patronato dei lavori femminili parmensi
Arte e Ricamo a Parma motivi ornamentali dei nostri monumenti studiati per l’applicazione al ricamo
Ristampa dell’edizione del 1926 a cura di Manuela Soldi
Nuova S1
Š 2009 tutti i diritti sono riservati Casa Editrice Nuova S1 s.n.c. di Pietro Cimmino Gibellini & C. via Albertazzi 6/5 - 40137 Bologna meg1632@iperbole.bologna.it - www.nuovas1.it Numero ISBN 9788889262337 Prima edizione: maggio 2009
Sculture di Filo Nel gennaio del 1925 a Parma, per i tipi dell’Officina Fresching1, viene pubblicato l’album di disegni Motivi ornamentali dei nostri monumenti studiati per l’applicazione al ricamo. Alla prima edizione deve arridere un certo successo di pubblico, se si pensa che già nel settembre dell’anno successivo ne viene stampata una seconda, aggiornata e accresciuta di quattro nuove tavole. Questa seconda edizione, fortunosamente reperita nel mercato antiquario2 , è oggetto della nostra ristampa.
Italiane5 è però riportata solo da Bice Camis, non se ne trova riscontro in altri luoghi. Eppure una sede dell’associazione emancipazionista dovette certamente esistere a Parma in quegli anni, dato che è documentata la pubblicazione, presso la Tipografia Donati nel 1923, di un opuscolo di otto pagine contenente lo Statuto della Sezione Parmense6. Giovanni Copertini, critico d’arte7 e collega insegnante della Bignotti presso lo stesso Istituto, in un articolo pubblicato sulla «Gazzetta di Parma»8 sottolinea come la scintilla che provoca la nascita del Patronato sia da individuare nella circolare del ministro Gentile, causa già emersa nella prima prefazione, del 1925, al libretto. La circolare, infatti, eliminava l’insegnamento dei lavori femminili dai programmi delle scuole normali concentrandolo
Ma facciamo un passo indietro, e cerchiamo di capire quale sia lo scenario che vede la nascita della pubblicazione, a chi sia destinata e cosa contenga. All’inizio degli anni Venti Parma viene profondamente scossa dagli avvenimenti politici che coinvolgono l’intera nazione. La città, oppressa dalla crisi economica e sociale che attanaglia l’intero paese dall’uscita della guerra, resiste con forza alla presa del potere 5 La migliore presentazione del CNDI emerge dallo Statuto, approvato dall’assemblea Bianca Bonfigli Bignotti da parte del fascismo, frutto di sanguinosi scontri tra le parti. generale dell’aprile 1921, che nell’art. 1 spiega: (foto di proprietà dell’Istituto In questo clima viene fondato il Patronato per i lavori femminili Il Consiglio nazionale delle donne italiane costituitosi in Roma nel 1903, è una Tecnico Camillo Rondani Parma) federazione di associazioni femminili e miste, e di donne italiane, comprese quelle parmensi, l’associazione che curerà la pubblicazione dell’album. residenti nelle colonie e all’estero;[...] La stampa locale coeva ci narra come tale associazione vedesse la luce nel (si veda per la citazione Elena Ginanneschi, Luisa Montevecchi, Fiorenza Taricone, L’Ar1922, emanazione del Consiglio Nazionale D.I. di Parma, ma con statuto prochivio del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane. Inventario, p. 23, Roma 2000). L’associazione, prio e amministrazione propria3 , presieduta dalla Dott.ssa Bianca Bonfigli Bifondata con scopi umanitari ed emancipazionisti, si presenta proprio come federazione di realtà locali gnotti, insegnante di scienze presso l’Istituto Macedonio Melloni4 di Parma. simili al nostro Patronato (viene ribadito anche nel depliant illustrativo del 1952 riprodotto nell’inventario sopraccitato). Si veda anche Fiorenza Taricone, L’associazionismo femminile italiano La notizia della filiazione del Patronato dal Consiglio Nazionale Donne
dall’unità al Fascismo, Unicopli, Milano 1996. 6 Felice Da Mareto, Bibliografia generale delle province parmensi, Deputazione di Storia Patria, Parma 1974. Non è stato purtroppo possibile finora rinvenire fisicamente copia dell’opuscolo. Del resto l’estrema rarità delle pubblicazioni relative alle varie sezioni dell’associazione è attestata anche dalle curatrici del riordino dell’Archivio (si veda L’Archivio del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, op. cit., p. 28). 7 Certo un suo contatto con Corrado Ricci, che, dal 1893 al 1898, era stato direttore della Galleria Nazionale di Parma. Sono conservate in Biblioteca Classense, a Ravenna, alcune lettere di Giovanni Copertini che trattano argomenti storico artistici: si veda Fondo Corrado Ricci, Corrispondenti, lettere n.9066 – 9069. Il collegamento potrebbe in qualche modo spiegare l’intervento di Elisa Ricci nella storia che vi raccontiamo, come vedremo più avanti. 8 Giovanni Copertini, La scuola artistica parmense di ricamo in «Gazzetta di Parma», 6 aprile 1925.
1 Per notizie su questa storica ditta parmense si veda Carlo Antinori, Maria Cristina Testa, Mario Fresching: principe dei tipografi parmensi nella prima metà del secolo XX, La Pilotta, Parma 1994, che però non presenta il nostro titolo nella lista delle pubblicazioni della Fresching. 2 La seconda edizione, a differenza della prima, non risulta a tutt’oggi reperibile nel sistema bibliotecario nazionale, ed è quindi estremamente rara. 3 Bice Camis, I nuovi ricami d’arte parmensi, «Aurea Parma», anno IX, fasc. 3, maggio-giugno 1925, pp. 177-182. 4 La scuola esiste ancor oggi, pur avendo mutato nome e sede. Ora è l’Istituto Tecnico per Geometri Camillo Rondani. La professoressa viene ricordata come biografa di uno dei suoi più importanti colleghi, Camillo Rondani. Queste notizie e quelle reperite sulla sua attività di promotrice dell’associazione sono gli unici dati per ora disponibili sul suo conto.
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nelle scuole elementari9. La creazione del patronato vuole rispondere dunque al problema della formazione delle future maestre, che non ricevono più nozioni riguardanti i lavori femminili durante gli studi regolari, sebbene nel futuro si debbano confrontare con l’insegnamento di queste discipline. L’insegnamento dei lavori d’ago all’interno delle scuole elementari era già previsto in precedenza, e rappresentava un elemento imprescindibile della formazione femminile dell’epoca, in quanto bagaglio necessario di una massaia ma anche quale possibile fonte di guadagno che non allontanava la donna dalla casa. Neppure la guerra aveva evidentemente mutato molto questa concezione. Può infatti non stupire che Stefania Re nel suo studio sull’educazione femminile della Parma ottocentesca10 citi un articolo della locale «Gazzetta» del 1878 dove si paventa la possibilità che l’istruzione trasformi in dottoresse coloro che altro non dovevano essere se non amabili donnine. Meno ovvio risulta forse l’intervento di Gio Ponti dalle pagine della sua rivista «Domus», dove l’architetto delinea il seguente ritratto:
femminili promossi dal regime fascista12 . Comprensibile quindi che nella Parma dei primi anni Venti le conseguenze della legge Gentile suscitino tanto scalpore da indurre alcune patronesse ad impegnarsi per risolvere il problema. Ma si auspica anche l’avvio di una fiorente industria, e si assolve, ancora una volta, ad un’esortazione che viene dallo stesso Gentile, il quale invita a realizzare lavori che abbiano come modello il patrimonio artistico delle nostre città. Esortazione che trova seguito sulle pagine di importanti riviste d’architettura ed arti applicate, le quali eleggono a modelli d’eccezione per le arti decorative italiane gli ornati dei nostri monumenti; un esempio particolarmente significativo ai fini del nostro discorso è rappresentato dagli articoli di Gianna Pazzi apparsi in «La Casa bella»13. Temi questi che si ricollegano al dibattito in atto ormai da molti anni in Italia intorno alle arti applicate, che ha tra i suoi risultati più evidenti la fondazione dell’ENAPI (1925), l’Ente Nazionale per l’Artigianato e le Piccole Industrie, il quale si proponeva di coordinare le attività artigiane e promuoverne il rinnovamento grazie alla collaborazione di architetti e artisti14. La nascita di questo Ente denota infatti il forte interesse delle istituzioni in questo campo. In quel momento era in atto lo scontro polemico di posizioni molto diverse, che cercavano spunti per il rinnovo delle nostre arti applicate in direzioni opposte, chi puntando allo studio della classicità, che da sempre aveva improntato le manifestazioni dell’arte italiana, chi guardando alla spontaneità dell’arte rustica e popolare, chi auspicando l’allineamento del gusto italiano alle istanze di modernità che spiravano dalla scena internazionale, divisa tra il trionfo del déco e il diffondersi sempre più deciso dell’archi-
S’io volessi fare la più umana e gentile figurazione della donna italiana, la farei seduta accanto alla socchiusa porta di casa, riguardante i figli, posando sulle ginocchia il lavoro d’ago. Una donna che ricama è vicina alla Madonna11.
Oltre sessant’anni dopo, pur allontanandoci dalle possibili chiusure presenti in un cronista di provincia, e interpellando uno degli esponenti più importanti della vita culturale milanese e nazionale di quegli anni, la figura femminile cui si fa riferimento è la stessa. Dunque il lavoro ad ago è ritenuto patrimonio fondamentale di una donna che accetta pienamente il suo ruolo nella famiglia e nella società, influenzato probabilmente anche dai modelli
Si veda Marina Addis Saba, La donna muliebre, in Marina Addis Saba (a cura di), La corporazione delle donne. Ricerche e studi sui modelli femminili nel ventennio fascista, Vallecchi, Firenze 1988, pp. 1-71. 13 Gianna Pazzi, Motivi di trine nei monumenti classici, «La Casa bella», anno I, n. 9, settembre 1928, pp. 35-37, e Gianna Pazzi, Cuscini d’arte, «La Casa bella», anno II, n. 3, marzo 1929, pp. 31-32. Gianna Pazzi scrive anche, a fine anni ’30, su «Artista Moderno», occupandosi spesso proprio di arti applicate. 14 Paola Frattani, Roberto Badas, 50 anni di arte decorativa e artigianato in Italia: l’ENAPI dal 1925 al 1975, Roma 1976. 12
Un panorama chiaro ed esteso della situazione scolastica al momento della riforma si trova in Piergiovanni Genovesi, La riforma Gentile tra educazione e politica. Le discussioni parlamentari, Corso Editore, Ferrara 1996. 10 Stefania Re, Dottoresse o amabili donnine? Istituzioni scolastiche a Parma e ruolo sociale delle donne, Battei, Parma 1999, p. 9. 11 Gio Ponti, Per l’affermazione delle industrie femminili italiane, «Domus», anno XII, n.139, 1939, pp. 65-66. 9
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mondo della scuola18. L’anno successivo le ricamatrici di Parma ottengono la medaglia d’oro alla Mostra dell’Artigianato e delle Piccole Industrie di Firenze.
tettura razionalista, che metteva in discussione la possibilità dell’ornamento nella struttura degli edifici ma anche negli arredi. Gentile, sottolineando l’opportunità di prendere a modello il patrimonio artistico delle nostre città, non fa altro che appellarsi, seppur in modo vago, alle idee di revival medievale che avevano attraversato l’Europa nel secolo precedente, partendo dall’Inghilterra vittoriana. Qui avevano preso corpo il pensiero del critico John Ruskin e quello dell’artista e letterato William Morris, tra i primi responsabili della rinascita delle arti applicate a livello europeo. Agli inizi del Novecento, con la progressiva traduzione delle sue opere15, le idee ruskiniane presero piede in Italia, concretizzandosi in iniziative come l’istituzione dell’Aemilia Ars, a Bologna16. Tra le conseguenze del fervore che si registra nel campo delle arti decorative va annoverata l’istituzione delle Mostre Internazionali di Arti decorative di Monza, succedutesi con cadenza biennale a partire dal 1923; manifestazioni che preluderanno alla nascita della Triennale di Milano, e avranno, in questi primi anni, il carattere di un vero e proprio censimento delle realtà artigianali italiane, in vista di un rilancio dell’economia italiana dopo lo stacco della guerra. Si tratta però solamente di uno dei capitoli più recenti dell’impegno espositivo sfoderato dalla giovane nazione italiana, che dall’unità in poi vedrà nelle mostre in Italia e all’estero un’occasione di sviluppo della coesione nazionale, oltre che uno strumento per creare un’immagine unitaria oltrefrontiera, in campo economico, sociale e anche artistico. Il Patronato non parteciperà alle Biennali, ma uscirà invece vincitore, come leggiamo nel nostro album, da altre due esposizioni. Nel 1925 i lavori parmensi ottengono la medaglia d’argento alla Mostra Didattica Nazionale17 di Roma, presentandosi dunque come un’iniziativa eminentemente legata al
Entriamo ora, per quanto possibile, nei dettagli dell’avventura delle patronesse parmensi. L’associazione nasce tra il 1922 e il 1923, la stampa – nostra principale fonte di notizie – non è concorde sulla data e purtroppo nemmeno l’Archivio Storico Comunale fornisce elementi utili a stabilirla con esattezza. Gli scopi e la natura dell’iniziativa sono già stati, per quanto possibile, chiariti, così come la scelta di puntare sulla ripresa del romanico. Un linguaggio che ha il pregio, rispetto al gotico – linguaggio più tipicamente francese – che è in genere modello prediletto dai teorici del revival, d’inserirsi in maniera più incisiva nella nostra tradizione nazionale, e di essere già momento di recupero e confronto con la classicità, uno dei miti ai quali si fa riferimento per la creazione di un linguaggio nuovo moderno e nazionale. Di certo la pubblicazione dell’album – la prefazione alla prima edizione reca la data del gennaio 1925, dunque antecedente a tutti gli articoli di nostra conoscenza – contribuisce enormemente a dare visibilità all’operato delle patronesse, risolvendosi in un successo, data la repentina ristampa, che pure lascia il tempo di aggiungere alcune tavole. I disegni della prima edizione sono interamente opera del giovane disegnatore Leone Carmignani, figura appartenente ad un’illustre dinastia di artisti19, famosa a Parma e oltre i suoi confini. Egli è stato trascurato anche nei corposi repertori biografici locali, adombrato forse dai suoi parenti più noti. Eppure il suo nome compare nei carteggi e nei progetti dell’edificio della Scuola d’Economia Domestica a Parma20, il Piano Urbanistico di Durazzo del 1942 porta la sua firma – del resto lavora come funzionario presso l’Ufficio centrale per l’edilizia e l’urbanistica in Albania –, e nota è la sua
Jean Clegg, La presenza di Ruskin in Italia cento anni fa, in Daniela Lamberini (a cura di), L’eredità di John Ruskin nella cultura italiana del Novecento, Cardini, Firenze 2006, pp. 83-94. 16 Carla Bernardini, Doretta Davanzo Poli, Orsola Ghetti Baldi, Aemilia Ars, 18981903. Arts & Crafts a Bologna, catalogo della mostra tenutasi presso i Musei Civici di Bologna, 9 marzo – 6 maggio 2001, A+G Edizioni, Milano 2001. 17 Elena Franchi, Dalla didattica delle mostre alla Mostra Didattica Nazionale del 1925: la formazione dell’insegnante e il recupero di un patrimonio storico dimenticato, «Predella», anno IV, n. 16, 15
dicembre 2005 (http://predella.arte.unipi.it/). L’origine didattica emerge chiaramente anche nella dicitura Saggio dedicato alla scuola femminile della provincia di Parma che compare in copertina nell’edizione del 1925, e scomparirà in quella successiva. 19 Si veda Roberto Lasagni, Dizionario biografico dei parmigiani, PPS, Parma 1999. 20 Conservati presso l’Archivio Storico Comunale di Parma (Busta Istruzione, 1936-1940). 18
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Lanza Balestrieri, a riconoscerne il merito. Anche Bice Camis in «Aurea Parma» ricorda le iniziali difficoltà incontrate in questa traduzione, per poi giungere a un risultato tecnico definitivo, con l’esposizione di alcuni pezzi in una vetrina di Via Cavour. Viene infatti elaborata una tecnica ben precisa, che crea un cordone, basato su tre linee di punto catenella parallele, sulle quali si ritorna, senza intaccare il tessuto, realizzando due righe di punto festone affrontate, con la costina rivolta verso l’interno. I punti festone vengono lavorati a gruppi di tre entro ogni catenella, lasciando intatti i margini esterni delle catenelle, a formare il contorno del cordone, e prendendo solo due delle costine interne per ogni riga24. L’ingrediente davvero originale della tecnica è proprio questo cordone, che grazie al suo rilievo, accompagnato da altri punti (erba, strega, filze), realizza vere e proprie sculture di filo, interpretando alla perfezione i rilievi romanici. I ricami vengono inoltre usualmente realizzati su tessuti rustici e con filati particolarmente corposi, per aumentare l’effetto plastico. Sebbene la «Gazzetta» ci dia notizia di come nel marzo del 1925 a Parma vengano organizzati corsi per provvedere all’insegnamento e alla diffusione della nuova tecnica, l’album non dedica spazio alla descrizione dei punti utilizzati, l’unico aiuto in questo senso viene dalla tavola VII, dove è mostrato un lavoro non finito, che rivela il segreto del cordone agli occhi delle ricamatrici esperte. Ancora la Bignotti, nella prefazione, spiega che l’interesse del Patronato nella pubblicazione dell’album è fornire disegni per ricamo frutto dell’osservazione dei monumenti locali, per evitare la trita ripetizione di motivi banali o provenienti da altre aree. Essa stessa ricorda come la resa tecnica dei bassorilievi avesse creato perplessità in più di una ricamatrice, e auspica che essi possano essere una base di partenza per l’interpretazione personale, non necessariamente fondata sull’imitazione del rilievo. Proposta dunque aperta e suscettibile di ulteriori sviluppi, volta a mette-
collaborazione con l’architetto Piero Bottoni, con il quale partecipa, ancora studente, nel 1933, al concorso per il piano urbanistico di Piacenza21. I disegni da lui “schematizzati” riprendono in massima parte la decorazione lapidea del Battistero e del Duomo. Sebbene i modelli non siano sempre esplicitamente dichiarati, è stato possibile in molti casi rintracciarli nel ricco repertorio iconografico che si dispiega nei capitelli dei pilastri tra le navate e nei matronei. La seconda edizione risulta accresciuta mediante l’inserimento di alcuni disegni di Cecilia Gasparotti Agazzotti22 , che mostrano l’intenzione di travalicare i confini del parmense nella ricerca di modelli. Ancora Giovanni Copertini sottolinea, con il suo occhio avvertito di critico, come la scelta del romanico sia particolarmente originale, quasi inusitata nel settore delle arti minori23. Di certo ciò conferisce all’operazione della traduzione a ricamo dei modelli una difficoltà maggiore. Molti cronisti dell’epoca attribuiscono il merito dell’impresa alla Professoressa Irma Lanza Balestrieri. Quest’ultima era insegnante presso la Scuola Normale Tommasini, ed era sposa di un altro illustre professore del Melloni, Camillo Lanza. La sua memoria a Parma rimane legata al libro per ragazzi Il nonno, che essa diede alle stampe nel 1916. Ma pare che la Balestrieri abbia saputo incrementare in altro modo – oggi quasi dimenticato – la fama della sua città. A lei sarebbe da attribuire infatti la traduzione tecnica dei bassorilievi a ricamo. Operazione ricordata come difficile anche nella prefazione all’album di Bianca Bonfigli Bignotti, che nella prima edizione parla di punti studiati da una nostra valente collaboratrice con amore e bravura, punti che tanto bene rendono il rilievo di molti dei nostri fregi. Nella prefazione alla seconda edizione, un anno dopo, la presidentessa del Patronato, forte dei successi ottenuti, parla invece espressamente di punti germogliati dalle mani della prof. Irma Giancarlo Consonni, Lodovico Meneghetti, Graziella Tonon (a cura di), Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 311-313. 22 Alla tav. II un fregio copiato a Perugia; alla tav. XIV un particolare decorativo di Sant’Eufemia a Spoleto; alla tav. XV la decorazione di un portale del Duomo di Parma; alla tav. XVII un particolare decorativo dell’abbazia di Pomposa. Le tavole XIX e XX erano già presenti nella prima edizione, sono solo slittate in avanti. 23 Giovanni Copertini, 1925. 21
24 La spiegazione risulta difficoltosa a parole, ma la tecnica è di immediata comprensione facendo ricorso all’osservazione diretta (si veda la tav. VII). A pag. 10 riportiamo alcuni schemi tecnici dei punti impiegati per la realizzazione del cordone, per le finiture del tessuto, per un motivo ricorrente. Gli schemi sono stati gentilmente forniti dalla Dott.ssa Liliana Babbi Cappelletti.
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pubblicato su «Aurea Parma» in febbraio30, ospita la notizia della vittoria della medaglia d’oro alla Mostra dell’Artigianato e delle Piccole Industrie di Firenze31; indicativo dell’attenzione che attirò l’iniziativa è l’articolo del critico d’arte Roberto Papini su «Emporium»32 , nello stesso anno. Papini era una figura di spicco del panorama culturale italiano. Il suo interesse per le arti applicate sfocerà, l’anno successivo, in una collaborazione con la manifattura veneziana di merletti Jesurum, in vista della partecipazione di quest’ultima alla Mostra internazionale delle arti decorative di Monza33. Nel 1929 Lucia Petrali Castaldi, direttrice di «Mani di Fata», inserisce il “Punto di Parma” in quella vasta rassegna che risulta essere L’opre leggiadre. I lavori femminili nelle regioni italiane. Più tardi, nel 1941, lo ricorderà anche nel suo Dizionario enciclopedico di lavori femminili34. Nel 1930 il ricamo parmense desta l’attenzione di «La Casa bella», la giovane rivista d’architettura destinata a un luminoso futuro. In giugno l’esperta di ricamo Lidia Morelli redige un lungo articolo, al quale abbiamo già accennato. Tra gli aspetti salienti che possiamo trarre da questo scritto, la conferma del grande successo che il nuovo ricamo ebbe all’epoca, ma soprattutto un primo accenno alla versatilità della tecnica adottata da Irma Lanza, adatta a riprodurre non solo i rilievi parmensi, ma anche le molte altre ricchezze della nostra Italia, e – suggerimento nuovo, intonato alle proposte di lavori femminili che in questo periodo appaiono sulla rivista – quelle dell’arte moderna. All’interpretazione di disegni moderni invitano anche l’album che «La Casa bella» pubblica nel 1931, e il manuale di ricamo di Lidia Morelli, Mani alacri, dove si legge che
re alla prova la creatività e il gusto di chi vi si cimenta, l’album non ha la presunzione di avanzare dei dogmi, nemmeno dall’alto del riconoscimento dell’originalità della tecnica sancito da Elisa Ricci in persona. Lo ricorda già la Bignotti, lo ricorda l’Almanacco Parmense del 192725, che cita addirittura, in un articolo purtroppo non firmato, un passo della lettera con cui la studiosa ringrazia per l’invio dell’album, lo ricorderà Lidia Morelli26. Elisa Ricci era all’epoca ritenuta la più dotta cultrice vivente di storia del ricamo27, ed è ancor oggi fonte importantissima per lo studio di questa materia. La sua figura, nei primi decenni del Novecento, sembra quasi materializzarsi magicamente laddove si riscopre un antico ricamo, o dove se ne realizzano di nuovi, il suo prestigio è sicura garanzia di successo e considerazione. Proprio nel 1925 Elisa pubblica uno dei suoi testi fondamentali, Ricami italiani antichi e moderni28, libro d’elevato valore scientifico e di estrema piacevolezza, nel quale la storia del ricamo, partendo da Penelope, si snoda quasi come un romanzo. Ai fini del nostro discorso riveste una particolare importanza la seconda parte del libro, nella quale la Ricci passa in rassegna alcune delle maggiori iniziative sviluppatesi in Italia nell’ambito del rinnovamento del ricamo. Il testo è tra i primi a registrare un fenomeno in atto già a partire da fine Ottocento, che trova piena realizzazione nel primo dopoguerra, di cui è espressione particolare anche il nostro caso. Parma non è, per ovvi limiti cronologici, inserita nella rassegna. Ma già la prefazione del 1926 all’album ricorda l’apprezzamento della studiosa, che secondo l’autorevole voce di Lidia Morelli non solo riconosce l’originalità della nuova tecnica, ma la battezza “Punto di Parma”. L’eco dei ricami parmensi non si ferma dunque ai confini della città. Già nel 1926 importanti riviste nazionali, non solo specializzate come «Ricami italiani»29, gli dedicano spazio: in particolare «Artista moderno», pochi mesi dopo aver riportato una riduzione del già citato articolo di Bice Camis
in questi tempi di imperante rinnovamento, alcuni ricami di Parma, tralascian-
marzo 1926, pp.6-10. 30 Bice Camis, 1925. 31 I lavori femminili all’Esposizione delle piccole industrie e artigianato di Firenze, «Artista Moderno», anno XXV, n. 13-14, luglio 1926, pp. 251-253. 32 [Roberto Papini] r. p., Ricami Parmensi, «Emporium», n. 374 (1926) p. 137-38. 33 Maria Cristina Tonelli Michail, Progetti inusuali: Roberto Papini per la manifattura Jesurum, «Artista. La critica d’arte in Toscana», n. 11 (1999), pp. 164-173. 34 Lucia Petrali Castaldi, Dizionario enciclopedico di lavori femminili, Vallardi, Milano 1941 pp. 331- 332.
Gli originali ricami artistici della nostra città, in Eugenio Massa, Almanacco parmense. Strenna per l’anno 1927, Fresching, Parma 1927, pp. 230-231. 26 Lidia Morelli, Il Punto di Parma, «La Casa bella», anno III, n. 6, (giugno 1930), pp. 50-53. 27 Avvertenze alla seconda edizione in Patronato dei Lavori Femminili Parmensi, 1926. 28 Elisa Ricci, Ricami italiani antichi e moderni, Le Monnier, Firenze 1925. 29 La riproduzione dell’antico nel ricamo moderno, «Ricami italiani», Picus Industrius, vol. III, fasc.I, 25
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do gli antichi modelli, hanno cercato di adeguarsi alle esigenze moderne, però con lodevole circospezione, e in ogni modo, non abbandonando l’antico che per copiare meraviglie floreali, ittiologiche o celesti: alghe, cavalli marini, pesci volanti…aeroplani35.
Schemi a cura di Liliana Babbi Cappelletti
Da ultima è la rivista «Fili», nel 1935, a parlarci di questa tecnica, anch’essa proiettandola verso la modernità, e proponendo disegni geometrici. Nel frattempo al punto di Parma è stato dedicato un album monografico anche da Amelia Brizzi Ramazzotti36, che, come sempre, dopo una breve introduzione storica, concede largo spazio a indicazioni tecniche. Accenna al Punto di Parma anche il più famoso manuale di ricamo italiano, il Manuale del Cucito e del Ricamo Cucirini Cantoni Coats, nel capitolo che dedica ai Ricami d’Italia. Non sappiamo quando il Patronato venne meno, certo è che già l’articolo di «Fili» accenna all’ideazione del Punto Parma al passato, come fosse esperienza conclusa e lontana nel tempo. Nel dopoguerra ne perdiamo le tracce, e anche i manuali di nuova pubblicazione talvolta lo dimenticano, come accade per Fili d’Oro37, che pure, pubblicato dalla Editoriale Domus, la casa editrice di «Fili», raccoglie e ripropone materiali provenienti dalla rivista. Negli anni Novanta del secolo scorso lo riporta alla ribalta sulla scena parmense un articolo di Maria Ortensia Banzola38, e nel frattempo alcuni ricami a Punto Parma, riproposti da associazioni femminili, spuntano tra le pagine di riviste specializzate, attirando l’attenzione su questa pagina quasi dimenticata della storia parmense, e sull’album di modelli, così raro, conservato presso la locale Deputazione di Storia Patria39. La ristampa anastatica potrà forse contribuire a diffondere questo aneddoto e ad attribuirgli il giusto valore.
Cordone
Finiture
Un motivo ricorrente
Manuela Soldi Lidia Morelli, Mani alacri, Lattes, Torino 1933, pp. 215-216. Amelia Brizzi Ramazzotti, Il punto di Parma: Insegnamento pratico illustrato, Milano 1932. 37 Kronauer Elena, Fili d’oro, Editoriale Domus, Milano 1951. 38 Maria Ortensia Banzola, Ricami d’arte a Parma proposti nel 1925 dal “Patronato dei lavori femminili parmensi” , «Malacoda. Bimestrale di varia umanità», anno 1992, n. 40, pp. 41-47. 39 La biblioteca conserva una copia della prima edizione. 35 36
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Mani Alacri 1933 (pagina 215), ricamo di Parma, borsa da lavoro.
Mani Alacri 1933 (pagina 216), ricamo di Parma.
Mani Alacri 1933 (pagina 215), ricamo di Parma, disegno ammodernato per borsa.
Mani Alacri 1933 (pagina 216), ricamo di Parma, applicazione a colori con cornice a rilievo.
ÂŤFiliÂť 1935, creazioni moderne di ricami a Punto Parma. Per questi disegni viene suggerito un filato rosso.
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