ISSN 2532-1218
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n. 20, gennaio-febbraio-marzo 2018
Terra
Terra di Mattia Riami Mattia Riami è illustratore e graphic designer.
www.mattiariami.com
Stefania Mangini
Fame di terra Nel 1963 Italo Calvino pubblica un breve romanzo dal titolo La speculazione edilizia (Einaudi, 1963). Il racconto è la storia di un fallimento edilizio, una speculazione mal riuscita che porta con sé pesanti ripercussioni sul territorio dove il romanzo è ambientato, la Riviera ligure. Sono gli anni ’50, epoca di boom edilizio, di impresari improvvisati, di famiglie neo-borghesi intente ad accaparrarsi un appartamento vista mare sui litorali italiani. Protagonista della storia è Quinto Anfossi, giovane intellettuale rivierasco che lavora in una grande città del Nord, ma che, stanco di una vita “poco concreta”, si butta senza tanti scrupoli nell’impresa di trasformare parte del giardino della villa di famiglia in un complesso di appartamenti per turisti. Per il progetto, Quinto si affida all’impresario Caisotti, un “montanaro” dell’entroterra ligure sceso in Riviera per fare i soldi nell’edilizia ma che, tra diffide e ritardi, farà di tutto per non consegnare l’opera all’Anfossi. A essi si affianca un folto gruppo di co-protagonisti: la madre di Quinto e il fratello Ampelio, l’avvocato Canal, il notaio Bardissone e l’ingegner Travaglia, e poi la signorina Lina, il compagno Masera e “quello dell’Agenzia Superga” che aveva presentato Caisotti a Quinto, tutti pronti a fare la loro parte nell’impresa ma senza essere davvero partecipi del progetto. Riletta oggi, ad oltre cinquant’anni di distanza, questa storia è ancora attualissima; come non vedere in Quinto tutte quelle famiglie che negli ultimi decenni hanno investito nel sicuro mattone? E come non leggere nella figura del Caisotti tutte quelle imprese edili che, vendendo su carta, hanno dato forma alle lottizzazioni dei nostri paesi? Tanto più che l’epilogo è lo stesso, un fallimento, quello dei condoni edilizi, della bolla economica del 2008, della crisi, dei condomini sfitti, del cemento e delle opere incompiute. Ma ancora di più, è la stessa l’omertà con cui l’umanità si pone di fronte allo sfruttamento del suolo. La più preziosa delle risorse che abbiamo, l’unica Terra a nostra disposizione, è quotidianamente vittima delle violenze inflitte dall’uomo: disboschiamo le foreste per coltivare, incanaliamo i fiumi per farci spazio e cementifichiamo i suoli per costruire nuovi edifici, nuove strade e parcheggi, rendendoci tutti partecipi di un crimine globale che troppo spesso fingiamo di non vedere, un delitto privo di poesia, almeno finché la nostra fame di terra non sarà placata. Emilio Antoniol
OFFICINA* “Officina mi piace molto, consideratemi pure dei vostri” Italo Calvino, lettera a Francesco Leonetti, 1953
Direttore editoriale Emilio Antoniol Direttore artistico Margherita Ferrari Comitato scientifico Fabio Cian (direttore), Sebastiano Baggio, Matteo Basso, MariaAntonia Barucco, Viola Bertini, Piero Campalani, Federico Dallo, Doriana Dal Palù, Francesco Ferrari, Michele Gaspari, Silvia Gasparotto, Giovanni Graziani, Michele Marchi, Patrizio Martinelli, Cristiana Mattioli, Corinna Nicosia, Fabio Ratto Trabucco, Chiara Scarpitti, Barbara Villa, Carlo Zanchetta, Paola Zanotto Redazione Valentina Manfè (esplorare), Margherita Ferrari (portfolio), Paolo Borin (BIMnotes), Arianna Mion (microfono acceso), Libreria Marco Polo (cellulosa) Copy editor Emilio Antoniol, Margherita Ferrari Impaginazione Margherita Ferrari Grafica Stefania Mangini Photo editor Letizia Goretti Testi inglesi Giorgia Favero, Antonio Sarpato Web Emilio Antoniol, Margherita Ferrari Progetto grafico Margherita Ferrari
Trimestrale di architettura e tecnologia N.20 gen-mar 2018 Terra
Proprietario Associazione Culturale OFFICINA* e-mail info@officina-artec.com Editore Incipit Editore S.r.l. Sede legale via Asolo 12, Conegliano, Treviso e-mail editore@incipteditore.it Stampa Press Up, Roma Tiratura 200 copie Chiuso in redazione il 17 febbraio 2018, con cioccolata calda e biscotti Copyright opera distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale L’editore si solleva da ogni responsabilità in merito a violazioni da parte degli autori dei diritti di proprietà intelletuale relativi a testi e immagini pubblicati.
Direttore responsabile Emilio Antoniol Registrazione Tribunale di Treviso n. 245 del 16 marzo 2017 Pubblicazione a stampa ISSN 2532-1218 Pubblicazione online ISSN 2384-9029 Accessibilità dei contenuti online www.officina-artec.com Abbonamenti e-mail abbonamenti@incipiteditore.it online www.incipiteditore.it Prezzo di copertina 10,00 €
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO: Andrea Babolin, Elisa Brusegan, Luca Casagrande, Valentina Coraglia, Federico Correale Santacroce, Doriana Dal Palù, Claudia De Giorgi, Angelo Figliola, Paola Fortuna, Niccolò Iandelli, Andrea Mazzuccato, Maicol Negrello, Francesca Pocaterra, Francesca Ragazzi, Rosaria Revellini, Mattia Riami, Silvia Santato, Paolo Sivieri, Matteo Tormena, Massimo Triches, Alberto Verde.
INDICE
n•20•gen•mar•2017
ESPLORARE
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a cura di Valentina Manfè
Terra
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introduzione di Emilio Antoniol
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Campi di cemento Maicol Negrello
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Una legge sul consumo di suolo Silvia Santato
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OILANDSCAPES Alberto Verde
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Terra, dimora di risorse in via di estinzione? Valentina Coraglia, Claudia De Giorgi
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La pietra nella non-età-della-pietra Doriana Dal Palù
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Post-Industrial robotics Angelo Figliola
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Infondo a cura di Emilio Antoniol e Margherita Ferrari
PORTFOLIO
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Arte nella terra di Emilio Antoniol e Margherita Ferrari
IN PRODUZIONE
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Substrati di qualità Matteo Tormena
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Scambiare calore con il pianeta Paolo Sivieri
60
Il suolo vivente Francesca Ragazzi, Francesca Pocaterra, Federico Correale Santacroce
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Ri-formare la trachite Andrea Babolin
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Trying to survive Elisa Brusegan, Massimo Triches
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Inverno antropico Niccolò Iandelli, Andrea Mazzuccato
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Accessibilità a Venezia Rosaria Revellini
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Segni di corrispondenza Paola Fortuna
88
Il terremoto in Messico raccontato da chi l’ha vissuto a cura di Arianna Mion
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GeoSpectra a cura di Luca Casagrande
CELLULOSA
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Dimmi come va a finire a cura de I Librai della Marco Polo
(S)COMPOSIZIONE
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Sapore di terra a cura di Emilio Antoniol
Terra Mattia Riami
VOGLIO FARE L’ARCHITETTO
IMMERSIONE
MICROFONO ACCESO
ESPLORARE
Pop Art. Perchè Roma? 17 dicembre 2017 – 2 aprile 2018 Museo Civico di Asolo www.museoasolo.it Nella splendida cornice della Sala Consigliare di Palazzo Beltramini è stata inaugurata il 16 dicembre 2017 la grande mostra Pop Art. Perché Roma? Mario Schifano a cura di Enrica Feltracco e Matteo Vanzan. Dopo il successo dell’esposizione dedicata a Andy Warhol, continua l’ambizioso e ammirevole progetto culturale dell’amministrazione di Asolo. Intima si può definire la Pop Art italiana rispetto a quella americana, un’arte che ci fa entrare nel vivo degli anni sessanta e che si rifà alla cultura del nostro Paese. Con la Pop Art in Italia avviene un vero e proprio ritorno alla libertà, allontanandosi dall’arte “astratta”. In ogni opera, esposta al Museo Civico di Asolo, ogni artista racconta sé stesso, la propria realtà; sono gli “Artisti di piazza del Popolo”, presenti alla storica Biennale d’Arte di Venezia del 1964. Le opere pop di Mario Schifano, Angeli, Baj, Bignardi, Ceroli, Del Pezzo, Festa, Fioroni, Gilardi, Mambor, Marotta, Maselli, Mondino, Pistoletto, Pozzati, Rotella, Tacchi, si mescolano ai dipinti esposti alla pinacoteca del Museo di Asolo, creando un’insolita e sorprendente commistione. Valentina Manfè Canova, Hayez, Cicognara L’ultima Gloria Di Venezia 29 settembre 2017 - 2 aprile 2018 Gallerie dell’Accademia, Venezia www.gallerieaccademia.org Il bicentenario delle Gallerie dell’Accademia di Venezia è festeggiato con una mostra che celebra il momento in cui la città si è culturalmente risvegliata. Cicognara, al tempo presidente dell’Accademia di Belle Arti, insieme a Canova e Hayez lavorarono per creare questo museo e duecento anni dopo ne tornano assoluti protagonisti. Le dieci sezioni tematiche che compongono la mostra sono dense di contenuti per cui la possibilità di seguire una visita guidata è una buona occasione per godere appieno dell’esperienza. Il percorso espositivo inizia con il momento simbolico che diede il via a questa rinascita: il ritorno da Parigi, nel 1815, dei quattro cavalli di San Marco,
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opera simbolo di Venezia. All’interno di questa forte esperienza storica spicca il cromatismo dell’allestimento, assai curioso nelle sue note di verde, ma durante la visita si scopre che anch’esso ha un forte richiamo a quegli anni, il 1800. Le stanze così dipinte infatti ci riportano direttamente all’imperatore Francesco I, in particolare al suo IV matrimonio e al noto Omaggio delle Provincie Venete, i cui manufatti sono appunto parte dell’esposizione. La visita diventa pure un’occasione per poter ammirare la Musa Polimnia e altre opere di Canova, alcuni dipinti di Hayez e altre meraviglie rappresentanti la produzione artistica del Neoclassicismo veneto. Tiziana Gallon Marino Marini. Passioni visive 27 gennaio 2018 - 1 maggio 2018 Coll. Peggy Guggenheim, Venezia www.guggenheim-venice.it A Venezia, presso la Collezione Peggy Guggenheim e in collaborazione con la Fondazione Marino Marini di Pistoia, è allestita la seconda tappa della mostra su Marino Marini (1901-1980), artista toscano noto anche per L’Angelo della città, che ha reso celebre la scultura figurativa italiana del Novecento. Con un profondo senso di attaccamento al suo territorio e orgoglioso delle sue radici ha portato avanti la tradizione scultorea a partire dalle civiltà d’un tempo - arte egizia, greco-arcaica, scultura etrusca - fino a comprendere riferimenti dal Quattrocento fiorentino al Novecento con abbondanti riprese del dinamismo di Guernica di Picasso, adottando uno stile arcaico per le sue forme primitive e talvolta solo abbozzate e scabre, e uno stile decisamente moderno per i suoi linearismi e la sua pulizia formale ed essenziale evidente in alcuni suoi cavalli e cavalieri. Insieme ai lavori di Marini, sono inoltre esposti alcuni oggetti di arte etrusca e medioevale e alcune opere di artisti come Giacomo Manzù, Henry Moore, Pablo Picasso, Auguste Rodin e altri ancora, con l’intento di analizzare i suoi riferimenti e approfondire il confronto critico con i suoi contemporanei a testimonianza della sua sperimentazione e ricerca di modernità. Fabio Merotto
Rodin. Un grande scultore al tempo di Monet 24 febbraio 2018 - 3 giugno 2018 MuseoCivicodiSantaCaterina,Treviso www.lineadombra.it Ricorre quest’anno il centenario della scomparsa di Auguste Rodin e per l’occasione Treviso, presso il Museo Civico di Santa Caterina, ospita alcune sue opere grazie anche alla collaborazione con il Musée Rodin di Parigi. In questa esposizione sono presenti ottanta lavori tra sculture, tra le quali alcuni capolavori come il Bacio e il Pensatore, disegni e bozzetti, che sono di ausilio al visitatore per comprenderne la sua provenienza stilistica. Un viaggio in Italia gli permise di ammirare le opere di Donatello, di Michelangelo e i capolavori del Rinascimento, e suoi importanti motivi di ispirazione furono alcune vicende della Divina Commedia di Dante; si pensi al Bacio, che si rifà alla storia di Paolo e Francesca, e a La Porta dell’Inferno. Noto come il capostipite della scultura moderna e protagonista del rinnovamento della scultura monumentale per la sua capacità espressiva, la sua fama crebbe velocemente anche oltre confine e divenne fonte di ispirazione per le generazioni successive. Per concludere, la mostra è anche una grande occasione di confronto e per rendere tributo al trevigiano Arturo Martini, un altro grande maestro del Novecento, visitabile negli spazi del Museo Civico Luigi Bailo, sempre a Treviso. Fabio Merotto 57. Esposizione Internazionale D’arte Conclusa La Biennale di Venezia www.labiennale.org “Dalle utopie comunitarie delle risonanze ecologiche ed esoteriche degli anni settanta, alle riflessioni attuali sulle relazioni dell’ambiente con le strategie del mondo capitalista”. La 57° edizione della Biennale d’Arte dal titolo Viva Arte Viva, attualmente conclusa, negli spazi dell’Arsenale ha accolto una sezione intitolata il Padiglione della Terra, che proponeva delle riflessioni intorno al nostro pianeta. Nelle opere di svariati artisti, come gli sloveni OHO o anche in Nicolás García Uriburu, si ritrovano grandi tematiche ecologiste, della trasformazione industriale, della conversione energetica, dello sfruttamento delle risorse. Valentina Manfè
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Schifano. Senza titolo. Crediti: Giorgia Favero.
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zione e del reportage On the shore of a vanishing island sull’isola di Ghoramara, nel Bengala Occidentale, che dagli anni ’60 sta scomparendo. Cambiamenti climatici. Chi, cosa, come, perché. Alessandra Mazzai, Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) presenta un viaggio nel clima che cambia alla ricerca di cause e soluzioni, accordi e disaccordi, obiettivi raccomandati dalla scienza e azioni della politica. Cambia il clima, cambiamo anche noi? Emilio Antoniol, architetto e dottore di ricerca all’Università Iuav di Venezia, fondatore e presidente dell’Associazione Culturale OFFICINA* parla di sostenibilità, resilienza, mitigazione e innovazione quali nuovi paradigmi di sviluppo per una società che deve far fronte alle sfide imposte dai cambiamenti climatici, grazie al lavoro di OFFICINA*, rivista scientifica di architettura e tecnologia che vuole indagare il tema delle trasformazioni globali che coinvolgono il pianeta. • Venerdì 20 aprile Controvento (In collaborazione con Sez. CAI Ponte di Piave - Salgareda) Alessandro Baù, laureato in ingegneria meccanica, membro del Club Alpino Accademico Italiano e guida Alpina dal 2014, racconta in prima persona di come la montagna sia diventata il centro della sua vita: “Qualche anno fa non avrei mai pensato che la montagna avrebbe influenzato così tanto la mia vita”. Associazione Flumen Soundhom ad ArteFiera 2018, Bologna. Crediti: Letizia Goretti.
CIRCLE- metti in circolo le idee 6-13-20 aprile 2018 Auditorium Ponte di Piave, TV www.f-lumen.it “Il fiume non aspetta mai. Cambia forma e scorre attorno alle cose trovando sentieri segreti a cui nessun altro ha pensato. Gente di fiume”. Questa è l’energia che anima l’associazione FLUMEN di Ponte di Piave che nel primo anno di attività ha dato vita a numerose proposte di qualità offrendo a un vasto bacino di persone opportunità di crescita personale e collettiva. Ad aprile l’associazione si cimenterà con un innovativo contenitore di idee: CIRCLE. Un nuovo format, a cadenza annuale, per ispirare i partecipanti e mettere in circolo idee brillanti, progetti innovativi ed esperienze di vita. Grazie al supporto di diversi speaker il tema affrontato verrà osservato da prospettive diverse e sempre coinvolgenti. Quest’anno il focus sarà sulla delicata e problematica gestione del Terzo Paradiso - lo spazio dove l’azione dell’uomo interagisce con la natura e l’ambiente. • Venerdì 6 aprile La Vita Del Bosco Gianfranco Marchetti e Alessandro Marchetti - proprietari del “Bosco delle Viole” di Mansuè, raccontano la bellezza e l’importanza delle dinamiche e degli equilibri naturali, insieme alla volontà di inseguire un sogno, hanno portato l’agronomo ed erborista Gianfranco Marchetti a progettare un modello di riforestazione e a trasformare la propria azienda in un bosco. www.boscodelleviole.it Piave, Un Fiume Di Storia. Per Un Piave Patrimonio Dell’umanità Daniele Marcassa, autore, conduttore televisivo e documentarista ci parla dell’amore per il Piave e l’esperienza di un viaggio vacanza compiuto ad agosto 2011 risalendo questo fiume ha fatto nascere il progetto Perdipiave. www.perdipiave.com • Venerdì 13 Aprile Futuristic Archaeology & On The Shore Of A Vanishing Island Daesung Lee, fotografo coreano, presenterà alcuni scatti di aree della Mongolia prima e dopo il processo di desertifica-
Progettare Domotico scadenza 30 marzo 2018 Concorso di idee per studenti www.vimar.com Progettare Domotico è un concorso organizzato da Vimar con l’Università Iuav di Venezia per premiare visioni innovative che illustrano come la domotica consenta al progetto d’architettura di soddisfare le esigenze degli utenti, di oggi e di domani. Punto focale dei progetti presentati dovrà essere l’utilizzo della domotica nella valorizzazione degli spazi architettonici, sia per le nuove construzioni che nella riqualificazione. ARTEFIERA conclusa Bologna Fiere www.artefiera.it L’arte e l’editoria, due mondi diversi ma al tempo stesso vicini e con un obiettivo comune: comunicare. E quando le molteplici forme d’arte incontrano la carta, ecco che prendono forma pubblicazioni e cataloghi, per non parlare del libro d’arte o d’artista, considerato una vera e propria opera d’arte. Il ruolo dell’immagine diventa fondamentale per la costruzione del libro, dalle sue proprietà fisiche al suo progetto editoriale. Il catalogo diventa quindi un luogo attraverso il quale non si richiama solamente l’immagine, ma si ripercorre un racconto, che mantiene vivo il carattere progettuale e artistico. ArteFiera espone l’arte anche tra le pagine di cataloghi, libri e riviste, attraverso quello strumento cartaceo che contribuisce a mantenere viva l’opera, il progetto e nel tempo diventa preziosa documentazione. Numerosi gli ospiti dal mondo editoriale, collocati tra le opere artistiche nel padiglione 26 e nell’area Printville, uno spazio gestito da a+mbookstore e dedicato alle attività indipendenti. Tra questi EDICOLA 518, uno spazio perugino nato dal progetto Emergenze, che contribuisce a divulgare prodotti editoriali e artistici da tutto il mondo. E da tutto il mondo arriva anche la musica, nei vinili selezionati, e in alcuni casi anche restaurati, del milanese Soundhom, la cui arte musicale non ha confini e copre moltissimi generi. Margherita Ferrari e Letizia Goretti
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Tra gli scaffali di EDICOLA 518 ad ArteFiera 2018, Bologna. Crediti: Letizia Goretti.
“Il suolo è una risorsa limitata i cui tempi di formazione sono generalmente molto lunghi ma che può essere distrutto fisicamente in tempi molto brevi o alterato chimicamente e biologicamente, nonostante la sua resilienza, sino alla perdita delle proprie funzioni. Componente chiave delle risorse fondiarie dello sviluppo agricolo e della sostenibilità ecologica, il suolo costituisce la base della produzione di cibo, foraggio, carburante e fibre” (ISPRA, 2017). Così inizia il Rapporto sul consumo di suolo redatto da ISPRA nel 2017, quasi a indicare come, tra tutte le risorse, il suolo rappresenti l’elemento essenziale per la produzione di tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno. Non solo il cibo, ma anche materie prime essenziali per la produzione industriale e per la nostra sussistenza e prosperità. Nonostante la proposta di legge europea di ridurre a zero il consumo di suolo entro il 2050, il dato chiave che emerge dal rapporto è però che esso sta ancora aumentando, sia in Italia che in Europa. Oggi nel nostro Paese si consumano circa 3 m2 di suolo al secondo, un dato in forte calo se comparato con i 7-8 m2/s del 2000, ma comunque in crescita, andando così a intaccare superfici che non potranno essere ripristinate se non in tempi molto lunghi. Il numero 20 di OFFICINA*, ultimo del ciclo dedicato ai cambiamenti climatici, affronta la consueta dicotomia che ha caratterizzato i tre numeri precedenti: da un lato il suolo sarà letto come una risorsa minacciata dall’azione dell’uomo, una ricchezza in pericolo, spesso abusata o sfruttata senza controllo; dall’altro esso sarà analizzato quale materia prima essenziale per consentire lo sviluppo e la crescita dell’umanità, il cui utilizzo, se affiancato a tecniche adeguate, può tornare a trovare l’equilibrio necessario alla sopravvivenza nostra e del nostro Pianeta. Emilio Antoniol "The soil is a limited resource whose formation time is generally very long but which can be physically destroyed or altered chemically and biologically in a very short time, despite its resilience, until the loss of its functions. Key component of the land resources, of agricultural development and ecological sustainability, the soil forms the basis of food, fodder, fuel and fiber production" (ISPRA, 2017). This is how the Report on Soil Consumption, drawn up by ISPRA in 2017, begins as if to indicate that, among all the resources, soil is the essential element for the production of almost everything man needs. Not just food, but also raw materials essential for industrial production and for our subsistence and prosperity. Despite the proposed European law to reduce soil consumption to zero by 2050, the key data emerging from the report is that soil consumption is still increasing, both in Italy and in Europe. Today in Italy, about 3 m2 of land per second is consumed, a value that is lower if compared to the 7-8 m2/s of the 2000, but soil consumption is still growing, thus affecting surfaces that can not be restored except in very long times. The number 20 of OFFICINA*, the last of the cycle on climate change, deals with the usual dichotomy that characterized the three previous numbers: on the one hand the soil will be read as a resource threatened by human action, an endangered wealth, often abused or exploited without control; on the other hand it will be analyzed as an essential raw material to allow the development and growth of humanity. Its use, if accompanied by appropriate techniques, can return to find the balance necessary for our and our Planet's survival.
Mattia Riami
Campi di cemento Verso un’economia circolare: agricoltura locale per la tutela e la valorizzazione del territorio
Maicol Negrello è dottorando in Architettura Storia e Progetto presso il DAD-Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino. e-mail: maicol.negrello@polito.it
The climate change effects on the environment are particularly perceived in the urban habitat due to excessive soil cementation; moreover, there are negative consequences that affect those lands allocated to agriculture. Despite the crisis of the Italian construction industry, cities and suburbs continue to steal useful land for agricultural purpose, destroying a valuable resource. Fertile soil is in fact an exhaustible common good, a fundamental asset to achieve a more sustainable balance between the city and the country. Investing in the recovery of rural areas would induce a virtuous process of circular economy, based on local agricultural production, small scale community relationship, valorisation and reclamation of the territory, and the enhancement of rural property heritage. Such economy would be a possible solution for a more resilient, durable and sustainable territory.
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gni giorno in Italia si perdono circa 30 ettari di terreni sotto il cemento di case, infrastrutture, capannoni, suolo reso impermeabile o alterato artificialmente; questo risulta essere l’uso più impattante che si possa fare della risorsa poiché ne determina la perdita totale o la compromissione della sua funzionalità tale da limitare e inibire il suo insostituibile ruolo nel ciclo degli elementi nutritivi (ISPRA e Munafò, 2017). Si stima che il territorio italiano coperto (ovvero suolo consumato1) sia di circa 23.000 km2 e che dal 1971 al 2010 si sia perso il 28% della superficie agricola, equivalente ai territori di Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna (Roda, 2016). Nonostante la crisi del settore edilizio che perdura da anni, l’occupazione di suolo “vergine” non sembra arrestarsi. I dati forniti dall’ ISPRA mostrano una netta diminuzione del consumo di suolo annuale generata dalla crisi economica del 2008, infatti i valori - espressi in metri quadri al secondo - sono passati da 8 degli anni 2000 a 4 nel 2016. Tuttavia il fenomeno continua, vittima della metamorfosi urbana (Bonora, 2015), consumando sempre più terra a discapito dell’agricoltura e dell’ambiente. Il consumo di suolo: il panorama legislativo di una risorsa in declino Attualmente non ci sono strumenti normativi davvero rigidi per arrestare questo consumo di suolo, se non modificando il PRG (Piano Regolatore), come avvenne negli anni ‘80 a Roma dove associazioni ambientaliste e comitati di quartiere si mobilitarono per modificare lo strumento pianificatore al fine di tutelare aree naturali di cui era prevista l’urbanizzazione attraverso variante che fu denominata della Salvaguardia2 (Gibelli e Salzano, 2006). Questa variante risulta essere un caso esemplare di come sia possibile apportare cambiamenti di destinazione a scala ur-
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bana, in assenza di una solida legge che spinga verso una migliore tutela del suolo. L’Europa, nonostante abbia espresso il fondamentale interesse ad affrontare il problema nella relazione della Commissione al Parlamento europeo con oggetto Attuazione della strategia tematica per la protezione del suolo e attività in corso3, non dispone di piani strategici unitari e concreti che combattano il consumo di suolo, sebbene la Commissione Europea stia da anni lavorando per l’elaborazione di politiche per una pianificazione territoriale più sostenibile per evitare il proliferare del fenomeno (Commissione Europea, 2006; Commissione Europea, 2004) con l’ambizioso obiettivo di raggiungere consumo di suolo “pari a zero” entro il 2050 (Commissione Europea, 2011). Contemporaneamente si è avviata l’iniziativa dei cittadini europei People4Soil affinché le istituzioni europee adottino una legislazione specifica in materia di protezione del suolo, che fissi principi e regole che gli Stati membri devono rispettare. Infatti - come ha dichiarato Damiano Di Simine, promotore della petizione europea People4Soil - “la mancanza di una direttiva impedisce di sviluppare strategie efficaci e vincolanti per gli Stati membri: in quasi tutti i Paesi manca infatti una disciplina per contenere il consumo e il degrado del suolo e, dove le leggi esistono, i criteri adottati sono discrezionali e non consentono di sviluppare efficaci sistemi di monitoraggio e controllo delle trasformazioni” (Legambiente Lombardia, 2017). L’obiettivo di questa iniziativa civica è il riconoscimento da parte dell’Unione Europea del valore del suolo come un bene comune essenziale per la vita e che la sua gestione risulti essere un impegno costante
l’Italia risulta essere un paese delicato e fragile, il cui territorio ogni anno subisce una perdita elevata di suolo poiché mancano strumenti legislativi in grado di fermare questo fenomeno
e indispensabile per uno sviluppo sostenibile. Tuttavia, in Italia si dispone di alcune leggi indirizzate a ridurre il consumo di suolo e tutelare le aree verdi come la legge n.10 Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani4, già in vigore dal gennaio 2013, che si pone l’obbiettivo di rafforzare gli attuali standard per il verde urbano e salvaguardare le aree comunali non urbanizzate, oltre a lasciare ai comuni il potere decisionale di introdurre misure di vantaggio per favorire il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi esistenti, rispetto alla concessione di aree non urbanizzate; inoltre la legge richiede che i comuni e le provincie riportino annualmente i dati riguardo al contenimento o alla riduzione delle aree urbanizzate in base a sistemi di con-
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tabilità ambientale in accordo con le regioni (Bonora, 2013). A seguito di queste norme è attualmente in corso di esame di commissione (dal 5 luglio 2016) il disegno di legge n.2383 per il Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato proposto dal Ministro delle politiche alimentari e forestali (e altri), già approvato dalla Camera dei Deputati il 12 maggio 2016. Uno degli obiettivi principali della legge è quello di accompagnare i processi di progressiva riduzione del consumo di suolo e rendere più semplice e conveniente recuperare aree già urbanizzate e dismesse (brownfield), anche attraverso dei bonus per la riqualificazione ambientale (bonifiche del suolo), al fine di evitare l’occupazione di terreni fertili, utili per una produzione agricola locale. Secondo Roda, si auspica che la futura legge annulli la competizione tra uso agricolo e occupazione dei terreni a fini edificatori, almeno in Italia, grazie all’inserimento di limiti quantitativi e di obblighi che impongono una valutazione più attenta e consapevole delle scelte di trasformazione del suolo (Roda, 2016). Tuttavia questa visione “deterministica”, che ripone su una legge la totale capacità di fermare questo “abuso”, viene superata dal pensiero di Di Simine, il quale ritiene che per arrestare il consumo di questa risorsa siano necessari programmi strategici, “oltre a una risoluzione della politica e della rappresentanza sociale”, atti a chiarire che “l’efficienza degli usi del suolo è il presupposto (ed è prodotto atteso) di un’economia che riparte, per esempio, facendo proprie le sfide […] dell’efficacia produttiva connessa alla funzione di presidio in agricoltura” (Di Simine, 2013). In ogni caso il punto principale su cui posare solide basi per sviluppare un ragionamento è da ricercarsi, secondo la riflessione di Paolo Pilleri, anche nella definizione stessa di suolo, che finora può considerarsi “formalmente corretta
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ma ancora neutra” e priva di quel riconoscimento completo tale per cui il suolo venga considerato “più che lo strato inerte, senza anima e corpo” e ne venga adottata una che consideri i servizi ecosistemici che genera (Pilleri, 2016). Tutela e valorizzazione del territorio per un’economia durevole e locale: com’è possibile agire in assenza di una legge nazionale per la tutela del suolo. Il quadro finora descritto fornisce la visione dell’attuale situazione italiana, ancora priva di una strategia chiara e universalmente accettata (sia dalle regioni sia a livello europeo). Il fenomeno del consumo di suolo, con la conseguente diminuzione di terre per la produzione agricola e le problematiche ambientali che ne derivano da una parte, e l’abbandono delle aree rurali dall’altra, restano ancora problemi da risolvere per garantire un futuro più stabile alla nostra economia, oltre alla sovranità alimentare, che spesso viene messa sotto attacco (Pilleri, 2016). Infatti, negli ultimi anni il fenomeno della cementificazione è cresciuto in parallelo all’abbandono delle colture (con una perdita soprattutto al Sud di -4,6%, seguita dalle Isole con -3,2% e dal Centro di -1,3%)5 , oltre all’espansione delle aree boschive (rinaturalizzazione tuttavia a discapito di aree precedentemente coltivate). Questi fenomeni rappresentano un evidente segnale di come l’attenzione e l’azione verso il territorio sia venuta a mancare negli ultimi trent’anni, portando a un abbandono progressivo delle aree rurali (e anche pedemontane) a favore della crescita delle grandi città (specialmente il fenomeno dello sprawl, a ridosso della prima cintura urbana), principalmente legato alle possibilità lavorative offerte da queste aree.
il consumo e l’abbandono di suolo sono fenomeni che contribuiscono negativamente al degrado del territorio rendendolo sempre meno adatto a rispondere ai cambiamenti ambientali
Risulta quindi fondamentale intraprendere strategie concrete per valorizzazione del territorio al fine di incentivare una produzione a scala locale (filiera corta e km0) che negli ultimi anni ha visto un netto incremento dei fatturati (Bonora, 2015), in grado di attivare economie circolari forti e durature per ridurre la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di risorse alimentari. Alcune regioni stanno attuando progetti istituzionali a livello locale o regionale come la Toscana, il cui Consiglio regionale ha approvato una nuova legge che modificherà la LR 65/2014 per tutelare il paesaggio e contestualmente contrastare l’abbandono e il degrado delle campagne. Gli obbiettivi di questa legge - spiega l’assessore regionale all’urbanistica Vincenzo Ceccarelli - “sono fondati sulla volontà di limitare il consumo di suolo e di valorizzare gli immobili esistenti e spesso abbandonati” (Pucci, 2017). È interessante notare che, nonostante l’assenza di una legge nazionale, in alcune realtà locali si siano attivati virtuosi progetti “non istituzionali”, attraverso azioni che possono essere definite bottom up, per cercare una possibile soluzione alle problematiche enunciate. Sebbene i casi che verranno mostrati siano locali, risultano essere un esempio di interventi di “agopuntura” sul territorio che spingono la società a prendere consapevolezza della relazione che abbiamo con la risorsa suolo-ambiente, quest’ultima troppo spesso dimenticata (Nuissl e Schroeter-Schlaack, 2009). Questa presa di coscienza può avvenire anche tramite l’avvio di programmi pedagogici che pongano le basi culturali per il cambiamento (Pilleri, 2016). Confrontandoci con il caso del Biellese, in Piemonte, si stanno muovendo alcuni passi avanti per il recupero delle aree agricole abbandonate per favorire la creazione di un mercato locale al
fine di generare un’economia circolare parallela a quella attuale. Due progetti molto interessanti coinvolgono attori locali quali associazioni, privati e enti pubblici. Il primo progetto Terre AbbanDonate nasce dall’associazione Let Eat Bi - Il Terzo Paradiso in terra biellese (Fondazione Pistoletto Biella), che ha creato una piattaforma web per andare a risolvere un problema presente nel territorio biellese, e anche a livello nazionale: l’abbandono o il non utilizzo dei terreni coltivabili. Terre AbbanDonate è un progetto che ha l’obiettivo di mettere in contatto i proprietari di appezzamenti incolti (inseriti nel Catasto dei terreni) con chi sia interessato a coltivare un lotto ma non possiede alcun terreno (Anagrafe dei coltivatori). Grazie a una mappatura dei terreni abbandonati disponibili è possibile avere a disposizione informazioni relative alle aree inoccupate (dimensioni, posizionamento, caratteristiche del terreno, uso precedente, ecc.) e, attraverso una richiesta, gli agricoltori interessati potranno ottenere in “adozione” l’appezzamento. Tra i punti chiave che hanno portato alla creazione di questo progetto c’è la necessità di contribuire allo sviluppo di buone pratiche di cura, difesa e valorizzazione del territorio locale e del paesaggio rurale, spesso lasciato all’incuria, in quanto luogo di identità culturale e puntando l’attenzione agli aspetti economici e sociali di legami che si possono creare. Coltivare la terra significa quindi investire sul territorio anche per ridurre sensibilmente rischi idrogeologici poiché “qualunque forma di coltivazione impone un corretto regime delle acque” - spiega Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio nazionale geologi - “dunque azioni di manutenzione e di presidio del territorio” (Pini, 2013). Sempre Graziano aggiunge: “una riconfigurazione naturale del paesaggio agricolo sareb-
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be già preziosissima per lo stato di salute del nostro territorio ammalato, creerebbe occupazione. Sarebbe certo auspicabile, sia in chiave idrogeologica, sia in chiave economica, che aumentassimo la nostra produzione agricola attraverso la coltivazione delle terre incolte”. Continuando ad analizzare il territorio Biellese possiamo notare che si assistete sempre più alla crescita dell’incuria delle aree boschive, non più usate dalle popolazioni locali sia per la carenza di manutenzione sia per un disinteresse generale. Il secondo esempio, questa volta a carattere istituzionale, nasce dall’esigenza dir far fronte a questa situazione, che colpisce questo territorio come molti altri delle zone pedemontane; il Settore Foreste della Regione Piemonte ed enti locali intendono incentivare la valorizzazione dei boschi di castagno mediante una pianificazione volta a creare un sistema “castagno Piemonte” moderno e competitivo (Regione Piemonte - Settore Foreste, 2017). Infatti si è giunti alla progettazione di un Masterplan Castagno Piemonte al fine di recuperare questo grande patrimonio dalle molteplici potenzialità, in quanto - secondo Marco Corgnati, funzionario del Settore Foreste della Regione Piemonte - presenta buone prospettive di mercato, infatti molti Paesi europei ed extraeuropei stanno investendo ingenti risorse nella castanicoltura da frutto e da legno” (Bertolone, 2017).
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Interventi di questo tipo hanno grandi potenziali in quanto si sviluppano su vaste parti di territori abbandonati ma che conservano ancora risorse, infatti nel Biellese sono presenti circa 18.220 ettari di terreno occupati da castagni pari al 39% della superficie boschiva e al 20% di quella provinciale. Si desume che questi progetti, sebbene di dimensioni ridotte, possano essere dei casi pilota su cui sviluppare una struttura istituzionale che possa essere replicata sul territorio. Questa struttura dovrebbe valorizzare la produzione locale, attuando provvedimenti per il recupero e l’uso del suolo. Investire su processi che attivano economie circolari sono potenziali soluzioni per rendere il territorio maggiormente produttivo, più resiliente a calamità naturali e in grado di fornire risorse alla popolazione locale che può essere occupata nella filiera produttiva. L’Unione Europea negli ultimi anni infatti promuove il Local Food System sottolineando i benefici sui sistemi territoriali in termini di opportunità di sviluppo locale (Bonora, 2015) soprattutto ambientali, in quanto basato su coltivazioni sostenibili, prodotti agroalimentari più sicuri e freschi, oltre a notevoli ricadute sulla comunità locale. Coltivare la terra non è solo un’attività produttiva ma rappresenta la cura per il territorio stesso.▲
NOTE 1 - Elaborazioni ISPRA su cartografia SNPA (giugno 2016), consultabile su www.consumosuolo.isprambiente.it 2 - La Variante di Salvaguardia fu adottata dal Consiglio comunale di Roma il 23-24 luglio 1991. 3 - Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni 13 Febbraio 2012, n.COM (2012) 46 finale, “Attuazione della strategia tematica per la protezione del suolo e attività in corso”. 4 - Norme per lo sviluppo degli spazi verdi, Legge n. 10 del 13 gennaio 2013, GU n.27 del 1 febbraio 2013. 5 - Dati del Report ISTAT 2016 per l’andamento dell’economia agricola. IMMAGINI 01 - Il Biellese visto da Verrone. 02 - Valdengo, campi a riposo e foreste di castagni. Crediti: Maicol Negrello. 03 - La raccolta delle castagne sulla Serra. 04 - Salussola, una strada tra abbandono e vecchie tradizioni risicole. Crediti: Maicol Negrello. BIBLIOGRAFIA - Bertolone E., “Progetto castagna, il progetto di una filiera regionale sull’esempio del made in Biella”, in “LaStampa.it”, 2 gennaio 2017. - Bonora P., “Atlante del consumo di suolo”, Baskerville, Bologna, 2013. - Bonora P., “Fermiamo il consumo di suolo”, Il Mulino, Bologna, 2015. - Commissione Europea, “Verso una strategia tematica sull’ambiente urbano”, COM(2004)60, Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities, 2004. - Commissione Europea, “Strategia tematica sull’ambiente urbano”, COM(2005)718, Bruxelles, 11 gennaio 2006. - Commissione Europea, “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse”, 20 settembre 2011. - Commissione Europea, “Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo”,Publications Office, 2012. - Di Simine D., “Fermare il consumo di suolo, nell’agenda dell’uscita dalla crisi”, in “L’insostenibile consumo di suolo” di Gardi C., Dall’Olio N., Salata S., EdicomEdizioni, 2013, pp 9-13. - Gibelli M.C., Salzano E., “No sprawl”, Alinea, 2006, pp 121-126, 201-214. - ISPRA, Munafò M., “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, ISPRA ,Roma, 2017. - Legambiente Lombardia, “Soil Day: presentati a Milano i rapporti sul consumo di suolo”, in www. lombardia.legambiente.it, 4 luglio 2017. - Nuissl H., Schroeter-Schlaack C., “On the economic approach to the containment of land consumption, in “Environmental Science and Policy”, vol.12, 2009, pp. 270-280. - Pilleri P., “Cosa c’è sotto”, Altreconomia, Milano, 2016. - Pini V., “Per salvarci da frane e alluvioni coltiviamo i terreni abbandonati”, in “Inchieste - la Repubblica”, 22 maggio 2013. - Pucci P., “Recupero degli edifici rurali abbandonati, approvata la legge”, in www.regione.toscana.it, 1 febbraio 2017. - Regione Piemonte - Settore Foreste, “Masterplan Castagno Piemonte per il rilancio della castanicoltura regionale”, in “Settore foreste - www.regione. piemonte.it”, 2 gennaio 2017. - Roda M., “Consumo di suolo: prospettive, possibilità e obbiettivi del DDL”, in “Il Giornale dell’Architettura”, Periodico in edizione multimediale, 6 marzo 2016.
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Verso una legge sul consumo di suolo
Silvia Santato è ricercatrice presso Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici e dottoranda all’Università Ca’ Foscari di Venezia. e-mail: silvia.santato@cmcc.it
European guidelines in limiting, mitigating and compensating soil consumption demonstrate that a set of well balanced and interlocking measures, rather than isolated efforts, allows a better regulation of soil sealing. Soil consumption in Italy is among the highest in Europe and is likely to increase further if no binding measures are taken. In line with European action, the Italian government is going to approve a proposal with the aim of limiting soil consumption and enhance rural areas. Regulations aiming to contain soil transformation involve different topics such as the protection of the agricultural areas itself and in relation to food supply, the environment, the ecosystem, the landscape, the territorial government, soil conservation, and so on. All these different efforts need to be coordinated but the risk is to have a law which allows further consumption of soil. The present contribution reveals that our country is far from achieving a quantitative reduction in soil consumption in the short term.
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anca tutt’ora un quadro europeo per una gestione sostenibile delle risorsa suolo. Il criterio avanzato dalla Commissione Europea (CE) consiste nell’attivare politiche e iniziative atte a limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo, da definire dettagliatamente negli Stati membri e da attuare a diversi livelli, da quello nazionale fino a quello locale. Tra le azioni normative portate avanti dalla CE emerge la roadmap (EC, 2011) per un uso efficiente delle risorse con l’obiettivo di raggiungere in Europa un consumo di suolo netto pari a zero entro il 2050. Mentre diversi Stati europei hanno introdotto limiti sul consumo di suolo (EC, 2006), in Italia la questione è alle porte di una approvazione dopo anni di rallentamenti politici. Il suolo svolge una serie di funzioni e servizi che lo pongono al centro degli equilibri ambientali e da cui dipende il benessere dell’umanità (Assennato, 2015). Tra i principali ruoli si riconoscono quello di essere determinante nella regolazione del clima e nella conservazione della biodiversità. Eppure, risulta evidente come negli ultimi decenni sia stata prestata poca attenzione alla tutela di questa fondamentale risorsa. Per avere un quadro attuale dei processi di trasformazione che hanno coinvolto il nostro territorio si fa riferimento all’ultimo rapporto ISPRA (2017) che riporta i più recenti dati sul monitoraggio e le previsioni di consumo di suolo dalla scala nazionale sino a quella comunale. Per le nostre “necessità”, in Italia si consumano mediamente 4 m2 di suolo ogni secondo (Bonora, 2015) e risulta evidente il diretto contributo dello sviluppo urbano e infrastrutturale al rischio geologico, alla perdita di ecosistemi e ad altre minacce significative per la popolazione e l’economia. Se il ritmo della conversione di aree naturali e agricole in strade, edifici e parcheggi non cambia, saremo sempre più esposti ad allagamenti, dissesti e disagi.
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In linea con la roadmap europea, una legge sul consumo di suolo deve stabilire i principi generali per limitare, mitigare o compensare il consumo di suolo attraverso un progressivo rallentamento fino a non edificare più. Per avere un quadro esaustivo sullo stato sul consumo di suolo è importante che la legge preveda misure e iniziative per monitorare e valutare le perdite del suolo e per limitarne il consumo. La formulazione e l’approvazione di una legge che riguarda il suolo può ritenersi coerente quando le molteplici realtà legate alla risorsa si incontrano: protezione delle aree agricole in sé e in relazione all’approvvigionamento alimentare, all’ambiente, all’ecosistema, al paesaggio, al governo territoriale, alla conservazione del suolo, ecc. L’insieme dei diversi interessi necessita di essere coordinato attraverso solidi principi generali e strumenti adeguati, considerando sia la competenza esclusiva legislativa dello Stato (cioè in materia ambientale, con effetto immediato sul territorio), sia le disposizioni dei principi attuati a livello regionale (Arcidiacono, 2014). Il territorio italiano, morfologicamente fragile, aggredito dal cemento e sempre più esposto agli impatti dei cambiamenti climatici, richiede una risposta legislativa urgente, che risulta invece continuamente frenata dalle legislature di governo che si sono susseguite negli ultimi 5 anni. Risale al 2012 il primo DDL che il Consiglio dei Ministri del Governo Monti, su proposta del ministro alle Politiche agricole Mario Catania, approvò, attraverso una norma che intendeva tutelare solo il suolo agricolo. Dopo la caduta del Governo Monti, il nuovo ministro Nunzia De Girolamo presentò una nuova formulazione del DDL. A sua volta, il Governo Letta rimase in carica poco tempo e la proposta di legge venne messa
il territorio italiano richiede una risposta legislativa urgente che risulta invece continuamente frenata dalle legislature di governo susseguite negli ultimi anni
nel cassetto fino all’arrivo del nuovo commissario all’Ambiente della Camera, Ermete Realacci, che decise di riprendere la discussione. Il testo di legge finale è il risultato di mesi di taglia e cuci delle diverse proposte pervenute e frutto di compromessi e di progressive attenuazioni. Per rendersene conto è possibile considerare il confronto effettuato in Tabella A tra i diversi DDL proposti negli anni dalla camera (C) e dal senato (S). Dopo la discussione in Senato per più di un anno, dallo scorso ottobre il DDL S.2383 sul Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato è in corso di esame in commissione dopo aver ricevuto gli emendamenti presentati in Senato dalle commissioni riunite Agricoltura e Territorio. Alcune parti del DDL sono state riviste più volte. La questione di fondo da chiarire vede da una parte la vigenza dei strumenti urbanistici approvati che riconoscono il diritto di edificare e dell’altra le implicazioni e i contenziosi che le priorità di una legge sul consumo di
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Tabella A. Confornto dei differenti disegni di legge sul consumo di suolo proposti alla Camera (C) e al Senato (S). Elaborazione dell’autore.
Obiettivi
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suolo può portare. Tra le proposte avanzate negli emendamenti1 emerge che le previsioni presenti negli strumenti urbanistici che contemplano consumo di suolo nel momento di entrata in vigore della legge avranno validità di 10 anni e decadano se fino a quel momento non sono state avviate procedure autorizzative. Un altro emendamento mira a ridurre il consumo di suolo di almeno il 15% ogni tre anni rispetto al consumo di suolo rilevato nei tre anni precedenti, sia per la parte del costruito che del suolo libero. In un altro caso è proposto che, nell’eventualità in cui un Comune non osservi le percentuali di riduzione del consumo di suolo, non siano più consentiti interventi edilizi e venga ritenuta illegittima l’approvazione di strumenti urbanistici attuativi che comportino consumo di suolo. In merito agli incentivi alla riqualificazione sono previste forme di intervento organiche relative ad aree urbane degradate, basate sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, sul recupero e la realizzazione di dotazioni territoriali e di urbanizzazioni, spazi verdi e servizi, e sulla tutela degli abitanti e delle attività economiche già presenti. In questo contesto, le Regioni sono chiamate a definire i criteri e le modalità di realizzazione del Piano del verde. Tale piano deve prevedere la realizzazione o il completamento di corridoi ecologici, aree destinate all’agricoltura urbana e periurbana, aree pedonali, piste ciclabili, percorsi per disabili e il soddisfacimento degli standard urbanistici comunali e sovracomunali. Infine, è stata proposta l’individuazione, attorno al perimetro del costruito e a media densità, di una “cintura verde” con funzioni agricole, ecologico-ambientali e ricreative che possa favorire l’assorbimento delle emissioni di anidride carbonica tramite l’incremento e la valorizzazione del patrimonio arboreo.
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Sono molti i possibili risvolti positivi che l’approvazione della proposta in esame potrebbe portare, ma è meglio non farsi distrarre dal canto delle sirene prima di arrivare a conclusioni affrettate. Tra le disposizioni transitorie e finali (Art. 11) compare un emendamento accolto in sede di approvazione volto a tutelare il privato che intende costruire. È sufficiente che questo presenti una semplice istanza per l’approvazione del progetto prima che la legge entri in vigore. L’aspetto che infatti fa più storcere il naso sulla proposta sono le tempistiche legate alla sua implementazione fino al livello comunale. Il processo di trasferimento delle disposizioni della legge dal livello nazionale a quello locale sembrerebbe decisamente lungo, lasciando ampio spazio di manovra per continuare a costruire. A seguito dell’approvazione della legge, il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF), in accordo con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Turismo (MiBACT) e il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (MIT), hanno 180 giorni per emettere un decreto specifico in cui devono specificare la riduzione vincolante in termini quantitativi del consumo di suolo a livello nazionale, in coerenza con gli obiettivi europei. A seguito di questa prima fase, le Regioni dovranno partizionare l’obiettivo di riduzione nazionale tra loro. In una terza fase, la Regione è responsabile di attribuire a ogni singolo Comune la percentuale corrispondente della riduzione del suolo che ha ricevuto. Infine, il Comune dovrà adottare la riduzione del consumo di suolo nel piano urbanistico. Date le disposizioni non vincolanti e le tempistiche risulta evidente che la struttura a effetto cascata caratteristica della S. 2383 è ben lungi dall’essere di impatto notevole sulla riduzione del consumo di suolo in Italia nel breve termine.▲
NOTE 1 - Valutato attraverso il bilancio tra il consumo di suolo e l’aumento di superfici agricole, naturali e seminaturali dovuto a interventi di recupero, demolizione, de-impermeabilizzazione, rinaturalizzazione o altro. IMMAGINI 01 - L’opera di Mauro Staccioli, “Primi passi” in località Piancorboli, Volterra, 2009. Acciaio Corten, 805 x 1300 x 40 cm. Crediti: Bernd Thaller. 02 - La cementificazione delle coste. CC0. BIBLIOGRAFIA - Arcidiacono A., “Politiche, strumenti e proposte legislative per il contenimento del consumo di suolo in Italia: rapporto 2014”,Roma, INU edizioni, 2014. - Assennato F., Strollo A., Leginio M., Fumanti F., Munafò M., “I servizi ecosistemici del suolo – Un progetto di ricerca per limitare il consumo di suolo a scala locale” in “Reticula” n.9, 2015. - Bonora P., “Fermiamo il consumo di suolo: il territorio tra speculazione, incuria e degrado”, Bologna, Il mulino, 2015. - EC, “Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions Roadmap to a resource efficient Europe”, COM(2011) 571 final, 2011. - EC, “Overview of existing policies to reduce and mitigate soil sealing in EU member states, (1999)”, 2006, pp. 41–90. - ISPRA, “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, Rapporto 266, 2017. - DDL S.2383, “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato” consultabile al link: www.senato.it/service/PDF/PDFServer/ BGT/00973252.pdf - Emendamenti al DDL S.2383 in Commissione consultabile al link: www.senato.it/japp/bgt/showdoc/ frame.jsp?tipodoc=ListEmendc&leg=17&id=46877
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OILANDSCAPES Strategie di conversione sistemica delle reti del petrolio nella regione della pianura padana nord-orientale
Alberto Verde è architetto e dottorando in Architecture and Urban Planning – IDAUP (International Doctorate Progamme in Architecture and Urban Planning) presso l’Università di Ferrara. e-mail: alberto.verde@unife.it
The relationship between energy and landscape is witnessing an epochal change because it is moving from a centralized production system to a distributed territorial one. From this point of view, the cathedrals of modernity for energy production of the second industrial revolution (Branzi, 2006) will see their territorial role completely compromised. In the light of the role of fossil fuels infrastructures in the definition of territorial and urban planning hierarchies and in view of the energetic transition foreshadowed by Rifkin’s third industrial revolution (2011), this paper looks at the widespread physical connections of oil meshes as the real potential that an oil infrastructures’ reconversion could share for the forthcoming territorial restructuring. Overcoming the notion of oil infrastructures and embracing the systemic vision of oil meshes, this paper wants to define innovative territorial development scenarios able to integrate socio-ecological realms into infrastructural design domain, thus outlining the new role of OILANDSCAPES. The research by design is the methodology chosen to investigate the oil mesh of the north-eastern Po Valley region, using mapping and scenario-building tools in order to imagine and evaluate spatial futures.
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l rapporto tra produzione energetica e paesaggio sta assistendo a un cambiamento epocale, in quanto il tradizionale sistema di produzione centralizzato sta lasciando gradualmente spazio a un sistema di produzione energetica distribuito, ove il consumatore diventa produttore di energia rinnovabile (Sijmons, 2014). Alla luce di questa transizione, le “cattedrali della modernità” della produzione energetica della seconda rivoluzione industriale (Branzi, 2006) vedranno la loro funzione compromessa, così come il loro ruolo nella definizione delle gerarchie tra territorio e rete infrastrutturale. È importante sottolineare che le infrastrutture dei combustibili fossili hanno storicamente stabilito rapporti contraddittori, ma molto profondi, con i territori ospitanti, ovvero: - da un punto di vista sociale, per decenni hanno rappresentato la principale opportunità lavorativa per le comunità locali, ma l’apparente benessere sociale si è in seguito trasformato in elevati costi sociali dovuti alle gravi condizioni sanitarie per la popolazione; - da un punto di vista ambientale, sono state spesso collocate, per ragioni funzionali e di processi industriali, in prossimità di fragili ecosistemi, evidenziando così quella caratteristica “dicotomica prossimità” che, nei decenni, si è finalmente percepita come minaccia per la salute del territorio (img. 02); - da un punto di vista urbano, le infrastrutture dell’industria del carbone e del petrolio della prima e seconda rivoluzione industriale hanno giocato un ruolo importante nella definizione di nuovi modelli urbani, come la “città giardino” all’inizio del 1900 e lo sprawl a partire dalla seconda metà del ‘900. L’articolo si interroga sul ruolo che queste infrastrutture possono nuovamente instaurare con la “terra” in vista della transizione energetica prospettata dalla terza rivoluzione industriale evocata da Rifkin (2011) e come possono contribuire a reinventare il rapporto tra produzione energetica, paesaggio e sviluppo locale.
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Oil meshes Il potenziale delle infrastrutture del petrolio risiede nella scala trans-regionale delle connessioni fisiche e funzionali tra i siti di attività upstream (estrazione), midstream (trasporto) e downstream (raffinazione). Superando la nozione di oil infrastructures disperse puntualmente sul territorio, l’articolo abbraccia la visione sistemica delle oil meshes come condizione necessaria per delineare scenari di sviluppo territoriale che integrano le dimensioni socioecologiche al campo della progettazione delle infrastrutture, definendo così il futuro dei nuovi OILANDSCAPES (Verde, 2017). L’articolo propone di applicare gli strumenti offerti dalla metodologia research by design, come la “costruzione di scenari” (Viganò, 2012 e Sijmons, 2014), al caso studio della rete del petrolio della Pianura Padana nord-orientale. In particolar modo, l’articolo esaminerà il rapporto tra le attività downstream del porto di Ravenna e la centrale elettrica del Delta del Po a Polesine Camerini, collegate da un oleodotto di oltre 90 km, al fine di sperimentare una strategia di conversione sistemica dell’intero funzionamento della oil mesh. La costruzione di scenari, attraverso il ragionamento e alcuni semplici strumenti di progettazione, permette di comparare diverse strategie di sviluppo che rispondono a obiettivi e intenzioni differenti. Questa metodologia non vuole dare un giudizio di valore sullo scenario in quanto tale, bensì vuole fornire degli strumenti per la valutazione e la misurazione degli effetti che questo potrebbe avere sul territorio. L’obiettivo è quello di strutturare un metodo che permetta di accompagnare gli stakeholders nel processo valutativo e decisionale delle strategie di sviluppo. L’articolo si concentra sulla definizione delle condizioni al contorno e del processo di costruzione di uno scenario che, rispettando il quadro normativo vigente, prevede una conversione della produzione energetica centralizzata con lo scopo di ridurre il suo impatto ambientale. L’estensione territoriale delle oil meshes ci permette di immaginare un loro
quale ruolo le infrastrutture del petrolio possono nuovamente instaurare con la terra in vista della transizione energetica prospettata dalla terza rivoluzione industriale evocata da Rifkin?
possibile riutilizzo come green energy backbones a cui la rete territoriale di produzione energetica potrà collegarsi (img.03). In particolare, la rete per il recupero, stoccaggio e riuso di CO2 (CCS technology) potrebbe utilizzare le infrastrutture petrolifere esistenti (Rabindran et al., 2011), mentre lo stoccaggio dei picchi di produzione energetica da fonti rinnovabili sotto forma di idrogeno potrebbe sfruttare le infrastrutture del trasporto di gas naturale1. La sfida è quella di proporre una scala di progettazione trans-regionale che permetta di collegare gli scenari di sviluppo dei siti di Ravenna e di Polesine Camerini mantenendo quel rapporto di dipendenza sinergica tra le due aree e proponendo attività fornitrici e digestrici di CO2, contribuendo così allo sviluppo di un modello produttivo circolare. Ravenna / Fase 1: 2025 - Carbon Capture and Storage Quattro dei sette settori industriali a maggiori emissioni di anidride carbonica sono presenti sul lato nord del porto di Ravenna: troviamo infatti una raffineria, un cementificio, un’acciaieria e un
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la sfida è quella di proporre una scala di progettazione trans-regionale che permetta di collegare gli scenari di sviluppo dei siti di Ravenna e di Polesine Camerini, proponendo attività fornitrici e digestrici di CO2, contribuendo così allo sviluppo di un modello produttivo circolare
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vasto stabilimento petrolchimico. Lo sviluppo della tecnologia per il recupero dell’anidride carbonica proveniente da questi processi industriali beneficerebbe dell’istituzione di un “Parco Eco-industriale”2 per partecipare al finanziamento delle infrastrutture necessarie. I partner coinvolti non solo condividerebbero i costi, bensì potrebbero approfittare dei ricavi generati dall’utilizzo dell’anidride carbonica per altri scopi industriali (img.04).
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Polesine Camerini / Fase 1: 2025 - colture di micro-alghe in sistemi aperti Il quadro normativo vigente della Provincia di Rovigo (PTCP, 2012) e del Comune di Porto Tolle (PRG, 2003, confermato dal PAT, 2012) prevede per l’area dell’ex centrale elettrica a Polesine Camerini il mantenimento della sua vocazione produttiva energetica. L’art.43 delle NTA del PRG consente un possibile ampliamento della capacità produttiva dell’impianto, a condizione che venga assicurata una riduzione dell’impatto ambientale della centrale e vengano utilizzate soluzioni tecnologiche innovative. Se l’anidride carbonica è la materia prima fornita dalle attività di Ravenna attraverso l’oleodotto esistente, sarà necessario prevedere l’insediamento di un’attività ad alto consumo di anidride carbonica per la produzione di energia. Le colture di alghe potrebbero rappresentare un’interessante e innovativa risposta, grazie al loro elevato assorbimento di anidride carbonica durante la fotosintesi e al loro alto potere calorifico, comparabile a quello della lignite (Sijmons, 2014) e 20 volte superiore a quello dell’olio di palma (Mazzitelli, 2010). È quindi immaginabile la realizzazione di sistemi aperti per la coltivazione di micro-alghe (raceway open ponds) nella parte meridionale del sito, dove il contesto normativo vigente ammette utilizzi coltivativi per l’agritermia (art. 32 delle NTA del PRG), le cui acque saranno arric-
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chite con l’anidride carbonica ricevuta per favorire lo sviluppo della biomassa micro-algale. Sul lembo di terra a nord-est degli impianti principali della centrale elettrica, si prevede di installare le attrezzature necessarie per il trattamento della biomassa algale mediante pirolisi3. I prodotti ottenuti da questo processo sono il bio-char, ovvero un fertilizzante naturale, e il syngas, ossia un combustibile rinnovabile che potrebbe alimentare le caldaie della centrale termoelettrica. Il processo di combustione di syngas produrrà minori emissioni di CO2, le quali potranno essere comunque recuperate al fine di alimentare nuovamente le colture di micro-alghe. Prima di essere reimmesse nel delta, le acque prelevate per i processi industriali saranno utilizzate nel brodo di coltivazione delle migro-alghe, le quali contribuiranno alla loro depurazione da agenti contaminanti. Ravenna / Fase 2: 2040 - Bio-industria La transizione potrebbe essere completata dalla conversione dell’industria del petrolio in “bio-industria”, al fine di sostituire
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i derivati del petrolio con bio-prodotti con caratteristiche simili (plastiche, carburanti, ecc.). Come dimostrato dalla fiorente ricerca in questo campo4, le raffinerie possono essere adattate al processo di trasformazione delle alghe. Inoltre, i grandi vuoti caratteristici di questi processi industriali potrebbero essere sfruttati per realizzare coltivazioni di alghe in situ (img.05). Polesine Camerini / Fase 2: 2040 - colture di micro-alghe in fotobioreattori Una volta che gli sviluppi nella ricerca per la coltivazione delle alghe in fotobioreattori renderanno questa tecnologia economicamente più conveniente, meno energivora e quindi scalabile per una grande produzione industriale, i vantaggi in termini di efficienza produttiva saranno evidenti. Il possibile sviluppo in verticale dei fotobioreattori li rende utilizzabili anche come elementi per il rivestimento delle facciate, conferendo così una nuova identità alle infrastrutture energetiche. Inoltre, il sistema chiuso dei fotobioreattori per-
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mette di recuperare l’idrogeno prodotto dalla fotosintesi delle alghe in assenza di zolfo, fornendo così un’ulteriore fonte energetica pulita (img.06). Conclusioni L’impatto sullo sviluppo del territorio di uno scenario che sfrutta il potenziale sinergico della oil mesh tra Ravenna e Polesine Camerini per una conversione della produzione energetica deve essere a questo punto valutato criticamente. Gli strumenti di misurazione con cui proponiamo di strutturare il percorso di valutazione sono ripresi dalla Strategia Nazionale per la Crescita e lo Sviluppo Economico delle Aree Interne6 (Barca e Casavola, 2014), un programma per lo sviluppo locale dei territori italiani caratterizzati da una difficile accessibilità ai servizi di base (educazione, sanità, mobilità). Con l’intento di perseguire la coesione territoriale delle Aree interne (innescare processi di sviluppo locale e invertire il trend demografico negativo), la strategia pone 5 criteri per misurare gli effetti territoriali dei progetti di sviluppo locale nel medio-termine (Barca e Casavola, 2014). Proveremo quindi a utilizzare questi 5 indicatori per fornire una valutazione critica degli effetti immaginabili sul territorio del Delta del Po generati dallo scenario proposto: - aumento del benessere pro-capite di residenti: basso. La conversione del processo di produzione energetica apporta indubbi miglioramenti in termini ambientali, bensì rimane un’attività industriale specializzata con un basso potere di attrazione di attività indotte locali in altri settori (terziario, turistico, ecc.); - aumento dell’occupazione: basso. Nel periodo di massima operatività (1980-2010), le persone occupate nei processi della centrale erano circa 300 (Caldiron, 2013). Sebbene una valutazione più precisa può essere fatta soltanto attraverso approfondimenti ingegneristici ed economici, la conversione del sistema produttivo energetico non genererà dei picchi occupazionali più alti rispetto a quelli già esperiti. Vi potrà essere un aumento di lavoro
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indotto legato allo sviluppo di certi aspetti specifici della produzione, alla commercializzazione del bio-char e alla manutenzione degli impianti, ma la lontananza del sito da contesti dinamici in materia di ricerca e sviluppo non faciliterà la diffusione del know-how tra l’imprenditoria locale; - riutilizzazione del capitale territoriale: medio. Intendendo per “capitale territoriale” le eccellenze produttive locali e il patrimonio culturale del luogo, lo scenario non allaccia legami forti con le qualità territoriali già presenti. I percorsi turistici che lambiscono il sito completeranno un’offerta didattica o un’offerta per un turismo di nicchia ecologico, ammorbidendo quella netta separazione tra industria e natura che ha caratterizzato i paesaggi della seconda rivoluzione industriale; - riduzione dei costi sociali della de-antropizzazione: alto. La rifunzionalizzazione del sito permette di intervenire sulla bonifica del sito da inquinanti ambientali, sulla depurazione delle acque reflue industriali attraverso la coltivazione delle micro-alghe e sulla manutenzione di tutte quelle opere di ingegneria idraulica realizzate per evitare il naturale ristagno idrico nei territori dei delta fluviali; - rafforzamento dei fattori di sviluppo locale: basso. Come già visto in seguito alla chiusura delle attività di produzione energetica nel 2010, la dipendenza lavorativa delle comunità locali dal settore energetico industriale non apre a soluzioni alternative di sviluppo locale, rendendo quindi il destino del territorio univocamente legato all’andamento dell’industria energetica. Per concludere, uno scenario di conversione della produzione energetica centralizzata che rispetta il quadro normativo vigente può produrre benefici ambientali dovuti alle sinergie create per il recupero e riutilizzo della CO2. Gli effetti positivi possono essere importanti da un punto di vista di sviluppo sostenibile globale, ma i benefici apportati in termini di sviluppo locale sono limitati alle sole attività legate al miglioramento delle condizioni ambientali.▲
NOTE 1 - Lo scenario viene proposto dal progetto finanziato dall’UE “NATURALHY: Preparing for the hydrogen economy by using the existing natural gas system as a catalyst” nel quadro del “FP6 -SUSTDEV - New technologies for energy carriers – Hydrogen”. 2 - Per “Parco Eco-industriale” intendiamo una nuova concezione di piattaforme industriali nelle quali le compagnie cooperano tra di loro e con la comunità locale per ridurre i rifiuti e l’inquinamento, per condividere risorse e materie prime in maniera più efficiente, per ottenere benefici economici, ma anche per migliorare la qualità ambientale. 3 - La pirolisi è un processo di decomposizione termochimica di materiali organici, mediante calore e in assenza di ossigeno che porta alla sintesi di prodotti combustibili. 4 - Per approfondimenti, si possono consultare sulla piattaforma cordis.europa.eu i seguenti progetti europei: MIRACLES, BISIGODOS, PUFA-CHAIN, D-FACTORY. 5 - Le Aree Interne sono territori periferici, identificati dall’Agenzia per la Coesione Territoriale italiana, che registrano una decrescita demografica importante a causa di una difficile accessibilità a servizi per l’educazione, la mobilità e la salute, con una conseguente perdita di capitale territoriale e alti costi sociali dovuti allo stato di abbandono del territorio. IMMAGINI Crediti: Alberto Verde. 01- OILANDSCAPES. Scenario di produzione energetica alternativa. 02 - Dicotomica prossimità tra infrastrutture dei combustibili fossili e aree Natura 2000. 03 - Energetic territories della pianura Padana Nord-orientale. 04 - La centrale di Porto Tolle. 04 - Ravenna / Fase 1: 2025 - Carbon Capture and Storage. 05 - Ravenna / Fase 2: 2040 – Bio-industria. 06 - Polesine Camerini / Fase 1: 2025 - colture di microalghe in sistemi aperti 07 - Polesine Camerini / Fase 2: 2040 – colture di microalghe in fotobioreattori. 08 - Centrale Teodora nel porto di Ravenna. Crediti: Giorgio Minguzzi. BIBLIOGRAFIA - Barca F., Casavola P., (a cura di), “Strategia Nazionale per le Aree Interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance”, in Materiali UVAL, n.31, Collana Materiali Uval, Roma, 2014. - Branzi A., “Weak and diffuse modernity: the world of projects at the beginning of the 21st century”, Skira, Milano, 2006. - Caldiron C., “La centrale ENEL di Porto Tolle: una storia di danno ambientale”, Tesi di Laurea in Pianificazione Urbanistica e Territoriale, Relatore: Prof. ssa Stefania Tonin, Co-relatore: Dott.ssa Claudia Guidorzi, Biblioteca dell’ Istituto Universitario di Architettura di Venezia, 2013. - Mazzitelli A., “Produzione di energia ed elettricità da alghe”, Tesi di Laurea in Ingegneria Chimica, Relatore: Stefano Consonni, Correlatore: Ing. Federico Viganò, Politecnico di Milano, 2010. - Rabindran P. et al., “Intregrity Management Approach to Reuse of Oil and Gas Pipelines for CO2 Transportation”, in “Conference Proceedings of the 6th Pipeline Technology Conference” held in Hannover, 2011. - Rifkin J., “The Third Industrial Revolution: How lateral power is transforming energy, the economy and the world”, Palgrave Macmillan, New York, 2011. - Sijmons D., “Landscape and Energy. Designing Transition”, nai010publishers, Rotterdam, 2014. - Verde A., “OILANDSCAPES. Agro-energy parks to create social inclusion in Adriatic-Ionian oil meshes”, in “Energy Procedia”, n.115, 2017, pp. 127-138. - Viganò P., “Les territoires de l’urbanisme. Le projet comme producteur de connaissance”, MetisPresses, Genève, 2012.
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Terra, dimora di risorse in via di estinzione? Il ruolo del design per la conservazione attiva delle risorse terrestri
Valentina Coraglia è borsista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino. e-mail: valentina.coraglia@polito.it Claudia De Giorgi è professore associato di design presso il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino. e-mail: claudia.degiorgi@polito.it
Seeds banks to rediscover and save vegetal species that lived on the Earth many years ago. Protected areas to preserve landscapes and animals. Catalogues to archive the resources of the Planet. Libraries to store and transmit extensive knowledge. Museums. Workshops to spread and support our cultural heritage. We are running out of resources. Observing the many different realities that act to preserve our roots, it is important to start questioning the value of the past for the future of the Planet. Dynamic preservation, rediscovery of old processes and cultural heritage, increasing of archaic awareness: could those concepts be key values for future innovations? Which is the role of design in rediscovering and preserving resources, ancient materials, old processes and cultural heritage?
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a salvaguardia attiva della biodiversità Un imponente parallelepipedo di cemento taglia una parete di roccia, proiettandosi verso un deserto di neve e ghiaccio. In un ambiente paralizzato dalle temperature al di sotto dello zero, il silenzio è interrotto solo da raffiche di vento. I giorni durano mesi e le lunghe notti sono illuminate da affascinanti aurore boreali. In un’isola remota nell’arcipelago delle Svalbard tra la Norvegia e il Polo Nord, come una capsula del tempo intrappolata tra i ghiacci, emerge solenne lo Svalbard Global Seed Vault (img.01), un immenso deposito che colleziona e conserva materiale proveniente da banche dei semi, depositi di semi di specie vegetali alimentari, di tutto il mondo. La Terra è dimora di risorse da preservare. Dalla salvaguardia di elementi naturali, acqua, aria, suolo e semi, alla conservazione di un’eredità culturale, usanze, artefatti, tecnologie e patrimonio architettonico. L’esperienza passata della Terra e degli esseri viventi sulla Terra è costante fonte di ispirazione per il nostro futuro. Lo Svalbard Global Seed Vault emerge potente dalla montagna, grazie alla scultura luminosa dell’artista norvegese Dyveke Sanne che riflette i gelidi colori del paesaggio circostante. L’edificio è semplice, composto da un lungo corridoio che porta all’interno della montagna in una stanza in cui i semi vengono catalogati ed etichettati. Ci sono altre tre stanze per lo stoccaggio, la temperatura interna dell’edificio, naturalmente a -5°, viene portata a -18° C, temperatura ottimale per la conservazione dei semi riducendo al minimo l’attività metabolica del materiale. Dal 2004, allo Svalbard Global Seed Vault sono stati raccolti 930.000 esemplari di semi provenienti da 230 paesi (img.02). La posizione estrema, la temperatura e le spesse pareti rocciose fanno, in teoria, della
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Svalbard Global Seed Vault la struttura più sicura al mondo per la conservazione di materiale genetico. Con l’obiettivo di salvaguardare più materiale genetico vegetale possibile, la scienziata Cary Fowler e i suoi colleghi della Global Crop Diversity Trust1 hanno convinto il governo norvegese a costruire questa struttura. L’intenzione è quella di salvaguardare il materiale e renderlo nuovamente disponibile nel caso speciale in cui questo venga meno in una specifica località, per cause naturali come cataclismi ma anche per via di distruzioni di massa e guerre. È stato il caso, ad esempio, di Aleppo, per cui la Svalbard Global Seed Vault ha conservato diverse varietà di semi, precedentemente fornitegli dall’ICARDA2 siriana prima dell’avvento della guerra civile, e ha restituito parte dei semi nelle nuove sedi dell’ICARDA, consentendo a ricercatori e contadini di coltivare nuovamente le specie perdute. In questo caso, come nel caso di altre banche dei semi sparse per il mondo, si assiste a una conservazione attiva di piante spontanee, ortaggi e piante da frutto fondamentali per la sopravvivenza dell’uomo. Si cerca di salvaguardare la biodiversità nel tempo, ma anche di recuperare attivamente specie estinte e individuare varietà più o meno resistenti al cambiamento delle condizioni climatiche future e all’insediarsi dell’uomo. Nel sud della Georgia nella regione Samtskhe-Javakheti, ad esempio, negli ultimi decenni sono state riscoperte alcune varietà di vite, annientate in passato dal passaggio degli Ottomani.
le banche dei semi sono depositi di semi di specie vegetali alimentari di tutto il mondo
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Ricercando tra foreste e antichi ruderi, recentemente, i contadini hanno riscoperto la presenza della vite e dopo un processo di recupero durato 15 anni, il paesaggio vitivinicolo si sta lentamente ripopolando di nuove varietà antiche. Si tratta di un vino che testimonia il passaggio della storia e che coraggiosamente riprende, dopo secoli, il paesaggio e le attività tradizionali della Georgia. Story telling e design proposals potrebbero essere utilizzate come strumenti per meglio raccontare e diffondere l’importante eredità che questo vino porta con sé, creando un interessante potenziale per il futuro della regione. Per conservazione attiva, quindi, si intende l’insieme dei processi e delle strategie adottati a favore della salvaguardia delle risorse in maniera dinamica e costruttiva. Preservare senza custodire gelosamente ma condividendo e facendo fruttare le materie prime e le conoscenze, in maniera che possano essere trasmesse efficacemente alle generazioni future. Molte sono le strategie per la salvaguardia attiva dei semi della terra: dalla caratterizzazione partecipativa, salvaguardia delle specie vegetali di alcune zone attraverso l’impegno concreto degli abitanti, ai campi catalogo come quelli sviluppati dall’organismo agricolo piemontese Le Nuove Rotte, per testare concretamente le caratteristiche di antiche varietà di cereali in precisi appezzamenti. Il design e la tutela delle risorse terrestri Si agisce, quindi, per preservare le risorse concrete del pianeta, ma anche per salvaguardare e tramandare le radici culturali, i processi e le tecnologie sulla Terra. Anche l’architettura e il design sono spesso utilizzati come strumento per la salvaguardia
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sia delle risorse terrestri che per la conservazione del saper fare e delle tradizioni delle varie culture. Designing for the Sixth Extinction è il titolo del progetto che la designer inglese Alexandra Daisy Ginsberg ha pensato per la mostra Grow Your Own…Life After Nature per la Science Gallery di Dublino nel 2013. Considerando imminente la sesta estinzione di massa, Ginsberg si chiede se la synthetic biology possa avere un ruolo attivo nel preservare la biodiversità e propone organismi geneticamente modificati in grado di mantenere e rigenerare l’ecosistema. Da dispositivi biologici che ripristinano nel suolo le sostanze nutritive scomparse a causa dell’inquinamento, a un congegno vivente che raccoglie e disperde semi di piante locali, innumerevoli sono le proposte che vedono la tecnologia come alleato della salvaguardia dell’ambiente. Il design può diventare anche uno strumento ponte tra il passato e il futuro, raccontando a utenti futuri di elementi naturali ormai estinti. Reminders (img.03), a cura di Valentina Coraglia, è un progetto nato nel 2015 ma proiettato in un futuro post-materico, in cui le risorse della Terra verranno meno e si potrà solamente godere dei pochi frutti rimasti, senza essere più in grado di riprodurli. Le materie prime, come acqua, aria pulita, suolo incontaminato e semi scrivono il proprio testamento, prima di trasformarsi irrimediabilmente e dare vita a nuovi prodotti. Malinconicamente si guarda a un passato che non c’è più fisicamente, ma che si trasforma in qualcosa di nuovo, risvegliando la consapevolezza nel consumatore e promovendo una particolare attenzione alla fugacità della natura.
la conservazione attiva è l’insieme dei processi e delle strategie adottati a favore della salvaguardia delle risorse in maniera dinamica e costruttiva Anche il designer francese Arthur Hoffner con il suo ultimo lavoro, Fountains (img.04), realizzato per l’edizione appena conclusa di Operae 2017 a Torino, progetta per sottolineare il continuo movimento e il valore effimero delle risorse, concentrandosi in particolare sull’acqua. Significative sono quindi le sue eclettiche fontane, proposte con forme antiche rivisitate e oggetti di uso comune come spugne e imbuti. Testimonianza concreta del passato, come veri e propri fossili, sono invece i lavori degli americani Fossilized Design. Questo studio di design utilizza esclusivamente il legno, naturalmente pietrificato con il passare dei secoli, per realizzare complementi d’arredo. Il design in questo caso viene esplicitamente utilizzato come “ponte”, trasferendo nell’arredamento contemporaneo un materiale molto antico preservatosi negli anni sino a mineralizzare. Il materiale organico dei tronchi, negli anni pietrifica trasformandosi in minerale e riflettendo i colori e le forme del paesaggio che per molto tempo l’ha ospitato, rendendo ogni pezzo diverso e peculiare di un determinato luogo. Preservare e valorizzare la Terra può voler anche dire avviare percorsi condivisi dai suoi abitanti per riappropriarsi di antichi modi e saperi profondamente intrecciati con le risorse del luogo: la cultura materiale appartiene infatti alla sua terra in quanto sapere profondamente integrato con il territorio. Un esempio di questo approccio è rappresentato, a livello italiano, dalla Banca del Fare, l’ambizioso progetto dell’Associazione Onlus Parco Culturale Alta Langa che si occupa della conservazione del patrimonio architettonico e della trasmissione del saper fare. Si tratta, in questo caso, di un esempio di salvaguardia degli artefatti, delle radici
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creative practices come strumento per la salvaguardia e la trasmissione delle risorse terrene
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culturali e delle tecniche tradizionali del nostro passato. Il progetto, attraverso un cantiere scuola, recupera piccole costruzioni tradizionali in pietra, i “Ciabot”, tipiche del paesaggio contadino piemontese dell’area dell’A lta Langa (img.05). Aspiranti architetti, designer e appassionati lavorano per settimane a fianco di architetti professionisti e dei mastri artigiani che ancora possiedono le competenze tradizionali per costruire tetti e muri con la pietra, con i legni locali, gli intonaci e le malte antiche. Banca del Fare si propone come intervento concreto di pratica e scambio, trasmettendo nozioni antiche, altrimenti destinate all’abbandono, per ristabilire un concreto ma profondo contatto tra le genti, gli specialisti, gli apprendisti e la Terra. Il saper fare di una comunità viene condiviso in maniera che ognuno diventi custode della preziosa eredità culturale e contri-
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buisca, più o meno attivamente, al futuro dell’Alta Langa. L’architettura e il design sono infatti due strumenti che, in scale diverse, si attivano, in maniera a volte provocatoria, a volte molto concreta, con l’obiettivo di recuperare e valorizzare le risorse naturali, materiali e culturali censite per salvaguardare e tramandare le nostre radici, risvegliando consapevolezza sull’eredità materiale e culturale che la Terra ci offre. Dalle risorse e dai territori incontaminati, alle tradizioni e ai saperi che si sviluppano in artefatti, tecnologie e processi, è nostro dovere guardare al futuro in termini di sviluppo sostenibile ambientalmente e culturalmente. Non si tratta di una sfida facile, ma di certo non mancherà l’occasione di prendere spunto dal nostro passato per poter guardare al futuro andando oltre il disinteresse, gli errori e le prime prese di coscienza del nostro presente.▲
NOTE 1 – Ora Crop Trust, fondata nel 2004 come organizzazione indipendente internazionale per la tutela del patrimonio genetico. 2 – International Centre for Agricultural Research in the Dry Areas. 3 – Lose, lastre di pietra tradizionalmente utilizzate come tegole. IMMAGINI 01 - Svalbard Global Seed Vault, Svalbard, Norvegia. Crediti: Crop Trust. 02 - Seeds backup, Norway. Crediti: Crop Trust. 03 - Catalogazione di Reminders. Crediti: Valentina Coraglia. 04 - Dettaglio di Fountains di Arthur Hoffner premiato con Public Prize nell’ultima edizione della Design Parade 12 di Villa Noailles. Crediti: Arthur Hoffner. 05 - Rifacimento tetto in “ciape”3. Crediti: Banca del fare. 06 - Dettaglio di Designing for the Sixth Extinction: “Rewilding with Synthetic Biology”. Crediti: Alexandra Daisy Ginsberg. BIBLIOGRAFIA - Dunne A., Raby F., “Speculative everything. Design, Fiction and Social Dreaming”, MIT press, Cambridge, 2013. - Friedman F., “L’architettura di sopravvivenza, una filosofia della povertà”, Bollati Boringhieri, Torino, 2009. - Lanzavecchia C., “Il fare ecologico”, Time & Mind Edizioni, Torino, 2004. - Pallante M., “Monasteri del terzo millennio”, Lindau, Torino, 2015. - Patel R., “Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo”, Feltrinelli, Milano , 2009. - Sennet R., “Insieme, rituali, piaceri, politiche della collaborazione”, Feltrinelli, Milano, 2016. - Ulivieri V., “Banche dei semi, i forzieri in cui si protegge la biodiversità”, in “La Stampa”, 22.10.2017.
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La pietra nella non-età-della-pietra Riflessioni sull’evoluzione di un materiale per il design
Doriana Dal Palù è dottore di ricerca in Innovazione Tecnologica per l’Ambiente Costruito e attualmente lavora come assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino. e-mail: doriana.dalpalu@polito.it
Within the wide materials world, stone is probably the one that over the time has better represented attributes such as solidity, immutability and continuity along the passing of time. Nevertheless, stone, the same material that, among few others, has changed humans life, is considered today as a noble resource, a non-renewable one and, in some cases, even almost exhausted. This point entails the necessity to develop new strategies for adopting stone as a productive material. But how has the relation between stone and project changed until today? Nowadays, this immutability has been outreached: this very traditional material has acquired new attributes, thanks to the evolution of the material itself, the generation of new stone derivatives materials and the introduction of innovative productive techniques and processes. Stone is characterized today by a high-tech appearance; it has turned from heavy to incredibly lightweight, from a monolithic to an impalpable material similar to a powder, from extremely tough to soft as a cloth and to fluid as liquids. From the luxury icon to a hygienic material, from sculpted to shaped and moulded: this article offers to the reader an overview on the last stone-derived materials and technologies for the design project.
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terno come la pietra. Quante volte è capitato di sentir associare a questo materiale attributi di solidità, immutabilità, continuità della risorsa nonostante il passare del tempo. Eppure la pietra, lo stesso materiale che fra i primi ha segnato la vita dell’uomo permettendogli di costruire utensili e rifugi, così abbondante da esser spesso creduto scontato (Cohen, 2015), è considerata oggi una risorsa nobile, non rinnovabile e in alcuni rari casi addirittura in via di esaurimento (Bardi, 2011), ma soprattutto caratterizzata da attributi altri, nuovi, a volte anche in evidente contrasto con quelli tradizionalmente noti. Come si è evoluto quindi l’impiego della pietra nel progetto negli ultimi decenni? Quali nuovi paradigmi tecnologici si sono delineati a partire dallo scenario litico attuale? Dalle colonne di The Guardian lo scienziato e giornalista Mark Miodownik ricorda che “la storia dell’evoluzione dei materiali è, di fatto, la nostra storia, […] ed il produrre non è solamente un’attività economica, bensì è un’espressione dell’uomo al pari della letteratura, dell’arte o della matematica” (Miodownik, 2014). Vale la pena quindi di osservare come un materiale tanto tradizionale si sia evoluto fino ad oggi, in una metamorfosi tecnologica e progettuale dalle potenzialità più disparate. Lo sguardo che guiderà la panoramica proposta nei prossimi paragrafi sarà quindi particolarmente attento a mondi, quale il design, in cui la pietra, ma soprattutto i suoi derivati, hanno guadagnato spazio e impiego negli ultimi decenni. Si stimolerà quindi una riflessione sull’evoluzione di questa famiglia di materiali (Peters, 2014; Schropfer, 2011) e delle tecniche a disposizione del progetto litico (Thompson, 2012) a partire dai ritrovati più recenti in letteratura1, mettendo in luce come questi abbiano contribuito allo sviluppo di nuove infinite identità materiche, possibili grazie alla nascita, al moltiplicarsi e al “meticciarsi” delle nuove famiglie dei “materiali su misura” (Manzini, 1986).
la pietra, lo stesso materiale che fra i primi ha segnato la vita dell’uomo permettendogli di costruire utensili e rifugi, così abbondante da esser creduto scontato, è considerata oggi una risorsa nobile, non rinnovabile e in alcuni rari casi addirittura in via di esaurimento
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Da monoblocco a foglio flessibile Pensando a prodotti nei quali la pietra sia la protagonista indiscussa, ritornano subito alla mente alcuni classici del design italiano quali, ad esempio, la lampada da terra Arco, frutto del progetto di Achille e Pier Giacomo Castiglioni e prodotta da Flos nel 1962, il cui basamento in marmo bianco di Carrara svolge la funzione di base e contrappeso, garantendo una finitura elegante e un aspetto quasi scultoreo al prodotto. Oggi siamo ormai lontani da quell’idea di pietra nel progetto, pietra intesa come materiale monolitico, lavorato in modo da produrre geometrie rigorose e volumi pieni, “pesante” nel senso letterale del termine. Nel corso degli anni, l’industria litica ha saputo infatti mutuare nuove suggestioni da settori produttivi e famiglie materiche anche molto lontane dal tradizionale settore lapideo, generando oggi nuovi orizzonti nei quali la pietra suggerisce esperienze sensoriali, visive e tattili inusuali e spesso inaspettate (Turrini, 2016). Guardando ai materiali innovativi, ne sono un esempio i piallacci NanoStone® e MicroStone® prodotti da Richter-Furniertechnik, dei veri e propri fogli ultraflessibili e leggerissimi in pietra naturale fibrorinforzata spessa solo pochi millesimi di millimetro, tanto da trovare applicazione nei settori della moda e della pelletteria fianco a fianco con tessuti e cuoio, oltre al tradizionale settore dei materiali da rivestimento; gli stessi piallacci, sono così sottili da poter lasciare intravedere la vena del
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l’innovazione ha permesso un utilizzo più sostenibile e consapevole della pietra, pur considerandone la sua natura di risorsa non rinnovabile
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materiale quando retroilluminati: questa opportunità fa sì che essi trovino impiego anche nel mondo dell’interior design, in particolar modo nella produzione di lampade traslucenti e di pareti d’arredo retroilluminate. Ma l’estrema flessibilità del piallaccio può essere ulteriormente enfatizzata da sistemi di tagli in grado di migliorare la capacità del materiale di adattarsi e modellarsi nelle tre dimensioni: questa tecnica è alla base del progetto Stone Rug di Dominik Raskin, un “tappeto” in piallaccio di pietra naturale incisa al laser secondo uno schema poligonale (e fibrorinforzato da uno strato retrostante in fibra di cotone o di vetro), che permette a questo sistema di assumere forme tridimensionali. Da piena a vuota Anche l’evoluzione delle tecnologie di trasformazione della pietra a servizio dei progettisti ha generato lo spazio per lo sviluppo di nuovi paradigmi tecnologici: la messa a punto del taglio ad acqua di precisione e su tre assi, ad esempio, ha reso possibile ottenere geometrie complesse che fino a pochi anni fa non erano immaginabili per un artefatto in pietra naturale. Se da un lato però l’evoluzione della tecnica ha permesso di raggiungere livelli di virtuosismo produttivo in termini di possibilità geometriche - basti pensare ai blocchi di pietra a spacco che oggi possono essere “scolpiti” fino a ottenere gabbie lapidee, prigionieri e elementi apparentemente più vicini a un prodotto della stampa 3D che a un blocco di marmo (come nel caso dell’Unfolded Unity Stool Marble Edition, uno sgabello ottenuto “svuotando” un blocco di marmo di Carrara) - è altrettanto vero che queste infinite possibilità hanno moltiplicato le porzioni di scarto, i sottoprodotti del taglio, dando vita a un incrementato volume di scarti produttivi di pezzatura
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medio-piccola, che oggi trovano spazio in un nuovo mercato del prodotto in pietra. Un cambiamento di scala e di tecnologie produttive che ha quindi permesso a questa materia prima di traslare dalla scala architettonica, alla scala dell’arredo, a quella dell’accessorio per la persona. Un esempio chiave di nuovo accessorio in pietra è rappresentato dalla linea di occhiali Eyewear prodotta in marmo, onice e pietre semi preziose da Budri, volta a esplorare le possibilità di utilizzo di materiali inconsueti e innovativi in settori merceologici consolidati. In altri casi, il cambiamento di paradigma della pietra da piena a vuota e, quindi, la possibilità di ottenere geometrie complesse, fori e elementi prigionieri, è reso fattibile grazie all’applicazione delle tecnologie dell’additive manufacturing alla polvere lapidea. Oggi è infatti possibile ricostruire nuove “pietre digitali” tramite la stampa 3D, oltre che “pietrificare” manufatti in substrati differenti mediante l’applicazione di uno strato sottilissimo di polveri lapidee: le attività della startup italiana Desamanera ne sono il testimone. Da unitaria a polvere (e viceversa) Proprio dall’attività estrattiva e dall’impiego delle tecnologie più pesanti di lavorazione della pietra nasce uno scarto di processo che da sempre è riutilizzato nella produzione di pietre artificiali (Catuogno, 2013) e che oggi si reinserisce perfettamente in una filiera produttiva nuova, diversa da quella delle pietre a spacco, ma che ne mantiene alcune caratteristiche nel proprio DNA materico: le polveri minerali di granulometrie differenti (o “scarti di cava” o “sottoprodotti di lavorazione”, in funzione del processo generatore) rappresentano in molti casi il vero responsabile della resistenza meccanica, termica,
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chimica e all’usura di nuovi materiali compositi chiamati solid surface, matrici polimeriche solitamente a base di resine epossidiche o poliestere rinforzate con cariche di polveri minerali più o meno impalpabili (ad esempio derivate da frammenti di marmo, bauxite, quarzo, granito polverizzati o micronizzati) e pigmenti. Questa famiglia di compositi dei quali Corian® di DuPont rappresenta senza dubbio lo storico capofila, annovera oggi centinaia di altri materiali, perfezionati per poter essere lavorati con tecnologie sempre più performanti e in grado di ottenere geometrie organiche, fluide come un liquido - come nel caso dei solid surface le cui superfici vengono fresate a simulare l’increspatura della superficie dell’acqua - dall’aspetto quasi modellato, come per i solid surface formabili tramite il processo di stampaggio a iniezione, fino ad un livello di dettaglio progettuale “micro”, come nel caso della progettazione della texture superficiale del materiale iniettato. Le polveri minerali inoltre concorrono a generare in questi materiali tattilità setose e superfici matt, satinate, con mano fresca, in grado di conferire al materiale caratteristiche sensoriali ibride fra il mondo delle materie plastiche e quello dei materiali naturali. Questi “materiali circolari” (Pellizzari e Genovesi, 2017) trovano oggi impiego nella produzione di sanitari, lavelli e piani di lavoro, al pari dei materiali ceramici tradizionalmente impiegati, andando quindi a contraddistinguersi come materiali igienici e antibatterici, caratteristiche non strettamente legate all’immaginario tradizionale della pietra naturale. La filiera dei solid surface non è però l’unica a riutilizzare le polveri lapidee. Un’altra famiglia di nuovi materiali nati dalla stessa materia prima sono le pietre sinterizzate, lastre di gran-
la capacità del progettista, ancora una volta, risiede quindi nel saper interpretare il materiale, ma anche nello scegliere le tecniche più giuste per realizzare un prodotto
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di dimensioni ottenute da un processo di riaggregazione di particelle lapidee al 100% – la sinterizzazione – che simula la naturale formazione delle rocce in migliaia di anni, tramite la sottoposizione delle polveri a cicli di pressione e temperature altissime (ne sono un esempio i prodotti Dekton® del Gruppo Cosentino, Lapitec® dell’azienda omonima e Neolith® della spagnola TheSize). Queste pietre ricostruite e ultracompatte presentano caratteristiche meccaniche e chimiche superiori rispetto ai solid surface e, pertanto, trovano oggi impiego come materiali da rivestimento per interni ed esterni (pavimenti, rivestimenti verticali di facciate ventilate, piani da lavoro, ecc.). Da scolpita a organica Certamente, gli assi di sviluppo dei derivati della pietra per ora elencati hanno permesso di adottare tecniche di lavorazione tendenti alla precisione richiesta dalla produzione seriale, ma la poetica dell’imperfezione tipica delle lavorazioni tradizionali e artigianali date dalla scabrosità della pietra, dall’imprevedibilità della vena e del punto di rottura non sono state completamente abbandonate: in alcuni casi, i designer reinterpretano queste caratteristiche del materiale seppur utilizzando tecniche di lavorazione moderne. Ne è un esempio la serie di stoviglie in marmo di Carrara Monolith ideata nel 2013 dalla designer israeliana Shira Keret, nella quale il taglio ad acqua solitamente effettuato su lastre di spessore controllato (indicativamente di una decina di centimetri massimo) viene riproposto su blocchi parallelepipedi. La potenza del getto d’acqua
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va in questo caso a scemare perdendo precisione di taglio in profondità, dove la pietra tende a spaccarsi secondo le naturali venature che la generano. L’effetto risultante è quindi un prodotto tra l’industriale e l’organico, caratterizzato da superfici nette che diventano increspate, effettivamente erose in pochi secondi dal flusso dell’acqua. Questa panoramica sul mondo della pietra nel design, sullo sviluppo dei materiali derivati più innovativi e sulle tecnologie di lavorazione più moderne, mette a fuoco come la pietra possa essere considerata un materiale ancora al passo con i tempi, dalle molteplici identità, espressività e impieghi2 . L’innovazione ha permesso un utilizzo più sostenibile e consapevole della pietra, pur considerandone la sua natura di risorsa non rinnovabile. Il migliorato sfruttamento della risorsa è possibile tramite strategie progettuali di volta in volta differenti: assottigliando il più possibile lo spessore della lastra, riutilizzando gli scarti produttivi di pezzatura medio-piccola, dando nuova vita alle polveri generate in fase di estrazione e di taglio riaggregandole, reinterpretando il “difetto” intrinseco al materiale, in modo da renderlo un pregio fondante per il progetto. La capacità del progettista, ancora una volta, risiede quindi nel saper adottare e interpretare il materiale, ma anche nello scegliere le tecniche più giuste per realizzare un prodotto, scelte che è bene che abbraccino principi di sostenibilità ed etica, oltre a espressività e funzionalità, al fine di utilizzare con consapevolezza un materiale così tradizionale ma dotato di una altrettanto forte carica tecnologica.▲
NOTE 1 - Una fonte inesauribile di spunti, informazioni e ultimi aggiornamenti dal mondo della pietra e dei suoi derivati nell’architettura e nel design è offerta dal sito www.architetturadipietra.it, nato da un progetto di raccolta delle avanguardie tecnologiche nel settore della pietra. 2 - Altri esempi di materiali lapidei innovativi o derivati dalla pietra sono archiviati in MATto, la materioteca del Politecnico di Torino, www.matto.polito.it IMMAGINI 01 - Stone Rug, Dominik Raskin, 2015. Tappeto in piallaccio di pietra naturale fibrorinforzata (110 x 60 cm) incisa al laser secondo uno schema poligonale che permette al foglio di assumere una forma tridimensionale. Crediti: Dominik Raskin. 02 - Collezione Eyewear, Valerio Cometti per Budri, 2016. È la sfida più complessa che Budri abbia affrontato: una superficie millimetrica e leggerissima in pietra genera la montatura degli occhiali ed è ottenuta fresando un’unica lastra. La superficie viene resa antibatterica e oleofobica tramite un trattamento superficiale nanotecnologico. Crediti: Budri Media Communication. 03 - Unfolding Unity stool (Marble Edition), Aljoud Lootah, 2016. Sgabello in marmo di Carrara monoblocco (50 x 50 x 70,1 cm). Fa parte della collezione limitata “Double Square”, una famiglia di complementi d’arredo geometrici (una lampada, un tavolino da the, uno sgabello) ispirati a pattern e stilemi tipici dei motivi arabeschi. Crediti: Aljoud Lootah. 04 - Biscuit Table, Patricia Urquiola per Budri. È un tavolo realizzato in marmo di Lasa bianco (270 x 95 x 73,5 cm) intarsiato con marmi policromi che si sovrappongono formando trame di pizzi lapidei. Crediti: Budri Media Communication. 05 - Monolith, Shira Keret, 2013. Serie di stoviglie in marmo di Carrara ottenute tramite taglio ad acqua. Il processo di erosione spontanea della pietra tramite un flusso di acqua viene riprodotto in qualche secondo dall’imperfezione generata dal taglio ad acqua in blocchi litici di spessore elevato. Crediti: Hagar Cygler. 06 - Nat/f/Use Carpet, Patricia Urquiola per Budri, 2012. Dischi in marmo e limestone tagliati ad acqua e fresati a formare merletti a intarsio e a traforo, legati da un cordone giallo fluo, formano un insolito tappeto lapideo. Le trame ricordano la lana lavorata all’uncinetto trasformando l’evocato di durezza della pietra in morbidezza e calore. Crediti: Budri Media Communication. BIBLIOGRAFIA - Bardi U., “La Terra svuotata. Il futuro dell’uomo dopo l’esaurimento dei minerali”, Editori Riuniti University Press, Roma, 2011. - Catuogno R., “La pietra artificiale tra storia e sperimentazione”, in Florio R. (a cura di), “Materioteca fisica e virtuale per l’Architettura e per il Design”, Paparo Edizioni, Napoli, 2013, pp. 257-269. - Cohen J. J., “Stone. An Ecology of the Inhuman”, University of Minnesota Press, Minneapolis, 2015. - Manzini E., “La materia dell’invenzione”, Arcadia, Milano, 1986. - Miodownik M., “Why the story of materials is really the story of civilisation”, in “The Guardian”, 14 Settembre 2014, https://goo.gl/tnzXdP, consultato il 20/8/2017. - Pellizzari A., Genovesi E., “Neomateriali nell’economia circolare”, Edizioni Ambiente, Milano, 2017. - Peters S., “Material Revolution 2. New Sustainable and Multi-Purpose Materials for Design and Architecture”, Birkhäuser, Basel, 2014. - Schropfer T., “Material Design: Informing Architecture by Materiality”, Birkhäuser, Basel, 2011. - Thompson R., “Il manuale per il design dei prodotti industriali. Materiali, tecniche e processi produttivi”, Zanichelli, Bologna, 2012. - Turrini D., “Sinestesie litiche”, in “MD Journal”, 2016, n. 1, pp. 54-65.
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Post-industrial robotics Tecniche innovative e materiali vernacolari nell’era post-digitale
Angelo Figliola è dottorando presso il Dipartimento PDTA, Planning, Design and Technology of Architecture, La Sapienza, Roma. e-mail: angelo.figliola@uniroma1.it Alessandra Battisti è professore associato presso il Dipartimento PDTA, Planning, Design and Technology, La Sapienza, Roma. e-mail: alessandra.battisti@uniroma1.it
In the age of Anthropocene, when the effects of human action condition the Earth’s environment, it is necessary to ask ourselves how we can modify design processes to give life to informed and performative architectures that can positively affect the technosphere. Hence the necessity to investigate innovative design and manufacturing techniques through which subvert the concept of mass production and giving life to customization processes by reintroducing natural materials in the design process to define new design paradigms for sustainable architecture. To be more specific, the use of anthropomorphic robots and the consequent variation of productive processes through the diversification of the tools employed favors the use of low-engineered natural materials that cannot be used with traditional production methods. Starting from this consideration, this contribution investigates new formal codes for sustainable project through the analysis of case studies. The focus of the inquiry is on the relationship between digital computing, natural materials such as clay and wood, and robotic manufacture.
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era geologica attuale definita come antropocene è caratterizzata dal forte condizionamento dell’azione umana sul sistema ambientale terrestre (Crutzen, 2005), dalla scala locale a quella globale. A riguardo, l’operato dell’uomo nel corso della storia ha generato uno strato artificiale definito come tecnosfera (Zalasiewicz et al., 2016) che si aggiunge alla stratificazione nota del globo terrestre. Lo strato tecnologico costruito dall’uomo comprende tutto ciò che è artificiale: dagli oggetti di piccole dimensioni fino alle strutture e alle infrastrutture1. I dati odierni dimostrano come questo specifico settore industriale sia uno dei più imponenti al mondo in termini di occupazione, indotto economico e consumi energetici. Il comparto delle costruzioni, civile più terziario, incide nei paesi UE per il 40% sull’utilizzo finale delle risorse energetiche ed è causa del 36% della produzione totale di CO22. Inoltre, il settore civile nel suo intero ciclo di vita incide sul consumo del 50% delle risorse globali (Mardiana e Riffat, 2015) ed è ancora legato all’impiego di materiali convenzionali che dominano il mercato, come il calcestruzzo, l’acciaio e il vetro e da sistemi produttivi e costruttivi oramai obsoleti. Modelli di sviluppo innovativi per modificare positivamente la tecnosfera Alla luce dello scenario sopra descritto si può evincere come la formazione della tecnosfera sia una delle concause del cambiamento climatico e del riscaldamento globale attuale. L’aumento costante dell’inquinamento, il vertiginoso innalzamento delle temperature dovuto all’effetto serra, la dipendenza assoluta da fonti energetiche non rinnovabili e la distruzione di ecosistemi radicati sono solo alcuni dei gravi danni causati da questo modello di sviluppo. Tutto ciò induce a intensificare i percorsi di ricerca sull’innovazione di processo e di prodotto al fine di
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individuare e definire una metodologia operativa innovativa per la realizzazione di architetture informate e ottimizzate capaci di modificare positivamente e in maniera resiliente la tecnosfera. L’integrazione tra strumenti informatici e fabbricazione digitale offre questa possibilità consentendo la reintroduzione nei processi progettuali di materiali naturali, come l’argilla e il legno, e l’esplorazione di codici formali innovativi risultato dalla relazione tra generazione formale e ottimizzazione delle performance, al fine di definire un paradigma progettuale innovativo. Architettura informata e argilla L’impiego di materiali argillosi in architettura presenta una serie di vantaggi generati dalle sue ottime proprietà meccaniche e strutturali, oltre che dal fatto di essere un materiale biodegradabile, low cost e a km0. Come materiale da costruzione, l’argilla consente di ridurre notevolmente i carichi energetici relativi al riscaldamento e raffrescamento degli edifici, grazie alle sue capacità di inerzia termica, oltre che regolare le condizioni di comfort, mediante il processo di assorbimento ed evaporazione con il quale controlla la percentuale di umidità presente nell’ambiente (Persiani e Battisti, 2015). Un ulteriore impulso all’indagine sui materiali argillosi è stato dato dalle innovazioni relative ai processi di fabbricazione digitale: la contemporanea diffusione della stampa 3D e della fabbricazione robotica ha favorito la nascita di un terreno di sperimentazione ibrido in grado di combinare le potenzialità delle due tecnologie e dar vita a un processo altamente performante definito come Large-scale Robotic 3D Printing (img. 02).
l’integrazione tra processi di ottimizzazione computazionale e tecnologie di fabbricazione digitale, permette di impiegare il materiale solo dove necessario
La combinazione tra bracci robotici e processi additivi permette di esplorare scenari innovativi legati alle caratteristiche tecniche e prestazionali delle due tecnologie tanto da poter essere definita come tecnologia rivoluzionaria nel settore delle costruzioni. Nello specifico, combinando le due metodologie di fabbricazione digitale è possibile esplorare i benefici derivati dalla natura generica del robot che permette la personalizzazione degli strumenti di lavorazione in relazione a una specifica strategia produttiva e costruttiva e quindi di sperimentare diversi sistemi materiali. La natura generica della macchina consente di utilizzare le potenzialità dei sei gradi di libertà garantendo flessibilità nella definizione del percorso di deposizione del materiale,
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la combinazione tra robot antropomorfi e processi additivi permette di esplorare scenari innovativi legati alle caratteristiche tecniche e prestazionali delle due tecnologie tanto da poter essere definita come tecnologia rivoluzionaria nel settore delle costruzioni
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espandere l’area di stampa in relazione alla tipologia di robot utilizzato, oltre che evitare strutture di supporto e il conseguente dispendio di materiale. La possibilità di programmare il robot mediante strumenti parametrici permette di gestire nello stesso workflow il processo di generazione formale e la creazione delle istruzioni necessarie per espletare il processo produttivo. Infine, l’impiego di software parametrici è propedeutico alla definizione del concetto di architettura informata sulla base del quale la generazione formale viene guidata e informata dalle performance che diventano input progettuali piuttosto che mero parametro quantitativo. Dalle caratteristiche sopra elencate, derivano i risultati più interessanti per quello che concerne la sperimentazione su sistemi materiali non convenzionali e sull’integrazione dei modelli digitali con il processo produttivo grazie agli strumenti parametrici. La combinazione tra materiale naturale, argilla, e i processi additivi di Robotic 3D printing è alla base di alcuni progetti di ricerca volti a esplorare le potenzialità dell’utilizzo di materiale naturale per la costruzione di sistemi tecnologici per l’architettura. Esempio di questa ricerca è il prototipo di involucro massivo in terra cruda, TerraPerforma3 (img. 05), realizzato nell’ambito dell’Open Thesis Fabrication 2016/2017 dello IAAC, Institute of Advanced Architecture of Catalunia, per esplorare le possibilità offerte dal processo di ottimizzazione della forma e dall’assemblaggio di unità tecnologiche di dimensioni tali da poter essere facilmente movimentate (img. 01). La ricerca ha interessato lo studio di pattern geometrici in grado di incrementare le performance strutturali ed energetico-ambientali dell’involucro: il processo informatico di ottimizzazione della forma ha permesso di generare una morfologia in grado di garantire prestazioni ottimali grazie a determinate conformazioni geometriche. A riguardo, l’ottimizzazione del pattern geometrico rispetto a parametri quantitativi quali la radiazione solare e la ventilazio-
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ne naturale, ha permesso di ridurre sensibilmente la temperatura superficiale del componente, mediante auto-ombreggiamento, e quindi diminuire il carico energetico necessario per il raffrescamento dell’edificio nel periodo estivo. Architettura informata e costruzioni in legno Così come l’argilla, il legno rappresenta uno dei materiali più longevi in ambito architettonico per via delle sue proprietà fisiche e meccaniche oltre che per la flessibilità di impiego in ambito strutturale. Le principali caratteristiche che rendono il legno un materiale virtuoso sono la rinnovabilità e l’abbondanza della materia prima oltre che le sue qualità ecologiche, come un basso livello di energia grigia4 e un carbon footprint5 negativo. Rispetto alle tradizionali applicazioni del legno nella comune pratica architettonica, le innovazioni relative agli strumenti informatici e alla fabbricazione digitale hanno aperto nuove linee di ricerca che condividono gli stessi strumenti operativi. Le indagini condotte possono essere sintetizzate in due approcci distinti: il primo prevede l’utilizzo del materiale naturale cercando di sfruttare le proprietà fisiche e meccaniche dello stesso senza ricorrere a lavorazioni di tipo industriale necessarie per eliminare le imperfezioni meccaniche e garantire le prestazioni strutturali (Menges et al., 2016); il secondo lavora sull’omogeneizzazione del materiale, a seguito di un processo di ingegnerizzazione del prodotto volto a mutare l’aspetto e soprattutto a potenziare le sue performance, per applicazioni strutturali che traggono beneficio dalla complessa relazione tra processi informatici e fabbricazione digitale (Weinand, 2017). Rispetto al primo approccio, uno dei focus della ricerca è costituito dall’esplorazione delle proprietà meccaniche del materiale per trasformarle in opportunità progettuali nel processo di generazione formale, definito come material computation. Il processo informatico diviene
il mezzo attraverso il quale indagare le opportunità offerte dal materiale in relazione al suo comportamento complesso e non lineare. Le proprietà fisiche e meccaniche del materiale naturale, soprattutto se impiegato sotto forma di pannelli sottili lavorati mediante un processo di laminazione, come l’eterogeneità, l’anisotropia6, l’igroscopia7 e l’irregolarità, possono aumentare le possibilità progettuali e stimolare il processo creativo. Gli studi sulla material computation sono da qualche anno parte della ricerca condotta da Achim Menges presso l’ICD, Institute for Computational Design di Stoccarda, all’interno della linea di ricerca Performative Wood. L’altro filone della ricerca, condotto principalmente presso la AA di Londra, Architectural Association, riguarda l’utilizzo del materiale naturale per realizzare strutture complesse e ottimizzate come il Wood Chip Barn8 (img.03). Il ruolo degli strumenti informatici e della fabbricazione digitale risulta evidente nello sviluppo del progetto. La scansione degli arbusti, e la conseguente creazione di una vera e propria banca dati degli elementi in relazione a parametri dimensionali e morfologici, rappresenta il cuore dell’intero processo e la vera innovazione di processo. Attraverso la scansione e ricostruzione tridimensionale degli elementi, è possibile realizzare una superficie complessa a partire dalla curvatura naturale e dai parametri dimensionali dei tronchi evitando dispendiosi processi industriali di curvatura. Il processo informatico permette di integrare nel progetto i dati relativi al materiale utilizzato, alle sue performance strutturali e ai parametri del sito di fabbricazione ottenendo così una morfologia informata in grado di sfruttare le potenzialità del materiale naturale in relazione ai parametri elencati. Le geometrie ottimizzate vengono materializzate grazie alle potenzialità offerte dalla fabbricazione robotica per la costruzione di giunti diversificati (img. 05), difficilmente realizzabili con le metodologie produttive tradizionali.
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Tecnologie digitali e materiali naturali per il progetto sostenibile Partendo dall’analisi delle due linee di ricerca è possibile definire le potenzialità della metodologia operativa nella realizzazione di architetture informate capaci di modificare positivamente la tecnosfera. Uno degli elementi chiave riguarda l’utilizzo efficiente delle risorse materiali come risultato di un percorso di innovazione di processo e di prodotto: l’integrazione tra modellazione e ottimizzazione digitale e tecnologie innovative di fabbricazione robotica, permette di impiegare il materiale solo dove necessario in relazione all’informazione dei processi progettuali rispetto ai parametri performativi scelti come input progettuali. A riguardo, l’additive manufacturing risulta essere la metodologia produttiva che più si presta all’ottimizzazione delle risorse materiali: la possibilità di assemblare elementi discretizzati e di depositare materiale sfruttando la cinematica dei bracci robotici e la flessibilità dei modelli parametrici favorisce l’esplorazione di sistemi tecnologici ottimizzati rispetto a parametri performativi di natura energetico-ambientale e strutturale, impiegati come guida dei processi progettuali. Un ulteriore implementazione è rappresentata dalla reintroduzione nei discorsi progettuali di materiali tradizionali e naturali, come l’argilla e il legno; le nuove tecnologie offrono la possibilità di sperimentare una rinnovata sensibilità materiale attraverso
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la quale esplorare codici formali innovativi, una tettonica informata da parametri performativi quantitativi. Passando dai materiali all’organizzazione del processo produttivo, i risultati ottenuti hanno evidenziato le potenzialità della fabbricazione digitale nella materializzazione della complessità progettuale derivata dall’impiego di processi informatici di modellazione e ottimizzazione della forma a partire dalla fase preliminare della progettazione. A riguardo, l’analisi dei casi di studio ha dimostrato come attraverso i processi integrati di fabbricazione digitale è possibile realizzare: architetture diversificate in base a uno specifico materiale e un particolare processo produttivo; energeticamente efficienti; strutturalmente performative; morfologicamente responsive. Il ricorso a metodi e strumenti di fabbricazione digitale innovativi, come la fabbricazione robotica e la stampa 3D, garantisce la customizzazione dei componenti mantenendo inalterati costi e tempi di produzione, sostanzialmente comparabili con i processi industriali di produzione seriale, grazie alla catena digitale che connette il modello virtuale al processo produttivo. Impiegare le tecnologie innovative sopra menzionate senza comprendere a fondo la relazione tra generazione formale e performance come base della diversificazione della forma, significa non sfruttare le potenzialità offerte dall’impiego di questi strumenti nella progettazione e nella fabbricazione di sistemi tecnologici informati.▲
NOTE 1 - La tecnosfera pesa circa 30 miliardi di miliardi di tonnellate, circa 50 chilogrammi per metro quadrato di superficie terrestre. 2 - Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare il sito: www.ec.europa.eu/energy/en/ topics/energy-efficiency/buildings 3 - Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare il sito: www.iaacblog.com/projects/ terraperforma-open-thesis-fabrication-201617/; Program Directors: Edouard Cabay, Alexandre Dubor; Researchers: Sameera Chukkappali, Iason Giraud, Abdullah Ibrahim, Raaghav Chentur Naagendran, Lidia Ratoi, Lili Tayefi, Tanuj Thomas. 4 - Quantità di energia necessaria per l’estrazione, la trasformazione, l’impiego e lo smaltimento. 5 - Esprime la misura di CO2 come totale delle emissioni di gas ad effetto serra che possono essere associate ad un prodotto o un servizio. 6- Il legno è un materiale anisotropo in quanto le sue variazioni dimensionali variano a seconda della direzione delle fibre considerate. 7- Il legno assorbe prontamente le molecole d’acqua presenti nell’ambiente circostante. 8 - Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare il sito: www.designandmake.aaschool. ac.uk/project/wood-chip-barn IMMAGINI 01 - TerraPerforma: customizzazione delle unità tecnologiche in relazione a parametri performativi energeticoambientali e strutturali. Crediti: IaaC, Institute for Advanced Architecture of Catalunya. 02 - Mataerial: processo di Large scale Robotic 3d printing. Crediti: IaaC, Institute for Advanced Architecture of Catalunya. 03 - Wood Chip Burn, AA Hooke Park, Dorset. Crediti: AA School of Architecture, Valery Bannet. 04 - Wood Chip Burn: customizzazione dei giunti grazie alle potenzialità offerte dalla fabbricazione robotica. Crediti: AA School of Architecture, Valery Bannet. 05 - TerraPerforma: prototipo di chiusura verticale in terra cruda risultato di un processo di ottimizzazione delle performance energetico-ambientali e strutturali oltre che espressione delle potenzialità offerte dal Large Scale Robotic 3d printing. Crediti: IaaC, Institute for Advanced Architecture of Catalunya. BIBLIOGRAFIA - Crutzen P., “Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era”, Mondadori, Milano, 2005. - Mardiana A., Riffat S.B., “Building Energy Consumption and Carbon dioxide Emissions: Threat to Climate Change”, in “Journal of Earth Science & Climatic Change”, Issue 3, 2015. - Menges A., Schwinn T., Krieg O.D., “Advancing Wood Architecture: a Computational Approach”, Routledge, New York, 2016. - Persiani S., Battisti A., “Componenti Innovativi in Argilla per l’architettura sostenibile: Elementi massivi a prestazioni migliorate”, Edizioni Accademiche Italiane, 2015. - Weynand Y., “Advanced Timber Structures”, Birkhauser, Basilea, 2016. - Zalasiewicz J., Williams M., “Scale and Diversity of the Physical Technosphere: A Geological Perspective”, in “The Anthropocene Review”, Vol 4, Issue 1, 2016, pp. 9-22.
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INFONDO
Per copertura del suolo (Land Cover) si intende la copertura della superficie terrestre che comprende le superfici artificiali (impermeabili), le zone agricole, i boschi e le foreste, le aree seminaturali, le zone umide, i corpi idrici. L’uso del suolo (Land Use) è invece il prodotto delle interazioni tra l’uomo e la copertura del suolo e costituisce quindi una descrizione di come il suolo viene impiegato per attività antropiche. Infine, il consumo di suolo è un fenomeno che porta alla perdita di una risorsa ambientale, il suolo appunto, a causa dell’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale, mediante la copertura artificiale del terreno. Il processo è dovuto principalmente alla costruzione di nuovi edifici, infrastrutture e all’espansione delle città.
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a cura di Emilio Antoniol e Margherita Ferrari info: www.isprambiente.gov.it fonte dati: Rapporto Consumo di Suolo 2017, ISPRA.
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m2/abitante
suolo consumato pro-capite a livello nazionale
7,64
8,77%
%
Confini Popolazione
TOKYO
percentuale del consumo di suolo in Veneto
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3
%
0.0 91.1 31
7.7 50. 000
3
12,21
Superficie in km2
percentuale del consumo di suolo a livello nazionale
Tokyo - Giappone Superficie città 2.188 km2 Area urbana 8.547 km2 Popolazione 37.750.000
Jacarta - Indonesia Superficie città 661 km2 Area urbana 6.390 km2 Popolazione 30.091.131
JAKARTA
Seoul - Corea del Sud Superficie città 605 km2 Area urbana 10.400 km2 Popolazione 26.640.000
26 .64 0.000
SEUL
12,65%
18,20%
8,97% 5,70%
Suolo coltivabile su superficie del continente Area urbana su superficie del continente Fonti: FAO 2016; MODIS satellite data 2010.
DELHI
24 .416 .000
SHANGHAI
24 .123 .000
MANILA
23 .645 5 .25
NEW YORK CITY
22 .123 0 .00
KARACHI
21 .500 00 .0
PECHINO
.5 9
20
2
4.9 98.000
7 .0 0 0
GUANGDONG
L’estensione delle città più popolose al mondo. Fonte UNICEF 2016.
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PORTFOLIO
Emilio Antoniol e Margherita Ferrari
Nell’immaginario comune le grandi infrastrutture trasportistiche sono associate a strutture ingegneristiche pesanti, ingombranti ed esteticamente poco piacevoli: grandi autostrade, piloni in cemento, claustrofobici tunnel o sterminati binari. Quando queste infrastrutture sono sotterranee, come nel caso di una metropolitana, la nostra mente le associa immediatamente a luoghi bui, cupi e spesso sgradevoli. Le linee delle metropolitane di profondità sono infatti opere ingegneristiche progettate per un’alta frequenza dei transiti ferroviari, generalmente con una fermata ogni 3-5 minuti, riducendo in tal modo i tempi di attesa dei passeggeri in stazione. Questo fatto si ripercuote spesso sulla qualità degli spazi di attesa, generalmente realizzati in modo standardizzato e ottimizzato per la breve durata della sosta. Tuttavia, quando il progetto della metropolitana si confronta con città in cui il sottosuolo è già densamente costruito la necessità di realizzare lunghi e tortuosi sistemi di collegamento verticale (scale mobili, corridoi, rampe e ascensori) offre la possibilità di progettare spazi per il transito passeggeri dotati di una qualità architettonica maggiore. È questo il caso di alcune delle più recenti linee metropolitane realizzate in Europa, come a Londra o Lisbona. Tra queste città c'è anche Napoli, in cui il progetto del Comune Stazioni dell’Arte sta trasformando molte delle stazioni metropolitane delle linee 1 e 6 in veri e propri musei sotterranei. In esse sono esposte oltre 180 opere d’arte contemporanea prodotte da artisti sia locali che internazionali, o reperti storici come il Torrione cinquecentesco dell’Immacolata alla stazione Municipio.
Semplici luoghi di passaggio si trasformano in spazi per l’arte, dando vita a nuovi luoghi di aggregazione e riqualificando anche l’area urbana delle zone a essa adiacenti.▲ In the public imagination big transport infrastructures are associated with heavy, cumbersome and aesthetically unpleasant engineering structures: large highways, concrete pylons, claustrophobic tunnels or endless railroad track. When these infrastructures are underground, as in the case of a subway, our mind immediately associates them with dark and unpleasant places. As a matter of fact, the subway lines are designed for a high frequency of railway transits, generally with a stop every 3-5 minutes, thus reducing waiting time for passengers at the station. This fact often affects the quality of waiting areas, generally realized in a standardized way. However, when the subway is located in cities with densely built ground, the realization of long and tortuous vertical connection systems (escalators, corridors, ramps and elevators) offers the possibility to design transit spaces with greater architectural quality. This is the case of some of the most recent subway lines built in Europe, such as in London or Lisbon. In Naples, the project Stations of the Art is transforming many of the subway stations of lines 1 and 6 in real underground museums where over 180 contemporary works of art produced by local and international artists, or historical artifacts such as the sixteenth century Torrione dell'Immacolata at the Municipio station are exhibited. Simple transit places are so transformed into spaces for art, giving life to new places of aggregation and also redeveloping the urban adjacent area.
Arte nella terra
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quando queste infrastrutture sono sotterranee, come nel caso di una metropolitana, la nostra mente le associa immediatamente a luoghi bui, cupi e spesso sgradevoli
sono esposte oltre 180 opere d’arte contemporanea prodotte da artisti sia locali che internazionali, o reperti storici come il Torrione cinquecentesco dell’Immacolata
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I principali spazi delle stazioni metropolitane di Napoli del progetto del Comune "Stazioni dell'Arte": le scale, i corridoi, le banchine. Il presente portfolio non vuole descrivere un percorso e neppure indicare i nomi delle singole stazioni. Lasciamo spazio alla curiositĂ del lettore e alla scoperta di questi luoghi. Crediti: Emilio Antoniol e Margherita Ferrari, luglio 2016.
IN PRODUZIONE
Matteo Tormena, commerciale Greenview S.r.l. e-mail: commerciale@greenviewsrl.com
IMMAGINI Crediti: Greenview Srl 01 - Il packaging sostenibile della linea Habitat. 02 - Alcuni substrati prodotti da Greenview. Da sinistra a destra: Mix Park, Professionale per floricoltura, Universale florido.
AZIENDA Greenview Srl Via Rivette,14 31035, Crocetta del Montello (TV) info@greenviewsrl.com www.greenviewsrl.com
The soil on which we walk every day performs many functions that are fundamental for life on our planet: it is the support on which buildings and structures are placed; it is the primary source of mineral resources that are essential for the production of almost all the materials we use; it is also the fundamental substratum for the grow of the plant we use for the production of our nourishment. Therefore soil is a primary importance resource for us, and we have learned to use it in the most effective way for our purposes. Greenview, a company operating in Treviso since 1988 regarding the production of high quality soil and substrates, is active throughout the territory of Central and Northern Italy, Croatia, Slovenia and Switzerland, for the supply of different substrates specific for gardens, vegetable gardens and roofs, providing the right terrain for each project.
54 OFFICINA*
Substrati di qualità A ogni progetto il suo terreno
I
l suolo su cui quotidianamente camminiamo assolve, nella sua semplice natura di terreno, a molte funzioni fondamentali per la vita sul nostro pianeta. Oltre a essere il supporto su cui poggiano edifici e strutture, esso è la fonte primaria di risorse minerali indispensabili per la produzione di quasi tutti i materiali che comunemente utilizziamo ma, allo stesso tempo, esso è anche il substrato fondamentale per l’attecchimento e il sostentamento delle specie vegetali che servono alla produzione del nostro nutrimento. Il suolo è quindi una risorsa di primaria importanza che l’uomo ha imparato a sfruttare nel modo più efficace ai propri scopi. La necessità di “specializzare” i terreni in relazione alla loro funzione finale ha portato da un lato allo sviluppo di ammendanti, ossia materiali aggiunti al suolo in situ la cui funzione principale è di conservarne o migliorarne le caratteristiche fisiche, chimiche o le proprietà biologiche, dall’altro alla formulazione di substrati specifici per i differenti tipi di coltivazione o utilizzo. Con il termine substrato si intende quel materiale utilizzato come supporto per lo sviluppo radicale dei vegetali, e la cui composizione varia in funzione alle specifiche esigenze della coltivazione. Granulometrie e miscele differenti possono infatti offrire prestazioni e qualità specifiche al substrato di coltivazione il cui componente principale resta comunque la torba: un materiale organico
proveniente dalla decomposizione progressiva di specie vegetali che vivono in ambienti umidi e freddi, spesso acquatici, la cui estrazione comporta rischi a livello ambientale per la fragilità degli habitat in cui essa si forma. Per questo motivo l’Unione Europea, già da alcuni anni, ha spinto per una riduzione, ed eliminazione, delle torbe dai substrati commercializzati nella Comunità Europea, negando la certificazione di qualità (Ecolabel) ai prodotti che ne contengano (Decisione UE 2015/2099, che stabilisce i criteri ecologici per l’assegnazione del marchio di qualità ecologica dell’Unione europea Ecolabel UE ai substrati di coltivazione, agli ammendanti e al pacciame).
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In questo scenario Greenview, azienda trevigiana attiva fin dal 1988 nel settore della produzione e commercializzazione di terricci e substrati di alta qualità, ha avviato una linea prodotto specifica e totalmente libera da torba denominata Habitat. Negli ultimi anni molte aziende produttrici di terricci hanno introdotto nel mercato substrati privi di torba, ad esempio, introducendo nella miscela fibre di cocco derivanti dalle lavorazioni di tale prodotto oltreoceano, con indubbi limiti a livello di sostenibilità visto il lungo tragitto e le lavorazioni eseguite a monte del processo di produzione del cocco. Al contrario, Habitat è un terriccio universale composto per il 50% da fibre di legno, frutto di scarti di lavorazione delle locali filiere del legname, che va quindi ad attivare un processo di filiera corta e di recupero di sottolavorazioni locali in un nuovo settore di mercato. La miscela è poi formata per il 25% da humus di corteccia vegetale e per il restante 25% da concimazione organica, dando quindi origine a un prodotto biologico e dal basso impatto ambientale. Per questi motivi l’azienda propone
anche un packaging sostenibile, costituito da materiali riciclabili e stampato con un processo innovativo che minimizza le emissioni nocive degli inchiostri in atmosfera. Grazie a queste caratteristiche Habitat sta trovando ampio impiego negli appalti pubblici dove, sempre più spesso, viene richiesto l’uso di terricci e substrati privi di torba. Allo stesso modo, Greenview è attiva su tutto il territorio del Centro-Nord Italia, di Croazia, Slovenia e Svizzera, con la fornitura di molti altri substrati privi di compost specifici per orti, giardini e tetti pensili. Proprio in questo ambito si distingue il prodotto denominato Mix Park, specifico per la posa di prati a rotoli, parcheggi inerbiti e tetti pensili estensivi. Grazie alla sua composizione (torba, sabbia di pomice e sabbia di lapillo) il substrato pre-concimato presenta un contenuto peso specifico, ideale per l’applicazione in copertura, e un’ottima capacità drenante dovuta alla componente sabbiosa a grana medio-fine. Ciò impedisce il ristagno di acqua e la conseguente formazione di fango, garantendo un’elevata stabilità in
volume che lo rende ottimale per l’uso in spessori contenuti (circa 10-12 cm) senza far mancare il necessario supporto allo sviluppo radicale del manto erboso. In un’epoca in cui la ricerca e l’innovazione si rivolgono allo sviluppo di materiali sempre più sofisticati anche la progettazione del suolo, la scelta del substrato più idoneo, della miscela più appropriata o della granulometria più adatta, può fare la differenza in un progetto di qualità, in cui sostenibilità e produzione possano trovare concretamente un percorso comune.▲
Habitat è un terriccio universale composto per il 50% da fibre di legno
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Paolo Sivieri, geologo. e-mail: paolo.sivieri@geoservizi2.it
IMMAGINI 01 - Schema di pompa di calore. Crediti: Ridisegno Stefania Mangini da Glen Dimplex Deutchland. 02, 04, 05 - Alcune fasi del cantiere per la realizzazione di sonde geotermiche con perforatrici meccaniche. Crediti: Geoservizi2. 03 - Testa della sonda geotermica in Pe-XA, modello “green”. Crediti: Rehau S.p.a.
AZIENDA
Geoservizi2 Via Senatore Fabbri, 18 31027, Lovadina di Spresiano (TV) info@geoservizi2.it www.geoservizi2.it
The geothermal exchange is a technology that allows the transfer of energy to and from the subsoil, to air-conditioning the building in which we live and work, without negatively affecting the quality of the air. The geothermal exchange uses an electric machine: the heat pump. While the classical geothermal exploits the geothermal gradient at mediumhigh depths (more than 1000 metres), the low enthalpy geothermal uses the subsoil as a thermal reservoir, from which to extract heat during the winter season and to which cede heat during summer. The heat exchange with the subsoil takes place through vertical geothermal probes, consisting of a double Ushaped pipe in which the heat-carrying fluid circulates and undergoes a variation in temperature. Geothermal energy is an efficient and tested system for heating and cooling both private homes and larger public buildings, taking advantage of the always available earth heat.
56 OFFICINA*
Scambiare calore con il pianeta La geotermia mediante sonde geotermiche verticali
a nostra vita, la vita degli animali e delle piante si svolge nella parte inferiore della troposfera, spessa da 8 a 20 km in funzione della latitudine. Se confrontiamo le dimensioni della Terra, che ha un raggio di circa 6.370 km, con la parte inferiore della troposfera in cui c’è abbastanza ossigeno per poter respirare, circa 4 km, possiamo concludere che viviamo tutti dentro una sottile pellicola che avvolge il pianeta. Questa sottile pellicola è molto vulnerabile, e ogni contaminazione si distribuisce nel giro di poche settimane ovunque, a causa delle dinamiche atmosferiche complesse (venti, correnti a getto). Per tale motivo ogni attività svolta dall’uomo deve minimizzare l’impatto in termini di emissione verso la troposfera. Una possiblità per ottemperare a questo obiettivo è sfruttare fonti energetiche meno impattanti, come il calore presente negli strati superiori della crosta terrestre, attraverso la geotermia. Lo scambio geotermico è una tecnologia che permette di trasferire l’energia da e verso il sottosuolo, per climatizzare gli involucri edilizi in cui viviamo e lavoriamo, senza incidere negativamente sulla qualità dell’aria, utilizzando una macchina elettrica: la pompa di calore. Per prima cosa occorre fare un’importante precisazione: mentre la geotermia classica sfrutta il gradiente geotermico a profondità medio-elevate (1.000 metri e oltre), utilizzando i gas endogeni
naturali o provocati (vapore acqueo), la geotermia a bassa entalpia (e la tipologia impiantistica a “bassa entalpia”) valorizza il sottosuolo come serbatoio termico, dal quale estrarre calore durante la stagione invernale e al quale cederne durante la stagione estiva. Gli impianti geotermici a “bassa entalpia” sfruttano cioè la temperatura media del terreno che mantiene valori costanti lungo tutto il corso dell’anno, alle profondità di circa 100-150 m, e usano il sottosuolo come un accumulatore di energia. Spostare l’energia da un ambiente più caldo a un ambiente più freddo (riscaldare) costa meno di produrre energia da un combustibile, e non inquina l’aria. Allo stesso modo è più conveniente raffrescare gli ambienti nella stagione estiva sfruttando la bassa temperatura del terreno rispetto alla temperatura dell’aria. Infatti, per produrre 1 kWh termico, una pompa di calore geotermica consuma circa 0,22 kW elettrici, con un coefficiente di prestazione (COP) di circa 4,5, mentre con una pompa ariaacqua il consumo è circa 0,33 kW e il COP è notevolmente più basso, circa 3. Se a ciò si aggiunge che la temperatura del terreno a 100-150 m di profondità è costante mentre la temperatura e l’umidità dell’aria sono variabili, si comprende come lo scambio con il terreno sia di gran lunga più affidabile e quindi più efficiente. La geotermia si impone quindi tra i migliori metodi, per ecosostenibilità e convenienza, per la climatizzazione del
m p at ad er i c re alo no re
po
compressore 5,5 bar 0°C
sorgenti di calore ari
a
17 bar 36°C
pompa di ricircolo
qu
ter r
e
ac
35°C
a
no
circuito glicolico dell’acqua
-4°C
circuito di riscaldamento
32°C 27°C
+2°C temp. dell’acqua glicolica -1°C
evaporatore
condensatore 5,5 bar -4°C
17 bar 25°C
pompa di ricircolo
valvola di espansione
futuro, in particolar modo abbinata al fotovoltaico che permette di produrre in situ l’energia elettrica necessaria per il funzionamento dell’impianto. Incrementare l’uso della geotermia a bassa entalpia per la climatizzazione (invernale ed estiva) degli edifici significa quindi: ridurre l’importazione di idrocarburi, migliorare la qualità dell’aria riducendo le emissioni in atmosfera, diminuire la spesa sanitaria media, produrre posti di lavoro e più in generale migliorare lo standard di vita. Nonostante queste peculiarità, dal punto di vista normativo l’installazione di impianti geotermici in Italia nei nuovi edifici non beneficia di incentivi fiscali, mentre negli edifici esistenti la finanziaria 2018 ha prorogato l’Ecobonus a tutto l’anno, nella percentuale del 65% detraibile in 10 anni.
Dispositivi per la geotermia In un impianto geotermico, lo scambio di calore con il sottosuolo avviene attraverso le sonde geotermiche verticali, costituite tipicamente da una doppia tubazione a U in polietilene, del diametro di circa 32 mm, nella quale il “fluido termovettore” (acqua o acqua con glicole propilenico) viene fatto circolare e subisce una variazione di temperatura durante la discesa e la successiva risalita, positiva in inverno e negativa in estate. La differenza di temperatura tra mandata e ritorno si aggira sui 3-4 gradi d’inverno e sui 6-7 gradi d’estate, in funzione di vari fattori di impianto. La pompa di calore (che sfrutta il ciclo di Carnot basato su quattro trasformazioni reversibili, due adiabatiche e due isoterme) utilizza queste differenze di temperatura per produrre d’inverno acqua
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la geotermia si impone tra i migliori metodi, per ecosostenibilità e convenienza, per la climatizzazione del futuro
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lo scambio di calore con il sottosuolo avviene attraverso le sonde geotermiche verticali
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a 35°C e d’estate acqua a 15°C. Questa viene avviata agli scambiatori di calore degli ambienti abitati, che sono tipicamente impianti di riscaldamento/raffrescamento a pavimento che funzionano con basse temperature di esercizio. Le condizioni geologiche del sottosuolo, in particolare la sua conducibilità termica, influiscono sull’efficienza delle sonde geotermiche verticali, così come la presenza di umidità o di una falda idrica; condizioni sfavorevoli che possono inibire la capacità di scambio del sistema sono molto rare e comunque affrontabili con una adeguata progettazione. In sintesi, a parte specifici vincoli normativi, talora discutibili, un impianto geotermico con sonde verticali è sempre realizza-
bile e mantiene una buona efficienza nel tempo, purché adeguatamente dimensionato e correttamente eseguito. La durata nel tempo delle sonde e quindi dell’impianto supera i 50 anni se i parametri di funzionamento rispettano le prestazioni richieste per materiali impiegati, che possono essere meno performanti (ad esempio il polietilene PE100 e PE-RC)
03
04
la geotermia sfrutta una fonte rinnovabile, il calore terreste, sempre disponibile e dai bassi costi di esercizio e gestione 05
Tabella A. Conducibilità termica media di alcuni tipi di terreno.
Tipo di terreno
Conducibilità termica media λ (W/mK)
Ghiaia Secca
0,4
Ghiaia satura d’acqua
1,8
Morene
2,0
Sabbia secca
0,4
Sabbia satura d’acqua
2,4
Argilla/limo secco
0,5
Argilla/Limo saturo d’acqua
1,7
Torba
0,4
Bentonite
0,6
o più performanti (il polietilene reticolato Pe-XA). La “resa termica del terreno” che dipende essenzialmente dalla conducibilità termica dello stesso (tabella A), è abbastanza variabile e si può semplificare, in prima approssimazione, indicando una “capacità di scambio”, compresa tra 30 e 50 W/metro di sonda. Le sonde geotermiche vengono posizionate nel terreno a profondità di 100-150 m mediante apposite perforatrici dedicate, secondo metologie standardizzate, che comprendono la perforazione con tubazioni di rivestimento provvisorio del foro, per tutelare le falde acquifere attraversate, e la cementazione con betoncini la cui conducibilità termica è almeno
uguale a quella del terreno circostante lo scambiatore termico. Alla fase di realizzazione si antepone una fase di progetto che vede coinvolti da un lato un geologo, per valutare e definire le specificità del terreno su cui si sta realizzando l’impianto, e dall’altro il termotecnico che, stimando il fabbisogno termico dell’edificio, dimensiona in modo corretto sonde e sistemi accessori dell’impianto. In questo modo la geotermia si pone come un sistema efficiente e collaudato per riscaldare e raffrescare sia abitazioni private che edifici pubblici di maggiori dimensioni, sfruttando una fonte rinnovabile, il calore terreste, sempre disponibile e dai bassi costi di esercizio e gestione.▲
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Francesca Ragazzi e Francesca Pocaterra, Ufficio Cartografia del Servizio Suolo e Bonifiche dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (ARPAV). e-mail: francesca.ragazzi@arpa.veneto.it e-mail: francesca.pocaterra@arpa.veneto.it Federico Correale Santacroce, settore bioenergie e cambiamento climatico presso Agenzia Veneta per l’Innovazione Settore Primario. e-mail: federico.correale@venetoagricoltura.org
IMMAGINI Crediti: ARPA Veneto. 01 - Selettore di Berlese-Tullgren. 02 - La “selettura” raccolta per l’analisi al microscopio.
Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto Direzione TecnicaServizio Osservatorio Suolo e Bonifiche ssu@arpa.veneto.it www.arpa.veneto.it Agenzia Veneta per I’Innovazione nel Settore primario Viale dell’Università n. 14 35020, Legnaro (PD) info@venetoagricoltura.org www.venetoagricoltura.org
Soil is a dynamic and complex system that provides services for human activities and for the balance of ecosystems. Living organisms play a fundamental role in pedogenesis (the set of physical, chemical and biological processes that over time lead to the formation of a soil, starting from the mineral substrate). They decompose and transform the organic substance and are the leading actors of the cycles of carbon, nitrogen, phosphorus and sulfur. They also perform an important mechanical activity for the improvement of the soil’s structure and facilitate the formation of aggregates and gaps for soil aeration. Human activities were increasingly intensive and impacting on the territory. They have led to a global lost in biodiversity that is also found in the decrease of biological wealth of the soil and consequently a decline in its functionality. The presence of animal organisms that live in the soil is essential for the same functionality of the land. However, they are very sensitive to degradation phenomena, therefore it is very important to have instruments for measuring the current biological state of the soil to improve sustainability.
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Il suolo vivente Il monitoraggio dello stato biologico dei suoli
e si esclude una ristretta cerchia di specialisti e operatori professionali, in genere legati al mondo dell’agricoltura, delle foreste o delle scienze biologiche e naturali, la gran parte di coloro che lavorano sul territorio, dalla pianificazione urbanistica alla progettazione e all’esecuzione di opere, hanno un’idea del suolo legata alla sua entità fisica con specifici caratteri dipendenti dalla sua composizione minerale, dalla sua struttura e tessitura e dalla presenza di acqua. Tutti questi sono parametri importanti per definire le potenzialità e le più idonee destinazioni d’uso, nonché per la valutazione dei rischi legati alla sua qualità e stabilità. Il suolo è in realtà un’entità più complessa, un sistema dinamico che fornisce servizi per le attività umane e per l’equilibrio degli ecosistemi. Gli organismi viventi hanno un ruolo fondamentale nella pedogenesi (l’insieme di processi fisici, chimici e biologici che portano alla formazione di un suolo, nel corso del tempo, a partire dal substrato minerale): decompongono e trasformano la sostanza organica, sono i protagonisti dei cicli di carbonio, azoto, fosforo e zolfo attraverso il rilascio di questi elementi fondamentali per le piante e altri organismi e svolgono un’importante attività meccanica di miglioramento della struttura facilitando la formazione degli aggregati e creando i vuoti fondamentali per l’aerazione del terreno. Le attività umane, sempre più intensive e impattanti sul territorio, hanno portato
ad una globale diminuzione della biodiversità che si riscontra anche nella diminuzione di ricchezza biologica del suolo e al conseguente calo della sua funzionalità. Il complesso di organismi animali che vive nel suolo (definita come fauna edafica), la cui presenza è essenziale per la stessa funzionalità dei terreni, è molto sensibile ai fenomeni di degrado, pertanto è essenziale disporre di strumenti di misura dello stato biologico attuale dei suoli. I bioindicatori ad oggi proposti sono diversi e ciascuno utilizza specifici set tipologici di microfauna del suolo (unità tassonomiche o taxa, come ad esempio nematodi, collemboli, lombrichi, microartropodi). Attualmente trova particolare diffusione l’indice QBS-ar (Qualità Biologica del Suolo attraverso microartropodi) sviluppato dal 2001 dal Professor Vittorio Parisi e dai suoi collaboratori dell’Università di Parma. Il QBS-ar è impostato sull’analisi di tutti i gruppi di microartropodi presenti nel suolo (insetti, aracnidi, miriapodi, crostacei, ecc.) e si basa sul grado di adattamento anatomico degli organismi alla vita nel suolo. Quando l’ecosistema suolo non è disturbato da attività antropiche, sono maggiormente presenti i gruppi morfologicamente e funzionalmente adattati alle particolari condizioni di vita di questo ambiente: piccole dimensioni, depigmentazione, assenza di occhi e ali. Nel momento in cui il suolo subisce degli impatti, i gruppi più specificamente adattati tenderanno a scomparire e resteranno quelli meno adattati che non
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hanno difficoltà a sopravvivere anche in ambienti di superficie. Il metodo QBSar è vantaggioso in quanto utilizza informazioni funzionali (il grado di adattamento al suolo) prima che tassonomiche, e può essere facilmente utilizzato anche dai non specialisti poiché le categorie tassonomiche considerate sono a un alto livello della stessa classificazione (grandi gruppi o entità specifiche particolari). Come sopra introdotto, il grado di adattamento delle forme biologiche alla vita nel suolo varia in base alla presenza e alla combinazione di alcuni caratteri morfologici come miniaturizzazione, anoftalmia (assenza degli organi visivi), allungamento e appiattimento del corpo, accorciamento o irrobustimento delle appendici sensoriali e locomotorie.
Per quantificarlo si utilizza una scala di riferimento di punteggi chiamata EMI (Eco-Morphological Index): per ogni carattere che evidenzia l’adattamento al suolo si attribuisce un punteggio, da un minimo di 1 ad un massimo di 20, a seconda che la forma considerata sia pochissimo (forme epiedafiche) o decisamente (forme euedafiche) adattata al suolo; tutte le forme biologiche caratterizzate da condizioni intermedie (forme emiedafiche) presentano un punteggio pari al loro grado di specializzazione. L’Indice di Qualità Biologica del Suolo (QBS-ar) è il punteggio totale attribuito a un campione di terreno, dato dalla somma di tutti i valori dei singoli EMI. Per quanto riguarda le caratteristiche del suolo, la tessitura è il fattore che più in-
il suolo è un sistema dinamico che fornisce servizi per le attività umane e per l’equilibrio degli ecosistemi
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è essenziale disporre di strumenti di misura dello stato biologico attuale dei suoli per strutturare strategie di recupero della fertilità e funzionalità del suolo
Tabella A: Immagini dei microartropodi più comuni e loro indice EMI (Eco-Morphological Index). ACARI Ordine della classe degli aracnidi, 4 paia di zampe, cefalotorace e addome fusi tra loro.
ARANEIDI Sono i “ragni”, 4 paia di zampe, corpo composto da cefalotorace e addome.
EMI 20
EMI 1 o 5
COLLEMBOLI Sono insetti piccoli con la caratteristica di avere (non sempre) un organo di salto detto furca.
ISOPODI Sono crostacei terrestri, hanno un robusto esoscheletro e sette paia di zampe.
EMI da 1 a 20
EMI 10
LARVE DI COLEOTTERO Caratterizzate da tre paia di zampe e il caratteristico apparato masticatore.
COLEOTTERI Sono insetti con 4 paia di ali, le due superiori sclerificate e con un apparato boccale masticatore. EMI da 1 a 20
EMI 10
62 OFFICINA*
DIPLURI Sono piccoli insetti bianchi privi di occhi; hanno sei zampe e due cerci.
SINFILI Piccoli con antenne lunghe e 12 paia di zampe.
EMI 20
EMI 20
CHILOPODI Hanno lunghe antenne e le forcipule.
PSEUDOSCORPIONI 4 paia di zampe, addome privo dell’aculeo velenoso e due grosse chele.
EMI 10 o 20
EMI 20
DIPLOPODI Sono i millepiedi, hanno numerose zampe, due per segmento.
IMENOTTERI Gli imenotteri più comuni sono le formiche.
EMI 10 o 20
EMI 5
fluenza l’indice EMI: i suoli più sabbiosi hanno indici notevolmente più bassi rispetto a suoli limosi o argillosi. L’indice QBS-ar varia anche con le condizioni di umidità del suolo: è più elevato nelle condizioni di umidità ottimali, mentre in un terreno troppo secco o troppo bagnato i microartropodi migrano in profondità. È pertanto importante eseguire il campionamento nelle condizioni ottimali di temperatura e umidità per la permanenza nel suolo della microfauna, in primavera o autunno, per poter intercettare tutta la potenzialità biologica possibile in quello specifico ambiente. Più nel dettaglio, il metodo prevede la raccolta di zolle di terreno di circa 10 cm3. I campioni vengono poi posizionati nel cosiddetto “selettore di Berlese-Tullgren” (img.01) che consiste in un imbuto in cui viene posto un setaccio sotto il quale vi è un recipiente di raccolta. Al di sopra di esso è posizionata una moderata sorgente di calore che provoca lo spostamento progressivo della pedofauna attiva verso il basso per sfuggire all’essiccamento, fino a cadere nel recipiente. Gli animali così raccolti (la “selettura”) (img.02) possono essere conservati per l’analisi al microscopio. In agricoltura, con l’indice QBS-ar è possibile ad esempio valutare lo stato di salute biologico dei terreni agricoli, e pianificare le colture, in modo da conservare gli organismi presenti e con l’obiettivo di migliorare con il tempo la biodiversità
02
e, indirettamente, l’attività biologica che contribuisce ad aumentare la fertilità e la stabilità del suolo. Si è visto come i valori più bassi dell’indice QBS-ar si riscontrino infatti nei suoli sfruttati più intensivamente come quelli ripetutamente coltivati a seminativi come mais, soia, barbabietola; i valori più elevati sono invece riscontrabili in corrispondenza dei suoli meno disturbati, quindi nelle colture pluriennali inerbite come il vigneto o gli impianti di arboricoltura da legno e nei prati permanenti. Ciò evidenzia la possibilità di applicare strategie atte a recuperare fertilità e funzionalità del suolo, sia in ottica produttiva, sia di tutela della biodiversità e della ricchezza biologica del substrato. In agricoltura biologica indici come il QBS-ar possono essere utilizzati per valutare la bontà delle pratiche agronomiche utilizzate e la sanità complessiva dei terreni coltivati, oltre al loro livello di “stanchezza” dovuta al sovraccarico colturale. Anche in campi quali il recupero di terreni inquinati o i ripristini ambientali in cave e discariche, la valutazione della biodiversità nei suoli è uno strumento di monitoraggio potenzialmente di grande valore, e insieme ad altri parametri più legati all’analisi pedologica classica, può essere utilizzato per seguire nel tempo l’evoluzione del complesso fisico-biologico del suolo e valutare la effettiva riuscita nel tempo degli interventi effettuati.
In Veneto l’indice QBS-ar è stato impiegato da diversi anni dall’Agenzia Veneta per l’innovazione del settore primario (Veneto Agricoltura) e da ARPAV grazie alla collaborazione con l’Università di Parma. Il Servizio Osservatorio Suolo e Bonifiche di ARPAV ha iniziato nel 2009 il monitoraggio della qualità biologica del suolo per verificare lo stato dei suoli veneti nelle situazioni di uso e climatiche più rappresentative. Questo monitoraggio ha permesso di riconoscere le relazioni tra il suolo e i fattori ambientali e stabilire dei valori di riferimento da utilizzare per individuare eventuali situazioni di degrado o inquinamento. Dal 2012 ad oggi sono stati fissati in quattro diversi ambienti di pianura dei punti di monitoraggio che sono stati seguiti nel tempo, con la raccolta e l’analisi di oltre 450 campioni, in corrispondenza di suoli coltivati a mais, soia, frumento, colza, vigneto, frutteto, arboreti da legno, medica e prato, e in aree naturali. Dal 2018 verranno aggiunti ulteriori siti in ambiente montano e collinare. Veneto Agricoltura ha utilizzato l’indice, nel quadro di una serie complessa di monitoraggi all’interno del progetto Monitamb, finanziato con la misura 214i del Programma di Sviluppo Rurale con l’obbiettivo di confrontare le tecniche agronomiche usuali con quelle a maggior sostenibilità ambientale (agricoltura conservativa). È prevista un’ulteriore applicazione per valutare le
variazioni della biodiversità in suoli concimati con digestato di origine agricola risultante dalla produzione di biogas a scopo energetico.▲ BIBLIOGRAFIA - APAT, “Proposta di guida tecnica su metodi di analisi per il suolo e i siti contaminati. Utilizzo di indicatori biologici ed eco tossicologici”, RTI CTN_TES 1/2004. - ARPAV, “Monitoraggio della qualità biologica del suolo nel Veneto: primi risultati”, 2014. Consultabile su: https://goo.gl/XRp47q - ARPAV, “Monitoraggio della qualità biologica del suolo nel Veneto: 2012-2016”, 2017. Cunsultabile su: https://goo.gl/hBV3Pj - CE - Commissione delle Comunità europee, “Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 – e oltre. Sostenere i servizi ecosistemici per il benessere umano”, Comunicazione della Commissione, 2006a.COM (2006) 216 68. - Codurri M., Truzzi A. e Bertonazzi M. C., “Microartropodi del terreno: manuale da campo per il riconoscimento dei microartropodi del terreno come indicatori della qualità biologica del suolo (metodo QBS-ar)”, Calvatone, Consorzio del Parco Naturale dell’Oglio Sud, 2005. - Floccia F., Jacomini C. (a cura di) “Programma RE MO. Rete nazionale monitoraggio della biodiversità e del degrado dei suoli”, in: ISPRA, “Quaderni – Natura e biodiversità”, 2012, n. 4. - Gardi C., Montanarella L., Arrouays D., Bispo A., Lemanceau P., Jolivet C., Mulder C., Ranjard L., Rombke J., Rutgers M., Menta C., “Soil biodiversity monitoring in Europe: ongoing activities and challenges” in: European Journal of Soil Science, 2009, n. 60, pp.807-819. - Menta C., “Pedofauna come strumento di valutazione della qualità del suolo”, in: “Biologi Italiani”, Anno XXXVII, 2007, n. 8, pp. 50-55. - Menta C., “Guida alla conoscenza della biologia e dell’ecologia del suolo”, Bologna, Gruppo Perdisa Editore, 2008. - Parisi V., “La qualità biologica del suolo, un metodo basato sui microartropodi” in: “Acta Naturalia de L’Ateneo Parmense”, 2001, n. 37, pp. 97-106. - Parisi V., Menta C., Gardi C., Jacomini C. e Mozzanica E., “Microarthropod communities as a tool to assess soil quality and biodiversity: a new approach in Italy”, in: “Agriculture Ecosystems & Environment”, 2005, n. 105, pp. 323-333.
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VOGLIO FARE L’ARCHITETTO
Andrea Babolin è architetto, laureato presso l’Università Iuav di Venezia. e-mail: babolin.andrea@gmail.com
IMMAGINI Crediti: Andrea Babolin. 01 - Passerella di accesso al Castello; plastico, tecnica: cemento e trachite, scala 1:50. 02 - I Colli Euganei. 03 - Pianta livello terra di progetto. 04 - Sezione di progetto. 05 - La trachite dei Colli Euganei. 06 - I Colli Euganei; porzione del plastico, tecnica: cemento bianco e trachite, dimensione: 2 x 2 m.
This research consists in a project of recovery and reuse of the Catajo’s Castle in Battaglia Terme (PD). These architectural actions are thought in relationship with the main material of the territory and the Catajo’s construction: trachyte, one of the typical rocks of the Colli Euganei, where the Castle is located. Trachyte is used in the architectural project for the reconstruction of some parts of the building that are now collapsed. An important part of the project has been dedicated to the study of this natural material linked with the site, as long as its process of mining and quarrying, its different uses during the course history. Finally, collecting some unused discarts of this rock from some quarries still opened near the Catajo’s Castle, I made different models of the architectural project. The trachyte was combined with the white and grey concrete and after many tries the correct mixture allowed me to show and explain the way I imagined the new buildings.
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Ri-formare la trachite Il castello del Catajo e i Colli Euganei
esperienza di ricerca ed esplorazione delle possibilità di riutilizzo di un edificio storico, com’è il Castello del Catajo, nasce da un interesse personale legato alla vicinanza fisica con questo luogo che ha visto nel corso del tempo alcuni cambiamenti ma che, di fatto, continua a perdere il dinamismo che l’aveva contraddistinto in tempi più lontani. È possibile, dunque, rendere nuovamente attivo questo luogo, oggi parte del patrimonio storico artistico del territorio, senza trascurarlo fino alla sua decadenza ma anche senza renderlo un monumento, congelato, fuori dal nostro tempo? Il progetto architettonico, in questo caso, rappresenta la necessità di intervenire e conservare una preesistenza storica ma anche di salvaguardare e rispettare un’identità presente e forte che caratterizza questo luogo. Il Castello del Catajo A pochi chilometri da Padova si estende il Parco Regionale dei Colli Euganei, un patrimonio ambientale e culturale dalle profonde radici storiche. Il territorio, di origine vulcanica, gode di un clima privilegiato e del complesso termale più grande e più antico d’Europa. A Est, ai piedi dei Colli si trova il complesso del Catajo che si è sviluppato a partire dal primo nucleo de La casa di Beatrice del 1550; da questa costruzione, con il passare dei secoli, si sono realizzati altri edifici imponenti fino a creare un
complesso di oltre 350 stanze, unico nel suo genere. Tuttavia, lo stato di conservazione del castello, oggi, è piuttosto precario a causa dell’abbandono degli ultimi secoli. Il progetto Le operazioni ipotizzate dal progetto sono: il ridisegno degli spazi di accesso e l’inserimento di nuove funzioni, tra cui i padiglioni del benessere e i nuovi alloggi, come catalizzatori economici di questo luogo. Oltre a queste operazioni, è previsto il restauro del Castelnuovo e del Castelvecchio per l’apertura di nuove sale, l’esposizione di nuove collezioni d’arte e il ripristino di quelle passate grazie alle nuove tecnologie che si potranno sviluppare nei nuovi spazi laboratoriali del complesso. Tutti gli interventi sono volti a riportare questo luogo a una nuova vita. Il primo intervento necessario a ricreare quell’ordine perduto è la riorganizzazione dell’accesso. Oggi il visitatore o il turista arriva in auto, in bicicletta o a piedi e non più a cavallo come un tempo: avere uno spazio dedicato alla sosta è, dunque, la prima necessità. La sosta ai piedi del Catajo prevede una strada d’ingresso lungo il Canale di Scolo di Rialto. Essa collega il parcheggio, che sfrutta la depressione del terreno di quella zona e consente di ottenere uno spazio coperto di sosta per i mezzi di trasporto, con il Castello; l’ingresso è costituito anche da una rampa di collegamento tra il punto di sosta che si
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trova a un livello inferiore rispetto alla zona interna del Castello. La passerella è l’elemento ordinatore di questo nuovo sistema, che permette di riappropriarsi della vista principale del Castello, quella dal canale di Battaglia. Lunga 70 metri, la passerella poggia su pochi punti e attraversa il canale di Scolo di Rialto, raccorda lo spazio della zona di sosta esterna al Castello con il giardino di Beatrice, facendo avvicinare il visitatore progressivamente a questo pre-
è possibile rendere nuovamente attivo questo luogo, oggi parte del patrimonio storico artistico del territorio, senza renderlo un monumento, congelato, fuori dal nostro tempo?
zioso giardino del 1500. La passerella è stata concepita come un’unica trave in calcestruzzo armato con degli inerti di trachite riciclata che instaurano un dialogo a distanza con i grandi massi di trachite utilizzati per la costruzione del Catajo. La zona ovest del Catajo si presenta invece in uno stato di conservazione piuttosto precario. L’ala sud e l’ala ovest del complesso nel corso del 1900 sono state completamente sventrate per fare spazio a delle strutture per l’essicazione del tabacco; l’ala centrale oggi è interamente crollata e gli edifici a nord, che servivano come deposito delle attrezzature agricole, hanno subito gravi lesioni. Il nuovo intervento propone l’introduzione di funzioni ricettive legate alle tradizioni culinarie del territorio dei Colli Euganei e alle famose sorgenti di acqua termale tipiche della zona di Abano Terme e Montegrotto Terme. La strategia generale non prevede di introdurre nuovi volumi, ma di lavorare sull’esistente andando a consolidare le murature e risanandole attraverso il nuovo intervento.
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nel 1966 le cave censite nei Colli Euganei erano così suddivise: 55 in attività e 131 inattive o abbandonate. Oggi la situazione conta solo 10 cave attive
La trachite Uno degli obiettivi del progetto è l’utilizzo di materiali provenienti dal luogo. Dopo una prima analisi è emerso che nei Colli Euganei sono presenti numerose cave di trachite, spesso dismesse, dove si trovano numerosi scarti delle lavorazioni effettuate in anni precedenti. Questo materiale si presenta in polvere o in graniglia di piccolo diametro e si trova ai piedi della cava o in prossimità delle macchine che tagliano i grandi blocchi di trachite. La trachite non è un materiale comune; la sua esistenza si lega indissolubilmente al luogo. Questa pietra dall’aspetto poco appariscente, da sempre impiegato per usi poveri, è in realtà una rarità geologica che deve probabilmente la sua scarsa fama e valore commerciale unicamente alla locale facilità di reperimento, estrazione e
lavorazione. Le tipiche trachiti euganee sono quelle che provengono dalle cave di Montemerlo e Zovon. Nelle cave la trachite si presenta in prismi colonnari verticali più o meno ben definiti, interessati da vari sistemi di fratturazione trasversali a spaziatura tale comunque da consentire la presenza di blocchi unitari di vari metri cubi. Queste fessurazioni facilitano l’estrazione che avviene con l’utilizzo di cariche esplosive inserite nella roccia. Una volta estratta, inizia il vero e proprio processo di lavorazione del materiale, che fino ai primi anni del ‘900 era eseguito completamente a mano. Nel 1966 le cave censite nei Colli Euganei erano così suddivise: 55 in attività e 131 inattive o abbandonate. Oggi la situazione conta solo 10 cave attive.
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BIBLIOGRAFIA - Betussi G., “Il ragionamento sopra il Cathaio”, 1573. - Callegari A., “Guida dei Colli Euganei”, 1963. - Corradini E., “Gli Estensi e il Catajo, aspetti del collezionismo tra sette e ottocento”, Motta, 2007. - Fantelli P.L., “L’immagine del Veneto, il territorio nella cartografia di ieri e di oggi”, 1995. - Merlin T., Selmin F.,“Terme d’Abano”, Adolfo Francisci Editore, 1993. - Sandon G., “Colli Euganei, proposte per il parco”, La Galiverna, 1993. - Selmin F., “I Colli Euganei”, Cierre, 2005. - Rallo G., Cunico M., Azzi Visentini M., “Paesaggi di villa, architettura e giardini nel Veneto”, Marsilio, 2015. - Zanetti P.G., “La Riviera Euganea, acque e territorio del canale Battaglia”, Editoriale Programma, 1989.
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Un materiale di progetto Il continuo approvvigionamento di materiale si contrappone alla tutela paesaggistica e ambientale dei Colli Euganei; per questo motivo è necessario trovare un punto di equilibrio tra necessità di approvvigionamento e tutela ambientale. Esso può essere trovato sulla base di due azioni direttamente collegate: da una parte attraverso il risparmio, cioè l’ottimizzazione del materiale, e dall’altra la sua corretta manutenzione. Alla luce di queste considerazioni, si è deciso di sperimentare nel progetto un nuovo materiale utilizzando lo scarto di lavorazioni precedenti. Sono stati recuperati in loco alcuni secchi di materiale di scarto delle lavorazioni, sono stati setacciati e divisi per colore e granulometria. Sono state così realizzate una cinquantina di lastre utilizzando gesso, cemento bianco e grigio come legante e trachite come inerte. Trovata la miscela giusta, si è deciso di realizzare una prova di dimensione considerevole: il plastico dei Colli Euganei, due metri per due. Il plastico è stato realizzato in moduli di dimensione 40 x 40 cm. Ognuno di questi è caratterizzato da zone in rilievo e zone piane, trattate diversamente; le
prime contengono un numero limitato di inerti di trachite, invece le seconde ne hanno una percentuale più alta: circa il 50%. Dopo 24 ore dal getto, ogni modulo è stato lavato con un getto di acqua ad alta pressione; in tal modo la zona pianeggiante è rimasta liscia grazie alla maggiore quantità di cemento, mentre la zona in rilievo ha visto emergere molto di più gli inerti di trachite. Infine, è stato applicato un protettivo sull’intera superficie. Questa sperimentazione ha consentito di definire il materiale fisico del progetto, in grado di rapportarsi con l’esistente in maniera sostenibile, di ricostruire la struttura principale e di ridare vita agli spazi oggi crollati del Castello del Catajo. Con questo lavoro di tesi ho cercato di porre l’attenzione sul tema del riuso e della conservazione del complesso del Catajo, indicandone una possibile strada per valorizzare l’edificio, la valle e tutto il territorio circostante partendo dalle risorse che i Colli Euganei possono offrire.▲
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Elisa Brusegan è architetto PhD (Dottorato in Composizione Architettonica) presso l’Università Iuav di Venezia. e-mail: ebrusegan@iuav.it Massimo Triches è architetto PhD (Dottorato in Composizione Architettonica) presso l’Università Iuav di Venezia. e-mail: massimo.triches@gmail.com
IMMAGINI 01 - Stazione dei Vigili del Fuoco di Newbern, 2004. Crediti: Rural Studio, Timothy Hursley. 02 - Mason’s Bend Basketball Court, 2000. Crediti: Rural Studio. 03, 04 - Installazione “The Theater of the useFULL” alla Biennale di Architettura di Venezia del 2016. Crediti: Rural Studio. 05 - Lavori a Sant’Erasmo durante il workshop “Evoking Landscape”, autunno 2016. Iniziativa a cura di Iuav Alumni con Iuav e Azienda La Maravegia. Crediti: Anna Ghiraldini.
Agriculture is among the most exposed activities to climate change. The survival of biotic elements and therefore of human beings depends on their ability to adapt to external conditions and the availability of the necessary resources. This article deals with the issue of rural landscape survival through the analysis of the Rural Studio’s work and the transformations introduced to Hale County. A parallel with the experience of a self-construction workshop in Sant’Erasmo Island in Venice is developed, in which agricultural practices directed to the preservation of the vitality of the land are accompanied by anthropic interventions aimed at the care of the territory and the community. In these terms, the resilience and identity of agricultural landscape is defined: this does not deviate from human presence and introduces relationships between the local and the global scale.
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Trying to survive Sopravvivere rispettando la Terra
ono passati quasi quarant’anni da quando Yona Friedman pubblica la prima edizione del libro L’Architecture de survie, nel quale traccia le caratteristiche fondative di una nuova filosofia architettonica: l’architettura di sopravvivenza. Architettura che facilita la produzione di cibo e l’approvvigionamento idrico, garantisce la protezione climatica e la salvaguardia di beni privati e collettivi, favorisce l’organizzazione dei rapporti sociali e la soddisfazione estetica di ogni individuo (Friedman, 2009, p.79). L’autore pone al centro della sua ricerca l’habitat umano definito come l’insieme delle funzioni ambientali che sono direttamente o indirettamente necessarie alla sopravvivenza di una particolare specie animale: l’essere umano. L’uomo organizza il suo habitat con diversi mezzi e discipline, tra cui l’architettura. Egli opera per migliorare l’ecosistema in cui vive, al fine di renderlo più facilmente abitabile. Tuttavia, così facendo, spesso ne accelera il processo di declino, specialmente quando le sue attività sono governate da strategie di profitto economico immediato. Come logica conseguenza di un’etica del denaro, nell’ultimo secolo l’uomo si è progressivamente allontanato dalla terra, il cui valore di scambio nel tempo si è ridotto. Si sono moltiplicati i paesaggi inabitati, in cui la terra in abbandono ha perso anche il suo valore d’uso, oppure le attività agricole rimaste sono industriali e appannaggio della macchina.
Negli Stati Uniti degli anni Trenta, ad esempio, lunghi periodi di pratiche agricole aggressive, arature profonde e la monocoltura seccarono il suolo a tal punto da causare il dust bowl: la terra era talmente arida da essere trascinata dal vento dando origine a devastanti tempeste di sabbia che mettevano in fuga gli abitanti. Se il disastro naturale rappresenta la condizione limite in cui il rapporto dell’uomo con la terra è totalmente infranto, è più diffusa una situazione di sonnolente abbandono. Essa affligge maggiormente i territori più lontani dai centri principali, territori che per le loro caratteristiche morfologiche e dimensionali richiedono un maggiore sforzo da parte dell’uomo di prendersi cura di loro. Sono i luoghi di margine, come i paesi di montagna, le isole, le pianure sconfinate. Un tempo occupata dalle grandi piantagioni di cotone Hale County, in Alabama, è oggi una delle zone rurali più povere degli Stati Uniti, in cui le uniche attività economiche sono l’agricoltura, l’allevamento di pesce e bestiame e una debole industria forestale. Si tratta di un territorio che ha attraversato un periodo di forte declino, una sorta di ibernazione culturale che ha escluso alla comunità ogni opportunità di sviluppo industriale ed economico, isolando i suoi abitanti quasi completamente dal resto del mondo. Questa regione si sviluppa su una superficie analoga a quella della Pianura Padana ed è un luogo poco antropizzato, abitato da una popolazione pari a quella del Lido di Venezia, prevalentemente nera e dalle limitate possibilità economiche, culturali e sociali.
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I centri abitati sono insediamenti sparsi di dimensioni minime, non più di cinquecento o seicento abitanti ciascuno, articolati da baracche e case prefabbricate trasportabili che occupano il territorio collinare e boscoso senza logica alcuna. Fattorie abbandonate e roulotte arrugginite completano la scena, mentre le strutture e gli spazi collettivi pubblici sono del tutto assenti. Come l’essere umano riesce a sopravvivere in questi luoghi umanamente isteriliti? E più in generale, come può egli abitare un ecosistema senza distruggerlo? La risposta di Friedman è semplice: limitando gli interventi al suo interno e individuando quelli che con modifiche di minima entità attivano i benefici maggiori. Non si tratta di un’apologia dell’indolenza umana, né dell’elogio di un facile guadagno economico. Il sistema di valori
cui guarda Friedman è un altro. L’uomo, lungimirante e consapevole che la sua assenza prolungata o la delega delle sue responsabilità alla tecnologia depaupera la terra, impara ad abitare in altro modo. Impara ad instaurare nuove dinamiche sociali, che a loro volta determinano gli interventi sul territorio. La sopravvivenza del paesaggio rurale è quindi un obiettivo che nasce da un cambiamento culturale (Friedman, 2009, pp. 82-85). A Hale County, in questo territorio biologicamente, economicamente, socialmente e culturalmente depresso, a partire dal 1993 opera Rural Studio, uno studio di progettazione e costruzione architettonica del College of Architecture della Auburn University. Rural Studio segue, direttamente o indirettamente, alcuni tratti della architettura di sopravvivenza.
la sopravvivenza dell’uomo è fortemente connessa alla salute della propria terra
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l’uomo, lungimirante e consapevole che la sua assenza prolungata o la delegazione delle sue responsabilità alla tecnologia depaupera la terra, impara ad abitare in altro modo
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A Hale County Rural Studio, inizialmente guidato da Samuel Mockbee e successivamente da Andrew Freear, insedia nuove dinamiche di organizzazione sociale che coinvolgono architetti professionisti, studenti e la comunità locale. Il programma d’insegnamento normalmente prevede un primo anno di progettazione e un secondo anno di costruzione durante il quale gli studenti abitano e vivono i luoghi che andranno a trasformare, entrando in stretto contatto con i clienti e la comunità locale, fino a diventarne dei membri integranti a tutti gli effetti. Lavorano nel sito per definire le soluzioni tecniche, trovarne i finanziamenti, progettarle e costruirle. Questo approccio permette di ottenere progetti fortemente accolti dalla comunità locale e radicati, fisicamente e socialmente, al luogo. Tra le opere realizzate vi sono case private, luoghi d’incontro, spazi aperti per il gioco, edifici comunitari quali la biblioteca e la sede dei vigili del fuoco di Newbern. Se nei primi anni di attività la ricerca si concentrava molto sul riutilizzo di materiali di scarto, quali targhe e parabrezza di automobili, campionari di moquette, ma anche balle di fieno e cubi di cartone pressato, con il tempo il focus si è spostato su altri temi, come l’ottimizzazione delle risorse in commercio, la riduzione degli sfridi, le prestazioni ambientali e la semplice manutenzione delle opere. Si tratta di interventi pensati secondo le possibilità della tecnica, ma soprattutto secondo le pratiche e l’organizzazione sociale dei gruppi. Obbediscono infatti in prima istanza alle leggi
della comunicazione tra umani, e solo in seguito a quelle della natura. “L’autoconservazione della natura o il suo degrado non sono altro che la risposta dell’ecosistema alle nostre azioni, le quali seguono le leggi dell’organizzazione sociale” spiega Friedman (Friedman, 2009, p.87). Il dialogo tra l’uomo e la natura, e quindi tra l’uomo e la terra, inizia proprio dall’uomo e dal tipo di organizzazione sociale che egli persegue. Hale County esemplifica dunque la capacità dell’architettura di acquisire senso e appropriatezza nella relazione con il luogo e la comunità locale. Inoltre l’impegno sociale di Rural Studio ha un valore educativo che non si limita alla formazione degli studenti ma coinvolge tutte le persone interessate dal processo di costruzione partecipata. Offre alle comunità disagiate un’occasione di sviluppo culturale, sociale ed economico. Fino ad oggi, con oltre 170 interventi realizzati, ha dato un’istruzione a più di 800 Citizen Architects. Nelle parole di Glenn Murcutt: “Rural Studio ha etica ed impegno nel lavorare in e per una umile comunità e nel perseguire un’architettura che non sia merce ma valore”. Ammettere la centralità della comunicazione tra individui, le logiche informali e il riuso implica un maggior grado di condivisione nella realizzazione degli interventi di architettura. Nel 2016 Rural Studio partecipa alla 15º Biennale di Venezia Reporting from the front. La sua installazione è intitolata The Theater of the useFULL ed è uno spazio delimitato da reti a molla ancora
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confezionate appese al soffitto. Al suo interno il visitatore assiste a proiezioni video seduto su panche fatte da assi di truciolare imballate. Tutti i materiali sono stati scelti per la loro utilità per due associazioni veneziane che operano nel sociale, Assemblea Sociale per la Casa e Cooperativa Caracol. Al termine della mostra essi sono stati destinati a un centro di accoglienza per senza dimora e al rinnovamento di un appartamento di edilizia sociale abbandonato, situati nell’area metropolitana di Venezia. Le pratiche dell’architettura della sopravvivenza non sono estranee agli abitanti della laguna. Nei territori al suo margine nascono progetti di architettura le cui strategie prendono avvio dalla prossimità fisica e dalla condivisione umana tra progettisti e utilizzatori. A Sant’Erasmo una piccola azienda agri-
cola ha deciso di resistere nei luoghi lontani dai centri urbani, prendendosi cura di un piccolo terreno che collega due sponde opposte dell’isola. Insieme alla comunità, nell’autunno del 2016 ha ospitato per una settimana e messo a disposizione risorse, materiali di scarto e attrezzature a un gruppo di studenti e giovani architetti. Da tale sinergia, la sede dell’azienda agricola è stata trasformata in un parco rurale, valorizzando la sua produttività e l’integrazione nella comunità. In un arco di tempo limitato sono state realizzate piccole “architetture della sopravvivenza” che rispondono a esigenze produttive e definiscono il grado di socialità dei luoghi, istituendo un rapporto con la laguna. La circolazione delle conoscenze, la condivisione e il senso di responsabilità verso il territorio promossi dall’esperienza hanno
indotto un impulso alla rigenerazione del paesaggio preservandone l’identità e la vocazione. A una scala minore si sono sviluppate dinamiche simili a quanto avviene da vent’anni a Hale County, a ricordarci che ogni alterazione antropica aderente ai principi di sopravvivenza mira alla cura del proprio ecosistema e territorio. La sopravvivenza dell’uomo è fortemente connessa alla salute della propria terra.▲
BIBLIOGRAFIA - Friedman Y., “L’architettura della sopravvivenza. Una filosofia della povertà”, Bollati Boringhieri, Torino, 2009. - Oppenheimer A., Hursley D., Hursley T., “Rural Studio: Samuel Mockbee and an architecture of decency”, Princeton Architectural Press, 2002. - Freear A., Barthel E., Oppenheimer A., Hursley D., Hursley T., “Rural Studio at twenty”, Princeton Architectural Press, 2014.
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IMMERSIONE
Niccolò Iandelli è geologo libero professionista iscritto all’Ordine dei Geologi del Veneto. e-mail: niccogeo@gmail.com Andrea Mazzuccato è geologo libero professionista iscritto all’Ordine dei Geologi del Veneto. e-mail: andrea.mazzuccato@libero.it
IMMAGINI 01 - Un esempio di pista da sci nei comprensori analizzati, con manto nevoso completamente artificiale. Fonte: elaborazione autore da immagini web. 02 - Nei grafici sono riportate le differenze tra le temperature minime e massime misurate in dicembre 2016 (A) e in gennaio 2017 (B), le medie di dicembre e gennaio del periodo 1994-2015, i quantitativi totali di precipitazione (in mm) di dicembre 2016 (C) e gennaio 2017 (D) e le differenze rispetto alla media delle precipitazioni (in mm) di dicembre e gennaio del periodo 1994-2015. Crediti: Bollettini Agrometeo ARPA Veneto. Le elaborazioni presenti in questa pubblicazione sono disponibili anche alla seguente pagina web www.ambientegis.com/web/inverno_antropico/
The first part of winter 2016/2017 was characterized by minimum and maximum temperatures generally above average (in particular the maximum mean values even 4 ° C higher than the averages of the 1994-2015 period). This condition did not allow normal water recharge, causing a long period of drought, with the months of December and January that marked precipitation levels equal to zero. The long droughty period started early in the winter then affected the whole Italian territory until late summer, causing considerable damage to the tourism sector of winter sports in the Dolomites Area. This condition is unequivocally linked to a major climate change, which also has direct economic and short-term repercussions. In the present article, through the use of remote sensing images and techniques we will observe the response to climate change in the tourism sector of winter sports in the Dolomites Area; this however poses many questions, especially with regard to the amount of economic resources employed.
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Inverno antropico
Risposta ai cambiamenti climatici del settore degli sport invernali, esempi dell’area dolomitica
inverno 2016-2017 ha visto sostanzialmente la penisola divisa in due: al nord protagonista l’alta pressione e le basse temperature, al centro-sud abbondanti precipitazioni, nevose anche sulla costa. In particolare il settore dolomitico, ma tutto il nord-est in generale, ha vissuto la prima parte dell’inverno 2016/2017 con clima caratterizzato da temperature minime e massime generalmente sopra la media (in particolare le medie massime con valori anche di 4°C superiori alle medie del periodo 1994-2015) ma soprattutto con una forte carenza di precipitazioni nevose. Tale condizione ha messo a rischio il normale ricarico idrico, causando un lungo periodo di siccità, con buona parte della regione a precipitazione zero nei mesi di dicembre e gennaio. Le prime precipitazioni nevose sono avvenute nella seconda metà di gennaio e hanno interessato solo alcune aree con quantitativi comunque scarsi, sotto i 40 mm. Il settore turistico, in particolare quello degli sport invernali ha vissuto con preoccupazione l’assenza di precipitazioni nevose, soprattutto nella prima parte della stagione, assenza a cui ha risposto con un massiccio impiego di “soluzioni antropiche”: facendo cioè ricorso, in forze, agli ormai immancabili e indispensabili sistemi di innevamento artificiale. Tale situazione è stata “fotografata” dal satellite Sentinel 2A, il primo satellite della seconda famiglia di satelliti del progetto Copernicus di ESA, e dal Landsat8 OLI di NASA.
In particolare, attraverso l’uso combinato di software geografici OpenSource e l’impiego di OpenData, è stato possibile ricostruire l’evoluzione della copertura “nevosa artificiale” permettendo una mappatura di un’attività antropica che ha come scopo quello di modificare, seppur temporaneamente, l’uso del suolo, o meglio la copertura del suolo ricreando una situazione naturale. Tale attività “crea” le piste da sci (img.01), principale obiettivo turistico/ricreativo di molte località dolomitiche, ma anche unica fonte economica di sostentamento per alcuni comprensori della stessa area. Secondo l’A NEF1, nel sistema economico nazionale la stima del “valore” del settore è di circa 900 milioni di euro. I comprensori sciistici presenti su tutto il territorio nazionale hanno avuto negli anni fortune alterne legate all’orografia locale e agli ingenti finanziamenti. Uno dei criteri base su cui vengono stilate le classifiche delle località sciistiche su scala globale è la snow reliability, ovvero l’affidabilità della presenza di un manto nevoso adeguato alla pratica dello sci, soprattutto alpino. L’OCSE definisce affidabili, reliable, quelle località in grado di garantire neve naturale per stagioni lunghe almeno 100 giorni ma, a causa dei fattori climatici precedentemente descritti, molte delle stazioni sciistiche sull’arco alpino (senza considerare quelle appenniniche) potrebbero non soddisfare questo parametro. Già oggi sotto i 1.000 metri di quota, in media, scende più pioggia che neve. Il limite altimetrico che permette alle stazioni di lavorare in
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modo adeguato, secondo la CIPRA , è posto a 1.800 metri sul livello del mare; l’alternativa, secondo stime di Federfuni3 , è il ricorso massivo all’innevamento artificiale il cui costo pesa per il 35-40% sui bilanci delle società che gestiscono gli impianti di risalita. Non esistono statistiche e dati certi sui costi sostenuti per l’innevamento “programmato”: sappiamo, però, che realizzare 30 centimetri di neve artificiale costa circa 60.000 euro per ettaro, secondo stime della CIPRA. L’analisi realizzata in questo articolo è rappresentativa 2
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dell’area dolomitica e riguarda uno dei più grandi comprensori sciistici del nord-est, a cavallo tra le regioni del Veneto e del Trentino Alto Adige. Si riporta, a titolo di esempio, l’analisi di dettaglio di due aree: l’area del Passo San Pellegrino e l’area Lagazuoi-Cinque Torri. Per le due zone è stata ricostruita l’evoluzione della copertura nevosa e, inoltre, vengono stimati gli investimenti, in termini di energia e acqua, necessari per produrre le superfici innevate artificialmente. Per effettuare questo calcolo si fa riferimento a
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una larghezza forfettaria della pista da sci (10 m) e ai dati sui consumi di acqua ed elettricità riportati nel rapporto a cura della CIPRA (CIPRA, 2004) e nel rapporto della Solstice in winter tourism del febbraio 2017. Attraverso l’analisi delle immagini si evidenzia come, la neve naturale, caduta a novembre, si sia mantenuta solo a quote superiori ai 2.100 m s.l.m. circa sui versanti esposti a nord, e a quote più elevate (2.200 m s.l.m. ca.) su quelli esposti a sud. Di seguito vengono riportate le schede di dettaglio per ogni zona.
già oggi sotto i 1.000 metri di quota, in media, scende più pioggia che neve
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Area Lagazuoi-Cinque Torri: dati elaborati dalla ricerca sui consumi di acqua ed energia per l’innevemaneto artificiale.
LAGAZUOI-CINQUE TORRI Periodo di riferimento Ettari piste innevate artificialmente
5/12/2016
15/12/2016
20,18
22,65
Aumento di superficie innevata nel periodo (Ha) Ettari piste innevate naturalmente
2,46 27,98
Ettari totali piste nell’ area (Ha) % di piste innevate (naturale+artificiale) sul totale piste
27,98 81,97
59%
72%
Stima delle risorse impiegate nel periodo di analisi (5-15 Dicembre 2016) * Acqua (m3)
9.868
Energia Elettrica (kWh)
61.676
Media giornaliera delle risorse impiegate (10gg) * Acqua (m3) Energia Elettrica (kWh)
987 6.168
*Stime realizzate impiegando per ogni ettaro un consumo di 4.000 m3 di H2O e 25.000 KWh di corrente elettrica, secondo quanto riportato nel rapporto CIPRA.
Zona Lagazuoi-Cinque Torri L’area abbraccia due diversi comprensori, il sistema Lagazuoi-5 Torri e l’area di Cortina (a NE). A ottobre la neve è presente solo alle quote più elevate, qualche piccola “macchia” è presente lungo i tracciati delle piste della zona Cinque Torri, probabilmente riconducibili a test di funzionamento dell’impianto di innevamento. La nevicata di novembre copre buona parte delle zone a quote superiori ai 1.800/2.000 m s.l.m., mentre la conca di Cortina rimane “asciutta”. A dicembre si nota la presenza del campo scuola a Cortina Socrepes (in alto a destra nell’immagine a p.75), e il completamento (dal 5 al 15 dicembre) della pista che dall’Averau scende verso la località Fedare, a sud del Passo Giau. Risulta ancora non completo il collegamento di rientro dal Col Gallina a Bai de Dones. Zona Lusia-San Pellegrino La zona Lusia-San Pellegrino comprende (nella porzione sud dell’area rappresentata nelle immagini a pag.76) anche una piccola parte del comprensorio del Passo Rolle. L’immagine di riferimento risulta a ottobre completamente “pulita” e solo le nevicate di novembre riescono a coprire
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le quote più elevate arrivando a lambire il Passo San Pellegrino posto a quota di 1.900 m. A dicembre risulta particolarmente evidente la “costruzione” delle piste del Lusia (nella porzione est nell’immagine) e il “mantenimento” delle piste sul versante esposto a sud del Passo San Pellegrino (aree di Cima Uomo e Costabella). Da notare il lavoro per completare la pista di rientro a Falcade e la presenza delle due aree dedicate allo sci di fondo: a Falcade e a est del San Pellegrino, in località Alochet.
il turismo invernale impiega enormi quantità di risorse per realizzare una copertura nevosa non naturale tale da garantire il suo sostentamento
La ricostruzione effettuata per le due aree di esempio ha come principale obiettivo mettere in evidenza l’ingente impiego di risorse, naturali ed economiche, necessarie per realizzare una copertura nevosa non naturale tale da garantire il sostentamento dell’economia del turismo invernale. Secondariamente il presente lavoro dimostra come sia possibile realizzare uno strumento di monitoraggio che utilizza dati liberamente accessibili in rete e software a sorgente libera per analizzare l’evoluzione nel tempo della pratica dell’innevamento artificiale, senza voler entrare nel merito della sostenibilità. Secondo l’analisi quantitativa realizzata, e considerando quanto riportato nel rapporto della CIPRA 2017 (che stima in 60.000 euro il costo per ettaro di 30 cm di copertura nevosa artificiale), le due zone hanno impiegato, al 15 dicembre 2016, risorse economiche pari a circa 3,6 milioni di euro. Dato che le due aree esaminate appartengono, in parte, alla Regione del Veneto, l’ordine di grandezza della cifra calcolata è compatibile con quanto dichiarato a fine dicembre 2016, in un’intervista al Corriere delle Alpi, da Renzo Minella, presidente di ANEF Veneto. Egli ha infatti dichiarato che in “Regione i gestori avevano speso ben
AREA LAGAZUOI - CINQUE TORRI
al 30.10.2016
al 15.11.2016
al 5.12.2016
al 15.12.2016
dettaglio al 5.12.2016
dettaglio al 15.12.2016
Area Lagazuoi-Cinque Torri: in azzurro la superficie coperta da neve naturale, in arancio il tracciato delle piste da sci. In rosso i tracciati con neve artificiale al 5 e al 15 dicembre.
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LUSIA - SAN PELLEGRINO
al 30.10.2016
al 15.11.2016
al 5.12.2016
al 15.12.2016
dettaglio al 5.12.2016
dettaglio al 15.12.2016
Area Lusia-Passo San Pellegrino: in azzurro l’area coperta da neve naturale, in arancio il tracciato delle piste da sci. In rosso i tracciati con neve artificiale al 5 e al 15 dicembre.
76 OFFICINA*
Area Lusia-Passo San Pellegrino: dati elaborati dalla ricerca sui consumi di acqua ed energia per l’innevemaneto artificiale.
LUSIA-SAN PELLEGRINO Periodo di riferimento Ettari piste innevate artificialmente
5/12/2016
15/12/2016
39,13
42,81
Aumento di superficie innevata nel periodo (Ha) Ettari piste innevate naturalmente
3,68 14,22
Ettari totali piste nell’ area (Ha)
occorre in generale andare verso la sostenibilità, nell’ambiente che viviamo e nel nostro stile di vita
% di piste innevate (naturale+artificiale) sul totale piste
14,22 91,10
59%
63%
Stima delle risorse impiegate nel periodo di analisi (5-15 Dicembre 2016) * Acqua (m3)
14.750
Energia Elettrica (kWh)
92.187
Media giornaliera delle risorse impiegate (10gg) * Acqua (m3)
1.475
Energia Elettrica (kWh)
9.219
*Stime realizzate impiegando per ogni ettaro un consumo di 4.000 m3 di H2O e 25.000 KWh di corrente elettrica, secondo quanto riportato nel rapporto CIPRA.
5 milioni di euro per avviare la stagione”. L’ordine di grandezza della cifra indicata dal Presidente Minella, dimostra l’affidabilità dell’elaborazione effettuata con il modello impiegato. I dati impiegati La ricostruzione della copertura nevosa è stata realizzata attraverso l’uso di immagini multispettrali (Lingua et al., 2014) dotate di più bande sensibili a diverse lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico della luce solare ad alta risoluzione, rese disponibili come OpenData, in particolare sono stati utilizzati i dati del progetto Copernicus dell’ESA4 e Landsat della NASA5. Le scene Sentinel 2A Il satellite Sentinel-2A, sviluppato dall’ESA e costruito in Europa dalla Airbus Defence and Space, fornisce immagini multispettrali ad alta risoluzione radiometrica con 13 bande distribuite tra ultravioletto visibile e infrarosso e con risoluzione a terra di 10, 20 e 60 m a seconda del gruppo di bande. Il satellite fa parte del progetto Copernicus, un complesso programma di osservazione satellitare della Terra lanciato nel 1998 dalla Commissione Europea e da un pool di agenzie spaziali.
Le scene Landsat 8-OLI Il progetto Landsat, a cura della NASA, è stato tra le prime fonti di immagini multispettrali a media risoluzione con copertura globale: da più di 30 anni vengono raccolti dati sulla superficie terrestre, e questo grazie a una rete di satelliti specializzata per il telerilevamento della superficie terrestre, chiamata Landsat. L’ultimo lanciato è il Landsat 8, messo in orbita dalla NASA l’11 febbraio 2013, che acquisisce sia nella banda della luce visibile sia nell’infrarosso con un intervallo spettrale molto simile ai sistemi Sentinel. Gli altri dati Oltre alle immagini satellitari sono stati analizzati i bollettini emessi dall’Agenzia Regionale per l’Ambiente del Veneto i quali sono stati impiegati per la ricostruzione delle condizioni meteoclimatiche riportate nella premessa. A questi si aggiungono altri dati provenienti dal portale OpenData regionale e rilasciati con licenza IODL v2.0, tra questi: l’uso del suolo, la cartografia e il modello digitale delle quote (DTM6) con cella a 5 m. A questi si devono aggiungere il Piano Neve della Regione del Veneto e alcune tracce GPX delle piste da sci.
Tutti i dati sopra elencati sono stati elaborati con l’impiego di software GIS open source7 integrando alcuni plug-in specifici per l’elaborazione delle immagini satellitari come Semi Automatic Classification (Congedo, 2016); altri plug-in e librerie sono state utilizzate per l’esportazione e la pubblicazione web.▲
NOTE 1 - Associazione Nazionale Esercenti Funiviari, anef.ski. 2 - Commissione Internazionale per la PRotezione delle Alpi (CIPRA International, www.cipra.org), una Ong che dagli anni Cinquanta opera nei 7 Stati alpini e ha sede in Liechtenstein. 3 - Associazione italiana delle aziende ed enti proprietari e/o esercenti il trasporto a fune in concessione sul territorio nazionale, 150 società ubicate in buona parte delle Regioni italiane, www.federfuni.it. 4 - European Space Agency. 5 - National Aeronautics and Space Administration. 6 - Digital Terrain Model, Modello digitale dell’elevazione. 7 - QGIS, Versione 2.14 LTR. BIBLIOGRAFIA - CIPRA, “Transizione nel turismo invernale”, 2017. Consultabile su:www.cipra.org - Congedo L., “Semi-Automatic Classification Plugin Documentation”, 2016. - Hahn F., “Innevamento artificiale nelle Alpi - Una relazione specifica”, 2004. Consultabile su: www.cipra.org/it/pubblicazioni/2709 - Lingua A., Noardo F., Vigna B., “Il monitoraggio della copertura nevosa da dati satellitari per lo studio delle risorse idriche sotterranee”, Atti 18a Conferenza Nazionale ASITA, 14 - 16 ottobre 2014, Firenze, 2014.
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Accessibilità a Venezia Rosaria Revellini è assegnista di ricerca FSE presso l’Università Iuav di Venezia. e-mail: rrevellini@iuav.it
Venice was the third most visited Italian city in 2016 with 10.5 million of tourists. Due to its topographical structure, the city is erroneously considered inaccessible by most people but, since 2003, with the establishment of the EBA office (Elimination of Architectural Barriers) of the City of Venice, numerous interventions have been carried out to make it more accessible to people with disabilities. Bridges are the main obstacles to the pedestrian mobility in the city but they are not the only one. The connective tissue of the city, consisting of calli, fondamenta and campi, has many other small differences in height, such as the steps leading to shops, hotels, museums and homes. The solutions adopted over the years to meet the overcoming of these small gaps are: removable ramps, stairlift, lifting platforms, retractable platforms and automatic retractable ramps.
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Esempi di sistemi meccanici per strutture ricettive per il superamento di piccoli dislivelli
enezia, patrimonio dell’umanità, è risultata la terza città italiana più visitata nel 2016 con 10,5 milioni di turisti, secondo i dati Istat dello scorso anno (Rapporto Viaggi e vacanze, pubblicato il 30 ottobre 2017). A causa della sua struttura topografica, la città lagunare è erroneamente ritenuta dalla maggior parte delle persone “inaccessibile” ma, a partire dal 2003, con l’istituzione dell’ufficio EBA (Eliminazione Barriere Architettoniche) del Comune di Venezia, sono stati realizzati numerosi interventi sia nella città storica che nelle principali isole al fine di renderla fruibile con maggiore facilità alle persone con disabilità motoria. Venezia, infatti, è costituita da circa 120 isole collegate da 430 ponti che rappresentano le principali “barriere” per la percorribilità della città ma che, nel contempo, ne costituiscono la sua stessa specificità. Nel corso di questi anni sono stati compiuti diversi interventi proprio sui ponti, come l’installazione di rampe temporanee e permanenti o l’impiego di sistemi meccanici di risalita in modo da garantire l’accessibilità di alcune parti della città. I ponti, però, non rappresentano l’unico impedimento per la percorribilità: il tessuto connettivo della città, costituito da calli, fondamenta e campi, presenta molti altri dislivelli, seppur più contenuti nelle dimensioni, come ad esempio i gradini che separano la quota dei camminamenti con quella di accesso a bot-
teghe, alberghi, musei e alle abitazioni. Le norme in vigore prevedono che sia garantita l’accessibilità alle persone con disabilità motoria negli edifici pubblici o aperti al pubblico, obiettivo che in una città storica è reso complesso dalla necessità di tutelare nel contempo il patrimonio storico. Le soluzioni adottate negli anni per rispondere al superamento dei piccoli dislivelli fanno riferimento a quattro tipologie prevalenti: rampe amovibili, di solito utilizzate per accedere alle abitazioni private; servoscala; piattaforme elevatrici e a scomparsa e rampe automatiche a scomparsa, queste ultime collocate soprattutto negli edifici aperti al pubblico. In realtà, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nelle Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale emanate nel 2008, sconsiglia l’utilizzo dei sistemi meccanici perché non sempre risultano confortevoli o sicuri per le persone con disabilità e non consentono un impiego in totale autonomia. Tuttavia l’utilizzo di tali sistemi risulta spesso l’unica soluzione possibile a Venezia, dal momento che gli spazi molto limitati rendono difficile la collocazione di rampe con percentuali di pendenza dell’8%. Inoltre i sistemi meccanici, nella maggior parte dei casi, garantiscono il criterio di “reversibilità” e permettono di mantenere un unico accesso all’edificio, evitando la creazione di ingressi dedicati su fronti laterali.
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Date le caratteristiche architettoniche e urbanistiche di Venezia non esiste un’unica soluzione replicabile per ogni situazione, ma va studiato caso per caso l’intervento più opportuno da realizzare. Di seguito vengono brevemente descritte le principali caratteristiche dei dispositivi meccanici prima citati e, per ognuno di essi, viene riportato un esempio di accesso a strutture ricettive. Il servoscala Il servoscala è stato uno dei sistemi più utilizzati negli anni ’80 per il superamento di
dislivelli verticali ma oggi sta scomparendo a causa della difficile gestione dell’apparecchio che spesso rimane inutilizzato per lunghi periodi, e dell’ingombro che determina sulle scale. Il servoscala, infatti, è ancorato alla parete prospiciente la scala tramite una guida, lungo cui si muove la pedana o il sedile che sono generalmente ribaltabili. La sua funzionalità e il suo a aspetto sono legate al sistema meccanico di movimento ed è difficilmente personalizzabile, motivo che lo rende del tutto estraneo al contesto in cui viene inserito e difficile da integrare (img. 06).
a
b
non esiste un’unica soluzione replicabile per ogni situazione
c b
b
a SERVOSCALA
PIATTAFORMA ELEVATRICE
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c PIATTAFORMA A SCOMPARSA
RAMPA AUTOMATICA A SCOMPARSA 02
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La piattaforma elevatrice e la piattaforma a scomparsa La piattaforma elevatrice, anche definita “mini-ascensore”, costituisce una valida alternativa all’ascensore in caso di dislivelli inferiori a 4 metri o in presenza di ingombri ridotti per il vano corsa. Rispetto a quest’ultimo, la piattaforma elevatrice ha un sistema meccanico più lento, pensato per un utilizzo ridotto nel tempo, che può essere a pantografo o a pistoni idraulici e che non necessita di una fossa ma di uno scavo di pochi centimetri, risultando così minimamente invasivo. Tale sistema è composto da una pedana e dalla protezione della stessa, chiusa durante il suo azionamento per garantire sicurezza al fruitore. Di solito questa protezione è costituita da vetri di sicurezza e, in tal modo, risulta poco invasivo dal punto di vista architettonico (img. 05). Quando il dislivello da superare è inferiore a 50 cm, non è necessario che ci sia la protezione. Se la pedana viene rivestita con la stessa pavimentazione dell’ambiente in cui viene collocata, si parla di piattaforma a scomparsa, soluzione meccanica che viene definita mimetica. In questo caso, però, necessita di uno scavo più profondo e quindi l’impatto è maggiore (img. 04).
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La rampa automatica a scomparsa La rampa automatica a scomparsa rappresenta una buona soluzione per disli-
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velli al di sotto dei 20 centimetri. Tale sistema prevede l’apertura della rampa mediante due cinematismi: una prima rotazione di 90° dell’intera rampa seguita dalla rotazione di 180° di uno dei due moduli che la compongono. Rispetto agli altri sistemi è sicuramente quello meno impattante, infatti, una volta chiusa risulta nascosta al lato dell’ingresso (img. 07). Soprattutto si tratta dell’unica soluzione, tra quelle analizzate, a poter essere realizzata con materiali diversi (alluminio, acciaio corten, ecc.) in modo da integrarsi nell’edificio in cui viene posta. Con questi dispositivi, unendo la reversibilità con il funzionamento meccanico, è possibile arrivare a soluzioni poco invasive e integrate nel contesto storico. I quattro esempi d’interventi in cui sono stati impiegati tali sistemi meccanici possono costituire, quindi, una piccola panoramica utile a comprendere quanto il dialogo tra tecnica e architettura possa produrre risultati interessanti. Dal momento che per ogni situazione va studiato l’intervento più opportuno da realizzare, soprattutto in una città come Venezia, la personalizzazione del prodotto industriale diviene parte integrante del progetto architettonico, oltre che un potenziale importante per le aziende del settore.▲
06 IMMAGINI Crediti: Rosaria Revellini. 01 - Hotel Olimpia in Fondamenta Burchielle, Venezia. 02 - Schematizzazione dei differenti “sistemi meccanici”. 03, 04 - Esempio di piattaforma a scomparsa: Hotel “Olimpia” in Fondamenta Burchielle. Le ristrette dimensioni della fondamenta non consentivano né il posizionamento di una rampa esterna né l’istallazione di una piattaforma elevatrice esterna, seppure il dislivello da superare fosse modesto. È stata dunque realizzata una piattaforma “a scomparsa” in acciaio inox, movimentata da pistoni idraulici collocati all’interno del solaio. La struttura è stata rivestita con la stessa pavimentazione della sala interna in modo che, quando la piattaforma non è in funzionamento, sia dall’interno che dall’esterno non si nota la presenza del dispositivo. 05 - Esempio di piattaforma elevatrice: Hotel “Papadopoli” ai Giardini Papadopoli. La presenza di un piano rialzato, complanare alla pavimentazione interna dell’hotel, necessita di un collegamento verticale per riconnettersi alla quota del camminamento. Sono quindi presenti quattro gradini e una piattaforma elevatrice “a pantografo”, che dall’esterno del porticato non risultano visibili anche grazie alla protezione della pedana in vetro. 06 - Esempio di servoscala: Hotel “Agli artisti” in Calle Priuli ai Cavalletti. La presenza di finestrature basse da un lato e di altri ingressi dall’altro non avrebbe dato la possibilità di posizionare una rampa di accesso all’hotel, quindi è stato utilizzato un servoscala “a pedana ribaltabile”, sistema grazie al quale la persona con disabilità può spostarsi con la sua carrozzina dal piano di camminamento alla quota di ingresso dell’edificio e che, grazie al ribaltamento della pedana stessa, limita l’ingombro sulla rampa di scale. 07 - Esempio di rampa automatica a scomparsa: Hotel “La corte di Gabriela” in Calle degli Avvocati. L’edificio si trova lungo una calle stretta che non avrebbe consentito la presenza di una rampa fissa. Si è optato per una rampa automatica a scomparsa, posta all’interno di uno spazio apposito in modo che, quando chiusa, non ostruisce il passaggio e non è visibile. Realizzata in alluminio punzonato e azionata elettricamente, presenta due maniglie laterali per facilitare le operazioni di apertura e chiusura. Crediti: Valeria Tatano.
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la personalizzazione del prodotto industriale diviene parte integrante del progetto architettonico
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Paola Fortuna è architetto e designer (studio +fortuna). Docente a contratto del Laboratorio di Fondamenti del Design della Comunicazione del corso di laurea in Disegno industriale e multimedia Iuav. e-mail: paola@piufortuna.it
IMMAGINI 01, 03, 04, 05 - “Segni di corrispondenza. Un francobollo per Trieste”, progetti in mostra. Crediti: Umberto Ferro. 02 - I sei francobolli stampati in formato cartolina. Crediti: Marco Covi. 06 - Manifesto con i quarantotto francobolli ideati dagli studenti. Crediti: Marco Covi. NOTE 1 – Polano S., “Architetture di carta. La grafica dei francobolli” in Polano S., Vetta P., “Abecedario. La grafica del novecento”, Mondadori Electa, Milano 2003, p. 31. 2– Cfr. Edelmann Th., “Get Stuck!” in “Stylepark Magazine”, 5/6/2015 – www.stylepark.com/en/news/get-stuck
First year students of the Laboratorio di Fondamenti di design e comunicazione, were asked to conceive a stamp celebrating the 20th anniversary of Central Europe Postal and Telegraphic Museum in Trieste. The stamp, a tiny bidimensional architecture that helps communicate and communicates itself, was meant to synthetize in an image the mission of the museum, the postal service as exceeding borders, creating links between people. The students’ works, thanks to the collaboration between the Head of Trieste branch of Poste Italiane and Iuav - Corso di laurea in Design industriale e multimedia, were eventually exhibited in the main hall of 19th century headquarters of Poste Italiane and museum. The exhibition was a representation of correspondences between things, people and places. Six selected stamps were printed in postcard size in 200 copies and a poster gathered the 48 works as a choral work, a tale with manifold voices, all different from each other, all speaking the city, its history, the museum, its place.
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Segni di corrispondenza Un francobollo per Trieste
rogettare un francobollo nell’era della posta elettronica. Deve essere apparsa una provocazione più che un’esercitazione, ai sessantadue studenti del primo anno del Laboratorio di Fondamenti del design della comunicazione. Un oggetto anacronistico, il residuo di un’epoca conclusa. Ma il francobollo è, come ha osservato Sergio Polano, “uno tra i più eloquenti documenti visivi della cultura materiale contemporanea […] in grado di veicolare articolati messaggi iconici, talora di elevato quoziente estetico e comunque ampiamente apprezzati nella ricezione del pubblico”1. Uno strumento che non solo consente il viaggio, accompagna una lettera, un pacco, un messaggio, ma è messaggio in sé. Il francobollo è ciò che ci permette di comunicare con gli altri e nel contempo comunica. Un oggetto che per la sua forma, le sue caratteristiche, le immagini che racchiude è divenuto già pochi anni dopo la sua nascita oggetto di collezionismo, di devozione, e un neologismo è stato appositamente inventato, filatelia. Un piccolo rettangolo di carta, un “francobollo”, appunto, come ormai si definisce ogni superficie estremamente ridotta, che è entrato in tutte le case del mondo, su cui si sono posati infiniti occhi e che proprio per questo è fra i più potenti strumenti di comunicazione, di identificazione. Una potenza simbolica e iconografica riconosciuta da Aby Warburg, per il quale una collezione di francobolli può permettere di ricostruire la storia del mondo dell’età tecnica2.
Cosa di più affine e coerente al corso che gli studenti stavano concludendo? Tanto più che il francobollo sarebbe stato ideato con il pretesto dei vent’anni del Museo Postale e Telegrafico della Mitteleuropa di Trieste. Un sorprendente piccolo museo, in una città affascinante e sempre più meta di visitatori e turisti. E il maestoso palazzo in cui il museo è ospitato, costruito come sede delle Poste alla fine dell’Ottocento, non lascia dubbi sull’importanza della posta, del telegrafo, trasmissione e circolazione di parole e pensieri, di merci e notizie, a quel tempo, come oggi. Il palazzo è da vent’anni prezioso scrigno che raccoglie la storia della posta e delle Poste Italiane e insieme la storia di Trieste, città di grandi piazze e grandi palazzi, di legami e rapporti, di corrispondenze e passaggi. Un museo il cui nome - della Mitteleuropa - evoca il superamento di confini, di cui Trieste è emblema, e la posta con il francobollo che le permette di viaggiare, rappresenta la volontà di unire anziché separare, mescolare invece che distinguere. Lo sbigottimento iniziale degli studenti si è presto trasformato in entusiasmo, impegno, voglia di mettersi alla prova. Durante la visita di Trieste e l’esplorazione del palazzo e del museo, avvenuta grazie alla disponibilità della Direzione della filiale triestina di Poste Italiane, lo sguardo da scettico e disorientato si è fatto attento e curioso. La città con i suoi luoghi simbolo, il palazzo con i suoi spazi e i suoi ornamenti, il museo con i suoi cimeli, le cose che ormai prive del
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loro compito, della loro quotidianità, diventano oggetti poetici, riuscendo ancora a raccontare storie, a trasmettere emozioni. Come l’ufficio postale militare da campo racchiuso in una cassetta sopravvissuta alla guerra e che ha custodito centinaia di lettere preoccupate, disperate, piene d’amore e di nostalgia. O come lo strumento per la disinfezione delle lettere, le carte geografiche, le circolari in caratteri gotici. Tutto ciò ha messo in moto la creatività degli studenti, il desiderio di condensare in una piccola immagine ciò che di quel luogo era per loro l’essenza. E nelle riflessioni che hanno accompagnato il loro percorso, hanno osservato stupiti come un og-
getto così piccolo potesse raccontare così tanto. “Del resto, scrivono Nina Grazzi e Benedetta Meloni, non è forse questo di cui parla un francobollo? Di migliaia di chilometri in così pochi millimetri” e sottolineano la coincidenza del condividere con il museo l’età, vent’anni: “È così strano pensare che un nostro coetaneo possa contenere così tante storie da raccontare”. E Francesco Carraretto e Giulia Tufariello aggiungono: “Della semplice e piccola carta, che nasconde al suo interno la magia della storia e del tempo”. Concludono infine Alessia Trevisan e Michele Zannin: “In un mondo sempre più proiettato verso la digitalizzazione, diventa allora particolarmente interes-
una mostra che parla di legami, di corrispondenze di pensiero fra passato e presente, fra la memoria di un luogo e chi questo luogo lo vive oggi
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sante recuperare uno strumento ricco di storia e ripensarlo in un contesto attuale� con l’intento di dare un messaggio nuovo non solo agli appassionati filateli ma anche a coloro che se ormai hanno poche occasioni di usarlo, possono comunque riflettere e interrogarsi sul suo ruolo culturale, sul significato simbolico, prima che funzionale. L’esito è stato positivo oltre le aspettative. Il compito assegnato era di comunicare in un francobollo il museo, attraverso una prospettiva, un dettaglio, un oggetto legato al tema delle poste e della comunicazione. Gli studenti dovevano produrre un francobollo singolo o una serie, concependolo come rappresentazione declinabile su vari supporti di co-
il francobollo, piccola architettura bidimensionale: migliaia di chilometri in pochi millimetri. Uno strumento che non solo accompagna una lettera, un pacco, un messaggio, ma è messaggio lui stesso 04
municazione, immaginando di rivolgersi agli abitanti di Trieste, per attirarli verso un luogo della propria memoria, ma anche ai visitatori, a un pubblico giovane per portare il suo sguardo su altri aspetti della comunicazione che pure impregna il suo, il nostro mondo. Il francobollo doveva essere ideato a scala 1:1, con le difficoltà implicite nel lavorare su dimensioni così ridotte, per far sì che l’immagine, il messaggio siano chiari e comprensibili. Doveva poi essere riprodotto in grande formato e accompagnato da mood board e quaderno di viaggio. Sorprendenti, si diceva, i risultati. A partire dai riferimenti scelti: il postino, figura simbolo della corrispondenza, ma anche la postina, e quindi le donne rap-
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Segni di corrispondenza Un francobollo per Trieste 29 novembre – 24 febbraio 2018 Palazzo delle Poste, Trieste
I progetti esposti in mostra sono il risultato del Laboratorio di fondamenti del design 1A a.a. 2016/2017 Corso di laurea in Disegno industriale e multimedia Università Iuav di Venezia
Una collaborazione tra Università Iuav di Venezia Poste Italiane
Direttore Laura Badalucco
Con la partecipazione di Maria Letizia Fumagalli Direttrice di Filiale di Trieste Chiara Simon Conservatore del Museo Postale e Telegrafico della Mitteleuropa Maurizio Lozei Ufficio Stampa delle Poste Italiane di Trieste
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Docente, curatore e ideatore della mostra Paola Fortuna Collaboratore alla didattica Federico Conti Picamus Studenti Andrea Agostinetto, Carlotta Albiero, Giorgia Bartolini, Marianna Battaglia, Sabrina Ben Zeineb, Agnese Bernaus, Giovanni Bortolan, Elena Bortolazzo, Enrico
Caldini, Giovanni Capra, Jennifer Carniel, Francesco Carraretto, Alice Carraro, Clarissa Cecchini, Marco Chiementin, Luca Cibotto, loria Conte, Arianna Corda, Mattia De Pieri, Samuele Deppieri, Marta Didonè, Chengjie Ding, Irene Doro, Cristina Fanelli, Anna Favaretto, Alberto Ferro, Francesca Frizzier, Aurora Gamma, Matteo Gherardi, Matteo Giacomini, Nina Grazzi, Matilde Guzzon, Jessica Longhin, Marta Madonia, Irene Marcolongo, Mattia Marcon, Marco Matteraglia, Andrea Mazzon, Benedetta Meloni, Greta Odorico, Valentina Piacentini, Alessio Pinton, Ludovica Polo, Davide Raffin, Chiara Ragazzo, Paola Romano, Nicola Sacchetto, Rachele Salviati, Elena Santin, Diego Scaggiante, Sofia Selmin, Lorenzo Signori, Raffaele Spagnol, Beatrice Trevisan, Alessia Trevisan, Giulia Tufariello, Monica Vecchiato, Penelope Volinia, Michele Zannin, Tommaso Zennaro, Lorenzo Zerbetto, Eleonora Zoccolan.
quarantotto francobolli, l’uno accanto all’altro sono diventati un racconto a più voci per creare un’immagine sfaccettata ma armoniosa, variopinta e vivace della città, della sua storia, del museo, della sua sede
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presentative della storia e della cultura triestina - Maria Teresa e Margherita Hack - e poi particolari del palazzo e delle sue decorazioni, luoghi della città - il grande “Ursus”, il pontone che domina il porto. E ancora oggetti custoditi nel museo, e infine il telegrafo, con i suoi pali che un tempo scandivano il paesaggio. Si tratta di un immaginario variegato ma sicuramente in grado di creare corrispondenze fra la memoria, l’identità del luogo e chi questo luogo lo vive oggi, fra un mondo che appartiene al passato e i pensieri, le emozioni delle generazioni più giovani. Gli studenti hanno tradotto queste immagini in rappresentazioni, ricorrendo a tecniche diverse, lo stencil, il collage, il disegno, la fotografia. I risultati del percorso progettuale sono stati esposti in una mostra realizzata grazie alla collaborazione fra il corso di laurea in Disegno industriale e multimedia dell’Università Iuav di Venezia e la Direzione delle Poste Italiane di Trieste e ospitata negli spazi generosi e luminosi del piano nobile del palazzo. I francobolli stampati nella loro dimensione reale e ingrandita, i diari con annotato il percorso seguito, dalla prima idea
alla realizzazione, infine i pensieri suscitati dall’intera esperienza e divenuti testi esplicativi del percorso, sono i materiali con cui la mostra è stata allestita. Una mostra ideata per parlare di legami e di corrispondenza che non è solo scambio di lettere, ma affinità di pensiero. Per l’occasione sei francobolli sono stati stampati in formato cartolina in duecento copie numerate con uno speciale annullo a ricordo dell’anniversario. E queste piccole architetture bidimensionali, questi artefatti grafici di grande capacità comunicativa, sono stati infine riuniti in un grande manifesto, stampato a tiratura limitata in duecento esemplari numerati, dove i quarantotto francobolli, l’uno accanto all’altro, sono diventati un racconto a più voci, ognuna con la propria chiara identità, ma tutte rivolte a creare un’immagine forte, sfaccettata ma armoniosa, variopinta e vivace mai chiassosa né pesante, della città, della sua storia, del museo, della sua sede.▲
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MICROFONO ACCESO
Arianna Mion, Laurea Magistrale in “World Politics and International Relations” presso l’Università degli Studi di Pavia. e-mail: arianna.mion01@universitadipavia.it
IMMAGINI Crediti: Stefano Morrone. Tutte le foto sono state scattate nel Quartiere Obrera, a Città del Messico, durante l’inaugurazione del memoriale alle vittime rimaste intrappolate in uno stabile che ospitava diverse fabbriche. La maggior parte delle vittime erano operaie, messicane e taiwanesi, impiegate nelle varie imprese.
www.lamericalatina.net
Last September Mexico was hit by some earthquakes, which deeply affected the country. Considering firstly the large economic differences amidst the Mexican population, secondly the huge corruption rate of the political system, thirdly the strong social inequalities of the society, we decided to analyze the natural phenomenon asking some Italians, currently living in Mexico, to answer to our questions. As consequence, the result is a set of personal experiences together to theoretical notions, which helps us with outlining a particular scenario. Finally, the words of Fabrizio Lorusso, Federico de Stavola, Alessandro Peregalli and Caterina Morbiato and the pictures of Stefano Morrone give us the possibility to explore Mexican earthquakes’ effects detaching ourselves from a standardized analysis, indeed providing food for thought.
Il terremoto in Messico raccontato da chi l’ha vissuto Un fenomeno naturale in chiave sociale
In questo numero abbiamo deciso di proporre un’intervista differente, tanto in modalità quanto in contenuti. Ci siamo infatti affacciati a un orizzonte nuovo, sporgendoci da una finestra politico-sociale, la quale ci ha permesso di allungare la vista su uno dei fenomeni naturali legato alla terra più imprevedibili e distruttivi da sempre: il terremoto. Fabrizio Lorusso, Federico De Stavola, Alessandro Peregalli e Caterina Morbiato sono i protagonisti della nostra intervista, contraddistinta dalle foto di Stefano Morrone. Insieme gestiscono il blog collettivo L’America Latina (Immaginari e Storie dai Sud del Mondo) e ogni giovedì, insieme agli altri collaboratori del blog, conducono un programma chiamato Avenida Miranda su Radio Città del Capo (Bologna), in cui discutono le ultime novità riguardanti l’area centro e sud americana. Quali sono gli effetti provocati dai recenti fenomeni sismici avvenuti il 7 e il 19 settembre 2017 a livello geografico, economico e sociale in Messico? Fabrizio Lorusso: Sicuramente sono stati eventi sismici con grandi conseguenze a tutti i livelli. È molto complicato distinguere un livello dall’altro, però possiamo dire che c’è stato in primis un impatto sociale ed economico. Sono state infatti colpite le zone più povere del paese, soprattutto Chiapas, Morelos, Tlaxcala, Puebla e Guerrero, situate nel centro-sud, per l’appunto l’area più povera, che in quella stagione deve affrontare anche fenomeni di maltempo quali uragani, facendo così ricadere sulla popolazione ulteriori disgrazie. Penso però che non si debba parlare di disgrazie semplicemente, perché quando la catastrofe naturale cade in un intorno socio-economico precario, il danno è sempre maggiore e i terremoti, in particolare, sono imprevedibili. Si può lavorare molto sulla prevenzione, come da oltre 30 anni è stato fatto, almeno in parte, a Città del Messico. Ma poi c’è il fattore corruzione che è un retrocesso, perché si possono avere buone leggi e prevenzione, ma se poi si costruisce male non serve a nulla. In altre località, soprattutto nel mondo rurale, non vi sono politiche di prevenzione così sviluppate e nemmeno le risorse tali per costruire in modo adeguato, tanto che gli effetti sono stati anche più devastanti. Bisogna comunque aggiungere che la capitale stessa, essendo una città densamente popolata, ne è stata duramente colpita. Diciamo che ogni evento di questo tipo provoca danni a livello umano, oltre che emotivo, in termini di vittime, dal forte impatto mediatico, e poi danni sociali molto maggiori. Federico de Stavola: I terremoti del 7 e del 19 settembre, ma in particolare quello del 19 per i danni provocati ha messo in moto la ridefinizione, anche se parziale, di alcune geografie urbane. Non essendo un esperto del tema, posso solo raccontare quello che ha vissuto il mio quartiere a seguito del terremoto. Vivo a Santa María
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de la Ribera (SMR), quartiere localizzato nell’area centro nord della città: è centrico (solo 5 km all’incirca dal centro storico), ha 3 stazioni della metro vicine e il capolinea di 4 linee Metrobus (bus rapido con corsia preferenziale), la stazione per il Tren suburbano (che connette la città con Edomex). Questo quartiere è nato come paese di campagna, poi successivamente inglobato nella città, durante il periodo post-rivoluzionario, dalla borghesia bianca che per non convivere con il processo rivoluzionario decise di costruirsi un “angolo tranquillo” fuori dalla città stessa. Questa breve digressione storica per dire che è particolarmente bello, anche se da anni lasciato alla criminalità. Spesso nei giornali SMR è presentato come il quartiere in migliore espansione dopo quelli di Roma e Condesa. Questi ultimi sono di classe alta, già completamente gentrificati, a maggioranza bianca e internazionale. Inoltre sono anche due dei quartieri che rimasero danneggiati maggiormente nel terremoto del 1985 (sono costruiti in una parte molto paludosa del lago che soggiace a Città del Messico), a seguito del quale sono stati completamente gentrificati. Gli eventi sismici di settembre hanno “risparmiato” SMR, ma danneggiato Roma e Condesa. Come effetto del terremoto, SMR si è confermato un quartiere vivibile, bello, con artisti, e sicuro di fronte a eventi sismici. La presenza di ex-abitanti della zona Roma e Condesa ha iniziato a farsi più forte a SMR, i prezzi degli affitti si sono alzati sensibilmente e sono stati aperti vari caffè e ristoranti di fascia alta che propongono prodotti biologici. Alessandro Peregalli: Gli effetti dei due terremoti di settembre credo si potranno quantificare e valutare davvero solo in prospettiva storica. Il terremoto del 1985, ancora più devastante in termini di vittime e di danni immobiliari a Città del Messico, inserendosi in un contesto di violente riforme monetariste e neo-liberali (i piani di aggiustamento strutturale dell’FMI che seguirono alla crisi del debito del 1982), fu affrontato malissimo dal governo locale e federale, che al tempo non disponeva nemmeno di una protezione civile e le cui risorse languivano. Era il periodo della mutazione “antropologica” del PRI da partito nazionalista a partito neo-liberista, e il terremoto inf luì non poco nella creazione di alcune organizzazioni urbano-popolari che contribuirono alla nascita della coalizione di sinistra che nel 1988 trionfò alle elezioni e che non arrivò al governo solo per via dei brogli elettorali. Il terremoto del 1985 fu la prima esperienza collettiva in cui la società civile messicana agì praticamente con totale indipendenza da qualunque velleità di controllo governativo e in cui prese quindi coscienza della propria forza. Tuttavia, molte cose sono successe da allora: l’onda lunga neoliberista è riuscita in parte a sfilacciare i legami sociali e, la macchina clientelare del PRI si è perfezionata. La reazione generosa e spontanea della popolazione alla catastrofe è riuscita a imporsi di fatto solo il primo giorno, mentre dai giorni successivi c’è stato un braccio di ferro con le autorità su più questioni (dall’uso delle macchine pesanti prima dei
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penso però che non si debba parlare di disgrazie semplicemente, perché quando la catastrofe naturale cade in un intorno socio-economico precario, il danno è sempre maggiore e i terremoti, in particolare, sono imprevedibili
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tempi previsti alle politiche di ricostruzione successive), perdendo però poco a poco forza e in qualche modo logorandosi. Allo stesso tempo, il governo e il PRI sono riusciti a canalizzare gli aiuti in beni e in soldi, smistandoli e facendoli arrivare centellinati alla popolazione attraverso le sue istituzioni e lo stesso esercito, gestendoli con logiche clientelari. Molte sono le denunce riportate di camion carichi di aiuti intercettati dai governatori locali e dall’esercito, di beni dati dalla popolazione timbrati dal governo, mentre lo stesso governo ha imposto un percorso per la ricostruzione non fondato su risarcimenti netti ma sul microcredito, canalizzando così nei mercati finanziari gli aiuti stessi. Le conseguenze più drammatiche sono avvenute non tanto a Città del Messico, dove la maggioranza dei quartieri colpiti erano di classe media, quanto nella costa pacifica di Chiapas e Oaxaca, tra popolazioni povere che hanno perso tutto e che pur di ricevere qualcosa (cifre di circa 6.000 euro) stanno accettando di perdere i diritti di proprietà sulle loro case crollate. Questo ci porta al tema, drammatico, della ricostruzione e della speculazione immobiliare, le cui vere conseguenze si vedranno solo nel tempo. Come solo nel tempo si valuterà l’effettiva capacità della società civile di opporsi alle politiche governative e di riacquistare quell’unità che si era vista, seppur disordinatamente e spontaneamente, nei primi giorni post-sisma.
pratiche di lassismo, corruzione, profitto dentro l’economia dell’edilizia traggono beneficio anche dalla vulnerabilità che caratterizza un’ampia fascia di lavoratori
Caterina Morbiato: Su breve e medio periodo uno degli effetti sociali che non possiamo dimenticare è stata l’autorganizzazione cittadina. Su scala locale o regionale, moltissime sono state le iniziative di diverso genere che sono o nate in seguito agli eventi sismici o hanno deciso di concentrare i propri sforzi per far fronte alla catastrofe. Si va dalla micro-organizzazione di quartiere per gestire le difficoltà più immediate (allestimento case-rifugio, preparazione alimenti, attenzione psicologica, ecc.), alla creazione di sistemi di monitoraggio com’è il caso dalla piattaforma Trabajadorxs en riesgo, lanciata da un gruppo di studenti universitari specializzati in diritto del lavoro. Si tratta di una mappatura dei luoghi di lavoro in cui, nei giorni seguenti al sisma del 19 settembre, le persone sono state costrette a tornare a lavorare nonostante mancassero ancora le perizie edili che dimostrassero l’effettiva agibilità degli edifici. Altri tipi di iniziative hanno a che vedere con la ricostruzione più sicura, più controllata, più autonoma delle case. Tra le varie mi viene in mente la Red Binniguenda, che si è costituita per ricostruire il municipio di Ixtaltepec, nell’Istmo di Tehuantpec, Oaxaca. Penso però che l’importante, soprattutto a livello micro, sia la volontà/necessità di incontro comunitario in tutte le sfumature. Dentro quest’universo composito ci sono esperienze molto diverse tra loro, con traiettorie e obiettivi distinti, com’è distinta e composita la società stessa. Ci tengo a specificare questo punto perché credo che quello che possiamo definire “comunitario” non possiede in sé un carattere puro e omogeneo.
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Nel territorio messicano la corruzione è molto presente nelle varie sfere pubbliche e private. A 32 anni dall’altro grande fenomeno sismico che colpì il Paese, è possibile denunciare il ruolo e le forme assunte dalla corruzione nel settore edilizio messicano?
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F.L.: Pur non essendo io uno specialista del settore edilizio messicano, sono stato un lettore attento nei mesi dopo il terremoto di quello che succedeva. Sicuramente la corruzione è una delle problematiche maggiori in Messico e questo si sta vedendo anche nelle campagne elettorali in cui tutti i partiti promettono di “ripulire il Paese”. Inoltre, il settore edilizio, come in Italia, è quello più legato alle mafie e alla corruzione delle alte sfere e delle imprese. I pezzi importanti dell’élite ufficiale e anche dei poteri di fatto sul territorio, come i gruppi di narcotrafficanti o di delinquenti, che entrano in politica e nell’impresa, riciclano enormi quantità di denaro. In questo senso, il gioco-forza è oliare la macchina e costruire con materiali più scadenti, per cui va tutto al ribasso, le imprese legali devono vincere appalti con poco, negoziando così la qualità degli edifici. Questo, per esempio, si vede dall’edificio nella Colonia Portales appena inaugurato nel 2016, in cui varie coppie e famiglie, avevano già comprato per l’appunto la casa nuova, e che è poi crollato completamente. La corruzione è un punto molto importante che lega Italia e America Latina e lo possiamo vedere nell’infiltrazione mafiosa, dove finiscono molti di questi soldi: in permessi facili e compravendita dei permessi stessi. A Città del Messico ciò è consolidato, nonostante sia una zona sismica e ci sia stata già la traumatica esperienza del terremoto del 1985. Perciò, denuncerei il ruolo del settore edilizio però legandolo a settori della classe politica, alle narco-mafie e a un patto di impunità. Come sostiene Erdgardo Buscaglia, in Messico esiste un patto di élites tra quella politica-imprenditoriale e addirittura anche quella narco-criminale (che deve riciclare qui e negli USA gli esorbitanti guadagni di traffici di stupefacenti, armi, migranti, ecc.).
le conseguenze più drammatiche sono avvenute nella costa pacifica tra popolazioni povere che hanno perso tutto e che pur di ricevere qualcosa stanno accettando di perdere i diritti di proprietà sulle loro case crollate
F.d.S.: Anche a questa domanda, risponderò con il mio racconto soggettivo su SMR. La delegación Cuauhtemoc, ha il vincolo di costruzione di massimo 4 piani. Uno dei problemi principali della città è che la crescita della densità demografica sta mettendo in crisi la gestione dell’acqua. Palazzine sempre più grandi ospitano più gente, il che richiede un’estrazione maggiore di acqua dal sottosuolo. Questo in un sistema capitalistico senza una pianificazione, equivale ad andare in contro al disastro ambientale. Poco tempo fa un meraviglioso edificio costruito dalla massoneria all’inizio del secolo scorso è stato comprato da un’impresa edilizia. L’edificio era protetto dall’INBA
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la città è dotata di un allarme antisismico che nel caso di terremoti con epicentro distante dalla città, come è stato il 7 settembre, permette una tempestiva evacuazione degli edifici
(Instituto Nacional de Bellas Artes) e poteva dunque solo essere ristrutturato. Quando abbiamo fatto pressioni per sapere di più sul progetto e sul perché avessero demolito un edificio storico, la risposta dell’INBA è stata: “Vi conviene non intromettervi, questo affare è molto più grande di voi”. Il risultato è che l’edificio violerebbe la norma dei 4 piani essendo di 5 piani, mettendo così a rischio l’approvvigionamento di acqua del quartiere. Non so dire precisamente il ruolo del settore edilizio nella vulnerabilità della città ai fenomeni sismici, quello che posso dire con certezza però è che con una crescita tanto grande della città, la ridefinizione degli spazi urbani dà opportunità di guadagno enormi. Da considerare c’è anche che molti dei quartieri periferici sono stati auto costruiti durante gli anni ’40 e dopo il terremoto del 1985. C.M.: Determinate pratiche di lassismo, corruzione, profitto dentro l’economia dell’edilizia traggono beneficio anche dalla vulnerabilità che caratterizza un’ampia fascia di lavoratori. Diritto del lavoro e corruzione nel settore edilizio (che, come detto sopra comprende e si fonde a molti altri settori) sono da considerarsi alleati nella precarizzazione di determinati diritti come quello della sicurezza sul luogo di lavoro, allo studio e alla sanità. Uno degli elementi emersi con il terremoto del 19 settembre è stata la paura da parte di moltissimi lavoratori e lavoratrici: paura di tornare a lavorare in stabili potenzialmente pericolosi, paura di essere licenziati se non si presentavano a lavoro, paura di denunciare apertamente le irregolarità messe in atto da chi “sta in alto”. Dal punto di vista scientifico c’è intenzione da parte del governo centrale di implementare politiche che includano lo sviluppo tecnologico e architettonico per la prevenzione di fenomeni sismici nella costruzione di nuovi edifici, soprattutto di quelli pubblici? F.L.: Non conosco le specifiche tecniche degli accordi, ma posso dire che la legislazione è abbastanza avanzata e dopo il sisma di settembre si sono annunciate più restrizioni, più controlli, più iniziative. La legge, in generale, in Messico c’è e ci sono anche pressioni sociali che permettono l’approvazione di leggi soprattutto dopo emergenze gravi. Faccio affidamento su questo fatto generale per dire che esiste della legislazione, ma nonostante ciò, il territorio non è stato messo in sicurezza in base alla stessa e nemmeno alcune delle costruzioni nuove hanno resistito, a causa del meccanismo di corruzione e del mancato rispetto delle leggi. Succede lo stesso col rispetto dei diritti umani per cui il Messico firma decine di trattati internazionali ma poi internamente è una mattanza continua di attivisti, giornalisti, comuni cittadini. In Messico è pieno di leggi, ma in generale queste sono poco rispettate. Dopo i terremoti si sta cercando di mettere in sicurezza tutti gli edifici pubblici, scuole, ospedali, uffici amministrativi, musei, templi, chiese, però i meccanismi burocratici legati al settore restano strutturalmente perversi, per cui l’attenzione rimarrà alta per un po’ ma tra pochi mesi si concentrerà più sul processo elettorale e su promesse, che sulle realtà. È una previsione un po’ pessimista, ma è quello che io penso, comunque, come osservatore di questioni politiche messicane. 04
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F.d.S.: Posso dire con certezza che la città è dotata di un allarme antisismico collegato al centro di ricerca sismologico della Universidad Nacional Autonoma de México - UNAM, che nel caso di terremoti con epicentro sufficientemente distante dalla città stessa, come è stato il 7 settembre, permette una tempestiva evacuazione degli edifici. Un sistema di prevenzione che io ritengo semplice, ma effettivo, purtroppo non in tutti i tipi di evento sismico. Da dire c’è anche che a Città del Messico la popolazione, che tuttora porta vivo il ricordo del 1985, viene addestrata, con prove antisismiche, costantemente, risultando per cui molto preparata e disciplinata. Date le sconvolgenti catastrofi naturali che hanno recentemente colpito vari paesi dell’area centroamericana, come si sta affrontando a livello regionale la tematica del cambiamento climatico? F.L.: Il terremoto non lo relaziono da vicino con il tema del cambiamento climatico ma tutti i Caraibi, il Messico, e altre zone sismiche in Centro-America sono esposte a uragani e anche ad altre catastrofi naturali. In questo senso vale il discorso generale che facevo nella prima risposta per cui è difficile che uno stato inefficiente, con poche risorse, incentrate in altri settori e che, con l’applicazione del modello socio-politico e ideologico neoliberista estremo attuale, ha abbandonato molte delle sue funzioni e le ha affidate al “mercato”, in realtà gestito dai potenti e dalle élite, possa riuscire a rispondere in maniera efficace a queste calamità. Con uno stato assente o con dei vuoti tremendi nei territori abbandonati, è possibile parlare addirittura di stato fallito. Esempio ne sono Tamaulipas, Veracruz, Guerrero, parti della frontiera USA-Messico, ma anche lo stesso triangolo più violento del mondo formato da Guatemala, Honduras e El Salvador, e alcune parti dei Caraibi come Haiti. Tutti queste aree vivono l’abbandono e un modello socio-economico che non prevede la sicurezza umana e i diritti umani tra le sue priorità. A.P.: Credo si debba fare una netta distinzione tra uragani (come quelli che hanno a più riprese devastato i Caraibi) e aventi una qualche relazione con il cambiamento climatico, e i terremoti, che invece non ne hanno alcuna. Per quanto riguarda gli uragani, non credo ci siano state davvero delle politiche comuni efficaci, però vale la pena segnalare la differenza di impatto tra un paese come Cuba, che ha affinato nel tempo misure d’emergenza collettive e solidali efficaci, con lo stato statunitense della Florida e Miami, dove normalmente gli uragani arrivano già depotenziati dal passaggio sulle isole, e che tuttavia vedono costantemente una reazione di panico della popolazione, con le autostrade bloccate, i supermercati vuoti e il presidente che dice: “Siamo nelle mani di Dio”. E ancora più drammatico è il caso di Porto Rico, la “colonia” americana lasciata totalmente a se stessa e letteralmente devastata da Irma.▲
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Fabrizio Lorusso, accademico Università Iberoamericana di León
Federico de Stavola, dottorando presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico
Alessandro Peregalli, dottorando presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico
Caterina Morbiato, antropologa e giornalista freelance
Stefano Morrone, studia fotografia alla Canon Academy
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Luca Casagrande è laureato in Architettura allo Iuav di Venezia, si occupa di comunicazione collaborando con organizzazioni e aziende. e-mail: lucacasagrande87@gmail.com
IMMAGINI Crediti: GeoSpectra. 01 - Il FP_EDXRF - Field Portable Energy Dispersive X-Ray Fluorescence. 02 - Esempio di etichetta Geologica del Prodotto. 03 - Campionamenti del suolo con trivella. 04 - Stralcio della carta geologica delle D.O.C. liguri con i punti campionati. 05 - Un vigneto ligure situato a Dolceacqua (IM). NOTE 1 – Vaudour E., “I terroir. Definizioni, caratterizzazione e protezione”, Edagricole-New Business Media, 2005.
GeoSpectra S.r.l. Spin-off dell’Università di Genova info@geospectra.it www.geospectra.it
The specific characteristics of a territory decisively influence the attributes of enogastronomic productions. In particular, the soil components, as a set of lithological, mineralogical and chemical characteristics, help to define the qualities of the agricultural productions that are cultivated on it. Considering that the market in which the enhancement of the food excellence of Made in Italy is based on territorial marketing strategies and product storytelling, it is important to understand the dynamics and components that contribute to define the uniqueness of the product/territory that need to be communicated. Scientific research can become a tool to transfer knowledge about a specific production and provide the consumer with useful information to evaluate the quality of a product. A spin-off of the University of Genoa named GeoSpectra has structured an innovative process that integrates scientific research and analysis to define new territorial marketing strategies.
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GeoSpectra La definizione di un’identità territoriale attraverso la conoscenza del suolo
Le specifiche peculiarità di un territorio influiscono in modo determinante sulle caratteristiche delle produzioni eno-gastronomiche. In particolare la componente suolo, intesa come insieme delle caratteristiche litologiche, mineralogiche e chimiche, concorre a definire le qualità delle produzioni agricole che su di esso sono coltivate. In un contesto di mercato in cui la valorizzazione delle eccellenze dell’eno-gastronomia Made in Italy si basa su strategie di marketing territoriale e storytelling del prodotto, è importante conoscere le dinamiche e le componenti che concorrono a definire l’unicità del prodotto/territorio da comunicare. La ricerca scientifica può diventare uno strumento per trasferire conoscenza su una specifica produzione e fornire al consumatore, e non solo, informazioni utili per valutare la qualità di un prodotto. GeoSpectra, spin-off dell’Università di Genova, ha strutturato un processo innovativo che integra la ricerca scientifica e l’analisi in campo con nuove strategie di marketing territoriale. Per questo motivo abbiamo intervistato il Prof. Gerardo Brancucci, professore associato di Geomorfologia Applicata presso la Scuola Politecnica dell’Università di Genova, Dipartimento Architettura e Design e co-fondatore dello spin-off GeoSpectra S.r.l. Alle filiere delle produzioni eno-gastronomiche d’eccellenza si lega sempre più il concetto di identità territoriale dei prodotti. Parliamo in questo caso di valorizzazione del terroir. Nello specifico cosa definisce questo concetto? Una definizione univoca di terroir non esiste, in generale con tale termine può intendersi l’insieme delle caratteristiche di un certo luogo come morfologia, substrato litologico, tradizioni, caratteri storico-culturali, clima, ecc. Il termine è solitamente associato all’ambiente enologico tuttavia esistono, come mostra Vaudour nel suo volume I terroir1, differenti nozioni di terroir applicabili in vari ambiti quali ad esempio: agrocolturale (terroir materia), territoriale (terroir spazio), pubblicitario (terroir slogan) e identitario (terroir coscienza). Noi di GeoSpectra utilizziamo questo termine in un concetto di filiera che parte dal suolo ed arriva alla tavola del consumatore, come sintesi del percorso che un prodotto deve (o dovrebbe) compiere per far percepire la propria qualità e unicità.
un concetto di filiera come sintesi di un percorso di qualità e unicità
Le caratteristiche litologiche, mineralogiche e chimiche del terreno influiscono direttamente sulla ca-
ratterizzazione di un prodotto, contribuendo a renderlo unico. Quali componenti vengono influenzate, e in che modo, dal tipo di terreno in cui il prodotto viene coltivato? Dalle esperienze fin qui condotte dal nostro spin-off GeoSpectra appare evidente che, almeno a livello di suolo, la differenziazione percentuale degli elementi presenti nel suolo stesso determina una differenziazione anche nel gusto del prodotto. L’esperienza al momento più significativa in questo senso è stata condotta su dei funghi della specie Boletus Edulis; a diversità di substrato corrisponde, a detta di esperti, diversità di sapore. Stessa sperimentazione, condotta su dei meleti, ha evidenziato come la differente composizione del suolo in termini di contenuto di Calcio influiva chiaramente sulla qualità del prodotto. Una quantità bassa di Calcio rende le mele butterate (butteratura amara); grazie alla possibilità di analisi puntuale offerta dalla strumentazione in possesso dello spin-off è stato possibile tracciare la distribuzione del Calcio nel podere e, di concerto con gli agronomi, individuare le quantità dei trattamenti necessari a migliorare il prodotto. Infine stiamo conducendo, di concerto con l’Associazione Italiana Sommelier (AIS) uno studio sulla geodiversità dei vigneti della Liguria; anche qui, da quanto finora osservato, appare determinante la composizione del suolo a parità di genoma impiantato. I risultati di questo studio, che saranno a breve pubblicati in un apposito volume, sono già stati illustrati con positivi riscontri in occasione della 1357° edizione della Fiera Internanzionale dell’Agricoltura di Santa Lucia di Piave (TV) e del VI Congresso Internazionale sulla Viticoltura di Montagna e in Forte Pendenza tenutosi ad aprile a Conegliano (TV). La via della relazione suolo-prodotto appare quella che maggiormente possa portare ad una “protezione” del Made in Italy al di là di ogni etichettatura legata principalmente ad aree amministrative, come ad esempio le DOP. GeoSpectra, spin-off dell’Università di Genova, si propone come supporto tecnico e scientifico alla definizione di un’identità territoriale delle produzioni. Qual è l’ambito di operatività di Geospectra e quali strumenti di indagine propone? GeoSpectra nasce dalle attività di ricerca svolte presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ambiente e della Vita (DISTAV) dell’Università di Genova che svolge indagini e studi di mineralogia applicata e ambientale e presso il Laboratorio Geomorfolab attivo presso il Dipartimento di Architettura e Design (DAD) dell’Università di Genova. Questo svolge studi e ricerche sull’integrazione dei fenomeni fisici legati all’evoluzione della superficie terrestre con le componenti storico-culturali e antropiche del paesaggio, supportate da strumenti di cartografia informatizzata per l’analisi e la gestione delle variabili territoriali. La “forza” analitica dello spin-off sta nella strumentazione portatile che consente analisi rapide e in situ senza particolari procedure di preparazione dei campioni; la rapidità nell’operatività consente di ottenere elaborazioni quasi in tempo reale
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la relazione suolo prodotto può portare ad una protezione del Made in Italy
(ogni analisi dura poco più di un minuto) e la spazializzazione, utilizzando Sistemi Informativi Geografici (GIS), dei dati degli elementi indagati (tutti quelli della tavola periodica con numero atomico > 12, ossia dal Magnesio in su). Tale capacità analitica può essere applicata all’analisi di qualsiasi materiale: dai suoli, ai pigmenti delle opere d’arte, passando per gli acciai e leghe metalliche. Inoltre lo staff della GeoSpectra ha competenze peculiari anche nella proposizione di progetti di marketing territoriale, disciplina che consente lo sviluppo e la valorizzazione di quello che prima abbiamo definito terroir. La metodologia di indagine che propone GeoSpectra definisce una vera e propria Etichetta Geologica del Prodotto (EGP). Quali sono le sue caratteristiche e quali sono i suoi obiettivi? L’Etichetta Geologica è uno strumento volto a fornire servizi operativi indispensabili per legare un prodotto al suo territorio e renderlo non delocalizzabile. Ne garantisce la tipicità, la diversità e la 03 qualità attraverso la caratterizzazione storica, culturale e geologica del sito. Riteniamo che essa possa rappresentare un “rafforzativo” determinante ai marchi più tradizionalmente intesi (DOP, IGP, ecc.). GeoSpectra nasce all’interno del Laboratorio Geomorfolab del Dipartimento di Architettura e Design (DAD) dell’Università di Genova. In che modo l’analisi dei fenomeni fisici della superficie terrestre può diventare uno strumento utile alla pianificazione urbanistica e del paesaggio e, in senso più ampio, all’architettura?
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Come abbiamo accennato lo spin-off nasce dalle ricerche di due dipartimenti universitari che hanno sempre fatto ricerca applicata; in particolare il Geomorfolab è il laboratorio di Geomorfologia applicata del Dipartimento Architettura e Design (DAD), Scuola Politecnica dell’Università di Genova. Svolge attività di ricerca e supporto alla didattica per l’approfondimento e la comprensione dei processi che concorrono alla formazione del territorio attraverso l’utilizzo di cartografia informatizzata. Il riconoscimento e lo studio degli elementi naturali e la comprensione delle loro relazioni con l’antropizzato permette di apprendere le necessarie capacità di analisi nel rispetto di una corretta gestione dell’ambiente fisico e del paesaggio e costituisce la base disciplinare per lo sviluppo di una corretta pianificazione territoriale. Il laboratorio utilizza tecniche di analisi geografica per lo studio e la valorizzazione del territorio e delle sue risorse. In particolare vengono implementati strumenti GIS e Web-GIS open source per la gestione territoriale e la valorizzazione del patrimonio geologico a supporto dello sviluppo locale, come valore aggiunto per un turismo sostenibile. Il gruppo di lavoro è composto di esperti con diversa formazione, che garantiscono un approccio integrato e multidisciplinare all’analisi del territorio. Inoltre, sono attive collaborazioni con altri gruppi di ricerca (beni culturali, ecologia applicata, marketing territoriale, ecc.).▲
valorizzare il patrimonio geologico come valore aggiunto per un turismo sostenibile
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CELLULOSA
a cura di
Dimmi come va a finire Valeria Luiselli Dimmi come va a finire La Nuova Frontiera 2017 design copertina Flavio Dionisi
www.libreriamarcopolo.com
sullo scaffale
Andrea Staid Abitare illegale Milieu edizioni, 2017 design copertina Francesca Rossi
Dimmi come va a finire di Valeria Luiselli è entrato a far parte dei nostri libri cosiddetti “Maisenza”, quelli che non possono mancare tra gli scaffali in libreria MarcoPolo, vicino a un altro testo fondamentale come Le vene aperte dell’America Latina di Eduardo Galeano. Passano i mesi, e interrogo decine di ragazzi. Le storie che mi raccontano si confondono l’una con l’altra, si mescolano e si rimescolano, si amalgamano. Forse dipende dal fatto che, anche se ognuna è diversa dall’altra, tutte quante alla fine si ricompongono, come pezzi di un grande puzzle. I protagonisti di questa storia sono i bambini che, dall’America del Sud, fuggono negli Stati Uniti, sperando di cambiare vita. A raccontarcela è l’autrice, anche lei in attesa, in attesa di poter considerare gli Stati Uniti la sua terra, in attesa di riuscire a interpretare, attraverso le parole di quei ragazzi, gli ingranaggi di una macchina gigantesca e non equa. A partire dalla parola aliens, declinata in nonresident aliens, resident aliens e removable aliens del gergo della legge sull’immigrazione degli Stati Uniti, passando per il siamo solo scrittori e siamo semplicemente in vacanza, allargando alla dimensione del viaggio e dei viaggi raccontati, ciò che colpisce di Dimmi
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come va a finire è il cambiamento di significato delle parole, parole che siamo sempre stati abituati a pensare e a vivere come lievi, si trasformano bruscamente in veleno. La sensazione forte è che tutti gli attori in causa (migranti, mediatori culturali, traduttori, poliziotti, associazioni umanitarie, avvocati difensori...) siano solo parti di un ingranaggio bestiale che non serve a ridare dignità umana e a ricostruire passati, ma a spaesare completamente coloro che vi finiscono in mezzo, così come ogni domanda del questionario sembra il piolo sdrucciolevole di una scala vertiginosa verso l’inferno. Illuminante è l’intersezione geografica, tutta da immaginare, del percorso in parallelo della scrittrice e dei migranti, la contrapposizione del viaggio, quasi di svago, compiuto dall’autrice, e il calvario dei migranti bambini. Oltre le statistiche che si ritrovano tra le righe, il testo di Valeria Luiselli è un atto d’accusa circostanziato e puntuale riguardo al nostro modo di immaginare il rapporto con l’altro e che vuole riscrivere con maggior “giustizia geografica” il posto che ciascuno di noi occupa nel mondo, un libro per provare a capire il tempo in cui viviamo e che questa che abbiamo sotto i piedi è la terra di tutti.▲
Kent Haruf Benedizione NN Editore, 2015 design copertina 46xy
Fabio Visintin La fiaba definitiva ComicOut 2016 design copertina Fabio Visintin
(S)COMPOSIZIONE
Sapore di terra “Nella tua bocca, ancora spalancata ad invocare l’ultimo aiuto, c’era solo terra e non respiro” I Giganti, Tanto va la gatta al lardo - Su e giù, Terra in bocca. Poesia di un delitto, 1971
Immagine di Emilio Antoniol