ISSN 2384-9029
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OFFICINA* Bimestrale on-line di architettura e tecnologia N.06 maggio-giugno 2015 ISSN 2384-9029 Rivista consultabile e scaricabile gratuitamente su : www.officina-artec.com/category/publications/officina-magazine
DIRETTORE EDITORIALE
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
Emilio Antoniol
Carlo Beltracchi, Alberto Bin, Laura Bottaro, Massimo Branca, Alessandro Carabini, Francesco Ferrari, Giorgio Gaino, Alberto Lago, Francesca Marchina, Adriano Mauri, Pierpaolo Ruttico,
COMITATO EDITORIALE
Sara Sagui, Lidia Savioli, Luca Stancari, Luisa Vittardello
Valentina Covre Francesca Guidolin
IMPAGINAZIONE GRAFICA
Daria Petucco
Margherita Ferrari
REDAZIONE Filippo Banchieri Margherita Ferrari Valentina Manfè Michele Menegazzo Chiara Trojetto PROGETTO GRAFICO Valentina Covre
EDITORE
Margherita Ferrari
Self-published by
Chiara Trojetto Associazione Culturale OFFICINA* info@officina-artec.com ArTec - Archivio delle Tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale Università Iuav di Venezia Copyright © 2014 OFFICINA*
Emilio Antoniol
0100000100101010 0100111101000110010001100100100101000 01101001001010011100100000100101010 010011110100011001 00011001001001010000110100100101001110010000010010101 0 0100111101000110010001100100100101000011010010010100 11100100000100101010 010011110100011001000110010010010 Il “Progetto per il perfezionamento dell’uomo” 100001101001001010011100100000100101010 01001111010001 100100011001001001010000110100100101001110010000010010 Antartide, 13 settembre 2000. In seguito agli esperimenti condotti 1010 0100111101000110010001100100100101000011010010010 dalla Seele su un Angelo - un robot umanoide denominato Adam 10011100100000100101010 010011110100011001000110010010 si verifica il Second Impact, una catastrofica esplosione che causa lo 010100001101001001010011100100000100101010 01001111010 scioglimento della calotta australe e una variazione d’inclinazione 001100100011001001001010000110100100101001110010000010 dell’asse terrestre. I successivi cambiamenti climatici e lo scatenarsi 0101010 0100111101000110010001100100100101000011010010 01010011100100000100101010 010011110100011001000110010 di confl itti globali portano alla morte di tre miliardi di persone. 010010100001101001001010011100100000100101010 01001111 Neo Tokyo-3, 2015. Sui cieli della ricostruita Tokyo appare il terzo 010001100100011001001001010000110100100101001110010000 Angelo, intenzionato a distruggere nuovamente la città, ma a que0100101010 0100111101000110010001100100100101000011010 sto si contrappongono le tre unità EVA pilotate dagli adolescenti 01001010011100100000100101010 010011110100011001000110 Shinji Ikari, Rei Ayanami e Asuka Soryu Langley. 010010010100001101001001010011100100000100101010 01001 111010001100100011001001001010000110100100101001110010 È cosi che inizia Neo Genegis Evangelion, capolavoro Anime degli 0000100101010 0100111101000110010001100100100101000011 anni ‘90 diretto da Hideaki Anno, in cui il tradizionale impian01001001010011100100000100101010 010011110100011001000 to narrativo delle opere mecha si fonde con un’attenta trattazione 110010010010100001101001001010011100100000100101010 01 psicologica dei personaggi, indagando tematiche quali le relazioni 00111101000110010001100100100101000011010010010100111 interpersonali, la vulnerabilità umana, il rapporto uomo-macchina. 00100000100101010 010011110100011001000110010010010100 001101001001010011100100000100101010 01001111010001100 Innovativo è anche il mecha design che vede robot umanoidi, gli Evan100011001001001010000110100100101001110010000010010101 gelion, pilotati attraverso un’interfaccia neuronale che li connette ai 0 0100111101000110010001100100100101000011010010010100 sistemi nervosi dei piloti, trasferendo ad entrambe le parti gli im11100100000100101010 010011110100011001000110010010010 pulsi legati al movimento e al dolore. In questo scenario fantascien100001101001001010011100100000100101010 01001111010001 tifico si dipana il “Progetto per il perfezionamento dell’uomo” che, 10010001100100100101000011010010010100111001000001001 01010 010011110100011001000110010010010100001101001001 dopo l’eliminazione dell’umanità, punta alla sua evoluzione verso 010011100100000100101010 01001111010001100100011001001 una nuova dimensione priva di debolezze. 0010100001101001001010011100100000100101010 0100111101 Oggi, informatica, ingegneria robotica e digitale non sono ancora 000110010001100100100101000011010010010100111001000001 giunti a tali limiti estremi ma si pongono sempre più come nuovi 00101010 010011110100011001000110010010010100001101001 paradigmi della vita moderna, influendo in tutti i settori del quo001010011100100000100101010 01001111010001100100011001 0010010100001101001001010011100100000100101010 0100111 tidiano, compreso quello del progetto e della costruzione edilizia. 101000110010001100100100101000011010010010100111001000 00100101010 0100111101000110010001100100100101000FF1C1 NA1001010011100100000100101010 01001111010001100100011 0010010010100001101001001010011100100000100101010 0100 111101000110010001100100100101000011010010010100111001
INDICE 4
ISSN 2384-9029
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mag-giu 2015
N.06 mag-giu 2015
in copertina: Hand Work 2015
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immagine di Luca Stancari*
*Stanca Collage è Luca Stancari, architetto e artista modenese. Poliedrico, negli ultimi anni si è dedicato all’espressione del suo estro in varie forme d’arte, dalla fotografia alla meditazione tramite il viaggio in bicicletta. Ama creare con il collage manuale visioni di mondi immaginari, come trasposizione delle sue esperienze di vita. stancacollage.tumblr.com
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ESPLORARE Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all’Istria. di Emilio Antoniol KUSTERLE. Il corpo eretico. di Valentina Manfè Tutankhamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento di Valentina Manfè NERO SULCIS. Minatori e paesaggi minerari di Margherita Ferrari PROGETTO&DIGITALE Robot: da schiavi senz’anima a s-oggetti sociali di Francesco Ferrari God is in the Process di Alessandro Carabini Evoluzione architettonica dei grattacieli nell’era digitale di Alberto Lago Padiglione Copagri Expo Milano 2015 di Pierpaolo Ruttico e Carlo Beltracchi Stampare l’architettura di Alberto Bin e Luisa Vittadello
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PORTFOLIO Looking for Venice foto di Massimo Branca, testi di Francesca Guidolin
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IN PRODUZIONE Come nasce una cucina di Chiara Trojetto
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VOGLIO FARE L’ARCHITETTO Architetto in viaggio senza rotta di Francesca Marchina Riabitare spazi marginali di Sara Sagui
Car design: il ruolo dei prototipi di ricerca di Giorgio Gaino
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IMMERSIONE Villes Africanes en mouviment di Francesca Guidolin
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DECLINAZIONI Sistemi di copertura in metallo di Daria Petucco, con Prefa Italia srl
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MICROFONO ACCESO Aris Architects a cura di Emilio Antoniol
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CELLULOSA Architettura generativa a cura di Emilio Antoniol
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ARCHITETT’ALTRO Il piano B di Lidia Savioli
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(S)COMPOSIZIONE Mixed-tape di Daria Petucco
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ESPLORARE
Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all’Istria Palazzo Sarcinelli Conegliano, TV 07 marzo 2015 – 28 giugno 2015 www.mostracarpaccio.it
KUSTERLE. Il corpo eretico Galleria Harry Bertoia, Palazzo Spelladi Pordenone 18 aprile 2015 – 09 agosto 2015 www.comune.pordenone.it
Tutankhamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento Basilica Palladiana Piazza dei Signori, Vicenza 24 dicembre 2014 – 02 giugno 2015 www.lineadombra.it
La mostra ripercorre gli ultimi dieci anni di attività di Vittore Carpaccio (1515 - 1525) per poi approdare alle prime produzioni del figlio Benedetto analizzando, attraverso un percorso di cinquanta opere, i mutamenti politici e culturali che hanno coinvolto la Venezia del ‘500. Partendo dalla produzione matura del maestro in cui si percepisce “una visione sospesa tra realismo e utopia” come nelle storie di Sant’Orsola o nei successi di San Giorgio sul drago, si arriva alla produzione del nuovo secolo segnato da guerre, crisi politiche e contrasti religiosi che si traducono in una verifica anche nel linguaggio figurativo di Carpaccio. A ciò si somma il progressivo spostamento degli interessi del pittore da Venezia all’Istria dove il figlio Benedetto sposterà defi nitivamente la bottega. In mostra oltre a capolavori come il San Giorgio che lotta con il drago di San Giorgio Maggiore troviamo anche opere da riscoprire come il Trittico di Santa Fosca ricomposto per la prima volta dopo cinquant’anni.
La fotografia di Roberto Kusterle nasce da una formazione che trova radici nelle arti visive e nella pittura. Costruisce immagini visionarie e surreali dove lo scatto fotografico è il momento ultimo di un lunghissimo percorso di progetto e di preparazione dell’installazione, che diventa quasi un momento di liberazione. In ogni fotografia viene catturata la spiritualità degli elementi della natura e dell’essere umano. Si legge la continuità del rapporto tra la natura e il corpo dell’uomo, il quale funge da mediatore, una continuità che viene messa in scena in uno spazio astratto e senza tempo. L’esposizione antologica trentennale dell’artista all’interno della Galleria non obbliga ad un percorso ma è libera, in quanto Kusterle vuole che chiunque la percorra segua l’emozione e faccia dei veri e propri incontri con le opere. “Trasporto nel mio lavoro le sensazioni percepite quando mi inoltro nei boschi o lungo il fiume. Probabilmente se abitassi in una grande città queste cose non le coglierei”, sono le parole dell’artista.
“Ho sempre pensato che l’arte sia il racconto della vita. Non mi sono mai sottratto a questa forza che mi conduce, e non ho mai considerato di oppormi ad essa. Ho sempre immaginato come una cosa inutile il fare resistenza alla vita che scorre e fluisce. A volte ti frusta violentemente, ma altre volte ti consegna alla felicità più piena. Così il progetto di questa mostra nasce (…) dal contatto e dallo sfregamento ruvidissimo, proprio con la vita.” Queste le parole di Marco Goldin, curatore dell’ampia esposizione costituita da 115 opere suddivise per temi. La mostra è come il fluire della storia dell’arte nel tempo e nello spazio ripercorsa mediante la rappresentazione della notte e della sera. La notte eterna che incarna la vita delle statue d’Egitto, la sera dei pittori del Cinquecento e del Seicento, l’oscurità delle Carceri del Piranesi, la natura serale e notturna dei dipinti del XIX secolo e la notte nell’astrattismo americano del Novecento. La mostra è legata da un filo lasciato da Antoine de Saint-Exupéry, in particolare con il Piccolo principe, storia di notti e di stelle, di solitudini e silenzi.
di Emilio Antoniol
di Valentina Manfè
di Valentina Manfè
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NERO SULCIS. Minatori e paesaggi minerari Museo del Patrimonio Industriale di Bologna – ex Fornace Galotti Via Beverara, Bologna 05 maggio 2015 – 15 luglio 2015 www.archeologiaindustriale.net La mostra racconta attraverso le fotografie di Adriano Mauri la realtà dei siti minerari dell’Iglesiente, Sardegna. Gli scatti non si limitano a descrivere gli impianti industriali bensì esaltano i protagonisti che hanno vissuto questo territorio. Ed è proprio attraverso i loro volti e le tracce del lavoro, che Mauri vuole descrivere questi luoghi, oggi non più fruibili ma di grande valore storico e archeologico. La mostra articolata su più sezioni vuole descrivere la realtà delle miniere proprio attraverso il lavoro delle persone, esaltandone ciascun aspetto anche tramite la stessa scelta dei colori, il cui contrasto richiama l’effetto della luce alla fine della lunga giornata al buio: accecante. La mostra è promossa dall’Associazione Save Industrial Heritage, in collaborazione con il Museo del Patarimonio industriale di Bologna, con il patrocinio del Comune di Iglesias, della Regione Sardegna, del Consorzio del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna e dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico industriale, ed è sostenuta dalla Filctem Cgil Sulcis-Iglesiente.
N.04 GEN-FEB 2015 5
Adriano Mauri
di Margherita Ferrari
The Italian term digitale, whose Latin origin digitus indicates the word finger, is referred to the English word digit and defines objects that can be described by numbers. The term becomes widespread with the advent of computer science and in particular with the development of the binary code, a numerical coding system based on only two digits: 0 and 1. Digital is the opposite of analogical, everything that is not countable and can not be described by an array of discrete elements. In modern times, however, this opposition is gradually fading thanks to a digital intrusion, like informatics and cybernetics, in all human activities. The increase in computing power and the computers miniaturization allow their integration in all objects, bringing the digital technolog y to everyone and everywhere. Similarly, computers and digital softwares use is increasing also into building and construction sector. Today architecture is almost exclusively built through the use of digital softwares that can transform the designer ideas into “countable objects” such as vectors, solids or parametric objects; they can be controlled and modified by simple mathematical operations performed by the machine. But in recent years the digital trend has gone even further, moving from the field of the project to the one of production. The introduction of CNC machines, BIM design, the use of robots and 3D printing are now opening a new frontier for the project and its implementation. Digital can be a fertile ground for the development of a new method of production. It is different from the traditional serial production system allowing a wide range of product customization. In that way the user can define himself shapes, colors, materials and finishes
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of their objects thanks to the use of a digital machine. A new industrial revolution is started and it is called “postdigital” revolution. The following articles will gather some research and “production” experiences related to this new approach to the project. They find in architecture one of the most promising areas to investigate the future potential of these new production systems.
Laura Bottaro
L’
uso del termine digitale, la cui origine latina digitus rimanda alla parola dito, fa però riferimento all’inglese digit - cifra - e va a defi nire tutto ciò che può essere descritto attraverso numeri. Il termine si diffonde con l’avvento delle scienze informatiche e in particolare con lo sviluppo del codice binario, un sistema numerico di codifica basato su sole due cifre: 0 e 1. Al digitale si contrappone l’analogico, ossia tutto ciò che non è numerabile e non può essere descritto mediante un insieme discreto di elementi. In epoca moderna, tuttavia, tale contrapposizione si sta progressivamente affievolendo, vedendo una sempre più forte intromissione del digitale in tutte le attività umane, basti pensare all’enorme diffusione dell’informatica e della cibernetica in ogni attività dell’uomo, dal lavoro al tempo libero. L’aumento delle capacità di calcolo dei computer e la loro miniaturizzazione permettono una sempre più facile integrazione di tali dispositivi in tutti gli oggetti portando la tecnologia digitale alla portata di tutti. Allo stesso modo computer e software entrano anche sempre più spesso nei nostri edifici, sia come oggetti d’uso che come strumenti di progetto, di gestione o di monitoraggio. Anche in ambito architettonico, infatti, la tendenza al digitale si è fatta sempre più evidente rendendo indispensabile l’uso del computer nella progettazione edilizia. Oggi si costruisce
di Emilio Antoniol quasi esclusivamente grazie all’uso di software digitali in grado di trasformare le idee del progettista in “oggetti numerabili” quali vettori, solidi o oggetti parametrici che possono essere controllati e modificati mediante semplici operazioni matematiche eseguite dalla macchina. Ma negli ultimi anni la tendenza verso il digitale si è spinta ancora più in là, spostandosi dal campo del progetto a quello della produzione. L’introduzione di sistemi e macchinari a controllo numerico, la progettazione BIM, l’uso dei robot e la stampa 3D stanno oggi aprendo una nuova frontiera del progetto e della sua realizzazione che trova nei “sistemi digitali” terreno fertile per lo sviluppo di nuovi metodi di produzione. Questi si discostano dai tradizionali sistemi di produzione seriale rivolgendosi invece verso una sempre più ampia possibilità di personalizzazione e “customizzazione” del prodotto, dove l’utente stesso può decidere attraverso l’uso di un software digitale forme, colori, materiali e fi niture dei propri oggetti. Ha così avvio una nuova rivoluzione industriale, quella “postdigitale”. Gli articoli che seguono raccolgono alcune esperienze di ricerca e “produzione” legate a questo nuovo approccio al progetto che trova proprio nel mondo dell’architettura uno degli ambiti più promettenti, andando ad indagare soprattutto le potenzialità future di questi nuovi sistemi e le conseguenti opportunità che il digitale può offrire.
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Robot: da schiavi senz’anima a s-oggetti sociali La trasformazione delle macchine e l’ascesa dei social robot
Francesco Ferrari è PhD Candidate, Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive, Università di Trento. e-mail: francesco.ferrari-1@unitn.it
Global changings are leading to a deep transformation in robotics and to the development of a new kind of machine, the social robot. This type of robot is created to interact with people and play a social role in human society, so the aim of social robotics is to understand how to improve the communication and the relation between robots and humans. The human-likeness of robots represents an open issue in social robotics and literature show different results and theories on possible effects in creating robots that resemble real persons. In this article different points of view on this theme are presented, focusing on the possible social-cognitive processes which can affect the interaction with humanlike robots and highlighting the importance of human psychological analysis within social robotics.
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di Francesco Ferrari
robot stanno cambiando e con loro il nostro mondo. Queste macchine, create inizialmente per lavorare nelle fabbriche ripetendo con estrema precisione la medesima operazione, sono state fi nora considerate alla stregua di servitori senza volontà. Il termine stesso “robot” deriva dalla parola ceca robota e significa appunto “schiavitù”. Tuttavia siamo davvero sicuri che il futuro dei robot sia quello di essere considerati per sempre dei nostri servi privi di alcuna caratteristica umana? Gli attuali cambiamenti sociali e i conseguenti nuovi sviluppi nella robotica sembrano suggerire il contrario. Il rapporto delle Nazioni Unite sul fenomeno dell’invecchiamento globale sostiene che nel 2050 le persone anziane sul nostro pianeta saranno oltre 2 miliardi, e in Europa rappresenteranno più di un terzo della popolazione totale. Di fronte a tale scenario, lo sviluppo di nuove tecnologie che siano in grado di dare assistenza all’uomo diviene una scelta necessaria per evitare il collasso della società. La tecnologia e la robotica del prossimo futuro non dovranno semplicemente sopperire alla mancanza di forza fisica e capacità razionale umana, ma creare artefatti in grado di svolgere anche compiti di natura sociale. Le macchine dovranno essere in grado di interagire con le persone e l’ambiente in cui queste vivono. Oggi possiamo assistere alle prime prove della futura convivenza tra esseri umani e robot, ad esempio negli ospedali per accogliere i pazienti, nelle carceri per controllare i detenuti, nei centri commerciali per fornire alle persone informazioni su negozi e prodotti. Siamo quindi di fronte ad una profonda trasformazione tecnologica e alla nascita di un nuovo tipo di macchina: il robot sociale. B.R. Duffy, ricercatore del Media Lab Europe, defi nisce questo nuovo tipo di robot come “un’entità fisica dotata di un corpo che si trova all’interno di un complesso e dinamico ambiente sociale, e che è in grado di mettere in atto comportamenti che mirano a raggiungere
i propri obiettivi e quelli della sua comunità.” Lo scopo della robotica sociale diviene quello di creare macchine che possano interagire in maniera soddisfacente con gli umani e per tale motivo le ricerche in questo campo mirano a comprendere quali siano le migliori caratteristiche per questo tipo di robot. Un’idea diffusa è che la somiglianza dei robot agli esseri umani possa migliorare l’interazione tra macchine e persone. Gli individui, osservando un robot che mostra un aspetto e un comportamento simile al proprio, possono infatti utilizzare gli stessi schemi della comunicazione umano-umano e interagire con il robot in maniera naturale. Inoltre la somiglianza con le persone reali favorirebbe il processo psicologico dell’antropomorfismo, che può essere defi nito come la tendenza innata che spinge gli individui ad attribuire caratteristiche umane (come volontà, mente e capacità di provare emozioni) a un agente non-umano. In robotica sociale, lo scopo di questo processo psicologico è quello di razionalizzare le azioni del robot e prevedere i suoi comportamenti. Secondo alcuni ricercatori, l’antropomorfismo migliora l’impressione che abbiamo nei confronti di un robot. F. Hegel, ricercatore presso la Bielefeld University, ha dimostrato come (a parità di condizioni) un robot dotato di aspetto umanoide, venga percepito come più intelligente, simpatico e amichevole rispetto a un computer o a un robot meccanico. L’antropomorfismo nei confronti dei robot non viene influenzato solo dall’aspetto esteriore. In uno studio condotto da A. Waytz,
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siamo sicuri che il futuro dei robot sia di essere considerati per sempre dei nostri servi privi di alcuna caratteristica umana?
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lo scopo della robotica sociale diviene quello di creare macchine che possano interagire con gli esseri umani
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psicologo alla Northwestern University, è stato osservato come i partecipanti mostrassero maggiore fiducia nei confronti di un simulatore di guida di un’automobile autonoma, quando questo, comunicando con loro attraverso una voce umana, veniva antropomorfizzato maggiormente. A. Waytz sostiene che “la tecnologia sembra in grado di svolgere meglio il compito per cui è stata progettata quando sembra possedere una mente simile a quella umana.” Se da un lato una maggiore somiglianza dei robot agli esseri umani sembra migliorare la relazione uomo-macchina, vi sono però alcune teorie e studi che evidenziano possibili problematiche legate a tale questione. La teoria dell’Uncanny Valley, descritta dal pioniere della robotica M. Mori, sostiene che al crescere della somiglianza fisica del robot all’essere umano, possiamo osservare una reazione maggiormente positiva da parte delle persone. Tuttavia se viene superato un dato
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(non specificato) limite e il robot diviene troppo somigliante a un essere umano, le persone provano sentimenti di repulsione e inquietudine nei suoi confronti. Mori afferma quindi che macchine con forme umane, ma con un aspetto chiaramente robotico, come l’umanoide ASIMO, portino le persone a provare emozioni positive nei suoi confronti, mentre robot molto simili agli esseri umani, come l’androide DER-01, cadano all’interno dell’Uncanny Valley e provochino reazioni negative. Il possibile movimento del robot accentua gli effetti positivi o negativi della sua human-likeness. Mori nel descrivere l’Uncanny Valley non spiega le motivazioni e i processi sottostanti tale fenomeno, e ancora oggi la sua teoria suscita un vivace dibattito nel campo della robotica sociale. Gli studi condotti per investigare tale tematica sono numerosi così come le possibili spiegazioni a questo fenomeno. K.F. MacDorman, professore di informatica all’Indiana University, e H.Ishiguro, professore di ingegneria all’Osaka University, affermano che la visione di un robot con aspetto umano possa portare le persone a immaginarsi che tale macchina sia in grado di muoversi, comportarsi e dialogare come una persona reale. Quando queste aspettative vengono disattese le persone reagiscono negativamente verso il robot. C.H. Ramey, professore di psicologia alla Kansas University, collega l’Uncanny Valley a un problema di categorizzazione. I robot simili agli umani, trovandosi ai confini tra le categorie “animato” e “inanimato”, possono portare le persone a vivere un confl itto cognitivo e a reagire negativamente nei loro confronti. K. Gray, professore di psicologia alla North
Carolina University, sostiene che la reazione negativa sia legata al fatto che l’aspetto umano dei robot ci porti ad attribuire loro la capacità di provare emozioni, una caratteristica non appartenente al concetto stesso di “macchina”. In ogni caso, come evidenzia A.M. Rosenthal-von der Pütten ricercatrice all’Università di Duisburg-Essen, è impossibile fornire una spiegazione univoca all’Uncanny Valley dato che questa sembra essere il risultato di un insieme di diversi fenomeni e può avere perciò differenti cause. Un diverso punto di vista riguardo il tema della somiglianza dei robot agli esseri umani, viene poi offerto da quei ricercatori che sostengono l’importanza di un legame tra i diversi elementi che caratterizzano un robot sociale. Questi studiosi mettono in evidenza come la reazione nei confronti di un robot non sia legata a un suo elemento specifico, ma alla concordanza/discordanza tra i suoi diversi aspetti. J. Goezt, professoressa di psicologia al Centre College di Danville, ha evidenziato ad esempio il legame che si viene a creare tra la sociabilità del compito, l’aspetto e il comportamento del robot. W.J. Mitchell, informatico all’Indiana University, ha mostrato come la discrepanza tra l’aspetto meccanico di un robot e la sua voce umana possa portare le persone a provare sentimenti di inquietudine. A.P. Saygin, professoressa al Dipartimento di Scienze Cognitive della California University, ha collegato l’insorgenza di emozioni che possono essere associate all’Uncanny Valley alla discordanza tra aspetto e comportamento del robot.
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La letteratura presenta quindi un quadro complesso e a tratti contraddittorio per ciò che riguarda i robot sociali, le caratteristiche che dovrebbero possedere e i loro possibili effetti sulle persone. Tuttavia gli studiosi in questo campo si mostrano d’accordo con quanto afferma M. Matarić, docente di computer science e neuroscienze alla Southern California University, secondo cui l’interazione con queste macchine è totalmente differente rispetto a quella che possiamo sviluppare con un computer, un cellulare e altri intelligent devices. Dato che il compito dei robot sociali è quello di interagire con le persone e avere un ruolo attivo nella società umana, non possono più essere considerati come dei semplici strumenti e devono essere concettualizzati in maniera differente rispetto ai loro antenati usati nelle fabbriche. I robot, dal contesto industriale in cui venivano considerati schiavi lavoratori senz’anima, divengono ora attori sociali con cui ci relazioniamo nel nostro ambiente quotidiano. Questo cambiamento non si riduce ad una trasformazione nel modo in cui progettiamo e costruiamo i robot (hardware e software sempre più complessi), ma porta a conseguenze anche sul piano sociale. Se i robot industriali hanno modificato non solo la vita lavorativa nelle fabbriche, ma la società stessa attraverso la produzione di massa e l’abbassamento dei prezzi dei beni di consumo, quali possono essere gli effetti della convivenza con robot progettati per interagire con gli esseri umani? Questo interrogativo e la trasformazione del robot in s-oggetto sociale rendono chiara l’importanza all’interno della robotica di quelle scienze che prendono in esame l’essere umano. Neuroscienze,
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i robot divengono ora attori sociali con cui ci relazioniamo nel nostro ambiente quotidiano
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Scienze Cognitive, Psicologiche e Sociali divengono fondamentali non solo per comprendere quali siano le caratteristiche che favoriscono l’interazione tra persone e robot, ma anche per conoscere le possibili conseguenze legate a questo nuovo tipo di tecnologia. I robot sociali rappresentano quindi una grande opportunità per la società, ma al tempo stesso una questione che deve essere considerata di estrema importanza per gli effetti e i cambiamenti che può avere su di noi come esseri umani.
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IMMAGINI 01 - Robot di assemblaggio industriale KUKA. Immagine tratta da Wikipedia. 02 - Il robot umanoide ASIMO sviluppato dalla Honda. Immagine tratta da Wikipedia. 03 - Il grafico illustra la familiarità che l’uomo assume con differenti tipolgie di robot e situazioni, ponendo in evidenza l’Uncanny Valley. Immagine tratta da Wikipedia. 04 - L’androide giapponese DER 01 presentato all’EXPO 2005, Giappone. Immagine tratta da Wikipedia. 05 - Shadow Dexterous Robot Hand holding a lightbulb. Richard Greenhill and Hugo Elias (myself) of the Shadow Robot Company. Immagine tratta da Wikipedia.
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God is in the Process Uomo e Macchina verso un’architettura totale
Alessandro Carabini è architetto e computational designer. Ha cofondato abacO nel 2013, studio di architettura e design con base a Parigi fortemente orientato alla ricerca. Lavora all’intersezione di persone, tecnologie e spazi. www.abaco.me
The electronics and informatics revolution, which in the sixties gave birth to a dense corpus of visionary projects, during the nineties strongly merges the practice. But in a superficial way. A deep thought on the man-machine relationship and on the brand new hybrid reality that internet is revealing is missed. Digital and material, atoms and bits are increasingly weaving. Today the revolution is done. Thanks to the emergence of new technologies that make the creative and productive process simultaneous, we talk about “postdigital” and new materiality. Inputs and outputs are coincident. In the epoch of planetary computation and the affirmation of science, it is necessary a 2.0 update of the profession but also the creation of a critical thinking, and never forgetting that the only human resource that enables us to control the machine is creativity.
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di Alessandro Carabini
egli anni ’60 del secolo scorso i laboratori di ricerca di alcune università d’avanguardia si dotano di strumenti e macchine destinate a stravolgere, tra le altre cose, la professione dell’architetto. Come buona parte delle migliori invenzioni, sono il frutto di ricerche scientifiche stimolate da necessità militari1. Nello specifico è la US Air Force che durante gli anni della guerra fredda fi nanzia lo sviluppo di un progetto unico nel suo campo, il CADP, Computer Aided Design Project al Massachusetts Institute of Technology (MIT). In questi anni, tra quegli ingegneri, visionari, studenti e ricercatori, si sperimentano nuovi linguaggi e nuove strade in cui la componente meccanica entra in tangenza con la componente creativa umana. Nascono i primi programmi e le prime interfacce grafiche in grado di creare una connessione uomo-macchina. Tra questi Grasp e Lokat, ma è SkatchPad di Ivan Sutherland che per primo introduce logiche computazionali. L’obiettivo iniziale era quello, attraverso una visione olistica, di ottimizzare complessi processi progettuali fornendo soluzioni architettoniche. Una macchina in grado di analizzare una grande pluralità di fattori e generare automaticamente risposte progettuali. L’impiego del computer durante e in accompagnamento al processo creativo generò inevitabilmente molteplici e profonde questioni. Dibattito rinvigorito poi dalle teorie cibernetiche emergenti che prefiguravano l’impiego delle macchine per aumentare le capacità umane e dalla teoria dei sistemi che consideravano l’architettura come un complesso sistema di layer interconnessi e dinamici fondati sulla logica del feedback. In General System Theory (1969) il biologo austriaco Ludwig von Bertalanffy fornendo un’alternativa ai convenzionali modelli di crescita, mostra come in numerose discipline e in natura si applichi lo schema del feedback. Anche il matematico Christopher Alexander, uno dei padri dell’idea d’intelligenza aumentata dei cittadini per eliminare relazioni di tipo gerarchico in favore di una società perfettamente simmetrica2 , porta contributi essenziali nell’affer-
mazione del processo sulla forma, delle relazioni sull’oggetto. O meglio trasla il significato di forma, da statico oggetto a sistema operativo, stabilendo una dualità tra l’oggetto come agente computazionale e il metodo come processo computazionale. È Gordon Pask a sottolineare come l’architettura non possa essere vista come materia statica priva di alcuna interazione possibile con gli utenti, ma piuttosto debba essere considerata come la somma di sistemi attivi ambientali, sociali e culturali. Questo è un passo fondamentale per ampliare ed estendere l’orizzonte del processo progettuale importando una forte matrice computazionale. Nell’articolo The architectural relevance of cybernetics pubblicato in AD nel 1969 conclude così mettendo in relazione controller e controlled entity, ovvero designer e sistema progettato: “Ribaltiamo il paradigma di progettazione, mettendo al centro l’interazione tra l’ambiente e le persone che lo abitano al posto della consueta interazione tra il progettista e il sistema fisico che disegna.”3 Negli stessi anni Nicholas Negroponte, fondatore di Architecture Machine Group prima (1968) e del MIT Media Lab poi (1985), sviluppa il suo pensiero sull’architettura legittimando la macchina come componente fondamentale del progetto e considerando il progettista dotato di un’intelligenza accresciuta tramite le nuove tecnologie a disposizione. In tale ottica ArcMac avrebbe dovuto avviare un dialogo destinato ad alterare le tradizionali dinamiche uomo-macchina. Non si tratta di sostituire il designer con una macchina autonoma in grado
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non si tratta di sostituire il designer con una macchina autonoma in grado di riprodurre un processo creativo, poiché l’intelligenza artificiale implica una dipendenza
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di riprodurre un processo creativo, poiché l’intelligenza artificiale implica una dipendenza. “Le macchine, per contribuire ad un umanismo ambientale, devono avere un dialogo naturale con il progettista perché hanno bisogno delle sue metafore e delle sue idee immutate. Il dialogo si fonda su di un sistema di tipo computeraided, non computerised. Il sistema di conseguenza deve includere un processore, alcuni sensori ed attuatori, e un’intelligenza.”4 L’intelligenza per Negroponte non è una qualità passiva, ma attiva, espressa dai comportamenti e accresciuta nel tempo. In Soft Architecture Machine del 1976 Negroponte si spinge oltre mettendo in dubbio prima la necessità ed il ruolo del designer, aprendo ad un mondo in cui ogni individuo diventa designer. Poi l’architettura stessa. E qui Negroponte ha un’enorme intuizione. Immagina un futuro in cui le machine non soltanto dialogheranno con le persone durante il processo creativo, ma entreranno esse stesse nell’architettura. Gli uomini vivranno in macchine sofisticate capaci di rispondere e adattarsi ai bisogni dell’utente.5 Il progetto SEEK esposto a New York nel 1970 fu la materializzazione di queste idee. La rivoluzione elettronica ed informatica di questi anni si risolve in un’enorme e utopico corpus di progetti incredibilmente creativi e visionari. Come in tutti i campi artistici, anche in architettura sono anni fertili. Architetti come Yona Friedman e Cedric Price si nutrono di tali frammenti di innovazione tecnologica e del pensiero e la traducono in progetti, sulla carta, memorabili. Fra i grandi interpreti empirici delle nuove opportunità offerte
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dall’informatica all’architettura uno è proprio Price. Proponendo un’architettura dell’improvvisazione costituita di strutture temporanee e mobili a seconda dell’interazione con gli utenti, il progetto del Fun Palace è in grado di adattarsi alla costante evoluzione dei programmi grazie alla capacità del sistema di apprendere, anticipare e adattarsi. Grazie quindi al computer e a tutto ciò che porta con sé, in una nuova generazione di architetti e tecnologi s’innesta forte l’idea di una progettazione rivoluzionaria, aperta e inclusiva grazie ai nuovi strumenti a disposizione. All’orizzonte vi è la possibilità di superare il ruolo consolidato da sempre dell’architetto progettista-impositore per avviare processi di progettazione egualitari e consapevoli
un mondo in cui ogni individuo diventa designer. Poi l’architettura stessa. E qui Negroponte ha un’enorme intuizione
ma si tratta di episodi che per quanto innovativi, creativi ed influenti restano per lo più ai margini e non vengono recepiti ed assorbiti dalla pratica comune e dall’accademia tradizionalista
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a cui un numero molto più ampio di persone possano prendere parte.6
nello specifico riflettono il modo di integrare il computer nel processo creativo. Computerisation e computation.
“Architecture, as it is being practiced for the last two hundred years or so is gradually coming to an end. Sorry to say this: architecture is a dying profession. Software applications and robotic systems will soon become so intelligent and automated that in the foreseeable future -- in my students life time -- architects will cease to be necessary for the design and production of buildings and cities. Everything will be automated like everything else in the world, signifying gradual disappearance of the profession of architecture. All that scripting and fabrication systems that are now being explored will be child’s play in the very near future. The urgent thing that is needed the most is to learn TO THINK CREATIVELY beyond the envelope of the discipline of ARCHITECTURE as we have known it for the last five thousand years!” 7
“Il modo dominante di utilizzare i computer in architettura oggi è quello del computerisation; entità o processi che sono già concettualizzati nella mente del designer entrano, e vengono manipolati o archiviati in un computer. Quindi, la computation, come strumento di progettazione è generalmente limitato. Il problema di tale situazione è che i designers non sfruttano il potere di calcolo del computer.”8
Sono vari i fattori che hanno determinato il ribaltamento culturale che stiamo testimoniando, ma certamente la spinta più importante viene dagli sviluppi nei settori scientifici che hanno messo a disposizione del dibattito culturale e sociale un’enorme portata di innovazioni ed assunti teorici scardinando le basi di molte discipline. Come abbiamo visto già dagli anni Sessanta attraverso vari personaggi chiave si hanno le prime sperimentazioni e si gettano le basi di un nuovo pensiero e metodo aperto e generativo per operare in un mondo dinamico e complesso. Ma si tratta di episodi che per quanto innovativi, creativi ed influenti restano per lo più ai margini e non vengono recepiti ed assorbiti dalla pratica comune e dall’accademia tradizionalista. Il computer impiega decenni a diventare operativo negli studi professionali. E per la maggior parte viene usato in maniera superficiale e al di sotto delle reali potenzialità, come d’altronde indicano la strada gli sviluppatori di software che si concentrano solamente a perfezionare lo strumento di disegno computerizzato per facilitare l’esecuzione. Qui è necessario fare una distinzione fondamentale tra due parole che riflettono due approcci opposti di considerare il rapporto uomo-macchina, e più
Un approccio computazionale permette, a partire da un’astrazione iniziale, di ottenere nuove informazioni, nuovi dati, mentre l’altro contiene tante informazioni quante inizialmente fornite. E chiaramente questo si riflette nella produzione stessa dell’architettura e nella direzione fi losofica a cui i diversi approcci rimandano. Se è vero che oggi ormai la rivoluzione digitale è apparentemente compiuta, e tante previsioni sono diventate realtà, allora è necessario che la professione dell’architetto e i processi creativi di produzione dell’architettura si adeguino alla contemporaneità. Digitale e materiale, atomi e bit tendono sempre più a sovrapporsi, tanto che si parla già da tempo di “postdigital” e di nuova materialità grazie all’emergenza di tecnologie (vedi stampa 3D) che avvicinano tantissimo reale e virtuale. Input ed output quasi coincidono. Nell’epoca della diffusione planetaria della computazione è sì necessario un aggiornamento 2.0 della professione ma anche la formazione di un pensiero critico senza dimenticare mai che l’unica risorsa umana che ci consente di controllare e gestire le macchine è la creatività. Cinquant’anni dopo le sperimentazioni del MIT, non abbiamo ancora saputo ritrovare la forza innovativa che sprigionavano progetti come il SEEK, e il confronto (sul piano della prospettiva fi losofica) con la maggior parte delle ricerche attuali è impietoso. Ma oggi nel pieno di una nuova rivoluzione industriale grazie a internet e
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anche la formazione di un pensiero critico senza dimenticare mai che l’unica risorsa umana che ci consente di controllare e gestire le macchine è la creatività
abacO. Collaborative Design Studio Alessandro Carabini – Alice Braggion
ai suoi modelli collaborativi open-source e tecnologie diffuse, può realmente trovare maturità e concretezza l’idea di una progettazione “totale” come immaginavano i visionari degli anni ‘60. Totale in quanto sintesi del “dialogo naturale” con il computer, in cui l’architetto non è più impositore del proprio gusto e delle “proprie forme”, ma piuttosto una guida che si limita a controllare i processi generativi, in cui il risultato fi nale non è un prodotto della sua sola immaginazione, ma delle capacità generative dei programmi informatici. Totale nel momento in cui la creatività dell’architetto viene aumentata in sinergia all’intelligenza della macchina. Totale poiché il progetto si apre ad una molteplicità di menti e discipline molto più vasta. Per parafrasare Weinberger9, il processo creativo, secondo il modello di internet, sarà molto più creativo e intelligente della somma delle sue idee, testimoniando fi nalmente quell’attesa svolta “processuale” nella cultura architettonica.
abacO è uno studio di design e architettura fortemente orientato alla ricerca. Nato nel 2013 a Parigi dalla volontà di esplorare e connettere un flusso crescente di persone, idee, informazioni ed esperienze, abacO si distingue per un approccio transdisciplinare fortemente creativo e collaborativo. L’obiettivo non è “soltanto” di pensare oggetti e relazioni, immaginare scenari e articolare spazi. Complessità e molteplicità potenziale, celate dietro i frammenti contemporanei, chiedono di essere indagate. abacO vede nelle idee creative e innovative il più potente strumento a nostra disposizione per proiettarci in un futuro migliore. Come designers, il compito è di individuare percorsi per realizzarle. Attraverso la combinazione e l’incrocio di inputs e feedback provenienti da una pluralità di fonti d’ispirazione, mira ad in-formare il processo creativo grazie alle innovazioni emergenti – all’intersezione di spazi, persone e tecnologie. abacO lavora, collabora e condivide idee e spazi con diversi creativi provenienti da campi ed esperienze differenti. Nel 2013 è stato esposto al Fuorisalone in occasione della Milan Design Week con il progetto sugli spazi abbandonati Rovine dal Futuro e alla mostra “REplay” a Padova. abacO è curatore del libro “Be City Smart” e cofondatore/organizzatore dei workshop di computational design “Reaction” a Parigi. Attualmente, è impegnato nello sviluppo del polo e della community d’architettura e design di Volumes, un nuovo spazio di coworking parigino. abacO ha dei cantieri in Italia e Francia, e sta lavorando a progetti di ricerca che coinvolgono tecnologie di fabbricazione robotica e stampa 3d, e a modelli open source di progettazione aperta. Alessandro e Alice fanno parte dell’equipe di WeWoW, un collettivo che lavora su comunicazione visiva e strategie grafiche al servizio dell’architettura.
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NOTE 1 - Daniel Cardoso Llach, Algorithmic Tectonics – How cold war era research shaped our imagination of design, in Computation Works, AD, John Wiley & Sons Ltd, 2013, pag.18. 2 - Christopher Alexander, A city is not a tree, Ed. Architectural forum, 1965. 3 - Gordon Pask, The Architectural Relevance of Cybernetics, in AD, John Wiley & Sons Ltd, 1969. 4 - Nicholas Negroponte, Towards a humanism through machines, in AD, John Wiley & Sons Ltd, 1969. 5 - Nicholas Negroponte, Soft architecture machines, The MIT Press, 1976. 6 - Giuseppe Longhi, L’uomo e la macchina, in Marghera Multi.Faces, Tesi di Laurea IUAV, 2012. 7 - Karl Chu, Post on Facebook, 2014. 8 - Kostas Terzidis, Algorithmic architecture, Architectural Press (Oxford), 2006. 9 - David Weinberger, La stanza intelligente: La conoscenza come proprietà della rete, Codice Edizioni, 2012. IMMAGINI 01 - Sketchpad, Ivan Sutherland, 1963. 02 - SEEK Project, Architecture Machine Group, New York, 1970. 03 - Fun Palace, 1961. Cedric Price. 04 - Echord, ETH Zurich – Gramazio & Kohler, 2011-2012.
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Evoluzione architettonica dei grattacieli nell’era digitale Verso un nuovo saper fare l’architettura
Alberto Lago è ingegnere, architetto e ricercatore freelance. e-mail: saltlago@gmail.com
This is an historical moment for the human kind, because we are in the middle of the so-called digital revolution. Every instant of our lives is tracked by devices that connect us with the surrounding world with a continuous flux of data. Modern technologies bias our living habitat and as a consequence, also making architecture is becoming influenced by digital innovations. This has lead to the development and the construction of buildings that once were not even conceivable. Regardless the technological improvements, the bases of good construction are the capacity of experimenting. Architectural innovation means always-experimental research, which usually leads to the discovery of new morphological and spatial solutions. Particularly interesting, in the last years, is the pursuit of building in height that has lead to the “competition” of building the tallest construction in the world. All these aspects lead to the main aim of this article, which is to review the major digital tools available for doing architectural design (e.g. parametric and computational design, BIM, etc.). The article terminates with an open discussion about the most prominent technological solutions that could change the architectural design and fabrication in the coming years (e.g. 3d printing, robotic fabrication, agent-based design, etc.).
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di Alberto Lago
iamo nel pieno della cosiddetta era digitale, dove ogni momento della nostra giornata è scandito da sistemi e mezzi che controllano ogni nostro movimento. Non c’è istante in cui non siamo sempre connessi con il mondo circostante, tramite un flusso continuo di dati. Le moderne tecnologie influenzano il nostro vivere e da questo non ne è esente il fare architettura. Nella maggior parte dei casi, questo ha portato alla costruzione di edifici che un tempo non erano concepibili o realizzabili. Indipendentemente dall’avanzamento tecnologico, le fondamenta del saper costruire significa saper sperimentare (come accadeva al tempo dei maestri del rinascimento). Alla base di ogni innovazione c’è una ricerca accurata e mirata alla scoperta di nuove soluzioni morfologiche e spaziali. In questi ultimi anni di particolare interesse è la ricerca del costruire in verticale, in una sorta di corsa verso l’edificio più alto. Tale modo di costruire ha però radici nel passato, per esempio nella Bibbia si fa riferimento alla “Torre di Babele”, dove gli uomini cercano di raggiungere il “cielo”. Nel corso dei secoli questa tendenza non ha avuto particolari riscontri, eccetto per le costruzioni medievali toscane, le cosiddette “casa-torre”. All’epoca, le città erano molto piccole e le prime cinte murarie racchiudevano soltanto quello che oggi è il centro storico. La città inizia così a riempirsi di torri a causa della crescita demografica. Queste costruzioni assunsero presto significati più ideologici e meno funzionali perché ogni torre doveva superare in altezza quella dei rivali. Il tutto assume una forte connotazione moderna solo nel XX secolo, quando il termine grattacielo (sinonimo di edificio alto) entra a far parte della pratica architettonica. La parola grattacielo nasce nel XVIII secolo per indicare gli altissimi alberi maestri che reggevano le vele nelle navi inglesi. In epoca moderna, il costruire in alto si basa sull’idea del concentrare in un “piccolo” nucleo le attività di una città. Tuttavia, tali necessità sono andate diminuendo grazie all’av-
vento delle telecomunicazioni e hanno per questo lasciato spazio a nuove ideologie come la celebrazione dello sviluppo tecnologico e la ricchezza. Seguendo queste nuove fi losofie, i grattacieli cominciano ad assumere connotati molto più iconici, che non puntano solo al costruire in verticale ma anche al creare nuove tipologie morfologiche. La nuova ricerca semantica del grattacielo è direttamente collegata all’evoluzione tecnologica del XI secolo: la cosiddetta rivoluzione digitale. Grazie a questa trasformazione, negli ultimi anni nuovi sistemi sono utilizzati nella progettazione dei grattacieli. Tra i più interessanti, ci sono la progettazione parametrica computazionale e il BIM. In aggiunta, nell’immediato futuro, nuove tecnologie di fabbricazione entreranno a fare parte del panorama architettonico e ingegneristico (per esempio: stampa 3D, fabbricazione robotica, ecc.).
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alla base di ogni innovazione c’è una ricerca accurata e mirata alla scoperta di nuove soluzioni morfologiche e spaziali
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La progettazione parametrica è un processo algoritmico che consente l’espressione di parametri e regole che defi niscono, codificano e amalgamano il rapporto tra l’intento e la risposta progettuale. Il tutto diviene un paradigma del disegno, in cui il rapporto tra gli elementi è per manipolare e comunicare la progettazione di geometrie e strutture complesse. Il tutto non è un concetto nuovo, ed è sempre stato parte dell’architettura e del design. L’emergente fi losofia di pensiero consiste nella progettazione computazionale (Menges e Ahlquist, 2011), che porta a un notevole impatto sulla percezione e realizzazione di forme, spazi e strutture architettoniche. Cambia il modo in cui la forma è percepita, progettata e prodotta. L’emergere di questa prospettiva è nata dalla confluenza di diversi modi di pensare, in allineamento con i vari progressi scientifici, tecnologici e culturali. In particolare, la progettazione computazionale rappresenta un accumulo di concetti che vanno dalla teoria alla cibernetica dei sistemi e dalla morfogenesi allo sviluppo biologico. Le fondamenta di tale processo sono la conoscenza di come i sistemi, la forma e l’ordine matematico si evolvono e operano. Tali dettami introducono nel campo architettonico il concetto di generazione morfogenetica ed evoluzione, che hanno le loro radici nella teoria biologica. Ci si basa su una serie di istruzioni, che riguardano il processo di formazione dove il fattore dominante è l’interazione tra le forze interne ed esterne (Kwinter, 2008). La morfogenesi, inoltre, esprime la forte relazione tra formazione e materializzazione dove, in mancanza di un fattore di guida predeterminato, per l’organizzazione della materia sono i fattori ambientali che governano la generazione della forma. Il
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tutto porta a una distinzione tra prodotto e processo, perché non si è a conoscenza di una formazione specifica. La computazione può solo catturare i mezzi e i vincoli, che influenzano le proprietà specifiche del materiale. La somma di tutti questi concetti porta a un approccio generativo per la realizzazione di complesse distribuzioni di materiale, portando alla creazione di formazioni emergenti. Emergente è anche un fattore per il comportamento e la funzione della materia. Questo apre nuove prospettive per il progettista, poiché aumentano le possibilità formali, e il tutto viene anche più proficuamente applicato nella realizzazione di molteplici capacità comportamentali, non immaginabili durante la genesi del processo. L’aspetto più interessante di sistemi che presentano un comportamento emergente è che tali sono derivati da semplici condizioni, spesso chiamato “agenti” (Holland, 2000). Un agente contiene delle proprietà semplici e l’ambiente defi nisce un insieme di regole in cui gli agenti interagiscono. Il tutto defi nisce la cosiddetta progettazione basata su agenti (Agent-Based Design), che consiste in un gran numero di agenti che seguono semplici regole locali e interagiscono all’interno di un ambiente predefi nito (Gilbert, 2008). La base del processo è defi nire gli agenti e le reciproche relazioni (Bonabeau, 2002). In questo modo, ciascuna entità percepisce l’ambiente circostante e impara dallo stesso tramite una serie di azioni. Un sistema di agenti perciò ha la capacità di imparare e di aggiustare il suo comportamento nel tempo. Tuttavia, l’applicazione di tali concetti nella pratica architettonica, comincia a svilupparsi solo negli ultimi anni (Ehsan e Menges, 2013). Il tutto porta alla creazione di nuove rappresentazioni morfologiche, che
un agente contiene delle proprietà semplici e l’ambiente definisce un insieme di regole in cui gli agenti interagiscono
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il termine BIM (Building information Modeling) è utilizzato per indicare la rappresentazione digitale delle caratteristiche fisiche e funzionali di un impianto
seguono determinati principi fenomenologici (Brugnaro e Lago, 2015). In parallelo alla rivoluzione morfologica computazionale, nel mondo architettonico si sta facendo strada un nuovo modo di organizzare e gestire l’architettura grazie alla tecnologia BIM. Il termine BIM (Building information Modeling) è utilizzato per indicare la rappresentazione digitale delle caratteristiche fisiche e funzionali di un impianto. La progettazione tradizionale evolve dal disegno tecnico bidimensionale (piante, prospetti, sezioni, ecc.), allo spazio multidimensionale, in cui si estende la concezione puramente tridimensionale (larghezza, altezza e profondità) con altre variabili, come il tempo (quarta) e il costo (quinto). Il BIM quindi non copre solo la progettazione geometrica in senso lato, ma anche le altre componentistiche che fanno o faranno parte di un edificio (impiantistica, ciclo di vita di un edificio, ecc.). Nel BIM gli oggetti sono defi niti in modo parametrico; cioè gli oggetti sono defi niti come parametri e sono collegati ad altri oggetti. In tal modo, se un oggetto correlato è modificato quelli dipendenti sono automaticamente aggiornati. Per i professionisti coinvolti in un progetto, il BIM produce un modello virtuale di informazioni dove ogni professionista aggiunge dati specifici al progetto riducendo così le perdite di informazioni, che tradizionalmente si verificavano, e fornisce informazioni più esaurienti ai proprietari di strutture complesse. Per tutti questi motivi il BIM sta diventando lo standard per la progettazione, la costruzione e la manutenzione di un edificio, con una riduzione dei costi e un vantaggio di gestione notevole (Yori, 2011). In relazione a questo sviluppo, negli ultimi anni si è visto il proliferare di software dedicati (Autodesk Revit, Tekla Structures, Bentley, ecc.) che permettono una integrazione totale della tecnologia BIM sia in edifici di nuova progettazione che esistenti. Alla luce di questa nuova spinta tecnologica, sorge spontanea la ne06
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cessità di nuovi metodi di produzione e materializzazione dell’architettura. La necessità di eliminare l’artificialità dell’architettura digitale, a favore di un maggior significato e identità materialistica, rende la prototipazione robotica, il maggior candidato. Negli ultimi anni l’utilizzo di bracci meccanici industriali è diventato sempre maggiore, data la loro versatilità poiché mezzi generici e non legati a particolari applicazioni. Queste qualità scatenano una serie inimmaginabile di libertà nella relazione macchina/oggetto, che contraddistingue l’applicabilità di queste macchine, rispetto ad altri sistemi di fabbricazione digitale (CNC, 3D Printing, ecc.). Lo sviluppo di questo sistema tecnologico porterà a superare la limitazione del ripetersi degli elementi costruttivi, in favore di un gruppo differenziato di elementi progettati su misura e non legato a schemi predefi niti. La fabbricazione robotica del domani non sarà più legata a limiti o ideologie, ma permetterà la libertà di sperimentare con ogni elemento architettonico. Questo momento è perciò maturo per rivoluzionare la produzione architettonica. I robot connettono la tecnologia e il saper fare, come pure immaginazione e materializzazione, come non è mai stato in passato, e hanno il potenziale di modificare radicalmente le capacità del fare architettura. Il tutto elimina il carattere artificiale e l’astrazione del digitale in architettura e infonde un significato più materiale, con un forte connotato di identità. Possiamo così considerarci alle porte di una “seconda rivoluzione digitale” (Gramazio e Kohler, 2014).
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IMMAGINI 01 - Visione della Torre di Babele. Immagine di “Turris Babel”, 1679. 02 - Vista “casa-torre” San Gimignano. Immagine tratta da www.casagirasoli. com 03 - San Francisco Transbay Transit Center. Immagine tratta da www.som.com 04 - Diagramma algoritmico del comportamento a stormo. Immagine di Brugnaro e Lago, 2015. 05 - Progettazione e fabbricazione robotica di edifici alti. Immagine di Gramazio e Kohler, 2014. 06 - Algoritmo di comportamento a stormo “Swarm Behaviour”. Immagine di Brugnaro e Lago, 2015. 07 - Modello fisico rappresentativo del comportamento a stormo: erosione di una forma geometrica predefinita. Immagine di Brugnaro e Lago, 2015. 08 - Digramma concettuale della tecnologia BIM. Immagine di Lago, 2015. 09 - Esempio di progetto con tecnologia BIM: 350 Mission SOM.Immagine tratta da www.som.com BIBLIOGRAFIA - Baharlou, E., e Menges, A., 2013. Generative Agend-Based Design Computation: Integrating Material Formation and Construction Constraings. 31st eCAADe Conference: Computation and Performance, At The Netherlands: Delft University of Technology, Volume 2. - Brugnaro, G., e Lago, A., 2015. Computational Design and Design Thinking Class. Institute of Computational Design, University of Stuttgart, Prof. A. Menges, Tutors. Baharlou E. e Marshall P. - Bonabeau, E., 2002. Agent-based Modeling: Methods and Techniques for Simulating Human Systems. Proceedings of the National Academy of Sciences, vol. 99. - Gilbert, G.N., 2008. Agent-based Models. SAGE Publications. - Gramazio F., e Kohler, M.m 2014. Made by Robots: Challenging Architecture at a Larger Scale. Architectural Design, no. 229, Wiley. - Holland J., 2000. Emergence: from Chaos to Order. Oxford University Press. - Kwinter S. ,2008. Far from Equilibrium. Essays on Technology and Design Culture, Actar. - Menges A. and Ahlquist S., 2011. Computational Design Thinking. Architectural Design Reader, Wiley. - Yori, R., 2011. The Cost of not doing BIM: Education and Professional Development. Journal of Building Information Modeling, The National Institute of Building Sciences building Smart Alliance, Matrix Group Publishing Inc.
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Padiglione Copagri Expo Milano 2015 Progettazione computazionale e fabbricazione a controllo numerico
Pierpaolo Ruttico è architetto-ingegnere e professore a contratto presso il Politecnico di Milano. É fondatore di INDEXLAB – Creativity & Technology. e-mail: info@indexlab.it Carlo Beltracchi è architetto-ingegnere, appassionato di computational design e fabbricazione robotica. e-mail: info@indexlab.it
The Copagri pavilion - designed by EMBT architects for Expo Milano 2015 - is configured as two intersecting domes, composed of a plurality of timber struts woven into a complex pattern. The structure is based on a triangular-grid space frame and consists of planar wood elements that converge at nodes at different angles. INDEXLAB conceived an algorithmic model of the pattern, solving geometrical problems through parametric design and iterative processes - and provided the timber construction company with the necessary files to efficiently detail and produce 338 individual gluelam timber elements. The project demonstrates the potential of combining digital fabrication technolog y with wood as sustainable building material. At INDEXLAB, work on development of a system that combines computational design techniques with customized robotic operations for the wood industry is being experimented upon for potential future application.
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di Pierpaolo Ruttico e Carlo Beltracchi
a progettazione computazionale unitamente alle tecnologie di produzione a controllo numerico stanno radicalmente ridefi nendo il modo di progettare e costruire ad ogni scala di intervento, dal masterplan, all’edificio, all’oggetto. Attraverso la produzione digitale è possibile approdare ad una nuova visione del cantiere non più come luogo di improvvisazione continua, quanto a luogo di assemblaggio di parti fi nite prodotte industrialmente. Il cantiere di Expo Milano 2015 può essere considerato un esempio di applicazione delle più avanzate tecniche di progettazione e produzione digitale. Nell’ambito della direzione lavori di Padiglione Italia, il Politecnico di Milano ha avuto un ruolo di supporto tecnico-scientifico alla realizzazione delle opere. Verrà di seguito descritto il processo di modellazione tridimensionale eseguito da INDEXLAB e fi nalizzato alla produzione del progetto del padigione Copagri fi rmato dallo studio di architettura EMBT, posizionato nel corner sud-est della Lake Arena e composto da due cupole intersecanti del diametro di venti metri.
Descrizione del progetto e individuazione dei problemi Le cupole sono caratterizzate da una struttura complessa a pattern triangolare: si tratta di travi in legno lamellare di abete che convergono ai nodi con diverse inclinazioni. I nodi sono composti da elementi metallici imbullonati tra loro e posizionati sulla testa delle travi. Affrontare la complessità di un progetto di questo tipo richiede un’analisi del problema a più livelli, sia globale che puntuale. Definiremo con top-down le strategie operative che partono da una consapevolezza globale e per gradi di approfondimento arrivano alla comprensione particolare del problema. Defi niremo con bottom-up i metodi che attraverso la sistematica aggregazione di elementi semplici riescono a spiegare situazioni globali complesse. La modellazione tridimensionale di qualsiasi tipo di oggetto ne-
cessita di un preciso ordine di operazioni che, se opportunamente individuate, possono ridurre i tempi di lavoro e migliorare la qualità del risultato fi nale. Al crescere della complessità geometrica cresce l’abilità richiesta nel costruire lo schema logico delle operazioni, che non è più lineare come nei casi semplici, ma assume una struttura ed un’importanza tali da doverlo approntare con strumenti efficaci ed estremamente flessibili. Attualmente la programmazione algoritmica - associata a software di modellazione tridimensionale - è lo strumento più adatto ad esplicitare tramite l’utilizzo di un codice le operazioni geometriche, attualizzandole in tempo reale. Questo consente di apportare in qualsiasi momento diversi tipi di modifiche: non solo nei valori numerici legati a grandezze estensive quali ad esempio le dimensioni di un elemento strutturale o architettonico, ma anche nell’ordine con cui le logiche di modellazione devono essere elaborate dal software. A tutti questi elementi, nel caso delle cupole Copagri Expo, si aggiunge l’impossibilità di stabilire a priori se il problema della corretta modellazione dell’intreccio sia geometricamente risolvibile, suggerendo di affiancare ad una strategia operativa di tipo top-down, in linea con la necessità di rispettare i vincoli di perfetta aderenza alla silhouette individuata dallo studio di architettura EMBT, anche una strategia bottom-up, che parta dalla genetica del singolo elemento per determinarne la corretta morfogenesi all’interno dell’inte-
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la modellazione tridimensionale necessita di un preciso ordine di operazioni che possono ridurre i tempi di lavoro e migliorare la qualità del risultato finale
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ro sistema. Ciò significa considerare che la tecnologia e la natura strutturale del legno lamellare non ammettono geometrie ritorte: gli elementi devono pertanto nascere da sezioni rettangolari estruse linearmente e di seguito sezionate con tagli obliqui in prossimità delle facce di testa, tipicamente quelle con area minore. Lavorazioni di questo tipo risultano compatibili con il macchinario a disposizione, un centro di lavoro a 5 assi. Strategie top – down: modellazione delle masse e generazione della diagrid La modellazione inizia da una curva base, ottenuta per interpolazione dei punti associati ai nodi di un meridiano della griglia triangolare, composta da elementi meridiani e obliqui. Dalla curva base si generano due superfici di rivoluzione rispetto ai due assi centrali delle cupole. Tali superfici si intersecano in un arco, in corrispondenza del quale vengono individuati i punti di contatto tra le due cupole, ciascuno dei quali dovrà appartenere
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contemporaneamente alle griglie dell’uno e dell’altro corpo. Trattando disgiuntamente le due superfici di rivoluzione si possono individuare due matrici di punti indipendenti. Per generare correttamente la connessione richiesta tra i due corpi, i punti di intersezione sono reciprocamente sostituiti a quelli delle griglie di base, secondo una logica di attrazione basata sulle distanze relative tra il punto di intersezione e quello più vicino appartenente alla griglia d’origine. La procedura eseguita non deve alterare l’ordine delle matrici iniziali. Si ottengono due griglie indipendenti ma complementari di punti e poi di linee, sulle quali è possibile sviluppare gli elementi, dapprima sotto forma di superfici bidimensionali, poi di volumi chiusi tridimensionali. Strategie bottom – up: modellazione degli elementi come superfici L’intreccio degli elementi è composto da tronchi cavi di piramide
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il passaggio da superfici ad elementi solidi avviene sfruttando le caratteristiche intrinseche della geometria, che essendo centrica può essere scalata rispetto ad un punto individuato lungo ciascun asse di rivoluzione
a base triangolare, alternativamente orientati concentricamente ed eccentricamente. Le superfici generate sono esagonali, con due spigoli liberi e due coppie di spigoli che insistono ai nodi. Dal punto di vista geometrico, si opera in modo che ciascun elemento possa essere generato mantenendo intatto il parallelismo tra gli spigoli liberi. Nel caso degli elementi obliqui tale regola è garantita dalla genetica delle operazioni, che prevede l’estrusione delle linee della griglia secondo direttrici perpedicolari ad esse a formare delle superfici rettangolari poi tagliate in corrispondenza dell’intersezione con gli elementi adiacenti. Lo stesso non può dirsi per i meridiani, la cui genesi dipende proprio dalla perfetta combinazione degli angoli di inclinazione tra elementi obliqui e piani passanti per ogni meridiano, per consentirne la corretta intersezione. La presenza di tale intersezione è la condizione necessaria per generare la superficie esagonale, minimizzando al contempo lo scostamento tra le lunghezze degli spigoli adiacenti di elementi che insistono sullo stesso nodo. Perché ciò avvenga è necessario adottare un’algoritmo evolutivo che, lavorando a coppie sugli angoli di inclinazione delle superfici estruse che compongono gli elementi obliqui e sulla deviazione dei loro alterni, individua la combinazione adatta alla generazione delle superfici nella maniera più aderente alle regole inserite. Generazione degli elementi solidi e della corona Il passaggio da superfici ad elementi solidi avviene sfruttando le
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caratteristiche intrinseche della geometria, che essendo centrica può essere scalata rispetto ad un punto individuato lungo ciascun asse di rivoluzione. Fatto questo è possibile eseguire un loft tra superfici esterne, non scalate, e interne, determinando uno spessore che può variare a seconda del fattore di scala e della posizione del punto sull’asse di rivoluzione, rispondendo a particolari esigenze di carattere strutturale. Il range di spessori individuato varia tra i 100 e i 181 millimetri. L’ultima operazione di modellazione è quella di generazione degli elementi di coronamento delle cupole, che si ottengono specchiando l’ultimo ordine lungo Z di elementi meridiani e gli ultimi due ordini lungo Z di elementi obliqui. Messa in piano e ordinamento degli elementi Per agevolare le operazioni di fabbricazione, i pezzi vengono messi in piano, orientandoli ciascuno secondo la faccia di area maggiore, e ordinati secondo la regola matriciale dedotta dalla griglia iniziale. Ogni pezzo è individuabile secondo un codice univoco che comprende le diciture: - P / G a seconda che il pezzo si trovi nella cupola grande o piccola; - M / O a seconda che il pezzo faccia parte dei meridiani o degli obliqui; - {i;j} per identificare riga e colonna di posizionamento del pezzo; È stata infi ne individuata una regola di raggruppamento dei pezzi secondo famiglie di elementi identici valutandone il volume.
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Mock-up di verifica e produzione in officina Il processo produttivo degli elementi che compongono la struttura è lineare. Ogni elemento ha informazioni geometriche assegnate in logica di produzione; i fi le vengono tradotti in linguaggio macchina e prodotti individualmente in modo automatizzato. Prima di procedere alla produzione di tutti gli elementi, sono stati effettuati due mock-up; il primo in scala 1:3 con tecnologia di fabbricazione robotica per verificare la condizione più sfavorevole di inclinazione degli elementi, al fi ne di valutare la qualità estetica e funzionale del nodo; il secondo in scala 1:1 per individuare la procedura di assemblaggio più efficiente. La fabbricazione digitale nel complesso si è rivelata utile ed economica, sviluppando una sinergia con la tecnologia del legno lamellare che è scaturita in un processo complessivamente sostenibile, dove i tempi di costruzione e le criticità nelle operazioni di montaggio sono stati notevolmente ridotti. Lo stesso presumibilmente avverrà per lo smontaggio della struttura alla fi ne dell’evento, prima che se ne decida la futura collocazione. Questa strada oggi pionieristica merita di essere intrapresa nuovamente, introducendo migliorie che aiutino a snellire ulteriormente il processo, ad esempio integrando un braccio manipolatore nella linea di produzione, per facilitare le operazioni di taglio, fresa e messa in posizione dei pezzi sia in officina che in cantiere.
i file vengono tradotti in linguaggio macchina e prodotti individualmente in modo automatizzato
PADIGLIONE COPAGRI EXPO MILANO 2015 Architetti Miralles Tagliabue EMBT Direttore di progetto Makoto Fukuda Coordinatore di progetto Valentina Nicol Noris
Team di progetto Dirce Medina, Claudia Baralla, Claudia Manenti, Silvia Pirrera, Gabriele Rotelli, Andres Echevarria, Thomas Hostache, Carlo Cervellieri, Luca Amighetti, Ana De la Cuesta, Ana Zueras, Daniel Combariza Supporto tecnico e scientifico Matteo Ruta, Emilio Pizzi – Politecnico di Milano, ABC Department Collaboratori Alessio Costantino Mirabella, Elena Seghezzi, Ivana Congiu Progetto strutturale Francesco Iorio – SIO Studio Iorio Progetto antincendio Giuseppe Amaro – GAE Engineering Progetto computazionale e consulenza alla prefabbricazione Pierpaolo Ruttico, Carlo Beltracchi, INDEXLAB, Politecnico di Milano Impresa Foresti Distribuzione Laterizi Area 560 mq Costo € 600.000
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IMMAGINI 01 - Fasi di cantiere che mostrano il montaggio degli elementi in sommità. L’operatore sul cestello riceve il pezzo e lo manovra accompagnandolo nella sua posizione. 02 - Vista dall’alto del cantiere. Il posizionamento degli elementi è eseguito da due autogru telescopiche che lavorano contemporaneamente su ciascuna delle due cupole. Un operatore su cestello esegue la chiusura meccanica dei giunti metallici. 03,04 - La progettazione computazionale consente un controllo dimensionale simultaneo su ogni componente del manufatto. La sussistenza delle regole necessarie allo sviluppo dell’intreccio è verificata da un algoritmo genetico di tipo evolutivo che minimizza le distanze tra i vertici degli spigoli che tendono a comporre un’apertura triangolare. 05 - La struttura regolare delle due griglie centriche di base è alterata dalle logiche di attrazione tra le masse, che collegandosi determinano un’alterazione degli elementi prossimi all’intersezione. 10 - Panoramica dall’interno del padiglione. La particolarità dell’intreccio determina un effetto di smaterializzazione degli elementi disposti in parallelo al punto di vista dell’osservatore. 06, 09 - La trave in legno lamellare di abete viene lavorata da un centro di lavoro a 5 assi. Sono visibili le lavorazioni di taglio inclinato con sega circolare, fresatura e infissione con mortasa. Le informazioni alla macchina sono estratte dal modello digitale. 11, 12 - La fabbricazione robotica rappresenta il primo ponte tra il digitale e il reale. La verifica materica del modello 3D avviene attraverso il taglio con filo a caldo di elementi in polistirene che convergono in un nodo tipo, di seguito assemblato in officina INDEXLAB. INDEXLAB-Creativity&Technology, Politecnico di Milano Gruppo di ricerca multidisciplinare che dal 2010 affronta i temi emergenti dell’architettura contemporanea, sperimentando nuovi metodi di progettazione e sviluppando innovativi processi di fabbricazione digitale e robotica. www.indexlab.it
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Stampare l’architettura 3D printing e robotica: ricerche e progetti verso l’architettura automatica del futuro
Alberto Bin è laureato in Architettura presso l’Universita Iuav di Venezia. e-mail: albertobin90@gmail.com www.behance.net/Alberto_Bin Luisa Vittadello è laureata in Architettura presso l’Universita Iuav di Venezia. e-mail: vittadello.luisa@gmail.com www.arc-hi-tech.com
As part of the technolog y applied to architecture the role of automation is becoming increasingly important. In this article we will discuss two dissertations that address this issue. The use of automation systems in architecture is analyzed both from the point of view of research and from the architectural design one, identifying also some future trends. It will also be described an example of a local company, the Venice FabLab, which deals with these technologies and, in particular, with the rapid prototyping systems that made possible the projects realization.
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di Alberto Bin e Luisa Vittadello
toria della prototipazione rapida Anche se la prototipazione rapida sembra una tecnologia di recente sviluppo, in realtà è già nota da oltre trent’anni e la sua diffusione è in costante crescita. A partire dalla metà degli anni ‘80 iniziano a circolare i primi macchinari per la stampa 3D; al tempo l’unica tecnica disponibile era la stereolitografia, un processo lento e costoso. Nel 1986 Charles Hull, ingegnere ed inventore statunitense, ottiene il primo brevetto sulla stampa 3D e lo stesso anno vengono brevettate e immesse sul mercato le stampanti laser. Durante l’anno successivo Hull fonda la 3D Systems lanciando sul mercato il primo dispositivo di prototipazione rapida, SLA-1, un sistema che utilizza un processo di stereolitografia che impiega un laser per solidificare sottili strati di polimero liquido. Negli anni ‘90 sono state brevettate una serie di modifiche a questa tecnologia, ma la stampa 3D come la conosciamo noi oggi nasce nel 2005 allo scadere del brevetto per la stampa a fi lo fuso (FDM). Adrian Bowyer lancia il progetto RepRap con l’obiettivo di creare una macchina in grado di stampare i pezzi per ricreare se stessa. Da questo momento lo sviluppo di altre stampanti diventa esponenziale. Nel 2007 Pettis, Smith e Mayer realizzano un kit base di RepRap ma con una serie di miglioramenti. Solo due anni più tardi si costituisce l’azienda Makerbot e nel 2012 essa inizia a lavorare ad una nuova versione della sua stampante 3D completamente assemblabile dall’utente. Nel febbraio del 2014 scade anche il brevetto per la stampa Selective Laser Sintering (SLS) e questo potrà portare, come nel 2005 per la FDM, ad uno sviluppo accelerato per le stampanti che utilizzano questo sistema. L’invenzione della prototipazione rapida ha creato un cambiamento di paradigma nel settore della produzione aprendo verso lo sviluppo di una nuova gamma di possibilità e tecnologie guidate dal disegno digitale; è possibile produrre oggetti di geometria complessa direttamente dal modello matematico dell’oggetto realizzato
con un qualsiasi programma di modellazione. Il processo di realizzazione di un oggetto 3D parte dall’analisi del modello salvato nel formato STL. I software (Slicing, CAM software) convertono i modelli 3D in comandi meccanici, i quali permettono alla stampante di procedere layer by layer alla realizzazione dell’oggetto. Tipologia di stampa La realizzazione dei singoli layer varia a seconda della stampante utilizzata. I processi di stampa più diffusi sono principalmente tre. Il FDM ( fused deposition modeling) lavora su un principio “additivo” rilasciando il materiale su strati. Un fi lamento plastico viene srotolato da una spirale che fornisce il materiale da un ugello di estrusione. L’ugello viene riscaldato per poter sciogliere il materiale e può essere spostato sia in direzione orizzontale che verticale. SLS (selective laser sintering) impiega polveri termoplastiche e fa uso di un laser per sinterizzarle. Inizialmente viene steso un sottile
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il computer è passato dall’essere un semplice strumento di disegno e di calcolo, all’essere una vera e propria estensione delle capacità dell’uomo
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strato di polvere da un apposito apparato e il laser provvede alla sinterizzazione ove necessario. La tavola si abbassa della quantità voluta, si stende un altro strato di polvere e il tutto si ripete. Il vantaggio sta nel fatto che non c’è bisogno di prevedere dei supporti dato che è la polvere non sinterizzata che provvede a sostenere i piani superiori. DLP (digital light processing) nel quale una vasca di polimero liquido è esposto alla luce di un proiettore DLP in condizioni di luce inattinica. Il polimero liquido esposto si indurisce. La piastra di costruzione poi si muove in basso e il polimero liquido è di nuovo esposto alla luce. Il processo si ripete fi nché il modello non è costruito. Il polimero liquido è poi drenato dalla vasca, lasciando il modello solido.
l’obiettivo quindi non è il nuovo in quanto tale ma piuttosto la ricerca di un miglioramento
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ADchitecture – tecnologie additive e robotiche applicate all’architettura L’architettura cambia, è innegabile, nonostante ciò mantiene sempre i suoi caratteri fondanti quali l’organizzazione degli spazi, la rispondenza a specifiche esigenze antropiche e alla necessità di dialogare figurativamente con il momento storico in cui si trova di volta in volta. A partire dai primi anni del ‘900 la crescita esponenziale delle possibilità tecniche e delle forme artistiche ha permesso sempre più libertà espressiva e solidità costruttiva. Ma questa estrema libertà è accompagnata da un senso crescente di impotenza e inadeguatezza rispetto alla complessità del mondo. Su questa contraddizione si innesta la tesi di laurea intitolata ADchitecture – tecnologie additive e robotiche applicate all’architettura, redatta nel tentativo, lontano dall’essere completo, di trovare in alcuni dei recenti sviluppi della tecnica il naturale proseguimento della ricerca architettonica, sempre e costantemente rivolta al futuro. Ciò non implica però il rifiuto del passato, o l’ingenua credenza
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che si debbano escludere a priori modi di pensare e di agire defi niti “tradizionali”; anche la più basilare consapevolezza storica suggerisce infatti che ogni progressione è frutto di quelle precedenti, alcune di mediocre entità, altre di importanza epocale, ma tutte orientate all’esplorazione di terreni ancora poco o per nulla battuti. Una di queste progressioni epocali è rappresentata dall’invenzione del computer, passato dall’essere un semplice strumento di disegno e di calcolo, all’essere una vera e propria estensione delle capacità dell’uomo. Tutti i suoi prodotti di conseguenza sono arrivati al punto di non poter più fare a meno di questo apporto esterno, cambiando anche il modo di pensare dei progettisti, a volte senza che essi se ne rendano conto, sviluppando schemi di pensiero derivati dal contatto con la tecnologia contemporanea. L’automazione industriale, la robotica e la stampa 3D sono l’oggetto della ricerca, intesi come aspetti tecnologici via via più specifici, che hanno portato alla defi nizione di un processo di ideazione e costruzione di elementi architettonici non convenzionali, difficilmente realizzabili con metodi artigianali. Come riferimento si sono scelte diverse tecnologie additive e robotiche sperimentate negli ultimi anni, ma anche tipologie costruttive tradizionali, non per questo prive di interesse. Mettendo insieme concetti apparentemente inconciliabili si arriva all’ideazione di un oggetto architettonico, un padiglione espositivo temporaneo di piccole dimensioni, un contenitore dove non esistono distinzioni formali tra pareti e copertura, un “dimostratore tecnologico”, atto ad illustrare un possibile metodo di fabbricazione digitale additivo robotizzato. Viene utilizzato come materiale di base una miscela fluido-densa a base cementizia, estrusa da un robot articolato mobile a cui si affida il controllo della complessità geometrica, garantendo così un’elevata precisione realizzativa e una variabilità potenzialmente infi nita degli elementi grazie alla sua intrinseca riprogrammabilità.
Si sperimenta in questo modo sia la produzione di componenti non standardizzati in stabilimento (o in prossimità del cantiere) sia la produzione in sito di strutture fisse. In questo particolare esempio applicativo è stata scelta una struttura con conformazione a guscio, per i vantaggi legati alla resistenza dati dalla forma e per la possibilità (derivata dal metodo) di materializzare superfici a doppia curvatura ogni volta diverse. Tutto questo è soltanto la punta dell’iceberg; nel mondo sono in corso molte ricerche orientate alla realizzazione di edifici, o parti di essi, con metodi automatizzati che riescano a garantire un’elevata variabilità e personalizzazione dei prodotti fi nali, senza comprometterne la convenienza economica. Nei prossimi cinque anni vedremo con i nostri occhi queste novità, che promettono grandi innovazioni nella sempre cangiante disciplina architettonica. Prospettive tecnologiche per l’architettura del futuro – la stampa 3D Dalla tesi Prospettive Tecnologiche per l’Architettura del Futuro - la stampa 3D emerge invece una panoramica sui possibili scenari dell’evoluzione tecnologica applicata all’architettura. Per ottenere una base d’informazioni sullo stato di fatto e sulle possibili variabili sono stati presi in considerazione dati riguardanti la popolazione e lo sviluppo delle tecnologie nel prossimo futuro. La popolazione mondiale tenderà ad aumentare di almeno 2 miliardi nei prossimi 30 anni1 ma questo accadrà in modo disomogeneo, in quanto questo forte incremento demografico avverrà soprattutto in Africa e in Asia. Nel 2005 Ray Kurzweil espande la legge di Moore a tutto il progresso tecnologico sostenendo che durante il corso dell’evoluzione emerge una tendenza esponenziale tra gli eventi chiave; questi avvenimenti si susseguono secondo la “Legge dei ritorni accelerati”2 . In ambito architettonico molte aziende hanno già iniziato a svi-
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luppare alcune tipologie di stampanti a grande scala ma quasi tutte depositano calcestruzzo utilizzando un sistema di stampa FDM. La stampante 3D architettonica D-Shape, ideata dall’Ing. Enrico Dini, utilizza invece una mescola di sabbia e sale ed usa come legante un bi-componente inorganico ecocompatibile che trasforma la sabbia, o un materiale granulare alternativo, in roccia. I vantaggi di questa tecnica sono molteplici. Per esempio l’utilizzo di sabbie locali come materiali di base permette un’economia delle costruzioni a chilometro zero. Il progetto nasce quindi dalla convergenza dei fattori precedentemente citati come la problematica delle slums, la prototipazione rapida e il rapido aumento di popolazione. Utilizzando la tecnologia D-Shape, è possibile realizzare delle strutture stampate utilizzando la terra del luogo. In questo modo una città come Nairobi, composta da una delle più grandi slum dell’Africa, potrebbe, attraverso una sola stampante, realizzare delle nuove case all’interno degli stessi slum utilizzando la terra che la circonda. La tesi pone come orizzonte il 2045; le sue basi si fondano su un’ipotesi del 1959 elaborata dal fisico Richard Feynman durante una lezione al Caltech. Feynman ipotizza che un giorno sarà possibile manipolare la materia su scala atomica, non essendoci leggi fisiche che limitano in linea di principio questa possibilità. Infatti ogni organismo vivente, dai batteri alle piante, dagli insetti, fi no all’uomo stesso, sono, di fatto, incredibili macchine molecolari, e quindi sono dimostrazioni evidenti che la manipolazione della
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materia a livello atomico e molecolare è possibile in natura; quindi l’architetto si troverà a defi nire i “geni” del progetto, che poi crescerà autonomamente attraverso le nanotecnologie. L’architettura si rapporta alle nuove conoscenze nella misura in cui queste possono portare ad un effettivo miglioramento delle condizioni di vita per l’uomo. Le nuove tecnologie infatti vanno considerate come nuovi strumenti progettuali da rapportare costantemente con le esigenze dell’uomo e dell’ambiente, in modo da venire incontro a tali bisogni nel modo più efficace possibile. L’obiettivo quindi non è il nuovo in quanto tale ma piuttosto la ricerca di un miglioramento.In conclusione, valutando i trend tecnologici presenti e futuri possiamo osservare come la stampa 3D spezzerà il legame che l’architettura ha con l’edilizia e segnerà l’inizio di un totale cambiamento di paradigma progettuale. Il FabLab - fabrication laboratory - di Venezia Un FabLab è un laboratorio di fabbricazione digitale, uno spazio condiviso che fa parte di una rete globale di centri locali. Questo tipo di attività ha avuto inizio nel 2011 al MIT - Massachusetts Institute of Technology, dove il prof. Neil Gershenfeld fondò il Center for Bits and Atoms, il primo di questi laboratori, destinato a trasformare idee astratte in oggetti fisici servendosi di macchinari ad alto contenuto tecnologico, in grado di dialogare efficacemente con i moderni metodi di progettazione digitalizzata. Nei successivi quattro anni quest’idea è stata replicata in tutto il
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mondo, grazie soprattutto alla forte collaborazione e assistenza reciproca che ogni laboratorio fornisce agli altri, sia dal punto di vista tecnico-operativo che formativo. Per defi nirsi tale un FabLab deve sottoscrivere ed accettare alcuni principi che sono stati defi niti collegialmente nel corso degli anni e che sono contenuti nella FabCharter: l’accesso agli spazi deve essere pubblico, almeno per un certo numero di ore settimanali e deve inoltre possedere hardware e software di tipologie ben defi nite, in modo da permettere a chiunque abbia la volontà di realizzare una propria idea di poterlo fare in autonomia, con il supporto di persone con la dovuta esperienza e le necessarie conoscenze. Su questa scia si inserisce anche la città di Venezia, con un’esperienza iniziata nel 2012 e concretizzatasi nel 2013 con la costituzione di FabLab Venezia Srls da parte di Elia De Tomasi, Leonidas Paterakis e Andrea Boscolo. Attualmente è una start-up innovativa all’interno del Parco Scientifico e Tecnologico Vega di Venezia. Le attività portate avanti nella sede del capoluogo veneto sono molteplici e in continua evoluzione; innanzitutto il laboratorio aperto, che permette la libera fruizione della struttura e l’utilizzo delle macchine tutti i martedì e i venerdì dalle 10:00 alle 17:00. All’apertura al pubblico si accompagna il service, che permette anche a chi non ha esperienza nel settore di far realizzare i propri progetti dal team del FabLab, pagando il tempo di occupazione dei macchinari, la quantità di materiale utilizzato o i servizi di modellazione grafica tridimensionale, prototipazione, sviluppo software e
un FabLab è un laboratorio di fabbricazione digitale, uno spazio condiviso che fa parte di una rete globale di centri locali
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web design offerti dalla struttura. Grazie a questi servizi è stato realizzato il modello fisico fi nale di una delle tesi di laurea sopra descritte. Usando un polimero plastico estruso da una stampante ad altra precisione si sono materializzate superfici curve che sarebbero state quasi impossibili da realizzare con altri metodi. L’azione che più di tutte impegna il FabLab è però la didattica. Vengono infatti organizzati periodicamente corsi orientati all’apprendimento pratico che forniscono una conoscenza sia di base che avanzata dei software e workshop che hanno di volta in volta per oggetto temi e tecnologie differenti, in cui si progettano e si realizzano i lavori degli allievi. Degna di nota è l’iniziativa FabLab for Kids, un laboratorio che avvicina i bambini della scuola primaria e secondaria all’elettronica, alla programmazione e al disegno attraverso strumenti di ultima generazione, come ad esempio le stampanti 3D. I temi della condivisione dei saperi (Open Source), della fabbricazione digitale (digital fabrication), del far da sè (DIY, Do It Youself ), ma anche del riuso, dell’autoproduzione e della personalizzazione, vengono affrontati con attività a misura di bambino. Per conoscere le attività in programma è possibile consultare il calendario sul sito www.fablabvenezia.org o recarsi direttamente al Vega nella sede del laboratorio, per vedere con i propri occhi un diverso modo di intendere la tecnologia odierna e le possibilità da essa offerte, messe a disposizione di tutti da questi sempre più numerosi luoghi di condivisione del sapere.
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www.fablabvenezia.org www.fabfoundation.org
NOTE 1 - United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division. 2 - La Legge dei ritorni accelerati, elaborata da Ray Kurzweil segue un fenomeno esponenziale doppio, per cui a questo ritmo il progresso tecnologico nel 2045, si troverà ad un punto in cui l’evoluzione tecnologica porterà a dei cambiamenti talmente radicali da non riuscire più a prevedere cosa potrà accadere oltre la metà del secolo, questo momento è detto Singolarità Tecnologica. IMMAGINI 01- Vista interna del padiglione in cui è possibile notare la suddivisione degli elementi che formano la volta. Le sezioni di appoggio sono stampate direttamente in sito ed integrate con le fondazioni e gli arredi interni, quelle superiori invece sono stampate in prossimità del cantiere, una vota ultimate vengono posizionate nella loro sede definitiva dove vengono poi agganciate le une alle altre. Immagine di Alberto Bin. 02 - Prospetti del padiglione espositivo temporaneo, caratterizzato dalla volta a doppia curvatura che ne definisce il volume interno così come la superficie esterna. Immagine di Alberto Bin. 03- L’evoluzione della città Nanoarchitettonica. Immagine di Luisa Vittadello. 04 - Esterno di un’abitazione stampata con il metodo additivo denominato D-shape. Immagine di Luisa Vittadello. 05 - Interno di un’abitazione stampata con il metodo additivo denominato D-shape. Immagine di Luisa Vittadello. 06 - L’iniziativa Fablab for kids ha come obbiettivo quello di introdurre i bambini nel mondo della produzione digitale con attività didattiche e di svago. Immagine di FabLab Venezia. 07 - Dall’alto: robot articolato mobile destinato all’estrusione di miscele fluido dense; sezione di un’abitazione stampata con il metodo additivo D-shape. Immagine di Alberto Bin, Luisa Vittadello. BIBLIOGRAFIA - Giuseppe Morabito, Scienza e arte per progettare l’innovazione in Architettura Saggio su un processo progettuale alla “Leonardo da Vinci”, Utet Libreria, 2004. - Michio Kaku, Fisica del futuro, Come la scienza cambierà il destino dell’umanità e la nostra vita quotidiana entro il 2100, Codice, 2012. - Ray Kurzweil, la Singolarità è vicina, Apogeo, 2008. - Abbondanza, Il futuro è migliore di quanto pensiate, Peter H. Diamandis Steven Kotler, Codice Edizioni, 2012. - K. E. Drexler, Engines Of Creation: The Coming Era of Nanotechnology, Anchor Books, 1986. - J. M. Johansen, A life in the continuum of modern architecture, L’arca, 1995. - J. M. Johansen, Nanoarchitecture: A new species of architecture, Princeton Architectural Press, New York, 2002. - Paolo Soleri, Arcology : the city in the image of man, Cambridge, The MIT press, 1983. - Fabio Gramazio, Matthias Kohler, Jan Willmann, “Made by robots, Challenging architecture at alarge scale”, in AD architectural design, aprile 2014. - Carlorattiassociati, Clelia Caldesi, Filippo Moroni, “Artigianato 2.0”, GaragErasmus, 2012.
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PORTFOLIO
Looking for Venice
Massimo Branca Massimo Branca, fotografo documentarista italiano, laureato in Antropologia. Lavora con il Collettivo Fotosocial e collabora con IRFOSS. www.massimobranca.com Francesca Guidolin è architetto, dottoranda in tecnologia dell’architettura presso l’Università Iuav di Venezia. e-mail: arch.francesca.guidolin@gmail.com
I like to think about cities as a mix of a double soul: on one hand the material essence of its buildings, on the other hand the spiritual soul of the signs that are fixed on his walls. For the most of the people, Venice is a dreamed city. Someone can walk in Venice every day, but others can only imagine it. What is the relation between the real Venice and the imagined one? What are the images that Venice draws into our mind? This personal research, through the amazing use of the photographic instrument by Massimo Branca, is an attempt to refl ect on these themes. These photographs, beautifully composed, are tales. But each one can be read also as a tale into the tale: the contemporary presence of different histories, lives, situations, that find themselves together in the time of an instant. So that everyone of these photos is really a time-image. The result is the declaration of a contradictory scenario that emerges in the forced but naturally born coexistence of the opposites. This is a manifesto of a city in which a declared beauty coexists with a secret fragility.
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foto di Massimo Branca, testi di Francesca Guidolin
i piace pensare che le città abbiano in sé una doppia natura: quella materiale, fisica, costituita dalla trama delle loro vie, dei loro pieni - gli edifici - e dei loro vuoti, ma anche una natura spirituale, fatta dal passaggio dei piedi di molte persone per quelle vie, dalla vita che si nasconde nei palazzi e dall’articolazione dei gesti che si svolgono in quei vuoti. Dalla moltitudine dei segni di cui si esse si riempiono: insegne, pubblicità, indicazioni, graffiti. Nel mondo vi sono almeno un centinaio di “fi nte” Venezia. Molti immaginano la vera Città per tutta la vita. Altri, più fortunati, riescono a passarci almeno una volta. Così, le Sei Venezia del regista padovano Carlo Mazzacurati1 diventano ogni anno cinquantadue milioni 2 , tante quante gli occhi che si posano sulle sue celebri “pietre”, i piedi che percorrono le strette calli della città storica: i turisti, che la popolano di sguardi e parole. Quale sia la relazione tra l’immaginario attorno ad una Venezia pensata e quella reale è una domanda a cui ciascuno dà risposta (e senso) differenti, nel proprio modo di vivere la città, di vederla per la prima volta, o di percorrerla quotidianamente. Questa ricerca, condotta attraverso il mezzo fotografico, offre uno strumento all’interpretazione di tale relazione. Che cosa si immagina, quando si pensa a Venezia? Che immagine evoca, nella mente la città lagunare? Era il 1969 quando Indro Montanelli, per uno speciale del Tg1 sottolineava “le miserie, i segni di decadenza, di decomposizione, di morte della città” volendo dimostrare “quale tragedia di morte non più lenta ma anzi direi galoppante incombe su Venezia”3. Alle sue spalle una grande nave attraversa il Canal Grande, e le immagini delle pietre dei decori della basilica sgretolate da un tecnico per “la messa in sicurezza” del manufatto, denunciano una fragilità dichiarata e tuttavia ancora indifesa. “Le città storiche sono insediate dalla resa ad una falsa modernità”
all’imponente bellezza palesata nell’immaginario collettivo, segretamente contrappone la fragile delicatezza di mille identità in continua evoluzione
sostiene Salvatore Settis, nel 2014 4. Eppure, oggi, la città si veste di un continuo confronto fatto di vetrine illuminate, delle borse di falsa fi rma disposte a terra, della rosa posta alla turista, degli scatti in posa sul ponte, nella calle, in mezzo al campo. Una modernità che ogni giorno respira, anima, tiene in vita un delicato palinsesto. Il progetto fotografico qui presentato, Looking for Venice di Massimo Branca, è un racconto. Il racconto di “ricerca personale sul rapporto tra progresso, turismo ed estetica, in una delle città più rappresentate del mondo”5. Un racconto che si snoda attraverso il riflesso delle vetrine, gli impalpabili giochi di luce a cui solo a Venezia, città d’acqua, è possibile assistere. Ed ogni foto, in sé, contiene un racconto nel racconto: la presenza di due, tre,... dieci trame differenti. Un’attesa, mentre lontano, un vaporetto naviga; il volo di un piccione, lo sguardo di un gabbiano, e una nave sullo sfondo. Il mondo di due bambini che giocano, affianco a quello di turisti e una mappa virtuale. Queste fotografie rappresentano “immagini-tempo”6, citando Gilles Deleuze: racchiudono i molti mondi che convivono nello spazio di un metro, in un luogo, Venezia, vissuto collettivamente: una storia di azioni, contraddizioni, paradossi. Raccontano la Città che all’imponente bellezza palesata nell’immaginario collettivo, segretamente contrappone la fragile delicatezza di mille identità in continua evoluzione.
quale sia la relazione tra l’immaginario attorno ad una Venezia pensata e quella reale
ogni foto, in sĂŠ, contiene un racconto nel racconto
NOTE 1 - Carlo Mazzacurati, “Sei Venezia: un film, una città”, Venezia, Marsilio, 2012. 2 - Da “Assalto a Venezia, turismo da record: verso i 27 milioni”, di Alessandro Tucci, in La Nuova Venezia, 15 novembre 2014. 3 - Indro Montanelli, “I servizi speciali del Telegiornale”, 1969. 4 - Salvatore Settis, “Se Venezia muore”. Einaudi Editore, 2014. 5 - Massimo Branca, nota al progetto “Looking for Venice”. PER APPROFONDIRE Collettivo Fotosociale - Socialmente foto sensibili www.collettivofotosocial.com
IN PRODUZIONE
Come nasce una cucina La storia di Arrex, tra un solido passato e un futuro innovativo
di Chiara Trojetto Chiara Trojetto è architetto, ha lavorato come assegnista di ricerca presso lo Iuav di Venezia occupandosi di tecnologia dell’architettura e di arredo; è appassionata di grafica e di design di prodotto. e-mail: chiaratrojetto@gmail.com
The process that leads to the realization and the selling of a furniture piece is wide and complex: it embeds a multitude of issues concerning many heterogeneous areas, from the technolog y of materials, to marketing strategies, as well as the design and manufacture process. Furniture is nowadays required to have high quality details, to be strong and durable, to respect many sustainability aspects, to be fl exible in order to meet the user needs during its life. OFFICINA* had the opportunity to visit Arrex Le Cucine, an Italian company established in 1973, located in Mansuè (TV) and specialised in the production of kitchen cabinets for residential spaces. Kitchens are not only asked to be functional to prepare and consume food, but also to be a good place to choose for many different activities and a beautiful space: it’s still a central place in a house, but with a new functionality.
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Il processo che porta alla realizzazione e alla vendita di un elemento d’arredo è molto complesso: in esso si trovano riunite una lunga serie di problematiche che riguardano settori eterogenei quali, per citarne solo alcuni, la tecnologia dei materiali, il design, le tecniche di produzione, il marketing. A differenza di un tempo il mercato offre oggi un ventaglio molto ampio di variabili, tanto che l’utente fi nale ha spesso, eufemisticamente parlando, l’imbarazzo della scelta. Tra gli elementi oggi richiesti all’arredo di fascia medio-alta vi sono la qualità, termine che include in sé molti concetti quali la durata nel tempo, la cura dei dettagli, ma anche un aspetto in linea con le migliori tendenze del momento; dall’arredo si pretende spesso una consegna in tempi rapidi, nonostante una fi liera piuttosto articolata in cui, come nella maggioranza dei settori produttivi, non è possibile escludere qualche disguido; all’arredo si chiede infi ne sempre più spesso, e giustamente, di rispettare l’ambiente. In quest’ultima affermazione sono rinchiusi molti temi poiché la sostenibilità nel settore dell’arredo, un attributo certificabile oggettivamente, riguarda le caratteristiche dello stabilimento, i materiali impiegati e le loro fi niture, gli imballaggi, e via dicendo fi no a coprire l’in-
tero ciclo di vita dell’elemento considerato. Per approfondire questi temi e preparare la rubrica IN PRODUZIONE di questo numero, OFFICINA* è stata ospite di Arrex Le Cucine. L’azienda è frutto dell’iniziativa di sette fratelli che alla fi ne degli anni Sessanta decidono di dedicarsi alla produzione di elementi d’arredo. Nel 1973 Arrex viene fondata a Mansuè, piccolo comune della provincia di Treviso al confi ne con il pordenonese. Lo stabilimento moltiplicherà negli anni le sue dimensioni fi no ad essere il grande e moderno complesso che abbiamo visitato in un caldo pomeriggio di aprile. Di pari passo con le dimensioni del sito produttivo è andata l’espansione sul mercato: da realtà con mercato locale, Arrex
la cucina ha mantenuto un ruolo di centralità nell’abitazione arricchendosi di una nuova funzionalità
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è diventata un’azienda con distribuzione a livello nazionale e, successivamente, internazionale, facendosi strada in molti paesi europei ed extraeuropei. L’azienda, come esplicitato dal nome, è specializzata nella produzione della cucina per l’ambiente residenziale. Al giorno d’oggi a questo luogo non viene più chiesto di essere unicamente uno spazio idoneo e funzionale alla preparazione e consumazione dei pasti; ad esso si richiede di essere adatto ad ospitare diverse attività, di adattarsi all’evolversi degli spazi e delle esigenze, di essere bello, accogliente: la cucina ha mantenuto un ruolo di centralità nell’abitazione arricchendosi di una nuova funzionalità.1 Lo stabilimento dove Arrex produce i mobili che arredano un ambiente tanto importante è lungo poco meno di un chilometro. Gli uffici sono rigorosamente open space, i dirigenti lavorano fianco a fianco con il personale amministrativo, commerciale e tecnico: l’obiettivo è comune. Pochi metri separano questo luogo dominato da telefoni e computer dall’ambiente dove macchi-
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nari e personale esperto realizzano fisicamente le cucine. Il nastro della linea di montaggio percorre la quasi totalità degli 800 metri di stabilimento e, assieme al nostro accompagnatore, ci guida a scoprire come nascono i mobili che ogni giorno utilizziamo. Ante, cassetti, ripiani, viti, maniglie: sono
i dirigenti lavorano fianco a fianco con il personale amministrativo, commerciale e tecnico: l’obiettivo è comune
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in alcuni reparti, riservati alla lavorazione di prodotti fuori catalogo, sia per dimensioni sia per finiture, molte operazioni vengono invece effettuate a mano, e dalla fabbrica sembra di passare per un attimo nel laboratorio di un artigiano
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molte le componenti che vediamo man mano essere assemblate ed è bello notare come la manodopera dell’uomo sia complementare all’operato della macchina. In alcuni reparti, riservati alla lavorazione di prodotti fuori catalogo, sia per dimensioni sia per fi niture, molte operazioni vengono invece effettuate a mano, e dalla fabbrica sembra di passare per un attimo nel laboratorio di un artigiano. I modelli di cucina che Arrex propone a catalogo sono ottanta, dunque le variabili da controllare sono molteplici. Per questo è fondamentale essere costantemente attenti e aperti all’innovazione mantenendo sempre fede e aggiornando se necessario i principi che hanno portato alla creazione di un’azienda che a testa alta ha affrontato la crisi. A partire dal 1984 Arrex le Cucine fa parte del Consorzio ATMA, gruppo che riunisce dodici stabilimenti produttivi e altrettanti marchi aziendali localizzati tra le province di Treviso e Pordenone in grado di ideare, produrre e distribuire elementi d’arredo per ogni ambiente della casa: dallo spazio cuci-
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na la produzione si estende dunque al living, all’arredo bagno e alla zona notte. Punto di forza del gruppo è l’agire in sinergia su tutti i piani della fi liera e puntare anche a mercati internazionali quali Russia, Medio Oriente, Cina, Corea e Stati Uniti. Per fare un esempio, proprio in quest’ultimo paese il gruppo ha realizzato il suo più grosso progetto contract con una fornitura di quasi duemila cucine. È molto interessante apprendere ciò che si nasconde dietro un mobile da cucina, semplice solo in apparenza: ingegno, ricerca, dedizione, manualità, impegno, ingredienti fondamentali a cui i sette fratelli e i collaboratori intervenuti in seguito hanno evidentemente sempre prestato molta attenzione.
NOTE 1 - In questa direzione l’azienda ha già realizzato un elemento multifunzione: un tavolo il cui ripiano si scompone in molte parti autonome, che aprendosi e cambiando forma assumono ognuna una funzione diversa, dal piano cottura, alla tv, per rendere uno stesso spazio adatto a molteplici situazioni e utenti. IMMAGINI 01 - Personale al lavoro lungo la linea di montaggio. 02 - Rotoli di materiale per la finitura dei mobili. 03 - Alcune componenti, tra cui ante e ripiani, pronte per essere assemblate. 04 - Il reparto più artigianale dell’azienda: si dipinge a mano. 05 - I moduli che compongono la cucina vengono imballati e sono pronti per la spedizione. Le immagini sono dell’Arch. Francesca Guidolin. CONTATTI AZIENDA www.arrex.it ARREX-1 Spa Via Portobuffolè 32 31040 Mansuè (TV), Italia Tel. +39 0422 741331 Fax +39 0422 741472
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VOGLIO FARE L’ARCHITETTO
Architetto in viaggio, senza rotta Costruire il proprio futuro passo dopo passo
Francesca Marchina è laureata in architettura. e-mail: f.marchina@gmail.com
This article describes the importance of travelling for every architect. Long or short experiences are fundamental in order to discover the well-known architectures presented in the books and to have a real contact with the people of the visited place. Universities give good opportunities that students should catch and exploit. Erasmus programs, to study or to work, are the main examples. I have learned a lot in all the places where I lived for a period, like Lisbon, Istanbul and Nairobi. I acquired how to communicate in other languages, to follow a different rhythm of life and to work in a different way. From my point of view, every single experience is educational and useful also for work purposes.
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n (quasi) architetto senza rotta, così mi defi nirei. Una testa in pieno caos, affollata da idee confuse, futuro incerto e tanti (troppi?) punti interrogativi. Qualcuno potrebbe spaventarsi e non nego che a volte impaurisce pure me. Ma è una testa che crea idee, progetti, energia. E sono proprio questi gli elementi chiave per plasmare e progettare il proprio futuro. Lo studio dell’architettura consiste nell’esplorazione di campi e ambiti diversi, dal design alla grafica, dalla storia dell’arte allo studio della città, dal dettaglio tecnologico al progetto in sé. Qui si racchiude la sua bellezza. Sta poi a noi capire dove far confluire i nostri interessi. Qualsiasi ramo prevalga, è la diretta conoscenza - intendo dire quella fatta sul campo - che ci permette di arricchirci veramente. Toccare con mano l’architettura, calarsi nella società per capire come la gente vive, osservare. Semplici azioni di estremo arricchimento. Allora l’arma che noi architetti abbiamo nelle mani (o forse è meglio dire nei piedi) è quella del viaggio. Partire, scoprire, esplorare. Restare seduti consultando le lucide pagine delle riviste di architettura o fissando lo schermo del pc non permette di raggiungere la conoscenza vera e propria. Forse ho capito tutto ciò da un viaggio a Vienna. Ricordo che si stava studiando il
di Francesca Marchina panorama architettonico viennese tra Ottocento e Novecento, attraverso le opere di Wagner e Loos. Le slides del professore mostravano architetture così vicine che non poterle vedere sarebbe stato un peccato. Perché non partire allora? Un furgoncino Volkswagen, quattro amici e pochi soldi in tasca. Pronti e via! Che questo viaggio sia stato il trampolino di lancio per altre esperienze ne sono ormai certa. Per partire serve ben poco: antenne alzate per cogliere tutte le opportunità che si presentano e un po’ di coraggio per intraprendere le nuove avventure, nulla di più. La mia storia non è poi così speciale. È simile a quella di altri studenti che hanno sentito l’aria dello Iuav troppo umida e opprimente e la volontà di scovare-scoprireinnamorarsi di nuove realtà. I dieci mesi di erasmus a Lisbona mi hanno dato davvero tanto, a livello formativo e umano. Ho scoperto come l’architettura sia un mondo vastissimo e tanti sono i modi di farla e di viverla. Spesso ci limitiamo al nostro modo di procedere e pensare, senza accorgerci dell’immenso mondo che c’è fuori. Mi sono immersa nella scoperta del Portogallo, una nazione ricca di storia e cultura, indagandola attraverso la sua lingua e seguendo i consigli dello scrittore Saramago per cui “viaggiare” significa scoprire, il resto significa semplicemente trovare. Dall’estremo ovest sono atterrata alla porta d’Oriente. La magica Istanbul, capitale a cavallo tra due
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allora l’arma che noi architetti abbiamo nelle mani (o forse è meglio dire nei piedi) è quella del viaggio
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continenti, mi ha accolto per i tre mesi di tirocinio. È stato come entrare in un mondo altro, in quel momento animato dagli scontri del Gezi Park che hanno fatto emergere un popolo sveglio, unito e coraggioso. Il lavoro in team mi ha permesso di imparare molto, è soprattutto l’incontro/scontro tra due culture che alimenta un continuo scambio di nozioni e conoscenze. In seguito era tempo di pensare alla tesi. L’ho sempre considerata una cosa mia, personale, che dovevo scegliere e crearmi. Non è forse la mia presentazione al “mondo del lavoro”? Ho intrapreso un percorso di ricerca che mi ha portato ad indagare le trasforma03
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considero il viaggiare un investimento, nel senso lato del termine
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zioni urbane di Nairobi, Kenya, una città in movimento e in crescita, che sta cambiando a ritmi impressionanti. L’Africa nera ti ammalia, ti sciocca, ti riempie di pensieri e emozioni. Ma il compito del ricercatore è quello di rimanere distaccato, osservando la realtà con l’occhio freddo che è proprio di chi indaga. Considero il viaggiare un investimento, nel senso lato del termine. Non è un caso che convoglio tutti i miei piccoli guadagni nei viaggi: lunghi o corti che siano, mi “riempiono” sempre. Che cosa ne sarà di me? L’obiettivo numero uno è ottenere il fantomatico titolo (anche se l’etichetta “architetto” non mi si addice molto). Poi in programma c’è un’esperienza lavorativa in rifugio, a 2500 m. Una vita all’aria aperta, lontano dallo schermo del computer, mi rinfrescherà le idee. Il seguito è un punto di domanda, anche se l’America Latina è una destinazione che spesso mi frulla in testa... chissà. Si direbbe che sono un architetto fuori rotta ma d’altronde la rotta, defi nitiva e indeterminata, non esiste. La vera rotta si crea poco per volta, dalle più svariate esperienze. Io ne sono convinta.
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IMMAGINI 01 - Piazza Taksim, Istanbul. Immagine di Urska Bavčar. 02 - Isola di Heibeyada, Istanbul. Immagine di Urska Bavčar. 03 - Area-studio di Nairobi, Kenya. Immagine di Francesca Marchina. 04 - Isola di Gokçeada, Turchia. Immagine di Urska Bavčar. 05 - Famiglia che ho intervistato nell’area-studio scelta a Nairobi, Kenya. Immagine di Francesca Marchina. 06 - Lisbona. Immagine di Luca Berra. 07 - Area-studio di Nairobi, Kenya. Immagine di Francesca Marchina. 08 - Architettura nell’area-studio di Nairobi, Kenya. Immagine di Francesca Marchina.
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Riabitare spazi marginali Un progetto per le cave di argilla di Possagno
di Sara Sagui Sara Sagui Inizia a fotografare seguendo un corso con Antonello Frongia. Laureata in architettura, compie parte della sua formazione professionale a Parigi, dove apprende le basi dello sviluppo in camera oscura. Attualmente lavora come assistente di Alessandra Chemollo. e-mail: sara.sagui@gmail.com
The objective of the project lies on the need to rethink industrial spaces as tangible traces of the history and the culture of a territory, giving them a new meaning as a part of the urban landscape. Photography is used as an investigating tool able to offer an image of the examined territory, that is highlighting its confl icting aspects. The project investigates and tells the boundary, which becomes a shaded border between two visually related spaces that live as independent entities with no relationship. Photography allows the interpretation of the landscape transformation produced by the mining industry: it can be considered as a pretext to refl ect on new relations that can be established between man and the spaces he lives in.
Il paesaggio è creazione continua dell’uomo, lo possiamo considerare come un’opera d’arte risultato di una creazione collettiva e non dell’azione di un singolo artista, ma è attraverso un fi ltro culturale che noi lo percepiamo come paesaggio e non come semplice “estensione di un paese che si vede con uno solo sguardo”. Più che rapportarsi quindi a una poco credibile condizione naturale, il paesaggio va rapportato al territorio, va visto come “rappresentazione, immagine del territorio”, come scena del muoversi dei diversi attori nel territorio, ma anche come luogo in cui gli attori sanno essere al tempo stesso spettatori. Perché si possa parlare di paesaggio è necessario che vi siano degli osservatori che lo vedono, quindi uno sguardo che lo scopre, ma è anche necessario che vi sia “una percezione cosciente, un giudizio e infi ne una descrizione. Il paesaggio è lo spazio descritto da un uomo ad altri uomini”. E questa descrizione presuppone una interiorizzazione della percezione del paesaggio che integri lo sguardo, impone un racconto, richiede tempo per la conoscenza, richiede un avvicinamento lento.” 1 Il progetto sviluppato in questa tesi di laurea si fonda sulla necessità di riconoscere e ripensare i luoghi della produzione come
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elementi tangibili della storia e della cultura di un luogo, rendendoli parte integrante del paesaggio urbano, spazio aperto alla comunità che abita il contesto in cui essi si sono sviluppati. Possagno, in Valcavasia, è un territorio pianeggiante e semipianeggiante situato nella zona nord-occidentale della Marca Trevigiana, delimitato a nord dai contrafforti collinari del massiccio del Grappa e chiuso a sud dalla valle del torrente MusilePonticello e dalla linea collinare che da Paderno raggiunge il Piave in corrispondenza della città di Onigo. Il paese è conosciuto per aver dato i natali allo scultore Antonio Canova, di cui ospita una delle opere più famose, il Tempio Canoviano, ma anche per la produzione del laterizio da copertura in cotto, attività che ha dato l’impronta allo sviluppo economico di questo luogo: le Industrie Cotto Possagno, realtà nata dall’unione delle sei maggiori fornaci del paese, sono oggi la più importante realtà industriale italiana nella lavorazione delle coperture in cotto. Storicamente, lo sviluppo della produzione di materiale per l’edilizia è avvenuto in stretto legame con l’incremento delle attività di estrazione della materia prima necessaria alle lavorazioni; il sistema collinare che delimita a sud il paese è infatti caratterizzato, a livello geologico, da depositi argillosi di natura alluvionale. Questo tipo di argilla, chiamata Marna di
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le infrastrutture e le architetture che nel tempo hanno occupato questi luoghi senza una logica definita hanno concorso alla generazione del paesaggio che oggi vediamo...permettendo l’accesso alle sue stratificazioni culturali
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la fotografia ha permesso di restituire un’immagine del territorio appena descritto, mettendo in luce gli aspetti contraddittori che lo caratterizzano
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Possagno, si è dimostrato un materiale particolarmente adatto alla realizzazione del laterizio da copertura. Ecco quindi che, in prossimità dei luoghi di cava, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si è sviluppata una grande area a destinazione produttiva-secondaria, che ha contribuito in modo significativo alla crescita economica del paese: essa copre una superficie complessiva di 1.376.857 m2 ed è costituita da una moltitudine di interventi edilizi molto diversificati tra loro e da un grande deposito di argille collocato ai piedi delle colline da cui veniva estratta la materia prima necessaria alla produzione. L’attività di scavo è cessata agli inizi degli anni ’90 e oggi, a sua testimonianza, restano i
grandi varici di cava non ricomposti, segni del massiccio sfruttamento dell’argilla che ha portato ad uno stravolgimento del rilievo delle colline stesse: le infrastrutture e le architetture che nel tempo hanno occupato questi luoghi senza una logica defi nita hanno concorso alla generazione del paesaggio che oggi vediamo, caratterizzato da una sua identità specifica e, nonostante abbiano in parte esaurito la loro funzione, continuano a mostrarsi alla città e al territorio, permettendo l’accesso alle sue stratificazioni culturali. Attualmente però questi luoghi sono considerati solamente spazi marginali della città, estranei ad essa, per quanto collocati proprio in prossimità di uno dei suoi punti d’accesso principali: sono una suggestiva
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scenografia che resta sullo sfondo, in attesa di essere riconosciuti nuovamente come risorsa. La fotografia, come strumento di indagine e conoscenza, ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del progetto, in quanto ha permesso di restituire un’immagine del territorio appena descritto, mettendo in luce gli aspetti contraddittori che lo caratterizzano. Le immagini presentate indagano quello che è il tema della soglia, del confi ne non sempre fisico e marcato tra gli spazi, nel tentativo di raccontare due luoghi in costante rapporto visivo tra loro ma che al contempo sembrano essersi dimenticati l’uno dell’altro: le persone che
abitano questo territorio pare abbiano dato per scontato di vedere, per la quotidianità e l’abitudine dello sguardo, anche quello che normalmente verrebbe considerato innaturale e inguardabile. “Vi sono soglie invisibili attraverso cui non è consentito transitare. Nessuna barriera fisica lo impedisce, ma la soglia, una soglia che tutti sentono. [...] La soglia indica un impossibile ostacolo - o un possibile fi ltro, passaggio - o entrambe le possibilità. Ma il passaggio è consentito per lo più solo a patto di fare i conti con l’altro dominio, accettare la sua influenza benefica o meno sulla nostra identità. Attraversare la soglia è una possibilità/pericolo di cambiamento, una inversione, come è un pericolo di invasione
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per i possessori del dominio oltre la soglia. Se trasgredisco una soglia o la oltrepasso senza indicare o dichiarare le mie intenzioni (quel che sto facendo della mia identità), la mia identità è in pericolo o diventa pericolosa. La soglia è un luogo dove due identità nello spazio si attestano, si attendono, si confrontano, si riflettono, si difendono. Essa serve a ribadire le differenze.”2 Da qui il ruolo centrale dello strumento fotografico come occasione per indagare ed interpretare il cambiamento prodotto nel paesaggio dall’attività estrattiva, da considerarsi non come ferita nel territorio da rimarginare ma come pretesto per ragionare sui nuovi rapporti che possono instaurarsi tra l’uomo e i luoghi che abita, frequenta, attraversa.
NOTE 1 - Enrico Fontanari, Beauce – Riflessioni su paesaggio e territorio, EdicomEdizioni, Monfalcone, 2005. 2 - Franco La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, Laterza, Roma-Bari, 1988. IMMAGINI 01 - Il prelievo di materiali inerti utili all’edilizia ha avuto uno sviluppo enorme in Veneto, provocando profondi mutamenti nel paesaggio: questo ha contribuito alla creazione di spazi spesso marginali e di scarto nel territorio, inaccessibili e preclusi a ogni attività non connessa a quella produttiva. 02 - Gli spazi produttivi rappresentano l’affaccio del paese verso sud: essi si configurano come una moltitudine di interventi edilizi molto diversificati tra loro e realizzati in tempi differenti a partire dagli anni ’60 del secolo scorso. 03 - L’attività di scavo è cessata agli inizi degli anni ’90 e oggi, a sua testimonianza, restano i grandi varici di cava non ricomposti, segni del massiccio sfruttamento dell’argilla che ha portato ad un stravolgimento del rilievo delle colline. Alcuni edifici produttivi sono inoltre stati dismessi e versano oggi in stato di abbandono. 04 - Due luoghi in relazione visiva: gli spazi della produzione rappresentano un punto di osservazione privilegiato sul fronte storico di Possagno, dove spicca il Tempio Canoviano, simbolo del paese. 05 - Gli accessi all’area industriale sono per la maggior parte collocati in prossimità degli spazi dell’abitato e i confini tra i due luoghi sono in molti casi poco definiti. 06, 07, 08 - Cancelli, transenne, sbarre sono le barriere fisiche che definiscono i limiti tra spazi dell’abitato e spazi della produzione. Questi elementi, permeabili alla vista, permettono un costante rapporto visivo tra i due luoghi. 13 - Industrie Cotto Possagno S.p.A. è la più importante realtà industriale italiana nella lavorazione del laterizio da copertura. Dopo la cottura, i laterizi vengono selezionati in varie scelte, quindi confezionati in pacchi, rivestiti di foglio plastico e infine stoccati in grandi piazzali in attesa di essere venduti. 10 - Gli accessi all’area industriale sono per la maggior parte collocati in prossimità degli spazi dell’abitato e i confini tra i due luoghi sono in molti casi poco definiti. Immagini di Sara Sagui.
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Car design: il ruolo dei prototipi di ricerca Cultura industriale
Giorgio Gaino nato a Torino, si laurea in architettura allo IUAV con una tesi sul car design, relatore Sergio Polano; socio dello studio Synthesis design si occupa di disegno industriale e-mail: giorgio.gaino@synthesisdesign.it
Retracing the role of the three Italian automakers (Bertone, Pininfarina e Italdesign) in the evolution of car design in recent decades , it is clear that in the story , a short period in the late ‘60 and early ‘ 70 of the twentieth century, is the most important. This articles describes the role of research prototypes in the automotive evolution of car design, together with the role of product innovation applied to the production.
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e difficoltà del car design italiano, con la quasi totale scomparsa dei carrozzieri, sono originate da motivazioni complesse, intrecciate e molteplici; in ogni caso, resta il fatto che protagonisti quali Bertone, Pininfarina e Italdesign (parte del gruppo Volkswagen) sembrano aver smarrito il proprio ruolo storico: la crisi, prima che finanziaria, è di idee, che nel frattempo hanno assunto valenze diverse. Ripercorrendo in estrema sintesi il ruolo dei tre carrozzieri nell’evoluzione del car design italiano, e non solo, degli ultimi decenni, risulta evidente come nella vicenda, sia stato fondamentale un periodo abbastanza breve, tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta del Novecento. I tre maggiori carrozzieri italiani, affiancati da altri meno noti, elaborano in pochi anni delle vetture assolutamente d’avanguardia, efficace traino per acquisire committenti in una fase difficile per l’industria italiana e in un contesto di crisi globale (analogo a quello attuale), accentuato da violenti scontri sociali, oggi, peraltro, latenti. Precedentemente legati alla realizzazione di fuoriserie, su base meccanica di diverse case automobilistiche, alla fine degli anni sessanta i carrozzieri italiani intuiscono la mutazione imminente del mercato automobilistico verso scenari diversi, nei quali il ruolo dei car
di Giorgio Gaino designer avrebbe avuto inedite chances, a condizione di saper interpretare tanto i futuri assetti della mobilità, l’evoluzione delle forme dell’auto, le trasformazioni delle tecnologie produttive e dei metodi organizzativi, quanto la storia e la tradizione stessa delle case automobilistiche: il car design impose così una professionalità altamente specifica, frutto di svariati decenni di formazione, nell’ambito di una competenza che l’Italia, pare, non saper più valorizzare. I prototipi che analizzeremo di seguito sono le Ferrari Modulo di Pininfarina, la Lancia Stratos, l’Alfa Romeo Carabo di Bertone, e la Maserati Boomerang di Italdesign. Ferrari Modulo, Pininfarina, 1970 Questa vettura di Pininfarina, presentata la prima volta al Salone di Ginevra nel marzo del 1970 e, successivamente, all’Expo 1970 di Osaka è un prototipo che propone un modo nuovo di costruire e concepire l’automobile. L’idea è quella di avere dei moduli separati da assemblare insieme, da cui il nome, in modo da permettere la realizzazione di varianti avendo una meccanica di base. Si tratta di un concetto che nelle vetture attuali è portato alle estreme conseguenze: è oramai noto a tutti che i gruppi automobilistici, utilizzino piattaforme industriali comuni, variando le sovrastrutture e le finiture dei vari modelli. Si tratta, quindi di un prototipo di ricerca che si pone non solo come esperimento formale, ma di uno studio che pre-
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suppone considerazioni di ordine organizzativo in relazione alla produzione industriale. La vettura appare estremamente bassa e filante, scompaiono i volumi, si rifà alla tendenza dell’epoca di accentuare gli spigoli della carrozzeria, ma l’interpretazione di Pininfarina, come da tradizione, genera una vettura aggressiva ma sempre elegante.Nella vista frontale ciò è ancora più evidente: si nota l’inclinazione dei cristalli laterali e di tutta la fiancata da cui, nella zona posteriore, fuoriescono i grandi passaruota. Il raccordo tra il piano inclinato laterale e il piano anteriore, che risolve in una linea unica cofano e parabrezza, è realizzato tramite un piano di mediazione tra i due tale che, nella vista
tre-quarti anteriore, si venga a formare quasi un arco con il profilo laterale. Questo arco non è percepibile dalla vista laterale, da dove la vettura sembra originare da linee molto tese. Vi è, infatti, in questa vettura, come in altre dello stesso periodo, un uso dei piani e delle linee tale che l’auto presenta degli aspetti nuovi a seconda del punto di vista: la luce, in base ai piani inclinati che colpisce, determina l’enfatizzazione di alcuni aspetti del progetto piuttosto che altri. Il prototipo non ebbe risvolti produttivi, e, come già accennato, solo anni dopo i concetti, in relazione alla possibilità di creare varianti di una vettura mantenendo parti meccaniche comuni, saranno ripresi, prima dalla VSS di
i designer di queste vetture provenivano tutti dalla stessa cultura industriale, ma soprattutto erano delle singole, autonome personalità
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Idea Institute (con renzo Piano) poi, per la produzione di serie. Alfa Romeo Carabo, Bertone, 1968 L’Alfa Romeo Carabo fu presentata nel 1968. Si tratta della prima vettura di Bertone con linee molto tese. Si tratta di un puro esercizio, uno strumento di comunicazione per addetti ai lavori, ma che aveva le caratteristiche per essere percepito anche dal grande pubblico, e, in questo modo ottenere il doppio risultato di promuovere, attraverso un oggetto concreto, l’azienda che l’ha ideato: una forma di pubblicità perfetta. Osservando la vettura si possono notare alcuni aspetti; la linea è tesa, l’angolo cofanoparabrezza quasi piatto, la linea di cintura cerca quasi una simmetria, le prese d’aria per il motore originate da piani sfalsati, quasi nascoste e il passaruote posteriore che perde l’andamento circolare per adattarsi alla variazione di sezione. In vista frontale è facile osservare come le prese d’aria vengano a crearsi quasi come compenetrazione di solidi e di come l’andamento del montante del tetto sia, al contrario del resto della vettura, molto morbido e utilizzato quale raccordo tra superfici. Si comincia qui ad intravedere un trattamento delle superfici e degli spigoli che risulterà più
chiaro nelle successive realizzazioni di Bertone, fino a farlo diventare una peculiarità, un tratto distintivo che, negli anni, caratterizzerà le vetture da lui realizzate. Lancia Stratos, Bertone, 1970 La Lancia Stratos di Bertone del 1970 denuncia già nel nome l’ispirazione a concetti diversi da quelli della cultura automobilistica. Si tratta della vettura più rivoluzionaria di questo periodo, una vera dream car. La vista laterale è dominata dalla linea di cintura che si interrompe sulla ruota anteriore e crea una simmetria tra la parte bassa e quella alta della fiancata, che ha un andamento che in sezione ha origine dal taglio posteriore. Gli elementi classici come la calandra spariscono, sostituita da una fila di fari, una lama di luce; le porte non ci sono e l’accesso avviene da un portellone anteriore, quasi un cofano. Non vi sono più elementi come i finestrini, gli specchietti, le porte, il parabrezza, i montanti, tutto è nuovo. Il prototipo pare appartenere più al mondo delle illustrazioni di Syd Mead che a quello automobilistico, e non si tratta sicuramente di un oggetto vicino alla produzione di serie. È sicuramente una delle vetture più avanzate ed estreme dal punto di vista formale che abbia realizzato Bertone, forse quella che ha
dato più notorietà al carrozziere torinese, quasi un manifesto delle dream car di quegli anni. Maserati Boomerang, Italdesign 1972 La Maserati Boomerang viene presentata da Italdesign al Salone di Ginevra nel marzo del 1972. Si tratta di un coupé due porte a due posti in cui si ha una interpretazione del tutto nuova della linea a cuneo. Come tutte le realizzazioni di Giugiaro anche questa vettura pare, in relazione alle proposte degli altri carrozzieri, più posata, meno astratta e più vicina alla produzione, sancendo quello che diverrà uno dei tratti tipici dell’intera produzione dell’Italdesign, votata alla concretezza più che alla creatività formale. La Boomerang è comunque una dream car e si ha in questa vettura un uso molto esteso di linee geometriche applicate. La vista in pianta denota come vi siano piani inclinati che si raccordano, linee tese, ma anche un accenno di concetti che rivedremo in vetture di produzione degli anni successivi. In vista laterale il corpo vettura appare snello e affusolato, enfatizzando la linea a cuneo con la piegatura della lamiera che crea dei passaggi di luce che ne alleggeriscono la massa. Anche in questa vettura come in altre interpretazioni della linea a cuneo, la linea
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innovazione formale, di prodotto e di processo
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ideale che forma la parte anteriore non è una spezzata ma una superficie continua che ingloba cofano e parabrezza. La Boomerang e i suoi concetti porteranno allo sviluppo di vetture come la Asso di Picche e per successivi passaggi alla Lancia Delta. Vi è in questo caso quasi uno studio di forma interno al carrozziere, una formazione quasi di librerie, di soluzioni che, nell’insieme, ne formano, attraverso gli anni, un elemento caratterizzante, pur al variare dei committenti e dei temi affrontati. Nel breve arco di quattro anni, Pininfarina, Bertone e Italdesign presentano una serie di prototipi straordinari, con l’obiettivo di immaginare il futuro dell’auto, dal punto di vista formale, funzionale e produttivo. I designer di queste vetture provenivano tutti dalla stessa cultura industriale, spesso erano
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cresciuti professionalmente negli uffici tecnici, vere scuole di formazione, ma soprattutto - aspetto che gli attuali dirigenti delle case automobilistiche tendono a sottovalutare - erano delle singole, autonome personalità. La storia del car design non annovera infatti alcuna vettura disegnata da équipes di progettisti, magari con intromissioni di competenze interdisciplinari variegate, dal marketing alla comunicazione; il solo ed unico risultato di queste operazioni collegiali sono le riedizioni di successi del passato: dal New Beetle alla nuova 500 e alla Mini: rischio industriale basso, innovazione nulla.
IMMAGINI 01 - Pinifarina: Ferrari Modulo. 02 - Bertone: Lancia Stratos Zero 22. 03 - Disegni originali della Bertone Lancia Stratos Zero 22. 04 - Bertone: Alfa Romeo Carabo. 05 - Italdesign: Maserati Boomerang. 06 - Museo Bertone: esposizione. Immagini fornite dall’autore.
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IMMERSIONE
Villes Africaines en Mouvement “Città africane in movimento”: cinema e città nella realtà africana
Francesca Guidolin è architetto, dottoranda in Nuove tecnologie per il territorio la città e l’ambiente - tecnologia dell’architettura presso l’Università Iuav di Venezia. e-mail: arch.francesca.guidolin@gmail.com
The relationship between cinema, architecture and city plays a relevant role in the authoral cinema. To underline this connection between space of action and time of acting, the ability of time managing, photography and editing is needed. The exhibition that is taking place at the palace Ca’ Asi in Venice by the French agency AS.Architecture-Studio, shows this partnership between cinema and architecture. Stephane Couturier’s photography is the prelude for the setting of a short films directed by African authors. In the works presented, Couturier portrays the residential district “Climat de France” in Algiers. At the same time, in the exhibition rooms, five short films are screened. These reproductions are personal portrays of the African cities: moving cities.
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l sodalizio tra cinema, architettura e città è tra i più interessanti e presenti nel cinema d’autore. Questo rapporto si caratterizza per la possibilità di lavorare alla fotografia, al montaggio e ai tempi cinematografici grazie allo stretto legame tra lo spazio per l’azione e il tempo del gesto che lì si svolge. Da sempre, cinema e città sono stati oggetto di interesse da parte dei grandi registi. Ne sono testimonianza ed esempio, tra gli altri, gli onirici fondali nella fotografia di Antonioni, le precise composizioni sceniche di Greenaway, l’elaborazione della teoria del montaggio di Ejzenstejn, e l’analisi cinematografica delle forme della città di Pierpaolo Pasolini. Analizzare una città con il mezzo cinematografico significa interpretarne gli aspetti più nascosti, in quell’interazione possibile solo attraverso la pellicola cinematografica, del contemporaneo ritrarre il dato spaziale, il palcoscenico dell’azione, e il dato temporale, la trama dei fatti. Niente meglio del montaggio ha trasferito sulla superficie bidimensionale la forma integrale degli eventi. “Gli esempi più perfetti di calcolo dell’inquadratura, di alternanza di inquadrature e persino di metraggio (cioè di durata di una determinata impressione) ce li hanno lasciati i greci. Victor
di Francesca Guidolin Hugo defi nì le cattedrali medievali “libri di pietra” (Notre Dame de Paris). Per noi l’Acropoli di Atene è l’esempio perfetto di uno dei più antichi fi lm.”1 L’inquadratura, riesce a catturare quindi non solo immagini, ma vere e proprie storie. L’esposizione Villes Africaines en Mouvement, aperta in occasione della 56esima Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, dal 9 maggio al 30 agosto, raccoglie una testimonianza di questo rapporto tra città e cinema. Organizzata negli spazi di Ca’ Asi dallo studio AS.Architecture-Studio, essa presenta opere fotografiche e cinematografiche, con il supporto scientifico di Pascale Cassagnau, responsabile delle collezioni audio-video al Centre National des Arts Plastiques (CNAP) di Parigi, e di Françoise Docquert, direttrice del dipartimento Arts et Sciences de l’Art all’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne. A seguito del progetto, già iniziato nel 2014, con il concorso Young Architects in Africa 2 , l’esposizione presenta da una parte le opere fotografiche di Stéphane Couturier, dall’altra la proiezione di fi lm d’autore in partenariato con il CNAP. La fotografia di Stephane Couturier fa parte di un ampio progetto di ricerca su
quartieri urbani residenziali, iniziata nel 2001 in Messico e Stati Uniti (Landscaping, 2001-2004), che lascia il posto, negli anni successivi ad un’analisi sui grandi maestri del ‘900: Le Corbusier in India (Melting Point - Chandigarh, 2006-2007), e poi Lucio Costa e Oscar Niemeyer a Brasilia (Melting Point - Brasilia, 2007-2010). Nelle opere presentate, Couturier ritrae il quartiere residenziale Climat de France di Algeri, costruiti da Fernand Pouillon tra il 1954 e 1957. Questo complesso monumentale di 5000 alloggi, era già stato oggetto di un fi lm di Guy Nouen realizzato per Jacques Chevallier, sindaco della città. La forza di tale architettura, concepita at02
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torno alla piazza, conosciuta con il nome di Deux-cent Colonnes, sta nel carattere massivo delle facciate. Le dimensioni, infatti, sono dettate dall’utilizzo di blocchi di pietra di 1x1x1 m estratta dalle cave di Provence (Fontvieille). Le fotografie di Couturier condensano la realtà personale dell’abitare in uno scenario collettivo in cui, al rigido ritmo alternato dei pieni e dei vuoti dell’architettura collettiva, vengono sovrapposte le dichiarazioni specifiche di libertà individuale di chi vi abita: esposizioni caotiche della vita quotidiana che si svolge all’interno, nell’ordinata intelaiatura architettonica di questi grandi edifici. Sono quasi elementi di disturbo, pareti macchiate dall’uso, siano esse lenzuola stese ad asciugare, condizionatori agganciati alla parete, terrazze improvvisate per coprire fi nestre. La fotografia, volutamente frontale, di grandi dimensioni e colorata, è una dichiarazione d’intenti: la presa di coscienza dell’esigenza individuale nella vita urbana collettiva della città africana, che ancora è alla ricerca di un’identità propria. Ricorda la produzione fotografica di Michael Wolf 3, nell’allinearsi ordinato e composto di un’architettura costruita sulla carta - e forse idealmente qui rimasta - prima che nella realtà. Essa ci rivela, nel modo di essere utilizzata, una latente volontà di libertà individuale e personalizzazione dello spazio da parte del suo abitante.
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cinema, architettura e spazi urbani sono dei fatti significativamente legati
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Ad affiancare le fotografie di Stephane Couturier, l’esposizione presenta alcuni cortometraggi d’autore: Cap Tingis (2012) e La Fièvre (2014) di Safia Behhaim, Hillbrow (2014) di Nicolas Boone, A qui appartiennent les pigeons? (2012) di Frédérique Lagny, Azé (2004) di Ange Leccia, e La nuit et l’enfant, ou le Songe d’un habitant de Djelfa (2015) di David Yon. Il modo di vivere la città, i suoi spazi, i suoi non-luoghi, viene esplorato da ciascun autore con un occhio personale, e con tecniche cinematografiche differenti, capaci di dare per questo uno sguardo eterogeneo e completo sugli interrogativi che la cultura africana si pone in rapporto alla sua cultura. La riflessione che il supporto video permette di delineare per la città africana riguarda infatti molto spesso la difficile costruzione di una propria identità nei territori marcati storicamente dalla colonizzazione da parte di paesi stranieri. Il fil rouge che unisce i fi lm è la constatazione che cinema, architettura e spazi urbani sono dei fatti significativamente legati. Nel cinema, così come nella città, si assiste ad un susseguirsi di gesti, più o meno veritieri, più o meno spontanei. Ogni angolo dello spazio urbano può essere letto come il palinsesto dei segni del vivere: una codificazione materiale di contingenze esistenziali. L’architettura, in questo, non è che lo scenario per lo svelarsi di una gestualità: la manifestazione materiale dell’identità po-
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litica, culturale, personale, di ciascuno dei suoi abitanti. Ricorda a tratti alcune tecniche del teatro dell’oppresso di Augusto Boal il fi lm Hillbrow (N.Boone) che mette in scena una fi nzione partecipativa, all’interno dei non luoghi di una città altrettanto fi nta. Si interroga sulla creazione di identità culturali il fi lm di Lagny, mentre quello di Yon dialoga su due temi, attraverso due racconti: una visione reale e un’immagine onirica, punti di vista di bambino e di un esiliato, la vita quotidiana e il tema politico. La disposizione delle fotografie, studiata dai curatori, si avvale dei dispositivi rotanti del designer parigino Didier Faustino e diventa la giusta premessa alle scene dei cortometraggi. Mezz’ora di tempo per entrare completamente nelle caotiche, oniriche, controverse e affascinanti situazioni di altri mondi: città africane in movimento, sullo schermo proiettato a Venezia, così come nella loro quotidiana realtà.
NOTE 1 - Sergej M. Ejzenstein, Teoria generale del montaggio, a cura di P. Montanari, Marsilio Editori, Venezia, 1985. 2 - Francesca Guidolin “Young Architects in Africa. Un evento collaterale della Biennale di Venezia, di AS.ArchitectureStudio”, in OFFICINA*, n.02, pp. 56-61. 3 - Michael Wolf, fotografo di Hong Kong, ritrae l’architettura residenziale, i suoi abitanti e i suoi paradossi. www.photomichaelwolf.com IMMAGINI 01 - La prima sala dell’esposizione “Villes africaines en mouvement.” Immagine di Sara Sagui. 02 - La sala d’ingresso del Palazzo Ca’ Asi che ospita l’esposizione. Immagine di Sara Sagui. 03 - La fotografia di Stephane Couturier, un nastro che percorre la stanza longitudinalmente, fa da cornice ai dispositivi di Didier Faustino. Immagine di Sara Sagui. 04 - Fotogramma del film di Frédérique Lagny, “A qui appartiennent les pigeons?”, 2012, 39’ (Progetto che beneficia del finanziamento di ricerca artistica del CNAP nel 2011). Immagine di AS Architecture-Studio. 05 - Climat de France, progetto di fotografia (2011-2014). Immagine di Stephane Couturier . 06 - L’immagine dei cortometraggi dell’ultima stanza: edilizia residenziale nordafricana. Immagine di Sara Sagui. 07 - Le proiezioni dei cortometraggi nella seconda sala dell’esposizione. Immagine di Sara Sagui. 08 - Le fotografie di S. Couturier, a oscuramento dello spazio, raccolgono la riflessione sullo spazio abitato e il suo abitante. Immagine di Sara Sagui. APPROFONDIMENTI www.photomichaelwolf.com www.architecture-studio.fr
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DECLINAZIONI
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MICROFONO ACCESO Da Venezia verso città ed esperienze internazionali fino alla vittoria del Red Dot Design Award 2014. Il racconto di tre giovani architetti di formazione Iuav
ARIS Architects a cura di Emilio Antoniol Emilio Antoniol, architetto, PhD in tecnologia dell’architettura. e-mail: antoniolemilio@gmail.com
We develop poetic and imaginative concepts into cutting edge designs. We believe in architecture as a form of social, scientific and poetic knowledge. We believe in research to achieve innovative and environmental friendly results, paying great care on detailing. We believe in sustainable buildings because we believe in the future.
Siete tutti e tre architetti di formazione Iuav. Qual è il principale insegnamento che avete fatto vostro durante gli anni dell’università e che ora applicate nella vostra professione? L’insegnamento che abbiamo più di tutti fatto nostro durante la formazione Iuav è sicuramente stato quello di concepire un’architettura profondamente connessa e legata al contesto in cui è immersa e nella capacità dell’architettura stessa di ascoltare il suo genius loci; un’architettura in dialogo con la natura e con l’uomo. Ogni segno sul territorio è infatti un elemento che caratterizzerà un luogo per gli anni a venire e con questo si dovrà relazionare, quindi riteniamo che l’architetto abbia una considerevole responsabilità sociale. Tunisi, Siviglia, Shangai sono solo alcune delle tante città estere che compaiono leggendo i vostri curricula. Che ruolo hanno avuto e hanno attualmente le esperienze all’estero nella vostra attività professionale? Le città in cui vivi arricchiscono la tua esperienza di vita attraverso la conoscenza di persone, luoghi, culture ampliando le tue visioni e questo influenza profondamente l’attività professionale in quanto siamo fermamente convinti che l’architettura sia una forma di conoscenza sociale, scientifica e poetica. Il confronto su un piano extra-italiano ed extra-europeo per noi è stato molto importante perché ci ha permesso non solo di entrare in contatto con diversi modi di lavorare e diverse visioni, ma ci ha anche permesso di stabilire dei contatti fondamentali poi per la pratica professionale, in vista di avere soprattutto uno studio che lavora anche al di fuori dell’Italia. Attualmente Tunisi ha un ruolo molto importante perché da un anno abbiamo aperto in questa città una seconda sede. Tradizione o innovazione? Quale è il vostro rapporto con i materiali dell’architettura? La tradizione è sicuramente importante per un architetto perché mostra come nel corso dei secoli i progettisti abbiano dato delle risposte a delle problematiche, tuttavia pensiamo che questa vada reinterpretata in maniera contemporanea per offrire soluzioni a situazioni attuali soprattutto nell’epoca moderna in cui la società è in costante e rapida trasformazione. Il nostro studio è sicuramente orientato verso un lavoro di ricerca: per ogni progetto infatti cerchiamo di sviluppare delle idee nuove, di ricercare materiali e soluzioni innovative, ovviamente nel rispetto e nella reinterpretazione della tradizione. In genere ogni nostro progetto, sia di architettura che di interior design è caratterizzato dall’impiego di
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materiali innovativi che consentono prestazioni migliori, spessori sempre più ridotti che accostiamo a materiali naturali, materici, come il legno e la pietra. Avete di recente vinto il premio Red Dot Design Award 2014 con la vostra libreria Dots. Come definireste questo avvenimento: un traguardo raggiunto con fatica, uno step intermedio della vostra carriera professionale o un punto di partenza per nuove sfide? Sicuramente per noi il Red Dot Design Award è stato un riconoscimento importante, ma ci auguriamo sia un punto di partenza piuttosto che di arrivo. Considerando che siamo uno studio molto giovane, quest’anno compiremo 30 anni, sarebbe impensabile pensare di essere giunti a un punto di arrivo, anzi secondo noi non esiste un unico traguardo nella vita professionale di un architetto ma più obbiettivi che raggiunti di volta in volta sono il punto di partenza per nuove sfide.
siamo fermamente convinti che l’architettura sia una forma di conoscenza sociale, scientifica e poetica
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In ogni caso vincere il Red Dot è stata un’esperienza fondamentale per il nostro percorso, ci ha permesso di confrontarci su un piano internazionale con altri architetti, designer e aziende, quindi di stabilire delle relazioni di fiducia che sicuramente saranno molto importanti in futuro. Un aggettivo a testa che descriva il vostro modo di fare architettura e il perché di questa scelta. Più che scegliere un aggettivo a testa che descriva il nostro modo di fare architettura preferiremo trovare degli aggettivi che racchiudano il modus operandi di Aris dato che ogni progetto è fatto da più mani che lavorano insieme però con uno stile riconoscibile: in genere i nostri progetti nascono da una grande passione per il nostro lavoro, si rifanno a degli archetipi naturali volendo avvicinare l’ uomo alla natura, hanno delle linee minimali, ma al contempo hanno delle connotazioni grafico-simbolico-decorative che conferiscono carattere al progetto. Secondo noi fare architettura significa non solo dare una risposta ad un bisogno di natura funzionale ma siamo convinti che l’architettura sia una forma di comunicazione che parla soprattutto alla parte emozionale dell’ uomo.
i nostri progetti nascono da una grande passione per il nostro lavoro, si rifanno a degli archetipi naturali volendo avvicinare l’ uomo alla natura
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www.arisarchitects.com Architetti e soci fondatori: Hani Chaouech Alberto Corrado Francesca Zalla e-mail: info@arisarchitects.com
IMMAGINI 01 - ARIS Architects, da sinistra: Hani Chaouech, Francesca Zalla, Alberto Corrado. 02 - La libreria Dots vincitrice del Red Dot Design Awards 2014. 03 - Il progetto della banca BDNES a Rio de Janeiro. 04 - La cucina Paperwood, realizzata secondo la filosofia del vivere vegano e realizzata in carta riciclata. 05 - Il primo progetto della nostra sede a Tunisi, Simple caffè. Immagini di ARIS Architects.
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CELLULOSA
Architettura generativa Flux Structure di Mutsuro Sasaki, 2005
Emilio Antoniol è architetto, Ph.D. in tecnologia dell’architettura. e-mail: antoniolemilio@gmail.com
Sasaki’s book summarizes a series of refl ections and research works developed by the Japanese engineer in recent years. In particular two methods for the definition of complex shaped structures are presented. The Sensitivity Analysis is a shape design method that aim to optimize free curved shells by searching for the optimum shape to minimize the tensions on the surface. The Extended Evolutionary Structure Optimization method (Method Extendex ESO) is instead applied to the design of flux structure: dynamic shapes constantly changing. It aims to minimize the use of structural materials defining organic forms which are subjected to minimal stress. The work is set up as a reflection on the relationship between form and structure, identifying in the human-machine interface a necessary combination for the project realization.
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architettura contemporanea presenta un repertorio sempre più vasto di forme articolate e strutture complesse, volte a ricercare geometrie libere, dinamiche e mutabili, quasi come se la materia dell’architettura potesse essere plasmata come accade nelle strutture organiche. Queste sperimentazioni formali sono state un’importante base di partenza per ricerche volte ad indagare la componente strutturale di queste opere e, in particolare, il legame che sussiste in questi casi tra forma e struttura. Tra i principali esponenti di questo fi lone di ricerca troviamo Mutsuro Sasaki che raccoglie nel suo libro Flux Structure alcune riflessioni in merito ai suoi studi, ai progetti e ai risultai ottenuti negli ultimi anni. Le principali tecniche sviluppate da Sasaki sono la Sensitivity Analysis e l’Extended Evolutionary Structure Optimization method (Extendex ESO Method). Il primo metodo viene utilizzato per l’ottimizzazione di gusci a forma libera, la cui resistenza si basa, per l’appunto, sulla forma stessa della struttura e in cui l’obiettivo è minimizzare le deformazioni della superficie. Tuttavia, rispetto a forme curve come sfere o paraboloidi che sono facilmente descrivibili tramite equazioni matematiche, le superfici a curvature libera non sono altret-
a cura di Emilio Antoniol tanto facilmente analizzabili. Grazie alla computer grafica è stato possibile iniziare a elaborare forme di tale natura unendo in modo approssimato i punti di controllo con splines, ottenendo superfici complesse ma non ottimizzate sul piano meccanico. Per ottenere tale risultato Sasaki propone un metodo di shape analysis 1 chiamato Sensitivity Analysis basato su simulazioni eseguite con software su modelli tridimensionali; tale approccio è volto alla defi nizione della condizione di mimino stress e di minima deformazione del guscio per definirne cosi la forma ottimale. Per la progettazione di strutture evolutive Sasaki propone invece un secondo metodo, l’Extended Evolutionary Structure Optimization method (Extended ESO method). L’ESO method originale si basa sull’idea di eliminare le parti inutili di una struttura al fi ne di ottimizzare l’uso di materiale per resistere ai carichi. L’extended method di Sasaki introduce due nuovi paramentri: superfici tridimensionali (isosurfaces) su cui eseguire le simulazioni e una doppia forma di processo evolutivo, legato non solo all’ottimizzazione della forma sul piano meccanico ma anche rispetto ad alcuni parametri di contesto defi niti a priori quali limiti della trasformazione. Ripetendo l’analisi non lineare sul modello in modo sequenziale è possibile ottenere forme evolutive organiche (denominate flux structure) generate dalla relazione tra la forma desiderata e il
Mutsuro Sasaki è ingegnere giapponese, titolare dello studio SAP dal 1980 e professore alla Hosei University di Tokyo. Le ricerche di Sasaki si sono concentrate negli ultimi anni nella definizione di tecniche avanzate di progettazione strutturale note con il nome di shape design or shape analysis. Tra le più recenti collaborazioni si segnalano gli architetti Toyo Ito e Arata Isozaki, in progetti quali la Mediateca di Sendai e il concorso per la stazione TAV di Firenze.
sullo scaffale
Barucco MariaAntonia, Progettare e costruire in acciaio sagomato a freddo EdicomEdizioni, Monfalcone, 2015
suo comportamento meccanico, garantendo l’uniformità delle tensioni lungo l’intera struttura. Un esempio di questo tipo di applicazione è il progetto per la stazione TAV di Firenze di Isozaki. La forma “ramificata” della parte strutturale è stata defi nita partendo da un’idea formale dell’architetto che è stata a sua volta elaborata dal computer attraverso una sequenza ripetuta di simulazioni evolutive volte ad ottimizzare la risposta meccanica delle varie parti pur nel rispetto di specifici parametri di forma controllati dall’algoritmo stesso. Il risultato è una struttura organica, perfettamente bilanciata, che rispetta però le geometrie selezionate inizialmente dall’architetto. Ciò che Sasaki sottolinea è infatti la necessaria presenza della figura del progettista-designer durante le fasi di elaborazione per evitare che la reiterazione dell’algoritmo evolutivo porti la forma a limiti estremi non più graditi al progettista stesso. Ciò che l’Extended ESO method va prefigurando è quindi uno scenario in cui la forma non è ottenuta automaticamente attraverso un computer ma in cui essa viene defi nita mediante un’interfaccia uomo-macchina in grado di sfruttare l’elevata capacità di calcolo del computer e, allo stesso tempo, di includere il giudizio di valore del progettista. Se le forme sono defi nite in modo arbitrario è impossibile che la struttura fi nale sia governata in modo logico e razionale. Allo
stesso modo i principi base della meccanica non possono essere i soli parametri atti a defi nire le forme degli edifici. È necessario trovare un equilibro tra la razionalità della struttura e la poetica della forma, in altre parole, un equilibro tra la razionalità della macchina e la sensibilità umana.
AA.VV. Nutrire il pianeta, energia per la vita, Catalogo Generale EXPO 2015 Electa Mondadori, 2015
NOTE 1 - La shape analysis o design analysis è un processo che definisce in modo diretto l’optimum strutturale e la forma finale della struttura partendo da alcuni parametri spaziali-formali definiti dal progettista. Al modello viene poi integrata la parte di meccanica strutturale definendo un approccio totalmente opposto a quello della convenzionale analisi strutturale.
Nassim Nicholas Taleb Antifragile. Prosperare nel disordine Il saggiatore, Milano, 2013
ARCHITETT’ALTRO
Il piano B Come un imprevisto si trasforma in una splendida oppurtunità
Lidia Savioli è architetto, graphic designer, illustratrice. e-mail: lidia.savioli@gmail.com www.lidia.me
I’m Lidia Savioli, graduated in Architecture for Sustainability in 2012 with a thesis on the urban regeneration in the city of Nantes. I have been living in Paris for the past four years, with my partner, who is also an architect, and with our 2-year-old baby. I’m mainly working as a graphic designer for an Italian publisher and other customers. I love drawing and I do it in any spare time, hoping it to become my main job, one day. Architecture still has its importance, through small and medium-committees and the architecture competitions in which I participate with the collective I belong to. What at first could look as a B plan - that is a secondary road to be taken from the main one outlined at the beginning - turned out to be a wonderful new way of life, full of unexpected discoveries and experiences.
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ono sempre stata una persona molto determinata, una persona sempre in regola con gli esami e con un programma dettagliato del mio futuro. Credo sia proprio per questo che alla fi ne i piani si sono rapidamente sconvolti e il mio percorso è cambiato radicalmente. Sono Lidia Savioli, laureata in Architettura per la Sostenibilità nel 2012. Ho passato uno splendido periodo Erasmus a Parigi, che ho avuto la fortuna di condividere con una cara amica, vivendo a stretto contatto col mio sogno di lavorare un giorno per Renzo Piano, guardando dalla fi nestra del nostro minuscolo “studio” il Centre Pompidou. Nel 2011, poco dopo aver iniziato la tesi di laurea magistrale e sul punto di cominciare uno stage presso la sede parigina dello studio Jourda Architectes, ho scoperto di aspettare un bambino. Io e il mio compagno, architetto anche lui, date le incertezze economiche che stava già vivendo l’Italia in quel periodo e la nostra voglia di esplorare altre realtà, abbiamo deciso di tornare a Parigi dove entrambi avevamo vissuto e dove ci sentivamo un po’ a casa. L’esperienza nello studio di Françoise Jourda è stata ricca di apprendimento e molto stimolante, ho potuto toccare con mano e mettere davvero in pratica quello che stavo studiando.
di Lidia Savioli Al termine di questo stage mi sono dedicata completamente alla mia tesi di laurea sull’adattamento urbano ai cambiamenti climatici della città di Nantes che, grazie alla disponibilità del mio relatore, il prof. Francesco Musco, ho potuto completare a distanza. Nel frattempo la gravidanza avanzava e nell’agosto 2012 è nato il nostro bimbo. A novembre mi sono laureata con un bambino in braccio e il massimo dei voti e pochi giorni dopo sono tornata a Parigi. A questo punto con la laurea in tasca e tanta voglia di fare, ma anche con un bambino molto piccolo, non potevo rientrare nel percorso che anni prima avevo tracciato. Il consueto percorso del neolaureto in architettura motivato a lavorare nello studio di una qualche archistar. Quella strada ho dovuto abbandonarla per forze di cose. E ho dovuto inventarne una nuova, che mi permettesse di conciliare l’essere una giovane mamma che vive all’estero e l’ambizione che comunque avevo dentro di me. Sono convinta che certi fatti accadono per portarci a vivere altre esperienze che mai avremmo vissuto se non ci fossero capitati degli imprevisti. Il tutto sta, secondo me, nel continuare a camminare, a scoprire, ad ascoltarsi, a proseguire lungo la strada che ci viene posta davanti ai nostri piedi. Ho cercato quindi di unire quello che amavo fare con le possibilità che avevo in quel momento. Mi sono messa a disegnare in tutti i momenti liberi che avevo, che all’i-
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nizio coincidevano con i momenti in cui il bambino dormiva, ho studiato per conto mio grafica e ho fagocitato quante più informazioni, immagini, suggestioni potevo, dai libri, dalla città, da internet. Ho cominciato piano piano a fare piccoli lavori di grafica, a partecipare a dei concorsi online, a disegnare loghi per qualche cliente, affiches promozionali per eventi e festival organizzati da amici e conoscenti. La mia grande passione è però, sicuramente, l’illustrazione. Cerco di disegnare ogni volta che posso, lo faccio per me principalmente ma non nascondo che mi piacerebbe che un giorno facesse parte del mio lavoro. Disegno principalemente a matita su diversi cahier che ho sparsi per la casa e ne ho sempre uno con me in borsa. È però con la tavoletta grafica, illustrator e photoshop che mi sento più a mio agio e che realizzo la maggior parte delle mie tavole. Recentemente ho cominciato a dedicarmi anche al mondo dell’illustrazione 3D e mi sta piacendo parecchio. L’architettura a volte fa capolino nei miei disegni, come ad esempio nell’illustrazione con cui ho partecipato al concorso organizzato dalla città di Torino con tema la Mole Antonelliana e con cui sono stata selezionata insieme ad altri 24 artisti tra quasi 2000 partecipanti di più di 30 paesi. Studiare architettura mi ha dato non solo un metodo, un modo per organizzare il mio lavoro, ma anche un punto di vista molto 02
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sono convinta che certi fatti accadono per portarci a vivere altre esperienze che mai avremmo vissuto se non ci fossero capitati degli imprevisti
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pragmatico e al contempo onirico. Mi rendo conto di guardare alle cose, soprattutto alla mia città, “da architetto”, e questo penso sia un imprinting che non se ne andrà. Ora vivo a Parigi da ormai 4 anni. Mi occupo principalmente di grafica e collaboro con una casa editrice italiana da quasi un anno. Anche qui l’occasione è arrivata per caso, dalla telefonata di un caro amico. Era un’occasione per cui non ero minimamente preparata ma mi si è svelato un mondo, quello dell’editoria, che sto amando molto. L’architettura, nella sua forma più classica, non è svanita del tutto dalla mia vita, anzi. Io e il mio compagno abbiamo avuto qualche commisione, soprattutto per quanto riguarda l’architettura di interni. Al con-
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tempo faccio parte del collettivo WeWoW fondato nel 2013 con altri 5 amici architetti. Insieme partecipiamo a svariati concorsi di architettura ed è un modo per continuare a lavorare assieme a progetti più o meno visionari. Oltre a questo, con il collettivo, offriamo servizi di immagini per l’architettura, di modellazione 3D, di progettazione vera e propria e, appunto, di grafica, sfruttando le competenze di ciascuno. Passo ancora spesso davanti allo studio di Renzo Piano, sbircio dalla vetrina del laboratorio dei plastici che fronteggia una delle vie più belle del Marais, e il sogno, quello di poter un giorno, chissà in che modo, chissà per quali circostanze, lavorarci, ecco quel sogno, ogni tanto esce fuori.
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studiare architettura mi ha dato non solo un metodo, un modo per organizzare il mio lavoro, ma anche un punto di vista molto pragmatico e al contempo onirico
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mi rendo conto di guardare alle cose, soprattutto alla mia città, “da architetto”, e questo penso sia un imprinting che non se ne andrà
IMMAGINI 01 - Lidia Savioli. 02 - Manifesto realizzato per la promozione del Laboratorio dal Basso sugli Archivi Audiovisivi, Bari 2014. 03 - Illustrazione, progetto personale, “La Valise”. 04 - Illustrazione, progetto personale, “Ikea aka. La scrivania che finalmente arrivò”. 05 - Illustrazione realizzata per il concorso “That’s a Mole”, Torino 2014. Immagini di Lidia Savioli.
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(S)COMPOSIZIONE
Mixed-tape Lato A 1. Spice Girls, Wannabe, 1996 2. Backstreet Boys, Everybody (Backstreet’s Back), 1997 3. All Saints, Never ever,. 1997 4. Take That, Back for good, 1995 Lato B 1. Paola e Chiara, Amici come prima, 1997 2. I ragazzi italiani, Vero amore, 1997 3. Ambra, T’appartengo, 1994 4. 883, Come mai, 1993
Immagine di Daria Petucco
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