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ISSN 2384-9029

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luglio 2014


OFFICINA* Bimestrale on-line di architettura e tecnologia N.01 luglio-agosto 2014 ISSN 2384-9029 Rivista consultabile e scaricabile gratuitamente su : www.officina-artec.com/category/publications/officina-magazine

DIRETTORE EDITORIALE

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:

Emilio Antoniol

Francesco Camillo, Anna Garatti, Anna Manea, Fabio Menegazzo

COMITATO EDITORIALE

IMPAGINAZIONE GRAFICA

Valentina Covre

Valentina Covre

Francesca Guidolin Daria Petucco REDAZIONE Filippo Banchieri Margherita Ferrari Valentina Manfè Michele Menegazzo Chiara Trojetto PROGETTO GRAFICO

EDITORE

Valentina Covre

Self-published by

Margherita Ferrari Chiara Trojetto

ArTec - Archivio delle Tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale Università Iuav di Venezia Dorsoduro 2196, 30123 Venezia tel. +39 041257 1673 fax +39 041257 1678 info@officina-artec.com Copyright © 2014 OFFICINA*


Dall’avvio del progetto OFFICINA* nel dicembre 2013 sono state molte le aspettative ma anche i dubbi e le perplessità legate allo sviluppo futuro di tale iniziativa. Il primo numero di questa rivista, che si ripeterà con cadenza bimestrale, diventa così la concretizzazione di un’idea ancora in crescita ed evoluzione. Più chiare, invece, sono sempre state le motivazioni che hanno spinto dei dottorandi in Tecnologia dell’Architettura dell’Università Iuav di Venezia a coinvolgere colleghi, docenti, ricercatori, studenti ma anche aziende e professionisti in questa iniziativa che vede nella divulgazione della ricerca, e della cultura in genere, il suo primo fondamento. Alla base del progetto si ritrova la volontà - espressa simbolicamente anche mediante il concorso fotografico “Mettiamoci le MANI” che accompagna questo primo numero - di lavorare insieme alla costruzione di nuovi spazi di collaborazione e condivisione del sapere. In essi, il fare, il produrre, il viaggiare si intrecciano ai nostri temi di ricerca, alle tesi di laurea o a esperienze professionali trasformando le pagine di OFFICINA* in un luogo di dialogo, di confronto sui temi dell’architettura, della tecnologia, della produzione e, forse in modo ancora più sentito, in uno spazio di riflessione sul significato e sul valore della ricerca e della formazione oggi.


INDICE

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N.01 lug-ago 2014 in copertina: la nascita di OFFICINA* immagine di Margherita Ferrari e Daria Petucco

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RIQUALIFICAZIONE APPROPRIATA Cambiare finestre di Emilio Antoniol Riqualificare il capannone di Valentina Covre La riqualificazione [appropriata] degli edifici tradizionali alpini di Daria Petucco

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IN PRODUZIONE Seconde lavorazioni di Michele Menegazzo

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PORTFOLIO (Quando) l’esposizione è il progetto a cura di Valentina Manfè foto di Filippo Banchieri

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VOGLIO FARE L’ARCHITETTO Human Cantilever di Fabio Menegazzo Povertà come possibilità di Anna Manea

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MICROFONO ACCESO Sean Godsell a cura di Francesca Guidolin con il contributo di Arianna Garatti

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CELLULOSA Architettura e tecnologia appropriata a cura di Francesca Guidolin

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ESPLORARE Do you MAG? di Margherita Ferrari Abbiamo visto la mostra... di Daria Petucco


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ARCHITETT’ALTRO Design Network Australia di Francesco Camillo

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(S)COMPOSIZIONE Perdo pezzi per strada di Valentina Covre

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Mettiamoci le MANI - Concorso fotografico di Nicola Franchin

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ESPLORARE

Abbiamo visto la mostra...

MAG/ Musica Arte Giovani Sona di Verona Parco Villa Romani 21 agosto - 23 agosto 2014 facebook: bando.magarte

Renzo Piano Building Workshop Pezzo per Pezzo Padova, Palazzo della Ragione 15 marzo - 15 luglio 2014

Giunge alla VI edizione il festival MAG//Musica Arte Giovani, piattaforma che promuove linguaggi espressivi dell’arte contemporanea e sostiene la valorizzazione di beni pubblici aprendoli a nuovi utilizzi, contaminazioni e a un pubblico più esteso. Nelle edizioni precedenti ha accolto la partecipazione di oltre cento artisti e professionisti provenienti da ogni parte d’Italia e i visitatori non hanno perso l’occasione: un evento che negli anni ha riscosso sempre più successo, divenendo un punto di incontro, di scambio e dialogo. Il bosco si riempie di installazioni, momenti in cui arte e natura si fondono: la coltivazione è aperta a tutti partecipando al bando di MAG//ARTE entro il giorno 8 agosto. La premiazione avverrà a chiusura del festival.

Disegni esecutivi, schizzi, plastici in divenire e plastici finiti, prototipi di elementi e campionature di materiali, foto di cantiere e in cantiere, immagini evocative, documenti di progetto, libri, tablet, e molto altro: pezzi su pezzi. La mostra di Renzo Piano Building Workshop è composta da una serie innumerevole di frammenti di progetto tra loro eterogenei, atti esplicitamente a raccontare il “making of ” di trentadue opere dello studio, dai primi lavori di un giovane Renzo Piano con la barba nera (tra tutti si segnala il Laboratorio di quartiere nel centro storico di Otranto) alle realizzazioni più recenti e iconiche. Ad ogni opera viene dedicato un ampio tavolo quadrato sopra il quale – adagiati o appesi dall’alto – vengono esposti i “memorabilia” dei progetti. Anche se sembra mancare un vero e

di Margherita Ferrari

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proprio criterio di collocazione dei pezzi sui tavoli e, a volte, risulta difficile capire il processo progettuale e costruttivo del singolo progetto, la scelta espositiva tuttavia centra forse un altro obiettivo, ovvero quello di stupire e incuriosire – soprattutto i non addetti ai lavori – rispetto al mondo dell’architettura, nelle sue diverse fasi e scale. Attorno ad ogni tavolo vi sono otto sedie che sembrano invitare i visitatori a riposarsi, a soffermarsi sul pezzo più interessante ma soprattutto a guardare l’architettura: non solo le opere di Piano ma anche il Palazzo delle Ragione.

Do you MAG?

una serie innumerevole di frammenti di progetto tra loro eterogenei

di Daria Petucco


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TRE RICERCHE SUL TEMA DELLA RIQUALIFICAZIONE DELL’ESISTENTE

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rovandoci spesso a discutere sulle nostre ricerche di dottorato, tutte e tre afferenti al macro-tema della riqualificazione, è emerso come l’intervento sull’esistente presupponga un’attenzione alla specifica materia e contesto nel quale si va ad operare. E come spesso accade quando i pensieri cercano un appiglio nella sedimentazione delle conoscenze ed esperienze, è ritornata in mente una parola – appropriato – ritrovata in uno dei molti libri che accompagnano il percorso dottorale: “Architettura e Tecnologia appropriata“(si veda la scheda libro pg. 44). “Appropriato”, che all’interno del libro si riferisce all’ambito più generale della tecnologia, ci è sembrato un termine, seppur generale, efficace per definire il concetto che dovrebbe

essere il punto di partenza – e il risultato – di un intervento di riqualificazione. Non è sicuramente una sfida facile. Il contesto reale odierno vede la necessità di operare sull’esistente. I motivi, per elencarne alcuni, sono di ordine energetico (i consumi, le emissioni) ed economico (gli incentivi, gli investimenti nel recupero). Se questi dati parlano di quantità, la ricerca ha invece la possibilità di occuparsi di “qualità”, attraverso la definizione di prodotti, sistemi, materiali, metodi di analisi appropriati alla riqualificazione. A testimonianza dell’interesse per questo tema, le tre ricerche raccolte in questo articolo (la riqualificazione del sistema finestra, dei capannoni industriali e degli edifici tradizionali alpini) sono state presentate presso l’ordine degli Architetti di Vicenza lo scorso 27 maggio 2014, con l’intento di essere da tramite tra il mondo dell’Università e il contesto reale.

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Cambiare finestre Un ottimo investimento?

di Emilio Antoniol Le finestre si possono veramente intendere come la parte intelligente dei muri, la parte organica dell’involucro esterno degli edifici”1.

Così scrivono Matteoli e Peretti in un saggio del ’90 intitolato “Finestre: l’intelligenza dei muri” in cui l’elemento tecnico finestra viene analizzato da diversi punti di vista così come molteplici sono le funzioni che esso assume all’interno dell’organismo edilizio. La finestra protegge la stanza dagli agenti atmosferici esterni ma allo stesso tempo consente il passaggio della luce solare, che porta illuminazione e calore all’interno; consente la ventilazione, l’affaccio all’esterno e l’introspezione verso l’interno; garantisce il collegamento fisico tra dentro e fuori ma si fa anche barriera antintrusione con i suoi dispositivi di sicurezza o di protezione; infine, la finestra è elemento formale e compositivo sia negli interni, arredando le stanze con le sue forme e i suoi materiali, che nei prospetti esterni, definendo rapporti tra pieno e vuoto, tra luce e ombra. A partire dagli anni ’80, la finestra ha assunto sempre più un ruolo di primo piano anche nell’ambito degli interventi di riqualificazione energetica, soprattutto residenziale, data l’elevata incidenza delle chiusure trasparenti sulle dispersioni totali dell’edificio2 . L’evoluzione tecnologica che ha caratterizzato la finestra negli ultimi trent’anni si è spinta a livelli tali da trasformare uno dei componenti dell’involucro energeticamente più critici in uno dei suoi punti di forza, con serramenti dalle prestazioni termiche - e non solo - sempre più vicine a quelle delle chiusure opache, pur conservando le

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caratteristiche fondamentali di trasparenza e di possibilità di apertura. Lo stato dell’arte delle finestre italiane ed europee fa inoltre emergere uno scenario molto promettente per il settore della riqualificazione, con un 44% di finestre ancora dotate di vetri singoli, un 42% che presenta vetri doppi non basso emissivi - e quindi non rispondenti alle attuali prescrizioni normative - e solo un 14% di finestre dotate di vetri basso emissivi o tripli3, aprendo così un importante settore di mercato nell’ambito dell’efficentamento energetico. Sostituire le finestre risulta poi relativamente facile4: l’intervento è operativamente poco invasivo e, spesso, consente di agire anche senza allontanare gli inquilini dall’abitazione; i costi sono mediamente inferiori ad altre tipologie di intervento quali quelli sugli impianti o sull’involucro opaco; infine la sostituzione delle finestre può consentire anche un immediato miglioramento qualitativo dell’alloggio andando ad agire su uno degli arredi fissi della casa. A dimostrazione di come la finestra sia stata, negli ultimi anni, uno dei protagonisti nel panorama della riqualificazione basti poi ricordare come tra gli interventi eseguiti tra il 2010 e il 2011 mediante la procedura di incentivazione fiscale oltre il 45% sia legato proprio alla sostituzione di infissi5. Tuttavia, proprio per questi motivi l’intervento sull’involucro trasparente è sempre più spesso caratterizzato dalla mancanza di un vero progetto, portando così ad una perdita quasi totale delle qualità tecnico-formali della finestra originale e presentandosi come una mera sostituzione dell’esistente con un nuovo prodotto, dalle prestazioni migliorate, ma spesso incapace di relazionarsi con il manufatto edilizio in cui viene


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l’intervento sull’involucro trasparente è sempre più spesso caratterizzato dalla mancanza di un vero progetto

01 - Quartiere INA Casa Conegliano (TV),Mario Ridolfi, 1957. Dettaglio delle logge tamponate con differenti infissi metallici.

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inserito. Interventi concepiti in tal modo non sempre coincidono con un “ottimo investimento” anzi, talvolta, costituiscono un vero e proprio errore progettuale che può rendere vano l’investimento sostenuto. Sul piano economico sono numerosi gli studi che identificano come limitata la convenienza - in termini di tempi di ritorno - di un intervento mirato alla sostituzione della sola finestra. Su questo tema l’Energy Efficiency Report - redatto dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano nel 2011 - fissa a 9 €c/kWh la soglia di convenienza economica dell’investimento ma dimostra anche come, senza le attuali incentivazioni fiscali nessuna tipologia di infisso presente sul mercato permetta di rispettare tale valore. Allo stesso modo altre ricerche6 dimostrano come soltanto combinando diverse tipologie di intervento sul vano, sull’involucro o sugli impianti sia possibile contenere i tempi di ritorno a valori di 8-9 anni contro i 15 o più anni derivanti, invece, dalla sola sostituzione dei serramenti.

to. In questo scenario, una riqualificazione appropriata più che alla sola finestra dovrebbe quindi rivolgersi al “Sistema Finestra” inteso come insieme di vano murario, sistemi di posa, serramento, schermo e relativi accessori. Solo attraverso un progetto di riqualificazione rivolto all’intero sistema è possibile eseguire interventi energeticamente efficienti, economicamente convenienti ma soprattutto capaci di valorizzare e rispettare la complessità tecnologica e figurativa della finestra inserita nell’edificio. Ed è forse quest’ultimo aspetto quello più trascurato nell’attuale panorama degli interventi sui serramenti. Se infatti le questioni energetiche ed economiche sono sempre più indagate da ricercatori ed operatori del settore, l’ambito figurativo resta spesso relegato alla sensibilità del singolo progettista. Tuttavia, nei termini di una riqualificazione appropriata anche questo aspetto dovrebbe essere considerato al pari delle questioni tecnologiche o funzionali. Da sempre infatti la finestra assume nella sua definizione formale significati

Sul piano tecnologico l’installazione di un infisso dalle prestazioni di isolamento e tenuta molto elevate su un vano murario non riqualificato presenta invece problematiche già note da diversi anni ma non per questo risolte in modo sistematico negli interventi di recupero. In particolare la non corretta posa in opera, ovvero la non adeguata progettazione dei giunti di interfaccia tra serramento e muratura, o la mancata riqualificazione energetica di cassonetti e sottofinestra, possono comportare la formazione di ponti termici localizzati che, a loro volta, sono causa di dispersioni termiche, infiltrazioni d’aria e di umidità con la conseguente formazione di condensa e muffe proprio a seguito dell’intervento esegui-

configurazionali7 che connotano in modo inequivocabile gli edifici e, con essi, le nostre città. Il termine configurazionale vuole indicare quegli aspetti legati al “valore comunicativo dell’involucro inteso come veicolo linguistico intenzionale” ossia quei caratteri della finestra che “informano su ciò che va al di la dell’aspetto operativo e materico”8. Partendo dalle prime aperture nei templi greci ed egizi, passando per le finestre romane - già dotate dei primi vetri - fino ad arrivare alle vetrate gotiche, le funzioni e i significati della finestra sono mutati al passare delle epoche storiche, confrontandosi con forme e tipologie di apertura differenti in grado di anticipare innovazioni come il curtain wall che si diffonderà solo diversi secoli

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02 - Volete fare un ottimo investimento? Cambiate finestre Cartellone pubblicitario. 03 - Campiello dei Sechi, Venezia. Tre diversi interventi sul sistema finestra.

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una riqualificazione appropriata più che alla sola finestra dovrebbe quindi rivolgersi al “Sistema Finestra”

dopo. Nel rinascimento la finestra, caratterizzata da una “cornice” preponderante “sull’infisso”9, diventa un vero e proprio strumento progettuale atto a definire le proporzioni e i ritmi della facciata mentre, con l’avvento dei materiali metallici e di lastre vetrate sempre più grandi, la finestra ottocentesca si stacca sempre più dall’idea di buco nel muro per diventare facciata continua e porsi come unico elemento di separazione tra interno ed esterno. La finestra del ‘900 si arricchisce di contenuti formali sempre più evidenti, basti pensare alle “finestre orizzontali” di Le Corbusier o alla “parete finestra”10 di Mies van der Rohe, o ancora alle finestre “dispositivo ottico” dell’Istituto del Mondo Arabo a Parigi di Jean Nouvel e a quelle in “risalto visivo”11 di Ghery. In questi esempi la finestra non è più solo un elemento tecnico funzionale all’edificio ma anche un modo per trasmettere un linguaggio architettonico, un modo diverso di concepire il rapporto tra l’interno e l’esterno, tra il pubblico e il privato. All’appropriatezza tecnologica si affianca dunque anche quella configurazionale che diventa mezzo e strumento per valutare la qualità complessiva degli interventi di riqualificazione in un ottica più ampia che vede nell’edificio intero - e per estensione nella città - il suo ambito di riferimento.

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04 - Il sistema finestra: 1. Architrave 2. Veletta o chiusino (esterno) del cassonetto 3. Cassonetto dell’avvolgibile 4. Controtelaio (lato superiore) 5. Fermavetro 6. Lastra vetrata (vetrocamera) 7. Telaio mobile o dell’anta 8. Telaio fisso 9. Controtelaio (lato inferiore o quarto lato) 10. Parapetto o sottofinestra 11. Davanzale esterno 12. Corsia di scorrimento del telo avvolgibile 13. Stipite o spalletta 14. Muratura esterna 15. Telo avvolgibile


05 - Edificio anni ’60 a Treviso. Al primo piano gli infissi in acciaio verniciato di rosso sono stati sostituiti con nuovi prodotti dalla morfologia differente andando a modificare il disegno di facciata del palazzo. 06 - Dettaglio delle finestre ‘in risalto visivo’ dell’edificio per uffici noto con il nome di “Fred and Ginger” di Vlado Milunic e Frank Gehry, Praga, 1994-96.

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NOTE

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1 - Matteoli Lorenzo, Peretti Gabriella, Finestre: l’intelligenza dei muri, Scriptorium, Moncalieri, 1990, pag. 4. 2 - L’incidenza delle finestre nelle dispersioni totali dell’edificio può variare dal 15% al 35% in funzione alla tecnologia costruttiva dell’edificio e della finestra stessa. Cfr. Capolla Massimo, La casa energetica. Indicazioni e idee per progettare la casa a consumo zero, Maggioli, Rimini, 2011. 3 - Fonte TNO Report TNO-60-DTM-2011-00338, Glazing type distribution in the EU building stock, 2011. 4 - Se confrontato con altre tipologie di intervento di riqualificazione quali la realizzazione di cappotti o isolamenti interni, o il rifacimento degli impianti, la sola sostruzione degli infissi può essere considerata un’operazione di intervento a bassa invasività sia per i contenuti tempi di realizzazione sia perché può non prevedere interventi murari. 5 - Fonte, Energy Efficiency Report, Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, Novembre 2011. 6 - Cfr. Ferrante Annarita, Adeguamento energetico e qualificazione architettonica. Casi di studio e sperimentazioni progettuali nell’edilizia sociale, in Caratteri tipologici del costruito e criteri di adeguamento tecnologico e ambientale, (a cura di) Dell’Acqua

Adolfo (et alii), Alinea, Perugia, 2011. 7 - Il termine è ripreso dal lavoro di Giorgio Boaga, L’involucro architettonico. Progetto, degrado e recupero della qualità edilizia, Masson, Milano, 1994. 8 - Cfr. Giorgio Boaga, Op. cit., pag. 15. 9 - I termini sono ripresi da Romanelli Francesco, Scapaccino Elisa, Dalla finestra al curtain wall: ricerche sulle tecnologie del discontinuo, Officina, Roma, 1979. 10 - I termini sono ripresi da Cardullo Francesco, La stanza e la finestra, Roma, Officina, 2013. 11 - Cfr. Holt Michael, Looby Marissa, Frank Gehry: la ridefinizione incidentale della finestra, in Domus, Maggio 2011.

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Riqualificare il capannone Quale scelta appropriata tra recupero e demolizione

appropriatezza dell’utilizzo del termine

che assieme alla contingente situazione economica è stata

“appropriato” nella valutazione degli interventi sui manufatti industriali comunemente denominati capannoni1 ne-

causa principale di dismissione, abbandono e sottoutilizzo di questi luoghi, lascia spazio all’innesto di nuove o rinnovate funzioni (complici l’informatica e la deindustrializzazione) e di conseguenza a materiali e sistemi costruttivi con i quali la preesistenza si interfaccia e cerca compatibilità. Un lavoro sinergico finalizzato anche a dotare questi edifici di prestazioni prima d’ora inesistenti. Al contenimento dei consumi energetici, sia esso imposto dagli strumenti normativi, guidato da una sensibilità della committenza o ancora osannato per il prestigio e ritorno economico che un marchio certificato può fornire, si accosta un’attenzione all’idoneità sismica di questi edifici, temporalmente scissi dallo spartiacque del 2003 (anno della nuova classificazione sismica del territo-

cessita, all’interno di questo circoscritto ambito architettonico, di una serie di puntualizzazioni indispensabili per poterne attribuire consistenza e validità. Come per tutti gli edifici dotati di caratterizzanti e distintivi connotati morfologici, funzionali e costruttivi, specifici a tal punto da portare alla definizione di un tipo edilizio immediatamente riconoscibile, le azioni sui capannoni in disuso che disegnano l’attuale scenario produttivo e industriale portano con sé un abaco di peculiari necessità e criticità. Si tratta di operazioni, ma più spesso di semplici sperimentazioni progettuali, che trovano ragione nella consistenza di questa dismissione, esplicitata da inquietanti dati numerici 2 , e supporto nelle condivise linee normative che promuovono un “consumo zero” di suolo e che indirizzano verso la ridefinizione di quei luoghi i cui esiti concretizzano codici estetici erosivi, periferici, estensivi, disorientanti, senza limiti, marginali, invadenti, sovrapposti a luoghi antropizzati e stratificati nei secoli e devastati in pochi anni3. La razionalità ecologica che guida verso il riuso di questi spazi deve però necessariamente essere affiancata da un’altrettanto razionale valutazione in termini economici, tecnologici ed energetici capace di tenere assieme le diversificate caratteristiche prestazionali richieste alle nuove conformazioni. L’adeguatezza dell’intervento si confronta innanzitutto con la capacità di rispondere alle necessità dettate da un cambiamento funzionale; l’obsolescenza tecnologica e produttiva,

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edifici dotati di caratterizzanti e distintivi connotati morfologici, funzionali e costruttivi, specifici a tal punto da portare alla definizione di un tipo edilizio

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di Valentina Covre


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01 - Ex magazzini FS a Verona (foto di Margherita Ferrari).

rio nazionale) e protagonisti involontari del sisma emiliano. Sono tutte operazioni necessarie per riattivare un tipo edilizio, per “adeguarlo a principi energetici attivi e passivi, e di renderlo piĂš decoroso, con progressivi trapianti di pezzi o anche solo con interventi di liftingâ€?. 4 A queste e altre esigenze devono rispondere tutti i componenti costitutivi di questi edifici dall’apparente basso livello tecnologico; si tratta di elementi accorpabili in sole due macro-categorie: struttura e involucro. Il livello di appropriatezza passa dunque anche per le specifiche caratteristiche tecniche e morfologiche di questo tipo edilizio, contraddistinto da occupazioni estensive in termini di superficie ma parallelamente intensive in termini di volume. Scatoloni, scarti, casannoni, oggetti instabili (sono solo alcuni degli appellativi con cui i capannoni industriali, e le loro variazioni generate

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da innesti, sottrazioni, mascheramenti, vengono identificati nella letteratura interdisciplinare che recentemente affronta il tema) una quasi inesistente specializzazione degli ambienti e mettono a disposizione una generosa consistenza di valore spaziale da riprogettare. Se quest’ultimo sembra essere, insieme al valore economico acquisito, una delle componenti (sane) di questi contenitori dalle origini industriali, artigianali e commerciali, molto più scadente è il loro valore materiale. Coloro che identificano nel sistema costruttivo, e in particolar modo nella prefabbricazione, il capro espiatorio del decadimento qualitativo di questi edifici trova però riferimenti esemplari il cui le stesse caratteristiche (modularità, materiali impiegati, sistema strutturale, modalità di fissaggio degli

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elementi) portano a risultati di ben altra natura5. Si tratta di aspetti che concorrono indiscutibilmente anche alla definizione del valore culturale del manufatto6, parametro di riferimento nella valutazione delle strategie ad esso applicabili, nella scelta tra la pratica conservativa e l’intervento di demolizione. L’appropriatezza risiede dunque anche nel preferire l’una all’altro, nel definire i criteri che esplicitino l’effettiva convenienza economica, energetica, culturale dell’operazione, qualunque essa sia. “E se l’unica alternativa economicamente possibile fosse lasciare tutto com’è e governare rovine contemporanee?” 7. Se questo interrogativo, maggiormente indirizzato agli stakeholder legati agli aspetti pragmatici della questione, porta a discussioni dal carattere tecnico (i cui output sono espressi in numeri, statistiche, m3, kWh/m2 , kg di CO2 , ecc.) il livel-


l’appropriatezza risiede dunque anche nel preferire l’una all’altro, nel definire i criteri che esplicitino l’effettiva convenienza economica, energetica, culturale dell’operazione, qualunque essa sia

02 - Prototipo di abitazione per tre persone realizzato con sistema CIPA collocato all’interno del capannone industriale dell’azienda produttrice. 03/04 - Immagini di cantiere della realizzazione dello stabilimento lana e centro di distribuzione Benetton progettato da Afra e Tobia Scarpa.

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riuso, riciclo, riorganizzazione, rigenerazione, riqualificazione, riutilizzo, reinvenzione, restauro, recupero, riattivazione, riconversione

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lo di appropriatezza non può escludere dalla valutazione del termine impiegato per definire questi interventi sulla preesistenza, sui figli poveri dell’archeologia industriale nati con il peccato originale. Riuso, riciclo, riorganizzazione, rigenerazione, riqualificazione, riutilizzo, reinvenzione, restauro, recupero, riattivazione, riconversione, e forse molti altri sfuggiti in questa occasione, si accostano, si contrappongono, vengono impiegati come sinonimi. Ognuno di essi incorpora però peculiarità diverse, con atteggiamenti che si differenziano ulteriormente al loro interno, in base al contesto geografico di riferimento, alle sue tradizioni costruttive e ai riferimenti normativi, fondamenti con cui si confronta l’estensione nel tempo della vita di un edificio.


05/07 - Capannone industriale situato nella zona industriale di Sant’Elena (PD). 06 - Edifici industriali di recente costruzione in Egitto.

NOTE 1 - Il dizionario Treccani non solo identifica nella parola capanna la radice etimologica del termine ma indirizza verso un metodo di classificazione tipologica basato sul sistema costruttivo impiegato per la sua realizzazione: struttura portante puntuale in muratura, cemento armato o metallo, spesso realizzata con tecniche di prefabbricazione. 2 - Il censimento sulle aree dismesse italiane condotto dal WWF nel 2013, i cui esiti sono raccolti nel report RiutilizziAMO l’Italia, evidenzia come il 25% dei casi di abbandono di edifici sia riconducibile alla cessazione dell’attività produttiva all’interno di essi. 3 - Fossati Paolo Remy, L’Italia degli scatoloni, in Claudia Battaino, Vacant Spaces. Recycling Architecture. La periferia inglobante, Mimesis Edizioni, Milano 2012, pag. 39. 4 - Caludio Bertolelli, Là, dove il paesaggio si fa. Esperienze e confronti nella terra del lavoro, in Marini Sara, Bertagna Alberto, Gastaldi Francesco (a cura di), L’architettura degli spazi del lavoro. Nuovi compiti e nuovi luoghi del progetto, Quodlibet, Macerata, 2012, pag. 39. 5 - Lo stabilimento lana e il centro di distribuzione robotizzato progettati nel 1964 a Paderno di Ponzano (TV) da Afra e Tobia

Scarpa per Benetton sono stati realizzati con elementi (strutturali e di tamponamento, verticali e orizzontali) prefabbricati in cemento. 6 - Solo il 10% degli edifici produttivi abbandonati è costituito da manufatti ai quali è riconosciuta una valenza storica e architettonica, principalmente legata al contesto urbano centrale in cui sono inseriti. 7 - Claudio Bertolelli, Op.cit., pag. 39.

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La riqualificazione [appropriata] degli edifici tradizionali alpini

di Daria Petucco L’architettura alpina – quella originale, quindi ormai storica – è frutto di una cultura popolare risultante da ponderate scelte ambientali e da una sedimentazione del “sa-

per fare e costruire” risultante dall’esperienza accumulata attraverso vari secoli, entrambe tramandate oralmente e manualmente.”1 Secondo questa visione, il concetto di appropriatezza sembra appartenere alla genesi e allo sviluppo dell’architettura tradizionale alpina. I materiali per la sua costruzione - la pietra e il legno - venivano sostanzialmente reperiti nel territorio, valutando quindi la possibilità di essere agilmente trasportati, lavorati e facendo attenzione alla loro interazione con l’ambiente. Anche per quanto riguarda le “forme” finali da conferire a questi materiali - a diverse scale, dal singolo elemento all’intero edificio - esse rispondevano al criterio di efficienza, ottimizzazione, parsimonia. Il tema della riqualificazione dell’esistente si occupa oggi necessariamente anche di questa architettura. Le motivazioni alla base sono di diversa natura. Vi sono innanzitutto quelle che, più in generale, riguardano il miglioramento della prestazione energetica e quindi la riduzione delle emissioni in atmosfera, la limitazione di consumo di ulteriore territorio, soprattutto in un ambiente - quello montano - così fragile. Accanto a queste vi sono tuttavia ragioni contestuali all’ambiente e ai suoi edifici. In primo luogo vi è l’intento - molto spesso concretizzatosi attraverso iniziative nazionali e transnazionali 2 - di conservare il sapere del quale questi edifici sono portatori, altrimenti detto cultura materiale. Una seconda ragione insiste sulla funzione che questi edifici, un

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01 - Sistema di “funghi” per proteggere l’edificio dall’umidità del terreno e dalla risalita dei roditori, detti anche “Mausplatten”, Valle d’Aosta. Crediti: Petucco Giuseppe.

Il tema della riqualificazione dell’esistente si occupa oggi necessariamente anche di questa architettura

tempo presidi territoriali, possono oggi assumere attraverso il loro recupero. Considerando la vocazione turistica assunta oggi da molti territori montani, pensare ad un’accoglienza che si basi sull’ospitalità all’interno degli edifici recuperati (su modello ad esempio dell’albergo diffuso), è un’indicazione suggerita anche dal Protocollo del Turismo redatto dalla Convenzione delle Alpi3. Inoltre, non sono da escludere scenari in cui il recupero avvenga con l’intento di “ri-abitazione” dei territori montani, come delineato da alcune recenti ricerche in atto nelle Alpi occidentali4. A partire da questo background si giunge tuttavia alla fase di maggior criticità, la fase operativa, nella quale è necessario rispondere alla domanda: “come riqualificare?”. Se da un lato vi deve essere la volontà di preservare i caratteri distintivi di questa architettura dall’altro lato vi è la necessità di rispondere con il progetto a esigenze nuove, spesso non previste dal manufatto originario. Attraverso l’analisi di due casi studio5 sono state individuate alcune questioni aperte - e tra loro interconnesse - in merito alle modalità di recupero e riqualificazione di questi edifici. In primo luogo vi è sicuramente una questione spaziale, connessa ad una nuova destinazione d’uso. Gli edifici tradizionali alpini erano nella maggior parte dei casi destinati a stalle e fienili e in alcuni casi associati a delle unità abitative. Essendo realmente poco fattibile il mantenimento della funzione rurale, le nuove destinazioni d’uso comprendono la residenza (temporanea o permanente), spazi di accoglienza (spazi espositivi-museali, sale polifunzionali), spazi per attività commerciali e artigianali. Il cambio di funzione pone, 01

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per elencarne alcune, problematiche legate al soddisfacimento dei requisiti igienico-sanitari (altezze, aerazione, illuminazione) e all’accessibilità; problemi legati alla salubrità degli ambienti (un locale che per centinaia di anni ha ospitato una stalla presenta a livello olfattivo e di degrado materico diverse criticità); problemi - o opportunità progettuali - nell’identificare soluzioni architettoniche che sappiano valorizzare gli spazi esistenti. La conoscenza approfondita del manufatto, da realizzarsi in una delle fasi determinanti del processo di recupero - il rilievo - diventa quindi un primo requisito operativo. Una seconda questione riguarda la sicurezza, in primo luogo statica, che l’intervento di recupero deve soddisfare, al fine di sopportare i nuovi carichi di esercizio derivanti dal cambio di destinazione d’uso, definiti dalla normativa. Gli interventi sulle fondazioni (gli edifici tradizionali sono spesso privi di fondazioni propriamente dette) e sulla struttura portante (sia esso un telaio ligneo, un sistema a blockbau, una muratura di pietrame o un sistema misto) risultano essere i più invasivi in quanto realizzati su una materia esistente - anche se spesso di qualità - non dimensionata secondo i parametri odierni. Intervenire in modo appropriato necessita quindi di valuta-

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zioni e proposte ad hoc da parte dei progettisti e degli strutturisti coinvolti nel progetto . Non viene tralasciata poi la questione della prestazione energetica, uno dei “motori” dell’intervento sull’esistente. Due sono i principali campi di intervento: gli impianti e l’involucro. Ad esemplificazione della tematica relativa agli impianti è sufficiente portare una comparazione. L’edificio originario, prendendo ad esempio uno degli edifici oggetto di studio6, era scaldato a legna in una sola stanza, la “stua”. L’edificio, dopo l’intervento, è scaldato in tutte le stanze attraverso diversi sistemi: un camino a legna, una caldaia a condensazione a gas e un impianto a pannelli solari termici. Come è facilmente intuibile, ciò si traduce nella necessità di spazi prima non presenti per l’inserimento delle reti e delle unità centrali degli impianti. Per quanto riguarda l’involucro, anche in questo caso un esempio7 misura quanto la questione prestazionale influenzi le modalità di intervento di riqualificazione: il tavolato ligneo esterno (a confinamento del fienile) passa dallo spessore di 3 cm ad uno spessore 34,5 cm . Sono quindi necessari oltre 30 cm di “nuovi” materiali al fine di soddisfare i valori di trasmittanza termica previsti dalla normativa. Uno spunto per


02 - La struttura lignea originaria affiancata alla nuova struttura in acciaio nell’intervento di riqualificazione del Tabià a Selva di Cadore. Crediti: Studio EXiT. 03/04 - La “stua”, unico locale riscaldato della casa ladina bipartita di Selva di Cadore, e il correlato sistema di alimentazione del fuoco, posizionato nella stanza attigua. Crediti: Arch. Giuliano Giusto. 05 - Sistema di riscaldamento a pavimento previsto in tutti i locali a seguito dell’intervento di recupero e riqualificazione. Crediti: Arch. Giuliano Giusto.

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se l’edificio tradizionale è principalmente realizzato in pietra e legno, la sua “versione riqualificata” può comprendere materiali di diverso tipo

un intervento appropriato potrebbe essere quello di valutare attentamente i reali profili di utenza dell’edificio8 - soprattutto in caso di utilizzo saltuario degli spazi - al fine di calibrare gli impianti e le caratteristiche dell’involucro. Strettamente connessa a questa questione vi è quella dei materiali che è necessario introdurre nel cantiere di riqualificazione. Se l’edificio tradizionale è principalmente realizzato in pietra e legno, la sua “versione riqualificata” può comprendere materiali di diverso tipo: acciaio, calcestruzzo armato, laterizio, vetro, materiali isolanti di diversa natura, materiali plastici, compositi ma anche legno e pietra in versioni “innovate” (come ad esempio il legno lamellare o la pietra ricostituita). In questo scenario la mappa di reperimento dei materiali, da un originario concetto di locale-territoriale, si espande. Non solo risulta complesso sottostare al principio di prossimità di reperimento dei materiali, spesso indicato dai manuali di recupero, ma diventa difficile realmente tracciare i vari passaggi (e viaggi) che i materiali compiono prima di arrivare in cantiere. La ricerca di materiali/sistemi pensati per la riqualificazione (come ad esempio quelli a spessore ridotto o che si assemblano a secco) potrebbe essere un percorso verso un intervento appropriato. Un’ultima questione emersa dall’analisi dei casi studio è di

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06/07 - Cantiere in montagna: soluzioni “ingegnose” per rispondere alla variabilità meteorologica. Crediti: Arch. Giuliano Giusto. 08/09 - Riscaldamento a pavimento alimentato elettricamente, realizzato con un sistema tipo termocoperta con resistenze in carbonio, spessore 4 mm. Il tavolato del pavimento viene poi posato a secco sopra il telo. Crediti: Studio EXiT. 10 - Confronto tra la stratigrafia dell’involucro del fienile prima e dopo l’intervento di riqualificazione della casa ladina bipartita di Selva di Cadore. Crediti: Arch. Giuliano Giusto.

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carattere più operativo e riguarda la tematica del cantiere che, in un ambiente montano, spesso di confronta con particolari situazioni climatico-ambientali: difficoltà di accesso al sito (si pensi ad esempio a mezzi pesanti, gru, ecc.), variabilità meteorologica e tempi limitati di operatività (maggio-dicembre). Pensare a soluzioni appropriate anche per il cantiere (come ad esempio, su spunto dei casi studio, sistemi di protezione dall’acqua/neve facilmente e rapidamente installabili o organizzazione temporale delle varie lavorazioni in base alle temperature) diventa uno sforzo necessario per l’intervento di riqualificazione in questi contesti.

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NOTE

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1 - L. Dematteis, “Il patrimonio architettonico alpino”, in: A. De Rossi, E. Moncalvo (a cura di), Cultura architettonica e ambiente alpino, Celid, Torino, 2011, pag.153. 2 - Tra queste iniziative si segnalano in particolare i Progetti Europei sullo Spazio Alpino che oramai da oltre 10 anni si occupano di questa tematica (quali ad esempio AlpCity, AlpHouse, AlpBC) e le varie iniziative di pubblicazione di manuali per il recupero dell’architettura alpina, promosse da Comuni, G.A.L. e Comunità Montane. 3 - Official Journal of the European Union (2005), Protocol on the implementation of the Alpine Convention of 1991 in the field of tourism – Tourism Protocol. 4 - Si veda ad esempio: Dematteis G. (a cura di), Montanari per scelta. Indizi di rinascita nella montagna piemontese, FrancoAngeli, Milano, 2011; Corrado F., Dematteis G., Di Gioia A. (a cura di), Nuovi montanari. Abitare le Alpi nel XXI secolo, FrancoAngeli, Milano, 2014. 5 - Si tratta di un tabià del 1870-90 a Selva di Cadore (BL), convertito tra il 2008 e il 2010 in residenza dallo Studio EXiT di Treviso e da una casa ladina bipartita del 1876, anch’essa a Selva

07 di Cadore (BL), trasformata nel 2006-2009 in residenza dall’Architetto Giuliano Giusto. 6 - Casa ladina bipartita, Architetto Giuliano Giusto. 7 - Ibid. 8 -Una questione che ci si pone e quella rispetto alla necessità di isolare in maniera cospicua edifici che realmente vengono occupati pochi giorni all’anno e spesso soprattutto nel periodo estivo. Una ricerca dal tema “Efficienza energetica nei rifugi” (condotta da Peter Büchel e presentata IMS di Bressanone nel 2012) potrebbe essere da spunto a questa questione, pur occupandosi di una tipologia edilizia differente ma in un contesto climatico simile. “E’ forse l’intervento minimo più efficiente?” è la domanda che la ricerca si pone, cercando di valutare quindi la quantità di materiale utilizzato per isolare e gli impianti necessari in rapporto alle modalità di utilizzo dell’edificio.

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IN PRODUZIONE

Seconde lavorazioni Materiale fragile per antonomasia, il vetro può garantire performance eccezionali

L

di Michele Menegazzo progettazione

sere degli utenti, per introdurre nuovi

criticità legate alle dimensioni si verifi-

dell’involucro di un edificio è oggi un processo alta-

livelli comunicativi e per permettere usi strutturali.

mente complesso, dal momento che necessita di considerazioni non solo sugli aspetti compositivi, espressivi e formali, ma anche su quelli legati al comfort termico, acustico e visivo, al risparmio energetico, alla fattibilità economica e allo sviluppo tecnologico dei componenti. Un’ampia parte delle recenti realizzazioni architettoniche, soprattutto nel settore residenziale e terziario, è connotata da grandi superfici vetrate, con caratteristiche variabili in relazione al microclima del sito e all’orientamento delle pareti in cui sono inserite. Il vetro assume quindi un ruolo importante nel creare ambienti piacevoli da vivere: la Biblioteca Universitaria ad Utrecht, il Maciachini Center a Milano, le Bolle delle cantine Nardini a Bassano del Grappa e l’Apple Flagship Store a Manhattan sono solo alcuni degli esempi di come questo materiale, generalmente associato in architettura alla lastra piana di rivestimento trasparente, possa esser declinato per garantire il benes-

Union Glass La Union Glass di Motta di Livenza è impegnata da quasi trent’anni nella trasformazione delle lastre float in prodotti ad alto contenuto tecnologico, migliorandone le caratteristiche di fragilità, di scarsa resistenza alla trazione e di sensibilità alla concentrazione delle tensioni. Il colloquio con il titolare ed il responsabile commerciale dell’azienda, in occasione di una visita agli stabilimenti, è stato interessante per elaborare alcune indicazioni utili per i progettisti, i serramentisti e i facciatisti.

cano nella fase di taglio, in quanto un numero crescente di professionisti, allo scopo di massimizzare l’area vision, richiede lastre alte 3300 - 3400 millimetri a partire da prodotti standard e ciò comporta una grande quantità di sfridi e di giacenze di magazzino. Per l’operazione di taglio, i vetri vengono presi dalle scaffalature verticali di stoccaggio automatico e caricati in posizione orizzontale mediante un sistema di bracci dotati di ventose, queste ultime inserite per garantire la tenuta del pannello in condizioni di sicurezza anche nel caso di blackout. Una singola lastra può pesare alcune centinaia di chilogrammi, ma viene facilmente movimentata sopra il tavolo di lavoro tramite un cuscino d’aria e allineata a dei punti di riferimento riconosciuti dal programma a controllo numerico. Il banco è costituito inoltre da un asse elettrico Gantry, il quale, grazie all’azionamento con due motori e al vincolo con guide cilindriche ad alta precisione e cremagliere elicoidali, raggiunge velocità di taglio fino a 160 metri al minuto ed evita torsioni durante gli spostamenti. Il vetro viene inciso da una rotella in carburo

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Taglio Generalmente le lastre di vetro sono consegnate presso la sede con le dimensioni standard di 3210x6000 millimetri: la scelta di un elemento extra-size comporta, infatti, un notevole aumento dei costi dovuto alla difficoltà nel reperire adeguati impianti di lavorazione, all’esecuzione delle verifiche di qualità e alla gestione operativa della logistica e delle fasi di montaggio. Ulteriori


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01 - Tavolo di taglio: la lastra viene incisa da una rotella posta nella testa mobile del ponte (foto: Union Glass). 02 - Centro di lavoro a controllo numerico: esecuzione di una molatura (foto: Union Glass).

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di tungsteno, widia o diamante sintetico posta nella testa mobile del ponte ed è definitivamente spezzato con una sollecitazione delle barre di troncaggio azionate da un operatore. Molatura Le lastre prive di telaio sono spesso utilizzate in architettura per la realizzazione di parapetti, schermature solari, porte d’ingresso o complementi di arredo: per queste e per altre tipologie di applicazioni, è necessario procedere a una serie di lavorazioni che ne garantiscano l’alto livello qualitativo e prestazionale. La presenza di asperità e irregolarità sui bordi, ad esempio, può diventare causa di rottura e deve essere eliminata tramite una molatura. Le macchine più semplici sono organizzate secondo una configurazione a L oppure a U, in quanto operano su due lati per volta, mentre quelle quadrilaterali e quelle rettilinee verticali, a fronte di un prezzo superiore, occupano meno spazio e risultano più facilmente inseribili in stabilimento. I mandrini possono montare differenti tipi di mole, anche contemporaneamente, a seconda dell’effetto finale desiderato:

• il filo greggio opaco, realizzato con mole diamantate; • il filo lucido, piatto o tondo, ottenuto con mole diamantate bachelitiche e di feltro e un successivo trattamento della superficie con ossido di cerio liquido; • il bisello, utilizzato soprattutto per gli specchi di grande pregio, che prevede una molatura del bordo per 10-40 millimetri di altezza con un angolo di circa 7 gradi. Tali operazioni possono essere onerose, in termini di tempo, e molto complesse, in quanto spesso richiedono dei test per determinare la giusta velocità

di avvicinamento al pannello. Le forature, predisposte non troppo vicino al bordo, sono invece ottenute mediante punte a corona diamantata, contrapposte sullo stesso asse verticale e raffreddate con getto continuo d’acqua. Verniciatura Le lastre possono essere verniciate completamente tramite macchine a rullo o a velo, nel caso della smaltatura, o seguendo un disegno, se viene effettuata una serigrafia. In questo secondo procedimento, una volta studiate le immagini e i colori da riprodurre, viene

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03 - Vetri serigrafati posti su scaffalature (foto: Union Glass). 04 - Composizione delle lastre di vetro con l’intercalare di materiale plastico prima della manganatura (foto: Union Glass).

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applicata una fotoemulsione a base ac-

zo di trazione nella parte centrale, ossia

quosa sui telai di seta sintetica: esposta alla radiazione ultravioletta con lunghezza d’onda di 365 nanometri, essa si asciuga creando della maglie dure e non solubili in acqua attraverso cui viene fatto passare lo smalto con l’ausilio di una spatola (racla). I motivi riprodotti possono essere semplici, modulari o molto articolati, come gli alberi sulle vetrate della sede di Italcrafts a Fiorano Modenese. La stabilizzazione chimica e meccanica delle fritte ceramiche avviene tramite trattamento termico e quindi può essere associata alla tempra, all’Heat Soak Test o all’indurimento.

il vetro acquista una riserva di resistenza meccanica, ai contrasti termici e alla fatica da utilizzare prima di disgregarsi in piccoli frammenti non taglienti. Ciò nonostante, la tempra termica presenta dei limiti di applicazione: • non può essere eseguita sui pannelli con spessori inferiori ai tre millimetri o con forme articolate o ancora con numerosi fori vicini tra loro, in quanto le sollecitazioni interne al materiale possono causarne la rottura; • non ammette lavorazioni successive, ragione per cui il taglio, la levigatura, la foratura e la svasatura devono essere effettuati precedentemente; • non può essere applicata su lastre a controllo solare con couches semplicemente magnetroniche, in quanto contrariamente ai rivestimenti pirolitici e magnetronici temprabili, non sono resistenti ai trattamenti termici; • i vetri riflettenti temprati presentano spesso distorsioni ottiche in funzione della distanza, dell’angolo di osservazione e dei rapporti di illuminanza tra interno ed esterno.

Tempra Nel primo di questi processi, le lastre vengono poste su un tavolo a rulli e introdotte in un forno orizzontale oscillante a resistenze elettriche e a convezione, dove raggiungono la temperatura di rammollimento (640 °C); sono qui mantenute per un tempo variabile a seconda del tipo e dello spessore del vetro ed, infine, sono raffreddate rapidamente con getti d’aria. In questo modo, si creano una pre-compressione permanente sulle superfici esterne e uno sfor-

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Altri Trattamenti Il vetro temprato può subire inoltre rotture improvvise a causa delle tensioni sviluppate nella massa dalle inclusioni di solfuro di nichel, le quali tendono ad espandersi per riacquisire la configurazione trigonale originale persa durante il riscaldamento. Nell’Heat Soak Test le lastre vengono mantenute ad una temperatura di circa 290 °C per due ore, in modo da consentire alla struttura cristallina di adattarsi alle variazioni volumetriche. L’indurimento è invece un processo del tutto simile a quello della tempra, ma da essa si differenzia per una fase di raffreddamento più lenta e per il fatto di restituire un prodotto perfettamente planare (quindi adatto per la laminazione), ma non di sicurezza, dal momento che si frange in grandi pezzi come il vetro float. La tempra chimica è un trattamento molto costoso e applicato solamente nei casi di lastre con spessori molto sottili e di vetri curvi ricotti. Laminazione Da diversi anni Union Glass ha destinato un’area alla fabbricazione di pannelli di vetro stratificato a misura fissa. Il


vantaggio principale di questi elemen-

Un’altra tipologia di intercalare molto

dal titolo “Tra vetro e legno. Facciate

ti è dato dalla possibilità di accoppiare più lastre di vetro tramite layer plastici, in modo da ottenere alti livelli prestazionali e da garantire il trattenimento in posizione dei frammenti formatisi in caso di rottura. Lungo la linea produttiva, i vetri vengono lavati e asciugati ed entrano all’interno di una camera bianca (un ambiente mantenuto a temperatura e umidità costanti e dotato di impianto di abbattimento delle polveri), dove sono impilati mediante strati di polivinilbutirrale qui conservato. Il pannello composito viene quindi fatto passare in un forno di manganatura, in modo che lo spazio fra i singoli layer venga deaerato per azione del calore sprigionato dalle lampade a raggi infrarossi. L’elemento viene successivamente inserito in autoclave, dove rimane per un ciclo prestabilito per permettere alla pressione di surriscaldare il PVB e di renderlo trasparente e solidale con il vetro. Il vetro stratificato non temperato può essere ottenuto anche con il taglio delle grandi lastre di colata: questa particolare trasformazione viene realizzata su dei tavoli dove le lastre subiscono un taglio simultaneo su entrambe le facce.

utilizzata, soprattutto negli edifici di grande altezza, è il Sentry Glas®, che consente la realizzazione di vetrate con spessori ridotti a elevatissima resistenza meccanica alla flessione (sicurezza anti-uragano) e capaci di mantenere la forma anche in caso di rottura degli strati di vetro, offrendo una totale sicurezza anticaduta. L’etilene-vinil-acetato (EVA), nonostante possegga un’elevata plasticità una volta riscaldato, è ancora poco usato per i rivestimenti architettonici, se non nei casi in cui particolari performance di resistenza agli shock termici non siano raggiungibili con altri materiali. Union Solar, azienda del gruppo Union Glass, lo utilizza invece come incapsulante delle celle di silicio per la produzione dei pannelli fotovoltaici tradizionali e dei moduli vetro-vetro. Ulteriori materiali impiegati nella laminazione del vetro, soprattutto per la messa a punto di facciate continue e complementi d’arredo, sono le lastre di policarbonato, le pellicole decorative, il marmo, le lamiera e l’acciaio.

continue e tamponamenti con struttura portante in legno”, ha confermato l’importanza di uno stretto e proficuo rapporto tra professionisti e realtà produttive, sia nella fase progettuale che nello sviluppo dell’attività di cantiere. I primi devono documentarsi adeguatamente sull’effettiva disponibilità o realizzabilità dimensionale dei prodotti vetrari e sulla loro possibile applicazione per rispondere alle prestazioni richieste dall’edificio. Alle aziende, invece, spetta il compito di divulgare i percorsi di innovazione intrapresi e di suggerire il giusto compromesso per ottenere il migliore risultato.

La visita, effettuata all’interno dell’attività di ricerca finanziata dal FSE

N.01 LUG-AGO 2014 29

04


PORTFOLIO

(Quando) l’esposizione è il progetto

P

a cura di Valentina Manfè foto di Filippo Banchieri ostindustrial Garden, urban Archaeolog y, the Gateway to Venice, sono il filo rosso che tiene assieme i Workshop 2014 dell’Università Iuav di Venezia.

Workshop non è solo lo svolgimento di un tema progettuale assegnato, la definizione di un progetto da sviluppare seguendo le indicazioni del docente. Workshop è contaminazione di studenti, di età e percorsi diversi che interagiscono tra loro al fine di sviluppare un tema comune, pur percorrendo strade diverse. I Laboratori estivi, guidati da un unico argomento, sono però caratterizzati da svariate modalità di percorso progettuale. Workshop è extempore, progetto, rappresentazione, realizzazione, esposizione. La motivazione del come si sceglie di rappresentare l’idea progettuale e la sua esposizione, sono l’essenza che si vuole mettere in luce mediante una serie di immagini di lavoro, come uno zoom su questioni architettoniche fondanti. La figurazione del progetto e la sua narrazione diventano quindi lo strumento di cui disponiamo per comunicare il processo progettuale che caratterizza l’esposizione.

Le immagini di seguito riportate sono state scattate nelle varie aule durante la seconda settimana di workshop selezionando i momenti salienti delle fasi di lavoro, antecedenti alla mostra finale, in cui il progetto diventa da subito esposizione attraverso tecniche, materiali e modalità differenti.

30 OFFICINA*

Ricardo Bak Gord

Mauro Galantino


Francesco Venezia Uno schizzo rappresenta l’idea di progetto. Il modello in scala 1:500 diventa il mezzo della sua concretizzazione. Un lungo viadotto collega i margini della laguna e interseca ortogonalmente il ponte della libertà ; ne scaturisce un nuovo spazio pubblico, un luogo privilegiato per contemplare la città di Venezia.

LAN Architects

don

Labics

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Benno Albrecht Sara Marini Il progetto di architetture “Sine Terra”, staccate dal suolo contaminato di Marghera, passa attraverso la realizzazione di modelli a più scale - maquette - che, convertiti in oggetti di design, diventano la base dell’esposizione finale accompagnati da un manuale di istruzioni che ne racconta genesi e trasformazioni.

Fernanda de Maio Gundula Rakowitz L’esposizione nasce dallo spazio fisico che la genera. Le scale di rappresentazione tradizionali, non più adeguate, lasciano il posto ad un plastico territoriale in scala 1:3.333 e a un modello dell’edificio in scala 1:33, scale ideali per la trasposizione della realtà fisica in un modello di progetto.

Murat Tabanliogl

Sebastian Irarrazaval

32 OFFICINA*


Josè Maria Saez Vaquero

studenti di diverse età e diverse formazioni interagiscono per uno scopo comune, si contaminano

lu

Carla Juaçaba Lavorare sulle rovine di una città immaginaria. Così recita il titolo del workshop proposto da Carla Juacaba. Tuttavia, ciò che giace abbandonato tra le rovine non è rifiuto, ma diventa materia di progetto, punto di partenza per realizzare l’esposizione finale.

Pietro Valle

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Renato Rizzi Ventiquattro modelli in gesso interpretano, in scala 1:15.000, la porzione del fondale veneziano su cui corre la nuova linea della metropolitana sub-lagunare. Alla verità planimetrica delle misure si contrappone una finzione altimetrica, frutto di un coefficiente correttivo. Ma è proprio grazie a tale finzione che i segni prendono significato, conferendo realtà al modello che, in tal modo, diventa progetto.

Pierre Louis Faloci

Sean Godsell

Alejandro Echeverri Restrepo

34 OFFICINA*


Mauro Marzo Josè Maria Sanchez Garcia Plastici, schizzi, modelli o disegni sono solo gli espedienti materiali del progetto; è la strategia di lavoro ad essere determinante. Due gruppi di lavoro, come due squadre di calcio, si affrontano sul terreno di Marghera, confrontandosi su sette temi chiave per un’area progetto in cui convivono due mondi totalmente differenti tra loro come la Città Giardino e l’area industriale di via Fratelli Bandiera. Partendo dal proprio campo, le due squadre sono chiamate a confrontarsi e misurarsi facendo emergere gli aspetti davvero importanti e creando così relazioni, legami e distanze tra i progetti.

Patrizia Montini Zimolo

RED TEAM

BLACK TEAM

Marghera´s Garden City

Industrial Edge on Via Fratelli Bandiera

The Double Scale Opposite Landscapes

Discovered Typologies

The Double Scale Opposite Landscapes d

Bevk Perovic’ Arhitekti

Overlapping Layers Limits & Displacement

h i & Technique Texture

Technique & Texture Inverted Geometries

Inverted Geometries

Limits & Displacement

Discovered Typologies

Overlapping Layers

N.01 LUG-AGO 2014 35


VOGLIO FARE L’ARCHITETTO

Povertà come possibilità Progetto di tesi a Medellin, Colombia

Trent’anni fa nessuno

valle dell’Aburrà e vengono classifica-

poteva pensare che in queste pendenze si potesse costruire. Ora

ti in due categorie: Consolidación Nivel 3 e Asentamientos Precarios (insediamenti precari). La prima, situata ai confini con la città formale in aree con pendenze che vanno dal 20 al 40%, presenta una struttura urbana abbastanza solida, grazie soprattutto ai numerosi progetti pubblici, come ad esempio i PUI - Proyectos Urbanos Integrales, realizzati dal governo Fajardo in poi, che sono diventati simbolo della grande trasformazione della città. La seconda categoria, invece, riguarda gli insediamenti precari, come ad esempio i quartieri La Cruz e La Honda, oggetto della mia ricerca, caratterizzati da una complessità

tutti gli spazi sono abitati. Le vecchie case di legno e cartone sono state pian piano rimpiazzate da case in cemento. Stretti sentieri si perdono, per il nuovo arrivato il quartiere è un labirinto indecifrabile”. Queste parole di Alonso Salazar, giornalista ed ex Sindaco di Medellín, scritte nel suo libro “No nacimos pa’ semillas”, raccontano i temi principali della mia tesi, ossia l’occupazione informale di aree inospitali con pendenze superiori al 40%, la complessità del sistema urbano, del sistema ambientale, e delle condizioni socio-economiche. Lo studio è stato articolato durante l’anno di permanenza a Medellín, e arricchito grazie alla partecipazione alla ricerca “Re habitar la montaña, estrategias y procesos para un hábitat sostenible en las laderas de Medellín” (libro consultabile al link a fine articolo), avvenuta nel Centro Studi Urbam - dell’ Università EAFIT. Gli insediamenti informali, chiamati nel caso di Medellin “Comunas”, si trovano principalmente nell’area nord-est della

36 OFFICINA*

più elevata dovuta da un lato alla più recente formazione, dall’altro alla loro costruzione su un terreno molto giovane e fragile, che, unito alle alte pendenze, forma numerose frane mettendo in pericolo le vite degli abitanti. La mancanza di fognature e di un adeguato sistema di canalizzazione delle acque piovane, inoltre, provoca la formazione di acque torrenziali e di infiltrazione, soprattutto durante la stagione delle piogge, aumentando in modo esponen-

nonostante queste aree siano notoriamente considerate a rischio, rimangono per molti l’unica possibilità di insediamento nella città

di Anna Manea


ziale la possibilità di eventi disastrosi. Nonostante queste aree siano notoriamente considerate a rischio, rimangono per molti l’unica possibilità di insediamento nella città: l’immigrazione dalla campagna è in continuo aumento, i nuovi arrivati trovano nella parte alta della valle l’unico rifugio e, per le persone che non riescono a sostenere economicamente i costi della città formale, gli insediamenti precari risultano l’unica possibilità di sopravvivenza. Queste aree, quindi, ospitano la parte di popolazione più bisognosa della città e della regione: da ciò ne risulta un’alta vulnerabilità socio-economica. I dati ufficiali del Proyecto de Regularización y Legalización Urbanistica del barrio La Cruz y el sector la Honda lo dimostrano: nel settore La Honda il 37% delle persone non ha alcun tipo di istruzione e il numero di desplazados (persone che hanno dovuto abbandonare le loro case e la loro terra a causa del conflitto armato che da più di cinquant’anni è in atto nel territorio colombiano) arriva al 71%; il 74% delle persone di La Cruz non percepisce salario. Le interviste condotte tra gli abitanti dei due quartieri hanno confermato la veridicità dei dati, e il dia-

logo diretto con le persone ha portato alla luce una serie di aspetti positivi per me determinanti, quali la volontà di cambiamento, la voglia di riscattarsi e studiare, come la signora Rosa che a 60 anni ha deciso di iniziare un corso di infermieria o Andrés che ha seguito un corso di specializzazione sulle costruzioni in terra e bamboo. La presenza di numerose organizzazioni comunitarie, infatti, ne è la conferma: c’è chi si occupa di agricoltura (associazione ‘Paloma’), chi organizza attività fisiche, gite culturali, lezioni di yoga nei centri anziani e chi si preoccupa di migliorare

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01 - Foto dal quartiere La Cruz verso il centro di Medellín.

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lo spazio pubblico come i Comitè de Trabajo e le Juntas de Acción Comunal, con la costruzione di strade, campi da calcio e luoghi di sosta, ma anche chi si propone come aiuto nella costruzione di case per i nuovi arrivati nel quartiere. In sintesi, l’area presenta un forte rischio geologico, una continua occupazione del suolo e un alto tasso di vulnerabilità socio-economica; ma allo stesso tempo è costituita da una comunità organizzata e con grandi potenzialità. La proposta avanzata per il territorio si basa su tre obiettivi principali: 1° - non permettere l’occupazione delle aree ad alta pericolosità direzionando la crescita della città verso aree sicure; 2° - mitigare il rischio attraverso il miglioramento delle condizioni fiscospaziali; 3° - non consolidare la povertà progettando un quartiere per poveri, ma crea-

38 OFFICINA*

re opportunità. I primi due obiettivi hanno rappresentato le strategie pratiche e fisiche di intervento nel quartiere, mentre il terzo è stato determinante per capire il processo e il modo in cui le strategie fisiche potevano essere applicate creando nuove possibilità di sviluppo economico e sociale. Per citare un esempio, è stato pensato a un sistema di orti, aree per la silvicoltura, sistemi agro-forestali e silvopastorali per le aree ad alto rischio geologico con l’obiettivo che la comunità - di origini contadine – potesse in questo modo gestire autonomamente questo tipo di attività traendone profitto. Contemporaneamente, la strategia ha previsto l’occupazione preventiva dei territori non occupabili, con il compromesso posto agli stessi cittadini, di controllare il territorio impedendo una nuova occupazione.

Concludendo, la tesi mette in luce un fattore determinante: la povertà non dev’essere obbligatoriamente vista come un aspetto negativo, ma rappresenta una realtà che può avere grandi potenzialità. Le interviste condotte, i rapporti e le amicizie che ho creato con gli abitanti del quartiere mi hanno fatto capire che la necessità di dover sopravvivere, di doversi re-inventare tutti i giorni può diventare una forma di creatività che, se ben indirizzata, può portare ad un tipo di sviluppo più equilibrato e sostenibile.


02

Portfolio di laurea: http://issuu.com/annamanea/docs/ portfolio_di_laurea_anna_manea Il libro Re habitar la montaña: http://issuu.com/universidadeafit/ docs/rehabitar-monta__a Bibliografia: - A. Salazar, No nacimos pa’ Semilla, CINEP, 1990. - Empresa Desarollo Urbano, Proyecto de Regularización y Legalización Urbanistica del barrio La Cruz y el sector la Honda, 2011.

02 - Foto dal quartiere La Cruz verso il centro di Medellín. 03 - Arnulfo, rappresentante dell’associazione Paloma’ (abbreviazione di Para lo mas pobres che si occupa di permacultura nel quartiere Bello Oriente).

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Human Cantilever Installazione degli studenti Iuav alla serata Art Night nel chiostro dei Tolentini di Venezia

N

di Fabio Menegazzo* ell’ambito del corso in Storia della Rappresentazione Fotografica

dell’Architettura - a.a 2013-2014 - ho avuto occasione di collaborare alla realizzazione e messa in scena della performance Human Cantilever. Proposta dal professore Angelo Maggi, la performance mirava a riprodurre il curioso esperimento immortalato dal fotografo Evelin George Carey (immagine © The National Archives of Scotland/British Rail Board), nel quale degli uomini simulano il funzionamento statico delle travi reticolari a sbalzo del del Forth Bridge, inaugurato nel 1890 in Scozia, per dimostrarne la resistenza costruttiva e dichiarare il carattere moderno della nuova architettura in acciaio e ghisa, sempre più potenziata dalle innovazioni ingegneristiche e tecnologiche. In occasione di una serata speciale quale l’Art Night, tenutasi a Venezia sabato 21 giugno 2014, è stato inoltre pensato di spettacolarizzare l’esibizione con un trucco di scena, omaggio alle rockstar David Bowie e Annie Lennox.

40 OFFICINA*


STUDENTI Matteo Vianello Fabio Menegazzo Eleonora Cittadin Catrina Barbon Jonatan Pizzini Filippo Andreoli Daniele Dal Bosco Silvia Possamai

* Studente del terzo anno della Laurea Triennale in Architettura: tecniche e culture del progetto, corso di Storia della Rappresentazione Fotografica dell’Architettura, docente Angelo Maggi.

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MICROFONO ACCESO Cotonificio Veneziano, ore 9.15, venerdì 11 luglio. In occasione dei WaVE 2014 all’Università Iuav di Venezia, abbiamo intervistato l’architetto australiano Sean Godsell, che attualmente sta svolgendo il workshop “Delirious New Venice”.

Sean Godsell a cura di Francesca Guidolin con il contributo di Arianna Garatti What does inspire your architecture? I think to be a good architect you need to have a good knowledge of history, the history of architecture, and understand where exactly you position yourself (relative to what has gone before). Architects don’t invent things; they discover things: Architecture is not something that we are learning for the first time, we are simply evolving. For me, understanding history and then responding to that is important, but even more important is realizing that to be a good architect you also have be a good observer of society. The role of the architect is to interpret the needs of society in built form. Humans have emotional and physical aspirations. Architecture comes out of those emotional and physical aspirations and if you are doing your job properly, you see the way people are living, how they expect to live and you interpret those needs and aspirations into built form. Architects are not prophets, we are not God. We should observe and see a better way and attempt to build it. Therefore, those two things, a good knowledge of history and being a good observer with the ability to interpret those observations make you good architect. How does the Australian context and environment enter in your architecture? This is an interesting question. There is a number of different ways of answering. The differences between Italy and Australia are profound, because in Italy, if you start digging and you dig deep enough you probably find Roman ruins. Everywhere in Italy has being built on already because it is such an old country or I should say it’s an old civilization. In Australia, despite being an old continent with an old indigenous population, western civilization is very young and so we’re often building for the first time on ground being disturbed for the first time. In Australia the topography is fascinating. It is a predominantly flat, dry conti-

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I call Australia “a country with big sky and big horizons”

nent. We have mountains but very few. I call Australia “a country with big sky and big horizons”, so as an architect you’re often working on the ground for first time in a big environment. In such exposed conditions, the need to feel comforted by the shelter that you’re constructing is more profound. Rudimentary shelter becomes more profound. The mythology in Australia of the bush, the frontier, the outback, is still very strong in our DNA even if most of us live in cities. The terror of the desert can

01 - Foto dello sketchbook personale di Sean Godsell.

N.01 LUG-AGO 2014 43


you have to learn the material and understand how the material behaves

mean that life and death became very pronounced very quickly and so building

02

a shelter, constructing anything, becomes more important than in Europe where you can go from a village to the next village. There is nothing before your construction. Does this thing have a consequence in your techniques, in the systems of your architecture, and in the way you conceive it? Yes. That is an interesting question. When Australia was first populated, building materials would be put on a ship in the UK and the ship would sail for 6 months and arrive in Australia. Sometimes the ship would sink and the materials would be lost. That caused a different type of reality in Australia, where left with nothing, the early settlers in had to invent ways of building from what they could remember, from home in England, and make do with what they had. So it’s an historic fact for example, that the first people got off the boat with axes and swung the axes into the Australian eucalypts, breaking the handles because the trees were so hard. They didn’t have tools and so it was very primitive to start with distance from civilization was a burden. Then, slowly the technique of building evolved, but it was a technique of “making the most with what you had”, so usually it’s making the most with very little and I think that is still evident in the work of some Australian architects today. There is a term in Australia called “bush mechanics”. A ‘bush mechanic’ is somebody who can keep a car going using virtually nothing. Because they’re so remote they have developed techniques that are innovative and can solve problems without the luxury of the city at their disposal and that resolute spirit can be seen in construction as well. Materials in architecture. Is it the material that influences the project or is it the contrary? It is both. The choice of material that is appropriate for the project and the need for materiality that the project demands make a two-way conversation.

44 OFFICINA*

03 02 - Foto di El Croquis n. 165 di Sean Godsell che rappresenta un testo dell’architetto all’età di sei anni. 03 - Sean Godsell al lavoro.


I remember when I was a very young student, I realized that at some point I would have to make decisions based on what I liked. When you are a student, it is hard to know what you really like. Everything is available. The choice of the material in a building is critical and if you get the decision wrong, the building can be a disaster. So you have to learn the material and understand how the material behaves: building materials are fluid, they’re organic, everything from timber to clay, concrete, bricks and so on…you have to understand all of that. So these things became very important when you’re young and they became second nature when you’re older. Materials became very familiar, they’re like your friends, you know how they behave in certain circumstances, what their moods are, how they feel and you detail accordingly.

04 - Sean Godsell in una fase del workshop.

How is you office organized? How is it the relationship between you, architect, and the artisans that put your ideas into reality? I have a senior associate, she has being working with me for 16 years, and we have a very small but very efficient office. We can handle up to about ten projects at the time quite comfortably, at different stages. We draw all the details of the buildings, every detail, and manage the construction on the site. The relationship with artisans is very important. I think that Architects should spend a lot of time on the building site. As an office we like to go to the building site all the time and work with the artisans making the building. For me that’s very satisfying, I enjoy that. I also enjoy construction techniques. I really like engineering, building technology, building science and I enjoy the evolution of that in my own work.

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04


CELLULOSA

Architettura e tecnologia appropriata Virginia Gangemi (a cura di), 1985

D

atata 1985, questa raccolta di saggi è ancora oggi a l l’ava n g u a rd i a per il punto di vista altamente lungimirante nella comprensione di una realtà progettuale via via più complessa come quella contemporanea, e nel riconoscimento dell’importanza dell’introduzione di un metodo progettuale che si riferisca al futuro come ad un contesto di risorse limitato e pertanto da salvaguardare. Esce in seguito (e se ne ritrovano gli apporti) de I limiti dello sviluppo, il rapporto del gruppo del MIT di D.H.Meadows, D. Meadows, J.Randers, W.Behrens, di Una sola terra di Ward e Dubas, del Design with climate di V. Olgyay e dell’Architettura solare di M.Bottero, in quel contesto di sensibilizzazione e di ricerca di una nuova prassi architettonica. Appropriato si configura come un metodo, un insieme di linee guida, più che un contenuto. Unire appropriato al concetto di tecnologia significa attribuirvi una valenza metodologica. Infatti, “se per tecnica si intende l’insieme delle procedure e dei mezzi per la produzione artistica e industriale, per tecnologia si intende la forma-

46 OFFICINA*

a cura di Francesca Guidolin lizzazione in regole di quelle procedure ed il loro trattamento scientifico.”1 Appropriato indica, coniugando l’evoluzione storica del concetto alle sue possibili linee guida operative, le possibilità effettive di realizzazione di una serie di istanze sostenibili e perfettamente inserite nel contesto ambientale, culturale, sociale e politico in cui si realizzano. Se la tecnologia alternativa si nutre del carattere protestatario e rivoluzionario tipico degli anni ‘70, e quella intermedia mira a ridurre la distanza tra Paesi industrializzati e in via di sviluppo, la tecnologia appropriata, è molto di più di un sistema tecnologico a basso costo, a basso consumo energetico, che impieghi risorse locali. Assegnando al termine tale significato infatti si rischia di trascurare “le più ampie (e risolutive) potenziali valenze che sono connesse ad una diversa e nuova dimensione del processo edilizio, a carattere post-industriale, rilevante, in termini di cultura, di civiltà e di valori tecnologici altamente positivi.”2 Si tratta di traslare un accento: l’idea di appropriatezza implica la definizione del termine a cui occorre riportare questa qualità.3 Concetto fondamentale questo per


sullo scaffale

comprendere come all’interno di tale idea, siano contenuti i concetti di sostenibilità, qualità del progetto architettonico, rispetto del contesto ambientale e del genius loci, in una relazione tale che il tutto è superiore alla somma delle singole parti. Il testo, suddiviso in diversi saggi, di altrettanti autori, tutti afferenti all’unità di ricerca dell’Università di Napoli, di cui la Gangemi era a capo, lambisce una serie di tematiche interconnesse: tecnologie appropriate per paesi in via di sviluppo, appropriatezza e qualità edilizia, recupero, architettura bioclimatica e regionalismo, durata e sostituzione programmata, risorse. Nella seconda parte del saggio viene introdotta la realtà contestuale pratica: il legno, come materiale tradizionale e lo studio di una metodologia di recupero come scelta di gestione del patrimonio costruito sono due esempi pratici dell’attuazione delle istanze di appropriatezza nell’ambito pratico. Un approccio questo a quella tecnologia invisibile che cala le proprie necessità nella realtà materiale e produttiva in cui è inserita. “Sono i saperi, l’organizzazione e l’intelligenza che concorrono alla

realizzazione di un progetto di architettura: i saperi che consentono di finalizzare materiali, macchine e procedimenti, l’organizzazione che fornisce strumenti utili per mettere insieme un gruppo di uomini in grado di concepirlo e costruirlo e intelligenza necessaria a far sì che esso sia ragionevolmente sicuro, appropriato e duraturo.”4

Maria Antonia Barucco (a cura di) Innova-azione tecnologica Università Iuav di Venezia, Dipartimento di Culture del Progetto, Quaderni della ricerca, Aracne, 2014

Antonio Musacchio Valeria Tatano TETTI GIARDINO Storia, tecnica e progetto Collana Politecnica, Maggioli, 2014

1 - V. Gregotti, Elogio della tecnica, Casabella, 1982, pag. 14-15. 2 - V. Gangemi, Premessa in V. Gangemi (a cura di) Architettura e tecnologia appropriata, Franco Angeli/ricerche di tecnologia dell’architettura, Milano 1985, pag. 13 3 - V.Gangemi, pag. 37. 4 - N. Sinopoli, La tecnologia invisibile. Il processo di produzione dell’architettura e le sue regie, Franco Angeli, Milano, 1997, retro di copertina.

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ARCHITETT’ALTRO

Design Network Australia

M

di Francesco Camillo i chiamo France-

primo impiego passarono diversi mesi,

sco e attualmente vi scrivo da Sydney, la città che è diventata la mia

durante i quali ebbi l’occasione di partecipare a dei workshop internazionali di architettura in Spagna e Portogallo. Successivamente ebbi la fortuna di lavorare per uno studio di architettura per qualche mese, prima di prendere la decisione più importante della mia vita. Restare in Italia o tentare un’esperienza all’estero sulla scia delle precedenti avute qualche mese prima, le quali, pur essendo brevi, mi avevano dato molto dal punto di vista professionale e umano? La risposta è stata più facile del previsto e la scelta della destinazione altrettanto.

casa da 4 anni. Come sono arrivato fino a qui? Dopo la laurea triennale e la specializzazione in Architettura per la Sostenibilità presso lo IUAV di Venezia ho cominciato a chiedermi cosa volessi fare “da grande” e quali strade volessi prendere per il mio futuro. Credo che il periodo post-laurea sia importante per testare varie esperienze, un po’ come quando in palestra si provano diversi esercizi alla ricerca di quello che più ci piace. E così cercai di fare, con non poche difficoltà. Nel 2009, anno in cui mi sono laureato, l’Italia si trovava in un periodo confuso. La crisi economica mondiale cominciava a farsi sentire pesantemente nel settore dell’architettura e i datori di lavoro, invece di assumere a tempo indeterminato, tagliavano i costi ingaggiando studenti per poi pagarli (o non pagarli) miseramente. Fu una lunga ricerca e prima di trovare un

48 OFFICINA*

VENEZIA


L’

Australia ha fatto

Australia, ogni occasione è buona per

parte di me fin da piccolo poiché, pur essendo

ampliare le propria rete di amicizie, condividere le proprie esperienze e stringere nuovi rapporti con gli abitanti locali. Tutto questo mi ha portato a lavorare per quattro anni per un piccolo studio di Sydney che si occupa principalmente di progetti commerciali e relativi alla sanità, come ospedali, case di riposo, centri medici, ecc.

nato e cresciuto in Italia, possiedo la doppia cittadinanza grazie a mio padre, nato a Melbourne. Il primo impatto con questo Paese è stato fantastico. Pur arrivando da un paesino di provincia, mi sono trovato a mio agio sin da subito. Sydney mi ha accolto a braccia aperte insegnandomi cosa significa vivere in una metropoli e come ci si rapporta con un ambiente completamente diverso da quello da cui provenivo. Il mix di culture diverse, le spiagge dorate, l’Oceano, il rapporto con la natura che l’Australia offre è qualcosa di unico al mondo ed è un’esperienza da vivere pienamente.

16315 km

SYDNEY

Dal punto di vista lavorativo quest’avventura non è stata inizialmente facile come mi aspettavo, ma il network che sono riuscito a creare mi ha aiutato ad entrare in contatto con le persone giuste e ad avere un primo colloquio di lavoro dopo solo un paio di settimane. Creare una rete di connessioni è essenziale in questi casi, e non solo. In

La differenza più sostanziale che ho riscontrato tra l’Italia e l’ Australia è che qui la meritocrazia forma la base della società e della cultura lavorativa, per cui a una persona di talento e di capacità adeguate vengono affidate responsibilità notevoli, indipendentemente dall’età e dall’esperienza acquisita. Questa realtà mi ha permesso di crescere molto dal punto di vista professionale e mi ha dato la confidenza giusta per poter a un certo punto dire “Ora voglio essere il padrone di me stesso”. Ed è così che è nata Design Network Australia, un marchio che rappresenta il nostro continuo desiderio di fare architettura e, allo stesso tempo, un punto di riferimento per produttori,

N.01 LUG-AGO 2014 49


to ambizioso ma che può crescere e di-

instaurare e rafforzare nuove sinergie e collaborazioni tra Italia ed Australia.

ventare importante solo se supportato da una network che ci permetta di essere visibili e riconosciuti. Proprio per questo motivo siamo sempre alla ricerca di collaborazioni e sponsor che credano in quello che stiamo facendo e abbiano voglia di far parte di questa avventura.

Veniamo giornalmente contattati da studenti, giovani architetti, aziende e riviste del settore che dimostrano un forte interesse per quello che facciamo, e ci vedono come coloro che possono colmare il gap tra i due Paesi che attualmente è ancora considerato una barriera difficilmente superabile. Quello che stiamo cercando di formare è anche una mentalità diversa, forse più giovane, che permetta all’italiano di prendere coscienza delle proprie capacità e sfruttare il bisogno di crescita di un Paese come l’Australia, che è alla continua ricerca di professionisti che possano portare qualità in un mercato in costante espansione. Design Network Australia è un proget-

50 OFFICINA*

Potete contattarci attraverso: info@dnaustralia.com oppure dai canali social presenti nel nostro sito: www.dnaustralia.com

Design Network Australia è un progetto ambizioso ma che può crescere e diventare importante solo se supportato da una network

costruttori e progettisti che desiderano


(S)COMPOSIZIONE

Perdo pezzi per strada Lambretta LI 150 1^ serie (1958) - Immagine di Valentina Covre

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Foto vincitrice del concorso fotografico Mettiamoci le MANI - Nicola Franchin

www.officina-artec.com info@officina-artec.com


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