ISSN 2532-1218
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n. 17, aprile-maggio-giugno 2017
Acqua
Atlantide di Sara Altamore Sara Altamore è dottoranda in Pianificazione territoriale e politiche pubbliche del territorio, presso l’Università Iuav di Venezia. saraaltamore@gmail.com
Chiara Trojetto
Antropocene È il 1972 quando il gruppo di ricercatori guidato da Donella e Dennis Meadows dà alle stampe il libro The limit to growth, tradotto in italiano con I limiti dello sviluppo. La ricerca, commissionata ai ricercatori del MIT di Boston dal Club di Roma, porta per la prima volta all’attenzione mondiale il tema dei consumi globali e degli effetti che il nostro stile di vita ha sulla Terra. Grazie al simulatore Word3 i ricercatori prevedono che, mantenendo il tasso di crescita dei primi anni ’70, la Terra non sarebbe più riuscita a rispondere alle necessità imposte dal crescente sviluppo umano nei succesivi 100 anni. La teoria fu aspramente criticata, soprattutto da quel filone scientifico che vedeva nello sviluppo tecnologico uno strumento in grado di porre rimedio a tale condizione. La crisi economica del ’73 e la conseguente riduzione dei consumi energetici dovuti alla guerra del Kippur diede il “colpo di grazia” alla teoria che si fondava invece su uno sviluppo continuo ed esponenziale del genere umano. Negli stessi anni, tuttavia, il chimico James Lovelock andava proponendo una nuova teoria nota come Ipotesi di Gaia, fondata sul concetto di Terra come “sistema vivente” composto non solo dal pianeta ma anche dagli organismi su di esso viventi. Un sistema, quello terrestre, capace di autoregolarsi, trasformandosi in seguito a sollecitazioni esterne o interne mediante la modifica delle proprie caratteristiche ambientali, climatiche o fisiche mantenendo in tal modo una certa stabilità. Anche l’Ipotesi di Gaia fu scarsamente considerata dalla scienza almeno fino al 2001 quando con la Dichiarazione di Amsterdam il concetto di “autoregolazione del pianeta” è stato finalmente riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale. L’attuale presa di coscienza sul tema ambientale è quindi frutto di ricerche condotte già dagli anni ’70 che tuttavia hanno saputo smuovere la politica e la comunità scientifica solo trent’anni dopo. Risale infatti al 1992 la pubblicazione di Oltre i limiti dello sviluppo, revisione della prima ricerca condotta dal team di Boston, che mette in luce un avanzamento inaspettato dei livelli di sfruttamento del globo tali da portare alla definizione del concetto di “superamento del limite”. Nonostante i recenti tentativi di cambio di rotta, la situazione sembra ormai sfuggita al nostro controllo tanto da portare il chimico Premio Nobel Paul Crutzen a coniare il termine “Antropocene” per definire la nuova era geologica che, a partire dai primi del ’900, individua nell’attività umana la principale causa di trasformazione del territorio e, più in generale, della Terra. L’acqua, primo elemento del ciclo di OFFICINA* sui cambiamenti climatici e risorsa essenziale per la vita, risulta essere uno tra i più importanti indicatori di questo mutamento per l’assoluto bisogno che l’uomo ha di essa. Una centralità non certo nuova alla cultura contemporanea come testimonia Water degli Who, brano pensato per l’incompiuta opera rock LifeHouse che, a cavallo tra il 1970 e il 1971, propone una visione post-apocalittica della Terra dove, a causa dell’eccessivo inquinamento, gli uomini sono costretti a vivere all’interno di “tute” (lifesuits) che diventano l’unico mezzo per consentire un rapporto tra essere umano e natura. Emilio Antoniol
Direttore editoriale Emilio Antoniol Direttore artistico Margherita Ferrari Comitato editoriale Valentina Covre, Margherita Ferrari, Francesca Guidolin, Valentina Manfè, Daria Petucco, Chiara Trojetto Comitato scientifico Fabio Cian (direttore), Sebastiano Baggio, Matteo Basso, MariaAntonia Barucco, Viola Bertini, Federico Dallo, Doriana Dal Palù, Francesco Ferrari, Michele Gaspari, Silvia Gasparotto, Giovanni Graziani, Michele Marchi, Patrizio Martinelli, Cristiana Mattioli, Corinna Nicosia, Fabio Ratto Trabucco, Chiara Scarpitti, Barbara Villa, Carlo Zanchetta, Paola Zanotto Redazione Valentina Manfè (esplorare), Chiara Trojetto (infondo), Margherita Ferrari (portfolio), Paolo Borin (BIMnotes), Francesca Guidolin (microfono acceso), Libreria Marco Polo (cellulosa) Copy editor Emilio Antoniol (caposervizio), Valentina Covre Impaginazione Margherita Ferrari Grafica Stefania Mangini, Chiara Trojetto Photo editor Letizia Goretti Testi inglesi Giorgia Favero, Antonio Sarpato Web e social media Emilio Antoniol, Luca Casagrande, Margherita Ferrari Progetto grafico Margherita Ferrari, Valentina Covre, Chiara Trojetto
OFFICINA* “Officina mi piace molto, consideratemi pure dei vostri” Italo Calvino, lettera a Francesco Leonetti, 1953
Trimestrale di architettura e tecnologia N.17 apr-giu 2017 Acqua
Proprietario Associazione Culturale OFFICINA* e-mail info@officina-artec.com Editore Incipit Editore S.r.l. Sede legale via Asolo 12, Conegliano, Treviso e-mail editore@incipteditore.it Stampa Press Up, Roma Tiratura 500 copie Chiuso in redazione il 16 maggio 2017, in una giornata di sole Copyright opera distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale L’editore si solleva da ogni responsabilità in merito a violazioni da parte degli autori dei diritti di proprietà intelletuale relativi a testi e immagini pubblicati.
Direttore responsabile Emilio Antoniol Registrazione Tribunale di Treviso n. 245 del 16 marzo 2017 Pubblicazione a stampa ISSN 2532-1218 Pubblicazione online ISSN 2384-9029 Accessibilità dei contenuti online www.officina-artec.com Abbonamenti e-mail abbonamenti@incipiteditore.it online www.incipiteditore.it Prezzo di copertina 10,00 €
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO: Stefanos Antoniadis, Federica Appiotti, Carmela Apreda, Gianpaolo Arena, Chiara Becciu, Irene Bianchi, Marina Caneve, Cristina Cecchini, Giulio Ceppi, Michele Dalla Fontana, Elena Gissi, Fausto Guzzetti, Alberto Innocenti, Elena Longhin, Chiara Montanari, Denis Maragno, Francesco Musco, Dan Narita, Alessandra Ongaro, Silvia Santato, Irene Lia Schlacht, Emmanuele Villani, Elisa Zanut.
INDICE
n•17•apr•giu•2017
ESPLORARE
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a cura di Valentina Manfè
Acqua
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introduzione di Emilio Antoniol
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Territori consequenziali Elena Longhin
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Water Scarcity Dan Narita
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La crisi idrica nell’area metropolitana di São Paulo Michele Dalla Fontana e Franscesco Musco
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Impatti dei cambiamenti climatici sul sistema urbano Carmela Apreda
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Prelievi idrici in un clima che cambia Silvia Santato
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A place in the sun Giulio Ceppi, Irene Lia Schlacht, Emmanuele Villani, Chiara Montanari
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Il progetto Adriplan Federica Appiotti, Irene Bianchi, Denis Maragno, Alberto Innocenti, Elena Gissi, Francesco Musco
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Infondo a cura di Emilio Antoniol e Chiara Trojetto
PORTFOLIO
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Vedere dall’acqua Stefanos Antoniadis
IN PRODUZIONE
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Acqua, bioindicatori e sostenibilità ambientale Elisa Zanut
VOGLIO FARE L’ARCHITETTO
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Lungomare Castigliocello 2.0 Chiara Becciu
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Verso il Parco della Pace Alessandra Ongaro
IMMERSIONE
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Equilibri instabili nel progetto CALAMITA/À Marina Caneve e Gianpaolo Arena
BIM NOTES
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Occasioni progettuali dalle analisi energetiche BIM based Cristina Cecchini
MICROFONO ACCESO
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Fausto Guzzetti a cura di Francesca Guidolin
CELLULOSA
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Flair Play a cura dei Librai della Marcopolo
(S)COMPOSIZIONE
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We need water a cura di Emilio Antoniol
Atlantide Sara Altamore
ESPLORARE
4 OFFICINA*
di alle stanze del fare: La strada dei sassi, Lascia la tua impronta, Il gioco del filo di lana blu e I giochi di luce. In questi spazi regnano la sorpresa e la gioia della scoperta. Ogni piccola personale opera d’arte, che in questi spazi possiamo liberamente produrre, non può essere conservata ma deve essere distrutta per far sì che di essa rimanga solo l’esperienza. Valentina Manfè 57. Esposizione Internazione d’Arte 13 maggio 2017 - 26 novembre 2017 La Biennale di Venezia Giardini e Arsenale, Sestiere Castello (VE) www.labiennale.org 120 artisti provenienti da 51 paesi diversi saranno i protagonisti della 57^ edizione della Biennale d’Arte dal titolo Viva Arte Viva. L’esposizione si sviluppa attorno a 9 capitoli o “famiglie di artisti”, 2 nel Padiglione Centrale e 7 tra l’Arsenale e il Giardino delle Vergini. L’idea della curatrice Christine Macel è di proporre un racconto che narri, attraverso le opere, la complessità del mondo, la molteplicità delle posizioni e la varietà delle pratiche artistiche. L’ispirazione viene dall’umanesimo. Un umanesimo che celebra la capacità dell’uomo, attraverso l’arte, di dominare quelle forze che altrimenti condizionerebbero negativamente la nostra dimensione. Visitare la Biennale ci permetterà di fare un viaggio, forma ricorrente tra gli autori umanisti, durante il quale si incontreranno gli artisti e ci si confronterà con loro. Incontro e dialogo sono infatti il fulcro di questa Biennale che è a tutti gli effetti una Biennale con gli artisti, degli artisti e per gli artisti. Caterina Trevisan
Autism 2013 - Lai Firenze
BRUNO MUNARI: ARIA I TERRA 9 aprile 2017 - 05 novembre 2017 Palazzo Pretorio, Cittadella (PD) www.fondazionepretorio.it “Un esempio di forma spontanea è questo oggetto luminoso. Il materiale è un tubo di filanca. Da molto tempo pensavo all’elasticità come componente formale di oggetti e un giorno sono andato in una fabbrica di calze per vedere se mi potevano fare una lampada. Noi non facciamo lampade signore. Vedrete che le farete. E fu così.” Lampada Falkland da Arte come mestiere di Bruno Munari. Dal 9 aprile 2017 al 5 novembre 2017 il Palazzo Pretorio di Cittadella accoglie la mostra “BRUNO MUNARI: ARIA | TERRA” curata da Guido Bartorelli, dove la metodologia didattica di Bruno Munari basata sul “fare per capire”, sul “dire come e non cosa fare” prende vita. La mostra è stata promossa dalla Fondazione Palazzo Pretorio Onlus, in collaborazione con il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova e dall’Associazione Bruno Munari (ABM); proprio l’ABM è stata creata con l’obiettivo di promuovere la diffusione dell’opera e del Metodo Bruno Munari®. Pittura, scultura, sperimentazioni con tecniche innovative, grafica, design, editoria, fino ai laboratori per bambini (e adulti), tutto questo è Bruno Munari. L’esposizione ruota intorno alla grande polarità tra aria e terra. Si viene introdotti alla mostra da un film sperimentale di Munari e Piccardo del 1964 dal titolo Tempo nel tempo, ripreso a tremila fotogrammi al secondo. Il tema dell’aria viene declinato in diverse soluzioni: dai progetti e realizzazioni delle varie Macchine inutili dove l’aria permette di vedere un opera d’arte sempre diversa, al progetto e prototipo della Lampada Falkland, alla curva di Peano, all’opera Concavo-convesso dove luci e ombre fanno da padrone, alla serie Filipesi, alle proiezioni dirette, fino ai progetti per il giocattolo per il vento e la stazione metrologica. Il secondo polo della mostra è la terra, dove la leggerezza dell’aria si traduce nel fare, per divulgare. Nascono così le stanze del fare, parte integrante della mostra, concepite come laboratori dove poter sperimentare: l’arte è un bene comune, non privilegio di pochi artisti, “l’arte è di tutti”. Le stanze espositive si alternano quin-
Pesci? No, grazie, siamo Mammiferi! 11 giugno 2016 - 4 giugno 2017 Museo Civico di Storia Naturale, Ferrara www.storianaturale.comune.fe.it Il mondo dei cetacei racchiuso in un museo. Questa è la straordinaria mostra presente al Museo Civico di Storia Naturale di Ferrara. L’esposizione è stata dedicata al “padre” della cetologia moderna italiana, il prof. Luigi Cagnolaro, attivo nelle iniziative pubbliche e negli interventi per la sensibilizzazione e la crescita della cultura naturalistica. Fu lui che avviò un progetto nazionale di recupero dei cetacei spiaggiati sulle coste italiane e fu inoltre uno dei precursori della museologia moderna. In questa mostra, ricerca e museo si incontrano. Uno scheletro a grandezza naturale di un tursiope, un cranio e un dente di narvalo, un feto di stenella striata, un cranio a grandezza naturale di pontoporia, uno scheletro a grandezza naturale di grampo; evoluzione e anatomia di questi particolari mammiferi viene illustrata mediante modelli e reperti supportati da suoni, filmati, immagini e testi. Una sezione della mostra è dedicata inoltre ai pesanti rischi che corrono i cetacei causati dalla pesca eccessiva e dal fenomeno degli spiaggiamenti, diffuso anche sulle coste dell’Adriatico. Nel percorso della mostra si sarà condotti sonoramente dagli affascinati canti delle balene. Valentina Manfè Picasso e Napoli. Parade 10 aprile 2017 - 10 luglio 2017 Museo di Capodimonte, Napoli www.museocapodimonte.it Il 2017 è il centenario del viaggio in Italia di Pablo Picasso, pittore, scultore, litografo spagnolo. Parade è un balletto del 1917 di Léonide Massine, dove Picasso si occupò dei costumi e delle scene. Gli studi a tempera per questi rivelano la magia che gli affreschi di Pompei suscitarono in lui e quanto rimase colpito dal teatro popolare italiano. La mostra si sviluppa nel Museo di Capodimonte dove sono esposte alcune opere di Picasso - e non solo - e nel Salone delle Feste dell’Appartamento Reale di Capodimonte, dove è stata portata dal Museo Pompidou di Parigi la grande scenografa della Parade. Valentina Manfè
N.17 APR-GIU 2017 5
Aldo Ballo. Crediti: Fondazione Jacqueline Vodoz e Bruno Danese
Era l’anno 600 della vita di Noè, ai diciassette del secondo mese: in quel giorno tutte le fonti del grande abisso si aprirono, e la pioggia cadde sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. […] Le acque sorpassarono di quindici cubiti le vette dei monti e questi rimasero sommersi. E ogni carne che si muoveva sulla terra, uccelli e animali domestici e fiere, ogni rettile strisciante sulla terra e ogni uomo perì. La Sacra Bibbia, Libro della Genesi 7,11-7,21
The water threat has always been present in human history. As well as many other sacred texts of major religions, the Bible tell us about a catastrophic event at the dawn of the human race that brought it to its destruction. An event usually connected to water: a flood so big to overwhelm and destroy everything that was living on Earth. Today, climate and global changes also due to the human action make this element an increasingly rare and valuable resource but, simultaneously, also a threat difficult to control. The articles included in this OFFICINA* issue want to investigate precisely this dual condition where droughts and floods, water shortages and waste, water as source of life as well as the cause of death are intertwined in a unique reasoning that finds its focal point in the role of humanity and its ability to respond to these environmental changes. Therefore, the rainbow chosen by God as the symbol of the alliance between Himself and humanity, can become a warning of the “new peace” between men and the World they live in. Emilio Antoniol
Sara Altamore
La minaccia dell’acqua è presente da sempre nella storia umana. La Bibbia, così come molti altri testi sacri delle principali religioni, narrano di un evento catastrofico che ai primordi della razza umana la portò alla sua quasi totale distruzione. Un evento spesso connesso all’acqua: un diluvio, un’alluvione o un’inondazione tanto grande da sommergere e distruggere tutto ciò che di vivente si trovava sulla Terra. Oggi, i cambiamenti climatici e globali dovuti anche all’azione antropica rendono questo elemento una risorsa sempre più rara e preziosa ma, contemporaneamente, anche una minaccia difficile da controllare. Gli articoli raccolti in questo numero di OFFICINA* vogliono indagare proprio questa condizione duale in cui siccità e inondazioni, penuria e spreco, acqua come fonte di vita e acqua come causa di morte si intrecciano in un unico ragionamento che trova il suo punto focale nel ruolo dell’umanità e nella sua capacità di rispondere a questi mutamenti ambientali, affinché l’arcobaleno, scelto da Dio come simbolo del patto di alleanza tra lui e l’umanità, possa diventare monito di una “nuova pace” tra l’uomo e il Mondo in cui esso vive. Emilio Antoniol
Territori consequenziali Lo sfruttamento delle risorse idriche del bacino del mare d’Aral
Elena Longhin è architetto, dottoranda in Urbanistica presso l’Università Iuav di Venezia e direttrice dell’AA Terrain Lab Visiting School Programme. Ha studiato a Venezia (Iuav), Hong Kong (HKU) e Londra (AA) dove insegna dal 2015. e-mail: longhin.elena@gmail.com
In October 2014, the Aral Sea 68,000 square kilometers’ basin has been announced extinct. Reckless water resources practices implemented since the 60s to harvest cotton turned the sea into the biggest manmade desert, a saline field covered with windblown sand. The loss of the sea changed irreparably the environment of Central Asia. The new desert emits massive amounts of salt, dust and pesticides into the atmosphere able to reach miles away, Greenland glaciers, forests of Norway, Antarctica. The exacerbate use of land in response to growing production demands is posing serious threats to land resources and inhabited surrounding places. We acknowledge the concept of the Anthropocene, this new epoch of geologic time of which humans are direct drivers. Recent times have seen the rise of claims about the overuse of land and unsuitable agricultural processes that provoke droughts and desertification, leading to increasing competition over environmental resources, therefore instability, large-scale migrations and human conflicts. This article focuses on those anthropogenic practices which exploit territories to meet global market production demands. It explores alternative territorial organizations for the cities located around the newly born Aralkum desert. The knowledge extracted from the research “Projective Sandscapes” aims at building a frame approach to tackle territorial management of peri-urban areas through the construction of future scenarios and debate over the role of consequential landscapes.
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l deserto di Aralkum, situato in Asia centrale a cavallo del confine tra il Kazakhstan e l’Uzbekistan, è una nuova superficie terrestre, frutto del prodotto dell’uomo. Originariamente esso costituiva il fondale del mare d’Aral, un bacino d’acqua di sessantottomila chilometri quadrati, dichiarato ufficialmente estinto nell’ottobre 2014. Attualmente, un immenso territorio di sabbia salata, ricoperto di conchiglie e impregnato di pesticidi, ha preso il suo posto. A memoria del passato rimangono solo alcuni pescherecci adagiati tra mutevoli dune di sabbia, unici testimoni di un ecosistema irrimediabilmente scomparso (img. 01). Fin dall’antichità il ruolo del mare d’Aral è stato cruciale sia sul piano ambientale che economico-sociale in quanto elemento cardine di una immensa oasi climatica composta da un ecosistema di laghi minori e paludi, biologicamente caratterizzati da una ricca biodiversità. Il lago rappresentava per le popolazioni autoctone un’incredibile fonte di risorse, prima fra tutte la pesca1 (img. 02). Ai giorni nostri, il fondo del perduto mare d’Aral è esposto a forti venti in grado di trasportare la sabbia a chilometri di distanza, costituendo una questione ambientale su scala globale. Tracce di pesticidi e sale sono stati infatti ritrovati anche in territori lontani, tra i quali le foreste norvegesi, i ghiacciai della Groenlandia e all’interno dei polmoni dei pinguini antartici (Ceylan, 2008), testimoniando quali siano le implicazioni globali di un disastro ambientale di tale portata. Un piano utopico Tra gli anni ’30 e ’40 l’economia sovietica ambiva allo sviluppo di sistemi produttivi e industrie locali che portassero beneficio all’Unione nel suo complesso attraverso una serie di riforme e piani nazionali. Nelle regioni dell’Asia centrale le autorità moscovite decisero di impiantare una delle più grandi coltivazioni di cotone, con l’obiettivo
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di rispondere alla crescente domanda tessile di Europa e Russia. Dal 1961 le aree coltivate, di fatto, triplicarono sino a raggiungere gli attuali 8 milioni di ettari, sviluppandosi prevalentemente lungo i fiumi Amu Darya e Syr Darya: un vastissimo progetto di diversione di questi due affluenti ebbe inizio negli anni ’50, creando in quei territori la più grande area coltivata al mondo. L’ambizioso progetto, che prevedeva un piano estensivo di approvvigionamento e drenaggio, venne pianificato dall’architetto Grigory Voropaev, il quale concepiva l’Aral come un enorme “errore” naturale da correggere per il bene comune. La fitta rete di canali tracciati a deviazione del solo fiume Amu Darya raggiunge ad oggi 16.000 chilometri, 6.000 dei quali costituiti da canali di irrigazione, e i restanti caratterizzati da collettori di drenaggio posizionati nel sud Karaklpakstan e nella regione di Khorezm. Poco meno del 12% dei canali vennero adeguatamente progettati, mentre la maggioranza degli stessi furono, nel corso degli anni, semplicemente scavati nel terreno, riducendo la quantità d’acqua che raggiunge effettivamente le coltivazioni (Dubovyk, 2013). Le dinamiche in atto sono parte di una emergenza territoriale più ampia: i cinque ex Stans Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, iniziarono la contesa su quella che divenne la risorsa sempre più rara, l’acqua (Daly, 2015), attraverso la costruzione di dighe, bacini di stoccaggio, canali di irrigazione e deviazione degli alvei. La conseguente diminuzione del flusso d’acqua verso il mare d’Aral ha esacerbato il processo di evaporazione, accelerando drasticamente la perdita di livello del bacino2 (img. 07). Grandi aree in Asia centrale sono al momento afflitte dal deterioramento dei suoli dovuto prevalentemente a pratiche di sfruttamento del terreno e di gestione delle acque scellerate, eredità dei sistemi di irrigazione precedenti adottati (img. 03). Ancora ad oggi l’Uzbekistan continua a mal gestire quelle che sono le sue risorse vitali: il 60% dell’acqua di irrigazione viene infatti dispersa nel terreno o evapora prima di raggiungere le coltivazioni.
lo scenario traccia le forme di una città-territorio come strategia resiliente di crescita e ricucitura delle fratture urbane e sociali tra la città rigida (il nucleo sovietico) e la campagna
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I territori dell’Antropocene La profonda e permanente trasformazione in atto sull’ecologia terreste, sui sistemi idrici e biodiversità, assieme a cambiamenti climatici, ha portato recentemente gli scienziati a riconoscere, quali sinergie globali, l’emergenza di sistemi antropici in grado di trasformare il sistema Terra (Ellis, 2014), come è accaduto nel caso del mare d’Aral. L’agricoltura e gli insediamenti urbani (la relazione tra città-campagna), ossia le strutture antropiche chiave per l’evoluzione del rapporto tra uomo e natura (Marchetti, Lasserre, Pazziagli, Sallustio, 2014) hanno già plasmato più di tre quarti della biosfera terrestre in biomi antropogenici o anthromes. Il rapporto su ampia scala tra attività agricola e territorio (la territorializzazione) può essere individuato come il fattore di modificazione principale dell’epoca in cui viviamo: studi recenti dimostrano che i territori antropizzati, stimabili al 75% delle terre emerse (Ellis e Ramankutty, 2008 in Marchetti, Lasserre, Pazzagli, Sallustio, 2014), hanno ormai superato per estensione gli ecosistemi inviolati (McCloskey, Spalding 1989; Vitousek et al. 1997; Sanderson et al. 2002; Meittermeier et al. 2003; Foley et al. 2005 in Marchetti, Lasserre, Pazzagli, Sallustio, 2014). Le modifiche apportate fino ad oggi ai sistemi idrogeologici (le trasformazioni dei delta, lo spostamento di corsi fluviali, la costruzione di dighe, ecc.) hanno spostato maggiore massa di quanto abbiano fatto in passato interi oceani o fiumi (Palmesino, 2015). Il nostro impatto è così decisivo da averci spinto in una nuova era geologica, l’Antropocene, o in altre parole l’epoca dell’uomo3.
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Processi di desertificazione e il progetto Projective Sandscapes L’uso intensivo del suolo, in risposta alla crescente domanda produttiva, pone seri problemi alle risorse disponibili. In misura sempre maggiore i territori vengono utilizzati oltre le loro naturali capacità attraverso pratiche di agricoltura industriale, attività estrattive, sviluppo infrastrutturale e deforestazione. La ridotta capacità del terreno di sostenere la produzione di nuovo capitale economico (sia esso cibo, energia rinnovabile o monocolture estensive) è un fenomeno in crescente espansione, che genera degradazione dei suoli e, in casi estremi, desertificazione. La Convenzione per la Lotta alla Desertificazione delle Nazioni Unite (UNCCD, 2007) definisce il processo come “degradazione del suolo in arido, semi arido e secco come risultato di diversi fattori, inclusi i cambiamenti climatici e le attività umane” (UNCCD, 2007). Il fenomeno è graduale e imputabile a una varietà di fattori, tra cui la perdita di specificità agrarie, di qualità organica e una conseguente ridotta capacità produttiva sia dei terreni coltivati che di quelli boschivi. La causa principale è riconducibile a pratiche antropiche insostenibili (WAD, 2001) che incidono in misura tale da causare un profondo deterioramento biologico progressivo (ECJR, 2011). Per questo la desertificazione è definibile come l’ultimo stadio estremo di questo processo di impoverimento del suolo, di cui l’uomo è il principale artefice (UNCCD, 2007). Essa rappresenta il risultato di pratiche di utilizzo del territorio che rientrano in specifici sistemi di gestione territoriale. L’amministrazione delle risorse idriche e del territorio e il miglioramento delle pratiche agricole e di allevamento si identificano quindi come
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strumenti principali per la prevenzione dei processi di desertificazione. La sfida è dunque quella di ritracciare i sistemi di territorializzazione odierna (e futura) attraverso una riflessione attenta delle connessioni esistenti tra pratiche antropiche e matrici ecologiche esistenti: lo sforzo da attuarsi deve necessariamente operare sia su scala globale che locale, a livello sociale e politico, con lo scopo primario di promulgare una “cultura della prevenzione” che permetta la conservazione degli ecosistemi fragili (Unimondo, 2007). Lo studio di questi sistemi, attraverso strumenti quali la costruzione di scenari futuri, ci permette di valutare ipotesi economiche, politiche, tecnologiche e territoriali, delle scelte di progetto (in altre parole delle scelte urbanistiche) da attuarsi al principio dei processi di sviluppo o alternativamente come pratiche di resilienza. Il progetto di ricerca Projective Sandscapes4 sul territorio del deserto dell’Aralkum ha permesso di sviluppare il secondo tipo di scenario sopra descritto, immaginando un sistema di agroforestazione inserito nei territori urbani e periurbani. Il campo di indagine è quello del territorio a sud del deserto (in prossimità del vecchio waterfront) dove i terreni agricoli sviluppano una fitta maglia coltivata a ridosso del fiume Amu Darya. L’organizzazione territoriale di queste aree si è sviluppata prevalentemente su due sistemi: quello dominante delle grandi coltivazioni di proprietà statale o collettive shirkats (che producono prevalentemente cotone con una dimensione media di quaranta ettari) e quello dei piccoli appezzamenti dehkan (di circa duemila metri quadrati), i quali forniscono il 60% della produzione alimentare in solo il 5% dei territori coltivabili, costituendo per di più l’unica forma di attività agricola privata.
il nostro impatto è così decisivo da averci spinto in una nuova era geologica, l’Antropocene, o in altre parole l’epoca dell’uomo
La città in esame è Nukus, la capitale del Karakalpakstan, collocata dove il sistema agrario sta cedendo velocemente spazio all’avanzare del deserto (img. 04). Lo scenario immaginato per Nukus, caratterizzata da un rigido sistema urbano di matrice sovietica che si sfrangia a contatto con la ruralità circostante, prevede di lavorare sul bordo della città e sulle aree marginali improduttive e compromesse. La lettura delle funzioni dei luoghi della città ha portato ad individuare le aree da preservare, attraverso un sistema potenzialmente articolabile in fasi successive. L’inserimento di pratiche di agroforestazione consente l’utilizzo di attività agricole integrate a processi di allevamento, favorendo la creazione di micro sistemi ecologici ed economici in grado, nel contempo, sia di mitigare il movimento delle dune di sabbia (grazie alle piantumazioni) sia di plasmarne la portata (attraverso strumenti di gestione delle stesse), oltre che a proporre un sistema alternativo di gestione
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IMMAGINI 01 - I relitti del mare d’Aral, Uzbekistan, Maggio 2015. Crediti: Elena Longhin. 02 - Fra’ Mauro, dettaglio da Il Mappamondo, 1450, Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia. 03 - Mappa dell’utilizzo delle risorse idriche in Asia Centrale, 2015. La mappa descrive l’utilizzo idrico e la deviazione dei fiumi in Asia centrale. Crediti: Elena Longhin, Howe Chan, Chris Lo. 04 - Mappa del bacino del mare d’Aral e della pressione dei venti e delle sabbie sui territori coltivati. Crediti: Elena Longhin. 05 - Il deserto Aralkum, Uzbekistan, Maggio 2015. Crediti: Elena Longhin. 06 - Manufactured Ground, Projective Sandscapes, Landscape Urbanism Master Degree Project at the AA Architectural Association School of Architecture, 2015. Crediti: Elena Longhin, Howe Chan, Chris Lo. 07 - Territorial Formation, Projective Sandscapes, Landscape Urbanism Master Degree Project at the AA Architectural Association School of Architecture, 2015. Crediti: Elena Longhin, Howe Chan, Chris Lo.
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dell’acqua (con una nuova gestione del sistema idrico nel paesaggio agrario), dando così origine a un cluster di “oasi” produttive e insediative (img. 06). Attraverso lo sviluppo di sistemi cartografici e modelli di simulazione (ArcGIS, Python, Cellular Automata, per citare i principali) si è potuto testare le caratteristiche spaziali di questo sistema e costruire un catalogo di strumenti e operazioni, ipotizzando dapprima un intervento resiliente sui luoghi e, successivamente, una ricucitura e riappropriazione per fasi degli spazi intermedi attraverso l’espansione della stessa strategia. Il progetto ambisce alla costruzione di un arcipelago fatto di quartieri e tessuti coltivati che instaurano una sequenza “vuoto-pieno” con la morfologia del territorio, una sorta di tessuto pavillionnaire tra la città e il deserto composto di edifici, piani d’uso collettivi e masse arboree, tenuto insieme dalle strutture lineari urbane (siano esse sistemi di comunicazione, di trasporto o frammenti di città preservati) (Viganò, 2002). Lo scenario traccia le forme di una città-territorio (Quaroni, 1962) come strategia resiliente di crescita e ricucitura delle fratture urbane e sociali tra la città rigida (il nucleo sovietico) e la campagna. L’intento progettuale è stato quello di costruire una serie di dispositivi territoriali in grado di individuare delle pratiche concrete a integrazione di quelle di più pura promozione e salvaguardia come quelle individuate nella Convenzione Europea del Paesaggio. All’interno di questo processo è stata cruciale l’individuazione di un sistema di pratiche che fossero ricostruibili in territori caratterizzati da analoghi sistemi ecologici, con l’obiettivo di aprire una riflessione più ampia sulle conseguenze, non volute, delle azioni del presente sul paesaggio e sulle strategie progettuali possibili per i territori consequenziali.▲ 06
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NOTE 1 - Alcuni documenti antichi, come la Tabula Rogeriana, gli Atlanti Catalani e il Mappamondo di Fra’ Mauro, ci mostrano come rappresentasse il punto cardine per l’insediamento di moltissime comunità, le quali diedero vita a numerose città che ne costellavano il bacino, incrociando la via della seta. 2 - Nonostante alcuni tentativi di salvaguardia delle acque tramite la costruzione in Kazakhstan, nel 2005, di una diga da parte della World Bank, il 90% del volume del mare è andato perduto, causando un abbassamento del livello delle acque di 23 metri. 3 - Secondo il chimico olandese Paul J. Crutzen, l’Antropocene sarebbe iniziato con la scoperta da parte di James Watt del motore a vapore nel 1784. Attualmente l’International Commission on Stratigraphy e l’International Union of Geological Sciences stanno valutando se riconoscerla come nuova era geologica. 4 - Projective Sandscapes è stato sviluppato tra il 2014 e il 2015 all’interno del master postgraduate Landscape Urbanism all’Architectural Association di Londra. BIBLIOGRAFIA - Breckle S.W., Wucherer W., Dimeyeva L. A., Ogar, N.P., “Aralkum - a man-made desert. The desiccated floor of the Aral Sea (Central Asia)”, Springer-Verlag Berlin Heidelberg, 2012. - Ceylan T., “The death of the Aral Sea”, Issue 66, Nov- Dec 2008. - Daly J. C. K., “Central Asia’s melting glaciers prompt water crisis”, Sept 14, 2015. www.goo.gl/ S4N4t0, presa visione 15.09.2015. - Dubovyk O., “Dissertation. Multi-scale targeting of land degradation in northern Uzbekistan using satellite remote sensing”, University of Bonn, 2013. - Ellis E.C., “Ecologies of the Anthropocene. Global upscaling of social-ecological infrastructures”, in “New Geographies 06, Grounding Metabolism”, a cura di Ibañez D. e Katsikis N., Harvard University Press, 2014. - Environmental Justice Foundation (EJF), “The true costs of cotton”, 2014. Disponibile su www. ejfoundation.org/reports, presa visione 10.10.14. - European Commission Joint Research Centre, 2011. www.wad.jrc.ec.europa.eu - Marchetti M., Lasserre B., Pazzagl, R., Sallustio L., “Spazio rurale e urbanizzazione: analisi di un cambiamento” in Scienze del Territorio n. 2, 2014, Firenze University Press, pp. 239-248. - Palmesino J., “An Interview as part of the Anthropocene observatory”, 07.02 – 24.06.2015, “Bringing awareness kindly”, Utrecht, Netherlands, 2015. Disponibile su www.goo.gl/Gpeo8f, presa visione 02.10.2016. Quaroni L., “Verso la città-regione?” in Quaroni L., “La città fisica”, a cura di Terranova A., Laterza, Bari, 1981. - Unimondo, Scheda “Deserti e desertificazione”, 2007. www.goo.gl/v08jzA, presa visione 10.02.2017. - United Nation Convention to Combat Desertification, 2007. www.2.unccd.int, presa visione 11.11.2014. - Viganò P., “La città elementare”, Skira, 2002. - World Atlas of Desertification, European Commission, 2011. www.wad.jrc.ec.europa.eu/mapping
Projective Sandscapes www.goo.gl/ZCEmqC
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Water Scarcity Dependencies and the definition of reciprocal relationships between territories and the mega-city
Dan Narita è dottorando in Urbanistica all’Università Iuav di Venezia. e-mail: dan_narita@hotmail.com
Di fronte al problema della scarsità d’acqua, l’articolo esplora le potenziali multi-funzionalità delle reti idriche nei territori rurali. Dato che le attività economiche stanno gradualmente adottando gli approcci definiti dall’economia circolare, obiettivo del lavoro è quello di discutere diversi modi in cui le transazioni da urbano a rurale basate sull’acqua potrebbero essere più sostenibili e gestite in modo più efficace. Un caso di studio per questo tipo di interdipendenza territoriale è il bacino del fiume Dongjiang nel Guangdong, in Cina. Si tratta di una rete ecologica che comprende il delta del Pearl River e le sue megacities, il relativo hinterland e i corridoi industriali che si sono formati tra queste due parti. Per promuovere un uso ecologicamente consapevole dell’acqua, nell’articolo sono proposte idee migliorative come l’introduzione di un sistema di idro-credito e come il regolamento di ecocompensazione volto a proteggere territori dallo sfruttamento e dal degrado ambientale. L’idea di monetizzare ulteriormente l’acqua, al pari di una merce, può infatti contribuire ad aumentare la consapevolezza della scarsità di questa risorsa esauribile. Ulteriori nuovi modi di commercializzazione potrebbero inoltre aggiungere valore alla multifunzionalità intrinseca delle reti idriche esistenti.
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he commoditization of water as a tradable resource raises fundamental ethical and moral questions. In some parts of the world, the right of access to water has become a contentious issue, as opposed to being a basic entitlement. It is a resource affected by the Tragedy of the Commons (Hardin, 1968). Water depletion is one of the slow burning environmental stresses (Rodin, 2014). It is a serious impediment for securing resilience in distressed territories and new emerging cities. Protection of this natural capital has become critical. The question of ecological degradation and climate change, are a limiting factor for the environmental carrying capacity (Fang, 2015) for further urbanization of rural territories and the growth of mega-city regions. In response to the issue of water scarcity, eco-compensation mechanisms (Zhang, Bennett, Kannan and Jin, 2010) and water trading systems are emerging (Hung and Shaw, 2005). Environmental resource credit systems try to curb further pollution and shortage of fresh and ground water. Some of the measures are the establishment of water quality trading markets and water purification environmental credit systems, gradually gaining acceptance in formal municipal administrations. Eco-compensation frameworks by the financial departments of provincial municipalities impose fees on the use of ecological services. Payments from beneficiaries of ecological services are collected in funds for ecological restoration and protection projects (Li and Liu, 2010). As China is undergoing large scale territorial transformations, it is necessary to explore alternative systems of natural resource sharing and re-distributions. Settlements previously sustained by agriculture, forestry and fisheries, sacrifice land and water reservoirs for urban expansion and the creation of tourist destinations at the expense of
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protecting their habitat and water networks. Natural capital such as water, soil, clean air and bio-diversity, become swallowed by rapidly growing cities driven by short-term economic objectives. There is a lack of consideration for the long-term, irreversible damages to eco-system services caused to ecological resources. Under reciprocal eco-compensation frameworks the main actors are the more wealthy urban municipal administrations consuming eco-system services and the lower-income farming communities supplying ecological services (Qiu-cheng, T.A.N., 2009). This type of framework regulates financial transfer programs for exchanges of environmental resources between them (Jun, Rongzi, Jingzhu and Hongbing, 2008). In China, it is predominantly the underdeveloped, lower income agricultural communities and impoverished rural villages, which provide hydrological resources to metropolitan expansion for local government income, without taking into account the unintended consequences and negative externalities of urban development. To avoid compromising the integrity of common environmental resources and water pollution by rapid urbanization, the interests of territories for a future resilience need to be better protected. This may be achieved through the establishment of more carefully considered interdependencies between urbanized areas and rural territories. Policies which would impose taxes and fees on resource extrac-
tion and water pollutant discharge (Jun, Rongzi, Jingzhu and Hongbing, 2008) by metropolitan areas, may reduce further environmental damage and give greater control to rural communities over the use of local natural resources. Relationship of mega-city with its remote hinterland and in-between industrial corridors Water consumption and pollution in Chinese mega-cities is amplified due to the growing urban population currently at 54%. The target of an urbanization rate of 70% by 2050 (Magnus, 2012), will cause further stresses on water demand and water pollution. Chinese economic growth driven by the development of cities, is supported by rural migrant workers being employed on construction sites for infrastructural, manufacturing and housing developments. Rural populations not only provide the labour to construct cities, but also become involved in water pollution generating activities negatively impacting their own water reservoirs in their rural hinterlands. While sacrificing their own environmental resources in the countryside, migrant workers in the city have no legal right to settle down in cities. Often they live in informal communities, lacking safe drinking water provision and basic sanitation. Partly, urban expansion occurs through the exploitation of economically disadvantaged territories environmental resources.
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a water-based community where the water network and exchanges are actualized in multiple, different ways may cater for diversification, avoiding mono-functional land use and unfair transactional economies It becomes an unequal relationship, in which rural populations give ecological resources to urban communities. Yet, in return they do not receive the same benefits as urbanites, while putting their own hydrological resources in the hinterland at risk. A more sustainable and equal use of resources would be to establish mutually favourable relationships for the use of water resources. Rural territories would need to better protect and monetize the supply of water to cities. As mega-cities have economically benefitted from the ecosystem services of economically less developed territories, a change in the dynamics and the idea of “paying-back” by large cities to impoverished regions could to some extent counteract uneven development. In this sense greater awareness of the water scarcity issue would be raised. Rural territories will need to take measures to protect their hydrological assets from uncontrolled overuse, waste and contamination by more industrialized territories. In anticipation of the continuing urbanization and overemphasis of a consumption-led economy, territories outside the larger urban agglomerations need to allocate financial reserves and sources of income for wastewater treatment and purification facilities. Dongjiang River Basin: a main source for the Pearl River Delta The Dongjiang River Basin in Guangdong province has a critical function for the Pearl River Delta urban agglomeration, home to approximately 120 Million people. The greater Megacity cluster includes eleven cities: Guangzhou, Shenzhen, Zhuhai, Dongguan, Zhongshan, Foshan, Huizhou, Jiangmen and Zhaoqing, Hong Kong and Macau. All cities have competing water consumption needs and economic interests. Additionally, there are economically less developed in-between territories (Viganò, 2015) also depending on environmental resources. Townships and village communities heavily rely on the water resources in terms of economic income and livelihood. As an example, the Dongjiang River water supply system supplies up to 80% of Hong Kong’s water demand supplemented by additional supply from the Xijiang River (Xu, 2014) and the Jiangxi
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province (Su, 2012). Within a time frame of 50 years the water demand for the downstream Hong Kong region has multiplied by approximately thirty-five times (Xu, 2014). The economically disadvantaged upstream territories, however, have not benefitted from the Special Administrative Region’s economic growth in since early 70’s. As a comparison, the average per capita GDP in Hong Kong is 29,90 USD and only 290 USD in Xunwu upstream of the Dongjiang River Basin bordering Jiangxi province (Lo, 2010). In terms of geographic distance, the major water consuming cities cluster of Hong Kong, Guangzhou and Shenzhen are approximately 250 km away from the hinterland of this urban agglomeration. The remote sites of water supply and reservoirs also tend to suffer from water contamination not only from agricultural runoff, but also from industrial land use of manufacturing plants. As soon as there are economic fluctuations or a downturn, the manufacturing plants abandon the industrial sites, and leave behind the environmental pollution caused. For economically deprived territories to fund adequate wastewater treatment facilities and management of water supply systems, successful eco-compensation mechanisms were established in 2012. Ecosystem Compensation Fund subsidies from the developed downstream Pearl River Delta are being transferred to upstream to ecological control areas and for water resource protection. The municipality of Shenzhen in the Pearl River Delta is making compensation payments of 500 Yuan/month per capita to communities in upstream Dapeng, Kuichong and Nan’ao for environmental protection. Further incentives in place for adopting environmentally friendly economic activities are the increase of pollutant discharge fees to a level where sustainable emission management becomes the more economical option (Zhang, Bennett, Kannan and Jin, 2010). Multi-functionality of hydrological networks To enhance the resilience of disadvantaged territories, it is crucial to assess the inherent multi-functionality of its hydrological networks and water reservoir assets. For the multi-functionality of river networks to be a key framework for liability
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and well-being, it is necessary to maximize its environmental positive externalities, and to engender the compound benefits in a sustainable and future-proof manner. Given the ruptures and disintegrations of territories as a result of the fast urbanization process, a strategic reinstatement of continuity in an ecological network in which water is the currency is required. Further multiple functions and services supplied by water resources need to be monetized to generate funds for ecological remediation. A water-based community where the water network and exchanges are actualized in multiple, different ways may cater for diversification, avoiding mono-functional land use and unfair transactional economies. The idea of multi-functionality for hydrological networks is derived from the concept of multifunctional landscapes (Brandt and Vejre, 2004). As such landscapes can carry agricultural, forestry, wildlife, renewable energy, recreation, transport and defense related functional capacities. The five key categories related to the multi-functionality of water networks can be summarized as follows: systems of production include the provision of food, clean energy and materials. Environmental assets in addition to water are air, soil, habitat and land use. Economic opportunities are the diversification of income, creation of employment, as well as remote retailing
and on-line trading of agricultural produce. Welfare benefits, which can be actualized are health&well-being, housing, education, governance&administration, culture and traditions. Some of the eco-system services potentials are: absorption of pollution, system stability, flexibility, regeneration, recreation and resistance. The idea of simultaneous functions seeks to combine physical and commodified exchanges derived from water networks for the benefit of the remote, dispersed settlements. In its broadest sense, further elaboration of the concept of multi-functional water networks gives opportunities to build-in resilience for distressed and disadvantaged territories in crisis. Water as a shared resource and circular exchange system A collaborative approach to water consumption, reuse and recovery would enable a more responsible approach to this issue of water scarcity. The concept of the circular economy suggests a closed loop use of resources (Stahel, 2016). The idea of the circular economy entails optimized industrial processes that would minimize the waste of natural resources (Graedel, 1996). To avoid unnecessary recourse to yet unspoiled water reservoirs in remote territories, purification of grey water and reduction of industrial discharge must be prioritized. Further, the extraction of waste and pollution, could become
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mega-cities have economically benefitted from the eco-system services of economically less developed territories
part of the cycle of the resource reuse. Biomass found in water networks and excessive algae growth caused by pollution would be utilized and converted into biofuel to provide for renewable sources of energy to local communities. As a way to upscale water decontamination and the reuse of biomass for energy generation, such biomass waste could be used to run water treatment plants to close the resource use circle. This may reduce the dependence on fossil fuel based sources of energy to operate water purification facilities. Communities and companies, adopting a circular system of water resource reuse and recovery would be incentivized. By avoiding waste and reducing water pollution people and industries would be rewarded with hydro-credits. Water credits can then be exchanged between companies and municipalities. A company, generating excessive water contamination or has an overuse of water, by policy would be ordered to reduce the discharge of toxins in waste water. Companies and individuals may purchase hydro-credits from each other as a tradeable commodity. Part of a circular approach to sustainable water consumption would be to internalize negative externalities into the economic equation of ecological conservation by implementing eco-compensation mechanisms (Yu and Ren, 2007). This would generate additional funding for ecological restoration and protection. Temporarily, companies which are polluting water at unacceptable levels can off-set costly fines by purchasing water credits from more eco-conscious companies. Policies would need to be in place to keep water pollution fines and penalties higher than the cost of installing water purification facilities in manufacturing plants and companies. In this way a hydro-credit trading system could be established giving the incentive to purify water and to instill an environmentally friendly consumption of water. If the taxation of water contamination is rigorously maintained throughout political cycles and changing government administrations, then gradually responsible and resourceful use of water would be adopted by the industries and the society.
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Conclusion The research into rural to urban interactions is predominantly studied from the perspective of networks formed by urban-rural interdependencies. Hydrological networks are the lifeblood binding the rural and urban territories together. The complex linkages between rural and urban territories are becoming increasingly detached from settlement spaces for people and ecological territories. The opportunities for redefining the hydro-networks into transformational linkages between rural-to-urban territories themselves are not yet fully explored and thus, require more research. Linkages and strands forming the networks between territories must be designed to be multi-functional to enhance the resilience of remote territories. A more sustainable and equal use of resources would be to establish mutually beneficial relationships for the use of water. For rural territories heavily depending on their hydrological networks, their social and economic exchanges may be actualized in multiple, different ways catering for a better economic diversification. Some of the measures are the establishment of water quality trading markets, water purification credits and eco-compensation mechanisms. Communities and companies, adopting a circular resource use and eco-compensation financial transfers (Stahel, 2016) would over time become environmentally more resilient. By avoiding waste and reducing water pollution people and entities would be rewarded with hydro-credits. Such water credits could then be exchanged between companies and municipalities. Gradually, this may lead to a positive transformation towards a more responsible use of water.â–˛
IMMAGINI 01 - View into Victoria Harbor in Hong Kong. Dongjiang River is a key water resource for this for the Special Administrative Region in the Pearl River Delta. The City benefits from resources in less developed neighbouring territories. Credits: Songquan Deng. 02 - Industrial wastewater discharged into the river. Under a hydro-trading system environmentally unfriendly companies will need to acquire hydrocredits from businesses with more sustainable production processes. Credits: Daizuo Xin. 03 - The multi-functionality of landscapes and hydrological networks needs to be protected and its potentials capitalized in an ecologically friendly manner to secure long-term resilience. Credits: Carst Hets. BIBLIOGRAFIA - Brandt J. and Vejre H., “Multifunctional landscapes - motives, concepts and perceptions”, in J. Brandt, & H. Vejre (Eds.), “Multifunctional landscapes: Volume 1 Theory, Values and History”, Southhampton, WIT Press, (Advances in Ecological Sciences, Vol. 1), pp. 3-32, 2004. - Fang C., “Important progress and future directions of studies on China’s urban agglomerations”, Springer, 2015. - Graedel T.E., “On the concept of industrial ecology. Annual Review of Energy and the Environment”, 21(1), pp. 69-98, 1996. - Hardin G., “The tragedy of the Commons”, in “Science”, 1243, 1968. - Hung M.F. and Shaw D., “A trading-ratio system for trading water pollution discharge permits. Journal of Environmental Economics and Management”, 49(1), pp. 83-102, 2005. - Jun Q., Rongzi L., Jingzhu Z. and Hongbing D., “Establishing eco-compensation mechanism in Bohai Sea waters under framework of ecosystem approach” in “China Population, Resources and Environment”, 18(2), pp. 60-64, 2008. - Kao E., “Pollution in Dongjiang river: Chinese officials not aware of source of chemicals and may consider monitoring levels”, 2015, [Online], available from: www.scmp.com/news/hong-kong/health environment/ article/1889305, accessed 18.10.16. - Li W. and Liu M., “Several Strategic Thoughts on China’s Eco-compensation Mechanism” in “Resources science”, 5, p. 002, 2010. - Lo C.,. “The political economy of water resources conservation in China: reconciling bureaucratic conflicts in conserving Dongjiang’s water resources”, 2010. [Online], available from: www. slideshare.net/ DesigningHongKong/cityspeak-xiithe-water-we-drink-carlos-lo, accessed 03.12.16. - Magnus G., “Have emerging markets already emerged?” in “International Journal of Agricultural Management”, 1(4), pp. 2-5, 2012. - Qiu-cheng T.A.N., “Eco-compensation standard and mechanism [J]” in “China Population Resources and Environment”, 6(003), 2009. - Rodin J., “The resilience dividend: being strong in a world where things go wrong” in PublicAffairs, 2014. - Stahel W.R., “The circular economy” in Nature, 531(7595), p. 435, 2016. - Su L., “Dongjian overloaded - Water pollution in southern China: an investigation on the Dongjiang”, 2012, [Online], available from: www.chinadialogue. net/article/show/single/en/5054-Dongjiang-overloaded, accessed 21.12.15. - Viganò P., “State of crisis and project: the horizontal metropolis” in “Jovis”, 2015. - Xu J., “Guangdong project to ensure fresh water for Hong Kong”, 2014, [Online], available from: www.chinadailyasia.com/news/2014-02/20/content_15119638.html, accessed 15.01.17. - Yu H. and Ren Y., “Key issues of watershed ecocompensation mechanism: a case study in water source areas of south-to-north water transfer [J]” in “Resources Science”, 2, p. 004, 2007. - Zhang Q., Bennett M.T., Kannan K. and Jin L. eds., “Payments for ecological services and eco-compensation: practices and innovations in the People’s Republic of China”, Asian Development Bank, 2010.
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La crisi idrica nell’area metropolitana di São Paulo Cambiamenti climatici, ma non solo
Michele Dalla Fontana è dottorando in Pianificazione territoriale e politiche pubbliche del territorio, Università Iuav di Venezia. e-mail: mdallafontana@iuav.it Francesco Musco è professore presso il Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi, Università Iuav di Venezia. e-mail: francesco.musco@iuav.it
The Metropolitan Region of São Paulo, as well as other Brazilian regions, suffered the most serious water crisis of the last 80 years from 2014 to 2016. The water crisis, which still shows its negative effects in some of the marginal areas of the metropolis, is the result of many different factors such as: reduced rain precipitation in the south east region during these last years, lack of strategic planning, uncontrolled urbanization, conflicts in the use of water, lack of transparency from institutions, an underestimated problem of water quality, a wrong population’s awareness of how much water is locally available and conflicts between the State and local water utilities. This paper explores some of these elements that contributed to cause the water crisis. It also aims to understand the big challenges for the future of one of the largest and most densely populated urban areas of the planet, considering also the historical period characterized by climate change, which will lead to extreme periods of drought and floods.
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arlare di crisi idrica in Brasile può sembrare sorprendente, considerando che il Brasile è uno degli stati più ricchi di risorse idriche al mondo. Nonostante questo, la Regione Metropolitana di São Paulo (RMSP), così come l’intero Stato di São Paulo e gli altri stati della zona sud-est del Brasile (Minas Gerais, Rio de Janeiro, Espirito Santo) nel periodo tra il 2014 e il 2016 hanno attraversato la maggior crisi idrica degli ultimi ottant’anni. Quello che spesso non viene evidenziato è la correlazione tra distribuzione delle risorse idriche sul territorio e processi di concentrazione insediativa. La maggior parte delle risorse idriche (81%) si concentra infatti nella regione amazzonica, dove vive solo il 5% della popolazione brasiliana. Nelle regioni costiere del Brasile si concentra invece il 45,5% della popolazione dove è però disponibile solo il 2,7% della risorsa idrica. Scendendo ancora più nel dettaglio, la regione sud-est, nella quale vivono 85 milioni di persone (concentrate per il 92% in aree urbane) ha a disposizione solamente il 2,5% delle risorse idriche del Paese (Jacobi, Cibim e Souza, 2015). Sebbene la scarsezza di piogge sia stata determinante per la manifestazione della crisi idrica, non si può negare il ruolo di altri fattori che hanno contribuito ad aggravare il fenomeno. Ne presentiamo qui alcuni. Clima e crisi idrica Tra il 2011 e il 2015, nella regione sud-est del Brasile, le precipitazioni registrate sono state inferiori alla media storica per la regione e l’estate del 2014 è stata la più calda dal 1943 (Jacobi, Cibim e Souza, 2015). Le scarse precipitazioni avevano quindi già dato segnali di allarme per una possibile penuria idrica (img. 01). Non solo il surriscaldamento globale e fattori atmosferici regionali influenzano il clima e il regime delle piogge della regione, ma questi sono anche determinati dalle caratte-
Gennaio - Febbraio - Marzo 2012
Gennaio - Febbraio - Marzo 2013
Gennaio - Febbraio - Marzo 2014
Arido tra più di 100 anni
Precipitazioni nella norma
Estremamente arido (<5%)
Piovoso (66-85%)
Arido tra i 50 e 100 anni
Rischio alluvione tra i 10 e i 50 anni
Molto arido (5-15%)
Molto piovoso (85-95%)
Arido tra i 10 e i 50 anni
Rischio alluvione tra i 50 e i 100 anni
Arido (15-33%)
Estremamente piovoso (>95%)
Aridità nella norma
Richio alluvione tra oltre 100 anni
Nomale (33-66%)
01
ristiche microclimatiche del territorio locale (Rodrigues e Villela, 2015). La RMSP è rifornita d’acqua da otto sistemi di approvvigionamento di cui il principale, il sistema Cantareira, è situato nel territorio della Serra da Cantareira. Questa regione negli ultimi anni ha visto una progressiva riduzione delle piogge alla quale si è aggiunto un aumento delle ondate di calore e con bassi tassi di umidità. Questi fattori hanno contribuito a ridurre le riserve d’acqua e i volumi dei serbatoi proprio in prossimità delle aree più popolose del Paese. Il sistema Cantareira ha risentito particolarmente di questo andamento e ha fatto registrare (nel 2014) il minor flusso idrico medio annuale dal 1930 (img. 02). Nonostante la questione climatica abbia sicuramente contribuito e dato il via alla crisi idrica e la mancanza di piogge sia stata indicata come principale causa della crisi sia dai mezzi di comunicazione che dalle dichiarazioni della SABESP (la compagnia dell’acqua dello Stato di São Paulo), altri fattori hanno contribuito a definirne la gravità. Aumento della popolazione, urbanizzazione e crisi idrica Oltre al naturale funzionamento del ciclo idrologico, ci sono altri elementi (antropici) che influenzano la quantità e la qualità dell’acqua disponibile. La Regione Metropolitana di São Paulo negli ultimi trent’anni ha subito una grande trasformazione. La popolazione e i modelli di consumo idrico sono aumentati ben oltre la capacità di produzione di acqua di tutti i sistemi di approvvigionamento coinvolti. Dal 1980, quindi, il volume
la peggior crisi idrica degli ultimi ottant’anni
d’acqua prodotto per la RMSP ha iniziato a essere sempre più inadeguato considerando la crescita della popolazione. Tra il 2004 e il 2013 per esempio il consumo di acqua è aumentato del 26% mentre il volume di acqua prodotta dai sistemi di approvvigionamento è aumentato solo del 9% (Cortes e Torrente, 2015). Non solo la popolazione è aumentata, ma in particolare la popolazione urbana ha visto una crescita eccezionale a causa di una serie di fattori. Un primo elemento da considerare è la forte migrazione della popolazione proveniente dalle aree rurali e che si è spostata verso le aree urbane a partire dal 1940 e probabilmente dovuta a un forte calo della produzione agricola, causato anche da periodi di siccità. Nel lasso di tempo tra il 1920 e il 1960, infatti, si è assistito a un crollo della produzione agricola delle principali colture brasiliane in concomitanza ai trent’anni più secchi mai registrati nelle regioni sud-est e centro-ovest del Brasile (Zuffo e Zuffo, 2016). Successivamente, nel periodo tra il 1950 e il 1960, il grande sviluppo industriale
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Confronto tra la media storica e il flusso idrico in ingresso nel Sistema Cantareira % di pioggia in relazione alla media storica % flusso idrico in ingresso in relazione alla media storica Media storica 1930/2013 % di afflusso minimo registrato fino al 2013 in relazione alla media storica
ago/13
set/13
ott/13
nov/13
dec/13
gen/14
feb/14
mar/14
apr/14
mag/14
giu/14
lug/14
120% 105% 96%
100%
93% 77%
80% 64%
62%
60% 50% 41%
40%
57%
59% 44%
45% 34%
35% 31%
28%
20%
18%
23%
22% 13%
28% 21%
21% 13%
0%
02
elementi antropici determinano la quantità e la qualità dell’acqua disponibile
dello Stato di São Paulo ha attratto grandi flussi migratori da tutto il Brasile. Il grande numero di persone che si è spostato e stabilito nell’attuale area della RMSP, ha trovato l’apparato delle autorità pubbliche impreparato a coordinare una crescita così rapida. Il risultato è stato uno sviluppo urbano disordinato e infrastrutture urbane inadeguate. Questo si è tradotto nel tempo in una serie di problemi che si sono manifestati, e continuano a manifestarsi, su più fronti e in diversi settori come quello dei trasporti, dell’energia elettrica, delle infrastrutture per l’approvvigionamento idrico e della raccolta/trattamento
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delle acque reflue. L’espansione urbana è una costante minaccia per le aree in cui si trovano le sorgenti d’acqua. Non solo la grande urbanizzazione della RMSP ha occupato parte di queste aree (img. 03), ma anche il naturale percorso dei fiumi e corsi d’acqua è stato alterato o completamente ostruito e deviato dalle infrastrutture e da altre superfici impermeabili. Queste condizioni hanno portato a un evidente conflitto tra le caratteristiche dell’espansione urbana e l’approvvigionamento idrico. L’espansione della RMSP e l’avanzare di aree urbane che occupano i territori delle sorgenti, ha spinto la ricerca d’acqua in aree sempre più lontane dai centri urbani (img. 04). Questa soluzione, spesso guidata da fattori economici e politici, ha mostrato, soprattutto durante la crisi idrica, alcuni dei suoi limiti ed evidenziato l’importanza delle risorse idriche nelle aree urbanizzate. L’aumento della popolazione urbana non si traduce quindi solamente in una crescita della domanda idrica in modo concentrato, ma è accompagnata da un fenomeno di trasformazione del territorio che mette in crisi il sistema stesso di approvvigionamento idrico. La questione della scarsità d’acqua non può essere però affrontata solamente dal punto di vista della quantità disponibile della risorsa, ma si deve anche considerare la qualità della stessa.
Evoluzione dell’espansione urbana - dalla metropoli alla macrometropoli Limite della macrometropoli
Altri comuni
Comuni del RM3P
Espansione urbana
Fiumi e dighe
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Non solo quantità: la qualità dell’acqua come fattore della crisi idrica La Regione Metropolitana di São Paulo ha sicuramente una disponibilità idrica minore di quella presente nello stato dell’Amazzonia, ma non è diversa da altre zone dello Stato di São Paulo. Sebbene le precipitazioni medie tendano al ribasso, non si può dichiarare che la RMSP sia una regione arida. Si deve considerare però un altro elemento che condiziona profondamente la disponibilità d’acqua, ovvero la qualità della risorsa. Nella RMSP, il livello di raccolta e di trattamento delle acque reflue è insufficiente, soprattutto considerando il grande numero di persone coinvolte. Nonostante la raccolta e il trattamento delle acque reflue sia decisamente migliorato dal 1992, quando la raccolta era solamente del 70% di cui solo il 24% era trattato, l’impatto sulla qualità delle acque è ancora consistente. Allo stato attuale l’84% delle acque reflue è raccolto ma solamente il 68% è trattato (SABESP, 2015), lasciando così che grandi volumi vengano scaricati nei corpi idrici senza trattamento alcuno (Oelkers et al., 2011), rendendo buona parte delle risorse idriche locali inutilizzabili per il servizio alla popolazione. Ma non è solo l’arretratezza del sistema di gestione delle acque reflue ad aver nel tempo deteriorato la qualità delle risorse idriche della RMSP.
La bassa qualità dell’acqua è anche il risultato di uno storico conflitto tra l’utilizzo della risorsa idrica per la generazione di energia elettrica e gli altri usi a cui l’acqua si presta (Galvão e Bermann, 2015). Il grande sviluppo della RMSP è dipeso fortemente dalla disponibilità di energia elettrica prodotta dalle centrali idroelettriche attorno alla regione, che ha permesso l’aumento della popolazione e lo sviluppo industriale. Le centrali idroelettriche hanno però richiesto sempre maggiori volumi di acqua per sostenere lo sviluppo della zona, tanto da contendere l’uso di serbatoi e riserve d’acqua destinati ad altri usi (tra i quali il consumo delle persone). Il fatto che la qualità dell’acqua non sia un fattore essenziale per la produzione di energia elettrica e l’eccessiva fiducia nello sviluppo di nuove tecniche per il trattamento delle acque, ha portato al forte inquinamento dei serbatoi e dei corpi idrici. Infatti, le tecniche di decontaminazione delle acque non si sono sviluppate al ritmo sperato, o perlomeno non sono economicamente praticabili, e la mancanza di una politica ambientale adeguata ha trasformato i principali fiumi (Tietê e Pinheiros) in sistemi fognari a cielo aperto che affluiscono nei principali serbatoi, per esempio il serbatoio Billings (Zuffo e Zuffo, 2016). Una visione troppo settoriale in cui l’acqua è considerata come mezzo per
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AQUIFERO GUARANI Mogi-Guaço
BARRA BONITA
Mogi-Mirim
Rio Claro
Limeira
JAGUARI ATIBAIA CAMANDUCAIA
Santa Bárbara D’Oeste
Piracicaba
Campinas Capivari
REP. JAGUARI
PIRAI
Jundiaí Sao Jose dos Campos
REP. JURUMIRIM
REP. SANTA BRANCA PARAIBUNA
CAMPO LIMPO
Itu
São Paulo
Sorocaba
PEQUENO ALTO JUQUIA CBA
ITATINGA ITAPANHAU Juquitiba Santos
Pedro de Toledo
BAIXO JUQUIA
Juquia
SÃO LOURENCINHO
MAMBU/BRANCO
Oceano Atlantico
Macrometropoli Area suburbana Area urbana
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uno sviluppo urbano disordinato e infrastrutture urbane inadeguate
la produzione energetica, non incentiva azioni per il miglioramento o mantenimento della qualità della risorsa idrica, così da renderla utilizzabile anche per altri fini. Riconsiderare l’acqua nei contesti urbani Le cause della crisi idrica e il modo in cui la crisi stessa è stata gestita hanno evidenziato come le autorità abbiano avuto la tendenza a preferire azioni correttive piuttosto che attuare delle misure preventive. Sminuendo l’importanza di altri fattori e focalizzando l’attenzione sulla mancanza di pioggia, il principale obiettivo rimane quello di aumentare l’offerta della
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risorsa idrica disponibile. Ecco quindi che grandi investimenti vengono fatti per opere di trasposizione tra bacini idrografici che coprono enormi distanze, importazione d’acqua dall’esterno e nuove tecnologie per il trattamento delle acque. Meno attenzione viene invece data a soluzioni preventive come nuovi meccanismi istituzionali e sistemi di governance, protezione delle aree che ospitano le sorgenti, servizi ecosistemici, manutenzione e ammodernamento delle infrastrutture per ridurre le perdite di acqua. Sicuramente un nuovo modello di convivenza tra urbanizzazione e risorsa idrica e un riequilibrio tra gli usi dell’acqua è necessario, tanto quanto un nuovo paradigma di gestione della risorsa che investa sulla qualità oltre che la quantità. In una regione metropolitana in crescita è necessario che l’elemento idrico venga integrato nella progettazione e pianificazione urbana in tutte le sue parti. La riduzione delle aree impermeabili, anche attraverso una più attenta progettazione degli spazi pubblici con l’inserimento per esempio di infrastrutture verdi, può contribuire alla raccolta, riciclo e trattamento delle acque urbane. La progettazione degli spazi pubblici deve però contemplare il coinvolgimento della cittadinanza, così da sensibilizzare la popolazione nei confronti della problematica idrica.▲
IMMAGINI 01 - Mappa che evidenzia la scarsità delle precipitazioni nel Sud-Est del Brasile tra il 2012 e il 2014. Crediti: ANA, 2014. 02 - Confronto tra la media storica e il flusso idrico in ingresso nel Sistema Cantareira. Crediti: www.goo. gl/2vPvUK, 2014. 03 - Evoluzione dell’area urbana nella Regione Metropolitana di São Paulo dal 1900 al 2000. Crediti: Laboratório de Urbanismo da Metrópole (LUME/FAUUSP); dati - IBGE, 2010; Emplasa, 2010; Lume, 2011. 04 - Proposta per le nuove fonti di approvvigionamento idrico per la Macrometropoli di São Paulo. Crediti: Rielaborazione OFFICINA* da Secretaria Estadual de Saneamento e Energia de São Paulo. 05 - Rio Tietê a São Paulo nella Regione Metropolitana di São Paulo. Crediti:Ana Paula Hirama, 2011. BIBLIOGRAFIA - Côrtes P. L., Torrente M., “Crise de abastecimento de água em São Paulo e falta de planejamento estratégico” in “Estudos Avançados”, vol. 29, n. 84, 2015, pp. 7-26. - Galvão J., Bermann C., “Crise hídrica e energia: conflitos no uso múltiplo das águas” in “Estudos avançados”, vol. 29, n. 84, 2015, pp. 43-68. - Jacobi P.R., Cibim J.C., Souza A.N., “Crise da água na região metropolitana de São Paulo (2013-2015)” in “GEOUSP”, vol. 19, n. 3, 2015, pp. 422–444. - Oelkers E. H. et al., “Water: Is there a global crisis?” in Elements, vol. 7, n. 3, 2011, pp. 157-162. - Rodrigues C., Villela F.N.J., “Disponibilidade e escassez de água na grande São Paulo: elementos-chave para compreender a origem da atual crise de abastecimento” in “GEOUSP,” vol. 19, n. 3, 2015, p. 399–421. - SABESP, “Relatorio de Sustentabilidade”, 2015. Disponibile su www.goo.gl/eUTHlD - Zuffo A.C., Zuffo M.S.R., “Gerenciamento de Recursos Hídricos - Conceituação e Contextualização”, Elsevier, Rio de Janeiro, 2016.
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Impatti del cambiamento climatico sul sistema urbano Mappatura della pericolosità da pluvial flooding in ambito napoletano
Carmela Apreda è dottoranda di ricerca presso DiARC - Dipartimento di Architettura, Università Federico II di Napoli. e-mail: carmela.apreda@unina.it
The impacts of climate change on urban systems result from the interaction between natural and anthropogenic phenomena. The rise in frequency and intensity of extreme precipitation events combined with specific characteristics of the built environment, which are changing the natural hydrological cycle, cause extreme flooding phenomena. Among these circumstances, pluvial flooding is related to highly impervious soils and inefficiency of sewers, which have substantial consequences on the built environment and population. In relation to this, a hazard assessment process is proposed based on cellular automata approach. It provides an elaboration and classification of flood depth and flood velocity values, in order to highlight specific areas and elements subject to flooding events.
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ell’attuale scenario di cambiamento climatico cui vaste regioni e territori sono soggetti, grande rilevanza assumono le variazioni pluviometriche in relazione agli impatti generati su molteplici sistemi naturali e antropici. In particolare, le interazioni tra eventi di pioggia e sistema costruito che avvengono in ambito urbano possono generare elevati livelli di pericolosità, anche senza il raggiungimento di valori estremi delle precipitazioni, a causa dell’alterazione dei cicli idrologici naturali da parte dell’uomo. Di conseguenza, gli eventi di pioggia rappresentano un fenomeno preoccupante per la predisposizione delle città stesse a subirne gli effetti negativi, con impatti rilevanti sia sul sistema fisico che socio-economico. Le precipitazioni, talvolta, possono configurarsi come hazard, ovvero come il potenziale accadimento di un evento fisico, naturale o provocato dall’uomo, che potrebbe causare la perdita della vita, impatti sulla salute, il danneggiamento e la perdita di proprietà, infrastrutture, mezzi di sostentamento, servizi, ecosistemi e risorse ambientali (IPCC, 2014). Il termine hazard definisce una minaccia, qualcosa di pericoloso per una determinata area e in un dato periodo di tempo, ed è spesso utilizzato come sinonimo di pericolosità. Numerosi studi condotti a livello nazionale e internazionale sulla possibile evoluzione del regime pluviometrico nelle aree euro-mediterranee restituiscono un quadro di progressivo incremento dei valori di intensità, a differenza dei valori di frequenza, con variazioni non significative nell’accumulo annuale delle precipitazioni (Alessandri et al., 2014; IPCC, 2014). Tale scenario determina particolari condizioni di pericolo per le aree urbane, incapaci di rispondere efficacemente a eventi sempre più intensi a causa dell’eccessiva impermeabilizzazione dei suoli e dell’inefficienza del sistema fognario, con conseguente “amplificazione” del fenomeno climatico. Tutto ciò concorre alla
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formazione di eventi di pluvial flooding, ovvero di fenomeni caratterizzati dalla mancata infiltrazione delle acque meteoriche nel suolo, con conseguenti episodi di ristagno superficiale e di surface runoff prima di raggiungere i corsi d’acqua o i sistemi di drenaggio, già completamente sommersi (SEPA, 2015). A partire da tali premesse, risulta evidente la necessità di una conoscenza approfondita dei fenomeni e delle caratteristiche che influenzano gli eventi di allagamento a scala urbana. A tale scopo, la valutazione della pericolosità attraverso la simulazione del fenomeno pluvial flooding restituisce mappe che delimitano aree suscettibili di allagamento secondo diversi scenari di evento, corrispondenti a differenti probabilità di accadimento (Barbano et al., 2012). La modellazione proposta si basa sulla teoria degli automi cellulari (cellular automata approach), ovvero sull’idea che da interazioni locali semplici tra i vari elementi (cellule) scaturiscano comportamenti globali complessi. Nel caso in esame ogni cellula costituisce una porzione di territorio (rappresentato mediante un modello digitale di superficie elaborato da immagini telerilevate, nel seguito DSM) con una specifica risposta in relazione a un determinato valore di intensità di pioggia fornito come dato di input. La simulazione del comportamento di ogni cellula restituisce i due parametri di altezza idrica (H) e velocità di deflusso (V), fondamentali per la caratterizzazione della pericolosità attraverso il calcolo di un indice di pericolo da allagamento, il Flood Hazard Rating (FHR). Le mappe di pericolosità così elaborate possono essere utilizzate con finalità diverse. Oltre a costituirsi come un supporto alla comprensione del fenomeno da parte della collettività, mediante la predisposizione di sistemi informativi, possono essere utilizzate congiuntamente a mappe di vulnerabilità nella valutazione di scenari di impatto climatico. Esse rappresentano una base di conoscenza fondamentale per l’individuazione di aree priorita-
rie di intervento, consentendo l’elaborazione di opportune strategie di riduzione degli impatti da parte degli enti istituzionali competenti operanti sul territorio (ad esempio Amministrazione comunale, Autorità di bacino, Protezione civile). Pertanto, in relazione ai possibili utilizzi suddetti, lo studio si propone di definire un processo valido e ripetibile di previsione e valutazione della pericolosità da pluvial flooding, successivamente testato nell’area studio di Napoli Est. Input: Dati hazard DSM Digital Surface Model
Eventi di pioggia Raccolta dati pluviometrici giornalieri Altezze di precipitazione (mm) Elaborazione dati pluviometrici giornalieri Curva di probabilità pluviometrica Definizione eventi di pioggia (D, TR)
Acquisizione immagini telerilevate Dati liDAR, landsat 8 Elaborazione immagini telerilevate
Modellazione: Calcolo caratteristiche di hazard Altezza idrica - H (m) Velocità - V (m/s)
Output: Caratterizzazione hazard Calcolo del Flood Hazard Rating - FHR H * (V+0,5) + DF Classificazione hazard FHR ≤ 0,75 - Pericolosità bassa 0,75 < FHR ≤ 1,25 - Pericolosità moderata 1,25 < FHR ≤ 2 - Pericolosità significativa FHR > 2 - Pericolosità estrema
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Caratteristiche e impatti del fenomeno pluvial flooding Il fenomeno pluvial flooding è solitamente associato a eventi piovosi intensi (anche detti heavy rainfall, tipicamente > 20-25 mm/h), ma può verificarsi anche con precipitazioni di minore intensità (~10 mm/h) o neve sciolta laddove sussistano caratteristiche fisiche tali da rendere il suolo impermeabile (Maksimovic e Saul, 2017). Le cause principali risiedono nell’incremento di superfici sigillate e nell’insufficiente portata e scarsa manutenzione delle reti di drenaggio. Tuttavia, anche la realizzazione di opere di canalizzazione o di restrizione dei canali esistenti, la presenza di spazi caratterizzati da elevate pendenze o di suoli con terreno congelato o impregnato può provocare fenomeni di scorrimento a elevata velocità, di ristagno e di esondazione delle fognature (Falconer, 2009). Gli impatti generati dalla combinazione tra eventi piovosi intensi e pluvial flooding possono essere diretti o indiretti. Nel primo caso comportano, nel luogo interessato dal fenomeno e nell’immediato, danni fisici agli edifici, perdite di beni e risorse e/o pericolo per la vita; nel secondo, a distanza dal luogo colpito e nel lungo periodo, prevedono l’interruzione di attività economiche e sociali, servizi e mobilità (Houston et al., 2011). Processo per la caratterizzazione dell’hazard Il processo adoperato per la caratterizzazione del fenomeno pluvial flooding alla scala locale si articola secondo le fasi di lavoro illustrate nell’immagine 02. A partire dalla raccolta ed elaborazione dei dati pluviometrici forniti dalle stazioni pluviometriche locali è possibile ricavare gli eventi da utilizzare per la successiva fase di simulazione. A tal fine è necessario individuare la stazione di riferimento più vicina rispetto all’area di studio e procedere alla raccolta dei dati giornalieri di altezza di pioggia: affinché le successive deduzio-
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ni siano attendibili è necessario che il periodo di osservazione sia abbastanza esteso, solitamente non inferiore ai 30 anni. L’elaborazione dei dati raccolti consiste nel ricercare le relazioni esistenti tra l’altezza e la durata (D) delle precipitazioni per un assegnato valore del tempo di ritorno (TR), periodo nel quale un dato evento può essere eguagliato o superato. Tali relazioni sono stabilite mediante la costruzione della curva di probabilità pluviometrica (Intensity-Duration-Frequency rainfall curve), che può essere definita mediante diversi modelli di distribuzione probabilistica (GEV, Gumbel, TCEV, ecc.). Per la sua costruzione non è sufficiente il solo dato di pioggia giornaliera, ma occorre valutare i valori estremi delle precipitazioni anche in finestre temporali inferiori alle 24 ore. A tal fine, possono essere utilizzate diverse tecniche di disaggregazione dei dati, ottenendo una sequenza sintetica di precipitazioni, orarie e suborarie, per periodi di ritorno variabili da 2 a 100 anni. Gli eventi così definiti (mm/h) sono utilizzati per la simulazione dei diversi scenari di allagamento urbano tramite il software CADDIES-caflood application1, che lavora applicando la teoria degli automi cellulari. Per simulare la distribuzione spaziale delle acque meteoriche, l’area di studio è discretizzata, a partire dal DSM, in una griglia di celle quadrate. Dalla cella centrale il flusso si distribuisce alle celle adiacenti, ed eventuali afflussi in una cella sono calcolati come deflussi da altre celle vicine (Ghimire et al., 2011). Tale approccio consente di modellare rapidamente la presenza di deflussi e ristagni superficiali (fast flood 2D simulation), restituendo per ogni evento definito da D e TR due mappe relative ai due parametri che caratterizzano l’intensità del fenomeno, ovvero H2 e V3. Essi sono rappresentabili spazialmente secondo le indicazioni proposte dall’ente di protezione ambientale del governo britannico (Ramsbottom et al., 2006; Barbano et al., 2012; EA, 2013). Il prodotto di tali variabili concorre
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alla definizione del Flood Hazard Rating, secondo la formula FHR = H*(V + 0.5) + DF (con DF = Debris Factor); tale indice, espresso in m 2/s, restituisce il livello di pericolosità cui le aree urbane sono soggette (Ramsbottom et al., 2006). Il calcolo del FHR può essere effettuato mediante l’utilizzo di un software GIS (Geographic Information System), capace di elaborare, analizzare, gestire e rappresentare dati di tipo geografico. Tale applicativo consente di eseguire calcoli sulla base dei valori di H e V dei pixel delle mappe precedentemente elaborate mediante operatori di analisi spaziale, e di generare come risultato una nuova mappa. L’immagine così ottenuta (per ogni evento definito da D e TR) consente di evidenziare la presenza di zone ed elementi particolarmente suscettibili a eventi di allagamento. Scenari di hazard nell’area est di Napoli (quartiere Ponticelli) L’aumento di intensità degli eventi estremi registrato negli ultimi anni per la città di Napoli4 e i relativi impatti prodotti (img. 01) rendono prioritaria un’azione di previsione e valutazione della pericolosità, al fine di indirizzare azioni coordinate tra i vari enti istituzionali locali.
Pertanto, il processo precedentemente descritto è stato applicato all’area studio di Napoli Est (img. 03) nell’ambito del progetto Metropolis, portato avanti dal gruppo di ricerca del DiARC - Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II e finalizzato a valutare la capacità adattiva del sistema urbano agli effetti del climate change5 (D’Ambrosio e Di Martino, 2016). In tale quadro di riferimento, l’esito del presente lavoro di ricerca si aggiunge allo sviluppo di un modello di conoscenza della vulnerabilità del sistema urbano finalizzato alla definizione di scenari di impatto da pluvial flooding sul sistema fisico e sociale e delle relative soluzione adattive. Per la simulazione degli scenari di allagamento futuro sono stati raccolti i dati relativi alle osservazioni pluviometriche giornaliere delle stazioni della rete di monitoraggio in tempo reale del Centro Funzionale Regionale denominate “Napoli Servizio Idrografico” e “Napoli Capodichino” in relazione al trentennio 1971-20006. I dati raccolti sono utilizzati per definire gli eventi di precipitazione estrema di grande intensità e breve durata con riferimento allo scenario sviluppato dall’IPCC denominato RCP 8.57 (IPCC, 2014). La natura giornaliera di tali dati ha reso
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le interazioni tra eventi di pioggia e sistema costruito possono generare elevati livelli di pericolosità in ambito urbano, anche a causa dell’alterazione dei cicli idrologici da parte dell’uomo
necessaria una disaggregazione degli stessi (De Paola et al., 2014) per consentire la definizione di eventi meteorici di durata (D) pari a 10 e 30 minuti e a 1, 3 e 6 ore, con un periodo di ritorno (TR) di 2, 5, 10, 30, 50 e 100 anni. In relazione al fenomeno oggetto di studio, ovvero pericolosità derivante da eventi brevi ma intensi, ai fini della simulazione sono stati considerati unicamente gli eventi con D pari a 10 e 30 minuti e TR pari a 2, 5 e 30 anni. Alle carte di Flood Hazard Rating, ottenute dalla simulazione e dal successivo calcolo tra i valori di H e V, è possibile sovrapporre mediante software GIS specifici tematismi (edifici, strade, sottopassi, ecc.), al fine di localizzare particolari elementi urbani interessati da episodi di allagamento (img. 04). Le mappe relative ai sei eventi considerati evidenziano, all’aumentare di D e TR, un prevedibile incremento di aree caratterizzate da elevati valori di pericolosità, determinata da caratteristiche fisiche del territorio e del costruito tali da generare episodi rilevanti di ristagno superficiale. I valori di H e V superano i valori estremi in molti casi e per superfici estese. In particolare, a partire dall’evento di minore intensità (D=10 minuti; TR=2 anni), che determina valori di H pressoché bassi, si è riscontrato un incremento di superficie interessata da valori alti di H già a partire da eventi di media intensità (D=10 minuti, TR=5 anni) con valori che superano i 2 m (valore estremo) per 5 eventi su 6. Parallelamente, il parametro velocità assume valori superiori ai 2 m/s (valore estremo) per 3 eventi su 6 (D=10 minuti, TR=30 anni; D=30 minuti, TR=5 anni; D=30 minuti, TR=30 anni), con un picco di 2,88 m/s per l’evento più intenso. Il prodotto di tali variabili genera un FHR con valori superiori a 1,25 m2/s (classi di pericolosità significativa ed estrema) già a partire dall’evento con durata 10 minuti e periodo di ritorno 5 anni, concentrati prevalentemente nell’area coincidente con viale Margherita e via Don Agostino Cozzolino. Tali evidenze sono direttamente collegabili alla morfologia del territorio (presenza di avvallamenti e aree in pendenza) e del costruito (larghezza media della sezione stradale pari a 6 m con cortina edilizia continua su entrambi i lati). La presenza di edifici a elevata densità abitativa, di numerose attività commerciali al piano terra e l’assenza pressoché generalizzata di marciapiedi su via Cozzolino rendono tale tratto stradale un
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tracciato a elevata pericolosità in relazione alla possibile interruzione delle attività economiche e della mobilità, alla perdita dei beni ubicati ai piani terra e al disagio per la popolazione (in particolare bambini e anziani). Considerazioni finali I risultati ottenuti mostrano come il cambiamento climatico connesso alle variazioni di precipitazione sia argomento assolutamente attuale, soprattutto in relazione alle modalità di interazione con i sistemi antropici. Le conseguenze sempre più allarmanti del fenomeno pluvial flooding rendono necessaria una gestione consapevole di eventuali situazioni di pericolo, finalizzate alla riduzione degli impatti. Al fine di evitare, nel breve e nel lungo periodo, situazioni drammatiche come quelle che in passato hanno interessato numerosi insediamenti urbani dell’Italia oltre che del centro-Europa (img. 05), sono necessarie appropriate misure di intervento, in grado di favorire l’adattamento del costruito al pluvial flooding. Le azioni devono essere centrate principalmente sull’incremento della permeabilità dei suoli e sulla realizzazione di sistemi di raccolta e riuso locale delle acque piovane, al fine di ridurre il carico gravante sul sistema fognario, decentralizzando quanto più possibile lo smaltimento delle acque di deflusso. A tale scopo, le mappe elaborate trovano valida applicazione nella determinazione degli scenari di impatto se accoppiate a mappe di valutazione della vulnerabilità del costruito, consentendo l’individuazione delle priorità di intervento su specifiche aree ed elementi costruiti.▲
IMMAGINI 01 - Conseguenze del nubifragio del 12 ottobre 2012 nel quartiere Mergellina a Napoli (via Mergellina). Crediti: Luca Stamati. 02 - Processo per la caratterizzazione della pericolosità al pluvial flooding. Crediti: Carmela Apreda. 03 - Inquadramento dell’area studio (Napoli Est). Crediti: Carmela Apreda. 04 - Scenari di pericolosità al pluvial flooding secondo il modello di previsione RCP 8.5 al 2100 nell’area del centro storico di Ponticelli (Napoli). Crediti: Carmela Apreda. 05 - Fenomeno di flooding del 2 giugno 2016 a Simbach am Inn in Germania. Crediti: EPA.
NOTE 1 - Il software è elaborato dai ricercatori del Centre for Water Systems dell’Università di Exeter in Inghilterra (scaricabile gratuitamente da www.goo.gl/ YmQ9Ie). 2 - La simulazione dell’altezza idrica (m) evidenzia le depressioni naturali e non del terreno entro le quali potrebbe convogliarsi la portata di piena. 3 - La simulazione della velocità (m/s) evidenzia la velocità di scorrimento delle acque meteoriche. 4 - A tal proposito, si ricordano due eventi significativi, ovvero i nubifragi del 15/09/2001 e del 12/10/2012, per i quali sono state registrate rispettivamente intensità di circa 70 mm/h e 30 mm/h. 5 - Il progetto di Ricerca METROPOLIS - MEtodologie e Tecnologie integRate e sOstenibili Per l’adattamentO e La sIcurezza di Sistemi urbani è attuato nell’ambito del Distretto STRESS S.c.a.r.l. su finanziamento del PON Ricerca e Competitività 2007-2013. Maggiori dettagli sul lavoro svolto e sui membri del gruppo di Ricerca in D’Ambrosio e Di Martino (2016). 6 - Dati raccolti dagli Annali Idrologici elaborati dall’Ufficio Idrografico e Mareografico di Napoli. 7 - I 4 scenari RCP elaborati dall’IPCC illustrano 4 differenti probabili variazioni del clima entro il 2100 basate sui futuri livelli di concentrazione di gas serra. Il numero che li contraddistingue indica il forzante radiativo (calore immagazzinato dalla Terra quale risultato delle emissioni), espresso in W/m2, che si prevede venga raggiunto entro il 2100. Lo scenario RCP 8.5, denominato Business As Usual, è lo scenario peggiore, con concentrazioni di CO2 triplicate o quadruplicate entro il 2100 rispetto ai livelli preindustriali e un innalzamento della temperatura maggiore di 2°C. BIBLIOGRAFIA - Alessandri A., De Felice M., Zeng N., Mariotti A., Pan Y., Cherchi A., Lee J.Y., Wang B., Ha K.J., Ruti P., Artale V., “Robust assessment of the expansion and retreat of Mediterranean climate in the 21st century”, in “Scientific Reports”, 2014, n. 4. - Barbano A., Braca G., Bussettini M., Dessì B., Inghilesi R., Lastoria B., Monacelli G., Morucci S., Piva F., Sinapi L., Spizzichino D., “Proposta metodologica per l’aggiornamento delle mappe di pericolosità e di rischio”, ISPRA, Roma, 2012. - D’Ambrosio V., Di Martino F., “The Metropolis research. Experimental models and decision-making processes for the adaptive environmental design in climate change”, in “UPLanD”, 2016, n.1, pp. 187-217. - De Paola F., Giugni M., Topa M.E., Bucchignani E., “Intensity-Duration-Frequency (IDF) rainfall curves, for data series and climate projection in African cities”, in “SpringerPlus”, 2014, n.3: 133. - Environment Agency, “What is the updated flood map for surface water?”, 2013. - Falconer R., “EWA expert meeting on pluvial flooding in europe”, European Water Association, Bruxelles, 2009. - Ghimire B., Chen A. S., Djordjević S., Savić D.A., “Application of cellular automata approach for fast flood simulation”, in “CWI 2011: Computing and Control for the Water Industry”, 2011, pp. 265-270. - Houston D., Werritty A., Bassett D., Geddes A., Hoolachan A., McMillan M., “Pluvial (rain-related) flooding in urban areas: the invisible hazard”, Joseph Rowntree Foundation, York, 2011. - IPCC, “Climate Change 2014: impacts, adaptation, and vulnerability. Part A: global and sectoral aspects”, CUP, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA, 2014. - Maksimovic C., Saul, A., “Urban pluvial and coincidental flooding”, IWA Publishing, Londra, 2017. - Ramsbottom D., Wade S., Bain V., Floyd P., Penning-Rowsell E., Wilson T., Fernandez A., House M., Surendran S., “R&D outputs: flood risks to people”, DEFRA, London, 2006. - SEPA, “Planning guidance strategic flood risk assessment”, SEPA Development Plan Guidance, 2015.
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Prelievi idrici in un clima che cambia Elementi di riflessione verso una riforma delle concessioni di derivazione dell’acqua
Silvia Santato è ricercatrice presso la Fondazione Eni Enrico Mattei e dottoranda in Scienza e Gestione dei Cambiamenti Climatici presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. e-mail: silvia.santato@feem.it
Climate change and population growth are going to be major drivers for a radical transformation of the way we manage water resources, which is essential if we want to better reconcile water uses with environmental concerns. Many parts of Italy are likely to experience a significantly drier climate over the coming decades. Declining water availability and soaring water demand like that of May 2003 have demonstrated that the current Water Abstraction Licence (WAL) regime in Italy is no longer flexible enough to cope with these challenges. The WAL legislative and administrative frameworks in Italy have remained essentially unchanged since the 1930s. As a result, the WAL regime varies across regions, even within the same river basin. The main differences lie in the concession-free entitlements, the administrative practices, and the levels of water concession fees. Based on a review of the WAL regimes across the Regions in the Po River Basin District, the article outlines the elements of a reform to promote water security in Italy.
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e risorse idriche sono fondamentali per la vita ma solo una minima parte è disponibile sul nostro pianeta (img. 02) per soddisfare i fabbisogni dell’uomo e, allo stesso modo, sostenere gli ecosistemi. Una goccia d’acqua varia ambiente (oceani, sottosuolo, laghi, fiumi) e stato (solido, liquido, gassoso) in continuazione attraverso il ciclo idrologico (img. 01), un sistema chiuso dove la risorsa totale in gioco rimane sempre la stessa, rinnovata dalle precipitazioni. La distribuzione di queste ultime risulta disomogenea nello spazio e nel tempo, ovvero sulla superficie terrestre e al variare delle stagioni, determinando l’abbondanza o la scarsità di risorsa. Difatti, la reale minaccia del nostro tempo non è di restare a secco, ma di non avere acqua disponibile quando e dove serve. A complicare ulteriormente la disponibilità e la distribuzione della risorsa ci pensa il cambiamento climatico. L’effetto alterante sul ciclo idrologico diventerà sempre più pronunciato in Italia. I nostri territori dovranno essere gradualmente preparati sia a una riduzione delle precipitazioni con conseguente aumento di prolungate siccità (img. 03) che a piogge intense che contribuiscono ad aumentare i fenomeni alluvionali (Ciscar et al., 2014). Abbiamo scoperto che il regime delle piogge è cambiato anche senza essere esperti di cambiamento climatico. Troppo facile puntare il dito al cielo quando cadono vere e proprie bombe d’acqua o le rese agricole vengono messe in ginocchio dalla siccità. Il modo in cui pianifichiamo il territorio e le città ha un impatto diretto sul ciclo dell’acqua. Deforestare intere aree, cementare fiumi e suoli privandoli della capacità di infiltrazione dell’acqua, la presenza di bacini di accumulo e la diffusione selvaggia di prelievi idrici da falde e fiumi interferiscono con l’equilibrio dinamico del ciclo idrologico, innescando nuovi processi e nuovi fenomeni. Quando queste dinamiche antropiche si scontrano
GHIACCIAI E NEVAI
SCIOGLIMENTO DELLE NEVI
RUSCELLAMENTO
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con gli effetti del cambiamento climatico risulta evidente la fragilità del territorio in cui viviamo. Esempio eclatante è la prolungata siccità che ha colpito il nostro paese nel 2003, 2006 e 2007 per una durata totale di 21 mesi. La lezione è servita a dimostrare che l’attuale sistema di gestione della risorsa idrica non è per nulla flessibile e tantomeno adeguato a far fronte agli impatti dei cambiamenti climatici. Viene prelevata più acqua di quanta ve ne sia realmente disponibile in falde e fiumi. Situazioni di questo tipo causano conflitti non solo tra i diversi usi possibili (ad es. irriguo, potabile e industriale) ma anche tra i territori di monte con quelli di valle. In mancanza di una strategia condivisa o di un piano, i fortunati insediati a monte possono decidere di trattenere maggiore risorsa a discapito di chi aspetta l’acqua a valle. È stato proprio per escludere questa eventualità che a partire dalla crisi idrica del 2003 l’Autorità di Bacino del fiume Po ha avviato la Cabina di Regia (CdR). Tale meccanismo si basa sul coinvolgimento volontario dei diversi stakeholder che gestiscono le risorse idriche nel Bacino del Po ed è volta a ritardare o a prevenire le conseguenze degli eventi siccitosi. Ad esempio, le misure concertate hanno portato gli irrigatori a dimezzare la quantità di acqua prelevata e gli operatori idroelettrici a rilasciare più acqua dai serbatoi alpini e dai grandi laghi. Dal 2003 la CdR è stata convocata ogni qual volta le persistenti condizioni di siccità hanno minacciato la più importante area economica d’Italia.
i nostri territori dovranno essere preparati sia a una riduzione delle precipitazioni, con conseguente aumento di prolungate siccità, che a piogge intense che contribuiscono ad aumentare i fenomeni alluvionali
acquiferi precipitazioni 0,5% acqua dolce disponibile laghi naturali 2,5% acqua dolce ghiacciata 97% acqua salata (non potabile)
bacini artificiali fiumi
02
N.17 APR-GIU 2017 33
TENDENZE OSSERVATE DELLA FREQUENZA E DELL’INTENSITÀ DELLE SICCITÀ METEOROLOGICHE Frequenza siccità (eventi/decennio) +0.7
Fuori copertura
0
Punti significativi 0
500
-0.7
0
1000 1500 km - 30
le licenze dovrebbero essere concesse per una durata che permetta l’adattamento dei prelievi ai cambiamenti delle precipitazioni e della portata di fiumi e falde acquifere
04
34 OFFICINA*
Intensità complessiva siccità (punti/decennio) + 30
03
Dato il successo di questa pratica, nel 2016 la CdR ha cambiato nome in “osservatorio permanente” ed è stata traferita agli altri sette distretti idrografici italiani (MATTM, 2016). Tuttavia, approcci di tipo reattivo come quello della CdR non prevedono la possibilità di distribuire la risorsa tra i vari usi anticipando gli effetti negativi dello stress idrico, caratteristico invece dell’approccio proattivo. Considerando le proiezioni del cambiamento climatico accennate è da constatare che probabilmente la CdR costituisce il primo passo concreto verso l’introduzione di mezzi più efficaci ed efficienti per rispondere alle future siccità. Secondo la letteratura internazionale tali mezzi consistono in una combinazione di strumenti economici (ad es. tariffe, sussidi, canoni), di opere infrastrutturali sia per l’approvvigionamento che per la distribuzione della risorsa e infine di interventi nella legislazione e nella regolamentazione (EC, 2012; UN, 2014). Alla base di una corretta attuazione di strumenti proattivi di gestione delle risorse idriche come quelli elencati sopra, vi è un regime delle concessioni di derivazione flessibile, coerente e sostenibile (Young, 2010). Per diverse motivazioni legate sia alla scarsità d’acqua che alla sua qualità, il sistema che permette il rilascio delle autorizzazioni ai prelievi è stato recentemente riformato nel Regno Unito1 e in Spagna2 , attraverso la modifica nella durata dei prelievi, attivando dispositivi per il controllo e il monitoraggio, e con l’introduzione dei mercati dell’acqua.
Portata media
CENSIMENTO DELLE CONCESSIONI DI DERIVAZIONE NEL BACINO IDROGRAFICO DEL FIUME PO
Utilizzi
Numero di concessioni rilasciate
Irriguo
Portata massima
% di concessioni con informazioni disponibili
Totale (m3/s)
% di concessioni con informazioni disponibili
Totale (m3/s) 1690.3
21.909
57.8 %
1653.6
17.2 %
Potabile
8180
75.5 %
342
19.5 %
79
Industriale
6864
76.7 %
411.9
22%
49.5
Acquacoltura
706
75.2 %
32.1
21.2 %
10.6
Energetico
3430
85.4 %
6466.1
49.3 %
7531.5
Igienico
8639
82.6 %
13.9
8.4 %
3.6
Zootecnico
5798
83.4 %
6.6
10.8 %
113.9
Altri Usi
6773
56.2 %
24.9
26.8 %
22.1
Non Specificato
10.19
0.3 %
24.1
0.3 %
34.9
72.489
59.8 %
8975.1
16.4 %
9535.4
Totale
05 Uso
DURATA DELLE CONCESSIONI IN ANNI NELLE REGIONI DEL DISTRETTO IDROGRAFICO DEL FIUME PO
Piemonte
Lombardia
Veneto
Emilia-Romagna
Valle d'Aosta
Irriguo
40
40
40
40
40
Potabile
30
30
30
30
30
Civile
30
30
30
30
30
Industriale
15
15
30
30
30
Acquacoltura
30
40
30
40
30
Energetico
30
30
30
40
30
Sanitario
30
30
30
40
30
Zootecnico
30
30
30
30
30
Altri Usi
30
30
30
30
30
06
Da quasi un secolo l’allocazione delle risorse idriche in Italia fa riferimento, salvo modifiche e integrazioni, al Regio Decreto (R.D.) n. 1775 del 1933. Questo definisce modalità e criteri successivamente ampliati dalla cosiddetta Legge Galli (L.36/1994), poi inserita nel Testo Unico Ambientale (T.U.) 152/2006, attraverso cui il bene comune acqua, di natura pubblica, viene concesso in uso a privati, imprese e gestori. Oggi le amministrazioni regionali hanno piena giurisdizione per le questioni relative alle concessioni di derivazione, e delegano a loro volta al livello sub-regionale parte dell’iter di rilascio della concessione, che varia da regione a regione. Con dovuta comunicazione alle amministrazioni locali referenti, tutti possiamo prelevare piccole portate di acqua per quello che viene riconosciuto come uso domestico, ovvero destinato all’uso potabile (in mancanza di un acquedotto), oppure per annaffiare il giardino, abbeverare gli animali o per costruire una nuova casa. Invece, quando l’acqua viene utilizzata per svolgere attività economico-produttive è necessaria una concessione di derivazione attraverso la quale è possibile prelevare un determinato quantitativo di risorsa, attingendo da una determinata fonte (ad es. falda o fiume), secondo un uso specifico (ad es. irriguo o industriale)3. Lo strumento della concessione permette di poter utilizzare l’acqua secondo le modalità e le tempistiche indicate nei riferimenti normativi.
le amministrazioni regionali hanno piena giurisdizione per le questioni relative alle concessioni di derivazione dell’acqua
Se da una parte la normativa prevede che il deflusso minimo vitale4 per il mantenimento di un buon stato ecologico5 dei corpi idrici sia rispettato (con relativa revisione o revoca della concessione nel caso non lo fosse), dall’altra gli utenti sono autorizzati a prelevare la portata media e/o massima concessa. Questa unità di portata autorizza il concessionario a utilizzare la risorsa senza sapere la sua reale disponibilità, ne come varia durante le diverse stagioni o come potrà variare in futuro. L’aggiornamento del bilancio idrico nazionale non si basa solo sulle conoscenze idrologiche ma anche sul censimento delle utilizzazioni in atto (Rusconi, 2011). Attualmente non è disponibile un registro centrale e condiviso sui prelievi. Si tratta di una complessa e difficile attività in carico alle Regioni che lavorano
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07
indipendentemente sulla raccolta dei dati. Lo studio di Santato et. al (2016) ha raccolto e analizzato i database non accessibili pubblicamente delle Regioni comprese nel distretto idrografico del fiume Po (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto e a livello aggregato a livello provinciale per Emilia-Romagna). Le caratteristiche riscontrate includono le coordinate del punto di prelievo, da quale corpo idrico la risorsa viene prelevata, l’uso permesso, lo stato della concessione (attiva, conclusa o in revisione) e la durata. Il censimento ottenuto ha permesso di evidenziare la disponibilità di informazioni sulla portata media per circa il 60% delle derivazioni e il 16 % sulla portata massima (img. 05). Se quest’ultima non viene specificata significa che gli utenti hanno la possibilità di aumentare i prelievi nei periodi di siccità e considerata la durata (img. 06) di una concessione (ad es. fino a 40 anni per l’uso irriguo) questa situazione può verificarsi più volte in un lasso di tempo considerevole. Qui l’errore sta nel tralasciare che secondo le proiezioni dei cambiamenti climatici la disponibilità delle risorse idriche potrà variare nel medio e lungo termine, tra un anno e l’altro e nel corso dello stesso anno (Coppola e Giorgi, 2010). Tantomeno sono determinate le possibili modifiche nella domanda di prelievi guidate dalla dinamica della popolazione e dallo sviluppo economico. Sarebbe invece opportuno che le concessioni siano specificate in base alle risorse idriche disponibili e rilasciate secondo un’allocazione periodica dei volumi che possono essere prelevati. Inoltre le licenze dovrebbero essere concesse per una durata che permetta l’adattamento dei prelievi ai cambiamenti nel regime delle precipitazioni, nella portata dei fiumi e nelle falde acquifere.
36 OFFICINA*
Infine dovrebbe esistere un unico censimento delle derivazioni che raccolga e uniformi i diversi database regionali, rispettando il più possibile i limiti idrografici, contribuendo a ottimizzare la gestione del rilascio di nuove concessioni o il rinnovo di quelle esistenti. Un ulteriore aspetto importante sulle concessioni sono i relativi canoni versati direttamente nelle casse regionali. È lecito pensare a come vengano poi utilizzati gli introiti generati da questa gestione e non è gradevole scoprire che non sono reinvestiti per la tutela e la gestione della risorsa, se non in piccola parte. Inoltre, i canoni non riflettono distintamente il costo (comprensivo del valore ambientale) e l’uso per il quale sono concessi, ostacolando così l’utilizzo efficiente della risorsa. Sino a questo punto sono emersi diversi elementi da considerare qualora ci fosse l’intenzione di aprire un dibattito in Italia su una riforma delle concessioni di derivazione dell’acqua. In questa direzione, una proposta di riforma è stata suggerita anche dalla Strategia Nazionale sui Cambiamenti Climatici (Castellari et al. 2014) che sarà ripresa nel prossimo Piano di Adattamento al Cambiamento Climatico6. Mentre molti riconoscono che la gestione attuale delle concessioni non è in grado di allocare acqua in modo sostenibile ed efficiente (Young, 2014), vi è una notevole divergenza di opinioni su come un possibile nuovo regime dovrebbe essere riorganizzato (Garrick et al., 2013). Una riforma di tale portata dovrà essere attuata attraverso un’ampia consultazione pubblica e potrebbe consistere in una transizione graduale verso una gestione più efficiente delle risorse idriche.▲
NOTE 1 - Il prof. Martin Cave, economista, ha portato all’attenzione dell’assemblea del Regno Unito e di quella gallese una revisione indipendente sulla concorrenza e innovazione nei mercati dell’acqua che entrerà in vigore entro il 2020. 2 - Nei territori spagnoli soggetti a carenza idrica esiste un mercato informale dell’acqua dove chi ne ha di più vende a chi ne necessita, senza il controllo delle autorità. La riforma dell’acqua del 1999 ha incorporato questo meccanismo nel quadro giuridico spagnolo, permettendo la possibilità di stipulare contratti di locazione della risorsa e la creazione di centri di scambio che consentono il commercio temporaneo dei diritti di utilizzo. 3 - Informazioni utili per chi fosse interessato ad avere indicazioni su come fare per una concessione si possono trovare al sito www.risorsa-acqua.it, un portale di informazione, ricerca e supporto per la gestione delle acque. 4 - Deflusso che in un corso d’acqua deve essere presente a valle delle captazioni idriche al fine di mantenere vitali le condizioni di funzionalità e di qualità degli ecosistemi interessati. 5 - Rispecchia la qualità della struttura e del funzionamento degli ecosistemi acquatici associati ai corsi d’acqua e può essere espresso da cinque classi di qualità (elevato, buono, sufficiente, scarso, cattivo), rispetto allo stato indisturbato. 6 - L’autrice collabora con il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ed è una dei ricercatori coinvolti nel settore delle risorse idriche. IMMAGINI 01 - Il ciclo idrologico. Crediti: Natalka Dmitrova. 02 - Le risorse di acqua dolce nel mondo. Crediti: WBCSD, 2009. 03 - Tendenze osservate su frequenza e gravità delle siccità meteorologiche. Crediti: EEA, 2016. 04 - Fiume Adige in secca nei pressi di Lusia (RO). Crediti: Silvia Santato, 2017. 05 - Censimento delle concessioni di derivazione nel Bacino Idrografico del fiume Po. Crediti: Santato et al., 2016. 06 - Durata delle concessioni in anni nelle regioni del distretto idrografico del fiume Po. Crediti: Santato et al., 2016. 07 - Installazioni di arte su acqua in Nicaragua. Crediti: Sophie Hollingsworth, 2017. 08 - Acqua. Crediti: CCØ. BIBLIOGRAFIA - Castellari S. et al., “Rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici in Italia”, 2014. - Ciscar, J. C. et al., “Climate impacts in Europe. The JRC PESETA II Project”, in “EUR Scientific and Technical Research” , Vol. 26586, 2014. - Coppola E. e Giorgi F., “An assessment of temperature and precipitation change projections over Italy from recent global and regional climate model simulations” 32, 2010, pp. 11–32. - EC, “A blueprint to safeguard Europe’s water resources”, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, COM(2012) 673 Final, 2012. - Garrick D. et al., “Understanding the evolution and performance of water markets and allocation policy: a transaction costs analysis framework” in “Ecological Economics” 88, 2013, pp. 195–205. - MATTM, “Siccità: da Po a Sardegna, via ai primi sei osservatori. Galletti: passo per la nuova governance”, 2016. - Santato S. et al., “The water abstraction license regime in Italy: a case for reform?” in “Water” 8(3), 2016, p. 103. - UN, “The United Nations world water development report 2014”, United Nations, 2014. - Young M., “Environmental effectiveness and economic efficiency of water use in agriculture” in “OECD studies on water”, Paris, Organisation for Economic Cooperation and Development, 2010, pp. 1–33. - Young M., “Trading into trouble? Lessons from Australia’s mistakes” in “Water policy reform sequencing” 403, 2014, pp. 50–61.
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A place in the sun Vivere senz’acqua. Una NanoDesign Vision@2025
Giulio Ceppi, Irene Lia Schlacht, Emmanuele Villani, Chiara Montanari.
Living without water. This statement may be true for humanity in a future that is now getting closer. A vision that may seem apocalyptic actually represents real life in some parts of the world. This paper presents the absence of water as a research topic proposed within a workshop with the students of the “Laboratorio di sintesi finale NanoDesign Vision@2025” at Politecnico di Milano. The proposed topic explores and imagines new services to be developed for our body in an attempt to extend the possibility of first supporting and eventually increasing the ability of humans to adapt in extreme situations, particularly in the absence of drinking water. The tools to be used are found in the technology of the infinitely small and include as research hypotheses the development of intra-/extracorporeal devices; these devices are developed on the basis of nanotechnology available today and they are created to be used to equip ourselves to live on this earth in the fast approaching future of 2025. The goal is to show how issues related to the development of innovative technologies for addressing real problems, such as lack of drinking water, may be a key factor in terms of shaping the vision of the designers of the future.
38 OFFICINA*
ision di progetto tra Sahara e nanotecnologie “Alcuni anni fa mi raccontarono di un progetto a Niamey, la capitale del Niger. Si trattava di rendere sicuro dal punto di vista edilizio uno dei centri economici più importanti del paese: i mercati generali, un agglomerato di più di 2.000 attività commerciali addensate in poco più di 50.000 m 2 . In tale contesto progettare è impegnativo, ma soprattutto è difficile costruire perché l’acqua è un bene prezioso e molto scarso in Niger; in compenso ci sono soprattutto sabbia e sole, oltre che uranio. Il progetto venne abbandonato, ma mi restò in mente l’immagine di quel luogo e soprattutto di quanto sia importante l’acqua per la nostra vita. Può sembrare un’ovvia banalità, ma non lo è. Non da tutti i rubinetti in ogni luogo del mondo esce acqua quando vengono aperti. Richard P. Feynman nel 1959 presentò all’American Physical Society un intervento dal titolo There’s Plenty of Room at the Bottom. È la data di nascita ufficiale delle nanotecnologie. Immaginarsi un mondo che concentrasse l’attenzione sul “molto piccolo” fu qualcosa di straordinariamente innovativo, percepito ancora oggi come tale, nonostante siano passati quasi sessant’anni da quella prima intuizione. L’aspirazione di questa ricerca è utilizzare la stessa flessibilità e morbidezza scientifica di Feynman, nel tentativo di applicare le nanotecnologie alla mancanza d’acqua. Nella mia infanzia mi colpiva molto il fatto che i marinai di un tempo affrontassero le traversate oceaniche ammalandosi per l’impossibilità di stivare l’acqua. Quindi, pensavo, l’acqua non si può conservare, il che era abbastanza curioso su una nave.” Racconta il prof. Emmanule Villani.
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Il task del progetto: sopravvivere senza acqua Queste premesse hanno spinto il prof. Villani a sviluppare un workshop di progetto sul tema dell’acqua, o meglio sull’assenza d’acqua, all’interno del Laboratorio di Sintesi Finale guidato dal prof. Giulio Ceppi nel corso di Innovazione del Prodotto della Scuola di Design del Politecnico di Milano. Con il supporto di Irene Lia Schlacht (esperta di ambienti estremi) e di un seminario dedicato di Chiara Montanari (capo spedizione polare) gli studenti hanno approcciato la sfida di progetto con l’obiettivo di sviluppare una vision su un possibile futuro non lontano in cui le nanotecnologie dell’infinitesimamente piccolo potranno servire a costruire manufatti da usare e attrezzature da indossare per sopravvivere. Immaginate di vivere senz’acqua in un ambiente estremo come il deserto del Sahara – nella fascia che comprende parte di Mauritania, Mali, Niger, Ciad e Sudan – che cosa progettereste per sopravvivere? Viene da chiedersi se questi temi siano ambito del design. La risposta è si, se ci riferiamo a un design che cerca di trovare la sua ragion d’essere sia nell’indagine teorica che nella progettazione di manufatti, utilizzando quanto ha a sua disposizione. In conclusione, dal manifesto del laboratorio, “Il rapporto tradizionale tra saggezza, conoscenza e informazione che ha guidato l’innovazione per secoli, oggi sembra essersi ulteriormente modificato: lo “sguardo molecolare”, come lo
una vision che permettesse di immaginare in un futuro non lontano l’utilizzo di nanotecnologie per sopravvivere nel deserto senz’acqua
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definisce Giuseppe Testa (direttore del laboratorio di Epigenetica delle Cellule Staminali dell’Istituto Europeo di Oncologia, Milano), “è alla scala dei geni, oramai oggetti di depositi industriali e brevetti”. Tutto ciò rappresenta una sfida inedita per il design e la cultura del progetto forse non se ne è ancora resa conto. Occorre che il design entri nei laboratori di ricerca, che abbia il coraggio e la modestia per uscire dalla scala del visibile ed entrare in quella della “visualizzazione”, dove si forma in potenza la materia e la forma del domani: già oggi stiamo assistendo al passaggio dalle forme della vita alla vita delle forme. In tale scenario l’innovazione responsabile ed etica è un tema cruciale per lo scienziato, come per il designer lo è stata nell’ultimo ventennio la questione ecologica ed ambientale”. Come spiega il prof. Ceppi, oggi, grazie alle tecno-scienze, possiamo non solo visualizzare o prendere coscienza di esplorazioni e teorie a volte apparentemente astratte, speculativamente più filosofiche che scientifiche, ma anche di capire concretamente quanto
il design a tali soglie sia un fattore discriminante e attivo, capace di portare informazione reale e quindi decisione e cambiamento concreto in processi che ci sembrano lontani, ma che sono destinati a modificare il nostro futuro immediato più di quanto crediamo. A dimostrazione serva ancora il pensiero del prof. Giuseppe Testa, che parla nel suo libro Geni a nudo dell’importanza dello “sguardo molecolare” ovvero del comprendere quanto l’elemento caratterizzante delle scienze della vita, forse ancora di più della loro capacità di ridisegnare corpi e organismi, consista nella capacità di rendere visibili cose, pezzi della vita, che prima non si potevano vedere. Oggi il nostro sguardo penetra i geni, non più solo gli organi: capire la vita, significa modificarla e la conoscenza diventa azione. Sono passi fondamentali per il design, dove la cosiddetta knowledge economy, assume livelli operativi che rendono possibile l’intervenire sulla vita in modi prima impensabili: una sfida che il design deve saper far propria, laddove cambiano i concetti di individuo e comunità, di interno ed esterno, di naturale e artificiale, in maniera profonda e irreversibile.
l’innovazione responsabile ed etica è un tema cruciale per lo scienziato, come per il designer
Le tecnologie e l’acqua Seguendo questo filone di ricerca abbiamo invitato diversi scienziati ed esperti per portare il progetto a contatto con le tecnologie di innovazione. In particolare per il workshop “senza acqua” è stata coinvolta Chiara Montanari, capo spedizione in Antartide, un deserto di ghiaccio dove vengono testate quelle tecnologie che nel futuro porteranno l’acqua dove non c’è. Chiara racconta: “Può sembrare ovvio, ma vivere in spazi confinati, in una base remota e isolata in Antartide, a 1.200 km
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dalla costa, 4.000 m di quota e -50°C di temperatura media, non ha niente di “normale”, e qui niente è scontato. L’acqua, per esempio, come tutte le altre risorse cosiddette di life support, viene auto-prodotta ed è cruciale gestirla con cura. Bisogna inoltre considerare che il piccolo nucleo di persone, che lavora in questi ambienti confinati ed estremi, si trova ad agire su un ecosistema fragile e delicato: per i ricercatori è un laboratorio a cielo aperto e l’impatto umano deve essere ridotto al minimo. Altro aspetto non trascurabile è quanto elementi come cibo, acqua e progettazione degli spazi contribuiscano in modo sensibile al comfort del gruppo e di conseguenza incidano in modo importante sulla performance collettiva e sul successo dei progetti. Tutte queste caratteristiche fanno delle missioni polari il terreno ideale per le ricerche e le sperimentazioni dell’Agenzia Spaziale sull’adattamento umano all’ambiente estremo e sull’interazione uomo-ambiente, in vista delle prossime missioni su Marte. In questo contesto, lo studio di soluzioni che sviluppino e moltiplichino le possibilità di approvvigionamento e di gestione dell’acqua sono di grande interesse. Per esempio, nella base italo-francese Concordia, il sistema di produzione, gestione e smaltimento acqua si sviluppa in 3 sistemi: - acqua da bere (che si ottiene dallo scioglimento del ghiaccio); - acqua riciclata (sistema a osmosi inversa, sperimentato in Antartide dall’ESA e poi installato sulla base spaziale europea); - acque reflue (trattamento e riduzione fanghi). Analogamente, il sistema di approvvigionamento e gestione dell’acqua nella base belga Princess Elisabeth (il primo edificio
le risorse saranno sempre meno accessibili, l’acqua potabile sarà un bene in estinzione
Zero Emission dell’Antartide) è stato sviluppato con la stessa cura. Si tratta anche in questo caso, di una produzione di base da scioglimento di ghiaccio e successivo trattamento con membrana e bioreattore atta a minimizzare l’impatto e riciclare l’acqua”. Queste le tecnologie che si vedranno applicate non solo in contesti estremi come quello del Sahara, ma anche in quello della nostra vita di tutti i giorni, quando in un futuro non lontano in cui le risorse saranno sempre meno accessibili, l’acqua potabile sarà un bene in estinzione. Infatti Irene Lia Schlacht racconta sulla sua esperienza in missione di simulazione marziana: “In ambienti estremi si fa esperienza del nostro futuro, un futuro dove il bagno non funziona più con l’acqua potabile; dove le persone per poter sopravvivere divengono sensibili e coscienti del rispetto delle risorse. Poiché l’acqua sulla Terra, come nelle stazioni spaziali, è un elemento finito e non infinito, e se l’uomo è acqua, l’acqua è vita”.
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Ipotesi di progetto La ricerca ha preso il via da questi assunti e le ipotesi di lavoro hanno seguito diverse vie tutte connesse dall’uso delle nanotecnologie. In particolare, sono state sfruttate alcune proprietà delle nanotecnologie, per esempio, quella igrofobica dei nanotubi, alla quale gli studenti hanno accordato la maggior parte delle preferenze. Uno di loro, per esempio, l’ha usata per progettare frutti d’acqua che si possono raccogliere da alberi artificiali, che a loro volta raccolgono l’acqua dall’umidità dell’aria. Disseminati lungo la città e gestiti con applicazioni appropriate di filtraggio possono dare sollievo a quanti si avventurino nelle giungle urbane. Analogo il filone di un’altra ipotesi di progetto, incentrato su delle torri che integrano le nanotecnologie per imbrigliare ogni minima goccia d’acqua e riportarla a terra per irrigare terreni disperatamente aridi. In questa ipotesi ci si è spinti addirittura a concepire una vera e propria catena di “oasi di servizio” disseminate lungo i percorsi abitualmente frequentati nel deserto. Un altro filone di ricerca si é concentrato sulle situazioni di emergenza sviluppando droni per aiutare le persone in difficoltà nel deserto (delle specie di borracce volanti). Tute e maschere da indossare per filtrare e recuperare acqua sono state, invece, oggetto della ricerca di chi ha costruito soluzioni per rendere il più possibile autonomo e indipendente l’utente in cerca di avventure in ambienti estremi. E solo apparentemente più convenzionale è stata la ricerca che ha proposto le biciclette (costruite con tecnologie siliceo-solari) che sarebbero realizzabili sfruttando unicamente i mezzi a disposizione nel deserto. Alcuni studenti, inoltre, si sono spinti a sperimentare aree al confine tra arte e scienza, lavorando alla modificazione del DNA, in particolare interagendo con la genetica nell’ambito delle capacità dell’uomo di sopravvire senz’acqua. Mentre altri, più focalizzati ad applicare il concept per la risoluzione di problemi
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del presente, hanno sviluppato l’idea di un braccialetto tecnologico utilizzabile come una cannuccia che purifica l’acqua per salvare le vite dei migranti “illegali” che annualmente attraversano le zone aride tra il confine messicano e quello americano. Infatti molti muiono a causa delle intossicazioni provocate dall’acqua che durante il tragitto aumenta la concentrazione batterica fino a diventare tossica. In sintesi, si tratta di un lavoro complessivo che opera su diversi piani: intorno, vicino, sopra e all’interno dell’uomo, infatti i lavori si spingono ad esempuio attraverso la genetica a progettare anche l’interno dell’individuo. In conclusione alcuni progetti sono risultati ad alta fattibilità, altri invece si sono evidenziati per il carattere di ispirazione vicina alla sciencefiction. Del resto, è noto che proprio dalla sciencefiction è stato ispirato parte del nostro presente. Esiti: cross-technology per l’innovazione Gli esiti di questa ricerca hanno portato alla definizione di tesi magistrali centrate sul progetto di ibridazione di tecnologie, vision e design e ci hanno permesso di focalizzare alcuni elementi chiave intorno a cui organizzare una riflessione progettuale per il futuro. Il primo è che l’uso di un approccio cross-technology è foriero di sviluppi ricchi e stimolanti. Il secondo è che affrontare questi temi con metodi “design oriented” produce risultati inaspettati, senza dubbio suscettibili di miglioramenti e perfezionamenti, ma anche in grado di connotare positivamente gli esiti di questa ricerca. Il terzo, infine, riguarda la possibilità di fare innovazione. In una contemporaneità che sembra, almeno in apparenza, non lasciare alcuna possibilità inesplorata, si offrono ambiti di ricerca inaspettati e ricchi di prospettive.▲
AUTORI Giulio Ceppi è docente di Design del prodotto presso il Politecnico di Milano. E-mail: giulio.ceppi@ polimi.it Irene Lia Schlacht, esperta di ambienti estremi, è ricercatrice di Design presso il Politecnico di Milano. E-mail: irene.schlacht@mail.polimi.it, www. extreme-design.eu Emmanuele Villani è docente di Processi di innovazione sociale guidati dal design presso il Politecnico di Milano. E-mail: emmanuele.villani@polimi.it Chiara Montanari capo spedizione in Antartide. E-mail: chiara.montanari@polimi.it RINGRAZIAMENTI Si ringraziano il Politecnico di Milano, scuola e dipartimento del Design; il team del laboratorio NanoDesign Vision@2025 coordinato dal Prof. Giulio Ceppi, con Massimo Facchinetti, Francesco Samorè, Emmanuele Villani, Paolo Volontè e i cultori della materia Ettore Giordano, Stefano Ivan Scarascia, Irene Lia Schlacht; gli esperti invitati come Chiara Montanari; gli studenti per la loro collaborazione appassionata e, per le immagini, Riccardo Grancini. Infine per la consulenza Donatella Balloni, Anna Manazza e per la revisione del testo Silvia Eleonora Longo. IMMAGINI 01 - L’occhio del Sahara: il sahara con il suo occhio é stato selezionato come posto per la vision di progetto per trovare soluzioni all’assenza di acqua potabile. Crediti: NASA. 02 - Concordia. Un deserto d’acqua per studiare le tecnologie in un futuro. Crediti: Chiara Montanari 2014. 03 - Fontana buca la tela e contemporaneamente scopre l’infinitamente piccolo (visualizzato dalla maglia in grafene). Lucio Fontana bucando la tela creava una nuova dimensione, una dimensione infinita, rappresentazione metaforica della nostra ricerca dell’infinitamente piccolo che non possiamo vedere e del deserto di cui non vediamo la fine. Crediti: Riccardo Grancini 2017. 04 -“Rain” immagina una condizione improbabile in un contesto desertico senz’acqua: un cielo coperto con nubi che successivamente scaricheranno pioggia e disseteranno l’uomo e l’animale.Crediti: Riccardo Grancini 2017. 05 - “Is this real?” rappresenta un ipotetico mare in un contesto dove il mare non c’è. Crediti: Riccardo Grancini 2017. 06 - “Sea” raffigura una situazione di abbandono tra stato morente e vita, con una pozza d’acqua rappresentata quasi come l’ombra dell’uomo, a simboleggiare vita, speranza, salvezza e possibilità. Crediti: Riccardo Grancini 2017 (dettaglio). BIBLIOGRAFIA - Ceppi G., “Design Storytelling”, Fausto Lupetti, Bologna, 2012. Consultabile su: www.issuu.com/ promotedesign/docs/libro_storytelling - Ceppi G. e NanoDesign Team, “Manifesto del Laboratorio di sintesi finale NanoDesign Vision@2025”, documento interno del Politecnico di Milano, Milano, 2016. - Feynman R., “There’s Plenty of Room at the Bottom”, Talk at the American Physical Society, Pasadena, 29 December 1959. - Gonzalez-Crussì F., “Organi Vitali”, Adelphi, Milano, 2014. - Le Couteur P., Burreson J., “I bottoni di Napoleone”, Tea, Milano, 2008. - Le Breton D., “Il sapore del mondo. Un’antropologia dei sensi”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2007. - Leroi-Gourhan A., “Il gesto e la parola, Einaudi, Torino, 1982. - Montanari C., “Cronache dai ghiacci, 90 giorni in Antartide”, Mondadori-ELECTA, Milano, 2015. - Nowotny H., Testa G., “Geni a nudo. Ripensare l’uomo nel XXI secolo”, Codice Edizioni, Torino, 2012. - Schlacht I.L., “Space Habitability”, TU-Berlin, Berlin, 2012. Consultabile su: www.extreme-design.eu/publications.html
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Il progetto Adriplan Pianificare gli spazi marittimi per renderli più resilienti ai cambiamenti presenti e futuri
Federica Appiotti, Irene Bianchi, Denis Maragno, Alberto Innocenti, Elena Gissi, Francesco Musco
The Maritime Spatial Planning (MSP) is a process aiming at reducing maritime conflicts among uses and with the environment, through the allocation of anthropic activities, for the achievement of objectives of sustainable development. The Adriplan project is an European project financed in 2012 and concluded in 2015 that proposed an efficient methodology for planning the Adriatic-Ionian sea space. The study area is, on one side, strongly sensitive to climate change effects and, on the other, a strategic area in economic and commercial terms. This condition is mainly due to its location as well as its environmental, economic and social features. The Adriplan project has highlighted how a MSP process might be an efficient instrument to increase the national and regional coastal areas capacity of responding to future changes.
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a pianificazione dello spazio marittimo (Maritime Spatial Planning – MSP) è definita, a livello internazionale, come “un processo pubblico che mira ad analizzare e allocare la distribuzione temporale delle attività antropiche nelle zone marine al fine del raggiungimento di obiettivi ecologici, economici e sociali che generalmente sono specificati attraverso un processo politico” (Ehler e Douvere, 2009). MSP nasce dallo sviluppo dei piani di gestione integrata per la regolamentazione, la gestione e la protezione dell’ambiente marino, compresa la gestione delle aree protette e delle attività settoriali (Smit e Vallega, 1991). Esso può essere definito come un lungimirante strumento di pianificazione strategica il cui fine ultimo è quello di regolamentare e gestire le attività antropiche marittime garantendo uno sviluppo sostenibile di macro-area, organizzando gli usi antropici che insistono nello spazio in modo da minimizzare i conflitti inter-settoriali e con l’ambiente e proponendo piani di medio-lungo termine a diverse scale spaziali. MSP si inserisce all’interno di un quadro legislativo complesso e ambizioso che vede gli spazi marittimi fulcro dello sviluppo economico europeo presente e futuro. La legittimazione di MSP è avvenuta con la Direttiva Europea (2014/89/UE) la quale istituisce un quadro per la pianificazione spaziale marittima definendone gli obiettivi e le caratteristiche principali. La Direttiva 2014/89/UE è l’ultimo tassello della programmazione legislativa e politica europea che guarda da una parte a un utilizzo maggiore degli spazi marittimi a fini di sviluppo economico (Blue Book - Una politica marittima integrata per l’Unione Europea COM575/2007) e, dall’altra, alla salvaguardia di uno stato ambientale in grado di continuare a fornire servizi essenziali (Marine Strategy Framework Directive 2008/56/CE). Attraverso la redazione di tale documento l’Unione Europea ha riconosciu-
Acque interne Mare territoriale Mare aperto Zona ecologica e di protezione della pesca Zona controversa
01
to l’importanza strategica del settore marittimo e costiero allo sviluppo economico europeo e, allo stesso tempo, ha individuato quelle che potrebbero essere le minacce principali a uno sviluppo funzionale dello stesso. Le reali motivazioni che si trovano alla base della definizione dello strumento MSP si articolano su due fronti, così come riportano dalla Tabella di marcia per la pianificazione dello spazio marittimo (COM791/2008): da una parte “l’accresciuta attività sui mari europei sta conducendo a una rivalità di interessi fra settori quali la navigazione e il trasporto marittimo, l’energia offshore, lo sviluppo portuale, la pesca e l’acquacoltura e l’ambiente”; dall’altra “il cambiamento climatico, in particolare l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione,
l’aumento della temperatura dell’acqua e la frequenza di fenomeni meteorologici estremi, causerà prevedibilmente uno spostamento delle attività economiche nelle zone marittime e un mutamento degli ecosistemi marini”. Il sistema di pianificazione dello spazio marittimo è attualmente basato su decisioni volontarie da parte di istituzioni pubbliche e private; le recenti iniziative dell’Unione Europea in materia (Direttiva MSP e raccomandazione ICM – Integrated Coastal Management 2014/89/EU) stanno riducendo la distanza tra la pianificazione regolativa settoriale terrestre e quella integrata marittima imponendo agli Stati Membri di sviluppare i piani spaziali per le proprie aree di competenza entro il 2020.
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H16 Fondali di Maerl Regione marina di biocostruzione in Puglia H17 Fondali di Posidonia H18 Fondali di Cimodocea H03 Comunità Mediterranee Coralligene Fondali di Maerl Posidonia oceanica (erba di Nettuno) Comunità coralligene
02
Il progetto Adriplan Il progetto Adriplan è un progetto cofinanziato dall’Unione Europea - DGMARE (MARE/2012/25) - iniziato nel dicembre del 2013 e conclusosi nel luglio del 2015, che ha avuto come obiettivo primario quello di testare un processo di pianificazione transnazionale dello spazio marittimo Adriatico-Ionico. Il progetto ha coinvolto 17 partners appartenenti a 4 Stati membri dell’Unione Europea (Croazia, Grecia, Italia e Slovenia), diverse regioni costiere e 17 “osservatori” appartenenti e non a Paesi dell’Unione Europea. Tutti i partners del progetto erano Pubbliche amministrazioni, Amministrazioni locali ed Enti di ricerca. Il progetto Adriplan ha sviluppato proposte e raccomandazioni per intraprendere un reale e operativo processo transnazionale di MSP che (i) permetta uno sviluppo sostenibile delle differenti attività marittime, in linea con gli obiettivi di Blue Growth dell’Unione Europea; (ii) fornisca una maggiore confidenza per investimenti economici che rispondano alle peculiarità della macro-area e delle diverse realtà specifiche; (iii) coinvolga in modo attivo gli organi regionali di governance e i portatori di interesse di rilievo, promuovendo, inoltre, un’effettiva ed efficace cooperazione transnazionale; (iv) migliori la coerenza tra pianificazione territoriale e marittima, anche in relazione alle buone pratiche di gestione integrata delle aree costiere a fronte dei cambiamenti climatici in atto.
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Il progetto Adriplan ha focalizzato la sua attenzione sull’area orientale del Mediterraneo, la Regione Adriatico-Ionica (img. 01), che, per via delle sue caratteristiche geografiche e politiche, ha messo in luce numerose sfide di diversa natura. Il mare Adriatico è un bacino semichiuso che comunica con il mar Ionio attraverso lo stretto di Otranto. La macroregione Adriatico-Ionica comprende 7 Stati che si affacciano sul bacino: Italia, Slovenia, Croazia, Montenegro, Albania, Macedonia e Grecia, non tutti attualmente appartenenti all’Unione Europea. La bellezza dello spazio marino Adriatico-Ionico e le sue caratteristiche di fruibilità e localizzazione ne fanno un polo attrattivo importante, che si traduce, però, nello sviluppo di attività antropiche intensive e conseguenti impatti importanti sull’ambiente marino e costiero. Il quadro informativo raccolto nella fase conoscitiva/analitica del progetto (Mosetti et al., 2014) mostra che la regione presenta una vasta gamma di caratteristiche ambientali importanti tra cui la presenza di un’elevata biodiversità e di numerose specie e habitat che necessitano di specifiche misure di conservazione e di gestione (es. praterie di Posidonia oceanica, habitat coralligeno, siti di nidificazione dei rettili marini, habitat di molti mammiferi marini in via di estinzione, ecc.) (img. 02), nonché la presenza di aree di riproduzione e crescita di specie ittiche di grande rilevanza socio-economica e ambientale. Nella regione Adriatico-Ionica coesistono numerosi usi marittimi, tutti concentrati in un’area relativamente piccola: trasporto di merci e passeggeri, pesca, acquacoltura, estrazione di petrolio e gas, usi energetici e cavi di comunicazione, turismo costiero, usi militari, estrazione di sabbia, usi legati al patrimonio culturale e aree marine e costiere protette. Lo scenario costruito al 2020 partendo dai documenti di pianificazione e progettazione esistenti ai diversi livelli, prefigura un aumento degli usi attuali sia in termini di numero e tipologia, come ad esempio la costruzione di parchi eolici off-shore, sia in termini di intensità, come ad esempio l’incremento del turismo costiero e marittimo, l’aumento dei flussi di trasporto marittimo, sia commerciale che turistico, l’estrazione di petrolio e gas nelle aree vocate.
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la sfida del progetto Adriplan è stata quella di ridurre la complessità della pianificazione dello spazio marittimo tra paesi con differenti strategie nazionali
La presenza di un elevato numero di usi marittimi/costieri, distribuiti secondo un’organizzazione spaziale di tipo settoriale, sta generando, e probabilmente nel futuro con elevata probabilità genererà, un incremento dei conflitti spaziali o delle interferenze tra i diversi settori. La pesca, ad esempio, che è uno dei settori chiave per l’intera area Adriatica, si trova, e sempre più nel futuro si troverà in conflitto con le linee di sviluppo energetico che prevedono l’installazione di piattaforme di ricerca ed estrazione di petrolio e gas nel bacino. Al contempo, come è possibile notare in img. 03, il trasporto marittimo a fini commerciali e turistici, che è una delle attività marittime riconosciute come strategiche per l’area di studio e per la quale si prevede un incremento di circa il 10% da qui al 2020, interferisce in modo spazialmente conflittuale con le attività di ricerca ed estrazione di petrolio e gas e con l’installazione di terminali LNG, nonché con lo sviluppo di impianti fissi di acquacoltura. L’acquacoltura, infatti, necessità di spazi abbastanza ampi e di una qualità delle acque buona per potersi definire sostenibile sia in termini ambientali che, soprattutto, economici. Dall’img. 03 si può inoltre notare come la distribuzione dei potenziali “conflitti” tra l’attività di trasporto marittimo e gli altri settori non sia equamente distribuita in tutta l’area Adriatico-Ionica ma interessi prevalentemente l’area del Nord Adriatico, polo marittimo di sviluppo economico di grande rilevanza. Al fine di mettere in evidenza in modo più critico dinamiche conflittuali tra i diversi usi marittimi e l’ambiente, il progetto si è avvalso dell’utilizzo di diversi tools di analisi che hanno permesso un’interpretazione coerente e semplificata delle dinamiche e situazioni in essere alle diverse scale spaziali (Barbanti et al., 2015). Le informazioni ottenute attraverso l’utilizzo dei diversi tools e attraverso una sovrapposizione di informazioni spaziali così come in img. 03, sono state discusse in modo critico con i portatori di interesse coinvolti durante il processo/progetto. Questi ultimi hanno fornito un aumento di conoscenza indispensabile per un’interpretazione integrata delle informazioni raccolte.
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L’osservazione e interpretazione critica dei risultati emergenti dalle fasi di analisi, elaborazione e coinvolgimento hanno messo in luce come le aree costiere siano quelle maggiormente esposte a conflitti di varia natura ma, anche, le aree potenzialmente più interessate da processi di pianificazione e riallocazione di usi. Infatti, la resilienza delle aree costiere/ marittime ai cambiamenti in atto è fortemente dipendente dalla distribuzione delle attività antropiche e dalla conseguente alterazione delle dinamiche ambientali e sociali in essere. Inoltre, si è evidenziato come i settori della pesca e acquacoltura, trasporto marittimo e sviluppo energetico debbano trovare delle aree di sviluppo dedicate in modo da minimizzare i conflitti settoriali e massimizzare le sinergie, specialmente nell’area Nord Adriatica. In conclusione, la sfida del progetto Adriplan è stata quella di ridurre la complessità di implementazione di un piano MSP tra paesi con differenti strategie nazionali, coinvolgendo attori di diversa scala e cercando di non perdere mai di vista le esistenti interazioni terra-mare. La pianificazione spaziale, terrestre e marittima, assume un ruolo di grande importanza in un regime climatico, ma anche socio-economico, in costante cambiamento ed evoluzione. La sfida che si pone davanti è quella di condurre analisi che tengano in considerazione questi cambiamenti e, al contempo, identificare soluzioni e strategie sia di pianificazione che progettuali, che agiscano per accrescere la resilienza dei sistemi alle incertezze presenti e future.▲
GLI AUTORI Federica Appiotti è Assegnista di Ricerca Post-Doc presso il Dipartimento di Design e Pianificazione in Ambienti Complessi dell’Università Iuav di Venezia; fappiotti@iuav.it. Irene Bianchi è collaboratrice scientifica e docente presso l’Istituto di Studi Urbani e Regionali dell’Università Tecnica di Berlino e dottoranda in Urban Planning, Design and Policy presso il Politecnico di Milano; irenebianchi@iuav.it. Denis Maragno è dottorando in Nuove Tecnologie Informazione Territorio e Ambiente presso l’Università Iuav di Venezia; dmaragno@iuav.it. Alberto Innocenti è dottorando in Hydro-Logic presso l’Università Iuav di Venezia; albertoinnocenti@iuav.it. Elena Gissi è ricercatrice a tempo determinato presso il Dipartimento di Progettazione e pianificazione in ambienti complessi; elena.gissi@iuav.it. Francesco Musco è professore associato di Pianificazione Urbanistica ed Ambientale presso l’Università Iuav di Venezia; francesco.musco@iuav.it IMMAGINI Crediti: ADRIPLAN e Università Iuav di Venezia. 01 - Area di studio del progetto Adriplan. Nell’immagine vengono riportati i confini giurisdizionali dello spazio marittimo in esame. 02 - Mappa della distribuzione spaziale delle specie di grande interesse ecologico in ambito AdriaticoIonico. Nella mappa vengono riportate: (i) specie vegetali di grande importanza ecologica: Posidonia Oceanica; Posidonia beds; Cymodocea beds; Maerl beds; (ii) specie coralligene: (i) Mediterranean Coralligenous; Coralligenous communities; (iii) Puglia Region Marine bioconstruction. 03 - Mappa di sintesi che mette in evidenza le interferenze tra l’uso “trasporto marittimo e turismo” con gli altri usi presenti nel bacino Adriatico-Ionico. 04 - Isola di Rab, Croazia. CCØ. BIBLIOGRAFIA - Barbanti A., Campostrini P., Musco F., Sarretta A., Gissi E., “Developing a maritime spatial plan for the Adriaticionian region”, CNR-ISMAR, Venice, Italy, 2015. - Ehler C., Douvere F., “Marine Spatial Planning: a step-by-step approach toward ecosystem-based management”, Intergovernmental Oceanographic Commission and Man and the Biosphere Programme. IOC Manual and Guides No. 53, ICAM Dossier No. 6, Paris, UNESCO, 2009. - European Commission, “Communication from the Commission concerning the Roadmap for Maritime Spatial Planning: Achieving Common Principles in the EU”, COM 791, 2008. - European Commission, “Directive 2008/56/EC of the European Parliament and of the Council establishing a framework for community action in the field of marine environmental “policy (Marine Strategy Framework Directive)”, Off. J. Eur. Union L164, pp. 19–40, 2008. - European Commission, “Directive 2014/89/EU of the European Parliament and of the Council of the 23 July 2014 establishing a framework for maritime spatial planning”, Off. J. Eur. Union L257, 135, 2014. - European Commission, Communication of the European Parliament, the Council, the European Economica and Social Commitee and the Commitee of the Regions, “An integrated Maritime Policy for the European Union”, COM(2007) 575 final. - European Commission, Communication of the European Parliament, the Council, the European Economica and Social Commitee and the Commitee of the Regions, “Blue Growth: opportunities for marine and maritime sustainable growth”, COM(2012) 494 Final. - European Commission, “Recommendation of the European Parliament and of the Council of 30 May 2002 concerning the implementation of ICZM in Europe (2002/413/EC)”, Off. J. Eur. Union L148/24, 2002. - Mosetti R. et al., “Adriplan initial assessment. Adriplan Project technical report”, 2014. - Smith H., Vallega A., “The development of integrated sea-use management”, Routledge, London, 1992.
N.17 APR-GIU 2017 49 04
INFONDO
Lo sconvolgimento climatico in atto sul nostro pianeta è aggravato da un utilizzo delle risorse idriche non proporzionato alla loro entità e distribuito in modo disomogeneo tra i diversi continenti. a cura di Emilio Antoniol e Chiara Trojetto fonte dati: IPCC, Climate Change 2014, Mitigation of Climate ChangeIPCC, 2014.
0,11
13,8%
°C
aumento medio della temperatura degli oceani per decennio
3,20
31,1%
15,9%
mm
innalzamento annuo del livello medio del mare nel periodo 1993-2010
226
Gt
riduzione media annua dei ghiacciai terrestri misurata dal 1971
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4,1%
quantità annuale di risorse idriche rinnovabili disponibili (%) quantità annuale d’acqua utilizzata in ogni continente (%) fonte: FAO AQUASTAT, 2015; The World’s Water, 2007 Pacific Institute
35,7%
6,4%
10,0%
10,1%
63,0%
2,9%
1,6%
5,4% AFRICA
NORD e CENTRO AMERICA
SUD AMERICA
ASIA
EUROPA
OCEANIA
MONDO
Uso domestico
Uso industriale
Uso agricolo
Uso acqua pro capite per settore
fonte: The Worldâ&#x20AC;&#x2122;s Water, 2007 Pacific Institute
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PORTFOLIO
Stefanos Antoniadis è architetto e fotografo, attualmente nel team ReLOAD - Research Lab of ArchitectURban Design dell’ICEA - Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale dell’Università degli Studi di Padova. e-mail: stefanos.antoniadis@dicea.unipd.it
Di utile ispirazione per gli architetti è la pratica osservativa e descrittiva dei margini costieri che ha portato, sin dal XIII secolo, alla redazione dei portolani: manuali per la navigazione, soprattutto costiera, basati sull'esperienza e l'osservazione. Ibridando descrizioni testuali, carte geografiche e disegni di profili litoranei, in un portolano una torre medievale, una cisterna pensile e uno sperone di roccia nuda, visti dall’acqua, hanno pari dignità di elementi utili alla navigazione. Trascendendo la mera dimensione utilitaristica in campo nautico, non si può non constatare che chi operava alla lettura del territorio e successivamente alla redazione di un portolano aveva già guardato a quegli oggetti con piglio antesignano, scorgendo quella che è la loro caratteristica più basica e vera: ciascuno di essi concorre alla formazione di un paesaggio riconoscibile e tramandabile. Gettare lo sguardo alla maniera dei portolani lungo i segmenti costieri aiuta a decifrare e ricomporre i frammenti della post-modernità. L’abaco degli oggetti che concorrono alla definizione del paesaggio contemporaneo del Sud Europa si è ampliato notevolmente: esiste una grande quantità di materiale in attesa di essere indagato e, in caso, sdoganato e accreditato. Cessando di essere utilizzata esclusivamente per la veicolazione di indignazione da “reportage del degrado” o come mera rappresentazione iconica di luoghi e architetture, la fotografia diviene valido sguardo progettuale per la lettura e riscrittura del territorio. Vedere le cose dall’acqua aiuta a navigare nel mare di potenzialità ancora non del tutto esplorate del paesaggio contemporaneo.▲
Coastal margin observation and description, which led back since the thirteenth century to the ideation of the Portolan charts, constitutes a useful practice for architects. Based on experience and ability to observe, in these nautical books a medieval tower, a silos and an outcrop of bare rock, viewed from different perspectives, have equal digni ty of useful elements for the sake of navigation. Watching from the seawater may represent a healthy training to observation in order to overcome the paradigm of picturesque and the lens of rhetoric, focusing through photography on the mechanisms of acknowledgement of materials, made of geography, architecture, "found objects" and ordinary shapes, concurring to the definition of the contemporary landscape.
www.dicea.unipd.it/reload
41°05'42"N 13°54'23"E
Vedere dall'acqua
01
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38째41'38"N 09째12'27"O
02
03
38째41'13"N 09째09'06"O
38°26'34"N 09°06'06"O
04
37°37'47"N
21°25'45"E
esiste una grande quantità di materiale in attesa di essere indagato e, in caso, sdoganato e accreditato
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01 - Dispositivo ordinatore. Torre IDAC Food (1965-1973) abbandonata, Mondragone, Italia, giugno 2015. 02 - Compenetrazioni. Margem Sul, Portogallo, marzo 2016. 03 - Come Alfeo e Aretousa. Elementi decorativi del Centro Regional Vida Popular (architetti António Reis Camelo e João Simões, 1940) di Belém e silos dell’impianto Repsol Gás Portugal di Porto Brandão (1994), Portogallo, aprile 2016. 04 - Mimesi vs astrazione. Fortaleza de Santiago (XV sec. d.C.) e Sesimbra Hotel & Spa (1970) a Sesimbra, Portogallo, febbraio 2016. 05 - Rovine della contemporaneità. Case abbandonate e compromesse a Móuteli, Grecia, agosto 2012.
38°40'50"N 09°08'54"O
una torre medievale, una cisterna pensile e uno sperone di roccia nuda, visti dall’acqua, hanno pari dignità di elementi utili alla navigazione
38°42'23"N 09°08'10"O
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40°49'18"N 14°12'55"E 38°41'37"N 09°12'20"O
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06 - Rettangoli pieni e rettangoli svuotati. Carroponte LISNAVE - Estaleiros Navais de Lisboa (1970) e condomini popolari di Almada, Portogallo, novembre 2015. 07 - Porte d’acqua, infilata preterintenzionale. Casi das Culunas (1758) di Praça do Comércio (in primo piano) e Carroponte LISNAVE - Estaleiros Navais de Lisboa (1970) in Almada (sullo sfondo), Portogallo, aprile 2016. 08 - Figure-sfondo. Palazzine di Posillipo, Napoli, Italia, giugno 2015. 09 - Avamposti, monumenti e volumi tecnici. Belém dal Margem Sul, Portogallo, marzo 2016.
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38°41'40"N 09°08'41"O
10 - Vivere l’acqua. Portolano di Lisbona, Portogallo, novembre 2015. 11 - Verticale vs orizzontale. Troia, Portogallo, febbraio 2016. 12 - Forme sulla spiaggia. Spiántza, Grecia, agosto 2016. 13 - Acropoli contemporanea. Il Cubal: ai piedi l’area dell’ex-cantiere navale Hugo Parry & Son (1838) e in cima l’ex-stabilimento per la produzione di olio di fegato di baccalà (1950) di Ginjal, Portogallo, giugno 2016.
38°29'32"N 08°54'12"O
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37°38'11"N 21°25'13"E
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38°40'45"N 09°10'60"O
ciascuno di essi concorre alla formazione di un paesaggio riconoscibile e tramandabile
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IN PRODUZIONE
Elisa Zanut è biologa e collaboratore tecnico professionale presso l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Friuli Venezia Giulia (ARPA FVG). e-mail: elisa.zanut@arpa.fvg.it
IMMAGINI 01 - Una macrofita acquatica frequente negli ambienti acquatici di pianura (Potamogeton crispus). Crediti: Dipartimento di Scienze della Vita – Università degli Studi di Trieste. 02 - Visione al microscopio ottico (ingrandimento 100x) di una diatomea (Gomphonema sp.) tipica di ambienti montani. Crediti: www.naturamediterraneo.com 03 - Un larva di Plecottero (Perla sp.), frequente in ambienti oligotrofici e con acque fresche e correnti. Crediti: www.naturamediterraneo.com 04 - Stato/potenziale ecologico dei corsi d’acqua superficiali interni (anni 2010-2015). 05 - Attività di campionamento dei macroinvertebrati bentonici tramite l’uso del retino Surber. Crediti: ARPA FVG. AZIENDA ARPA FVG Via Cairoli, 14 33057 Palmanova (UD) www.arpa.fvg.it
One of ARPA FVG’s activity is to evaluate the ecological status of the river water bodies. This work begun in 2009 following the development of the sustainable legislation, given by the Water Framework Directive (2000/60/ EC). The classification of water bodies is based on biological, physico-chemical and hydromorphological quality elements; the biological quality elements are more important in the evaluation, as a key player of the river system and its complexity. The EQBs considered by the 2000/60/EC for rivers are benthic diatoms, aquatic macrophytes, benthic macroinvertebrates and fish fauna. The results of the classification of the ecological status/ potential show a balance between water bodies that achieved the goal of environmental quality given by 2000/60/EC Directive (good ecological status for water bodies by 2015) and those that didn’t. For the latter, measures are implemented in order to improve quality within planning integrated policy (Piano di Gestione e Piano di Tutela).
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Acqua, bioindicatori e sostenibilità ambientale L’attività di ARPA FVG per la valutazione dello stato di qualità delle acque superficiali interne
L’
acqua è essenziale per la vita dell’uomo, per i suoi fabbisogni alimentari e garantisce l’approvvigionamento idrico per le attività agricole e industriali. La risorsa idrica ci sarà garantita anche in futuro nelle forme e modalità che conosciamo? Nell’ultimo secolo, la maggior parte dei modelli economici non è stata in grado di valorizzare i servizi che un ambiente tutelato è in grado di darci. Scarichi di sostanze inquinanti, pratiche agricole scorrette e sovrasfruttamento della risorsa idrica superficiale e sotterranea non sono esempi di un uso sostenibile e di attenzione verso le generazioni future. Inoltre, il trend in crescita della domanda globale di acqua porterà a un aumento complessivo del 55% entro il 2050 (European Environment Agency, 2012) e sarà causa di possibili conflitti e disuguaglianze nell’accesso ai servizi. A tutto ciò si aggiunge anche la carenza d’informazione sullo stato, la gestione e l’utilizzo dell’acqua. Sfortunatamente la gestione sostenibile della risorsa acquatica, intesa come integrazione delle politiche sociali, economiche e ambientali, non è ancora riconosciuta e valorizzata: una corretta pianificazione garantirebbe una qualità dell’acqua tale da assicurare i servizi ecosistemici necessari per l’uomo (alimentazione sana, uso di acqua non inquinata e fruibilità turistica). Un cambio di direzione verso un’ottica sostenibile assicurerebbe il rispetto di uno dei diritti umani sanciti dall’ONU, ovvero l’accesso all’ac-
qua potabile e a servizi igienici sicuri (UNESCO, 2015). In Europa è stato fatto un enorme passo avanti sulla tutela della risorsa acqua in modo sostenibile grazie alla Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE, che pone come obiettivo ambientale il raggiungimento del buono stato di qualità per tutti i corpi idrici di acque superficiali e sotterranee entro il 2015. A tal fine, sono stati previsti strumenti di gestione integrata a livello di distretto idrografico (Piani di gestione) e regionale (Piano Regionale di Tutela delle Acque, di seguito PRTA), in cui la tutela ambientale ricopre un ruolo chiave all’interno delle politiche socio-economiche e territoriali. Nel 2012 è stato approvato il PRTA del Friuli Venezia Giulia, che confluisce nel Piano di Gestione del Distretto delle Alpi Orientali di cui la Regione fa parte. Per le finalità date dalla Direttiva, ARPA FVG mette in atto dei monitoraggi per valutare lo stato di qualità delle acque superficiali interne, di transizione e marino-costiere ai sensi della normativa vigente. I dati risultanti da tale attività sono utilizzati per la stesura del PRTA e sono soggetti ad aggiornamento sessennale. Il campo d’azione del monitoraggio è il corpo idrico, un elemento distinto e significativo di acque superficiali, a cui fare riferimento per accertare il raggiungimento o meno dell’obiettivo di qualità ambientale. Viene individuato in base a diversi criteri (area climatica, geografica e geologica, caratteristiche idromorfologiche)
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e ciò che lo distingue è la presenza al suo interno di pressioni significative (sociali, agricole o industriali) in grado di modificare lo stato di qualità. Per ogni corpo idrico viene definito uno stato ecologico o potenziale ecologico, quest’ultimo nel caso di corpi idrici per i quali vengono fissati degli obiettivi inferiori a garanzia del loro uso specifico sociale o economico (per esempio, il prelievo di acqua potabile). Per la definizione dello stato dei corsi d’acqua superficiali, su ogni corpo idrico vengono effettuati dei campionamenti (img. 05) di elementi di qualità
(di seguito EQ) biologici, fisico-chimici e idromorfologici, con tempistiche e modalità definite da normativa vigente. La novità importante della Direttiva Quadro è data dalla centralità degli EQ biologici sugli altri che sono a supporto. Gli indicatori biologici sono esseri viventi vegetali e animali che rispondono a un disturbo presente in un ambiente tramite la variazione della composizione della comunità e dell’abbondanza. Diatomee bentoniche, macrofite acquatiche, macroinvertebrati bentonici e fauna ittica sono gli EQB considerati per la valutazione dei corsi d’acqua.
gli indicatori biologici rispondono a un disturbo tramite la variazione della composizione della comunità e dell’abbondanza
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Le diatomee (img. 02) sono alghe unicellulari che formano colonie di spessore più o meno apprezzabile su diversi substrati acquatici, minerali o vegetali. Le macrofite acquatiche (img. 01) sono un gruppo di vegetali macroscopicamente visibili che comprende ammassi algali, Muschi, Felci e Fanerogame (piante superiori). Esse rispondono soprattutto al carico trofico di nutrienti (nitrati e composti del fosforo) proveniente dall’attività umana (coltivazioni irrigue e scarichi di depuratori). I macroinvertebrati bentonici (img. 03) sono un gruppo di organismi animali visibili a occhio nudo, comprendente Insetti, Molluschi, Crostacei, Oligocheti (vermi), Irudinei (sanguisughe) e altri. Sono sensibili perlopiù a variazioni del carico organico dato da scarichi fognari. La fauna ittica, infine, come apice della catena alimentare for-
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nisce informazioni complessive sulla qualità dell’ambiente acquatico in base alle specie presenti e all’età della popolazione. Tutti gli EQB rispondono con diversa sensibilità alle alterazioni idrologiche (variazioni della portata) e idromorfologiche (diversità del substrato di fondo, presenza di manufatti artificiali, interazione con le sponde) dei corsi d’acqua. È importante ricordare che gli organismi acquatici sono parte di un sistema complesso, il sistema fiume, in cui ogni elemento è interconnesso con l’altro, sia nella rete trofica sia nella continuità del fiume con la falda acquifera e con le sponde. È di fondamentale importanza conservare la complessità e l’integrità di questo sistema come base per il mantenimento di una buona qualità: infatti l’ambiente acquatico è in grado di riprendersi da un disturbo solo se viene preservata STATO/POTENZIALE ECOLOGICO FIUMI
una corretta pianificazione garantirebbe una qualità dell’acqua tale da assicurare i servizi ecosistemici necessari per l’uomo
Elevato Buono Sufficiente Scarso Cattivo Non campionabile 04
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la sua naturale complessità ecologica e morfologica. Gli organismi rilevati in campo e successivamente determinati al microscopio compongono delle liste, la cui informazione ecologica viene tradotta in numero di facile interpretazione grazie all’applicazione di indici specifici per ogni EQB. Dal confronto tra il valore ottenuto e il valore di riferimento per la data tipologia fluviale si ottiene lo stato/potenziale ecologico del corpo idrico, compreso tra 1 (stato elevato) e 0 (stato cattivo). Lo stato elevato indica la conservazione dell’integrità biologica di un sistema acquatico, ovvero la capacità di mantenere una comunità di organismi con una composizione in specie e un’organizzazione funzionale confrontabile con quella caratteristica dell’habitat naturale. Oltre allo stato/potenziale ecologico, per ogni corpo idrico viene calcolato anche lo stato chimico, basato sul rispetto degli standard di qualità ambientale (SQA) di alcune sostanze chimiche derivate dalle attività antropiche. Si ricorda ad esempio l’atrazina e i suoi metaboliti, conosciuti per il fenomeno di inquinamento della falda e i conseguenti disagi per l’uomo. ARPA FVG conduce dal 2010 i monitoraggi su 417 corpi idrici superficiali regionali. I risultati riportati (img. 04), riferiti al periodo 2010-2015 e consultabili online, evidenziano un equilibrio tra i corpi idrici che hanno raggiunto gli obiettivi di qualità
per ogni corpo idrico che non ha raggiunto il buono stato di qualità, è prevista nel Piano Regionale di Tutela delle Acque (PRTA) una misura specifica 05
ambientale (stato elevato e buono) e quelli per cui devono essere messe in atto delle misure per il miglioramento della qualità (stato sufficiente, scarso e cattivo). Circa il 15% dei corpi idrici non è stato classificato per l’inaccessibilità dei siti o per la mancanza di valori di riferimento o di protocolli di campionamento per alcune tipologie ambientali. Per ogni corpo idrico che non ha raggiunto un buono stato di qualità, è prevista nel PRTA una misura specifica per il conseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale. Tra le misure si ricordano ad esempio la costruzione di impianti di depurazione, lo sviluppo di una vegetazione perifluviale di sponda che funga da filtro per gli inquinanti esterni e il rilascio di una maggiore quantità d’acqua dalle derivazioni idroelettriche. I dati sullo stato di qualità derivati
dall’analisi delle comunità acquatiche spesso rappresentano un interessante punto di partenza per approfondimenti scientifici e collaborazioni esterne. Per esempio, uno studio sull’alga Cladophora sp. in corsi d’acqua montani e di pianura, effettuato in collaborazione con l’Università degli Studi di Udine (Barbiero, 2011), ha consentito di definire meglio l’ecologia delle singole specie in relazione all’ambiente acquatico considerato. Una collaborazione con l’Università degli Studi di Trieste ha permesso infine di creare una chiave online per la determinazione delle piante acquatiche, basata su criteri di facile identificazione per consentire a diverse persone, dallo studioso al semplice cittadino interessato, di determinare i vegetali acquatici tramite l’uso di un computer o di uno smartphone.▲
BIBLIOGRAFIA - European Environment Agency, “Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2012”, EEA, Copenhagen, 2012. - UNESCO, World Water Assessment Programm, “Rapporto UN Water - L’acqua per un mondo sostenibile - Sintesi”, UNESCO, 2015. - Barbiero L., “Prime osservazioni sull’ecologia di Cladophora sp. in risposta a pressioni antropiche in Friuli Venezia Giulia”, Università degli Studi di Udine, Anno Accademico 2010-2011, 2011.
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Chiara Becciu è architetto, co-fondatrice di MACH. Lungomare Castiglioncello 2.0 è un progetto elaborato da Ass. Studi Tecnici degli architetti C. Pillon e S. Vinante con la collaborazione degli architetti D. Rui, V. Bellucci, C. Becciu, M. Basso e F. Maset. e-mail: chbecciu@gmail.com
IMMAGINI Crediti: Associazione Studi Tecnici. 01 - Planimetria intervento. 02 - Camminamento. 03 - La spiaggia. 04 - Le passerelle. 05 - Il pontile.
www.mach-architetti.it
Nowadays coastal erosion has became a common event. The gradual seaside contraction makes us looking for new ways of usability: it is necessary to be more careful with the environment vulnerability; we should also leave speculative design and balance again nature with the artificial landscape. In this contest, designing usability means not only making people reach the seaside but also building a fact-finding way exploring the unstable border between water and earth, that is the beach. The high cliff of Castiglioncello, which is characterized by a naturalistic area that is interesting especially from a landscaping viewpoint, is a perfect place to experiment a new accessibility project. The opportunity is a restoration project for an historical area, that is Villa Godilonda. The concept design is born from some European works as Cap de Creus (Spain), and Cap d’Antibes (France).
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Lungomare Castigliocello 2.0 Un progetto di nuova fruibilità
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erosione delle coste è un fenomeno largamente diffuso, ormai stabile effetto del consumato equilibrio natura-artificio. Molti sono gli interventi di carattere ambientale volti alla protezione dei litorali1. Di prassi si procede con opere palliative di dubbia compatibilità paesaggistica come l’importazione di materiale minerale da aree limitrofe e la costruzione di frangionde in calcestruzzo. Opere che alterano in modo permanente il territorio ponendo rimedio all’evidente restringimento delle spiagge, senza però interagire con le cause reali del fenomeno. Solo in questi ultimi anni si sono diffusi interventi di potenziamento della flora tipica delle macchie adiacenti la zona della battigia. In questo modo viene ripristinata parte della zona dunale, fascia naturale protettiva tra spiaggia ed edificato, naturale barriera che difende i litorali troppo spesso sostituita dai remunerativi interventi di edilizia fronte-mare. La strada potrebbe essere un’altra. Vista la costante e progressiva riduzione delle aree destinate agli stabilimenti balneari si potrebbe pensare all’utilizzo di aree di costa attualmente non fruibili dal turista-bagnante ridisegnando quella che è la classica struttura dello stabilimento. Questo è l’indirizzo che abbiamo deciso di percorrere2 . Pochi sono gli interventi che mirano alla ridefinizione del concetto di fruibilità andando a recuperare aree attualmente non accessibili, elaborando soluzioni
progettuali che mirino a preservare l’ambiente naturale. In questo contesto progettare la fruibilità al mare non vuol dire soltanto risolvere il tema dell’accessibilità allo stabilimento ma saper costruire un percorso esplorativo che metta in luce quel particolare concetto di limite che è la spiaggia, né acqua né terra. Solo conoscendo le peculiarità del territorio il fruitore le saprà rispettare. Abbiamo trovato nella costa alta di Castiglioncello, area naturalistica di particolare pregio ambientale la giusta ubicazione per sperimentare un progetto di nuova percorribilità. Riferimenti progettuali Il concept trova ispirazione in due interventi progettuali europei, Cap D’antibes (Francia) e Cap de Creus (Spagna), entrambi promontori che si affacciano sul mar Mediterraneo. Cap D’Antibes si estende tra Antibes e Juan le Pins, in una delle poche zone della Costa Azzurra adiacenti al mare rimaste incontaminate dalla speculazione edilizia. Il nuovo sentiero collega in un paio d’ore Plage Keller e Villa Enroi permettendo al fruitore di trovare sosta in protetti anfratti tra gli scogli, di superare agevolmente piccoli dislivelli naturali e di rapportarsi in sicurezza con piccole gole scavate da onde e vento. Al limite est della Costa Brava, a nord di Girona troviamo invece Cap de Creus, dichiarato Parco Nazionale spagnolo nel 1998 per le sue peculiarità geomorfologiche. In questo caso il progettista, EMF, non si è limitato
progettare la fruibilità al mare vuol dire risolvere l’accessibilità allo stabilimento e costruire un percorso esplorativo che metta in luce quel particolare concetto di limite che è la spiaggia, né acqua né terra alla costruzione di un percorso tra gli scogli ma ha rinaturalizzato un’ampia area di pregio ambientale attraverso lo smantellamento di un villaggio turistico in rovina e la bonifica dell’area da tutte le specie alloctone. Tutti i materiali derivati dalla demolizione sono stati riutilizzati in loco come inerti per le pavimentazioni del percorso. La collocazione di puntuali costruzioni in cor-ten permette di valorizzare scorci prospettici e di creare zone di sosta per il fruitore. Il progetto L’occasione progettuale nasce dallo studio per la riqualificazione di un’area di valore storico da tutelare, Villa Godilonda, e dalla volontà di dare alla ristrut-
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turazione di un’area privata un valore sociale. Esiste infatti, all’interno della proprietà, un accesso alla spiaggia della Cianciafera in pessimo stato di manutenzione; l’obbiettivo è quello di promuovere una trasformazione permanente del territorio che possa migliorare la fruibilità della costa e non fermarsi alla mera accessibilità della baia. Gli elementi che si intrecciano nel pro-
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getto sono molteplici: la necessità di accedere alla spiaggia della Cianciafera, il lungomare Castiglioncello e la sua storia tramandata dagli anni ‘603 , la peculiarità naturalistica della costa del promontorio e l’area delle pozze di marea segnalata nelle tavole del Piano Regolatore Comunale e Regionale per interesse geologico e naturalistico4 , per lo più inaccessibile. La volontà è quella di tracciare un per-
corso, volutamente impervio e in continuità con il lungomare esistente, lungo il quale articolare sia una serie di attività che permettano di esplorare l’area naturalistica, che spazi di sosta dedicati alla balneazione. La difficoltà di percorrenza obbliga il fruitore a un avanzamento lento, più attento al contesto. Tale condizione permette di sperimentare l’incertezza del limite tra acqua e terra. Incipit - L’inizio del percorso si raccorda all’area belvedere esistente del lungomare. Il dislivello tra il belvedere e l’area bassa degli scogli viene risolto con il disegno di una rampa gradonata in cemento pigmentato con inerti recuperati in loco. Il camminamento - La prima parte del percorso ricalca un tracciato di tubazioni esistenti. Il cemento grezzo della calottatura viene rivestito da pietra a spacco locale, i salti di quota e gli ostacoli rappresentati da chiusini in rilievo vengono regolarizzati e messi in sicurezza tramite rampe e gradoni. La traccia del percorso
solo conoscendo le peculiarità del territorio il fruitore le saprà rispettare
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non viene deviata dalla linea esistente anche quando si tratta di affrontare strettoie tra gli scogli. Il pontile - La prima area di sosta disegnata è un nuovo pontile che permette un accesso più agevole per i bagnanti al mare e che allo stesso tempo offre un comodo spazio per prendere il sole. La spiaggia - Nell’area dove naturalmente gli scogli diventano ciottolato si attrezza un’area per gli ombrelloni. Le passerelle - A partire da questo punto, la costa cambia radicalmente la sua morfologia diventando scogliera a picco sul mare, il percorso è spinto sempre più verso l’acqua; tratti sugli scogli si alternano a passerelle sospese sulle pozze di marea. I ricoveri delle barche esistenti e gli accessi privati vengono raccordati al nuovo percorso. La baia della Cianciafera - Il percorso termina nell’insenatura della Cianciafera, piccola spiaggia in parte privata e in parte di proprietà demaniale.
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La costruzione del sentiero esplorativo permette di collegare trasversalmente gli accessi puntuali al litorale, il percorso diventa una dorsale lungo la quale si organizzano molteplici attività. Il fruitore diventa attivo ed è indotto a rapportarsi con la tipicità del luogo, la divisione in piccole aree di sosta obbliga naturalmente all’esplorazione del territorio, alla sua sperimentazione e conoscenza.▲ NOTE 1 - L’erosione delle coste si verifica quando il mare, attraverso l’azione del motondoso, asporta più materiale di quanto sia il deposito fluviale. Nel processo influisce anche la progressiva sostituzione dei sistemi dunali con i sistemi edificati. Di fatto questo comporta la drastica riduzione delle spiagge. 2 - Questa ricerca si inserisce nella fase preliminare di un progetto di riqualificazione per Villa Godilonda. Nell’analisi del contesto è stato preso in esame l’assetto urbanistico della costa per poter verificare l’impatto del progetto sulle infrastrutture esistenti. 3 - Nel 1932 iniziarono i lavori per la passeggiata lungomare a Castiglioncello (Comune di Rosignano Marittimo) resa celebre già dai paesaggisti del periodo dei Macchiaioli. Negli anni ‘60 Castiglioncello diventò un importante riferimento culturale poiché meta di importanti esponenti del mondo del cinema, come A. Sordi, S. Cecchi D’Amico, M. Mastroi-
anni. In quel periodo il Lungomare Castiglioncello diventò di fatto la “piazza del paese”. 4 - La fascia costiera […] località Castiglioncello, in comune di Rosignano Marittimo, presenta cospicui caratteri di bellezza naturale costituiti dalla lussureggiante vegetazione arborea e offre punti di vista accessibili al pubblico dai quali si può godere la visuale della frastagliata costa marina (PIT). BIBLIOGRAFIA - AA.VV., “PIT, Schede paesaggi e individuazione degli obbiettivi di qualità. Allegato A - elaborato 4”. - AA.VV., “Regolamento Urbanistico Comune di Rosignano Marittimo, Valutazione integrata”, 2008. - Castaldi C., Marianelli G., “Castiglioncello un secolo di immagini”, Nuovo Futuro, Rosignano Solvay, 1998. - Ghirlanda M. (a cura di), “Castiglioncello e il cinema”, Industrie Grafiche Pacini, Ospedaletto (PI), 2007. - Venturi F., “Percepire paesaggi. La potenza dello sguardo”, Bollati Boringhieri, Torino, 2009.
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Alessandra Ongaro è architetto, laureata presso l’Università Iuav di Venezia nel 2013. e-mail: alessandra.ongaro9@gmail.com
IMMAGINI 01 - Parco della Pace nel mese di gennaio. Impronte di lepre in primo piano e base militare sullo sfondo. Crediti: Alessandra Ongaro. 02 - Lago. Crediti: PAN Associati. 03 - Wetland. Crediti: PAN Associati. 04 - Vista aerea. Crediti: PAN Associati. 05 - Sitemi di piantagione. Crediti: PAN Associati.
The “Parco della Pace” tells us a tale of disappeared landscapes that are going to be materialized through the work on the topography of this wide area: in this way different landscapes will be immediately available. It will be a symbol of rebirth and it will start from the water as a life’s emblem, a constitutive and founding part of landscape and a place of life and work. Water is a marked and continuous stretch on the whole Park’s surface and it will be the representation of new form of operations integrating with the design of lakes, canals and subsidences. Still today, the existence of water is plentiful and it will be connected on the whole area thanks to a canal’s grid that will sustain the rapid growth of wild and mowed meadows. Day after day water will support woodlands, it will turn itself into colour in the Memory’s Garden and in the Central Garden, it will irrigate the urban vegetable garden and run along pedestrian and cycle paths. Thanks to its strong presence, water could give the possibility to recreate habitat of endangered species protected by the E.U.
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Verso il Parco della Pace Hoc Opus, Hic Labor Est1
Simile all’acqua è l’anima dell’uomo. Viene dal Cielo, risale al cielo, di nuovo scendere deve alla terra, in perpetua vicenda. [..] O anima dell’uomo come all’acqua somigli!” (J. W. Goethe - Canto degli spiriti sulle acque). Una strada, disegnata dal tipico paesaggio di campi, abitazioni ed edifici dismessi, incontra un cartello: Aeroporto Dal Molin. Siamo a Vicenza e la trama territoriale alle spalle di quel cartello si sviluppa su 65 ettari, svelando, a chi si avvicina, una stupefacente ricchezza di stratificazione storica e un grande valore simbolico per ciò che resta di un aeroporto militare e poi civile della città. L’aeroporto Dal Molin, fondato nel 1923 e chiuso nel 2008, è una ferita ancora aperta nel cuore della città perché, a seguito degli accordi con la NATO, viene scelto come area per la costruzione di una seconda base militare americana. L’area viene così tagliata in due metà secondo l’asse nord-sud: a ovest viene costruita la caserma, lasciando a est la pista di decollo mozzata e gli hangar abbandonati. Un forte movimento di protesta dei cittadini, che mai hanno accettato la base militare, ha generato la volontà di dare vita ad un parco: il Parco della Pace. Un sentimento pieno di condivisione sociale e di relazioni ha concepito una progettazione e una gestione partecipata tra l’amministrazione comunale2, il gruppo di progettisti (PAN Associati, Studio Za-
gari, EMF - Marti Franch Arquitectura del Paisatge, ITS Engineering Company, Gino Lucchetta e con Asprostudio, Riccardo Gini, Victor Tenez e Massimo Venturini Ferriolo) e la cittadinanza. Si è concretizzata in questo modo una governance urbana fatta di tavoli di progettazione, incontri nella Basilica Palladiana e silent walk nel parco per fondare la Comunità del Parco: una fondazione di partecipazione, in questo modo la definisce l’architetto Claudio Bertorelli (Asprostudio), che si occuperà della manutenzione e della gestione facendo nascere un senso di appartenenza e di protezione nei confronti di questo luogo. Esso vuole essere un racconto di paesaggi scomparsi, un racconto che si concretizzerà attraverso un lavoro pratico sulla topografia di quest’area così estesa, creando paesaggi differenti e fin da subito disponibili, proprio come lo descrive il Dr. Forestale Benedetto Selleri, capogruppo del team che si è occupato della progettazione. Sarà il simbolo di una rinascita ed essa inizierà dall’acqua, emblema di vita, parte costitutiva e fondante del paesaggio, del luogo di vita, di lavoro. L’acqua è un tratto marcato e continuo su tutta la superficie del Parco e diventa il paradigma rappresentativo di nuove forme e modalità di intervento, integrandosi con un disegno articolato in forma di laghi, tracciati di canali e avvallamenti. La sua presenza è tuttora abbondante e sale e scende, compare e scompare grazie alla falda che nel punto più basso, a nord, tocca i -120 cm, mentre a sud si solleva a -50 cm dalla quota zero.
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Elemento vivo e in movimento sarà collegato attraverso tutta l’area grazie a una rete di canali, che percorreranno le linee di drenaggio nord-sud sottolineando la grande dimensione del parco, e alla presenza di laghi, boschi igrofili3 e prati umidi. Alimenterà il rapidissimo sviluppo dei prati rasati e selvatici dando un primo volto al Parco e sostenendo giorno dopo giorno le aree boschive, si trasformerà in colore nel Giardino della memoria e nel Giardino centrale, luoghi di meditazione e di riposo, sosterrà gli orti urbani e affiancherà i percorsi pedonali e ciclabili, struttura dell’intero Parco. Grazie alla sua presenza già molto forte, l’acqua darà la possibilità di ricreare habitat in via d’estinzione protetti dall’Unione Europea e incrementerà una vivacità faunistica e vegetale, che mai è venuta a mancare poiché tutt’ora lepri, e talvolta caprioli, attraversano il parco. Piante autoctone forestali e specie erbacee aiuteranno nella promessa di mantenere una bassa manutenzione e cresceranno a velocità diverse: una parte sarà disegna-
ta da arbusti forestali piantumati già di circa 60/100 cm di altezza e una seconda sarà caratterizzata dalla semina del prato, degli arbusti e degli alberi per continuare il racconto di evoluzione e per lasciare libertà di espressione alla natura. In questo modo si seminerà anche un senso di appartenenza in tutti coloro che frequenteranno il Parco, perché lo vedranno crescere, cambiare aspetto e ne avranno cura. Il Parco sarà un luogo ricco di biodiversità e di spazi fruibili dagli sportivi, grazie ai campi da gioco, alla pista che cambierà aspetto a seconda della sua funzione, al chilometro alpino che costeggerà la recinzione di 1.800 m della base militare, separato da un grande prato per rispettare la distanza dal confine di 45 m e per essere allo stesso tempo progetto di paesaggio, cambiando aspetto e destinazione con il succedersi delle stagioni. Sarà uno spazio che saprà ospitare grandi eventi, che riserverà una zona per la coltivazione a km 0 e per la creazione di vivai per l’educazione ambientale, e allo stesso tempo creerà un’area dedicata alla storia.
sarà il simbolo di una rinascita che inizierà dall’acqua, emblema di vita, parte costitutiva e fondante del paesaggio, del luogo di vita, di lavoro
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vuole essere un racconto di paesaggi scomparsi, un racconto che si concretizzerà attraverso un lavoro pratico sulla topografia 04
Sarà il Giardino della memoria identificato dalle “piante della pace” messe a dimora durante le proteste, simbolo della natura come portatrice di pace. Punto focale posizionato al centro del parco sarà il Giardino centrale, uno spazio che inviterà al godimento del Parco, e riporterà i quattro elementi cosmogonici al suo interno. Quattro elementi rappresentati in quattro lingue, quattro alfabeti e quattro font diversi: il fuoco, in alfabeto georgiano e un labirinto di pali verdi; la terra, in kanji giapponese e un estruso di c.a. che sale dal terreno; l’aria, in alfabeto latino e un artificio che crea una nebbia su una pavimentazione bianca e nera; l’acqua, in alfabeto arabo e un’installazione galleggiante sul filo d’acqua di una fontana. Vi sarà un terzo elemento fondamentale,
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che dovrà collegare il Parco con la città e le altre aree verdi e che vuole diventare un “sistema museale” partendo dalla memoria del luogo e allargandosi sui contenuti del Parco: sarà la Porta Est4. Essa sarà la membrana urbana del Parco, punto di accoglienza caratterizzato dalla duttilità dei suoi luoghi: gli spazi aperti, che manterranno le tracce a terra della segnaletica di pista sapendosi trasformare in bordi architettonici, e gli hangar. I tre hangar presenti saranno riqualificati per rigenerare un paesaggio urbano perduto e ognuno di essi avrà una nuova funzione. L’Hangar Museum sarà il museo dell’aria, l’Hangar Alianti si trasformerà in una grande vela di copertura di ingresso al Parco e l’Hangar Aerotaxi diverrà uno spazio polifunzionale per spettacoli, per manifestazioni e per ospitare esposizioni
d’arte per connettere il parco al centro storico come nuova centralità urbana. Nell’opera di riqualificazione si inserirà anche la creazione di una bacino di laminazione, che aiuterà la città nei momenti di criticità del fiume Bacchiglione per mezzo di un impianto semplice e naturale. Esso non si baserà sull’utilizzo di pompe, bensì cercherà di lavorare come una macchina ecologica, che nei momenti di intensa piovosità raccoglierà l’acqua nei canali e nei fossi di guardia trasformandoli in collegamento tra gli specchi d’acqua e le aree umide. L’acqua non farà più paura, ma diventerà amica presentandosi sotto molteplici forme e creando ricchezza di biodiversità e di paesaggio. Sarà possibile vederla, toccarla e ascoltarla grazie al suo movimento lento, ma costante da nord verso sud.
EVOLUZIONE DEL BOSCO PLANIZIALE
EVOLUZIONE DELLA MANUTENZIONE
SITUAZIONE A 3 ANNI
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“Quanto più fedelmente l’uomo riesce a riprodurre l’ambiente naturale in un suo progetto, tanto maggiore sarà la salute dell’ambiente nella sua totalità” (John Lyle). Sta proprio in questa totalità il ruolo che il Parco andrà ad assumere come nuovo nucleo di elementi aggregatori di centralità diffuse. Simbolo di inclusione e condivisione, il Parco si riconnette alla città riconsegnandole i luoghi che le erano stati sottratti trasformandoli in una “comunità” e rendendo possibile la convivenza dell’uomo con la natura nella città. Attraverso il racconto, la progettazione e la gestione sarà possibile oggi dare un senso a questa nuova centralità all’interno di un territorio diffuso che è stato sin’ora alla ricerca di un’ identità.▲
NOTE 1 - “Hoc opus, hic labor est” (Virgilio, Eneide - VI, 126-129) dal 1555 è il motto dell’Accademia Olimpica di Vicenza ed è incisa nel proscenio del Teatro Olimpico. Si può tradurre con “Qui l’opera, qui la fatica” con il significato che nessuna grande impresa si realizza senza impegno e operosità. 2 - Il 29.12.2011 il Comune stipula un atto con lo Stato Italiano per la “realizzazione di un’infrastruttura pubblica a prevalente vocazione ricreativo ambientale”, in cui lo Stato si impegna a finanziare economicamente il progetto erogando circa 11 milioni di euro. Una parte consistente di questi fondi è usata per bonificare l’area dalla bombe della II Guerra Mondiale e per il rifacimento dei drenaggi. Si veda: www.goo.gl/5zaahM 3 - Il bosco igrofilo rappresenta le formazioni ripariali e planiziarie di cui oggi rimangono solo pochi lembi ai margini dei fiumi. Erano foreste formate da piante di grandi dimensioni (pioppi, salici, ontani, carpini bianchi, noccioli, olmi campestri) che andavano arricchendosi, a latitudini minori, di specie più termofile. www.cogecstre.com/ortoUmida.htm 4 - Porta Est sarà finanziata dal bando periferie essendosi Vicenza aggiudicata circa 18 milioni di euro, di cui 3,7 saranno investiti nella riqualificazione dell’ingresso del parco.
una governance urbana fatta di tavoli di progettazione, incontri nella Basilica Palladiana e silent walk nel Parco
BIBLIOGRAFIA - Fonza F., “L’acqua nel paesaggio costruito: mito, storia, tecnica”, Atti del convegno Terme di Comano, 2000. - Schiaffonati F., Mussinelli E., “Il tema dell’acqua nella progettazione ambientale”, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2008. - Zagari F., Bertorelli C., “Paesaggi dall’acqua”, in AATO Veneto Orientale “Il valore dell’acqua”, cap. 02, 2010.
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IMMERSIONE
Marina Caneve e Gianpaolo Arena sono fondatori e co-curatori del progetto CALAMITA/À - Indagini e ricerche sui territori del Vajont. Entrambi si occupano di fotografia condividendo un background legato all’architettura e pianificazione urbana. e-mail: infocalamita@gmail.com
IMMAGINI 01 - Valle del Vajont. Crediti: Marina Caneve. 02 - Lago del Vajont. Crediti: Gabriele Rossi. 03 - The Walking Mountain. Crediti: CALAMITA/À.
www.calamitaproject.com
The goal of the CALAMITA/À project, ongoing since 2013, is to study in the present day the territory sadly related to the Vajont landslide? occurred in 1963. The project aims to focus on the transformations that took place because of the tragedy and their influences on the territory, as well as society and local culture. The role of water in this affair is fundamental not only for its destructive character but also for the opportunity it gives us to think about the relationship between water and mountains in the area of the Dolomites and also consider the vulnerability induced by the exploitation of water resources.
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Equilibri instabili nel progetto CALAMITA/À Acqua, montagna ed energia idroelettrica nei territori del Vajont
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ALAMITA/À è un progetto nato nel 2013 e si è sviluppato nel corso di 4 anni avendo come focus lo studio di un territorio tristemente noto per la catastrofe del Vajont. Vajont, in origine, era la valle attraversata dall’omonimo torrente, prima che la catastrofe innescata in potenza con trent’anni di anticipo, poi manifestatasi violentemente la notte del 9 ottobre 1963, rendesse tristemente noto questo luogo. Dal 1963 a oggi, sono passati molti anni, si sono svolti numerosi processi e sono state avviate ricostruzioni urbanistiche controverse, ma la ferita è dolente. Nella nostra opinione è determinante continuare a parlarne ancora nel 2017, in un momento storico in cui lo sfruttamento energetico del territorio e la sua salvaguardia non sempre sono attuati con gli stessi strumenti. Le analogie con il presente sono molto evidenti e si ripetono anche negli eterni conflitti di interessi, nella corruzione degli apparati di controllo, nella privatizzazione dei profitti e nella socializzazione delle perdite. Il nefasto caso del Vajont appare a tutti gli effetti come una delle vicende cardine del ‘900 italiano, un buco nero di senso e di significato in cui è ancora facile cadere; un simbolo dell’Italia contemporanea (CALAMITA/À, 2016). La nostra ricerca nasce e si sviluppa non come discorso sul passato ma piuttosto su quello che la storia ha portato e ha come obiettivo lo studio del territorio contemporaneo concentrandosi sulle trasforma-
zioni provocate dall’onda d’acqua e le sue influenze nel territorio, la società e la cultura locale. Il ruolo dell’acqua in questa vicenda è fondamentale non solo per il carattere distruttivo ma perché ci offre l’occasione per fare una riflessione sul rapporto tra acqua e montagna e in particolare tra il territorio delle Dolomiti e la vulnerabilità indotta dallo sfruttamento delle risorse idriche. In questo senso il nome del progetto che tiene insieme due parole, Calamita e Calamità, al tempo stesso simili ma molto diverse, rappresenta perfettamente questo dualismo. La scelta infatti è motivata dal fatto che il Vajont è un luogo fortemente attrattivo, affascinante e magnetico: tutte qualità indissolubilmente legate al peso greve e sinistro della tragedia che lo accompagna. Al tempo stesso quest’idea vale anche se facciamo riferimento al ruolo dell’acqua e in maniera più ampia allo sfruttamento delle risorse idriche in ambiente montano e ancor più dolomitico. Nel 1963 Francesco Rosi riceve il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia per Le mani sulla città. Il film è di fatto un atto d’accusa sulle collisioni esistenti tra diversi organi dello Stato e speculazione edilizia, in un paese afflitto da una forma di continua e progressiva “metastasi cementizia” che dal dopoguerra in poi non si è mai arrestato. Nel 1963 il monte Toc frana e con esso anche il castello di sabbia costruito da ingegneri, imprenditori e personalità diverse intorno alla straordinaria diga, la più alta del mondo, costruita per alimentare il polo industriale più grande d’Italia: Porto Marghera.
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cos’è un’onda di 25 milioni di metri cubi? La sua visualizzazione è inimmaginabile
Il polo del Vajont infatti faceva parte di un complesso sistema idrogeologico noto come il bacino del Piave-Boite-Maè che si estendeva dalla montagna al mare, da Auronzo a Venezia. Il Grande Vajont è stato un progetto ambizioso, in cui la politica, l’economia e lo sfruttamento del territorio ebbero un ruolo chiave, che tuttora rimane rilevante. Basti pensare alle discussioni intorno allo sfruttamento dei torrenti della provincia mediante la costruzione di briglie che sta particolarmente infiammando l’opinione pubblica negli ultimi tempi. Nel caso specifico della cosiddetta area del Vajont, investigata dal progetto CALAMITA/À, l’acqua funge da riferimento storico e crea un legame indisso-
lubile tra la memoria dei luoghi e il loro utilizzo. Nella nostra ricerca abbiamo invitato diversi autori a occuparsi del tema dell’acqua e in qualche modo ognuno ha dovuto fare fronte alla sua incombenza. In particolare la prima cosa che succede cercando di spiegare il caso del Vajont è che appare impossibile quantificare la dimensione dell’onda prodotta dalla frana del monte Toc nel bacino dell’omonima diga. Che cos’è un’onda di 25 milioni di m3 d’acqua? La sua visualizzazione è inimmaginabile. Neanche la fantascienza ad Hollywood è mai arrivata a tanto. CALAMITA/À, come progetto di ricerca e analisi territoriale, ha cercato da un lato di investigare la rappresentazione di quest’onda e dall’altro di reinserirla
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calamita e calamità, rappresentano perfettamente questo dualismo
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in progetti che guardino a come il territorio e la società sono mutati. Esemplificativa per quanto ne riguarda la rappresentazione è la serigrafia The Wave prodotta dal team di urbanisti Latitude Platform dove la lettura del territorio e la rappresentazione cartografica fungono da strumento per la visualizzazione dell’impatto che questa massa d’acqua ha avuto sull’area circostante; allo stesso modo funziona il modello che mette in luce la dimensione del lago e la dimensione della frana, fisicamente e proporzionalmente. Ci permette letteralmente di vedere questi due elementi. Segni del lago residuo ricorrono in vari progetti, così come la rappresentazione della diga vuota, divenuta nel tempo mausoleo della catastrofe e luogo fortemente attrattivo. Intorno al Vajont esiste infatti tutto un turismo legato ai luoghi della catastrofe. La fruizione dei luoghi infatti cambia e si modifica a causa di queste catastrofi di cui in un certo senso il pubblico si nutre. “Tutti vogliono possedere la fine del mondo” DeLillo, 2016
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A questo proposito, come progetto, CALAMITA/À ha supportato la tesi di laurea alla Technical University di Delft (Olanda) dell’architetto paesaggista Sarem Sunderland che proponeva un’analisi dell’economia del territorio e un’utopica riabilitazione di parte del bacino del Vajont al fine di riattivare un meccanismo vitale intorno all’area, che faccia tesoro per quanto possibile della memoria e dell’esperienza del luogo (Sunderland, 2016). Certamente un pensiero utopico ma non senza fondamento e ricco di fiducia nelle possibilità strategiche dei luoghi. Questa tesi rispecchia in parte il pensiero di CALAMITA/À che non si pone come obiettivo un giudizio sui fatti ma la costruzione di un laboratorio da cui emerga un pensiero critico con l’idea di attivare dei ragionamenti progressivi e un’attività continuativa sul territorio. “Il Vajont si è mangiato le menti” (Vastano, 2008) ha scritto la giornalista Lucia Vastano. Dal momento in cui l’ondata rovinosa ha innescato un processo di frantumazione del paesaggio fino ad alterare luoghi, memorie e destini, un nuovo equilibrio ha progressivamente preso forma. La linea del
tempo ha poi ricomposto i frammenti rimasti e i detriti, fisici e culturali, di una popolazione ferita. Una lettura articolata e condivisa mira a produrre osservazioni autentiche e ad aprire, fra continuità e fratture, degli interrogativi sulla metamorfosi di un territorio a seguito di un evento accelerato e violento (CALAMITA/À, 2016). Se ampliamo la nostra osservazione a tutto il bacino del Grande Vajont quello che possiamo scoprire è come il territorio influenzato dal Vajont si allarghi sempre più e come il caso del Vajont diventi metonimia credibile di una nazione intera, non solo dalle Dolomiti a Porto Marghera, ma di un’attitudine generalmente diffusa. Espandendo il ragionamento all’area della provincia di Belluno comprimario dell’evento franoso del Vajont è il caso della diga di Pontesei, parte dello stesso sistema. Il 22 marzo 1959 si riversò nel bacino dell’omonimo lago una frana valutata di circa 3 milioni di metri cubi; il lago in quel momento si trovava 13 metri sotto la quota di massimo invaso e causò un’ondata di circa 20 metri che fece “una sola” vittima. Questa frana, pur vista con preoccupazione, non servì a fermare i lavori della diga del Vajont. Dopo il grande disastro invece, esattamente il 9 ottobre 1963 si interruppero i lavori per la costruzione della diga di Digonera, che tuttora rimane incompiuta. Tutti questi segni parlano di un processo complesso legato all’economia e allo sfruttamento delle risorse idriche che ancor oggi
si ripete non solo in questi luoghi e in questo senso il miracolo dell’energia idroelettrica ha lasciato molti segni che ci permettono di costruire percorsi che mettano in luce delle dinamiche geopolitiche in dialogo con le possibilità dei luoghi, le loro identità e la maniera in cui vengono vissuti. Partendo da questa eredità come professionisti abbiamo la responsabilità di costruire delle ricerche sul territorio e nel caso specifico un laboratorio aperto come CALAMITA/À si pone come obiettivo quello di alimentare un dibattito in cui il passato si relazioni fortemente con il presente e l’analisi territoriale serva proprio a costruire dialoghi che favoriscano una presa di coscienza su come vivere e usufruire delle risorse di un territorio e della sua storia.▲ BIBLIOGRAFIA - C AL AMITA/À, “The Walking Mountain”, 2016. - DeLillo D., “Zero K”, Einaudi, Milano, 2016. - Sunderland S. J., “Tides without waves”, Graduation thesis report, 2016. - Vastano L., “Vajont. L’onda lunga”, Ponte alle Grazie, Milano, 2008.
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BIM NOTES
Cristina Cecchini è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Padova. Si occupa del tema del BIM declinato in modo particolare verso le soluzioni per il Performance Based Building Design e per la l’analisi energetica degli edifici. e-mail: cristina.cecchini@dicea.unipd.it
IMMAGINI Crediti: Cristina Cecchini. 01 - Sefaira. Raffigurazione in falsi colori del fattore di luce diurna. 02 - Green Building Studio. Grafici del carico di riscaldamento e raffrescamento mensile. 03 - Sefaira. Rappresentazione dei contributi ai flussi di calore per tipologia.
During the last decades the theme of energy simulation has gained a central role in the building process. Nowadays energy efficiency is no longer a design luxury, but it has become a real project standard, and every actor involved in the building process is asked to play its role on it. In this way a new performance based on the design process is requested to include energy analysis since the early stages of a project, and, along with it, new tools for computeraided design have to be created. Meanwhile BIM technology has increased its diffusion and has become the most significant instrument for the design of constructions; it also appears to be the right platform in which to experience performance analysis. In fact, several studies have been developed to connect BIM (Building Information Model) and BEM (Building Energy Model). This article will focus on a group of energy simulation softwares that are very useful in the early stage of design for the qualitative evaluation of design alternatives.
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Occasioni progettuali dalle analisi energetiche BIM based
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e problematiche e le opportunità legate alla gestione energetica degli edifici sono ormai riconosciute e trattate con frequenza. Negli ultimi decenni, accanto allo sviluppo del quadro normativo comunitario e nazionale, è cresciuta la sensibilità di committenti e progettisti, attratti tanto dal risparmio economico quanto da logiche di salvaguardia ambientale. Ciò porta alla necessità di integrare la disciplina energetica nel processo edilizio fin dalle sue prime fasi, modificando l’approccio tradizionale che vedeva l’intervento del calcolo energetico solo nello stadio di dimensionamento impiantistico e per la validazione del progetto attraverso la redazione dell’attestato di prestazione energetica. Con il nuovo approccio, alcune attività vengono spostate dai progettisti di impianti, formati per il calcolo del comportamento energetico dell’organismo edificio-impianto, ai progettisti architettonici, chiamati a disegnare involucri efficienti per configurazione formale oltre che per qualità costruttiva. A supporto del calcolo in ambito energetico esistono da tempo software affidabili e certificati, quali Trnsys e Energy Plus, per il cui utilizzo sono, però, richieste competenze che esulano da quelle tipiche del progettista architettonico. Il calcolo qui avviene associando in un circuito organico tutti gli apporti che determinano il comportamento energetico dell’organismo edilizio nel suo contesto.
In quest’ottica la geometria e le componenti costruttive (materiali e pacchetti) costituiscono solo una parte degli aspetti considerati, e risultano tanto distanti dai concetti di progettazione da essere solitamente descritti testualmente o per via tabulare. Poiché risulta chiaro che le informazioni in ambito edile utili al calcolo energetico sono un sottoinsieme di tutto quanto viene definito in un modello informativo (Hitchcock, 2011), la letteratura scientifica ha esplorato la tematica dell’interoperabilità dei codici allo scopo di automatizzare il passaggio tra BIM (Building Information Model) e BEM (Building Energy Model) (Bazjanac, 1999). Le best practices che derivano da queste esperienze tuttavia si focalizzano su un efficace trasferimento di informazioni tra piattaforme di lavoro. Si tratta, quindi, di un processo capace di migliorare il workflow già consolidato che, seppure importante, non introduce caratteri di novità nel processo. Più recentemente, invece, sono state introdotte soluzioni che aiutano il coinvolgimento diretto dei progettisti architettonici nella gestione delle performance energetiche del progetto. Si tratta di applicazioni legate direttamente ai software per la modellazione BIM, pensate per la valutazione qualitativa, piuttosto che quantitativa, del comportamento energetico degli edifici e ottimizzate allo scopo di accompagnare e guidare il processo progettuale in tutte le sue fasi grazie a gradi progressivi di approfondimento.
involucri efficienti per configurazione formale oltre che per qualità costruttiva
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A partire da un modello, queste applicazioni consentono di individuare la soluzione più performante tra diverse alternative di progetto e di aggiornare i risultati mantenendoli sempre allineati alla rappresentazione, così da comprendere in tempo reale le conseguenze delle scelte progettuali. Le simulazioni possono essere ripetute nelle diverse fasi del progetto a partire da geometrie generiche, a rappresentare il progetto volumetrico, per poi arrivare alla definizione puntuale delle componenti edili con le loro proprietà fisiche. Ne deriva che la disciplina energetica viene effettivamente riconosciuta come strumento di progettazione oltre che di validazione. In un’ottica di performance based building design (PBBD), tali strumenti si adattano ai canoni della modellazione informativa, facendo leva, in particolare, sulla sua caratteristica di parametricità e sull’attitudine dei modelli al mutamento sulla base di input esterni. Coniugati all’uso di piattaforme BIM, infatti, questi applicativi danno ai progettisti l’opportunità di sperimentare e applicare analisi multicriteriali che consentono il monitoraggio degli effetti dello spostamento di uno o più parametri, al fine di individuare la soluzione ottimale tra molteplici possibilità.
Strumenti e applicazioni In questo numero, si è scelto di approfondire il funzionamento di due applicazioni per l’analisi energetica qualitativa capaci di interagire con il software di authoring Autodesk Revit: Sefaira e Green Building Studio. Il confronto risulta particolarmente interessante in quanto i due condividono numerose caratteristiche, sia nell’approccio metodologico che nelle possibilità di simulazione offerte. Sefaira è un’applicazione web-based, prodotta da Trimble, dotata di una grafica intuitiva e accattivante è in grado di comunicare con Autodesk Revit mediante plug-in e capace di restituire valori e grafici che rappresentano diversi indici di consumo energetico, computati separatamente per la climatizzazione estiva e invernale. Sebbene l’integrazione con il software di authoring sia funzionale, non si può parlare di completa interoperabilità tra i due in quanto il plug-in si limita a trasferire alla piattaforma di calcolo le caratteristiche geometriche dell’involucro, tralasciando, ad esempio, la composizione dei pacchetti e le proprietà termiche dei materiali, elemento quanto mai importante per quanto accennato prima. Il passag-
gio di informazioni, inoltre, avviene solo sulla base degli elementi costruttivi, precludendo la possibilità di eseguire analisi preliminari su modelli volumetrici, più semplici. La comunicazione rimane, però, chiara e tutto quanto viene ignorato nel primo passaggio può essere riconosciuto e reintegrato facilmente tramite l’interfaccia dell’applicazione. La piattaforma web consente, poi, di valutare le prestazioni di numerose alternative di progetto, che vengono definite dall’utente facendo variare una o più caratteristiche del modello. L’interfaccia di Sefaira, infatti, presenta una serie di box dedicati alle caratteristiche del modello rilevanti ai fini energetici e modificabili in modo indipendente. In questo modo si realizza un’analisi multicriteriale dalla quale individuare la soluzione migliore, secondo i valori definiti dal progettista. Sefaira offre, inoltre, un ottimo strumento per la simulazione della diffusione della luce naturale all’interno dell’edificio e per la stima dell’influenza di questa nel bilancio energetico complessivo. Per il calcolo, che avviene in cloud, Sefaira utilizza Fulcrum, un motore pro-
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CARICO MENSILE DI RISCALDAMENTO
Apparecchiature varie Apparecchi di illuminazione Occupanti Finestra solare Finestra conduttiva Infiltrazione Ambienti sotterranei Ambienti INT Coperture Pareti
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CARICO MENSILE DI RAFFREDDAMENTO
Apparecchiature varie Apparecchi di illuminazione Occupanti Finestra solare Finestra conduttiva Infiltrazione Ambienti sotterranei Ambienti INT Coperture Pareti
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prietario, accanto ad Energy Plus che viene interrogato per le analisi più dettagliate. Nonostante il tipico funzionamento black box, l’applicazione permette un buon controllo delle dinamiche energetiche da parte dell’utente, grazie soprattutto alla sua ottima interfaccia grafica, e costituisce un valido strumento interattivo per l’analisi comparata. Anche Autodesk Green Building Studio è un servizio di analisi cloud-based disponibile sia come parte degli strumenti di analisi energetica interni ad Autodesk Revit, sia attraverso un’interfaccia web indipendente. La forza di questo applicativo risiede nell’ottima integrazione con il software Autodesk Revit; l’applicazione, infatti, è in grado di estrarre e tradurre dal modello tutti i dati utili al calcolo energetico.
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Il passaggio di informazioni avviene direttamente all’interno dell’ambiente di modellazione sebbene agisca producendo un file gbXML, uno standard interoperabile per l’analisi energetica, che viene successivamente calcolato dall’applicazione web utilizzando il motore di calcolo DOE-2. Con la finalità di accompagnare il processo progettuale, la simulazione può essere attuata a diversi livelli di dettaglio, prendendo in considerazione masse concettuali oppure elementi costruttivi con proprietà termiche progressivamente più definite. Senza alcun intervento da parte dell’utente, si produce un documento con diversi tipi di report grafici che spaziano dalle caratteristiche del sito di progetto alle considerazioni sulle presta-
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zioni energetiche e sull’uso di risorse. Aprendo il sito web collegato, invece, ci si trova davanti a un’architettura più complessa e approfondita che permette di consultare ulteriori strumenti. L’interfaccia web risulta confusionaria e di difficile interpretazione ma, una volta compreso il funzionamento, consente di consultare l’analisi comparata di diverse alternative di progetto. Al momento del calcolo, infatti, Green Building Studio procede autonomamente alla valutazione di una serie piuttosto vasta di variazioni sul progetto iniziale, che comprendono diversi gradi di rotazione o la sostituzione di alcuni dei materiali dell’involucro. Con uno sforzo maggiore è anche possibile combinare tali scenari al fine di realizzare una nuova ipotesi progettuale. In tutti i casi, purtroppo, l’applicazione
IMPATTO RISCALDAMENTO
IMPATTO RAFFREDDAMENTO
soluzioni che aiutano il coinvolgimento diretto dei progettisti architettonici nella gestione delle performance energetiche del progetto
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non rende disponibile il calcolo separato dei contributi di riscaldamento e raffrescamento di cui riporta solamente il grafico, restituendo, così, risultati poco spendibili per analisi successive. Il software, inoltre, integra alle informazioni sull’involucro definite dall’utente in ambiente di modellazione, indicazioni sulle tipologie di impianti sulla base della normativa tecnica statunitense ASHRAE che non sempre appaiono controllabili. Nel complesso, quindi, lo strumento risulta convincente per quanto riguarda l’interoperabilità con la componente progettuale, ma carente in relazione alla trasparenza e al controllo sui risultati. Analisi e conclusioni Per validare gli strumenti sopra descritti è stato attivato uno studio in collaborazione tra i dipartimenti di Ingegneria Civile Edile e Ambientale e di Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Padova. A tale scopo un edificio di prova è stato modellato con Autodesk Revit, calcolato con il software di simulazione dinamica Trnsys, e, infine, analizzato con i due applicativi presi in considerazione. Il confronto tra Sefaira e Green Building Studio si è concentrato principalmente sulla loro capacità di interpretare le variazioni sul progetto, poiché si ritiene sia
questo lo strumento più interessante di cui dispongono. Per ottenere un quadro di riferimento esaustivo, oltre alla soluzione di base, sono state testate una rotazione di 180°, la sostituzione dei pacchetti di parete e degli infissi con alternative più performanti e la variazione delle dimensioni della superficie vetrata esposta a sud. A seguito delle analisi comparate si può asserire che gli applicativi si dimostrano sostanzialmente allineati, nonostante presentino qualche variazione nella considerazione del peso dei criteri valutativi. Entrambi portano all’individuazione della medesima soluzione come ipotesi più performante, mentre dissentono nel riconoscimento della meno vantaggiosa. Alla luce delle considerazioni esposte e del raffronto tra i risultati, i due software per la valutazione qualitativa e comparata appaiono come strumenti efficaci per l’integrazione delle considerazioni sul comportamento energetico degli edifici in fase di progettazione, costituendo un valido sostegno per i progettisti architettonici che si vogliono misurare con tale disciplina. Resta chiaro, però, che non si tratta di programmi in grado di restituire risultati attendibili in valore assoluto, ma che essi accrescono il loro valore quanto più vengono utilizzati per la comparazione di soluzioni progettuali.▲
BIBLIOGRAFIA - Bazjanac V., Crawley D.B., “Industry Foundation Classes and Interoperable Commercial Software in Support of Design of Energy-Efficient Buildings”, in “Proceedings of Building Simulation 1999”, Kyoto, 1999. - Bazjanac V., “Improving building energy performance simulation with software interoperability”, in “Proceedings of the Eighth International IBPSA Conference”, Netherland, 2003. - Cemesova A., Hopfe C. J., Rezgui Y., “An approach to facilitating data exchange between BIM environments and a low energy design tool”, in “Building Simulation 2013”, France, 2013. - Zanchetta C., Paparella R., Borin P., Cecchini C., Volpin D., “The role of building energy modeling to ensure building sustainability and quality in a whole system design process”, in “Recent advances in urban planning, sustainable development and green energy, Proceedings of the 5th International Conference on Urban Sustainability, Cultural Sustainability, Green Development, Green Structures and Clean Cars” (USCUDAR ‘14), WSEAS Press, 2014. - Zanchetta C., Paparella R., Cecchini C., Alessio G., “Il performance based building design attraverso la modellazione informativa energetica”, in “Sostenibilità ambientale, economia circolare e produzione edilizia”, Atti del convegno nazionale annuale ISTeA 2015, Maggioli Editore, 2015.
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MICROFONO ACCESO
Francesca Guidolin è dottoranda di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, presso l’Università Iuav di Venezia. e-mail: arch.francesca.guidolin@gmail.com
Fausto Guzzetti Direttore CNR IRPI - Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica
Abbiamo intervistato il Dott. Fausto Guzzetti, Dirigente di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e Direttore dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI), Centro di Competenza della rete dei Centri Funzionali e di Competenza del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, competente sui rischi geo-idrologici e in particolare sul rischio da frana e da inondazione. CNR IRPI - Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica via Madonna Alta 126 06128 Perugia e-mail: segreteria@irpi.cnr.it
The IRPI (Research Institute for Geo-Hydrological Protection) operates in Italy developing researches, projects and offering services in the fields of hydrology, territorial and environmental protection and sustainable exploitation of Earth resources. We interviewed Dott. Fausto Guzzetti, the Director of IRPI, about the activities, projects and services of the Research Institute. Risks related to climate changes are rapidly modifying geomorphological researches’ assets, which need new technologies and researches in order to be studied and predicted with? continuous care?. In order to explain the importance and the actuality of this research field, the article investigate also the attention nowadays given to it: even if landslides, floods and avalanches can be predicted, the need of funding is not always understood by institutions.
Direttore, di cosa si occupa l’Istituto di Ricerca? L’Istituto sviluppa ricerca e nuove tecnologie nel settore dei rischi naturali per la protezione territoriale e ambientale, e per lo sfruttamento sostenibile delle georisorse. Operiamo a tutte le scale temporali e geografiche, e in differenti ambiti climatici, fisiografici e geologici. Più in dettaglio, lavoriamo per produrre nuova conoscenza sui fenomeni e i processi naturali potenzialmente pericolosi e per meglio comprendere le loro interazioni con l’ambiente naturale e antropico. Nel settore è di primaria importanza lo sviluppo di tecnologie, servizi e prodotti innovativi utili alla definizione, alla previsione e alla mitigazione dei rischi, alla corretta pianificazione territoriale e per una gestione del territorio e dell’ambiente efficace e sostenibile. L’Istituto svolge anche attività di formazione e disseminazione attraverso consulenza scientifica e tecnologica, e prodotti e servizi innovativi nel campo delle geo-scienze. Disseminare informazioni e conoscenze in quest’ambito contribuisce a migliorare la consapevolezza dei singoli e della collettività sui rischi, la protezione territoriale e la gestione sostenibile dell’ambiente. In questo momento, quali ricerche state conducendo? Fra le numerose ricerche, le più attuali sono quelle riguardanti attività di mappatura e monitoraggio dei fenomeni, lo sviluppo di sistemi di monitoraggio di frane profonde e superficiali, anche utilizzando tecnologie innovative (ad esempio l’applicazione di fibre ottiche, di colate di detrito e di parametri meteo-idrologici) e la mappatura delle frane d’evento con tecniche di remotesensing. Anche la ricerca sui temi della previsione e dell’allertamento è importante: la previsione delle condizioni di umidità del suolo rappresenta un’informazione utile sia per la previsione dei fenomeni franosi che dei fenomeni d’inondazione, come le ricerche sullo sviluppo di sistemi d’allertamento nazionali e regionali per la possibile occorrenza di fenomeni franosi. Quali sono i principali servizi che l’Istituto svolge nel territorio italiano, quali i principali partner? Dati i servizi di geo-monitoraggio in situ e da remoto (da terra, da aereo, da satellite), collaboriamo con molte istituzioni nazionali regionali e locali, assieme a imprese.
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Per il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile abbiamo sviluppato ricerca applicata e fornito consulenza tecnico-scientifica a seguito di eventi calamitosi, contribuendo a identificare aree idro-geologicamente sicure per la costruzione di nuovi insediamenti nelle aree colpite dai terremoti del 1997 in Umbria e nelle Marche, del 2009 in Abruzzo e più di recente del 2016 in Italia centrale e valutando le condizioni di rischio residuo in aree colpite da eventi idro-meteorologici estremi. Abbiamo progettato e sviluppato SANF, un sistema prototipale d’allertamento per la previsione della possibile occorrenza di frane indotte dalla pioggia in Italia. In che maniera i cambiamenti climatici influenzano l’assetto e la gestione della risorsa idrica in Europa e in Italia? In linea generale, nel nostro paese le proiezioni climatiche prevedono un aumento delle temperature e una diminuzione dei giorni con precipitazioni, che saranno più intense. Nonostante l’indubbia difficoltà a prevedere gli impatti di tali cambiamenti sui fenomeni di dissesto geo-idrologico, si può ipotizzare che, con piogge più brevi e più intense, le frane superficiali saranno più numerose e più frequenti. Poiché le frane superficiali in generale sono anche più veloci - e quindi più pericolose - ci dobbiamo aspettare che il rischio per la popolazione aumenti. La previsione è complicata dal fatto che il clima ha anche effetti su altri fattori che condizionano, direttamente o indirettamente, la franosità, come ad esempio l’uso e la copertura del suolo, o le pratiche agricole. Ci si aspetta che l’aumento delle temperature abbia un effetto particolarmente significativo nelle aree montane, dove aumenteranno i fenomeni di crollo e di caduta di massi. Anche i fenomeni di piena e di piena improvvisa (flash flood), come pure i periodi di siccità, ci si aspetta vengano influenzati dai cambiamenti climatici e ambientali attesi. Inoltre, poiché la risposta alle precipitazioni dei bacini idrografici dipende anche dalla loro forma, gli effetti dei cambiamenti climatici potranno variare geograficamente anche in modo significativo, con bacini che non cambieranno il loro comportamento idrologico e altri che produrranno picchi di piena significativamente più grandi, o più bassi. Le conseguenze di questi cambiamenti stagionali, che in alcune aree già misuriamo, sono tutte da determinare1.
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lavoriamo per produrre nuova conoscenza sui fenomeni e i processi naturali potenzialmente pericolosi e per meglio comprendere le loro interazioni con l’ambiente naturale e antropico
In che maniera le nuove tecnologie possono influire sulle ricerche e soprattutto sulla gestione dei fenomeni? Ci sono degli esempi? Come in altri campi, la tecnologia è sempre più importante permettendoci di misurare gli effetti di fenomeni naturali con grande accuratezza. Lord Kelvin scriveva “If you cannot measure it, you cannot improve it”. Questo vale anche per i rischi naturali e i loro effetti sul territorio e l’ambiante. E tanto più oggi, quando le tecnologie ci permettono di misurare con continuità nel tempo, fenomeni naturali potenzialmente catastrofici. Un esempio per tutti è la pioggia. Più le reti di misura s’infittiscono, più migliorano i sistemi e le tecnologie che impieghiamo per misurare la pioggia, più ci
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negli ultimi 10-15 anni in Italia si è investito molto poco in ricerca e sviluppo tecnologico sui rischi naturali in genere e in particolare sui rischi geo-idrologici 03
rendiamo conto di quanto sia variabile e come da essa derivi la nostra capacità (o incapacità) di prevedere eventi naturali. Un altro esempio sono le deformazioni del suolo. Con le nuove tecniche DInSAR, possiamo misurare spostamenti millimetrici del terreno e di strutture poste su di esso in aree ampie diverse centinaia di km2 , e ripetere le misure ogni settimana. Le applicazioni di queste misure sono molte e interessantissime. Ritiene che in Italia si presti sufficiente attenzione alla ricerca nel settore dell’idrogeologia, della mitigazione e si investa abbastanza? In rapporto all’Europa, ritiene si potrebbe fare di più? È un dato di fatto che negli ultimi 10-15 anni in Italia si sia investito molto poco in ricerca e sviluppo tecnologico sui rischi naturali in genere e in particolare sui rischi geo-idrologici. Lo dimostra in modo eclatante il fatto che il Programma Nazionale della Ricerca (PNR) 2015 – 2020 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e del-
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la Ricerca (MIUR) ignora completamente i rischi naturali e le loro conseguenze. Fra dodici aree tematiche2 e cinque aree di specializzazione3 previste dal PNR non ce n’è una specifica sui rischi naturali e i loro impatti, sulla popolazione, i beni privati e collettivi, il territorio, le economie. I recenti terremoti che hanno colpito il centro Italia a partire dal 24 agosto dello scorso anno hanno dimostrato che, purtroppo, l’impatto dei rischi naturali è persistente e pervasivo in Italia. Anche a livello europeo la ricerca sui rischi naturali non è finanziata in modo particolarmente significativo. In molti paesi i rischi non sono così rilevanti come nel nostro paese. L’interesse è quindi indubbiamente minore. Limitandosi al campo di ricerca che mi è più famigliare, quello del dissesto geo-idrologico, dopo (e sempre solo dopo) ogni evento, da più parti si chiede a meteorologi, idrologi e geologi di fare previsioni più sicure, nello spazio e nel tempo. Nel mondo della ricerca, per avere risposte a domande difficili come quelle poste sui rischi naturali, servono risorse. Che mancano da troppo tempo.▲
NOTE 1 - Sul tema è stato pubblicato l’articolo: Gariano S.L., Guzzetti F., “Landslides in a changing climate” in “Earth-Science Reviews”, vol.162, Elsevier, London, pp. 227-252. Consultabile su www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0012825216302458. 2 - Aerospazio, Agrifood, Cultural Heritage, Blue growth, Chimica verde, Design, creatività e Made in Italy, Energia, Fabbrica intelligente, Mobilità sostenibile, Salute, Smart, Secure and Inclusive Communities, e Tecnologie per gli Ambienti di Vita. 3 - Aerospazio e Difesa; Salute, alimentazione, qualità della vita; Industria intelligente e sostenibile,
energia e ambiente; Turismo, patrimonio culturale e industria della creatività; Agenda Digitale, Smart Communities, sistemi di mobilità intelligente. IMMAGINI 01 - Il direttore del CNR IRPI, dott. Fausto Guzzetti. 02 - La violenta alluvione che ha colpito la Calabria tra Rossano Calabro e Corigliano Calabro a partire dalla notte del 11 agosto 2015 fino alla mattina del 12 agosto 2015. Crediti: Elisabetta Napolitano. 03 - Drone quadricottero impiegato dall’IRPI per i sopralluoghi e la ripresa di frane. Crediti: Federica Fiorucci.
nel mondo della ricerca, per avere risposte a domande difficili come quelle poste sui rischi naturali, servono risorse
04 - Deragliamento dell’Intercity 660 Milano-Ventimiglia avvenuto il 17 gennaio 2014 alle ore 12:45 a causa di una frana caduta dalla sovrastante parete rocciosa tra Andora (Savona) e Cervo (Imperia). Crediti: Ivan Marchesini. 05 - Mappa di non suscettibilità da frana: in giallo le zone in frana ed in blu le zone dove non ci si aspettano frane. Crediti: Ivan Marchesini.
N.17 APR-GIU 2017 83
CELLULOSA
a cura di
Fair Play
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Fair Play Tove Jansson Iperborea 2017 (copertina di xxystudio)
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Wolfgang Bauer Al di là del mare La Nuova Frontiera, 2015 (copertina di Flavio Dionisi)
“L’isolotto aveva la forma di un atollo: una cornice rocciosa intorno a una laguna poco profonda, una specie di palude con uno stretto accesso al mare. Con la bassa marea si trasormava in un laghetto dove un tempo giocavano le foche [...]. Adesso era diventato il giardino d’infanzia degli edreoni.” Mari e Jonna, due artiste, due ateliers ai capi opposti di un grande edificio sul porto di Helsinki, e una casetta condivisa su una piccola isola solitaria davanti al mare aperto. Mari scrive, illustra, sogna, si fa domande, accoglie un maestro burattinaio russo che sacrifica il sonno all’arte, si appassiona a una donna sola al mondo che le chiede il senso della vita. Jonna dipinge, intaglia il legno e trova risposte, cerca di catturare la realtà con la sua cinepresa, ama i film western di serie B e i capolavori di Fassbinder, e mette mano al fucile da caccia quando c’è bisogno di una “sana spietatezza”. Le loro personalità si scontrano e si confrontano attraverso dialoghi sagaci e silenzi che non hanno bisogno di parole, unite da un’urgenza creativa che riesce ogni volta a gettare una luce nuova sulle
84 OFFICINA*
cose e sulla natura umana, a trasformare la quotidianità in una riserva di piccole epiche fuori dall’ordinario e di inattese rivelazioni. Definito da Ali Smith una vera opera d’arte, Fair play è una partita a due, un gioco sottile tra due donne fieramente indipendenti che con ironia e nel rispetto inviolabile dei reciproci spazi mantengono sempre vivo uno scambio autentico, pungente, eppure pieno di tenerezza. Con la sua finezza di lingua e di sguardo, capace di cogliere il significato racchiuso nel gesto più semplice, Tove Jansson traduce in un gioiello letterario il rapporto con la donna con cui ha condiviso quarant’anni di lavoro e di vita, in un equilibrio lieve e rivoluzionario, all’insegna di quella libertà che accompagna una riuscita storia d’amore.▲
Stepan Zavrel Un sogno a Venezia Bohem Press, 1974
Jean-René Gombert e Joelle Dreidemy Chiudiamo il rubinetto! Kite Edizioni, 2009
(S)COMPOSIZIONE
We need water “The whole world is blazing. We need water, wow yeah good water, ooh we need water, and maybe somebody’s daughter” The Who, Water, B-side di “5.15”, 1973
Immagine di Emilio Antoniol