Trovo [..] gli stupendi merletti a tombolo, i cui disegni son dovuti al gusto squisito e all’ingegno forte e paziente del Toma, e che la Signora Lucia Recchione ha eseguito con dita di fata [..] (Federigo Verdinois, «Picche», 5 giugno 1886)
A tre amiche, maestre di fuselli, anch’esse con dita di fata: Angela Cappelletti Zanfrini Luisa De Gasperi Luisa Fumagalli
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© 2009 tutti i diritti sono riservati Casa Editrice Nuova S1 s.n.c. di Pietro Cimmino Gibellini & C. via Albertazzi 6/5 - 40137 Bologna meg1632@iperbole.bologna.it - www.nuovas1.it Numero ISBN 9788889262306 Prima edizione: aprile 2009
Gioacchino Toma
Merletti Napoletani a cura di Bianca Rosa Bellomo
dei motivi ispiratori, delle copie dall’antico, dei modelli originali che intendo - come intese Elisa Ricci8 - tali da essere ben riconoscibili. Pur non occupandomi in modo approfondito di trine a fuselli, la curiosità mi spinse ad una indagine su Gioacchino Toma come disegnatore di merletti. La ricerca non ebbe all’inizio molto successo. Trovai solo brevi cenni in alcuni testi e in cataloghi di mostre dedicate a questo grande protagonista dell’ottocento napoletano. La bontà di cui si parla si riferisce non solo all’aver ideato, raccolto in un album e pubblicato, quaranta tavole, ma soprattutto all’aver dato alle stampe disegni [..] grandi al vero così che si possono puntare sul tombolo, senza neppur la fatica di trarne il lucido o di ridurli. Molto Bologna, dopo Venezia, è la città dove si pubbliprobabilmente è proprio a causa di questa boncarono, se non le più artistiche, certo alcune fra le tà che le tavole furono smembrate (in molte tapiù importanti di queste operette5. Ed è ancora a vole compare più di un disegno), adoperate più Bologna che, fino a pochi anni fa, Alfonso Rubvolte e quindi, in gran parte, distrutte. biani6 dava all’Aemilia Ars l’aiuto del suo conUna tavola, la n. 40, è riportata nell’articolo siglio, della sua fantasia, del suo gusto squisito e di Elisa Ricci, mentre poche altre immagini le sicuro. Gran peccato che Alfonso Rubbiani non possiamo ammirare in un libro di De Rinaldis9. abbia lasciato all’industria artistica italiana uno di Nessuna traccia nei cataloghi in rete e alcune questi libretti quale avrebbe potuto far lui, che samie lettere, scritte a biblioteche o ad istituzioni, peva essere artista moderno, senza cessare di essere per avere informazioni, ebbero una risposta neben italiano! gativa o, purtroppo, qualche volta, non ebbero Altri ebbero questa idea che direi di bontà: uno fu Gioacchino Toma, l’artista modesto e grande neppure risposta. e buono; egli pubblicò una raccolta di quaranta Dove cercare? tavole intitolata “Merletti napoletani a piombini”. Michele Paone ne Il costume popolare salenI disegni sono grandi al vero, così che si possono tino10, trascrive un articolo11 di Raffaele Verri puntare sul tombolo, senza neppur la fatica di trarapparso il 16 agosto 1884 sulla «Gazzetta delle ne il lucido o di ridurli. Forse l’idea venne al Toma Puglie» dove si ricorda Gioacchino Toma, la nel veder le sue allieve dell’ospizio San Vincenzo sua opera e il dono che ne fece alla Regina Marlavorare su disegni che nulla avevano di artistico. gherita. E in quante, in quante scuole e conventi vorremUn regesto biografico12 e una bibliografia13 mo veder entrare la pubblicazione di Gioacchino nel catalogo della mostra14 del 1995, in occasioToma! Foto di Gioacchino Toma tratta da ne del 38-simo Spoleto Festival, mettono in eviAldo De Rinaldis, Gioacchino Toma, Milano 1934 denza che le tavole furono pubblicate nel 1883 È vero: Alfonso Rubbiani non ha lasciato una e che, nel 1886, vennero esposte, dalla Società raccolta, ma molti dei disegni della manifattura cui tanto contribuì, si posso15 7 Promotrice di Napoli, in questi termini: Disegni originali di merletto a tomno trovare in musei, istituzioni e pubblicazioni , ed è auspicabile che uno stubolo, merletti eseguiti dalla sig.a Recchione Lucia. Sul settimanale «Picche», dio sistematico, ben mirato, possa portare ad una ancor più completa visione La ristampa di queste 40 tavole avviene alla conclusione di una avventura che ebbe inizio, qualche anno fa, con la lettura di un articolo di Elisa Ricci1, L’Arte e la Casa. Per l’arte industriale: libri di modelli, pubblicato nel 19202 su «Rassegna d’Arte antica e moderna». La rivista, diretta da Corrado Ricci3, era un fiore all’occhiello degli editori Alfieri & Lacroix per la cura della composizione e le firme di ottimo livello. In particolare mi aveva colpito un passo dell’articolo, sia per il cenno all’Aemilia Ars, del cui merletto mi occupo da qualche anno, sia per le righe, immediatamente successive, su Gioacchino Toma4:
Elisa Guastalla Errera Ricci, Mantova 1858 – Torino 1945 Anno VII, n. 9-10, settembre-ottobre. L’articolo è stato ristampato come parte della prefazione al libro Disegni per merletti e ricami. Libri di modelli del XVI secolo, Nuova S1, Bologna 2008. Nel testo, che contiene 5 libretti degli autori Ostaus, Paganino, Vavassore, Vinciolo, ristampati tra il 1909 e il 1910, a cura di Elisa Ricci, è riportato anche l’articolo: Elisa Ricci, Arte Applicata: gli antichi libretti di modelli in Italia. «Emporium», vol.XXIII, N. 194, febbraio 1911 3 Corrado Ricci, Ravenna 1858 – Roma 1934, marito di Elisa Guastalla dal 14 marzo 1900 4 Gioacchino Toma, Galatina 1836 – Napoli 1891 5 Si vedano i due libretti ispiratori dell’Aemilia Ars: Aurelio Passerotti, Libro dei lavorieri, Bologna 1591, Bartolomeo Danieli, Vari disegni di merletto, Bologna 1641 6 Alfonso Rubbiani, Bologna 1848 – 1913 7 Alcuni disegni sono stati riportati nel catalogo, a cura di Carla Bernardini, Doretta Davanzo Poli, Orsola Ghetti Baldi, Aemilia ars, 1898-1903, A+G ed, Milano 2001. Molti disegni originali della società Aemilia Ars sono conservati presso il Museo Davia Bargellini, il Museo della Tappezzeria e l’archivio della Chiesa di San Francesco di Bologna, molti altri sono stati acquistati recentemente (nel 2007) dalla Fondazione della Cassa di Risparmio, Bologna. 1 2
Si veda l’Introduzione di Elisa Ricci al libro storico Merletti e Ricami dell’Aemilia Ars, 1929, ristampato nel 1981 e 1999. 9 Nel testo di Aldo De Rinaldis, Gioacchino Toma, Milano 1934, sono riportate le tavole n. 11 e n. 20. 10 Michele Paone, Il costume popolare salentino, Galatina 1976 11 L’articolo è ricordato ne Il merletto nel folklore italiano, a cura di Doretta Davanzo Poli, Venezia 1990 e, più recentemente in Rossella Barletta, Ricami, pizzi e merletti. Omaggio al talento delle donne di Arnesano. Castrignano dei Greci (Lecce), 2004. 12 A cura di Giovanni Delogu 13 A cura di Maria Elena Maimone 14 Gioacchino Toma 1836-1891, a cura di Bruno Mantura e Nicola Spinosa, Napoli 1995 15 Per una localizzazione nel tempo che potrebbe servire a ulteriori ricerche si veda il trafiletto apparso sul «Corriere del Mattino», sabato 10 aprile 1886: “La Promotrice. L’apertura della XXII Esposizione della Società Promotrice di Belle Arti, annunziata pel dì 11 corrente, non ostante che il Giurì abbia già esaurito il suo compito, è stata rimandata dalla Presidenza al giorno 15 a causa delle corse. Restano avvertiti gli Artisti espositori che per dare la vernice ai loro lavori è fissato il giorno 14 corrente dalle ore 10 ant alle ore 3 pom.”
Federigo Verdinois, il 5 giugno, descriveva con ammirazione gli stupendi merletti a tombolo, i cui disegni sono dovuti al gusto squisito e all’ingegno forte e paziente del Toma, e che la Sig.a Lucia Recchione ha eseguito con dita di fata. L’anno, 1886, confermato da altre pubblicazioni, aveva anche visto la prima edizione della Autobiografia16 e la presentazione, nella stessa esposizione, del Metodo di disegno adottato per le scuole municipali. La sequenza degli eventi pare chiara e possiamo formulare alcune ipotesi. Nel 1884, Gioacchino Toma partecipò all’esposizione di Torino con un’opera su Luisa Sanfelice17. Forse fu proprio quella l’occasione del dono. D’altra parte, nel 1886, i disegni di merletti furono presentati eseguiti. Non pare quindi strano pensare che tra la stampa dell’album e l’esecuzione di ogni singolo disegno sia trascorso qualche tempo. Un’idea, comunque, piano piano, prese corpo: seguire il dono delle Tavole alla Regina Margherita, che, amando il merletto18 ma non eseguendolo, doveva averle conservate. Il problema aveva assunto un’altra formulazione: dove trovare la biblioteca della Regina Margherita? Dopo varie infruttuose indagini, dopo aver scritto a biblioteche ed anche ad illustri personaggi, dopo aver indagato in librerie antiquarie, imboccai la strada giusta, che – con il senno del poi – si rivelò ovvia. Mi vennero in aiuto ricerche parallele che stavo facendo su Corrado Ricci, il marito di Elisa. Cercavo collocazione di scritti su Ravenna e digitavo, in varie maschere di ricerca, le parole chiave: Ricci Ravenna. Tra i gli altri si aprì il sito della Biblioteca Reale di Torino che conservava un dono che la sorella di Corrado Ricci, Matilde, aveva fatto alla Regina Margherita: due acquerelli19 dei mosaici di Sant’Apollinare, a Ravenna. Nessuno fino ad allora aveva immaginato che di persone con inclinazioni artistiche, nella famiglia Ricci, ce ne fossero due20. Eppure qualche indicazione l’avevo avuta: in lettere del carteggio familiare21 è chiaramente indicato come fosse proprio Matilde a realizzare alcuni disegni per ricami e merletti che poi, la madre, brava ricamatrice, eseguiva. La Biblioteca Reale di Torino: come non averci pensato prima! La mia domanda sulla eventuale presenza in biblioteca dell’opera di Gioacchino Toma, ebbe una semplice risposta: sì! Seguirono più precise indicazioni: L’opera di G. Toma, Merletti napoletani, 188?, è posseduta dalla nostra Biblioteca e non fa parte del Fondo Regina Margherita; la sua collocazione è Y 45(25). L’opera è composta da una cartella di 40 tavole, 48x32 cm, dono dell’autore alla Regina.
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Gioacchino Toma, Ricordi di un orfano, Napoli 1886, recentemente ripubblicato a cura di Toni Iermano, Mephite ed., Atripalda 2008. Nel seguito di questo saggio mi riferisco alla ristampa, a cura di Aldo Vallone, Congedo ed., Galatina (Lecce) 1973 17 Il titolo dell’opera presentata a Torino: Luisa Sanfelice trasportata da Palermo a Napoli il 2 settembre 1800 per essere decapitata. 18 È ben noto il sostegno dato dalla Regina Margherita a molte scuole e laboratori. 19 Matilde Ricci-Bellenghi, (Due) Disegni ad acquerello di due musaici della Basilica di San Vitale, MS sec XIX, 218k, Biblioteca Reale, Torino. I due disegni sono stati pubblicati nel libro, Una cartolina una storia, a cura di B.R. Bellomo e F. Poggiali, Nuova S1, Bologna 2006 20 Corrado Ricci, frequentò, durante gli anni del liceo classico anche l’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Ebbe due premi in ornato. La sua abilità nel disegno è ben nota. Sono conservati in Biblioteca Classense, Ravenna, alcuni album che contengono molte sue composizioni. 21 Tra i manoscritti in Biblioteca Classense, Ravenna, sono conservate lettere della madre di Corrado Ricci, Clelia Bartoletti. 16
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Il punto di domanda nella data 188?, che mi comunicarono, è d’obbligo perché, a stampa, non compare nessun riferimento mentre l’ex libris, in seconda di copertina, ha lo stemma dei Savoia e la frase: ex bibliotheca regis Humberti. Vidi personalmente le tavole nel novembre del 2005: integre, perfette. I grandi fogli scuri con il tracciato dei disegni erano racchiusi in una elegante cartella marrone con scritte impresse in oro:
Napoli, per molto tempo capitale di un regno, era proprio un porto di mare e a Napoli confluivano manufatti di diversa provenienza, anche dall’estero. Naturale che le fonti di ispirazione fossero molte e varie. La Francia, soprattutto, era un punto di riferimento. Citando una statistica del 1852, Angelo Massafra ne Il mezzogiorno preunitario27 riporta: Se il Regno [di Napoli] esportava in diversi porti francesi olio, grano, polli, canapa e zafferano, le esportazioni francesi giungevano quasi esclusivamente a Napoli, in quanto la capitale costituiva l’unico grande mercato di consumo dei prodotti francesi: lavori di moda (cioè merletti, fazzoletti, cappelli, scialli, piume), tessuti vari, cuoi, prodotti medicinali, porcellane.
Merletti Napoletani a piombini punto legatore disegni originali del Prof. Cav. G. Toma A S. M. La Regina D’Italia L’Autore Penso spesso alle strade dei libri o, come in questo caso, ad altro analogo materiale. Da Napoli a Torino. Da Napoli fino a dove? La diffusione di bei disegni segue molte vie, alcune imprevedibili. E negli spostamenti si possono inserire elementi nuovi e nuove interpretazioni. Ad un certo punto deve essere sparito il ricordo della provenienza e la presente ristampa potrà anche essere utile per capire la divulgazione e i contatti che la permisero.
Possiamo, comunque, avere una idea della produzione interna leggendo qualche dato tratto dagli Annali universali di statistica, economia pubblica, legislazione, storia, viaggi e commercio28, del 1858. Un capitolo, Merletti, tulli, blonde ecc. ecc., a pagina 268, apre con una frase con cui ogni studioso di merletti può davvero concordare: Dalla Fototeca di Oreste Recchione (fine ottocento)
È molto probabile che le Tavole, nel 1886, siano state eseguite da mani abruzzesi. Abruzzese è infatti il cognome Recchione della sig.a Lucia che eseguì i merletti e non è senza importanza ricordare che il pittore Oreste Recchione22 era un collega di Gioacchino Toma all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Alcune donne di famiglia si chiamavano Lucia. In particolare anche una sua sorella, la più piccola23, aveva questo nome e mi pare molto suggestivo ipotizzare, almeno per ora e fino a che non si trovano riscontri, che i merletti siano stati realizzati da persona che veniva da luoghi24 dove quell’arte aveva una antica tradizione25. Lo scopo della mia ipotesi è anche quello di suscitare la giusta attenzione su un nome di una delle tante brave esecutrici, troppo spesso nascoste, troppo spesso sparite dalla memoria. Se si escludono le Tavole del Toma, non emerge, in tempi relativamente recenti, un merletto napoletano di una certa originalità26.
22 Oreste Recchione, 1841-1904 Si ricorda una recente pubblicazione di Renato Colantonio, Oreste Recchione. L’iconografia sacra, Tracce ed., Pescara 2004 23 Nel testo di Giandomenico Scarpelli, Il silenzio delle origini, Rocco Barabba ed., Lanciano 2008, è contenuto l’albero genealogico della famiglia Recchione. Tra i fratelli e le sorelle di Oreste Recchione compare Lucia (1846-1851), scomparsa in giovanissima età e, successivamente, un’altra Lucia (18641940), che nel 1886 aveva dunque 22 anni. 24 La famiglia di Oreste Recchione era originaria di Palena. 25 Per una trattazione dei merletti d’Abruzzi, si rimanda a Elisa Ricci, Antiche trine Italiane. Trine a fuselli., Bergamo 1911, ristampato nel 2007, Nuova S1, Bologna 26 Ricercare documenti su Napoli non sembra essere stato facile neppure per studiose di un certo calibro. Si veda Giacinta Romanelli Marone, Trine a fuselli in Italia, Milano 1902, pag. 293 e seguenti
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Non v’ha materia più difficile e più delicata a trattare di que’ fili mirabili di tela fina, o di que’ magnifici prodotti di cotone meno fini, ma non meno pregevoli per la loro tenuità[..]
Più oltre, vengono indicati tre centri di produzione: in Napoli, la capitale, in Lecce – nota da tempo proprio per i suoi merletti29 – e nella provincia dell’Aquila. Nel regno di Napoli i merletti in filo di lino, di cotone, di seta e d’oro sono opera delle donne del reale Albergo dei Poveri delle Suore del Conservatorio del Santo Spirito, ecc. L’ospizio delle orfane di Lecce ne fabbrica pure col nome volgare di pizzilli, puntini e galloni. Ma ancora dove questo lavoro ferve maggiormente si è nello stabilimento delle Scuole di S. Paolo e di S. Giuseppe, nei Conservatorii di Santa Maria della Misericordia e dell’Annunciata nell’Abruzzo Ulteriore II30, la qual provincia del regno si mantiene in questo ramo dell’industria all’altezza della sua antica rinomanza.
Dedalo ed, 1988 Annali compilati da Giuseppe Sacchi e da vari economisti italiani, Volume CXXXVI della Serie prima. Volume ventesimo della Serie terza. Ottobre, Novembre e Dicembre 1858, Milano. 29 Si vedano le testimonianze di Gabriele Quattromani, Itinerario delle Due Sicilie, Napoli 1827, Giuseppe Francioni Nespoli, Itinerario per lo Regno delle Due Sicilie, Napoli 1828, mentre, una critica sulla qualità arriva da Giuseppe Ceva Grimaldi, Itinerario da Napoli a Lecce e nella provincia di Otranto nell’anno 1818, Napoli 1821. L’autore afferma che in Lecce si lavoravano una volta finissimi merletti, ora mediocri. 30 L’Abruzzo, sotto il dominio borbonico, fu diviso in tre province: Abruzzo Citeriore, Ulteriore I, Ulteriore II, i tre Abruzzi, e la divisione rimase fino al 1927. L’Abruzzo Ulteriore II indica gran parte della provincia dell’Aquila.
L’uso di “ecc.” nella descrizione relativa a Napoli fa capire che si producevano merletti in altri Conservatori o Ritiri di donne. Nel 1889 era segnalato31 il lavoro vario e, potremmo dire, cosmopolita, eseguito nel R. Ritiro dell’Ecce Homo32: In quanto al tipo [di merletti] essi presentano molte varietà: ve ne ha della scuola antica e moderna napoletana, della scuola veneziana su disegni della collezione Ongania33 del 1500, e vi si trovano altresì i tipi più stimati di merletti forestieri, come i Cluny, i Valenciennes, il Punto di Spagna.
Cora Slocomb di Brazzà34, accomuna in un’unica voce il Punto di Milano e il Punto di Napoli (Milanese point and Neapolitan point) indicando in queste città centri di produzione famosi. Si riferisce verosimilmente al merletto a nastrino continuo, con vari fondi, tipico di un certo merletto meridionale, di derivazione lombarda, che trovò a L’Aquila una particolare interpretazione. Non ho trovato riscontri sui centri napoletani famosi se non cenni di conventi o istituti dove ci si applicava a quest’arte. Può anche essere che non abbia saputo cercare perché Cora Slocomb, vivacissima e brillante, Suor Tempesta la chiamava Ruggero Bonghi35, è persona che trasmette l’idea di una ottima conoscenza di quanto allora, nel 1893, si facesse in Italia. Può, comunque, essere capitato che proprio la pubblicazione delle Tavole, dieci anni prima, abbia, in qualche modo, animato la locale produzione di merletti che, in ogni caso, non doveva avere una rilevanza straordinaria. Ricordo, al proposito, alcuni scritti di studi e statistica di Alberto Errera36, che si occupò spesso di piccole industrie e, veneziano che aveva seguito da vicino l’evolversi dei laboratori di Burano e Pellestrina, era piuttosto interessato alle manifatture di merletti. Dal 1877 si era trasferito da Milano a Napoli dove insegnava al R. Istituto tecnico e teneva corsi all’Università. Porta la data del 1880 il suo famoso libretto37 sulle piccole industrie, dove il merletto italiano ed europeo è trattato con vera competenza: Napoli compare solo per la produzione dei guanti. Nulla sui merletti di quella che era ormai diventata la sua città. Nulla neppure in una sua statistica generale che porta la data del 1892 e costituisce un capitolo della Guida di Napoli e dintorni, a cura di Salvatore di Giacomo e Luigi Conforti. Solo un piccolo cenno in un articolo pubblicato nel 1892 sull’Esposizione di Palermo, contenuto nella «Rassegna agraria, industriale, commerciale, politica»: Napoli nuova. Scuole di arti e mestieri. E il cenno riguardava proprio la scuola professionale femminile nel Ritiro del SS. Ecce Homo. Almeno due luoghi rivendicano l’aver ispirato i disegni a Gioacchino Toma. Secondo l’articolo di Raffaele Verri, le Puglie, anche se le immagini
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Appendice agli «Atti del R. Istituto d’Incoraggiamento», 1889 Fondato nel 1794, nella seconda metà del diciannovesimo secolo divenne una scuola professionale femminile gratuita. Si veda: Laura Guidi (a cura di), Scritture femminili e Storia, Napoli 2004 33 L’editore Ongania di Venezia ristampò molti libretti di modelli del XVI secolo da cui molte merlettaie e ricamatrici presero spunto. 34 Cora Slocomb di Brazzà, A Guide to old and new lace in Italy (Exhibited at Chicago in 1893), pag. 30 35 Elisa Ricci, Ricami Italiani Antichi e Moderni, Le Monnier, 1925, ristampa Nuova S1, 2006, pag. 237 36 Alberto Errera, Venezia 1842 – Napoli 1894 37 Alberto Errera, Manuale teorico e pratico per le piccole Industrie, Hoepli 1880 31 32
che compaiono nel testo di Paone non confermerebbero. taglie, ma i fatti che ci interessano direttamente si concentrano in un periodo Lecce era un centro di grandi tradimolto limitato: la metà di ottobre e proprio zioni e Gioacchino Toma era proprio intorno ad Isernia. nato a Galatina, in provincia di Lecce, L’avanzata dei garibaldini, da sud, incontrava una forte resistenza da parte delle truppe il 24 gennaio 1836. Eppure il tempo trascorso in Puglia non fu un tempo pieno borboniche e dei loro sostenitori. L’armata di gioie. Rimasto orfano giovanissimo piemontese scendeva da nord al comando del padre medico, e, poco dopo, della dello stesso Re Vittorio Emanuele II. Fu presa madre, trascorse una infanzia e una priAncona e furono occupate le Marche. Il gema adolescenza in ospizi o analoghe istinerale Cialdini lasciò la via litoranea, seguita tuzioni. Animo da ribelle, come molti fino ad allora, e si diresse su Isernia. ragazzi intelligenti e soli, senza affetti e Isernia era, data la sua posizione geografica, un punto strategico per l’una e per l’altra nessun conforto, lasciato troppo spesso a parte, i sostenitori dei Borboni. Dai primi di se stesso, non ebbe una educazione seria settembre occupata alternativamente dagli e sistematica. Ne sentì successivamente uni e dagli altri, fu teatro di violenti scontri, l’esigenza e in gran parte se la costruì di rapine, di saccheggi e di atti di una atrocità da sè. Affrontò le difficoltà d’apprendimento in un campo, il disegno, verso cui incredibile. aveva avuto inclinazione, fin da piccolisLa legione cui apparteneva Gioacchino Le merlettaie cieche (1872) Stampa d’epoca simo. Da autodidatta si trasformò in un Toma era stata aggregata agli uomini comandati dal generale Nullo che, movendo da sud eccezionale maestro. A Napoli. verso il Molise, aveva deciso di non aspettare l’arrivo di Cialdini. Il 17 ottoSecondo altri, la fonte di ispirazione fu il merletto di Isernia ed, effettivamente, lo stile di molti manufatti locali ha punti di contatto con i disegni bre, vicino ad Isernia, le truppe di Nullo furono accerchiate, attaccate e sbaragliate. Toma si trovò isolato, si nascose durante la notte ma, il giorno dopo, delle tavole. La tradizione fa risalire l’interesse di Toma verso i merletti alla due contadini armati lo arrestarono. Era dunque il 18. Seguiamo le parole sua incarcerazione nella piccola città. Alcuni articoli su giornali, alcuni siti 38 dell’autobiografia: internet e, a stampa, un testo del 2008 raccontano di Isernia: Anche Piazza Annunziata che oggi si presenta particolarmente viva ed accogliente, era un luogo caro alle merlettaie. Si pensa che Gioacchino Toma, all’epoca giovane garibaldino, proprio da una finestra di Palazzo Pansini, dove venne imprigionato durante la reazione borbonica [..] abbia osservato le merlettaie mentre lavoravano il tombolo, scena serbata nel ricordo e ispiratrice del quadro denominato Le merlettaie cieche.
[..] la mattina, all’alba, mentre un’altissima quiete regnava nel paesello39, mi fecero fare la via per Isernia, scortato da più di venti contadini armati. [..] giunsi ad Isernia, dove fui subito consegnato ai gendarmi e da questi chiuso nella carcere: un immenso stanzone dalla volta altissima e nero nero alle pareti, ch’era situato a pianterreno, nell’interno di un largo cortile, sul quale, all’altezza di un uomo, si apriva, in un canto di quel camerone, una larga finestra.40
Non concordo con l’idea che Isernia abbia ispirato il quadro de Le merlettaie cieche, che assieme ad altri quadri risente della frequentazione di Toma di pii istituti e scuole di Napoli. Si vedano le schede nel catalogo del 1995. Inoltre, pur rendendomi conto della bellezza della visione delle merlettaie nella piazza, particolare che poteva spezzare il dolore e la tristezza di una incarcerazione, l’indagine si scontra con alcune incongruenze. Prendiamo come fonte il libro autobiografico: Ricordi di un orfano. Si può pensare che i ricordi di avvenimenti burrascosi e lontani nel tempo possano non essere precisi, ma alcune date sono così importanti da costituire dei veri punti di riferimento. Apprendiamo e, a questo punto, crediamo che il periodo tra le sbarre si ridusse ad un solo giorno e ad una sola notte e che anche la permanenza del Toma a Isernia, dopo la liberazione, sia stata piuttosto breve. Il 1860 fu un anno memorabile: l’anno della spedizione dei Mille. Emozionante seguire passo passo l’incalzare degli avvenimenti, gli scontri, le bat-
Fu una notte triste, piena di lamenti di feriti, di pianti nel pensiero della famiglia, di ansia, di sfinimento: Nessuno sperava! Era un quadro di dolore indescrivibile.
Maria Stella Rossi, Olimpia Giancola, Il Tombolo nel cuore di Isernia, Volturnia ed., Cerro al Volturno (IS), 2008
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[..] Venuta l’alba, mi accorsi d’un gran movimento di gente nel cortile. [..] Nulla per un certo tempo: poi, pel paese, delle alte grida ed un gran diavolio di voci di donne; poi, di nuovo silenzio. Di lì a qualche minuto s’udì un gran fracasso vicino alle carceri e tutto il cortile, poco dopo echeggiò di terribili colpi dati alla porta, come per atterrarla. Un uomo si avvicinò, correndo, verso il cancello della nostra carcere, e, visto me, si fermò gridando: Viva Garibaldi! – Non insultate la gente che muore – risposi, ed egli non replicò, ma corse indietro, gridando ad altra gente: Le chiavi, dove son le chiavi? Abbattete quella porta, cercate in quella stanza… E giù colpi, e fracasso e rumore da per tutto. [..] La porta, intanto, era già stata aperta, e quell’uomo entrato nella nostra car-
cere, ci si butta addosso abbracciandoci e baciandoci, con le lagrime agli occhi. Io corro tra la gente come un pazzo, attraverso il cortile, passo la porta, e via per le strade correndo di qua e di là all’impazzata. [..] Occupatomi in seguito a prestar tutte le cure necessarie ai feriti garibaldini, dopo l’arrivo del Re in Isernia, raggiunsi in Campobasso la mia legione, conducendo meco quei garibaldini che furono in stato di seguirmi.
Da quanto scritto sono abbastanza chiare le mie perplessità sulle fonti di ispirazione. Tutto potrebbe, d’altra parte, essere plausibile. Anche se, dalle Puglie, Toma se ne andò abbastanza presto dopo tristi esperienze, possono essere rimasti nella sua mente ricordi, immagini di qualche momento di quiete, in una casa, una donna che cuce o intreccia merletti e alcuni suoi quadri contengono queste scene. Ma sono situazioni che non appartengono a nessun luogo o a luoghi che possono essere dovunque. E Isernia? Il legame con Gioacchino Toma è troppo radicato nella tradizione per non avere una base reale, ma non la ricercherei nel periodo che molti citano. Quanto scritto nei Ricordi è in contrasto con i racconti che si tramandano. Troppo breve il tempo trascorso a Isernia nel 1860: il 19 ottobre Toma fu imprigionato nelle carceri della cittadina, lì trascorse la notte tra il 19 e il 20, il 20 fu liberato. Il 22 arrivò ad Isernia Vittorio Emanuele. Troppo violenti gli avvenimenti, troppo sangue, troppa confusione, per pensare che potesse avere anche solo l’idea di ammirare dalla prigione – così come raccontano – alcune donne che placidamente lavoravano in piazza. E sulla piazza non dava certamente la finestra dello stanzone chiuso dalle sbarre. La veduta dalla finestra era su un cortile interno. Il titolo della raccolta parla anche molto chiaro: Merletti Napoletani. Un omaggio a Napoli quindi, Copertina del Metodo del disegno ornamentale la città dove, dopo tanto di Gioacchino Toma travaglio, trovò la serenità, la fonte di sostentamento, una famiglia. Elisa Ricci che dal 1877 viveva a Napoli con il primo marito, Alberto Errera, è anche una testimone preziosa. Scriveva: Forse l’idea venne al Toma nel veder le sue allieve dell’ospizio San Vincenzo lavorare su disegni che nulla avevano di artistico.
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Roccamandolfi, sulle falde del massiccio del Matese Gioacchino Toma, Ricordi di un orfano, a cura di Aldo Vallone, Congedo ed., Galatina 1973
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L’ospizio era il San Vincenzo Ferreri. Jessie White Mario41 ne La miseria di Napoli42, descrive con una chiarezza, che stringe il cuore, le condizioni in cui si trovavano alcune orfanelle. Mutata la direzione dell’ospizio, molto migliorò e si tennero varie scuole: le scuole di cucire, stirare e specialmente di rammendare sono efficacissime – e utilissima quella di disegno applicato ai lavori femminili, condotta dal professore Toma.
Gioacchino Toma insegnò disegno in altre scuole municipali di Napoli. Ed era un magnifico insegnante. Nel 1871, in occasione del Congresso Pedagogico, Girolamo Nisio, allora provveditore, pubblicò una monografia43, Della Istruzione pubblica e privata in Napoli, dal 1806 al 1871. Alcuni passi che riguardano le scuole municipali di disegno applicato alle arti ed ai mestieri ci raccontano: La lezione di disegno lineare ed ornato in Napoli è stata sempre creduta parte principale della istruzione degli operai. [..] Dopo il 1860, fondatesi le scuole serali, principalmente ordinate alla istruzione degli operai, vi si stabilì la lezione di disegno, affidata ad un maestro speciale. Ma queste scuole non dettero buoni frutti, perché non si seguitò un metodo facile ed acconcio a potere nel breve tempo assegnato all’insegnamento serale ottenere utilità pratica nell’applicazione del disegno alle arti e ai mestieri. Però il Municipio, inteso sempre a migliorare questa lezione e a indirizzarla non pure all’educazione artistica, ma all’uso delle arti, fino dal 1867 fondò una scuola di disegno44 per gli operai a questo scopo ordinata, affidandone l’insegnamento al professore Gioacchino Toma, il quale avea rivolti i suoi studi singolarmente a trovare il modo più facile di educare il senso della forma ed insieme applicare al servigio delle arti e de’ mestieri il gusto delle proporzioni e della grazia delle linee e dei contorni. Il Municipio fu largo a fornire siffatta scuola di tutto l’arredamento opportuno, ed il professore Toma vi pose tutto il suo ingegno ed il suo amore per rispondere alle cure del Municipio. L’effetto dimostrò la bontà del metodo seguito e l’utilità di questa scuola. Nella mostra didattica saranno esposti i lavori di questa scuola, ed il giurì potrà meglio giudicare della parte tecnica di questo insegnamento; io mi contento di aggiungere, che questa scuola è del tutto gratuita, l’insegnamento si fa la sera ad un numero determinato di allievi, i quali sono sessanta, la maggior parte dai venti fino ai cinquanta, salvo quattro o cinque che sono in sul dodicesimo anno. L’unica condizione per esserci ammesso è l’essere operaio. I buoni risultati ottenuti da siffatta scuola indussero il Municipio ad estendere la lezione di disegno applicato alle arti anche alle donne45. L’insegnamento è dato il giovedì e la domenica alle allieve delle scuole elementari, e ad alcune della scuola normale, le quali vi hanno dimostrato un’attitudine speciale. I posti sono numerati, non più di 35; e quando vaca uno allora si ammette la nuova allieva. Il metodo è il medesimo, ma l’applicazione diversa. Il Professore prima cerca di destare il senso delle proporzioni e della grazia delle forme, servendosi di originali semplici Jessie White Mario era la moglie del patriota Alberto Mario. Molte le coincidenze: Alberto Mario, anche se maggiore di qualche anno, fu compagno di studi, all’Università di Padova di Giuliano Guastalla, il padre di Elisa. Partecipò anche alla battaglia, del 17 ottobre 1860, presso Isernia con le truppe del generale Nullo. 42 Le Monnier, Firenze, 1877 43 Napoli, Tipografia dei fratelli Testa, 1871 44 La nota (2) a pag 178 del testo ricordato porta la precisazione: Scuola maschile serale di disegno – Adulti –Operai – Largo Montecalvario 60 45 La nota (3) ricorda: Scuola di disegno applicato alle arti – per le donne – A Caravaggio – Adulte 35. 41
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e chiari, dove la correzione possa essere netta ed immediata, o lasciando libertà a ciascuna allieva di copiare l’uno o l’altro modello. Dipoi passa all’applicazione del disegno alle arti, e principalmente al ricamo, al taglio degli abiti, al lavoro dei fiori. Non è qui il luogo di descrivere la industria usata nell’applicare i principi del disegno a questi speciali lavori, né i processi più atti ad ottenere con facilità e con esattezza la esecuzione de’ lavori svariati; ma dirò solo che le allieve sono esercitate in tutte tre queste arti e non solo a copiare e ritrarre dai modelli, ma eziandio a fare da sé, o allargando le proporzioni nelle opere di taglio, o creando novelle combinazioni nei disegni di ricamo e nel lavoro de’ fiori. Senza dubbio è una delle più utili istituzioni che siasi ordinata in questi ultimi anni; e il professore Toma è benemerito della istruzione popolare per avere applicato il suo ingegno a rendere utile alle arti l’insegnamento del disegno. E questo metodo si viene introducendo in altri istituti e maschili e femminili, sotto la guida dello stesso professore. Abbiamo già una scuola nell’Albergo de’ poveri per gli allievi delle classi elementari, un’altra nel Convitto Cirillo, ed una terza ultimamente istituita nel Conservatorio di S. Vincenzo Ferreri per le donzelle ivi educate; in ciascuna delle quali sono cinquanta posti.
Toma. Era una scuola municipale aperta alle alunne delle prime classi elementari e normali. Stavano intorno al giovane professore una trentina di giovanette sorvegliate dalla direttrice, e tutte occupate quale in uno, quale in altro lavoro, secondo il grado di cognizione acquistato, o l’arte speciale a cui intendevano di applicarla. Le scuole erano ariose, vaste, eleganti e le pareti coperte da disegni d’ogni maniera. Vasi di fiori e di piante vive le ornavano, e servivano di modello alle alunne. Delle quali, chi copiava una porta, chi una sedia in prospettiva, chi coloriva un disegno, chi lo applicava alla stoffa destinata ad essere trapunta. Era una scuola ed una officina ad un tempo. L’insegnamento del Toma è il più completo e il più pratico che immaginare si possa. Va dal primo circolo segnato a mano libera fino alla figura umana ombreggiata come può esserlo da un artista. Una giovanetta dopo aver tracciato certe figure geometriche, ne traeva il taglio di un giubbettino, da digradarne il più bel figurino di Francia. Non ho veduto la classica campanella dell’Albertolli48; ma mille disegni e modelli che ornavano le pareti, nessuno peccava di barocchismo: tutti erano belli nella lor varietà, e nuovi in gran parte. Le alunne si addestrano educando l’occhio e la mano, ora copiando un disegno, ora un oggetto in rilievo, ora applicando immediatamente il proprio lavoro Una descrizione di Francesco Dall’Onga46 sulla carta, sulla stoffa, colla matita, ro rende viva la lezione di disegno. Il saggio coi colori, secondo il caso. Giammai Scuola d’arti e mestieri in Napoli, scritto nel mi accadde di veder tradotta in fatto 1871, venne pubblicato anche nella raccolta l’idea dell’arte applicata all’indupostuma Scritti d’arte, Hoepli 1873. stria, come costì. Il Sagliano aveva ragione. Il Toma Tra i quadri della scuola napoletana che fifondando e dirigendo a quel modo guravano all’Esposizione di Parigi del 1867 codesta scuola, aveva fatto assai più si distingueva un primo lavoro del Toma, di un bel quadro. Seppi da poi che rappresentante un Esame rigoroso, come il codesta scuola non è la sola ch’egli Sant’Uffizio soleva chiamare la tortura fino dirige. Ne ha quattro49. Da due o tre Il Tribunale dell’inquisizione (1864) alla morte, inflitta agli eretici. Erano quatanni ch’egli si è consacrato a queimmagine tratta da Aldo De Rinaldis, Gioacchino Toma, Milano 1934 tro frati domenicani che si concertavano sul (Tav.VIII) sto insegnamento circa mille alunni modo di conchiudere codesto esame, a cui d’ogni età e d’ogni condizione hanavevano sottoposto una delle numerose lor no da lui ricevuto i primi rudimenti del disegno, e sono in grado di applicarli al vittime, che giaceva esanime sul pavimento. Il Toma aveva dissimulato i tormenproprio mestiere: fabbri, falegnami, sarti, modiste, decoratori di stanze, arricciatatori, e quell’apparato di cavalletti e di eculei di cui si sarebbe compiaciuto un tori, carpentieri, ecc. ecc. Ho visitato una scuola serale, alla quale intervengono artista volgare. L’esame rigoroso risultava chiaro dall’attitudine delle persone, dal artigiani d’ogni età e d’ogni specie. Vi assicuro ch’era un quadro in azione de’ più tono del dipinto, dal silenzio funereo di quella scena. meravigliosi, e de’ più consolanti. Il Toma non ha assistenti né accetta ispettori. Codesto quadro mi restò vivo nella memoria come una promessa di cose migliori, Non chiede altro, che la libertà di applicare il suo metodo, e di essere giudicato e lo rividi con piacere nelle sale del municipio di Napoli che ne ha fatto l’acquisto. dai risultati. Il municipio gli fornisce cento fogli bianchi; egli li restituisce dopo Mi sorprendevo però, come il Toma non avesse mandato fuori in quattro anni alcuni giorni coperti dagli allievi, notando su ciascuno il nome dell’alunno, e il alcun nuovo lavoro che giustificasse le speranze che ci aveva lasciato concepire, e numero progressivo della lezione che ha ricevuto. Parte di questi fogli saranno chiesi di lui ad uno de’ suoi confratelli d’arte, il Sagliano47. fra pochi dì presentati al Congresso pedagogico che sta per aprirsi e i convenuti Questi mi parlò con piena cognizione di causa del giovane artista, delle dure provedranno con meraviglia i risultati del nuovo metodo, che il municipio di Napoli ve che aveva sofferto, delle angustie d’ogni specie che minacciano troppo spesso ha il merito di avere inaugurato, affidandone la direzione al giovane artista, lala pianta dell’arte prima che riesca a maturare i suoi frutti. Ma il Toma, soggiunse, sciandogli la libertà e la responsabilità più completa dell’opera sua. non ha tradito le vostre aspettazioni. Non potrà forse presentare alcun nuovo dipinto, ma vi mostrerò qualche cosa di lui che vi parrà più pregevole ancora di mol48 Giocondo Albertolli, 1742 - 1839, professore d’Ornati nella reale Accademia di Belle Arti in Milano, ti quadri. E senz’altro mi condusse in una scuola di disegno fondata e diretta dal fu autore di alcune famose pubblicazioni sull’Ornato e sull’apprendimento del disegno. La “classica 46 47
Francesco Dall’Ongaro, 1808 – 1873 Francesco Sagliano, Santa Maria Capua Vetere1826 – Napoli 1890
campanella dell’Albertolli” è verosimilmente illustrata nella Tavola I nel testo Corso elementare di ornamenti architettonici ideato e disegnato ad uso dei principianti, Milano 1805. Alcuni ornati nel corso di Gioacchino Toma si sono sicuramente ispirati all’Albertolli. 49 Almeno cinque se si tiene conto di quanto scritto da Girolamo Nisio.
È da sperare che il fatto varrà meglio delle teorie più speciose, e convincerà i partigiani più ostinati dei metodi antichi, coi quali non si giunge sempre in quattro anni a ciò che il Toma ottiene in due mesi. Facciamo voti che alcuni di questi saggi vengano riprodotti fotograficamente e mandati in dono a tutte le accademie d’Italia.
Dalle lezioni di disegno alla composizione delle Tavole per merletti il passo fu naturale. Forse fu conquistato dal fascino di quei fili sottili, bianchi, che, intrecciandosi e costruendo vari disegni, gli trasmisero, come trasmettono oggi, suggestioni profonde. Concludiamo con uno scritto di De Rinaldis che inquadra il periodo e svela l’atteggiamento. E v’era qualcosa d’antico tempo e d’antico clima in questo artista, che fin dal 1865 avea pensato di organizzare una scuola per operai di manufatti, di escogitare un metodo d’insegnamento, di ponderarne le applicazioni e gli sviluppi, perché la fermezza del disegno, la conoscenza esatta delle stilizzazioni antiche e una ricerca non trasandata di stilizzazioni nuove, rinnovassero le procedure dei mestieri d’arte, dessero nuova grazia di forme agli ornamenti della vita. Egli pensava che ciascun artista debba espletare il suo primo tirocinio nello studio della prospettiva e nel disegno applicato alle forme ornamentali. Non altrimenti si pensava a Firenze nel secolo decimoquinto, quando la Prospettiva era aggiunta alle Arti liberali, e la carriera dei pittori avea principio nelle botteghe dei lavoratori di metalli. Ma senza dubbio, un particolare impegno dovett’egli avere per l’insegnamento del disegno che faceva alle ragazze, applicato ad opera di ricamatura e di merletto. Egli fissò la sua mente su quest’ultima; considerò che la tecnica del “punto movibile” s’era oramai svilita in una meccanica ripetizione di forme stracche ed alterate; suggerì motivi suoi propri d’arabesco. Non sarebbe possibile precisare fino a qual tempo la sua produzione di disegni per merletto fu soltanto provvisoria e occasionale; ma è certo che nei primi anni dell’ultimo suo decennio50, avea la mente tutta colma di quei sottilissimi rabeschi senza soluzione di cammino, placidamente arditi nella snodata flessuosità delle movenze, nei loro sviluppi, nei loro ritorni impreveduti.
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Gioacchino Toma si spense nel 1891
In quegli anni, appunto, portava a compimento ed a sistemazione quella sua opera paziente ed amorosa; la pubblicava in quaranta tavole a stampa, implicitamente dimostrative d’un metodo, da lui sottilmente ragionato, sugli sviluppi graduali della composizione ornamentale; e ne esponeva i disegni originali alla Mostra napoletana del 1886. Quei quaranta fogli rappresentavano il più grande tentativo ottocentesco, nel campo del disegno, per la riconduzione d’un mestiere a dignità d’arte; e nello stesso tempo, offrivano una larghissima possibilità di deduzioni per opere di ricamo, di cuoio impresso, di metalli incisi. Non erano il risultato d’un accorto lavorio di ripetizioni, combinazioni e sfruttamenti dell’antico; ma, l’uno accanto all’altro, componevano un’opera nuova ed inventata di linearità, che tenea già risoluti, nelle proprie forme, tutti gli apporti della cultura disegnativi in quello stesso campo. I disegni di questo visionario della linea entusiasmarono le signore che si teneano occupate di ricami e di merletti; ma con qualche indifferenza furono considera-
Note sul corso di disegno Il corso di disegno, pubblicato da Richter & Co., Napoli, fu utilizzato fino agli anni venti in tutte le scuole municipali di Napoli e consta di due parti: Il disegno pe’ bambini. Metodo del Prof. G. Toma Disegno ornamentale. Metodo del Prof. G. Toma. Adottato per le scuole secondarie.
La prima parte, come si legge sul retro di alcuni numeri era prevista di 6 quadernetti, numerati da 1 a 6, e, sempre sul retro di copertina, veniva presentata in questo modo: Con l’educare i bambini all’esecuzione precisa delle linee, per ottenere la quale si curerà che essi passino la penna attentamente sulle linee già leggermente accennate come nei primi tre quaderni, si ottiene il duplice scopo di prepararli al disegno, ed alla buona calligrafia. A questi esercizi fanno seguito altri tre quaderni: due con piccoli disegni originali per l’imitazione, e l’ultimo per la nomenclatura delle modanature dei cinque Ordini d’Architettura, e con esemplari di disegno geometrico.
In realtà, seguendo quanto ho potuto vedere nell’unica biblioteca che ufficialmente conserva il corso, la Biblioteca Provinciale di Lecce, e facendo un controllo incrociato con quanto indicato nell’ultima voce della bibliografia del catalogo del 199551, si può dedurre che i quaderni per i bambini sono, in realtà, 6+1, mentre la struttura dell’intero corso dovrebbe essere questa: Prima e quarta di copertina de Il disegno per bambini e prima pagina interna.
Per il Disegno pe’ bambini:
te dagli artisti. I pittori debbono “pittare” solamente, si diceva. Ma così non si pensava in qualche tempo antico; e Toma non pensava così. Questa diversità di pensiero, che risolutamente lo adduceva ad una diversità di azione, potrà spiegare il carattere frammentario e quasi esclusivamente estivo della sua pittura nei primi sei anni dell’ultimo decennio della sua carriera.
Quaderno N.1, 10 pagine numerate da 1 a 10 Quaderno N.2, 10 pagine numerate da 11 a 20 Quaderno N.3, 10 pagine numerate da 21 a 30 Quaderno N.4, 10 pagine numerate da 31 a 40 Quaderno N.5, 10 pagine numerate da 41 a 50 Quaderno N.6, 10 pagine numerate da 51 a 60
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A cura di Bruno Mantura e Nicola Spinosa, 1995, op. cit.
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Ogni fascicoletto, dal prezzo di 10 centesimi, portava a destra il numero e, a sinistra, la scritta: Appartenente a….. Ogni allievo aveva quindi le sue proprie pagine di lavoro, pronte per essere usate. Nessuno spreco di tempo per la preparazione dei fogli, esercizi chiari e in bell’ordine atti a trasmettere, nel tracciamento delle linee, un simile desiderabile ordine. Gli esercizi erano raccolti in un unico contenitore a testimonianza della progressione dell’apprendimento. Dal punto di vista didattico una impostazione e una organizzazione veramente mirata e moderna! Quaderno N.7, 10 pagine numerate da 1 a 10 (porta come intestazione: Primi esercizi pel disegno ornamentale) Quaderno N.7 bis, 10 pagine numerate da 1 a 10 (porta come intestazione: Disegno ornamentale) Quaderno N.8, 20 pagine numerate da 1 a 20 (porta come intestazione: Disegno ornamentale) Quaderno N.8 bis: compare nell’ultima voce bibliografica del catalogo del 199552, non è contenuto nella raccolta presso la Biblioteca Provinciale di Lecce, ma potrebbe essere, per coerenza di numerazione, la seconda parte del Quaderno N.8. Il Quaderno N.9, di 10 pagine, numerate da 1 a 10, fa ancora parte del Disegno pe’ bambini (come scritto in copertina) e contiene la nomenclatura delle modanature dei cinque Ordini d’Architettura ed esemplari di disegno geometrico (applicazione del disegno lineare).
Il numero dei fascicoli, 11, concorda con il numero di cui parla De Gubernatis53, anche se poi, a parte, evidenzia le 20 tavole del quaderno numero 8, come fossero una entità separata. Sulla prima e sulla quarta di copertina dei quadernetti 1-6 e 9 compare un compendio di geometria che posso definire notevole se si pensa che era destinato ai bambini delle elementari. Sicuramente il tutto è stato pensato e organizzato con grande cura. Didatticamente, avere sempre sotto gli occhi, se pur in un semplice corso di disegno, questi elementi fondamentali poteva avere l’effetto di un apprendimento senza fatica. Tutto, piano piano, diventava familiare e naturale. E il linguaggio con cui comunicare, il linguaggio universale della geometria, poteva aiutare a capire, riconoscere e poi riprodurre, i disegni, dai più semplici ai più complicati.
tangente, di settore. Si conclude con l’ellisse, con, in una porzione di cerchio, l’arco, la corda e la saetta e infine l’ovolo.
Data la diffusione del metodo in tutte le scuole municipali di Napoli, non mi spiego la difficoltà avuta nel reperimento del corso se non, almeno per i quaderni di lavoro 1-6 e 9, per l’utilizzo immediato con cui erano stati concepiti. Non ho trovato nulla neppure nel mercato antiquario che forse ha considerato di poca importanza quei quadernetti con figure geometriche. Cerco, cerco ancora, e mi aspetto – a dir la verità lo spero - di ritrovare qualcosa in qualche biblioteca di scuola elementare o professionale. L’anno con cui il corso è stato catalogato, il 1865, in realtà si riferisce – come chiaramente scritto in copertina, ma poteva davvero trarre in inganno – ad una legge sui diritti d’autore. Toma incominciò ad insegnare dal 1867 e la presentazione alla Promotrice del 1886 indica che la stampa, in cui erano confluiti anni di esperienza, era stata portata a compimento da non molto tempo. Note sulle Tavole di Merletti Il titolo esatto delle Tavole è: Merletti napoletani a piombini a punto legatore. Disegni per merletti a fuselli, quindi, ma non solo. Come scrisse De Rinaldis54 le tavole offrivano e, sono sicura, offrono ancora: una larghissima possibilità di deduzioni per opere di ricamo, di cuoio impresso, di metalli incisi.
Pur avendo molto cercato, chiesto, letto e sfogliato, non ho trovato nessuna descrizione del punto legatore. Molte analogie con una tipologia del merletto aquilano mi spingono a riconoscere nel punto legatore il punto riattaccato, varianti dello stesso, o un fondo che leghi il nastrino, mentre disegna ornati. L’osservazione dei disegni nelle Tavole e la descrizione, tratta dal libro di Elisa Ricci, Antiche Trine Italiane. Trine a fuselli, nel capitolo Abruzzi, ci possono dare qualche indicazione:
Avvertenze Non stupisce se alcune tavole contengono alcuni tracciati riconoscibili come linee araldiche. L’araldica56, fonte di ispirazione per forme, struttura e colori, ha sempre avuto notevole importanza nell’arte, nella storia, nel sim-
[..]si trova il nastrino, colle puntature di spillo ai due vivagni. In Aquila, più esile e sottile, gira ininterrotto come a Milano, a formar meandri, ornati, fiori; ma co’ suoi giri, fitti e frequenti, basta spesso a riempir tutto lo spazio e non lascia posto al fondo di tulle o di sbarrette. Quando la trina, più fine e leggera, e il disegno, più rado, rendono necessario il fondo, le donne aquilane fanno una rete detta a mezza passata, che si allontana interamente dal fondo di Milano e rimane caratteristica delle trine aquilane. Come nel disegno e nel fondo, così esse si differenziano dal modello lombardo anche nella tecnica. Mentre a Milano si intesse prima, con alcuni fuselli, il nastrino che disegna il motivo, e poi, con altri, si esegue il fondo, l’antico merletto aquilano è lavorato a tutte coppie, cioè facendo insieme disegno e fondo, con un numero qualche volta stragrande di fuselli. Quando il disegno lo esige, le trinate aquilane ricorrono anche all’uncinetto, come le milanesi, e chiamano la trina, eseguita così, a punto riattaccato.
In copertina:
Distinzione tra linee riguardo la forma (retta, curva, mista, spezzata, spirale, serpentina) e linee riguardo alla posizione (verticale, orizzontale, due vedute di rette fra loro perpendicolari, rette oblique, parallele, parallelismo di linee curve). Gli angoli vengono rappresentati su due colonne e distinti per riguardo alla forma dei lati dell’angolo (rettilineo, curvilineo, mistilineo) e riguardo all’apertura dei lati (angolo retto, acuto, ottuso). In fondo alla pagina i triangoli (equilatero, isoscele, scaleno) e per la forma dei lati altri triangoli (rettilineo, curvilineo, mistilineo).
In quarta di copertina:
Vari tipi di quadrilateri, di poligoni, di circoli, e nella trattazione di questi, la nomenclatura di centro, di circonferenza, di raggio, di diametro, di retta secante e
A cura di Bruno Mantura e Nicola Spinosa, 1995, op. cit. Angelo De Gubernatis (a cura di), Dizionario degli artisti italiani viventi, Le Monnier ed., Firenze 1889
Nel libro di recente ristampa55: Rita Fattore e Vita Maria Aprile, Il tombolo aquilano, troviamo chiari esempi di vari punti riattaccati e, con grande sorpresa, la foto di un merletto del XIX secolo il cui disegno proviene sicuramente dalle Tavole di Gioacchino Toma.
tav.1: innestato
tav.13: innestato nebuloso
tav.20: innestato ad incastro Secondo la nomenclatura tratta da Antonio Manno, Vocabolario araldico ufficiale, Roma 1907
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De Rinaldis, 1934, op. cit.
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Ristampa per le edizioni Nuova S1, Bologna 2008 Si veda Antonio Manno, Vocabolario araldico ufficiale, Roma 1907
Tav. 1
fine anteprima
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