P. Bouche, che sembra avermi capito, e così anche P. Courdioux. Temo che questa lontananza sia causa di minori risultati nel vo stro ministero, e che, sempre a questo proposito, sin dall’inizio siano stati accettati un po’ troppo i princìpi dei commercianti. Più vicino ai centri dei Neri, non saremmo meglio al nostro posto? Non è per loro che andiamo là? Che si evitino i punti insalubri, bene, ma che non si fugga lontano da loro... perché allontanandoci da loro, non li allontaniamo anche da n o i?»33. Ecco quindi l’idea fondamentale: se la Missione è per tutti, essa è prima di tutto per i Neri... E si comprende nei primi anni la sua insistenza perché si crei un contatto con loro. «Forse le cose andrebbero meglio, se la vostra scuola e la vostra chiesa fossero più alla portata degli indigeni» 34 o ancora: «Bisogna che io vi dica una buona volta il mio pensiero riguardo ai Neri. Credo che non ci siamo mai sufficientemente occupati di loro... ma quasi esclusivamente di quelli che si chiamano “i Bianchi” 35. Per questo si forma nei Neri l’opinione che noi siamo venuti per i Bianchi e non per loro. La stessa posizione in cui abbiamo stabilito l’abitazione rafforza quest’idea. Tutto questo mi sembra dannoso dal punto di vista del progresso della nostra missione. Più vi occuperete dei veri Neri, per far scomparire quest’opi nione, più preparerete il vero successo della missione. Indirizzate 33 L. PI. a P. Cloud, 19.2.1870. 34 L. PI. a numerosi Confratelli, 19.2.1870. 35 I “Bianchi” potevano designare gli Europei, ma anche i Creoli brasiliani.
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quindi i vostri sforzi verso di lo ro ...»36. La stessa osservazione per Porto-Novo, dove «egli ritiene che la casa dei Padri sia in una posizione molto svantaggiosa come casa di missionari de stinati a lavorare per l’evangelizzazione degli indigeni. Bisogna scegliere una posizione buona e salubre, d’accordo», ripete. Ma occorre anche essere vicini alla popolazione, «andare verso i Neri e non accontentarsi di aspettarli» 37. La raccomandazione vale anche per le Suore. Sono state spaventate dalla novità dei luoghi e dei costumi? Egli ricorda loro che non c’è «bisogno di religiose unicamente per abitare il paese» e che non devono temere di stabilirsi nei quartieri afri cani. «Non siete di clausura, rispettando le regole della pru denza, datevi alle opere esterne. É proprio per queste che voi siete in missione»38. E se in Egitto le acque del Nilo sono spesso alte, la traversata non è talmente pericolosa da non po tersi avventurare nelle «famose passeggiate» o «escursioni» che permettono di raggiungere, nei villaggi più remoti, tanti bambini moribondi. Le uscite e i giri nelle capanne, ecco uno dei mezzi migliori per «risvegliare i cristiani in casa loro e dare poco a poco ai pagani l’occasione di conoscere i missionari». Ma questo non si gnifica dimenticare le città: «Andate dunque un po’ più spesso a visitare Agoué, Popo... - scrive il Padre - vi sono laggiù dei battesimi da preparare, delle relazioni da intrattenere con i vostri ex allievi...39». Nello stesso tempo, bisognerebbe pensare ad avanzare un po’ di più, lasciare la costa per penetrare poco a poco all’interno del paese ed estendersi verso il Nord. È anche il desiderio di Propaganda Fide «che ci si muova per uscire dalle coste». Infatti, l’avvenire della missione è sicuramente in questa direzione... P. Borghero l’aveva presentito nei primi mesi del suo soggiorno. C’è voluto molto tempo, prima di avviare la Missione verso 36 37 38 39
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P. Thillier, 19.5.1870 - Cfr. la lettera in n. 34. P. Deniaud, 20.5.1872. Sr. Émile, 19.10.1887. P. Courdioux, 19.8.1868.
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l’interno delle terre, lo si è visto nel Bénin40. E questo movi mento non diventerà veramente effettivo che dopo la guerra ’14/’18, dato che le comunicazioni hanno sempre costituito un grosso ostacolo all’avanzata. Come penetrare, senza sentieri e piste, in quelle giungle o anche nella savana erbosa? Vi si aggiun gevano poi, le numerose peripezie politiche e coloniali, il clima, la mancanza di mezzi adatti ad un approccio efficace con la gente. La risalita verso il Nord è stata dunque attuata lenta mente. I missionari vi si sono logorati, a volte anche in un’appa renza di inazione che nascondeva in profondità un lavoro vero. Ma nell’attesa di nuove aperture, hanno sempre mantenuto il desiderio di andare più lontano. Sicuramente c’è una parola che non si trova nel vocabolario abituale del tempo, e ancora meno è conosciuta o utilizzata da P. Planque. Si tratta del termine inculturazione. Ma il suo signifi cato, come il realismo degli atteggiamenti che esso riveste - e che la Missione attuale prende sempre più come propria legge sono già presenti nei suoi progetti più cari, come pure nella con dotta che vuole far assumere ai suoi. Con lui, spinti dal suo dina mismo, tutti i suoi missionari compiranno un grande sforzo in questo senso e apriranno delle vie... le stesse, che ancora oggi sono raccomandate. Gli sembra immediatamente essenziale manifestare un po’ più agli Africani la cordialità e la benevolenza che si prova per loro. Se si cerca di incontrarli, è prima di tutto perché li si stima e li si ama. Padri e Suore farebbero fatica ad adattarsi? Probabil mente dimenticano che «bisogna prendere la gente così com’è e non secondo i nostri desideri di Europei». «I Neri non vi sem brano abbastanza attraenti? Ma io so per esperienza che i Bianchi non lo sono di più! E Dio non desidera forse essere maggiormente presente in seno a queste popolazioni?»41. Sempre preoccupato di fare giustizia nella verità, il Superiore de plora che a volte si siano giudicati male o addirittura calunniati 40 Dopo i primi viaggi di P. Borghero, bisognò aspettare tra gli anni 1882 e 1885, perché la missione si estendesse veramente verso il Nord con le spedizioni dei PP. Chausse, Holley, Ménager, Zappa... e altri (cfr. IV parte, cap. 13). 41 L. PI. a P. Louapre, 18.10.1875.
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gli Africani. «Troppo a lungo - scrive - si è avuta una cattiva opinione della Costa che noi stiamo evangelizzando. Ci sono state sin dall’inizio della missione delle opinioni a proposito dei Neri, poco conformi, secondo me, allo scopo che dobbiamo pro porci. Si sono accettate troppo alcune idee - quelle dei mercanti - riguardo alla loro incapacità. Bisogna che la verità venga alla luce. Ma già si comincia a parlare meglio della loro intelligenza e del loro carattere». «Per quel che mi riguarda, ci tengo molto a riabilitarli - scrive - sono delle popolazioni dolci e accoglienti, esse ricevono il Bianco con sim patia!...»42. Se si pensa ai tempi e ai luoghi dei primi insediamenti, ci si stupirà meno che abbiano potuto formarsi e persino diffondersi dei giudizi negativi a proposito degli Africani. I missionari, mal preparati ad entrare in relazione con un mondo che era loro estraneo, non potevano evitare, nei primi tempi, la difficoltà dei contatti ed ogni sorta di malintesi. Ma molto presto - da Borghero a Pellet, da Sr. Colette a Thais o Basile - diventeranno tutti degli appassionati dell’Africa, conquistati dalla «dolcezza e dall’accoglienza» - secondo le parole stesse di P. Planque - delle popolazioni. Tuttavia, egli ha percepito subito l’urgenza del problema. Lungi dal «prendere di petto gli usi e i costumi antichi dei paesi» 43, ci si impegni, invece, a comprenderne il senso e le ra gioni. Altrimenti sarebbe mancare di rispetto e di equità verso quella gente. «Occorre quel grande ausiliario che è il tempo perché una popolazione cambi i suoi costumi e la sua lingua; non si può far questo in un sol colp o!»44. Ma all’inizio, che cosa si dovrebbe cambiare? Per saperlo, sarà necessario superare la semplice benevolenza e la simpatia per sforzarsi di conoscere i popoli «daU’interno», farsi sempre più loro prossim o - nel senso vero della parola45 per penetrare a poco a poco nella loro vita, apprezzare i loro 22 L. PI. a P. V erm orel, 20.8 .1 86 8 . 43 Fu P. Vallon (cfr. II parte, cap. 4) a dare questo consiglio a P. Planque, questi lo trasmise a Propaganda Fide a Lione, 6.9.1860. 44 L. PI. al Ministro della Marina, 7.6.1864 - cfr. II parte, cap. 5. 45 II «prossimo» nel senso di parenti, amici, affini (i «proximi» in latino).
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valori e in breve, diventare, per quanto possibile, uno di loro. Con saggezza e perspicacia, P. Planque intravede che soltanto un atteggiamento di incontro può condurre a scoprire e a sfruttare con loro la fortuna che hanno di raccogliere - a modo loro, se condo il loro essere africani e soprattutto nella loro lingua - l’e redità del Signore Gesù e diventare, a loro volta, autenticamente cristiani. Su questo punto, come in molti altri campi, Augustin Planque non si scosta dal suo predecessore, Brésillac, che aveva tanto cercato, quando era nelle Indie, i metodi apostolici adatti a quel mosaico di popoli che incontrava. Infatti entrambi, e gli altri Grandi della Missione del secolo scorso, avevano già compreso che il messaggio cristiano, per essere trasmesso in modo solido e durevole, deve poter «incarnarsi»46 in «un’area culturale con creta ed esprimersi con elementi propri alla cultura in questione per riuscire a trasformarla e a farne una nuova creazione»47. Dunque P. Planque orienta i suoi missionari verso una condi visione di vita con tutti - verso la loro «acculturazione di stra nieri» ai costumi africani48. Essi devono interrogarsi sui mezzi da adottare ed affrettarsi a recuperare il ritardo: «Studiate le ragioni per cui i puri Neri si tengono a distanza e cercate di fare scom parire ciò che li disturba senza compromettere, tuttavia, i prin cìpi. Non ci saranno per caso nelle nostre usanze delle cose che costituiscono degli ostacoli tra noi e loro?». «E tra questi ostacoli - aggiunge il Padre - mi hanno parlato spesso del vestito che cambia il Nero in “Bianco”... Non sarebbe questo un motivo per allontanarsi? Il Nero, diventato “Bianco” mettendo i pantaloni, non cessa per così dire, di essere della sua famiglia e del suo paese?»49 Nella corrispondenza si trovano, alla stessa epoca, delle raccomandazioni simili: «Se avete dei bambini di puri Neri, continuate a far indossare il costume della loro famiglia, perché vestendoli come i Bianchi, li declassate, rendendoli in futuro 46 «L ’inculturazione» è un’esigenza diretta dell’ «incarnazione». 47 Questo è a grandi linee il pensiero di P. Arrupe, ex Superiore generale dei Ge suiti, sull’inculturazione (1978). Cfr. La v o ie ignatienne, di P. Simon Decloux sj, DDB, 1983, p. 73. 48 E meglio distinguere i due termini: l’acculturazione concerne le persone, Finculturazione concerne il Messaggio di Cristo. 49 L. PI. ai PP. Thillier, Thollon e Confratelli, citata in n. 34.
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degli esclusi dalle loro famiglie» 50. Bisognerebbe, dunque, stabi lire una relazione tra i costumi all’europea e l’insegnamento della fede? Non sarà meglio «lasciarli nelle loro abitudini ancestrali con cui sono felici ed a proprio agio», pur aiutandoli a migliorare il loro livello di vita...? La stessa cosa vale per le ragazze: «Ho spesso sentito dire che nel Dahomey, le Suore si preoccupano di essere alla moda (sic...). Mi sembra che ci vorrebbe molta moderazione. Sarebbe meglio inculcare alle vostre ragazze di rimanere nei costumi del loro paese, purché la modestia sia sufficientemente salvaguar data» 51. Egli spinge questa riflessione ancora più in là quando si tratta di aprire un Noviziato di Fratelli e, senza ambiguità, esprime la sua preferenza e la sua scelta: «Bisogna dunque identificare i Fratelli neri con quelli Europei, abituarli ad una vita all’europea e con questo creare loro delle inutili e costose necessità?». Oltre al pericolo di «esporli al peccato di orgoglio», si corre anche quello di «togliere loro una parte dell’influenza che possono esercitare sugli altri Neri. Costoro non avranno così meno fiducia verso un Nero divenuto completamente “Bianco”?» 52. Un altro errore è quello di trapiantare gli Africani in Europa per assicurare la loro formazione, e si sa che P. Planque non aveva tardato a risolvere il problema dei bambini neri dopo Bouffarik 53. E perché i missionari che rientrano in Francia per il loro periodo di riposo portano con sé alcuni dei loro allievi per presentarli ai benefattori e alle famiglie? Questo modo di agire gli sembra sconcertante, come una mancanza di rispetto per il giovane Africano. In seguito, il Padre farà riferimento allo stesso principio per prevedere la formazione dei preti indigeni, desiderando che si 50 L. PI. a P. Thillier, citata in n. 36. 51 L. PI. alle Suore del Dahomey, 22.1.1900. - Sui richiami del Padre contro le «necessità fittizie», cfr. L. PI. a P. Courdioux, 20.4.1869 e ai Confratelli, 19.10.1872. 52 L. PI. a Mons. Kobès, 25.12.1869 e a P. Courdioux, 30.1.1870. 53 La stessa idea si trova in L. PI. a P. Courdioux, 6.9.1868: «Preferirei che questi bambini siano completamente educati nei loro paesi e conservino la loro originaria sem plicità».
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lascino studiare in Africa, piuttosto che in Francia o anche a Roma, perché teme che gli Aspiranti al sacerdozio «siano esposti, fuori dal loro paese, a sentire molte cose» e ad adottare uno stile che rischia di far perdere le qualità della loro razza. Ed anche se riconosce che «Mons. Brésillac aveva a questo proposito un’opi nione differente, poiché egli desiderava mandare qualche Afri cano a studiare presso Propaganda Fide», P. Planque ha in sé troppa rettitudine e senso di responsabilità per non dire ciò che lui stesso ha vissuto e sentito, poiché l’essenziale ai suoi occhi è di avere dei preti ben preparati, ma nello stesso tempo perfetta mente integrati nel loro paese 54. A più di centovent’anni di di stanza, il coraggio di P. Planque nell’esprimere francamente il suo pensiero può aiutarci a riflettere. Tra i costumi che attirano l’attenzione del Superiore, ve n’è uno che regola le relazioni tra uomo e donna presso gli abitanti del Dahomey. I missionari devono essere molto attenti a rispet tarlo, e lo segnala anche a Propaganda Fide: «Non è possibile portare le donne nell’ospedale dei Padri e ancor meno gli uomini nell’ospedale delle Suore». Il buon senso e la saggezza gli fanno aggiungere: «E una necessità che sparirà più tardi quando le idee del paese saranno modificate e si comincerà a comprendere che la carità cristiana ha pensieri ben diversi dai pensieri della carne». Ma per il momento la prudenza invita a rispettare questa separa zione 55. Una prudenza, che egli consiglia «ai Confratelli arrivati da poco in missione, qualunque sia il loro compito». Essi devono prendere in considerazione molto seriamente i luoghi, le persone e i costumi prima di «pensare di modificare qualcosa». «Quando si arriva con le idee europee - dice - si trova che tutto è da rifare su un altro piano, con un altro ritmo. Il tempo e l’e sperienza cambiano presto la prima impressione, ci si allinea quasi sempre al parere dei Confratelli più anziani e si comprende che essi hanno stabilito esattamente il cammino che bisogna se guire...» 56. 54 L. PI. a P. Courdioux, 17.11.1867. 55 Rapporto di P. PI. ai Consigli centrali di Propaganda Fide, 11.4.1868. 56 L. Pi. a P. Vermorel, 16.5.1865.
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E certamente il Padre è lungi dall’essere opposto ai progressi o alle evoluzioni. Chiede soltanto che ci si applichi a studiare l’ambiente invece di «guastare le cose cercando di trasformare tutto subito». Quale migliore porta per trovare un accesso all’incontro e ancora più importante - alla trasmissione del Vangelo se non quella della lin gu ai Nell’inculturazione, le lingue costituiscono un elemento fondamentale, quello che dà vita a tutti gli altri. Lui, che aveva talmente meditato nella sua preghiera l’avvenimento della Pentecoste e ammirato il dinamismo apostolico dei Dodici - serviti da quel dono meraviglioso delle lingue che li apriva alla comunicazione con tutti, sia stranieri che Giudei - aveva perce pito prestissimo l’handicap causato dall’ignoranza delle lingue parlate nei diversi paesi. Su questo punto, non si stancherà mai, sia nelle pressanti raccomandazioni che rivolge ai missionari, sia nella ricerca di tutti i mezzi, di tutte le trafile atte a facilitare loro l’apprendimento delle lingue locali. Infatti «solo la lingua indi gena farà dei cristiani indigeni —diceva - altrimenti sarebbe la sconfitta di tutta la Missione» 57. E, un po’ divertito, e un po’ serio, scrive così ad un Padre che sembra avere qualche pro blema con i nuovi dialetti: «Prego lo Spirito dalle lingue di fuoco del Cenacolo di farne discendere una sulla vostra testa... perché possiate annunciare “variis linguis magnalia Dei!”» 58. Ma prima di vincere l’ostacolo - e non era piccolo... - ci volle per tutti perseveranza, coraggio e adattamento. Niente era sem plice, perché i primi arrivati nel Dahomey non potevano pensare di aprire una scuola prima di sapere, non il nago, ma il porto ghese, la lingua più usata su questa parte della costa59. In un secondo tempo, con l’installazione a Lagos, poi ad Abéokuta e infine sulla Costa d’Oro, i missionari, essendo chiamati a vivere sotto il protettorato britannico, dovranno studiare l’inglese. Da questo punto di vista, fortunatamente, P. Planque non avrà 57 L. PI. a P. Courdioux, 19.12.1872. 58 L. PI. a P. Michon, 3.8.1881 e 17.12.1882. 59 Al seminario di Lione, si cominciò già a studiare il portoghese e le Suore di Couzon fecero altrettanto; studiavano persino sul battello che le portava a Porto-Novo.
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troppi problemi. Essendo eccellenti le sue relazioni con Vaugham e Mill Hill, può contare sul loro appoggio 60. E presto la Scuola apostolica di Cork potrà offrire ogni anno ai Seminaristi e alle Suore di Lione dei periodi di apprendimento pratico della lingua 61. Tuttavia, senza trascurare il portoghese e l’inglese, sempre indispensabili nel paese, P. Planque ritorna subito al suo pen siero iniziale. Infatti, le prime raccomandazioni sull’adattamento al modo di parlare nel Dahomey risalgono alla partenza di Borghero 62. E non ci si stupisce quindi di trovare questa riflessione qualche anno dopo: «Una scuola in inglese, va bene, una scuola in portoghese, va bene, ma ci vuole anche, e soprattutto, una scuola in lingua indigena». «Come corollario della scuola, ci de vono essere dei catechismi e delle istruzioni nella lingua perché possano più facilmente venire ad ascoltare. E la missione si farà per Indigeni: è questo il nostro unico scopo. La conseguenza necessaria, è che tutti i missionari dovranno imparare le lingue indigene» 63. E senza dubbio «P. Courdioux non è completamente di questo parere, ma gli altri Padri hanno testimoniato assenso e soddisfazione e la misura è per il bene di tutta l’Opera» 64. Con quest’eterno contestatore qual è il Superiore del Dahomey, P. Planque torna ancora alla carica: «Più penso allo studio delle lingue, più lo credo necessario per realizzare la missione nella sua realtà. Mi sarà molto gradito sentirvi ancora su questo argo mento. So già che cosa pensano quasi tutti i Confratelli e volen tieri completerei le mie informazioni. Mi rincresce di non aver studiato prima la questione, perché è probabile che non avrei
60 L. PI. al Card. Barnabò, 19.3.1869: «Due o tre Seminaristi andranno a Mill Hill, impareranno l’inglese studiando la teologia» —Cfr. anche L. a P. Moreau, 22.2.1880. 61 Sulla scuola apostolica di Cork, si veda IV parte, cap. 14 - L. Pi. a P. Boutry, 20.5.1881. 62 L. PI. a P. Borghero, 12.1.1862: «Vi ricordo le raccomandazioni fatte a proposito della lingua nel Dahomey. Quando sarete abbastanza avanti nel vostro lavoro, vi incari cherei di procurarvi una piccola tipografia». 63 L. PI. ai Confratelli, 13.9.1872. 64 L. PI. a P. Courdioux, 19.12.1872.
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tardato a reagire contro le prime idee che mi erano state date e che sconsigliavano di imparare le lingue del paese» 65. Sappiamo a qual punto sarà compreso e seguito nei sui sforzi dalla maggioranza dei suoi. Ben presto si avvia il processo per uno studio metodico del Nago. Verdelet prepara un dizionario e una grammatica. «Le vostre opere segneranno un passo impor tante nella via dell’evangelizzazione», gli scrive il Superiore. E gli promette di «farle stampare non appena saranno rifinite» 66. «Il vostro lavoro sarà la pietra fondamentale su cui poggerà l’edificio della lingua Nago» 67, scrive in un’altra circostanza, mentre inco raggia Bouche a superare le difficoltà dello studio: «Vi riuscirete a poco a poco e possederete uno degli elementi principali nella riuscita della Missione» 68. Quanto a Baudin, che ha quasi terminato la traduzione del catechismo, non deve fermarsi dopo tanto cammino: «Voi avete in mano la lampada Nago, non la lasciate sotto il moggio. All’o pera, dunque, per terminare il vostro lavoro, con tutto il vostro zelo e per la loro salvezza» 69. Quanto a Moreau, nella Costa d’Oro, andrà lontano con le traduzioni in lingua fanti70. La stessa regola concerne coloro che si accingono a partire per l’Egitto: che si affrettino ad imparare l’arabo! Questo obiet tivo era stato già fissato dai tempi di Orano in cui, al contatto con gli Algerini, Duret e i suoi compagni avevano avuto un buon avvio. Da quando è a Zagazig, il nuovo responsabile cerca dei professori sia per i missionari che per gli allievi e si propone anche di inviare qualche Padre a studiare in Libano 71. Infatti qui «avranno bisogno di parlare arabo, soprattutto con i fellah, se vorranno veramente fare del bene» 72. «Non smettete di impa 65 Stessa lettera. 66 L. PI. a P. Verdelet, 19.11.1864. 67 L. Pi. a P. Verdelet, 19.11.1867. 68 L. PI. a P. Bouche, 19.8.1868. 69 L. PI. a P. Baudin, 14.6.1882. 70 Su P. Moreau e sul suo studio della lingua Fanti, cfr. IV parte, cap. 13. 71 L. Pi. a P. Duret, 3.7.1878: «Spero di trovare dei maestri maroniti che ci aiu tino». - Allo stesso, 30.11.1878: «Il P. Provinciale dei Gesuiti si propone di trovare degli ex allievi come professori». - Cfr. a P. X..., 25.4.1888. 72 L. PI. a P. Wellinger, 27.10.1883.
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rare le lingue - ricorda ugualmente a Sr. Alexandre - e approfit tate per questo di tutti i vostri momenti liberi» 73. «Quanto a Sr. Eusèbe, deve mettersi subito a studiare la lingua Mina e Sr. Maria d’Egitto la lingua N ago »74. Fin dove arrivano le esigenze riguardo a questo problema? Una nota del Superiore lo rivela chiaramente: «Se succede che degli Indigeni parlino una lingua europea, questo non esime il missionario dalla necessità di imparare la lingua del paese. Non tocca agli Indigeni imparare la nostra lingua, tocca a noi usare il mezzo più adatto per compiere il nostro ministero. Ora, un mis sionario non può svolgere il suo ministero di evangelizzazione senza parlare la lingua dei suoi popoli, almeno nei limiti del pos sibile» 75. Tuttavia, il Superiore non nasconde che «lo studio delle lingue non scritte in paesi africani non potrà essere subito così completo e, malgrado i lavori che lo fanno avanzare, bisognerà aspettare la soluzione delle difficoltà»76. Continua, comunque, a ripetere a tutti che «le istruzioni di Propaganda Fide impongono come regola questo sforzo di conoscenza» 77. Che cosa avrebbe potuto fare di più per incoraggiarli e convincerli? In tutta verità potrà affermare al Cardinale Barnabò: «Ho fissato il principio che tutti i missionari devono studiare la lingua locale» 78. Questo lavoro intenso di penetrazione attraverso le lingue lo cali non è stato sostenuto con la stessa convinzione e la stessa perseveranza dopo la scomparsa di P. Planque... lo annotiamo con rincrescimento. Infatti, le successive generazioni di missio nari non hanno evitato lo scoglio che egli segnalava, comunque, in maniera chiara. Esse, infatti, hanno rallentato il loro sforzo a mano a mano che le lingue europee - in particolare francese e inglese - erano sempre più parlate nell’Africa occidentale e in Medio Oriente, grazie agli scambi tra i paesi, sviluppati per ef 73 L. PI. a Sr. Alexandre, 1.7. 1882.
74 L. PI. a Sr. Eusèbe, 23.5.1888 e a Sr. Maria d’Egitto, 13.1.1886. 75 L. Pi. ai Confratelli, 24.5.1882.
76 L. PI. a P. Bouche, 19.7.1868. 77 L. PI. ai Confratelli, 13.9.1872. 78 L. PI. al Card. Barnabò, 14.10.1872.
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fetto della colonizzazione. Nello stesso senso agiva la predomi nanza della liturgia romana. Ma negli ultimi decenni, si è ripreso coscienza che le lingue locali sono veramente il veicolo della cul tura profonda dei popoli, e il loro studio è stato rimesso in onore negli ambienti missionari. Ciò vale anche per l’arabo e per le lingue non scritte, come nel Ciad ad esempio, dove ci si è sfor zati di redigere libri e vocabolari. Dopo Concilio Vaticano II, si assiste ugualmente ad uno sforzo di inculturazione della liturgia, che prende in considera zione le lingue indigene per le letture, le preghiere, fino al ritmo delle danze e dei canti nelle celebrazioni sacramentali. Un pro gresso ancora modesto, che ha bisogno di essere fortemente so stenuto e incoraggiato. Forse per convincersene, basta tornare semplicemente a questa originaria intuizione di Augustin Planque e di tanti altri Fondatori.
4. Verso una cristianità africana
«Il nostro unico desiderio è quello di diffondere il Vangelo in questa Africa così abbandonata. A questa terra sfortunata chie diamo soltanto di lasciare vivere coloro che le portano la Buona Novella» 79. Ma pur lamentando ancora una volta la perdita dei suoi missionari, P. Planque non perde di vista che, nel futuro, e anche in migliori condizioni di vita, il personale europeo non ba sterà più all’evangelizzazione dell’Africa. Non sarà soltanto una questione di numero, ma anche una questione di prossimità. Per impiantare in maniera durevole la fede in questo paese, sarà necessario che sorgano dei laici istruiti e preparati, dei preti e delle religiose. L’Africa non si aprirà veramente a Cristo, se non attraverso i suoi. Quest’idea di una Chiesa indigena non ab bandona mai il Superiore e, come non ha mai smesso di osses sionare Brésillac, orienta le sue decisioni, spingendolo a cercare e inventare i mezzi per realizzarla. 79 L. PI. al Card. Franchi, 7.5.1874.
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Ora, certe iniziative hanno dimostrato ben presto la loro ef ficacia. Non si può dimenticare che coloro che hanno ricevuto i primi rudimenti della fede - all’apertura della missione di Whydah - erano dei bambini e dei giovani strappati alla tirannide sanguinosa dei capi e riscattati grazie a qualche dono, ma soprat tutto grazie alla fiducia e alla simpatia che i missionari si sforza vano di ispirare attorno a loro. Ed è vero che, laddove comin ciano a nascere la libertà e l’amore, là può entrare anche la Pa rola di Dio. Una buona strada era dunque tracciata. E passando attraverso visite, incontri, scambi, tante piccole tappe verso un’inculturazione più riflettuta ed organizzata, si aiutavano questi popoli dell’Africa nobili e fieri, ma paralizzati ancora da tante ingiustizie e dominazioni, a liberarsi da ogni specie di schiavitù. Allora, a poco a poco, istruiti, evangelizzati, aperti alla speranza in un Dio che vuole dei figli e non degli schiavi, sarebbero diven tati a loro volta degli evangelizzatori. Bisognava però cominciare dalla base, raggiungendo la mag gior parte dei bambini, dei giovani e già, attraverso loro, qualche adulto. Ma per fare ciò occorreva aprire delle scuole. L’ex mae stro e professore di Marcq, di Bergues e di Arras, quale era stato Augustin Planque, era certo il primo a sostenerne fortemente la creazione. «Per fare del bene», per lanciare la Missione, la scuola era «a tutti i livelli, il primo, il più pratico, il più necessario, il più facile di tutti i mezzi» 80 e per tanto tempo «la vera speranza» 81. Alcuni missionari ne sono tuttavia un po’ meno convinti. Ma il Superiore li rassicurava: «Svolgendo il loro ruolo di professori, rimangono pienamente nello spirito apostolico» 82. «La scuola, in certi paesi, è addirittura l’unico e vero modo di fare Mis sione»83. E se le due Società non sono, «nel senso proprio del termine, delle congregazioni di insegnanti, sono almeno delle congregazioni adatte ad ogni tipo di necessità» 84. A questi nuovi 80 L. PI. a Propaganda Fide, 2.6.1886. - Cfr. il rapporto 4.9.1882: «Cominciata nel 1861 la Missione si era sviluppata soprattutto con le scuole». 81 L. PI. a P. Carré, Marsiglia, 28.12.1862. 82 L. PI. a P. Wellinger, 28.9.1898. 83 L. PI. a P. Desribes, 1.7.1885. 84 L. PI. a P. Laroche, 28.9.1898.
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maestri e maestre, il Padre che conosce bene il mestiere, non perde l’occasione di offrire qualche consiglio pratico: «Non la sciate mai i bambini soli e senza sorveglianza - dice - e se neces sario, regolate di conseguenza i vostri esercizi spirituali» 85 - O ancora: «Bisogna istruirli secondo l’età e le loro capacità, senza sovraccaricarli». «Correggere, è insegnare ad un bambino la ma niera di rettificare, di riparare, di migliorare ciò che ha fatto» 86... Pur riconoscendo di essere sempre alla ricerca dell’insegna mento più conveniente per l’Africa, nel suo pensiero si sta defi nendo una linea di condotta che non abbandonerà più. «Non ci si può limitare ad insegnare la lettura, la scrittura e il calcolo». Tutto ciò è molto positivo ma «noi falliremmo il nostro scopo se non insegnassimo nello stesso tempo agli allievi della Missione a lavorare per guadagnarsi da vivere» 87. Si correrebbe il rischio di fare di tutti questi giovani «dei mezzi-istruiti che in seguito cer cherebbero a Lagos e in altri luoghi di commercio, un posto di commesso presso le agenzie commerciali» 8S. La cosa migliore, è quella di infondere in loro il gusto del lavoro, ma soprattutto - e qui ritroviamo l’adolescente di Chemy che si ricorda della fat toria paterna - è quella di «attaccarli alla loro terra». «Essi de vono chiedere alla terra i loro mezzi di sostentamento» 89. Con questo scopo, Augustin Planque ha sempre incoraggiato la creazione di centri agricoli, di fattorie, come quella di Tokpo che ha tanto desiderato: «H o lottato per farla aprire perché sono convinto che degli stabilimenti di questo tipo sarebbero un so stegno per la missione» 90. «E vorrei vedere tutte le missioni in dirizzarsi verso questi tipi di fondazioni»91. «Queste permette rebbero di creare alcune risorse locali. Non si è fuori dal Vangelo nel chiedere il proprio sostentamento agli ambienti in cui si la vora. Non è necessario che i missionari passino per gente ricca, 85 86 87 88 89 90 91
L. PI. a P. Louapre, 5.11.1872 - a Sr. Thais, 5.11.1872. Diversi estratti di conferenze... L. PI. a P. Vermorel, 19.10. 1864. L. PI. a P. Bel, 13.6 e 8.8.1888. L. PI. a P . Bel, 8.8.1888. L. PI. a P . Pied, 3.4.1895. L. PI. a P. Dorgère, 2.4.1885.
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mentre una reputazione di povertà può essere utile al loro mini stero» 92. Riguardo alle ragazze: «Una cosa mi fa piacere: il fatto che le Suore insegnino loro a mettersi al lavoro» 93 perché, dice, «si preferiranno sempre delle ragazze lavoratrici a delle ragazze dotte» 94. « L ’amore e l’abitudine al lavoro sono mille volte prefe ribili alla sola istruzione umana» 95. Infatti, l’istruzione non servi rebbe a niente per quei bambini o adolescenti se si bruciassero le tappe... di cui una delle prime è certamente quella di riabilitare il lavoro manuale, ancora troppo spesso considerato come un qual cosa affidato agli schiavi. Teme di veder crescere delle genera zioni di «pedanti e declassati» 96 e vuole invece dei giovani che siano bene integrati nel loro ambiente. Così concepita ed orga nizzata - spesso affiancata dagli orfanotrofi - la scuola ha co stituto, sin dall’inizio della missione, una base sicura per « l’a zione civilizzatrice» che Padri e Suore intendono condurre. Ma vi è una altro settore in cui, simultaneamente, hanno ra pidamente guadagnato del terreno e si sono fatti subito degli amici «visitando i malati, dando qua e là, consigli, medicinali e ogni genere di cura»97. Ed anche le Suore, «appena arrivano, moltiplicano le visite delle capanne e raccolgono gli infermi in locali appositamente preparati»98. Quasi immediatamente, aprono dei dispensari, «mezzi più efficaci di tutti per ottenere la salvezza delle anime» poiché sono «opere di carità». E più dif ficile mettere in piedi gli ospedali, i quali, infatti, hanno un inizio modesto. Ve n’è uno a Porto-Novo e questo si sviluppa ancora lentamente " : «Ne occorrerebbero in tutte le nostre stazioni del l’interno - scrive il Padre parlando del Bénin - ma soltanto la casa di Abéokuta ne possiede uno, dove 655 malati sono stati 92 L. 93 L. 94 L. 95 L. 96 L. 97 L. 98 L. 99 L. riesca».
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PI. a P. Cloud, 31.8.1870. PI. a P. Poirier, 7.11.1874. PI. a Sr. Boniface, 19.6.1889. Pi. ai Confratelli, 19.8.1864. PI. a P. Dorgère, citata in n. 91. PI. a P. Carré, 28.12.1862. PI. al Card. Ledochowski, 6.2.1896. PI. a P. Verdelet, 19.1.1867: «Desidero che il vostro avvio dell’ospedale
curati nel corso dell’anno» 10°. Messo da parte il periodo delle ostilità tra la Francia e il Dahomey, quando le Suore furono im pegnate negli ospedali militari su richiesta del ministro delle Co lonie, bisognerà aspettare la fine della Prima Guerra mondiale perché si sviluppino le attività sanitarie, in particolare i lebbrosari fondati dalla Congregazione. L’azione congiunta dei missionari sul terreno e del Superiore continuamente in ascolto, mai a corto di idee e di slancio apo stolico, aiuterà a formare i primi gruppi di cristiani. «I Neri di questi popoli fanno già sperare che, più di altri, potranno essere condotti a Dio 101, se si useranno i mezzi adeguati». Ed «è pro prio questo il nostro compito - aggiunge il Padre - l’opera di Dio per cui noi siamo qui». Già in alcune località, con la pre senza dei missionari, si constata la cessazione di sacrifici umani102. Se le scuole andranno bene e gli allievi faranno pro gressi, i genitori ne attribuiranno il merito ai maestri e alle mae stre» e nello stesso tempo subiranno l’influenza da parte dei figli che riporteranno in famiglia le idee ricevute» 103. Tra quei giovani Indigeni, si può dunque sperare «di incon trarne qualcuno che Dio chiami a cooperare con noi alla dif fusione del Vangelo» 104. Trovare dei maestri e dei catechisti of frirebbe il vantaggio di liberare i Padri che potrebbero consa crarsi ad altri ministeri ed estendere la loro azione. E si potreb bero già associare degli Africani all’apostolato presso i loro fratelli. «Q uest’opera si annovera nel numero delle azioni» che il Padre «esorta a fare da diversi anni» 105. E senza attendere che vi sia dappertutto un collegio per i catechisti come nel Niger 106, raccomanda che, «all’uscita dalla scuola, si prosegua con l’istru zione data». Infatti la scuola è «una base seria, ma insufficiente 100 L. PI. al Card. Ledochowski, citata in n. 98. 101 L. PI. a P. Asprod, 24.11.1895. 102 L. PI. a Propaganda Fide, 6.2.1896. 103 L. PI. a Sr. Benoìt, 19.1.1887. - Rapporto a Propaganda Fide, 2.6.1886. 104 L. PI. a P. Séguer, 20.9.1867. 105 L. PI. a P. Bouche, 20.7. e 15.9.1873. 106 Rapporto al Card. Ledochowski, 6.2.1896: «Quest’opera molto importante per l’avvenire della Missione, l’abbiamo cominciata da 2 anni, essa conta in questo momento 10 giovani».
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per farne dei cristiani incrollabili per il resto della loro vita» 107, osserva P. Planque. «Non si insegna mai abbastanza ai giovani a pensare da soli e a farsi delle convinzioni solide». «Abbiamo bi sogno di gente istruita nella propria religione 108, che sia costante anche nella pratica dei sacramenti». Allora potranno formarsi delle famiglie cristiane. Ed è qui che le suore dovranno svolgere il loro ruolo. Esse vi si dedicano con slancio sempre incoraggiate dal Superiore. «A poco a poco, la condizione della donna cambierà, e sarete voi che avrete il merito di formare le prime madri di famiglia cristiane» 109. E si capisce quanto sia felice del «primo matrimonio cattolico che ha avuto luogo ad Agoué» 110. «Seguirò con piacere il progresso che farà la vostra opera per le ragazze. Crescendole, preparerete le famiglie che formeranno più tardi un popolo tutto cristiano» m . E Padre sogna già di «vedere tutta Assaba diventare un’unica società di famiglie cristiane». «In questi paesi nuovi, la fonda zione della famiglia sarà la base del nuovo ordine che andrete a predicare» 112. L’idea di organizzare dei villaggi cristiani gli sta a cuore, così la fattoria di Tokpo gli sembra proprio adatta «per diventare il nucleo di uno di quei futuri raggruppamenti113, un luogo ideale in cui, tra piantagioni e colture, si svilupperanno orfanotrofi per ragazzi e ragazze, circondati da un certo numero di famiglie» 114. Non si tratta di vivere in ghetti: il Padre - come abbiamo già visto - manterrà la stessa preoccupazione di aper tura a tutti quando saranno organizzati i «villaggi di libertà», ma bisogna dare il tempo alla fede di radicarsi bene e a tutta questa giovane linfa di circolare nei nuovi germogli... Parallelamente alle famiglie, desidera che si preparino dei Fratelli indigeni, come se, con pazienza e perseveranza, volesse posare una sopra l’altra le pietre della nuova Chiesa... «Dei Fra 107 108 109 110 111 112 113 114
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L. PI. al Card. Lcdochowski, 23.11.1891. L. PI. a P. Bel, 13.6.1888. L. PI. a Sr. Héliodore, 28.10.1898. L. PI. al Card. Simeoni, 2.2.1880. L. PI. a Sr. Cornélie, 2.2.1880. L. PI. a P. Zappa, 19.6.1889. L. PI. a Propaganda Fide, 2.2.1880. Si veda IV parte, cap. 13 (villaggi di libertà).
telli renderebbero i più grandi servizi per la scuola e il cate chismo», dice. D’accordo con Mons. Kobès, si augura che «questi nuovi cooperatori possano sostituire i Fratelli europei» e che, senza essere membri della Società, facciano dei voti semplici come tutti i religiosi» 115. Nel 1868, vi era già un piccolo Novi ziato di Fratelli africani a Porto-Novo. Se ne parla ancora nel luglio 1870 quando «i primi due, François e Joacbim sono chia mati a fare dei voti per tre anni» u6. Ma sembra che questo tentativo non abbia superato le ripercussioni, subite fino in Africa, della guerra del 1870. In effetti, il Padre si preoccupa ancora di più di un’altra tappa importante per il progresso della Chiesa: «Più presto avrete qualche prete indigeno e meglio sarà per il successo della missione», scrive al Superiore di Whydah 117. L’idea, infatti, ma turata al tempo di Brésillac, ha sempre «camminato» nel pen siero del Successore. Il progetto del seminario di Cadice era orientato inizialmente verso le vocazioni di bambini africani, ancor prima di quelle degli Spagnoli, con questo obiettivo molto preciso - la cui esattezza non ha più bisogno di essere dimostrata oggi: «Con dei preti indigeni, faremo nelle missioni ciò che non possiamo neanche sognare di intraprendere, se avremo soltanto dei preti europei»118. «Tra tutti coloro che si distinguono per l’intelligenza e la pietà, non ve n’è qualcuno che possa andare ancora più avanti e sentirsi disposto alla vocazione ecclesia stica?» 119. Nel 1876, è ancora in atto un piccolo tentativo e «sei giovani cominciano a studiare il latino». E finalmente il «vivaio», da cui il Superiore aspetta impazientemente le nuove piante? 12°. Già da
115 Diverse lettere di Pl. a P. Courdioux tra 1868 e 1870. 116 L. Pl. a P. Courdioux, 1.7.1870. 117 L. Pl. a P. Courdioux, 15.12.1867: «Mons. Brésillac ci teneva con tutto se stesso a fare dei preti indigeni» - 17.11.1867: «Mons. Brésillac era noto a Roma come il grande propagatore del clero indigeno». 118 L. Pl. a Régis, 26.12.1861. 119 L. Pl. a P. Séguer, citata in n. 104. - Tra quei giovani, vi era Lorenzo che era sfortunatamente morto in un naufragio (4.3.1867), cfr. L. Pl. a P. Bouche, 20.4.1867. 120 L. PI. al Card. Barnabò, 22.4.1866 e 29.11.1867.
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dieci anni, spera non solo in «Eudore, un Dahomeano che si distingue per il suo spirito di purissimo apostolato», ma anche in molti altri. Secondo Mons. Kobès - anch’egli ancora senza semi nari - «la cosa migliore è quella di insegnare il latino un po’ alla maniera delle lingue vive senza troppo impigliarsi in una folla di cose che si fanno conoscere all’inizio. Il latino e la dottrina cri stiana solidamente appresa non potrebbero dispensare i nostri Africani da tutto il nostro bagaglio di filosofia e di teologia?» 121. Si ritrova quindi sempre la stessa preoccupazione. Occorrono dei preti istruiti e ben preparati ma non si deve ingombrarli di una scienza, che sarebbe inutile per loro nella misura in cui ri marrebbe come «appiccicata» alla loro stessa cultura. La forma zione deve essere non inferiore a quella degli Europei, ma adat tata al popolo che essi, in quanto Africani, sono chiamati ad evangelizzare. Essa deve salvaguardare quel carattere di sempli cità che il Padre continua ad amare ed ammirare in loro. Se, nel 1867, il Superiore aveva scritto con tutto l’entusiasmo del suo cuore: «Che bel giorno sarà quello in cui vedremo l’ordi nazione del primo prete africano!»122, egli comprende ben presto che sarebbe un errore cullarsi in questa speranza e che «le vocazioni tarderanno ad emergere in un’Africa tenuta per secoli lontana dal messaggio cristiano 123. «Quando potrà essere evan gelizzata da preti africani, lo sa solo Dio. Preparare le strade, è tutto ciò che possiamo fare» 124. La speranza rimane tenace... anche se all’alba del secolo se guente, riconosce ancora che il momento non è ancora venuto... In effetti, bisognerà spettare il 6 gennaio 1920 per vedere realiz zarsi il sogno dei Fondatori e dei loro missionari, con l’ordina zione di P. Emécété ad Assaba, in Nigeria. Ma la semente una volta cresciuta ha prodotto numerose spighe, e questa legione di preti, di vescovi e di cardinali, il cui numero va crescendo, segno della vitalità delle Chiese d’Africa, rimane come un commovente 121 122 123 124
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L. PI. a P. Courdioux, citata in n. 117. L. PI. a P. Séguer, citata in n. 104. Dalla lettera alla Signora Presidente di X..., 16.9.1881. L. PI. a P. Nadaud, 4.6.1860.
omaggio al generoso lavoro apostolico di coloro che hanno pre parato la loro venuta. E l’elemento femminile? Le Suore africane hanno seguito la stessa evoluzione, ma con un certo ritardo. Parlando dei giovani che potrebbero diventare preti, P. Planque non dimentica mai che vi sarà bisogno anche di Religiose del paese. Ed è alle Suore della sua Congregazione che affida il compito di aiutarle a na scere: «Pregate Dio di mandare vocazioni. —scrive loro - Più tardi, ne troverete tra le vostre giovani cristiane. Ma per il mo mento, credo che bisognerà aspettare ancora del tempo...» 125. «Verrano a loro tempo - scrive ancora al Superiore di Whydah quello che importa oggi è che ve ne vengano mandate altre quattro da Lione» 126. E vero che il Padre sembra aver rimandato a più tardi la questione delle Suore indigene. Si può capire la ragione di questo ritardo nel fatto che il suo cantiere di fondatore e di Su periore generale è smisuratamente grande. Inoltre, quando le Suore hanno cominciato a trattare con le donne e le ragazze, è stato principalmente per aiutarle a prendere, nel loro ambiente, il loro posto di cristiane e di future madri di famiglia. E certamente lo sforzo non è stato inutile. Da qui, forse, una minore atten zione alle vocazioni religiose. Ma anche in questo caso, bisognava avere la saggezza e la pazienza di aspettare il momento... Le Suore africane non sono entrate nell’istituto che nel 1930 127. Religiose a pieno titolo, con un ruolo importante, un certo numero è stato in seguito invitato, nel decennio 1960-70, a lasciare l’Istituto e a collaborare alla fondazione, nei loro paesi d’origine, di Congregazioni diocesane 128. Questa prospettiva al servizio della Chiesa d’Africa, era ben inserita nei piani di P. Planque, ma un Noviziato francofono interregionale è stato di nuovo aperto da una dozzina di anni. I Noviziati anglofoni del Ghana e della Nigeria, quelli del Medio Oriente e deH’Argentina, 125 L. PI. a Sr. A gathe, 1.4.1885. 126 L. PI. a P. Courdioux, citata in n. 117. 127 Si veda IV parte, cap. 13. 128 Si tratta delle Suore di N.S. della Pace in Costa d’Avorio - di Sant’Agostino nel Bénin - di N.S. della Chiesa nel Togo.
403
costituiscono oggi per le suore di Nostra Signora degli Apostoli e per la missione «ad extra» nella Chiesa, una bella promessa per il futuro 129.
5. Lacune e debolezze
Tutte queste iniziative apostoliche che si sono succedute nella vita di Augustin con un coraggio sostenuto dalla speranza, pre sentano aspetti degni di attenzione che suscitano ammirazione per il lavoro compiuto - e per i primi risultati ottenuti. Ma af finché il bilancio di questo lungo periodo missionario di più di cinquant’anni sia il più esatto possibile, è importante ricordare i punti, che nelle parti precedenti, sono già apparsi come zone d’ombra, - di fatto, tutto ciò che non poteva veramente essere rimesso in causa, rettificato, migliorato prima delle tappe, molto decisive per alcuni, che seguirono la morte del Padre 13°. Per leggere e comprendere la parabola della sua vita, è neces sario situarlo al suo posto in pieno XIX secolo, quando la Chiesa stava mettendosi al passo del Vaticano I, e la società, pur sfor zandosi di far regredire il fenomeno della schiavitù, era lontana dall’aver aperto dei veri spazi di libertà ai popoli, alle famiglie o alle coscienze individuali. La scienza è soltanto all’alba delle scoperte che sconvolgeranno il mondo, mentre le ideologie stanno cercando i loro punti di sviluppo e di azione... Si po trebbe proseguire... Ma è essenziale misurare lo scarto di più di un secolo che separa Augustin Planque dall’epoca in cui viviamo. Come stupirsi allora se lui stesso è ad uno stadio di intuizioni e tentativi? Come per i Padri e le Religiose del suo tempo, la Missione si confonde un po’ ai suoi occhi, con l’esercizio di un certo potere spirituale. Essa si presenta come l’atteggiamento be nevolo di colui che possiede la verità nei confronti di coloro che sono ancora «nelle tenebre e nell’ombra della morte». E ci si 129 II Noviziato francofono è stato aperto ad Abengourou, nella Costa d’Avorio, nel 1882. Il Postulato si fa a Fada N’Gourma nel Burlona Faso. 130 In particolare si può citare il Vaticano II - tutto il processo delle decolonizza zioni - lo sviluppo della teologia missionaria dopo gli anni 50...
404
rallegra che i missionari d’Europa - i Bianchi - siano venerati da un’Africa che si inchina davanti alla superiorità di una credenza venuta da fuori. Altrettanto normali e rassicuranti appaiono al cuni metodi di evangelizzazione che oggi ci sembrano superati, come anche alcune attività o mezzi di penetrazione di un am biente 13J. E certo che, forti dei loro modelli europei, del loro sviluppo e del loro savoir-faire, appoggiati a dogmi certamenti solidi - e ad un insieme di costumi cristiani o di tradizioni - gli evangeliz zatori si comportarono più di una volta come padroni, sicuri di dover «dare», ma molto meno preparati a ricevere e a condivi dere. Di conseguenza, non hanno tenuto troppo conto delle cre denze e delle culture, così svariate presso quei popoli. Missione, «dall’alto in basso», superiorità del cristiano e del cattolico, questi atteggiamenti spiegano ancora - ben lontani da ogni ecumenismo - le relazioni tese con i protestanti. Si può rimanere sgradevolmente colpiti nel sentire il Superiore trattare da apostata uno dei suoi Padri che ha lasciato la Società per passare al protestantesimo e diventare pastore132. Perplessi anche nel leggere certi giudizi severi sui preti copti dell’E gitto 133, quelli che egli chiama i «dissidenti». Una severità senza dubbio reciproca: si sa così poco, si ignora tutto del modo di vita degli uni e degli altri. E la distanza, diventa anche rivalità quando vi si mischiano questioni politiche. I Protestanti non passano forse per agenti dell’espansione britannica?... Dentro queste pic cole diatribe, intrise di colonialismo, il Padre si rallegra «quando i missionari protestanti sembrano perdere un po’ della loro in fluenza e sono mal visti dal Jevoghan di Whydah» 134 o quando apprende che «Moreau fa tanti sforzi per strappare dei bambini dalle scuole dei protestanti», molto fiorenti a Sant’Elena 135. Pa role difficili da capire nel clima di dialogo che esiste oggi... Almeno, bisogna rendere giustizia a P. Planque che, sempre 131 132 133 134 135
Si Si P. L. L.
è visto ad esempio per i numerosi battesimi di bambini moribondi... tratta di Devernoille, al Capo, nel 1877. Planque li trovava a volte troppo poco formati e istruiti... Pi. a Propaganda Fide, 6.9.1860. Pi. al Card. Barnabò, 14.10.1872.
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preoccupato del rispetto delle persone, ha dato come linea di condotta di «evitare, sia a scuola che in chiesa, ogni forma di controversia diretta e particolarmente le parole o qualificazioni che potrebbero ferire o sembrare ingiuriose verso i dis sidenti» 136. Al contrario, raccomanda di usare delle formule dolci se si deve lottare con loro, pur utilizzando gli argomenti più forti e più adatti» 137. Se si vuole fare un bilancio, occorre constatare gli aspetti negativi, errori di valutazione od occasioni mancate... A distanza di tempo, riconosciamo questi comportamenti causa di sof ferenza e di ritardi nell’inculturazione, ma è necessario ricordare, ancora una volta, che si giudica male un’epoca, se la si interpreta attraverso le conoscenze, i modi di approccio o la sensibilità di un’altra. Nel secolo scorso, i mezzi per entrare in contatto erano modesti, gli studi sull’Africa ancora mal conosciuti e i pregiudizi così forti che ben pochi Europei si sognavano di rimetterli in discussione... La storia della Missione contemporanea comincia appena a scriversi. I segni dei cambiamenti futuri, possono essere percepiti appena dai più lungimiranti, coloro soprattutto che sono più impregnati di fraternità evangelica. E tuttavia, senza voler fare un’arringa «prò missione», non si potrebbe dire che valeva la pena di andarci lo stesso? E se la carità di Cristo ha spinto questi uomini e queste donne venuti dal Nord verso i loro fratelli e sorelle dell’Africa, questi ultimi non sono stati capaci, per la forza dello Spirito, di trarre il meglio dall’incontro missionario, e diventare il lievito per i loro stessi popoli, «inculturando», presso di loro, il messaggio del Signore?
136 Rapporto a Propaganda Fide, 2.6.1886. 137 L. PI. a P. Moreau, 10.11.1875.
CONCLUSIONE
LA FEDE DELL’APOSTOLO
Senza di essa, senza questa fede incrollabile che lo perva deva, nulla sarebbe cominciato nella vita di Augustin Planque, nulla avrebbe potuto continuare della sua sorprendente azione, dove il banale ed il quotidiano spesso richiedevano il supera mento di sé, il che è forse la forma di eroismo degli umili. Con il rischio di ripetersi, è proprio su questo punto che bisogna termi nare. Se Augustin è stato un missionario infaticabile, creatore, malgrado tante tempeste ciò è stato possibile perché era so stenuto da una invincibile fede in Dio, presente nella sua vita, che non poteva abbandonarlo. Una fede che assomigliava a quella di Abramo, che aveva lasciato tutto per partire, alla fede dei Profeti che ebbero il co raggio di parlare, a quella dei Martiri che affrontarono la prova. E se Augustin Planque amava venerare le loro reliquie 1, non lo faceva con la devozione semplicistica delle persone pie del suo tempo. In quelli che egli chiamava i «giganti della fede», voleva onorare, le membra, che avevano reso testimonianza a Dio. La fede di Augustin, soprattutto assomiglia a quella di Pietro, di Andrea, di Giovanni e degli altri, radicata in Gesù Cristo, attiva, itinerante, anche se, per lui, il viaggio si attuava solo attraverso gli spostamenti dei Confratelli e delle Suore... una fede troppo ardente per stare nei confini stretti della sua diocesi del Nord, che tuttavia gli offriva belle occasioni per manifestarsi... Invertendo l’ordine delle parole in questa frase che egli ha 1 P. Planque è talmente attaccato alle reliquie che vuole assolutamente portare via il corpo di Sr. Victorien quando le Missioni Africane sono dispensate dall'incarico della chiesa del Sacro Cuore a Nizza. - Cfr. la lettera al Cardinale X..., 28.5.1882: «Il Vescovo di Nizza ama i corpi santi... e anche noi».
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dato come motto alle Suore, si dirà di lui che, se ha potuto «far conoscere e amare Dio», è perché lui stesso « l’ha conosciuto e amato», con una convinzione che traeva vita dal Pane dell’Euca ristia e dalla Parola di Cristo. Ma al di là degli atti liturgici e del tempo dedicato a pregare il breviario, la sua fede l’ha sempre condotto a ricercare il dialogo con il Signore, l’unione con Dio espressione che ripeteva sovente. Tutto il messaggio è qui rac chiuso: «Non abbandonate Dio nel vostro cuore e nella vostra vita, ma portatelo sempre con voi nelle vostre opere esteriori», ed è il frutto delle sue lunghe meditazioni del Padre Nostro, della Via Crucis meditata ogni sera, della sua preghiera allo Spirito Santo da cui traeva il «consiglio» e la «fortezza» e dal Rosario recitato tante volte 2. Questa è stata la vita di Augustin e la sua storia, che ha conosciuto la notte della prova, l’austerità del dovere, le dif ficoltà del carattere, ma anche la speranza e la gioia. Questo è l’insegnamento che lascia, senza aver scritto trattati o commenti sulla sua spiritualità, senza frasi ad effetto, ma con la parola viva di ogni sua giornata, vissuta nella disponibilità di un vero servi tore. Senza prendersi sul serio perché era senza ambizione perso nale né tornaconto, semplice come Natanaele nel Vangelo di Giovanni o come il Centurione di Luca di cui Cristo amò la fede 3 - ma con la serietà di colui che si voleva fedele al suo Maestro. L’insegnamento e il messaggio di Augustin Planque riman gono dunque, sempre attuali e coloro che oggi aspirano ad una maggior giustizia, condivisione, fraternità, alla vera carità, pos sono riconoscervi parte delle loro attese. Roma, 1995
2 L. PI. alle Suore del Niger, 28.12.1887. 3 Cfr. Giovanni, I, 45 e ss. - Luca, VII, 1-10.
408
INDICE
Prefazione
................................................................................................
Introduzione
............................................................................................
Pag.
7 9
PRIM A PARTE
UN U O M O V E N U T O D A L NORD C apitolo p rim o : N el paese d elle pianu re ..................................
14
1. C h em y ...............................................................................................
14
2. ...in F ian d ra .....................................................................................
16
3. La fam iglia ..........
18
4. La Rue R oyale ................................................................................
22
C apitolo second o: A C am b rai ......................................................
27
1. Il sem inario m inore ......................................................................
27
2. V erso il sacerd ozio .......................................................................
31
C apitolo terzo : Un nu ovo orizzo n te ...........................................
38
1. P ro fesso re .........................................................................................
38
2. P rogetti ..............................................................................................
39
3. L â&#x20AC;&#x2122;ora della partenza ......................................................................
43
SECONDA PARTE
IL C O -F O N D A T O R E C apitolo q u arto : D ue uom ini... una m issione ........................
52
1. L â&#x20AC;&#x2122;in co n tro .........................................................................................
52
2. Le M issioni A frican e ...................................................................
55
3. F reeto w n ..........................................................................................
57
409
C apitolo qu in to: « C i sareste anche v o i» ...................................
Pag.
62
1. Il successore .............................................................................................. 2. C o n la C h iesa ...........................................................................................
62 69
3. Il sem inario ................................................................... 4. F inalm ente il D ah om ey ........................................................................
87
C apitolo sesto: I prim i con flitti .............................................................. 1. 2. 3. 4.
In Spagna ......................................................................................... U n testo che fa p ro b lem a ......................................................... Il «s e c o n d o » B o rgh ero ............................................................... L ’esilio degli anni 1 8 7 0 - 1 8 7 1 ............................................
99 99 108 114 12 1
C apitolo settim o: V erso « u n ’altra A fric a » .......................................... 1. In A lgeria ................................................................................................... 2. V icario apostolico? ................................................................................. 3. La M issione al C apo .................................................................. 4. N el D elta del N ilo ................................................................................
127 12 8 14 4
15 0 16 1
TERZA PARTE
L A M IS S IO N E A L F E M M IN IL E C apitolo o tta vo : Ci voglion o d elle S u o re ..........................................
17 9
1. Prim i passi ................................................................................................ 2. Le S u o re di M on tau b an ......................................................................
17 9 18 1
C apitolo n o n o: C on C o u zo n .................................................................. 1. Le « fo n d a tric i» ............................................................................... 2. D isaccordi .........................................................................................
18 5 18 5 189
C apitolo decim o: «M i sono deciso a fo n d a re » .............................. 1. Una «su ccu rsale» .................................................................................... 2. M odesti inizi ............................................................................................. 3. D alla G u illo tière al M oulin à V e n t .................................................
193 19 3 19 9 203
C apitolo undicesim o: S o p ra ttu tto m issionarie .................................
208
1. Il p ro g etto di vita .......................................................................... 2. D al C en aco lo alla P e n teco ste ...................................................
209 212
3. C o n sacrate p er servire ................................................................. 4. D al D a h o m ey alle rive d el N ilo .............................................
219 222
410
QUARTA PARTE D A L L O S V IL U P P O A L C O M P IM E N T O C apitolo dodicesim o: C on testazio n i e crisi .............................
Pag. 2 3 0
1. Il « c o m p lo tto » di Nizza..... ..........................................................
231
2. A lle p rese con le leggi .................................................................
236
3. La revision e delle C o stitu zion i ................................................
241
C apitolo tredicesim o: In piena espansione ..............................
251
1. La C osta d ’O ro .............................................................................
251
2. A lle p o rte d el C airo ......................................................................
258
3. Il « p rim o » V icariato .................................................................... 4. La C o sta d ’A vo rio ........................................................................ 5. M issionari e coloni..........................................................................
262 278 287
C apitolo q u attordicesim o: La M ission e in E uropa ...............
30 5
1. In Francia ed oltre ....................................................................... 2. In Irlanda ..........................................................................................
306 312
C apitolo qu indicesim o: G li ultim i anni ( 1 9 0 0 - 1 9 0 1 ) ...........
3 22
1. O re di gioia ..................................................................................... 2. N uove crisi in Francia .................................................................
323 334
3. «H o co m b attu to la bu ona b a tta g lia » .....................................
346
QUINTA PARTE
A B B O Z Z O D I U N RIT R ATT O C apitolo sedicesim o: U na vo lo n tà energica ............................. 1. R ettitudine e autorità .............................
357 357
2. Esigenza e rigore ........................................................................... 3. Il coraggio di ced ere, diosare, di soffrire ............................ 4. U om o di cuore ...............................................................................
359 361 365
5. O p era to re di giustizia e
368
di pace .............................................
6. Relazioni e contatti .......................................................................
371
7. C on le S u o re ..................................................................................
372
C apitolo diciassettesim o: L o zelo p e r la M issione ...............
375
1.
375
Un solo scopo .........
411
2. 3. 4. 5.
AJ servizio dei M issionari .......................................................... I grandi orien tam en ti ................................................................... V erso una cristianitĂ africana .................................................... L acune e deb olezze ......................................................................
C onclusione :
412
La fed e d e llâ&#x20AC;&#x2122;A p o sto lo .............................................
Pag. 3 7 9 383 395 404 407
UNA VO LO NTÀ DUE ISTITUTI La storia della SM A inizia P8 dicembre 1856, a Lione, ai piedi della M adonna di Fourvière. Mons. De Brésillac, Padre Planque e altri cinque confratelli consacrano la loro vita al servizio d ell’Africa. Nasce così la Società delle M issioni Africane. Nel 1858 Roma affida al giovane Istituto il Vicariato della Sierra Leone. Propaganda Fide preferirebbe che fosse Planque ad an dare in Africa, ma Brésillac non rinuncia all’idea di par tire per primo. Planque cerca di dissuaderlo dicendogli, senza sosta, che se dovesse succedergli qualcosa l’opera finirebbe. Brésillac rispondeva: «F in quando ci sarà una volontà per m antenerla, l ’opera continuerà, e tu s e i questa Volontà». Così Brésillac parte lasciando a Planque il compito di vegliare sul giovane Istituto. Brésillac m uore a Freetow n di febbre gialla, il 25 giugno 1859, qualche settim ana dopo il suo arrivo. Fedele alla parola data, Planque prende allora in mano la nascente opera e, durante il suo lungo generalato (18591907), la organizza dandole le strutture adatte alla vita missionaria. Oggi la SM A conta 1.250 m embri presenti in 15 paesi d ’Africa. Il carisma d e ll’Istituto è di rispondere alla voca zione m issionaria della C hiesa, soprattutto tra gli africani e tra i popoli di origine africana, promuovendo la nascita di una chiesa locale con un clero autoctono. D all’inizio diversi padri italiani sono entrati nell’Istituto. Il primo è stato P. Borghero a cui è dedicata la via dove si trova la sede della Provincia Italiana della SMA a G e nova. Altri Centri della SM A in Italia si trovano a Palonibaio (Bari) e a Feriole (Padova).
La Congregazione delle Suore M ission arie d i N ostra Si gn ora d e g li A postoli è nata a Lione nel 1876. Suo s c o p o è l’evangelizzazione particolarmente in Africa,
nella fedeltà all’intuizione apostolica del Fondatore, Padre Agostino Planque. « D ed ica n d o ci a ll’ed u ca z io n e e alla p ro m o z io n e d ella donna, co lla b o ria m o a su scita re fa m ig lie cristiane, c o m e ch ied ev a il nostro F on d a tore» (Cosi. 20). «C on l ’a u d a cia d e g li A postoli, noi, su o re d i NSA, m ettia m o tutta la nostra vita a l serviz io d e l V angelo, p r o n te a rischiare o g n i co sa p e r i l Signore. V articolarm ente a tten te a lle speran ze e a lle a ttese d e i p o p o li verso i q u a li sia m o in v ia te e d a essi a cco lte, sia m o chiam ate, anzitutto e in o g n i circostanza, a fa r c o n o s ce r e e d iffo n d ere il R egn o d i D io» (Cost. 7). Fin dalla fondazione ci sono stati giovani sacerdoti e ra gazze che attirate dal ca rism a m ission a rio di P. Planque hanno lasciato l’Italia per iniziare l’avventura della m is sione ‘ad gentes’ nei Sem inari di Lione. Nel 1922 si inaugura il Noviziato di B a rd ello (Va), con l ’aiuto e il sostegno di sacerdoti diocesani am ici dei primi Padri SM A. Da questo luogo sono partite per l’Africa num erose m issionarie... Oggi la sede del Noviziato è a Marino e Bardello resta ‘casa di accoglienza’ per le m issionarie che rientrano per motivi di salute e ‘C entro di Animazione M issionaria’. La priorità della nostra Provincia, come per tutta la Con gregazione, è la m issione ‘ad gentes’. Chiam ate ad essere ‘m em o r ia della natura missionaria della C hiesa, nostro compito è anche quello di suscitare vocazioni missionarie in essa.
Radicate nella fede in G esù Cristo, con M aria nel C ena colo, viviamo in com unità intem azionali, lavoriamo al servizio dei popoli africani collaborando con le chiese lo cali: • nel primo annuncio e nella catechesi; • nella formazione dei lead er cristiani; • nel dialogo con l’Islam e le religioni tradizionali; • nella formazione e promozione della donna; • nella condivisione e solidarietà con i più poveri; • n ell’am biente sanitario; • nella promozione e formazione professionale. Le Suore NSA nel mondo: Francia, Inghilterra, Irlanda, Olanda; Libano; Argentina, Canada; Algeria, Benin, Burlóna Faso, Ciad, Costa d ’Avorio, Egitto, Ghana, N iger, N igeria, Tanzania, Togo In Italia-. Piazza Trieste, 6 - 21020 Bardello (Va); Via A ccadem ia, 15 - 20131 M ilano (M i), Sede Provin ciale; Via G. Solaro, 19 - 23881 Airuno (Le) Via Ghisleri, 15 - 00152 Rom a (Rm), Casa Generalizia; Via Picco dei 3 Signori, 7 - 00141 Roma (Rm); Via Colizza, 56 - 00047 M arino (Rm).
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“ La Chiesa di oggi ha bisogno, per compiere la sua mis sione, di apostoli di questa tempra, nel cui animo i pro blemi posti dal mondo moderno non fanno vacillare le certezze della fede, ma al contrario aiutano ad appro fondirle e a penetrare meglio all’interno di un mistero di cui noi siamo i beneficiari, prima di essere chiamati a di ventarne gli amministratori” (Jean Bonfils, vescovo di Viviers).
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L’apostolo di cui si parla è p. Planque, primo collabora tore e successore di mons. De Marion Brésillac, fonda tore della Società delle Missioni Africane. P. Planque fondò a sua volta l’Istituto delle Suore Missionarie di No stra Signora degli Apostoli. Suor Claude-Marie Echallier ci offre in questo libro quel la che finora è la più completa biografia di p. Planque, basata principalmente sui documenti raccolti da p. Noèl Douau, archivista della SMA, che comprendono venti volumi e inglobano più di mille lettere scritte da p. Plan que e che coprono i 51 anni del suo impegno per la mis sione. “ Con tali fonti — scrive l’Autrice — è stato possibile seguire di anno in anno e quasi di giorno in giorno, dal 1856 al 1907, la storia di p. Planque, quella della sua vi ta, ma anche quella delle due Società di cui ha condiviso l’a vventura della missione” .
ISBN 8 8 - 3 0 7 - Ò 7 4 3 - 0
9788830707436
m L. 30 000
9 788830 707436
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