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Regina Apostolorum nsa
Suore Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli
Sped. in abb. post. art. 2 路 Comma 20 lettera C 路 Legge 662/96 - Milano
Rivista Trimestrale Anno 28
GIUGNO 2015 路 N
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Speciale BENIN ROMPERE LE CATENE VITA NSA
ABBIAMO FATTO TREDICI! GIUBILEI NSA 2015
Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli... Martin Luther King
Editoriale
“Laudato sì” G
iovedì 18 giugno è stata resa pubblica la seconda enciclica di papa Francesco: “Laudato si”, attesissima lettera dedicata alla “Cura della Casa Comune” come recita il suo sottotitolo. “Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla” dice il secondo capoverso, introducendo la proposta di una “ecologia integrale, che comprenda dimensioni umane e sociali”. Papa Francesco, con l’Enciclica, porta nettamente la Chiesa cattolica sulla frontiera profetica della lotta per la “liberazione dei poveri”. Il problema del Papa non si concentra nella Chiesa, ma nell’umanità. La sua questione non è domandare: che futuro avrà il cristianesimo? Ma la sua preoccupazione risiede in questo: in quale misura il cristianesimo, le altre chiese e cammini spirituali, possono e devono contribuire a salvare la vita sulla Terra e garantire un futuro per la nostra civiltà? I santi sembrano accompagnare il Pontefice in questo cammino. San Francesco, più volte citato, è “l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia, modello di come sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore”. Ma
l’enciclica ricorda anche san Benedetto, santa Teresa di Lisieux e il beato Charles de Foucauld. E di questi due sono stati in missione, la terza ne è addirittura la patrona. Poi nella Laudato si’ troviamo citati anche documenti degli episcopati di tutto il mondo: dalle Americhe all’Oceania, dall’Africa del Sud all’Asia fino all’Europa. “L’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita” Il papa attinge dunque anche al magistero episcopale, come capo del collegio cui spetta il discernimento e la conferma nella fede. Questo metodo collegiale delle voci episcopali di diverse chiese, permette un magistero universale dei vescovi uniti al successore di Pietro: questo è stile conciliare e, in questa occasione si rivela “sinodale”, cioè proprio di un camminare insieme: sulle strade del mondo, accanto agli ultimi, ai dimenticati per una inderogabile necessità di cambiare rotta. La Redazione
Preghiera per la nostra terra (dalla lettera Enciclica “Laudato Si”)
Dio onnipotente, che sei presente in tutto l’universo e nella più piccola delle tue creature, Tu che circondi con la tua tenerezza tutto quanto esiste, riversa in noi la forza del tuo amore
affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo, affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione. Tocca i cuori di quanti cercano solo vantaggi
affinché ci prendiamo cura
a spese dei poveri e della terra.
della vita e della bellezza.
Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,
Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e sorelle senza nuocere a nessuno. O Dio dei poveri,
a contemplare con stupore, a riconoscere che siamo profondamente uniti con tutte le creature nel nostro cammino verso la tua luce infinita.
aiutaci a riscattare gli abbandonati
Grazie perché sei con noi tutti i giorni.
e i dimenticati di questa terra
Sostienici, per favore, nella nostra lotta
che tanto valgono ai tuoi occhi.
Rivista Trimestrale Anno 28. n. 2 Direttore Responsabile: Sr. Fiorina Tagliabue Autorizz. Tribunale di Varese n. 185 del 5.10.1966 Sped. in abb. post. art. 2 Comma 20 lettera C Legge 662/96 - Milano
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Risana la nostra vita,
Redazione: Via Accademia, 15 20131 Milano Tel. 02.70.600.256 Fax 02.70.63.48.15 http://www.nsaitalia.it e-mail: nsa-mi@iol.it Suore NSA Bardello Piazza Trieste, 5 21020 Bardello (VA) Tel. 0332.74.33.79 Fax 0332.74.59.56
per la giustizia, l’amore e la pace.
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Sommario Vita nsa
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Abbiamo fatto TREDICI
La mia prima partenza in missione
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(1945)
Adesso parliamo noi 20
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Dalla missione
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ROMPERE le catene
Ogni persona è un dono FESTA delle FAMIGLIE
Settant’anni a Parakou
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Dispensatrice di vita sulle strade del mondo
NSA: Nuovi Stili di Annuncio
Un CIBO da CONDIVIDERE 28
SONGHAI una fattoria di agricoltura biologica COSTRUIAMO un giardino di Pace
La Redazione e i collaboratori della Rivista “Regina Apostolorum” si stringono attorno alla consorella Sr Martina Bernardi in occasione della scomparsa della sua cara mamma Maria. A Sr Martina e a tutti i suoi familiari le più sentite condoglianze con la promessa di un ricordo nelle nostre preghiere.
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Vita nsa Voi ora appartenete a Dio, a Lui solo. Questo è evidentemente il mezzo per compiere la sua opera. Vivete dunque con lui e lui stesso vi condurrà. Sarà in voi per illuminare la vostra strada fortificandola (Padre A. Planque)
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uesta frase del Fondatore, riassume al meglio il significato che Egli ha voluto trasmettere alle “sue figlie” come valore assoluto di una vita consacrata a Dio per la Missione. La fiducia che Egli sarà sempre al nostro fianco: durante la bella e rigogliosa stagione della vita come in quella in cui alla sua ombra si riprendono le forze e ci si prepara alla stagione che verrà. Il giorno 24 maggio eravamo riunite nel bel chiostro del Convento delle suore NSA di Bardello (VA) per unirci al canto di lode e di ringraziamento delle nostre consorelle. Ci eravamo preparate a questo evento di Provincia Italiana (NSA), ma i risultati hanno stupito anche noi! Tredici sorelle ricordano l’anniversario della loro professione religiosa. Spaziamo dai 25 anni ai 75 di risposta al dono che il Signore ci ha fatto della chiamata alla vita religiosa missionaria. Ognuna delle festeggiate si stupisce per ciò che ha potuto vivere in tutti questi anni di grazia. E lo stupore e l’azione di grazie sono tanto più grandi quanti più sono gli anni vis-
ABBIAMO F suti. Tutte hanno una lunga storia di fedeltà del Signore e al Signore da raccontare. Per le più anziane ci sono anche i ricordi di avventure vissute negli anni in cui andare in Africa comportava viaggi da esploratori, in cui l’approccio con le popolazioni chiedeva un lungo tempo di “apprivoisement” (addomesticamento) e lo stile di vita era sobrio ed essenziale, ma la carica delle suore, il loro entusiasmo, la loro audacia non sono mai venute meno e hanno fatto “miracoli” la-
5 Il convento di Bardello (VA) è la prima Casa NSA in Italia, siamo presenti dal 1922
FATTO TREDICI sciandosi condurre dal Signore. Emozione gioia si leggeva sul volto di ognuna durante la S. Messa celebrata nel chiostro del nostro convento di Bardello. Dopo questo momento, più importante della giornata... un pranzo condiviso con i familiari fino alla quarta generazione, venuti numerosi a festeggiare le proprie zie, tanti amici, venuti da ogni dove e i “bardellesi” sempre presenti quando c’è una festa in convento. Sr Margherita Alberti, NSA
Le Suore NSA festeggiano i loro giubilei
Abbiate un solo pensiero: piacere a Dio e fare la sua volontà. La vostra vita sia tutta sotto lo sguardo di Dio, non dovete preoccuparvi di questo o di quello ma solo del Buon Dio e del compimento di tutti i vostri doveri per amor suo e per la sua gloria. Ditegli che volete quello che lui vuole. Nessuna ricerca di altro che non sia la sua volontà. Care sorelle, grazie per la vostra fedeltà
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Vita nsa
La mia prima partenza in missione (1945)
S
uor Lina Manfredi (sr Amabile) è nata a Travedona, in Provincia di Varese, il 13 dicembre 1915. Quarta di cinque fratelli in una famiglia di gente semplice e lavoratrice.
Chiamata a servire Avevo 14 anni … Un giorno, mentre facevo le pulizie in casa, sono rimasta colpita da un libretto sulla vita di Santa Teresa del Bambino Gesù che avevo comperato qualche tempo prima durante una gita parrocchiale. Ho incominciato a rileggerlo e la storia di questa Santa mi ha affascinata. Mi dicevo “E se mi facessi religiosa anch’io?”. Il mio Parroco e sua sorella mi incoraggiavano perché entrassi in un Istituto che essi conoscevano bene. Ma io volevo essere missionaria. Un’insegnante mi indicò le Suore di Nostra Signora degli Apostoli di Bardello, a circa 7 km dal mio paese. Ho cercato di conoscerle ed è iniziata così la mia avventura missionaria di Suora NSA. Una vita per la missione Ho emesso i primi Voti nel settembre del 1940. Ma ho dovuto aspettare ancora tre an-
ni prima di partire in missione a causa della guerra. Riuscimmo finalmente ad avere il passaporto tramite il Vaticano e nel 1943, sr Esterina ed io, prendemmo il treno in direzione Torino per arrivare fino a Lione dove c’era la nostra Casa Madre. Era il tempo in cui, nella sala di ricreazione in Casa Madre a Lione, cantavamo spesso: “Il buon profumo dell’Africa inizia a sentirsi…”. Finalmente il giorno tanto atteso della prima partenza arrivò! Ricordo ancora la data: 8 febbraio 1945. Alla stazione di Lione, sedute sulle nostre vecchie valige, legate da una corda affinché non si aprissero, attendevamo la partenza del treno per Marsiglia. … Eravamo in dodici: suor Ammonaid (?), Germana, Donatilla, Ignazia, Magdala, Emiliana, Ancilla, Marie Jacques, Clementina, Maria Angela, Evariste, Amabile (Lina). Ma le suore dirette in Africa del nord ebbero la precedenza e presero il largo su una nave chiamata “Providence”. Per noi la partenza fu fissata invece per il 16 febbraio... Con il cuore pieno di gioia, ci imbarcammo sulla nave “Marrakech”. Dopo cinque giorni
7 di navigazione arrivammo a Casablanca in Marocco. Ad accoglierci c’era Madre Eugenia che aggiunse altre due suore al nostro gruppo: suor Augusta e suor Emilia. Qui mi è stato comunicato che ero destinata a Ho in Ghana. Non ripartimmo subito poiché occorreva aspettare la nave “Providence” che, di ritorno da Algeri, ci raggiungesse per mettersi in convoglio con noi. Abbiamo così navigato fianco a fianco, precedute da una nave inglese che ci faceva da scorta, perché c’era ancora la guerra. Sul bastimento non dovevamo mai toglier-
reva scendere immediatamente dalla cuccetta, indossare la cintura di salvataggio e recarsi nella sala da pranzo. Non accade nulla quel giorno e quando il pericolo parve scongiurato, continuammo il nostro viaggio per mare. Che bellezza! Nonostante la paura non potevamo dimenticare di essere immerse nell’immensità del mare: un orizzonte senza fine, tra acqua e cielo… Alla sera, al chiaro di luna, appoggiate alla sponda della nave, cantavamo i più bei cantici che portavamo in cuore: “Mentre la notte scende misteriosa”, “Quando l’Angelus suona al tramonto del giorno”, “Salve Regi-
ci la cintura di salvataggio. Ogni mattina alle ore 9.00 ci si riuniva attorno alla nostra scialuppa per l’esercitazione quotidiana (a dire il vero ci sembrava tutto un po’ ridicolo, forse perché non sapevamo bene che cosa avrebbe potuto accaderci). In prossimità delle Isole Canarie viene dato l’allarme: il personale della nave inglese che ci scortava ci avvertì dell’imminente pericolo aggiungendo, che nell’eventualità di un attacco notturno, occor-
na” … e continuavamo il nostro viaggio con il cuore ricolmo di gioia! Arriviamo a Dakar! Qui si concludeva bruscamente la prima tappa del nostro viaggio, poiché ci venne annunciato improvvisamente che il nostro bastimento “Marrakech” non sarebbe andato oltre. Sorprese dall’ imprevisto ci siamo ritrovate, noi quattordici suore, a bussare alla porta delle suore di San Giuseppe di Cluny. Abbiamo
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Vita nsa “invaso” la loro casa senza nessun preavviso, ma le suore, sia pure con qualche perplessità, ci hanno ben accolte. Si saranno chieste dove trovare spazio per alloggiare questo “battaglione”! Infatti per alloggiarci hanno dovuto spostare le bambine orfane che accoglievano nella loro casa, e svuotare una sala da pranzo. Ma le difficoltà non erano finite, poiché non sapevamo quanto tempo questo soggiorno sarebbe durato. I primi giorni trascorsero veloci: c’erano tante cose da vedere e tutto era nuovo per noi.
mo in viaggio e verso sera arrivammo all’accampamento di Sikasso (Mali). Qui finalmente trovammo acqua per lavarci e rinfrescarci un po’. Per la notte c’erano a disposizione dodici letti e uno sdraio. E la quattordicesima suora …? Ormai eravamo abituate a tutto, perciò la mancanza di un posto non causava problemi. Avanti di nuovo in direzione Bobo! Entrammo in città la Domenica delle Palme e ci sentimmo vicine a Gesù che entra solennemente a Gerusalemme. Di nuovo cercammo
Nessun bastimento era previsto, cosa fare? Così prendemmo una decisione forte: “partiremo via terra!” Era la sera del 19 marzo, festa di San Giuseppe. Dopo quattordici giorni di permanenza dalle suore di san Giuseppe di Cluny, prendemmo il treno per Bamako, circa trentasei ore di viaggio, con frequenti fermate presso le piccole stazioni, per fare rifornimento di acqua e di legna per il treno. Arrivammo a Bamako (Mali) verso le ore 10. La corda di una valigia si ruppe e il contenuto si sparse ovunque sul marciapiede! Qui bussammo alla porta delle suore Bianche, sempre quattordici suore. L’accoglienza in Africa è d’obbligo, anche se a volte causa non poche difficoltà. Bisognava trovare una soluzione al più presto. Come unica possibilità c’era la “Transahariana” che partiva una sola volta alla settimana per Bobo Diulasso (Burkina Faso), ma accettava solo sei persone alla volta. Una soluzione non buona per noi. Le Suore della casa trovarono finalmente un camionista diretto a Bobo che accettò di trasportarci. Eccoci dunque su un camion aperto, ben ammucchiate con le nostre valigie. Era con noi anche un Padre SMA. Di nuovo in viaggio con sempre tanta gioia nel cuore. La prima fermata fu a Bougouni (Mali)! Era notte inoltrata e l’autista aveva bisogno di qualche ora di riposo. In seguito ci rimettem-
ospitalità presso le Suore Bianche. Alla vista del gran gruppo rimasero confuse. Sentimmo di averle messe in imbarazzo… Ma superato il primo impatto, si diedero da fare per accoglierci nel migliore dei modi. Io ero molto presa dalle tante cose nuove da osservare e proprio in quell’istante scorsi una grossa lucertola che saettava sotto un albero di mango. A Bobo abbiamo trovato posto su un treno diretto ad Abidjan, capitale della Costa d’Avorio. Il treno era alimentato a legna… e non posso descrivere le scintille che ci cadevano addosso da ogni parte lasciando numerosi buchi sui nostri abiti di lana! Un’altra notte di viaggio e finalmente arriviamo ad Abidjan.
9 Avevo la febbre. Sono venuti a prenderci alla stazione per condurci nella nostra comunità situata nel quartiere “Plateau”. Ci ha accolte Madre Agathe, una donna straordinaria, amata da tutti per la sua bontà ed accoglienza. Per me è stata come una vera madre. Qui abbiamo potuto lasciare i nostri abiti neri, di lana ed indossare abiti bianchi più adatti all’Africa. Ci scambiamo le notizie, Madre Agathe era con noi e ci ascoltava con vivo interesse, era lei la responsabile in Costa d’Avorio delle
Missioni del nostro Istituto … Aveva il compito di mantenere le relazioni con il Consiglio Generale, residente a Lione. Ma essendo ancora l’Europa in tempo di guerra, la corrispondenza era quasi impossibile. Madre Agathe ci parla con passione di un progetto per i malati di lebbra: un Centro da realizzare a Adzopé. Un sogno meraviglioso ma quasi impossibile da attuare visto l’ampiezza del progetto e la mancanza di mezzi economici. Malgrado gli ostacoli, Madre Agathe con grande serenità e fiducia ci dice: “Se Dio lo vuole si realizzerà”. Affida tutto nelle mani di Dio e la sua grande fede in Lui non viene mai meno.
Eravamo partite in quattordici: alcune di noi erano già arrivate a destinazione mentre altre, dirette in Togo e in Dahomey (attuale Bénin), dovettero aspettare ancora due settimane la nave “MEDI II”, che le avrebbe portate a destinazione. Arrivò il giorno della partenza e della separazione, questo momento ci costò non poco, poiché eravamo da tempo abituate a vivere insieme come una grande comunità. Bisognava dirigersi al porto di Port-Bouet. Lo stile di imbarco qui era assolutamente divertente, ma solo per quelli che non soffrono il mal di mare. Infatti, per arrivare alla nave bisognava sfidare le onde dell’oceano su una canoa la quale conteneva tre ceste, ogni imbarcazione poteva prendere solo quattro persone. Arrivate a ridosso del bastimento una specie di gru fluttuante scese dall’alto, agganciò le ceste dove ci eravamo accomodate, e una dopo l’altra, ci sollevò nell’aria al di sopra della battigia per poi adagiarci sul ponte. Che meraviglia! La stessa cerimonia avvenne per lo sbarco. Dovevamo andare in Ghana (colonia del regno Britannico) in quatto suore. Pur non conoscendo l’inglese, siamo partite con fiducia e coraggio. La mia destinazione era a Ho dove c’era una nostra comunità aperta da poco con due consorelle olandesi (Isquiruiron e Ilarion). Incomincio a studiare l’inglese e a inserirmi nelle attività, fra le quali in particolare l’Internato per ragazze. Stare con queste giovani era la mia gioia. Ricordo che nei primi giorni ho aiutato anche a confezionare delle bandiere del Paese che festeggiava l’Indipendenza ottenuta da poco. Alcune suore furono destinate a Lomé, altre a Cotonou. Con noi c’erano anche sr Jeanne di Fada N’Gourma e Suor Marie Eleonora, dirette a Sakete per iniziare la formazione alla vita Religiosa e Missionaria. Finalmente tutte avevamo raggiunto la nostra destinazione e le nostre rispettive comunità. Era la prima settimana del mese di Maggio 1945. Sr Lina Manfredi, NSA
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Dalla missione
SETTANT’ANNI A PARAKOU
A
Parakou, nel cuore del Benin, le vita affinché questa popolazione potesse suore NSA hanno portato avanti avere accesso all’istruzione e quindi ad negli anni una missione educativa un maggiore sviluppo umano e sociale. particolarmente apprezzata dagli abitanti. Creata nel gennaio 1982 da sr Claire CalLe suore sono presenti da ben 69 anni! La let, che ne è la fondatrice, la scuola maDiocesi ha festeggiato i suoi 70 anni di terna «Les Hibiscus» ha avuto in seguito esistenza solo l’anno scorso, quindi si può diverse direttrici. Il personale che ci aiuta affermare che le nostre suore hanno partein questa missione educativa è costituito da cipato a pieno titolo agli inizi della storia sei maestre: la più fedele è Henriette, da cristiana di questa parte del Benin. più di 25 anni al servizio dei bambini! AbIo sono sr Agnès Tsogbedze. Insieme a biamo poi una segretaria e due guardiani. Sr Jeanne d’Arc Ayite e Sr Joséphine AGrazie alla scolarità, versata dai genitori, boagye costituiamo la comunità di suore la scuola funziona bene e arriva a poter NSA a Parakou. Viviamo nel quartiere di pagare il giusto salario al personale e le Wansirou, al centro di due parrocchie: St spese di manutenzione ordinaria dei locali. Joseph d’Allaga e St Laurent de Wansirou, Dal 2007, la scuola ha aperto una mensa quest’ultima creata da soli tre anni. Qui per i bambini, di cui l’attuale responsabile facciamo catechismo, animiamo una coè sr Joséphine Aboagye. rale, ci occupiamo dei vari movimenti per Vista la qualità dell’educazione e dell’inl’infanzia, dell’accompagnamento delle segnamento fornite dalla scuola, i genitori giovani aspiranti dei bambini hane delle CEB parno espresso il derocchiali (Comusiderio di avere nità ecclesiali di anche una scuobase). la elementare geLa nostra attività stita dalle suore. principale resta Per rispondere a comunque l’eduquesta esigenza cazione dei bamabbiamo avviato bini nella nostra le pratiche e ottescuola materna nuto l’autorizzaScuola dell’Infanzia “Les Hibiscus” «Les Hibiscus» zione nel 2013. nel quartiere Dall’ottobre di Kpébié. È una scuola rinomata, che ha quello stesso anno abbiamo iniziato i priuna lunga storia costruita dall’avvicenmi corsi di scuola elementare, composti da darsi di suore che hanno speso la loro circa 40 alunni per classe.
11 Quello che cerchiamo di dare ai bambini che ci sono affidati, è un’educazione completa, che stimoli il loro sviluppo fisico, intellettuale, morale, psicologico, sociale e religioso. Lo facciamo attraverso le diverse attività educative gestite dalle maestre. La nostra più grande gioia è di vedere i bambini crescere sotto i nostri occhi, imparare e fare nuove scoperte che li portano a sviluppare le proprie capacità. Toccare con mano alla fine dell’anno quanto hanno appreso, quando all’inizio non sapevano neanche dire ‘buongiorno’! Amo molto lavorare con i bambini. Sono semplici e veri. Adorano le feste e le uscite, ma sanno anche pensare a chi è ancora meno fortunato di loro. Ad esempio, in Quaresima, mettono da parte un po’ della loro merenda, per portarla agli orfanatrofi dei dintorni. Questi bambini mi aiutano a capire meglio il Vangelo, quando Gesù ci invita ad essere come loro. Danno facilmente la loro fiducia, ascoltano e metto-
no subito in pratica a casa i consigli delle maestre. Ad esempio, sull’importanza di lavarsi le mani. Quanti genitori affermano di averlo continuamente detto ai piccoli, che ora lo fanno regolarmente perché «lo ha detto la maestra» … Potessimo anche noi mettere in pratica con altrettanta fiducia gli insegnamenti del nostro Maestro… Interessante è anche la reazione di alcuni genitori musulmani. All’inizio hanno qualche remora a mandare il proprio figlio dalle suore, con la paura che venga convertito. Presto si rendono conto che ciò a cui teniamo è sviluppare in lui i valori della religione, del rispetto e della conoscenza reciproca. Come un genitore che un mese dopo l’iscrizione è venuto a versare la totalità della retta scolastica. «Non voglio che il mio bambino perda il posto in questa scuola. La maestra ha spiegato l’importanza della preghiera e lui la mette in pratica ogni giorno. Ci fa pregare tutti e spiega a chi lo ascolta il valore della preghiera…»
Amo molto lavorare con i bambini. Sono semplici e veri. Adorano le feste e le uscite, ma sanno anche pensare a chi è ancora meno fortunato di loro.
Scuola Primaria “Les Hibiscus”
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Dalla missione
Dispensatrice di vita sulle strade del mondo Suor Alice Djezou ci ha condiviso la sua esperienza del suo primo invio in missione come religiosa missionaria NSA.
È Dai bambini ho imparato anche il senso della puntualità. Se arrivo in ritardo e mi nascondo per passare inosservata, subito un bambino mi vede, urla gioioso «buongiorno!» e tutti gli altri bambini escono di classe per corrermi incontro e accogliermi con urla di gioia… Così ora faccio di tutto per essere puntuale… Mi fa riflettere la loro capacità di perdono, tanto sottolineata da Gesù. Quando vengono a segnalarmi che due bambini sono venuti alle mani o si sono insultati, non ho il tempo di raggiungerli che già stanno giocando beatamente insieme… Li guardo ogni tanto e penso al mistero che è l’uomo, a come Dio lo ha voluto in continua crescita, in continuo sviluppo, con l’orizzonte aperto davanti a sé, in piena libertà di scelta… e mi chiedo cosa diventeranno… un prete, un medico, un ministro, un presidente? Sarà buono, non lo sarà? Intanto, in questo cammino scolastico 2015, ci prepariamo a finire l’anno in bellezza: la festa di fine anno è prevista per il 18/19 giugno. L’augurio è di poter continuare il nostro cammino con loro in un reciproco dono di fede e di crescita umana. Sr Agnès Tsogbedze, NSA
trascorso un po’ di tempo da quando mi è stata fatta la proposta di dare la testimonianza della mia missione a Pobé, paese situato al centro del Benin, luogo in cui sono stata inviata per la prima volta, dopo la mia professione religiosa. (Abengourou - RCI il 26/07/2014) Inizialmente, la proposta di condividere la mia esperienza è stata accolta da me con molto entusiasmo, ma nel momento in cui ho preso la penna in mano, ho realizzato la difficoltà di parlare della propria esperienza missionaria, quando si diventa consapevoli che il protagonista principale è Lui il Maestro, Gesù stesso.
Sr Alice Djezou, NSA
13 Pensionato di ra
gazze a Pobè (B
Partendo da questa prima considerazione, con l’audacia stessa degli Apostoli, oso dire «la mia esperienza», con la consapevolezza di essere stata io stessa, uno strumento nelle mani del Signore. È Lui che mi ha condotto per mano è Lui che mi aiutata ad occuparmi di trentanove bambine e ragazze durante un intero anno scolastico. Il villaggio di Pobé è situato a circa sessantasei chilometri da Il meglio che ho potuto Porto-Novo, capitale pooffrire loro è stato l’amolitica del Benin, l’etnia re e l’affetto, con un’atautoctona di questo luotenzione particolare alla go si chiama Nagò. Sono varietà delle esigenze e arrivata il 22 settembre ai bisogni di ciascuna se2014, accolta con grancondo le diverse età. Le de gioia e fraternità daldifficoltà maggiori le ho le mie sorelle maggiori: avute quando le ragazze suor Rosita Kumapley, non ottenevano dei risultogolese e suor Clarisse tati tanto attesi. N’Guendotoingar, ciaNonostante queste diffidiana. Fin dal mio arrivo, (Gv 15, 16) coltà a cui mi dedico con le mie sorelle sono state cuore e dedizione, conservo nel mio cuosempre disponibili ad “iniziarmi” alla nuore la pace che deriva dal “cenacolo” quel va realtà: parlandomi della cultura di quel luogo privilegiato dove, noi suore NSA, luogo, della chiesa locale e di quella dioattingiamo la forza dello Spirito, «Quando cesana di cui ora facevo parte. avete fatto tutto quello che dovevate fare Nel mio apostolato di direttrice del centro dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto (pensionato) nato per accogliere giovani quello che dovevamo fare”» (Lc 17,10) studenti provenienti dai diversi villaggi A voi che vi fermate a leggere la mia piclimitrofi, ho avuto molte più gioie che cola storia, vi domando di pregare perché difficoltà. Sì! Sono molto felice di lavosia quel buon seme che porta la vita nel rare vicino a queste ragazze, la cui l’età cuore di queste ragazze che mi sono affivaria dai cinque ai venti anni, quindi dalla date, e che sia dispensatrice di vita, là dove scuola dell’infanzia alla maturità. Egli mi condurrà sulle strade del mondo. Io per loro ero alla volta direttrice, sorelSuor Alice Djezou la maggiore, e a volte, anche una madre.
Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga.
enin)
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Dalla missione
SONGHAI una fattoria
di agricoltura biologica
S
onghai, è un’azienda agricola biologica nata nell’ottobre del 1985 per iniziativa di Padre Godfrey Nzamujo, un religioso domenicano nigeriano che, dopo essersi laureato in agronomia, economia e informatica negli Stati Uniti, torna in Africa con la missione di distribuzione dei viveri “Usa for Africa”, a seguito di una gravissima carestia. Colpito dalle devastanti condizioni in cui versava la popolazione e con
la consapevolezza che l’Africa non poteva sopportare modelli di sviluppo importati dall’Occidente, decise di impegnarsi per la creazione di un progetto agricolo che fosse conforme alle esigenze e alle risorse africane. Trovò le condizioni favorevoli per operare nel 1985, a Porto Novo, dove prese forma un’agricoltura rispettosa della natura, in cui il riciclaggio delle materie prime e degli scarti dei prodotti avrebbe avuto un ruolo fondamentale. Il centro, situato nella capitale del Benin, impiega un esercito di operai e apprendisti, che lavora dall’alba al tramonto coltivando frutta, verdura e riso ma, anche pesci, maiali, pollame ed altri animali di allevamento. “A Songhai, giovani ingegneri e studenti dalle Università del Paese, vengono per apprendere e sperimentare le tecniche che ci permettono di allevare pesci con i resti dell’allevamento dei polli e dei bovini, oltre a batteri e
Il “Progetto Songhai”: una rivoluzione ecologica in Africa occidentale
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Padre Godfrey Nzamujo
mosche. Nei periodi di secca, gli impianti di piscicoltura vengono trasformati in campi per la coltivazione della soia e del
cotone. Inoltre recuperiamo e mettiamo in funzione molte macchine agricole antiquate per l’Europa e gli Stati Uniti, ma estremamente utili qui”. L’acqua delle vasche in cui sono allevati i pesci viene depurata attraverso la presenza di alcune piante come il “giacinto d’acqua” e può essere riciclata per l’irrigazione dei campi. A Songhai tutto è importante ed esiste una rigorosa raccolta differenziata delle materie organiche. Gli antiparassitari vengono ottenuti dalle foglie di “neem”, un albero molto diffuso nella regione. E una scoperta di Elliot Wilson, responsabile del reparto ricerca e sviluppo: pestando le foglie e i semi di questo albero si ottiene un prodotto assolutamente innocuo, meno efficace di un pesticida chimico, ma capace di allontanare i parassiti dalle piante per almeno due settimane e senza contaminare l’ambiente. L’attenzione all’ecosistema è prioritaria e quindi non si produce energia attraverso
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Dalla missione
. la combustione del legno. Per evitare il disboscamento si utilizza il metano prodotto in apposite cisterne dove vengono fatti fermentare rifiuti vegetali ed escrementi di animali. Come può un contadino africano comprare assiduamente sementi e pesticidi dall’Occidente... P. Nzamujo si proponeva aiutare gli africani ad aumentare il loro rendimento agricolo con tecniche semplici, senza ricorrere a pesticidi o concimi nocivi all’ambiente, con lo scopo anche di abbassare i costi di produzione preservando l’ambiente. Dopo trent’anni l’obiettivo può dirsi raggiunto. Il suo segreto è imitare la natura, valorizzare i batteri “buoni” già presenti nel suolo per avere il massimo di produzione senza ricorrere alla chimica. Oggi il rendimento di “Songhai” parla da solo: la fattoria produce sette tonnellate di riso per ettaro, tre volte all’anno mentre agli inizi era una sola tonnellata per anno. La ricerca di uno sviluppo autogestito, indipendente e durevole è l’obiettivo di questo progetto. Songhai è, infatti, sia un Centro di formazione che di ricerca. Semestralmente vengono scelti trenta allievi che possono studiare e vivere sul posto
gratuitamente per diciotto mesi. In questo periodo ricevono una formazione fatta in aula e sul campo, che ha come scopo quello di dare le competenze, anche finanziarie, per aprire una fattoria ecologicamente autosufficiente. È in crescita la partecipazione delle donne ai programmi di Songhai, cosa che permette loro di emanciparsi socialmente e di poter accedere al possesso di aree agricole. L’Africa diventa la protagonista principale della sua emancipazione che ha connotati diversi da quelli della nostra storia economica. Significativo a riguardo quanto padre Nzamujo ha dichiarato a Enrico Bartolucci, giornalista del bimestrale Africa: “In occidente l’agricoltura biologica è quasi un passatempo per ecologisti snob. Qui invece è l’unica via possibile. Oggi la sua opera è diventata un progetto-pilota per l’intera Africa. Tutto viene portato avanti seguendo un principio ben definito «Nulla si perde, tutto si trasforma». Possiamo affermare che oggi Songhai riesce a fronteggiare una triplice sfida per l’Africa: la povertà, l’ambiente e i giovani. È, come dice p. Nzamujo, “un’Africa che rialza la testa!”.
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COSTRUIAMO
UN GIARDINO DI PACE
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Dalla missione Un bambino, un insegnante, un quaderno e una penna, possono cambiare il mondo
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on queste parole di Malala Yousafzai, premio Nobel per la Pace 2014, vogliamo presentare il nuovo progetto che fa seguito a quello che, negli passati, avevamo dedicato ai “nipotini di Zorgho” che abbiamo accompagnato fino al termine del ciclo delle Elementari, con la speranza di averli aiutati a continuare al meglio il loro cammino di formazione. Un’altra tappa ci attende, in un altro villaggio di questo magnifico Paese che amiamo tanto. Amèlie, la nostra amica insegnante
è pronta, e noi con lei, per un nuovo cammino che parte da un villaggio del Burkina Faso che si chiama ZINIARE. Qui le è stata affidata una Prima Elementare con 97 alunni, ragazzi e ragazze ai quali è stata offerta la grande opportunità di andare a scuola. Anche noi come Malala crediamo che “un insegnate, una penna ed un quaderno possano cambiare il mondo!” Crediamo inoltre che quando ci sono persone appassionate di giustizia, assetate di pace, convinte che la dignità della persona è il bene più grande dell’umanità, tutto è possibile. È il grande sogno di favorire l’incontro fra popoli di razza, cultura, religioni diverse, sempre che ci siano sincera buona volontà, amore alla verità, apertura di cuore e di mente. Alla luce di questi valori abbiamo tracciato un “piccolo” Progetto al centro del quale vi è un gruppo di ragazzi e di ragazze con la loro personalità, i loro sogni, le loro diffi-
19 I VALORI Approfondire e sperimentare (a partire dal proprio ambiente) i valori che compongono la pace quali l’amicizia, il rispetto reciproco, la solidarietà … Aiutare ciascun alunno a scoprire le proprie ricchezze personali, i talenti, le capacità, stimolandolo ad accogliere e valorizzare quelle degli altri. Conoscere e fare propri i contenuti della “Convenzione dei Diritti del bambino” emanata dall’ONU nel 1989 per proteggere i diritti dell’infanzia e migliorare le sue condizioni di vita. coltà… noi vogliamo essere una presenza amica che aiuta ed incoraggia. “Cerchiamo la Pace per far fiorire il mondo” è il sogno che un’insegnante di un villaggio del Burkina Faso (Ziniarè) vuole far vivere ai suoi alunni con il quale ha iniziato un nuovo ciclo delle Elementari (CP1). Il desiderio è di fare di questa classe, anche se piccola e povera, un “Giardino di Pace”. Amèlie è nostra amica da tanti anni e vive la sua professione di insegnante come una missione, con passione e dedizione assoluta verso i suoi ragazzi che vuole far “crescere” soprattutto come persone. La sua nuova avventura (dopo i sei anni trascorsi a Zorgho) ha avuto inizio il primo ottobre 2014 a Ziniarè quando le sono stati affidati 97 alunni, ragazzi e ragazze che dovrà accompagnare per i prossimi 6 anni. Noi da tempo “camminiamo” con lei ed insieme abbiamo preparato questo nuovo Progetto, molto semplice ma, a nostro avviso, ricco di solidarietà e di speranza.
IL SOSTEGNO La classe che ha accolto gli alunni di Amèlie ha il tetto in paglia. I genitori si sono attivati per rafforzarla affinché non soffrano troppo il caldo. Mancava però quasi del tutto il materiale in particolare i banchi: la classe ne aveva 15 ma ne mancavano 18 per dare un posto a sedere ad ogni alunno (tre per banco). Un Gruppo di Amici ci ha aiutati (40 euro per ogni banco) e finalmente tutti gli alunni possono seguire le lezioni stando seduti. Abbiamo anche comperato una lavagna, assicurato ai ragazzi più poveri una piccola merenda ogni giorno. E, soprattutto, dato un aiuto all’insegnate: Aliseta, una giovane che segue a parte gli alunni che hanno maggiore difficoltà soprattutto con la lettura. “Colui che indica la via, dona la vita” ci ricorda un saggio proverbio africano con il quale salutiamo tutti cordialmente, certe che l’Amicizia potrà continuare!
Il desiderio è di fare di questa classe, anche se piccola e povera, un “Giardino di Pace”.
Grazie infinite da Amèlie, Aliseta e da sr Marisa Bina.
Adesso parliamo noi
ROMPERE LE CATENE
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Gregoire
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uando sono partita verso Feriole, per andare al week-end di formazione per la mia prossima partenza in Costa d’Avorio, mai mi sarei aspettata di fare un incontro così profondamente importante e toccante. Io sono una persona che non crede al caso, ma che è invece convinta che tutto ciò che si vive e di cui si fa esperienza ha un motivo, che spesso nessuno di noi riesce a riconoscere o intuire. Arrivata a Feriole, tra le tante persone che ho avuto modo di conoscere, si è presentato anche Gregoire, vestito in modo molto semplice, dal tono gentile ed educato. Purtroppo, non essendo il mio francese molto fluente, la nostra prima conversazione non è stata delle più approfondite, giusto qualche parola su argomenti “leggeri”, se così si possono definire. Suor Annamaria mi ha poi detto che quella sera avremmo assistito ad un incontro da lui tenuto in una parrocchia vicina, scatenando così la mia curiosità. Ho così scoperto che dietro quella persona che si presentava in maniera così semplice ed umile c’era un mondo. Un mondo fatto di fede, sacrifici, speranza, sconfitte, saggezza e ancora molto, molto di più. Gregoire Ahongbonon nacque in una famiglia cattolica, ma con l’arrivo della prosperità economica abbandonò la fede privilegiando uno stile di vita più libertino. Quando meno se lo aspettava però, tutto il mondo che si era creato, dove la felicità era fondata sui beni materiali, gli crollò addosso. A quel punto, decise che era il momento di dare una svolta alla sua vita e andò in pellegrinaggio a Gerusalemme, grazie all’aiuto di un sacerdote al quale si era rivolto durante il periodo più nero della sua vita. Durante la sua breve permanenza nella Città Santa, ascoltò un’omelia in cui il prete disse: “Ogni cristiano deve posare una pietra per costruire la Chiesa”. Questa frase lo colpì parecchio e si chiese quale fosse, appunto, la sua pietra, cosa avrebbe dovuto fare lui per contribuire alla costruzione. Tornato in Africa, si rese conto che aveva avuto di fronte agli occhi una grave piaga, ma che era sem-
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Comunità SMA-NSA, Caterina, Roberta, Gregoire Carolina
pre stato indifferente davanti ad essa, quasi cieco: la piaga dei malati mentali. Infatti, in paesi come la Costa d’Avorio, il Burkina, il Togo, il Benin ed il Ghana, i malati mentali vengono legati con delle catene agli alberi o a tronchi, oppure lasciati liberi per strada, in quelle condizioni rimangono per anni davanti agli occhi di tutti, così che possa morire, insieme a loro, anche il demone che portano dentro - come dicono le loro credenze. Gregoire ha capito che il compito affidatogli da Dio era proprio quello di liberare queste persone dalle catene e curarli. Non essendo medico né tantomeno psicologo, il suo metodo consiste nell’affermare che non bisogna avere paura di queste persone, che solo l’amore può guarirli, il saper riconoscere in ogni essere umano una pari dignità, nonostante la malattia mentale sia considerata come presenza del male. Gesti semplici come una doccia, il taglio dei capelli, un abito pulito… possono essere azioni che dispongono il malato a sentirsi accolto e amato. Con gli anni, psichiatri e psicologi da diverse parti del mondo hanno notato il suo operato e hanno deciso di mettere a sua disposizione le loro conoscenze, così che ora nei suoi centri ci sono anche medicinali e personale competente. Egli ne ha aperti diversi, curando migliaia di persone, reinserendole nelle loro famiglie e comunità. Inoltre, alcuni dei “guariti” lavorano nei centri, così che coloro che arrivano per essere curati si rendano conto che effettivamente si può tornare ad avere una vita normale. Uno dei fattori che più mi ha colpito
della personalità di Gregoire è la sua umiltà, come lui sia profondamente grato a Dio per aver scelto proprio lui per un compito così importante, per averlo salvato nel momento del bisogno. Durante tutto la sua testimonianza ha spesso ripetuto come noi non dovessimo ringraziare lui per il suo operato, bensì Dio, perché è lui a dargli la forza ed il coraggio per fare quello che fa, e come la provvidenza sia ciò su cui si basa la sua vita. Gregoire chiede preghiera, non fama. Inutile ripetere che questo incontro mi ha aperto gli occhi, mi ha toccato nel profondo, ha smosso qualcosa in me. Noi occidentali pensiamo spesso che le nostre tecnologie possano risolvere ogni genere di problema e che noi, in quanto detentori di questa grande ricchezza, siamo la cultura superiore a tutte le altre. Converrebbe domandarci più spesso se forse non siamo noi a sbagliare: non siamo forse noi i primi a temere le persone con disturbi mentali? Abbiamo mai pensato che forse l’amore possa essere la prima cura per questo genere di problema? Quante volte rimaniamo indifferenti davanti a problematiche che non sembrano toccarci direttamente? Gregoire Ahongbonon non ha solo già spezzato, ma ancora spezza e spezzerà ancora migliaia di catene, non solo fisiche, soprattutto morali. Egli libera i malati di mente in Africa, ma tenta anche di liberare noi occidentali dalle catene di egoismo, etnocentrismo e indifferenza che troppo spesso ci tengono prigionieri dei nostri schemi. Carolina Meroni
Ogni persona è un dono
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Adesso parliamo noi
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ristina Pezzolato, della parrocchia di Tencarola (PD), ci ha rilasciato la sua testimonianza. Dal 30 aprile al 3 maggio, suor Giuliana ed io, siamo state ad Assisi per il convegno missionario giovanile (COMIGI) che si è tenuto presso l’Hotel Domus Pacis, a Santa Maria degli Angeli. Siamo arrivate il pomeriggio del 30 e, dopo la sistemazione nelle stanze, è iniziato il convegno. Durante la prima serata non si è svolta alcuna attività particolare, ma è stata un’ottima occasione per guardarsi attorno e cominciare a familiarizzare con tutte le persone che c’erano. Erano tantissime, in gran parte giovani, e venivano da ogni parte d’Italia, soprattutto dal sud. I pasti erano sempre un ottimo momento per fare nuove conoscenze e parlare ogni volta con tante persone diverse, e questo scambio mi ha arricchito moltissimo. Ho avuto poi il privilegio di avere due compagne di stanza veramente aperte e accoglienti; siamo entrate subito in confidenza
e abbiamo condiviso molto della nostra esperienza, della nostra vita con grande spontaneità e fiducia. I due giorni successivi erano così strutturati: la mattina, dopo la colazione e la preghiera introduttiva della giornata, si teneva una conferenza su un personaggio
erano mai visti prima, di età diverse, che il giorno in cui si sono conosciuti avevano vite totalmente differenti. Tutti e tre hanno incontrato un uomo speciale, carismatico, forse un profeta, un grande predicatore, che scopriranno poi essere il Figlio di Dio, e di Lui si sono
del Vangelo vicino a Gesù: Tommaso per la prima mattina, per il pomeriggio Giovanni, il discepolo amato e Maria Maddalena per la seconda mattinata. Tre personaggi che non si
innamorati perdutamente. Veniva contestualizzata la loro figura all’interno del Vangelo, riferendosi agli episodi che la riguardavano mettendone in evidenza alcune caratteristiche; at-
23 traverso la riflessione sulla storia di questi personaggi si cercava poi di instaurare anche un confronto con il nostro presente e di capire quali insegnamenti potevamo trarre per la nostra vita dalle esperienze di questi tre discepoli di Cristo. Per me, tutte e tre le conferenze sono state ricche di spunti interessanti, soprattutto quella su Tommaso: mi hanno permesso di riflettere profondamente su alcuni aspetti della mia vita e della mia fede, trasmettendomi più fiducia in Dio e una maggior serenità nel mio rapporto con Lui.
Inoltre mi hanno dato la possibilità di approfondire le mie conoscenze rispetto al Vangelo e alla storia di questi tre personaggi, e in questo le ho trovate particolarmente utili.
Cristina (al centro) con i ragazzi del suo laboratorio.
Dopo le conferenze c’erano “le officine missionarie”, cioè dei laboratori di gruppo in cui ci si riuniva per riflettere insieme su un determinato tema; si trattava di una riflessione legata al mondo della missione e ai tre personaggi del Vangelo che facevano da protagonisti in questo convegno. Nel nostro gruppo, in cui eravamo circa dodici persone, il tema principale, che abbiamo scoperto a poco a poco, è stato quello dell’ascolto e del dialogo. La dinamica centrale in questo laboratorio, e quindi in tutte le attività svolte, era quella dell’immedesimazione nel prossimo: ci scambiavamo reciprocamente i nomi, assumendo l’uno l’identità dell’altro, e facevamo giochi divertenti che sviluppassero in noi questa capacità d’immedesimazione. Ci siamo anche divisi a coppie in cui uno raccontava all’altro qualcosa di sé a partire da tre domande fondamentali,
e poi ciascuno dei due a turno condivideva con l’intero gruppo ciò che il compagno gli aveva detto, fingendo però di parlare di sé. Abbiamo svolto anche altre attività molto particolari, che avevano in fondo un determinato significato e un particolare insegnamento da darci, ma quest’ultima mi ha colpito di più. È stato infatti molto curioso sentire qualcun altro che parlava di me agli altri come se stesse parlando di sé; le tre domande in questione poi erano parecchio impegnative e hanno richiesto molto sforzo e molta riflessione da parte mia. Ho anche sviluppato una maggiore capacità di ascoltare il prossimo e di interessarmi a lui, accogliendo come un dono e come un grande arricchimento personale le confidenze della ragazza con cui ero in coppia. Direi quindi che sono state delle attività piuttosto intense ma ne ho ricavato anche molto piacere e soddisfazione.
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Adesso parliamo noi Un altro momento per me memorabile è stato quello del pellegrinaggio ad Assisi, che ha occupato tutto il sabato pomeriggio e l’intera serata. Siamo partiti dalla Chiesa di Santa Maria degli Angeli, dopo il saluto e il discorso del Vescovo di Perugia, e siamo arrivati ad Assisi circa un’ora dopo; abbiamo fatto una sosta alla Basilica di san Francesco e infine ci siamo diretti alla Chiesa di san Rufino, che era la vera meta del pellegrinaggio. È stata una processione molto coinvolgente e un po’ caotica, con moltissimi canti di animazione improvvisati; inoltre eravamo in tantissimi e abbiamo letteralmente invaso la cittadina; la gente che stava lì ci guardava sbalordita. È stato un momento decisamente sfrenato e molto divertente, anche se io ho preferito tenermi un po’ in disparte per godermi la pace di quel luogo e la serenità che si respirava nell’aria. A quel punto mi è venuto quasi spontaneo mettermi in comunione con Dio, ricavando dentro di me uno spazio tutto riservato a Lui e alla preghiera. È stata un’esperienza che mi ha toccato in profondità spingendomi a fare chiarezza dentro di me, nei miei pensieri e soprattutto nel mio cuore. La serata poi si è conclusa con una suggestiva passeg-
giata notturna di ritorno da Assisi, anche se questa volta eravamo solo io e suor Giuliana perché gli altri hanno preferito prendere il pullman. Il giorno dopo, l’ultimo del convegno, dopo la consueta preghiera del mattino è stata fatta una sintesi di quanto detto nei giorni passati ed è stato dato il messaggio conclusivo. Ho trovato che questo fosse particolarmente utile, perché mi ha permesso di riordinare le idee e di chiarire tutto quello che di prezioso e importante avevo appreso nel tempo trascorso lì. Alla fine, dopo una messa intensamente partecipata, ho cercato di salutare quante più persone possibile, e così ci siamo congedate da quel posto. Ciò che mi porto di più nel cuore dopo questa esperienza sono stati: il luogo, nel quale ho respirato un’atmosfera di grande leggerezza e serenità, e le persone che ho incontrato. Ciò che mi hanno indirettamente insegnato è stato il fatto di non avere paura del prossimo, di non innalzare muri davanti a sé nel rapporto con l’altro né di percepirlo come un nemico. Ogni persona è un dono ed è speciale a modo suo, ed è bello scoprirla progressivamente e non aver paura di accoglierla e di lasciarsi accogliere da lei. Cristina Pezzolato
Domenica 7 giugno, giorno del Corpus Domini, abbiamo festeggiato la 5a “Festa delle Famiglie” presso la “nostra” casa SMA-NSA di Feriole
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Festa delle famiglie 5a Edizione
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rima di raccontarvi come è andata, condivido con voi alcune riflessioni che sono nel mio cuore. La prima festa delle famiglie a cui abbiamo partecipato attivamente è stata a settembre del 2013. Da allora si è creato gruppo di coordinamento di amici SMANSA che si trovavano per pensare ed organizzare l’evento. Questo gruppo si è allargato fino a contare che chi ci mette testa e cuore sono 14 laici accompagnati da Suor Annamaria, Padre Lionello e Padre Lorenzo. Perché una festa delle famiglie alla SMANSA? È da tempo che nel corso della festa di settembre, la seconda domenica sia dedicata alla famiglia in senso “allargato”. È il giorno in cui persone provenienti da mon-
di, lavori, problemi, razze e culture diverse si trovano insieme per celebrare l’Eucarestia domenicale plasmata da canti, colori e preghiere del mondo. Giornata in cui si mangia e gioca insieme senza distinzione di età, status o provenienza. Noi organizzatori, spinti e supportati dal Coordinamento SMA-NSA, abbiamo riproposto la festa anche in versione invernale e primaverile, proprio come questa di giugno, vissuta per salutarci prima delle vacanze estive. Sabato 6 giugno ci siamo trovati alle 14.30 e prima di iniziare la parte operativa dell’incontro ci siamo seduti davanti ad una buona tazza di caffè. In quel momento ho chiesto ai miei amici il perché ci trovassimo lì in quel caldo pomeriggio. Mi hanno guardato un po’ stranamente,
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Adesso parliamo noi chiedendosi se avessi la febbre o avessi mangiato qualcosa di strano. Dopo mesi di lavoro intenso sentivo che qualcosa mancava dentro di me … dovevo conoscere qual’era la miccia che spingeva ognuno di noi a donare tempo, energie e risorse ad organizzare una festa di tali dimensioni. Sapete com’è … non è semplice pensare e realizzare la giornata in tutti i suoi particolari, non è semplice ipotizzare se verranno quattro o quaranta famiglie …, soprattutto se si devono programmare spazi, giochi, cibo e bevande, non è facile decidere e gestire come coinvolgere gli amici SMA-NSA del territorio per renderli attori principali alla festa, non è facile trovare tempo oltre il lavoro, la famiglia, la scuola, la catechesi, gli impegni parrocchiali, non è facile…. Le risposte sono state commoventi: “io vengo perché sto bene con voi, ho voglia di divertirmi e poi se qualcuno verrà sono felice per lui e con lui nel condividere la nostra gioia di giocare e pregare insieme; io vengo perché mi piace stare alla SMA-NSA; non importa quante famiglie verranno, non sono di certo i numeri che cerchiamo ma ciò che è importante è la persona”. Incontrarsi per organizzare la festa è diventato un’occasione per stare insieme, certo buona parte del lavoro poteva essere fatto da soli a casa, ma da soli non sarebbe stato divertente, in compagnia si costruisce meglio e con le idee di tutti si ottengono migliori risultati. Lo scopo dell’invito alle varie famiglie a venire a divertirsi con noi non deve essere il grande numero di partecipanti, bensì che quelli venuti si siano divertiti, contagiati solo dalla gioia di stare in compagnia felici e spensierati; per gli altri peccato … sarà per la prossima festa. Vedere che gli adulti si divertivano più dei bambini è stato favoloso, accompagnavano i bambini ai giochi, ma poi si appassiona-
vano più dei loro figli, usando l’alibi per fare riemergere il fanciullo celato in loro, coperto da problemi e responsabilità, e che in questa festa si poteva liberare, passando una giornata in serenità. A volte i genitori hanno ancor più bisogno dei figli di un angolo di gioco in un luogo protetto e sicuro, in modo da rilassarsi, non più soli a portare il carico della responsabilità della sicurezza per i loro figli. Condividere il proprio tempo, consapevoli del privilegio che Dio ci dona divertendoci e facendo divertire gli altri è il riassunto di una giornata (che è) iniziata con la messa di accoglienza nelle Sue mani e terminata con una preghiera fatta tenendoci per mano, a ringraziamento per il dono della bella giornata trascorsa insieme. Alla prossima festa!!!! Marta e Vittorio
La comunità Missionaria SMA-NSA ha organizzato un viaggio in Costa d’Avorio di tre settimane: dal 27 luglio al 17 agosto 2015. Un’esperienza umana e cristiana aperta ai giovani, a chi vuole crescere nella fede e allargare gli orizzonti del proprio cuore.
Per questo viaggio partiranno: Caterina e Roberta della diocesi di Padova Carolina della Diocesi di Milano Le accompagniamo con la preghiera.
Buon Viaggio! Nel prossimo numero di settembre troveremo le loro testimonianze.
Viaggio in Costa d’Avorio
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NSA: Nuovi Stili di Annuncio
UN CIBO DA CONDIVIDERE “U
n cibo da condividere” è il titolo dato al secondo dei quattro temi proposti dalla Santa Sede per l’EXPO 2015, ora in pieno svolgimento. Insieme alla ‘salvaguardia del creato’, il tema del ‘cibo per tutti’ è un ambito imprescindibile nell’agenda dei governi mondiali. Così come della Chiesa. Vediamo di approfondirlo. “Produrre abbastanza cibo per tutti è una condizione necessaria, ma non sufficiente per la sicurezza alimentare. Le persone non soffrono la fame perché il cibo non è disponibile, ma perché non vi hanno accesso.” Questa è l’affermazione dell’attuale direttore generale della FAO, J.G. Da Silva, agronomo e docente universitario brasilia-
no. Non c’è mai stato così tanto cibo. Allora perché nel mondo 805 milioni di persone soffrono la fame? In termini strettamente quantitativi, c’è cibo a sufficienza per sfamare l’intera popolazione mondiale di oltre 7 miliardi di persone. Eppure, una persona su 9 è affamata… Il centro del problema è proprio in questo: il cibo per tutti c’è, semplicemente non è condiviso. INDICE GLOBALE DELLA FAME 2014: la sfida della fame nascosta L’Indice globale della fame è uno strumento statistico per la raccolta di dati sulla fame nel mondo e sulla malnutrizione nei diversi Paesi. Il rapporto viene sviluppato annualmente dalla FAO.
29 Il rapporto 2014 mette in luce come, nonostante gli evidenti miglioramenti registrati dal 1990, il livello di fame nel mondo resti ancora preoccupante. Sono infatti 2 i Paesi in condizioni estremamente allarmanti (Eritrea e Burundi), 14 in condizioni allarmanti e 39 gravi. Tra le regioni in condizioni estremamente allarmati, le più gravi restano l’Africa Subsahariana e l’Asia Meridionale. Tema del rapporto 2014 è la fame nascosta, ovvero una forma di sottonutrizione che si verifica quando l’assunzione e l’assorbimento di vitamine e minerali sono troppo bassi per garantire buone condizioni di salute e sviluppo. La malnutrizione colpisce più di 2 miliardi di persone nel mondo, impedendo loro di sopravvivere e diventare membri produttivi della società, mantenendo i Paesi in un ciclo continuo di scarsa nutrizione, salute, produttività e povertà. Quindi, la fame non significa solamente mancanza reale di cibo. Essa si manifesta anche in forme più nascoste. La mancanza di micronutrienti, ad esempio, espone le persone a contrarre più facilmente le malattie infettive, impedisce un adeguato sviluppo fisico e mentale, riduce la produttività nel lavoro e aumenta il rischio di morte prematura. In sintesi, possiamo dire che a livello mondiale, il rischio maggiore per la salute degli individui è rappresentato dalla fame e dalla malnutrizione, più che dall’azione combinata di AIDS, malaria e tubercolosi!
• I conflitti: dal 1992, la percentuale delle crisi alimentari causate dall’uomo, di breve o lunga durata, è più che raddoppiata a causa delle guerre, passando dal 15 al 35 per cento. Dall’Asia all’Africa all’America Latina, i conflitti costringono milioni di persone ad abbandonare le proprie case e causando tra le peggiori emergenze alimentari globali. • La povertà endemica: nei paesi in via di sviluppo gli agricoltori spesso non possono permettersi l’acquisto di sementi sufficienti a produrre un raccolto che soddisferebbe i bisogni alimentari delle proprie famiglie. Agli artigiani mancano i mezzi per acquistare il materiale necessario a sviluppare le proprie attività. Molti altri non hanno né acqua, né terra né l’istruzione necessaria a costruire le fondamenta di un futuro sicuro. • L’assoluta scarsità di infrastrutture per l’agricoltura: il miglioramento delle tecniche agricole rappresenta la soluzione più immediata alla povertà e alla fame. Tuttavia, ancora troppi paesi in via di sviluppo mancano di infrastrutture adeguate a sostenere l’agricoltura, come strade, depositi e canali d’irrigazione. Di conseguenza, i costi dei trasporti sono alti, mancano le strutture per l’immagazzinamento e le risorse idriche sono inaffidabili. • Lo sfruttamento eccessivo dell’ambiente: tecniche agricole arretrate, deforestazione ed eccessivo sfruttamento dei campi e dei pascoli stanno mettendo a dura prova la fertilità della terra e aprendo la strada al rischio della fame.
“Produrre abbastanza cibo per tutti è una condizione necessaria, ma non sufficiente per la sicurezza alimentare. Le persone non soffrono la fame perché il cibo non è disponibile, ma perché non vi hanno accesso”.
Quali sono le cause principali della fame? • I disastri naturali: si registra un aumento di inondazioni, tempeste tropicali e lunghi periodi di siccità.
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NSA: Nuovi Stili di Annuncio Cosa dice la Chiesa? Quando il cibo viene condiviso, niente va perduto La Chiesa è in prima linea in questa lotta. Papa Francesco, come i suoi predecessori, ha parlato più volte di questa piaga mondiale, sottolineando sempre con vigore quanto essa sia contraria al Cristianesimo, il cui Fondatore stesso si è fatto cibo per il mondo. Chi non si preoccupa della fame del fratello non può dirsi cristiano. Così diceva ad esempio nel 2013: “Se muore una persona non è notizia, se tanti bambini non hanno da mangiare non è notizia, sembra normale, non può essere così. Non abituiamoci al superfluo e allo spreco di cibo (…) L’agricoltore cura la terra perché dia frutto e perché questo frutto sia condiviso: è una indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi, è parte del suo progetto, vuole dire far crescere il mondo con responsabilità, farlo crescere perché sia un giardino abitabile per tutti”. “Fanno notizia gli indici di borsa e non le persone e i bambini che muoiono di fame, dobbiamo condannare la cultura dello spreco. Guardiamo piuttosto al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Con il miracolo, avanzano 12 ceste, non ci sono scarti. Il 12 rappresenta simbolicamente le tribù di Israele, cioè tutto il popolo, e questo ci dice che quando il cibo viene condiviso, niente va perduto: ecologia umana e ecologia ambientale camminano insieme”.
è chiaro: dimezzare la proporzione del numero degli affamati. Per farlo occorre oggi un nuovo approccio che si basi sulla creazione di sistemi alimentari più sostenibili. Il mondo è pieno di affamati perché le risorse sono mal distribuite. Per questo non è sufficiente aumentare la produzione alimentare, ma combattere la lotta su più piani: da una parte sviluppare l’agricoltura nelle zone più povere, proteggendo le economie rurali, e dall’altra correggere certi effetti dell’economia globalizzata: caduta dei prezzi dei prodotti agricoli, diffusione incontrollata delle colture industriali volute dai gruppi economici più forti, liberazione dei contadini e dei paesi poveri dal giogo dell’indebitamento. È necessario che i bisogni ed i contributi dei paesi in via di sviluppo ottengano una giusta considerazione nel commercio mondiale. A livello personale, è importante prendere coscienza del problema e attivarsi contro gli sprechi alimentari in modo sempre più convinto. 222 milioni di tonnellate di cibo vengono sprecate ogni anno nei Paesi industrializzati, una cifra pari alla produzione alimentare dell’intera Africa Subsahariana! Impariamo a mangiare meno e meglio, privilegiamo i produttori locali, compriamo solo quanto necessario, scegliamo prodotti semplici e di stagione e impariamo a riutilizzare scarti e avanzi! Contro le guerre non possiamo molto, è vero, ma tutti gli uomini devono e possono battersi per la tutela dei diritti umani. Non può esserci sviluppo se questo non è planetario, ed obiettivi dello sviluppo so-
L’agricoltore cura la terra perché dia frutto e perché questo frutto sia condiviso: è una indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi, è parte del suo progetto.
Cosa possiamo fare? Non solo più cibo, ma più condivisione A livello mondiale, l’obiettivo di Sviluppo per il Millennio proclamato dall’ONU
31 suggerimenti su un’agricoltura sostenibile. È un’iniziativa che vede uniti i cittadini, che possono dare la loro adesione attraverso internet (www.protocollodimilano.it) L’iniziativa, lanciata all’edizione 2013 del Forum Internazionale del BCFN, chiede alla società civile di partecipare alla definizione del Protocollo. La versione finale è presentata in occasione di Expo Milano 2015. L’intenzione è di “lasciarci alle spalle un mondo in cui la fame e lo spreco convivono, in cui la produzione di biocarburanti e mangimi non tiene conto della scarsità di acqua e alimenti, in cui l’obesità in un paese contrasta con la denutrizione in un altro”. Il “Protocollo di Milano” unirà cittadini e istituzioni per affrontare il problema della sostenibilità alimentare con tre obiettivi:
no quelli di assicurare una condizione di vita dignitosa, un’alimentazione adeguata, un’assistenza sanitaria, istruzione, lavoro e protezione contro le calamità. Possiamo sostenere i programmi internazionali; diffondere il messaggio al fine di sensibilizzare sempre più le persone; promuovere incontri e programmi di intervento educativo; attivarci con i media per diffondere l’obbligo della difesa dei diritti umani. Se lo faremo, metteremo semplicemente in pratica ciò che il Signore ci chiede. Nell’episodio della moltiplicazione dei pani, il miracolo lo compie Lui, ma solo attraverso il nostro impegno. Sentiamoci interpellate dalle sue parole: “Date loro voi stessi da mangiare…” Un esempio: il protocollo di Milano sull’alimentazione e la nutrizione (3/04/15) È un movimento della società civile che vuole affrontare le sfide dell’alimentazione attraverso l’adesione ad un Protocollo di
FAME ZERO E STILI DI VITA SANI Il paradosso: Oggi, per ogni persona malnutrita, due sono sovrappeso. Circa 805 MILIONI di persone nel mondo soffrono la fame ogni giorno, mentre 2,1 MILIARDI sono obese. 36 MILIONI ogni anno muoiono per mancanza di cibo, mentre 29 MILIONI periscono per malattie dovute ad un eccesso di cibo. Questo squilibrio non è soltanto insostenibile, ma immorale. Cosa possiamo fare per colmarlo? La proposta: Sradicare la fame e la malnutrizione fornendo a tutte le fasce della popolazione l’accesso permanente al cibo. Porre al contempo un freno all’obesità promuovendo una cultura di prevenzione sull’impatto di una corretta alimentazione sulla salute e incoraggiando stili di vita sani. DIFFONDERE L’AGRICOLTURA SOSTENIBILE Il paradosso: Oggi, un terzo dei raccolti è impiegato per produrre mangimi e biocarburanti, nonostante il dilagare della fame e della malnutrizione. La domanda globale di biocarburanti arriverà a 172 miliardi di litri nel 2020, richiedendo la conversione di altri 40 milioni di ettari di terreni alla
NSA: Nuovi Stili di Annuncio coltura per carburanti. Questa situazione rappresenta uno spreco e in più aggrava la carenza mondiale di cibo. La proposta: Promuovere forme di agricoltura e produzione sostenibili, attraverso riforme agricole, per riequilibrare la proporzione tra terreni destinati a biocarburanti o mangimi e quelli per la produzione di cibo. Istituire un quadro normativo per la speculazione finanziaria sugli alimenti, rimediando alle fluttuazioni dei prezzi e dei costi nei mercati e assicurando sicurezza alimentare. FERMARE LO SPRECO ALIMENTARE Ridurre lo spreco di cibo del 50% entro il 2020 Il paradosso: 1,3 MILIARDI DI TONNELLATE di cibo commestibile sono sprecati ogni anno. Ciò significa che la comunità globale spreca 1/3 della produzione totale di alimenti e 4 VOLTE la quantità necessaria a nutrire gli 805 milioni di persone malnutrite nel mondo. È necessario correggere questa pratica sconsiderata e introdurre processi di gestione responsabile degli sprechi alimentari.
APPUNTAMENTI
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La proposta: I governi dovrebbero privilegiare le politiche volte a ridurre lo spreco di cibo che affrontino le cause del fenomeno. Dovrebbero altresì sostenere iniziative di sensibilizzazione, anche da parte dei professionisti del settore alimentare. La cooperazione e accordi a lungo termine tra agricoltori, produttori e distributori può favorire la pianificazione e la previsione della domanda dei consumatori. R I N G R A Z I A M E N T I Noi, della Redazione di “Regina Apostolorum” Ringraziamo di cuore tutti i benefattori che da anni ci seguono e sostengono la sua divulgazione. Il vostro contributo annuale o trimestrale, ci aiuta a continuare l’opera di sensibilizzazione e di conoscenza della missione di evangelizzazione e di promozione, che ci è stata affidata. Un caro saluto a tutti voi. La Redazione
FESTA SMA 2015 Come ogni anno la comunità SMA-NSA di Feriole organizza, in collaborazione con amici, volontari e famiglie, “la FESTA SMA”, un avvenimento da non perdere! Carissimi abbonati, amici e familiari, vi diamo appuntamento per la FIACCOLATA di venerdì 4 settembre 2015. Nel corso dei due week-end successivi: 5 - 6 e 12 -13 settembre, avremo la gioia di stare INSIEME, come famiglia allargata e missionaria. Nel prossimo numero di Regina Apostolorum, vi daremo il programma dettagliato della festa e le diverse attività che la comunità missionaria SMA-NSA proporrà per l’anno 2015 - 2016. La Redazione vi Augura Buone Vacanze!
Dio straniero, annegato
Dio straniero, annegato un’altra volta nel Mediterraneo, che da anni è il grande cimitero di poveri in fuga da guerre e miserie dovute anche alla nostra politica e alla nostra economia. Dio migrante forzato, violentato, scartato e crocifisso anche a causa dell’indifferenza e della mancanza di una politica responsabile da parte di un continente che si ritiene faro di civiltà, Insegnaci a vivere la tua Parola: • “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25, 35). • “Tratterete lo straniero che risiede fra voi come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso” (Lv 19, 33-34). • “Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli” (Eb. 13, 2). • Dio non fa preferenze di persone” (At 10, 34, Rm 2, 11 e 10, 12; Ga 2, 6 e 3, 28; Ef 6, 9; 1 Cor 12, 13; Col 3, 11).
Aiutaci a capire che tutti gli uomini hanno la stessa dignità di creature a tua immagine e somiglianza. Dio dal volto dei mille colori, aiutaci a non oscurare la tua gloria che risplende sul volto di ogni persona. Dio della pace, morto e risorto, che fai di ogni paese la tua casa, ma che ogni casa senti straniera, salva quanto di Te è rimasto in noi • che ci possiamo ancora indignare per ogni diritto negato • che ci possiamo ancora ribellare alla violenza razzista • che ci possiamo ancora opporre all’ipocrisia di chi usa il tuo nome per escludere • che ci possiamo ancora commuovere e purificare con le lacrime pregiudizi, ossessioni, paure. Dio che sei venuto e continui a venire, vieni a salvarci e fa’ che ogni giorno possiamo salvare Te. Sergio Paronetto (Pax Christi) 19 aprile 2015
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