ISSN 2384-9029
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lug-ago 2015
OFFICINA* Bimestrale on-line di architettura e tecnologia N.07 luglio-agosto 2015 ISSN 2384-9029 Rivista consultabile e scaricabile gratuitamente su : www.officina-artec.com/category/publications/officina-magazine
DIRETTORE EDITORIALE
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
Emilio Antoniol
Luca Ariedi , Alice Biasia, Denis Borso, Laura Bottaro, Michele Bruttomesso, Giacomo Cipolato, Otto Climan, Paolo Dosso, Riccardo Fiorin, Chiara Gaspardo, Michele Menegazzo,
COMITATO EDITORIALE
Andrea Meneghelli, Dario Moretto, Antonio Musacchio, Giusy Laura Pascarelli, Marco Picone,
Valentina Covre
Raffaella Reitano, Federico Riccato, Federica Sgambaro, Alberto Stangherlin, Sara Stangherlin,
Francesca Guidolin
Sara Todeschini, Alessandro Venerandi, Giordano Zennaro
Daria Petucco REDAZIONE Margherita Ferrari Valentina Manfè
IMPAGINAZIONE GRAFICA
Chiara Trojetto
Margherita Ferrari
PROGETTO GRAFICO Valentina Covre Margherita Ferrari Chiara Trojetto
EDITORE Self-published by Associazione Culturale OFFICINA* info@officina-artec.com ArTec - Archivio delle Tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale Università Iuav di Venezia Copyright © 2014 OFFICINA*
Dimmi ciò che mangi e ti dirò chi sei Così finalmente ci mettemmo a tavola […] Fu servito un antipasto di gran classe, che tutti ormai erano a tavola, all’infuori di lui, Trimalcione, al quale in nuova usanza era riservato il primo posto. Quanto al vassoio, vi campeggiava un asinello in bronzo corinzio con bisaccia, che aveva olive bianche in una tasca, nere nell’altra. Ricoprivano l’asinello due piatti, su cui in margine stava scritto il nome di Trimalcione e il peso dell’argento. E vi avevano saldato ancora dei ponticelli, che sostenevano ghiri cosparsi di miele e papavero. E c’erano dei salsicciotti a sfrigolare su una graticola d’argento, e sotto la graticola susine di Siria con chicchi di melagrana. […] ecco quattro valletti accorrere danzando a suon di musica e togliere il coperchio dell’alzata. Ciò fatto, vediamo lì dentro capponi e pancette, e in mezzo, a far da Pegaso, una lepre fornita d’ali. E notammo ancora agli angoli dell’alzata quattro figure di Marsia, dai cui otricelli scorreva una salsa pepata, con sotto dei pesci che nuotavano in una specie di euripo. (Satyricon, Petronio Arbitro, I sec. d.C.) Questo testo è tratto dalla Cena Trimalchionis, un episodio del Satyricon di Petronio che descrive, attraverso usi e costumi alimentari, uno spaccato della società del tempo. La grottesca rappresentazione del banchetto e la minuziosa descrizione delle bizzarre pietanze diventa un modo per analizzare la stravagante vita di un liberto arricchito in una società, quella romana, spesso al limite dell’eccesso. Cibo e usi alimentari sono efficaci strumenti di descrizione anche della cultura e della società contemporanea. Ne offre un esempio l’Expo di Milano che, proprio attraverso questi temi, cerca di leggere le nuove sfide e le contraddizioni dell’era moderna: dai processi sostenibili allo spreco di risorse tra tradizione e innovazione, dagli eccessi alimentari fino alla penuria di cibo, in un clima di magra
Chiara Trojetto
oppulenza rappresentata dal piatto vuoto in questa pagina.
INDICE 4
ISSN 2384-9029
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ESPLORARE La coltivazione e l’uso degli agrumi nelle Ville Venete di Valentina Manfè Arte e vino. Due eccellenze in una mostra unica di Margherita Ferrari FAV Festival des Architectures Vives di Francesca Guidolin
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6 in copertina: Fatti in casa! 2015 immagine di Laura Bottaro*
*Laura Bottaro, architetto e graphic designer. Ama sperimentare tramite diversi linguaggi visivi, unendo l’arte alle nuove tecnologie. Guarda, fotografa, taglia, illustra, sistema la realtà. Ha studiato Scienze dell’Architettura presso l’università Iuav di Venezia e attualmente studia Creatività e Design della Comunicazione presso l’università IUSVE di Venezia.
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QB. INTERAZIONI CON IL MONDO DEL CIBO introduzione di Valentina Manfè La risorsa acqua: dai tempi passati ai tempi dell’Expo di Raffaella Reitano Un ecosistema integrato nell’architettura di Andrea Meneghelli NonèpescEXPOchi di Federico Riccato, Marco Picone, Giacomo Cipolato, Riccardo Fiorin Orti sinergici e permacoltura di Alberto Stangherlin, Sara Stangherlin, Federica Sgambaro, Denis Borso L’altenativa alla grande industria e alla grande distribuzione di Chiara Gaspardo e Sara Todeschini Contadini ai piani alti di Antonio Musacchio La geomatica a supporto dell’agricoltura di precisione di Paolo Dosso
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PORTFOLIO Campagna abbandono di Alessandro Venerandi
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IN PRODUZIONE Impronta ecologica leggera di Emilio Antoniol
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VOGLIO FARE L’ARCHITETTO Touch Security House di Dario Moretto e Luca Ariedi
Alimentare lo sguardo di Michele Bruttomesso, Otto Climan, Giordano Zennaro
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IMMERSIONE Riciclare con creatività di Margherita Ferrari
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DECLINAZIONI Note tra i Cluster di Emilio Antoniol
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MICROFONO ACCESO Una cucina di sostanza a cura di Michele Menegazzo
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CELLULOSA Un’idea del cavolo? a cura di Emilio Antoniol
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ARCHITETT’ALTRO Quando l’architettura incontra l’agricoltura di Alice Biasia
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(S)COMPOSIZIONE Un Caffè? di Giusy Laura Pascarelli
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ESPLORARE
La coltivazione e l’uso degli agrumi nelle Ville Venete
Arte e vino. Due eccellenze in una mostra unica
FAV Festival des Architectures Vives
Museo Nazionale di Villa Pisani Stra, Venezia 01 aprile - 30 novembre 2015 www.villapisani.beniculturali.it
Gran Guardia Verona 01 aprile - 16 agosto 2015 www.mostraarteevino.it
10 – 14 giugno a Montpellier 20 – 28 giugno a La Grand Motte
Sulla Riviera del Brenta si trova la “Regina delle ville venete”, Villa Pisani, antica residenza trasformata in Museo Nazionale. L’esposizione tratta i temi della cucina in Italia, in particolare si racconta la coltivazione e l’uso degli agrumi che da sempre ha occupato un’ampia parte del giardino. La mostra raccoglie una serie di riproduzioni fotografiche in bianco e nero, alcune d’autore, che vogliono offrire uno spaccato della società italiana dal 1870 al 1960 in relazione al cibo. la mostra si svolge nei corridoi del piano nobile della Villa e nella Casa del Giardiniere, per culminare nell’Orangerie del giardino, cuore dell’esposizione. Questo spazio è stato costruito nell’800 come una sorta di hortus conclusus, un giardino nel giardino, recintato da carpini e statue di pietra. In occasione della mostra è possibile ammirare e comprendere la collezione di agrumi - peraltro accessibile tutto l’anno - di Villa Pisani. “La coltivazione e l’uso degli agrumi nelle ville venete” è una sezione della mostra “Italiani a tavola 1860-1960. Storia fotografica dell’alimentazione, della cucina e della tavola in Italia.”
Prosegue la mostra alla Gran Guardia di Verona, che ritrae il vino nelle sue numerose sfumature. Oltre 180 opere provenienti da musei e collezioni private, autori come Lotto, Tiziano fi no a Morandi e Picasso, descrivono il vino attraverso i suoi colori, le sue forme e le espressioni di coloro che lo circondano. Protagonista di numerosi banchetti, ma anche di episodi più “torbidi”, il vino viene esaltato proprio come “momento d’incontro”. Attraverso la pittura, la scultura e l’arte decorativa, si celebra uno dei prodotti più rappresentativi dell’Italia e non solo, della stessa arte culinaria: dai grappoli d’uva ai calici in festa, a esaltare così il dialogo con l’essere umano. La mostra offre dunque allo spettatore la possibilità di degustare in maniera differente il vino, attraverso dettagliati dipinti, raffi nati calici e minuziose sculture, potendo così sorseggiare nuove emozioni. La mostra è prodotta e organizzata da Villaggio Globale International e da Skira; l’esposizione è curata da Annalisa Scarpa e Nicola Spinosa.
Montpellier e La Grande Motte aprono anche per il 2015 le proprie porte al Festival des Architectures Vives, per la sua decima edizione. L’associazione Champ Libre, creata nel 1999, organizza il festival che ha come obiettivo coniugare l’architettura contemporanea con l’apertura dei luoghi a forte caratterizzazione storica della città. Al primo posto, nell’interesse della manifestazione vi è la sensibilizzazione del grande pubblico sul tema dell’architettura. Per il 2015, il Festival propone 19 siti, in cui vengono collocate delle architetture “vive”: installazioni effimere, di piccola scala e semplici nella realizzazione. Il tema proposto per il 2015 è la Dixième, la Decima, dal momento che si tratta della ricorrenza della decima edizione dell’evento. Due sono le città coinvolte: Montpellier, dal 10 al 14 giugno, e La Grande Motte, dal 20 al 28 giugno. Le installazioni, disseminate nella città, accolgono ogni anno migliaia di visitatori, numeri in crescita costante: dai 3.500 del 2006 ai 14.000 del 2014. Le due città si organizzano diversamente:
di Valentina Manfè
di Margherita Ferrari
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www.festivaldesarchitecturesvives.com
di Francesca Guidolin
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F. Balestrieri, C. Vazquez-Moreno
mentre a Montpellier, luogo storico del festival, viene studiato e proposto un percorso nel cuore della città storica, in cui le corti interne e private sono visibili al visitatore, a La Grande Motte, invece, è l’architettura di Jean Balladur, riconosciuta “patrimonio del XX secolo”, ad essere messa in prospettiva e celebrata, attraverso il lavoro delle giovani generazioni di architetti e un percorso urbano e marittimo. Il padiglione principale dell’esposizione, affidato ogni anno ad una equipe diversa, costituisce il punto di partenza del percorso, accoglienza e informazione per il pubblico, nonché il punto in cui viene riproposto e illustrato il percorso dei FAV. Come partecipare. La partecipazione è aperta a tutti i giovani studi di architettura. Infatti ogni anno nel mese di settembre viene aperto un bando di concorso internazionale da parte dell’associazione Champ Libre. Per partecipare è sufficiente inviare una presentazione del proprio studio o dell’équipe di lavoro, un curriulum con le referenze e le esperienze di lavoro e una lettera d’intenzioni, in risposta al tema scelto per l’edizione. Agli studi selezionati è poi affidata la progettazione dell’installazione, da realizzarsi in un mese e mezzo. La consegna definitiva è prevista per il mese di marzo. Ai selezionati spetta poi, cinque giorni prima dell’apertura del Festival, la costruzione del proprio progetto in sito. Da annotare per settembre!
Planet nutrition and energ y for life are very close to architecture, technolog y and design. The Universal Exhibition in Milan is an excellent expression of this union. Expo, since 1851 generates time and space to show to the world ambitious goals which man have achieved. Architecture, which has been defined as art of building shelter, due to this reason is the first of the arts; it becomes the noble tool to make possible the Exposition. Temporary and permanent architectures contribute to a great dialogue that makes Italy meeting the World and the World meeting Italy. Moral heart of Expo Milan 2015 is the Zero Pavilion, a space for refl ection and an ideal space of origin. The keyword here is “memory”. Memory as knowledge; the transition of man from nomad to sedentary that led to known the idea of “community”. Core is the idea of conviviality, food is the glue for the dialogue between people; the table becomes a place for discussion and unity where we are invited to remember this concept: “bread feeds the body but spirit also needs to be nourished.” Expo becomes the shows of human genius; it is about landscape and its modifications to satisfy human needs. It focuses on issues as waste, losses of food and the importance of conservation. It elevates the preservation of natural landscapes that are able to give nourishment to the planet without human intervention. Architecture becomes the tool of this narrative and water is the central theme. Water is present in the masterplan concept both for its symbolic value and for the technical importance within the area, which was designed as a wide island surrounded by a canal with important phytodepuration facilities.
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Most arid countries in the world talk about their use of water, like the Oman system of water channels that become an UNESCO Heritage Site, and the large desalination systems of Kuwait, which allow to humidify the air of the country. Italy offers a variety of issues including projects for urban and vertical vegetable gardens; it also shows systems of production control with electronic instruments inside the Future Food District. Italy shows its biodiversity not only made of animals, plants and ecosystems, but also of knowledge and traditional techniques possible to be recovered. The challenge of Expo - also highlighted in the Carta di Milano - is to ensure the proper nourishment to all people on earth and feed the planet in a sustainable way, while saving natural resources, the social and economic welfare and people’s health. Quoting Mr. Palomar by Italo Calvino “you do not need only the capability to see, you need also the willingness to do it”
Laura Bottaro
INTERAZIONI CON IL MONDO DEL CIBO
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a nutrizione del pianeta e l’energia per la vita, sono temi molto vicini all’architettura, alla tecnologia e al design. L’Esposizione Universale a Milano rappresenta una brillante espressione di questo connubio. L’Expo, dal 1851 genera un momento ed uno spazio di condivisione degli ambiziosi traguardi raggiunti dall’uomo permettendo di esporli ed esibirli al mondo. L’architettura, arte dell’uomo di costruirsi un riparo e per questo prima tra le arti, diventa il nobile strumento per rendere possibile l’esposizione. Architetture che permangono e architetture effimere che verranno smontate, tutte a concorrere ad un grande dialogo che genera l’incontro dell’Italia con il mondo e del mondo con l’Italia. Il cuore morale di Expo Milano 2015 è Padiglione Zero, momento d’origine, spazio di riflessione. Entrarvi significa entrare nelle viscere della terra, dove la parola d’ordine è “memoria”. La memoria come conoscenza; l’uomo e il suo passaggio dalla vita nomade a quella stanziale con la quale ha conosciuto il concetto di “comunità”. L’idea di convivio è centrale, il cibo rappresenta un collante per il dialogo tra le persone e il tavolo, realizzato qui come una Pangea, diventa luogo di confronto, di racconti e di unità, dove si ricorda che “non di solo pane si nutre l’uomo, ma anche di nutrimento dello spirito”. L’Esposizione Universale diventa esposizione dell’ingegno umano che interviene sul paesaggio e lo modifica a proprio servizio, sottolineando la problematica e il paradosso dello spreco, delle perdite di
di Valentina Manfè cibo e l’importanza della conservazione, elevando la presenza dei paesaggi naturali che, anche senza l’intervento dell’uomo, sono capaci di dare nutrimento al pianeta. L’architettura diventa il veicolo di questa narrazione e l’acqua è tematica centrale. L’acqua è presente nel concept di progetto del masterplan di Expo sia per la sua valenza simbolica che per l’importanza tecnica all’interno dell’area, la quale è stata pensata come una grande isola circondata da un canale con importanti impianti di fitodepurazione. I Paesi più aridi del mondo raccontano il loro uso dell’acqua, che va dal fascino del sistema di apertura dei canali d’acqua dell’Oman, diventati patrimonio dell’UNESCO, ai grandi impianti di desalinizzazione presenti in Kuwait, che permettono di umidificare l’aria del paese. L’Italia racconta svariate tematiche, tra cui progetti di orti urbani, di orti verticali e di controllo della produzione con strumenti elettronici, mettendo in scena l’area tematica del Future Food District. Espone la sua biodiversità che non è fatta solo di varietà animali, vegetali e di ecosistemi, ma anche di saperi e tecniche tradizionali che abbiamo l’occasione di recuperare. La sfida di Expo, sottoscritta anche nella Carta di Milano, consiste nell’assicurare il giusto nutrimento a tutti gli uomini sulla terra e nutrire il pianeta in modo sostenibile, tutelando le risorse naturali, il benessere sociale ed economico e la salute delle persone. Come recita il signor Palomar di Italo Calvino, non è sufficiente la capacità di guardare ma è necessaria la voglia di farlo.
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La risorsa acqua: dai tempi passati ai tempi dell’Expo L’acqua di origine atmosferica come comune denominatore di sempre
Raffaella Reitano è architetto, PhD in tecnologia dell’architettura presso l’Università Iuav di Venezia. e-mail: raffaellareitano@gmail.com
Different countries in terms of geography, climate and availability of water from different sources have adopted in the past and still adopt targeted choices for the harvesting of water necessary for the survival of their populations. In these contexts the water resource from atmospheric origin has been often considered a useful alternative to satisfy the different needs related to water of the populations. Today, in conjunction with the event of the year, Expo 2015, the role of water is again at the center of attention and, through the Pavilion Aquae, it’s organized in themes for different areas such as the Green Drop - water that feeds, the White Drop - water that carries and energ y, and the Blue Drop - water to drink. The existing systems for water harvesting and collection from atmospheric origin, could respond to the current problems raised by the Expo and could still have a positive impact on the total consumption of water for meeting water demand or to mitigate the adverse phenomena of soil erosion, as well as they could be a source of experiences and useful insights.
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L’
di Raffaella Reitano
importanza che la risorsa acqua riveste nel mondo e in tutti i processi legati alla vita e alla nutrizione degli esseri viventi è cosa ormai nota1. Proprio la stretta correlazione tra acqua e alimentazione ha permesso che l’evento dell’anno, l’Expo Milano 2015, dedicato ai temi del cibo e della nutrizione, riservasse alla risorsa acqua un padiglione ad hoc, nella Laguna di Venezia, riconoscendo quanto essa incida profondamente sulle nostre vite. Per l’occasione, infatti, è stato progettato e costruito il Padiglione Aquae2 , unica collaterale ufficiale di Expo, in cui la grande protagonista è l’acqua. Nel mondo le differenti condizioni idriche hanno inciso in modo più o meno profondo su culture, tradizioni e metro di misura del valore dell’acqua necessaria al soddisfacimento delle esigenze di popolazioni e di civiltà, nonostante l’essenziale importanza assunta dalla risorsa poiché strettamente legata alla sopravvivenza 3. L’acqua in natura è infatti presente e disponibile ma il 99,66% della risorsa risulta non direttamente utilizzabile poiché salata (mari e oceani - 97,20%), ghiacciata (ghiacciai e calotte polari - 2,15%) e/o perché presente in lenti d’acqua sotterranee troppo profonde per essere convenientemente prelevate per utilizzi antropici (falde sotterranee profonde - 0,31%). Il rimanente 0,34% effettivamente utilizzabile dall’uomo per i propri bisogni è rappresentato da fiumi, laghi e strati acquiferi presenti nei primi 800 metri di crosta terrestre4. Sebbene si tratti comunque di una considerevole quantità d’acqua, sufficiente a soddisfare i bisogni, almeno primari, delle popolazioni presenti sulla Terra, la sua distribuzione disomogenea ha sempre generato problematiche differenti nei diversi contesti del mondo (img. 01). Esistono, infatti, realtà molto ricche d’acqua che non hanno mai fronteggiato problemi di discontinuità nella disponibilità idrica e che non si sono mai preoccupate di quanto accadesse al di là della
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fornitura idrica garantita al proprio domicilio. Mentre vi sono realtà che da sempre hanno dovuto fare i conti con le effi mere quantità d’acqua presenti nei propri territori, cercando di sfruttare al meglio le risorse, talvolta lottando per la propria sopravvivenza. La noncuranza della disponibilità idrica del primo caso ha garantito una certa tranquillità nell’utilizzo: sono stati così resi possibili la permanenza in uno stesso territorio, lo sviluppo e la crescita economica di popoli e culture, pur comportando talvolta sprechi e utilizzi spregiudicati di acqua, quasi secondo la logica melius abundare quam deficere. L’attenzione meticolosa al risparmio idrico “fi no all’ultima goccia” del secondo caso ha comportato, invece, situazioni meno evolute da un punto di vista economico e tecnologico5 poiché completamente rivolte all’ottimizzazione della gestione di tutte le risorse, specialmente idriche, talvolta sconfi nando nell’utilizzo di risorse statiche quali quelle fossili6.
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i sistemi esistenti per l’approvvigionamento e la raccolta dell’acqua da fonte atmosferica sono oggi ricollocabili perfettamente all’interno delle categorie proposte da Expo Milano 2015 nel Padiglione Aquae: Green Drop, White Drop e Blue Drop
I paesi che manifestano differenze geografiche, climatiche, meteorologiche e di disponibilità della risorsa idrica dalle diverse fonti hanno adottato in passato e adottano tuttora scelte mirate per l’approvvigionamento e la raccolta dell’acqua necessaria alla sopravvivenza delle proprie popolazioni. In questi contesti la risorsa acqua di origine atmosferica è stata spesso considerata una valida alternativa utile al soddisfacimento parziale o totale delle differenti esigenze legate alla risorsa idrica per le popolazioni esistenti.
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L’acqua da fonte atmosferica si pone, allora, come il comune denominatore dei differenti tipi di realtà esistenti, dimostrandosi una risorsa sostenibile in grado di svolgere un ruolo rilevante di mitigazione delle criticità idriche: nei paesi con mancanza di disponibilità di risorsa idrica, generalmente quelli dal clima arido, l’acqua presente nell’aria calda e umida e nel sottosuolo, dove le precipitazioni si sono raccolte nel tempo sotto forma di falde freatiche, rappresenta una risorsa da conquistare per garantire la sopravvivenza delle popolazioni che abitano questi ambiti; nelle realtà che hanno presentato abbondanza di risorsa in passato e nel presente l’acqua da fonte atmosferica si presenta come una delle nuove possibilità da considerare per il prossimo futuro, quando non avranno uguale disponibilità, in alternativa allo sfruttamento delle risorse superficiali e sotterranee ancora esistenti ma in depauperamento. Inoltre nei paesi caratterizzati da grande disponibilità idrica l’acqua di origine atmosferica attualmente può rappresentare un grosso problema se considerata legata allo smaltimento idrico delle reti di drenaggio urbano, in cui le acque di scarico non sono separate da quelle meteoriche. In tali paesi proprio la gestione dell’acqua meteorica attraverso sistemi di captazione e raccolta, che permettono di tardare i deflussi, può contribuire positivamente alla risoluzione dei problemi di eccesso idrico in particolari situazioni calamitose. Prendendo quindi in considerazione l’acqua di origine atmosferica, elemento chiave per quanto detto fi nora, e guardando al passato,
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nel quale queste tecnologie erano molto utilizzate, è possibile dimostrare come i sistemi esistenti realizzati e costruiti per l’approvvigionamento e la raccolta dell’acqua da fonte atmosferica siano oggi ricollocabili perfettamente all’interno delle attuali categorie proposte da Expo Milano 2015 nel Padiglione Aquae: Green Drop l’acqua che alimenta, White Drop - l’acqua che trasporta e Blue Drop - l’acqua che si beve7. In altre parole è possibile affermare che è ancora molto ciò che si può imparare dal passato e dalle scelte effettuate nei differenti contesti in termini di captazione e stoccaggio della risorsa acqua per usi necessari alla soddisfazione delle attuali esigenze di crescita e di sviluppo. Un passato considerabile esemplare poiché fortemente caratterizzato da atteggiamenti, consapevolezze e responsabilità che potremmo defi nire sostenibili ante litteram. Per la sezione Green Drop, per esempio, che considera l’acqua legata a usi agricoli, grande imputata per il considerevole utilizzo di risorsa e per la contaminazione delle falde, si potrebbero osservare i sistemi quali microcatchment e macrocatchment, tipici delle realtà in cui scarseggiano le risorse idriche e che ancora oggi, in alcuni contesti sussistono. In tali aree era possibile coltivare i campi e permetterne l’irrigazione attraverso l’utilizzo di acqua di origine atmosferica grazie a semplici movimentazioni del terreno. Tali sistemi, riconosciuti nella tipologia runoff farming 8, sono costruiti per irrigare aree coltivate attraverso l’uso di acqua proveniente
è ancora molto ciò che si può imparare dal passato e dalle scelte effettuate nei differenti contesti in termini di captazione e stoccaggio della risorsa acqua
da precipitazione atmosferica e acqua di inondazione. Possono prevedere sistemi di raccolta dell’acqua captata in bacini e cisterne ma generalmente l’utilizzo della risorsa è simultaneo all’evento atmosferico e l’acqua captata viene esclusivamente convogliata all’area di infi ltrazione predisposta che corrisponde all’area coltivata. Le due diverse tipologie di microcatchment e macrocatchment, le cui declinazioni sono schematicamente rappresentate nell’immagine 02, si differenziano principalmente per l’estensione dei sistemi stessi: - i sistemi di microcatchment presentano la superficie di captazione adiacente alla superficie coltivata e l’estensione di tali soluzioni varia tra i 2 - 1000 m 2 , e sfruttano le dolci pendenze e i conseguenti ruscellamenti dell’acqua meteorica captata; - i sistemi di macrocatchment presentano l’area di captazione molto esterna all’area coltivabile, che spesso corrisponde ai pendii delle montagne con pendenza variabile tra il 5 e il 50%. Tali sistemi sfruttano il runoff più turbolento, con precipitazioni da 100 a 1000 mm/anno, che presenta una velocità ben diversa da quella di ruscellamento; le superfici di sviluppo vanno da 1000 m 2 a 200 ha. Seppur limitata, tali sistemi prevedono la ricarica di falda e la facilità di progettazione e di costruzione in contesti idonei e l’efficienza del sistema (le perdite sono molto limitate) rendono queste soluzioni facilmente adattabili e replicabili concorrendo anche ad un controllo dei fenomeni di erosione legati al runoff. La sezione White Drop, legata al trasporto, all’utilizzo strategico
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dell’acqua per l’energia, può trovare nel passato una corrispondenza con i sistemi dei pozzi a ripiano o qanat e con i condensatori o foggara tipici delle aree desertiche caratterizzate da quasi totale assenza di risorsa idrica in situ. Di origine persiana, il sistema pozzo a ripiano o qanat nasce circa 3000 anni fa e prevede una galleria scavata nel sottosuolo larga circa 60 - 80 cm e alta 140 - 190 cm, di lunghezza pari a più di 30 km. Lo scavo era effettuato alla ricerca di una fonte idrica sotterranea non molto distante dal centro abitato che si voleva rifornire, dalla quale era prelevata l’acqua e fatta scorrere lungo la galleria. Questo tunnel scavato aveva una pendenza di circa il 5 per mille in modo da garantire la fornitura idrica al punto necessario alla corretta velocità e con portata costante, incrementata da acqua piovana fi ltrata dagli strati permeabili soprastanti il sistema e da infi ltrazioni sotterranee. La portata d’acqua poteva misurare diverse decine di l/s e questo sistema prevedeva forature verticali, pozzi di aerazione disposti a distanze dai 20 ai 50 m l’uno dall’altro, a seconda dello sviluppo lineare del sistema, in grado di mantenere costante la pressione atmosferica a livello del suolo e quella sul fondo della galleria. Tali pozzi erano necessari alla costruzione del tunnel e la terra di scavo ricavata era riutilizzata in sommità: a livello del suolo il materiale veniva accumulato attorno alle aperture dei pozzi di aerazione in modo da preservarli da inquinamenti, quali terra e sabbia trasportati dal vento, e da segnalarne la presenza per questioni di sicurezza (img. 03).
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Il sistema condensatore - foggara, invece, è un sistema in grado di captare l’acqua dall’aria umida proveniente dai palmeti delle oasi adiacenti alla soluzione stessa attraverso il passaggio della massa aerea carica di vapore acqueo all’interno del tunnel scavato nella roccia del luogo. Generalmente questa soluzione comprende una galleria ipogea di diverse decine di chilometri, scavata secondo una pendenza in grado di convogliare l’acqua captata per condensazione sulle pareti del sistema stesso verso la zona desiderata (img. 04) e una serie pozzi verticali di aerazione che concorrono alla costruzione stessa del sistema. La quantità d’acqua captata per condensazione dell’aria umida poteva essere incrementata da infi ltrazioni idriche sotterranee. Una volta giunta al punto fi nale l’acqua captata era ripartita secondo le quote di proprietà tramite un bacino di forma triangolare che presentava il vertice nel punto fi nale della galleria ed era caratterizzato da un elemento a forma di pettine dalle aperture di larghezza variabile per la suddivisione idrica. All’ultima sessione, la Blue Drop, che prevede la trattazione della risorsa acqua quale rete per lo sviluppo urbano, possono collegarsi i numerosi sistemi del passato costruiti e utilizzati per garantire, alla fi ne del processo di approvvigionamento e raccolta, l’uso per scopi potabili della risorsa idrica così captata e stoccata. Tali sistemi comprendono sia le cisterne fi ltranti (note anche come “cisterne veneziane”) tipiche dei contesti in cui la risorsa acqua era presente ma comunque necessaria per scopi comuni potabili, sia i condensa-
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tori - camere di condensazione e i loro eredi, i teli raccogli nebbia, nei quali l’acqua raccolta risulta priva di agenti inquinanti micro e macroscopici, quindi quasi distillata. La cisterna fi ltrante era un sistema in grado di garantire acqua potabile grazie ai sistemi di fi ltrazione predisposti. Essa è caratterizzata da uno scavo profondo almeno 3 metri, impermeabilizzato con argilla e sabbia compresse e riempito di sabbia silicea ben lavata, al centro del quale veniva posizionata la canna, generalmente realizzata in elementi di laterizio, in comunicazione con la vasca suddetta grazie alle fughe non sigillate tra gli elementi. L’acqua piovana raccolta dalle coperture e dalle pavimentazioni superiori entrava nella vasca e veniva fi ltrata prima di essere conservata nella canna di laterizio. Questo sistema doveva subire continua manutenzione in modo da garantire un elevato grado di qualità della risorsa conservata (img. 05). I condensatori - camere di condensazione, risalenti alla prima metà del ‘900, sono invece sistemi che originariamente corrispondevano a cumuli di pietre tipici delle culture pastorali preistoriche che potevano essere elementi rappresentativi puntuali oppure veri e propri recinti costruiti generalmente nelle oasi delle aree desertiche. In entrambi i casi tali sistemi, costruiti per funzioni differenti (culto, religione, sicurezza e protezione) erano dei veri e propri produttori di acqua grazie alla condensa che gli elementi della soluzione realizzata permettevano con la loro disposizione, la massa e l’inerzia termica. Negli ultimi tempi questi sistemi hanno subito un’evoluzione nella tipologia formale e costruttiva e nel tipo di materiali utilizzati per
la costruzione e vi è stata la nascita dei condensatori - teli raccolta nebbia. Questi sistemi innovativi prevedono l’utilizzo di teli di condensazione composti da materiali e tessuti plastici impiegati in grandi superfici intelaiate in pannelli metallici e sono corredati da elementi per la raccolta diretta dell’acqua captata. Tali tessuti sono testati sulla base dell’idoneità e della capacità di condensare l’acqua atmosferica e spesso presentano caratteristiche idrofi le e, al contempo, idrofughe, in modo da garantire entrambe le fasi di captazione dell’aria carica di vapore acqueo e la sua trasformazione in forma liquida, oltre al successivo convogliamento verso opportuni sistemi di raccolta9. Analizzando i sistemi del passato alla luce dei diversi aspetti attualmente considerati da Expo attraverso Aquae è possibile rendersi conto di quanto le odierne tematiche con cui l’uomo si sta confrontando abbiano origini lontane e provengano dai diversi ambiti del mondo. Essendo giunti al 2015 c’è da chiedersi: nel passato di acqua ce n’era di più oppure era semplicemente gestita meglio? Sicuramente entrambe le cose. L’analisi fatta fa comprendere quanto i sistemi per l’approvvigionamento e la raccolta dell’acqua di origine atmosferica del passato, calati nelle opportune realtà di riferimento, possano ancora oggi incidere positivamente sui consumi di acqua totale per il soddisfacimento del fabbisogno idrico o per la mitigazione dei fenomeni negativi di erosione del suolo. Tutto ciò attraverso tecnologie low, tipiche dei tempi in cui la poca tecnologia presente e la grande necessità di sfruttare al meglio ciò che si aveva a disposizione portava ad assumere atteggiamenti e responsabilità rilevanti per l’ambiente di riferimento. Con lo sguardo puntato al futuro in cui la disponibilità idrica potrà solo giungere a livelli più esasperati in termini di quantità e qualità, forse sarà utile ancora una volta guardare al passato per giungere a un approccio più rispettoso e consapevole verso la risorsa acqua,
non solo per il bagaglio di esperienze e informazioni che potremmo trarne ma anche per ricavarne spunti e riflessioni utili prima che si chiuda defi nitivamente la partita e svanisca anche quest’opportunità dell’Expo.
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quando la disponibilità idrica giungerà a livelli più esasperati in termini di quantità e qualità, sarà utile ancora una volta guardare al passato per giungere a un approccio più rispettoso e consapevole verso la risorsa acqua
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NOTE 1 - È stato stimato che un uomo adulto sedentario dei climi temperati assuma quotidianamente 2500 cc d’acqua dei quali una parte proviene dal cibo introdotto attraverso le operazioni relative al sostentamento (850 cc) mentre un’altra parte (altri 350 cc) viene assunta dai processi metabolici cellulari che elabora (fonte: DAVIES Delwyn, 1967, L’uomo e l’acqua, Arnoldo Mondadori, tit. orig.: Fresh Water, Aldus Books Ltd, London). 2 - www.aquae2015.org 3 - L’acqua rappresenta da sempre uno degli elementi essenziali per la sussistenza, la crescita, lo sviluppo e la permanenza di popoli, culture e città in un determinato territorio. Il corpo umano è composto dal 60% di acqua, distribuita nelle cellule e nel sangue. Mentre potremmo sopravvivere alcune settimane senza cibo, non è possibile immaginare di restare in vita solo alcuni giorni senz’acqua. 4 - L’Organizzazione Meteorologica Mondiale definisce le risorse idriche (water resources) come: “l’insieme delle acque che sono, o che possono essere, rese disponibili per soddisfare in quantità e in qualità una data domanda, in un assegnato luogo, per un periodo appropriato” (fonte: www.wmo.int). La Conferenza Nazionale delle Acque (Cna) definisce invece le risorse idriche come: “le quantità d’acqua presenti sul suolo e nel sottosuolo di una determinata zona durante un determinato periodo, espresse in termini di probabilità”, fornendo una distinzione in: - risorse idriche naturali (risorse idriche presenti naturalmente); - risorse idriche potenziali (massime risorse idriche che possono essere messe a disposizione con mezzi artificiali); - risorse idriche utilizzabili o disponibili (risorse valorizzate in base a considerazioni socio-economiche). 5 - Il report “Water for a sustainable world”, The United Nations World Water Development Report 2015, sottolinea la relazione importante tra disponibilità di risorsa idrica e povertà e arretratezza economico-tecnologica degli ultimi tempi, evidenziando 6 - Il Cna, Consiglio Nazionale delle Acque e Leopold Leonard distinguono le risorse idriche in: - risorse idriche statiche, costituite da volumi d’acqua raccoltisi naturalmente in tempi passati in una certa zona, che ristagnano nel sottosuolo e che non sono alimentati da fonti idriche naturali (o lo sono soltanto in minima parte) e che perciò quando vengono utilizzati si depauperano senza più ricostituirsi. - risorse idriche dinamiche, sono costituite da volumi d’acqua in movimento e alimentati da fonti idriche naturali, quali, se deviati artificialmente dal loro cammino, possono essere condotti ad alimentare utilizzazioni perenni: si può perciò dire che tali risorse, a mano a mano che vengono
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sfruttate, si ricostituiscono naturalmente, in tutto o in parte. Solitamente esse comprendono le acque scorrenti in una rete idrografica (cioè in un sistema di alvei superficiali – fiumi o torrenti, ma anche laghi e ghiacciai), oppure quelle appartenenti a un acquifero (zona impermeabile del sottosuolo). Generalmente una parte delle acque costituenti la risorsa scorre in superficie, una parte nel sottosuolo (fonte: LEOPOLD Leonard, 1978). 7 - Oggi il Padiglione Aquae propone quattro differenti sezioni tematiche di cui una legata a conferenze per enti, aziende nazionali ed internazionali, associazioni, che si propone come hub internazionale di approfondimento di usi e tecnologie dell’acqua nei diversi settori quali ambiente, salute, nutrizione e tempo libero. L’importanza della tutela della risorsa acqua è evidenziata dall’organizzazione di tale parte congressuale in sessioni tematiche che comprendono gli aspetti fondamentali del nostro pianeta: l’ambiente (area Acqua e Ambiente), la salute (area Acqua e Salute) e la sostenibilità (area Acqua e Sostenibilità). All’interno della sezione Acqua e Ambiente a sua volta sono affrontati 3 macro-temi organizzati simbolicamente per “gocce”: - Green Drop: L’acqua che alimenta. L’acqua come fattore chiave per la crescita del pianeta; - White Drop: L’acqua che trasporta. L’utilizzo strategico dell’acqua per il trasporto, l’energia e l’industria; - Blue Drop: L’acqua che si beve. L’acqua quale rete per lo sviluppo urbano. 8 - Il runoff farming è un metodo definito da FAO per intercettare, nelle zone aride caratterizzate da meno di 200 mm di pioggia all’anno, le acque di scorrimento dei fenomeni precipitativi, sfruttando il negativo fenomeno di runoff, (fenomeno per cui l’acqua scorre superficialmente sul terreno impermeabile o saturo di risorsa idrica provocando erosione e danneggiamento del suolo) attraverso sbarramenti e aree di captazione per utilizzare tali risorse a scopo agricoli (fonte: FAO, Soil and Water conservation in semiarid Areas, FAO, Rome, Soil Bullettin 57, 1987). 9 - Gli attuali condensatori - teli raccogli nebbia sono generalmente realizzati in pannelli di PE (polietilene), film di PETB (polietilene miscelato con titanio e ossido di bario-solfato), FRP (plastica fibrorinforzata o vetroresina), lamiera metallica e policarbonato. IMMAGINI 01 - Attuale disponibilità di risorse di acqua rinnovabile procapite espresse in m3. Fonte: UN-WATER e FAO AQUASTAT database (www.fao.org/nr/water/aquastat/ main/index.stm). 02 - Diverse tecniche di realizzazione dei sistemi microcatchment e macrocatchment. Le differenti lavorazioni del suolo permettevano la captazione dell’acqua di precipitazione e il suo convogliamento
verso le superfici coltivate interessate per il diretto utilizzo della risorsa così approvvigionata. Ridisegno dell’autore, fonte: Prinz et al., 1996. 03 - Esempio di sommità di un pozzo di aerazione del sistema pozzo a ripiano o qanat. Il materiale di scavo era riportato in superficie in modo da preservare da inquinanti l’acqua captata e raccolta e da rendere visibili i pozzi in superficie. La distribuzione dei pozzi di aerazione era legata allo sviluppo in lunghezza del sistema stesso. L’acqua captata veniva convogliata al sistema di raccolta a valle del pozzo. 04 - Costruzione di un sistema condensatore - foggara attraverso lo scavo ipogeo di gallerie opportunamente pendenti in grado di captare l’acqua presente nell’aria umida passante in queste strutture, la condensazione del vapore acqueo e il convogliamento della risorsa captata verso le opere di raccolta e presa finali; elemento monolitico di pietra locale disposto nel punto finale del sistema condensatore foggara realizzato per la suddivisione delle parti di acqua. 05 - Fotografia e sezione verticale della cisterna filtrante o cisterna veneziana: 1. Fondo e pareti di rivestimento con strato di intonaco impermeabilizzante spesso; 2. sabbia o ghiaia, strato detto anche “spongia” 3. lastra di pietra alla base della canna 4. Malta cemetante di sabbia e argilla per filtraggio inferiore 5. Malta cementante di calce e sabbia superiore 6. Cassoni di muratura 7. Vera da pozzo o puteale 8. Pavimento superiore in pendenza 9. Pilelle di pietra forate 10. Gradino che alza la vera da pozzo. Ridisegno dell’autore, fonte: Bianco, 1862. 06 - Padiglione Expo Aquae. BIBLIOGRAFIA - FAO AQUASTAT – Online database. Rome, Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO). www.fao.org/nr/water/aquastat/dbases - R. J. Forbes, “Ingegneria idraulica e impianti sanitari”, in: C. Singer (et al.) (a cura di), “Le civiltà mediterranee e il Medioevo: circa 700 a. C. - 1500 d. C.”, Storia della tecnologia, Volume II, Bollati Boringhieri, Torino, 1962. - P. Laureano, “La piramide rovesciata. Il modello dell’oasi per il pianeta Terra”, Bollati Boringhieri, Torino, 1995. - L. Leopold, “L’acqua: introduzione all’idrologia”, Zanichelli, Bologna, 1978. - D. Prinz, A. Malik, “Runoff farming”, Article prepared for BCA infoNET, Institute Of Water Resource Analysis, 1996. - G. Sharan, “Dew harvest: to supplement drinking water sources in arid coastal belt of Kutch”, Foundation Books, New Delhi, 2006. - UN-WATER/FAO, “2007 World Water Day: Coping with water scarcity: Challenge of the twenty-first century”, 2007. www.fao.org/nr/water/docs/escarcity.pdf - UN-WATER, “Water for a sustainable world, The United Nations World Water Development Report 2015”.
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Un ecosistema integrato nell’ architettura La fitodepurazione: un processo naturale per il riciclo delle acque
Andrea Meneghelli è dottore in ingegneria e architettura. Ha svolto la tesi di ricerca alla Technische Universität München: “Upcycling an Existing Building, Cradle-to-Cradle”. Libero professionista, si occupa di architettura sostenibile. e-mail: andreameneg@hotmail.com
Fresh water is an essential resource for life and is used in almost all of the production processes. The urban areas could play an important role in the effective use, depuration and reuse of water. Not all the water used in the building requires potable water standards, nevertheless we still use fresh water from the grid and we discharge wastewater towards water treatments plan. Constructed wetlands integrated into the buildings can provide water that can serve different building uses. Instead of being a liability, the sewage could become an outset perceived and treated as an asset of great value. The integration in the built environment of water cycle management and biological water treatment on-site provides multiple benefits and opportunities. The new challenge for sustainable architecture is to design a built environment that produces more energ y than it consumes and that cleans more water than it uses, fostering a positive impact on the environment.
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L’
di Andrea Meneghelli
acqua è un risorsa essenziale per la vita ed è utilizzata nella quasi totalità dei processi produttivi. Solo il 2,5% dell’acqua presente sul pianeta è acque dolce, considerando che gran parte è immagazzinata nelle calotte polari, solo una minima parte risulta effettivamente disponibile (secondo OMS1 l’acqua potabile disponibile al consumo è solo il 0,07% del totale). Anche se il maggior consumo di acqua dolce è dovuto principalmente all’agricoltura e all’industria, è importante che anche nell’ambito urbano si inizi a considerate la necessità di salvaguardare il bene acqua. I dati Istat tratti da Noi Italia 2015 stimano il consumo pro-capite di acqua potabile in 241 litri al giorno. Tuttavia solo il 5% del consumo di acqua delle abitazioni 2 , pari circa 12 litri pro-capite, è destinata all’uso alimentare (cucinare e dissetare). Questi dati illustrano come quasi il 95% dell’acqua per usi domestici non necessiti di essere potabile per cui una volta depurata può essere riutilizzata nello stesso edificio. Nell’abitazione l’acqua potabile proveniente dalla rete idrica viene utilizzata indifferentemente per i vari usi domestici per poi essere immessa nella rete fognaria. L’acqua segue un percorso lineare nell’edificio: entra come potabile e ne fuoriesce come inquinata da elementi organici e chimici. Le acque reflue vengono convogliate nella rete fognaria per essere trasportate in impianti extra-urbani dove, con processi complessi e costosi, vengono depurate. Nell’edilizia si distinguono le acque reflue in base agli usi: grigie, nere e meteoriche. Solo alcuni comuni adottano la diversificazione delle reti di smaltimento fognario, anche se come negli altri comuni la gran parte dei reflui è convogliata in un unico sistema di depurazione. Nell’architettura sostenibile l’impiego efficace dell’acqua deve prevedere un’ottimizzazione dei consumi, la diversificazione dell’utilizzo e il riciclo-riutilizzo dell’acqua opportunamente depurata.
è importante che anche nell’ambito urbano si inizi a considerate la necessità di salvaguardare il bene acqua
I trattamenti di depurazione dell’acqua non saranno più posti in centrali lontane dal contesto urbano, ma saranno gestiti biologicamente in sito con una notevole riduzione dei costi a carico delle collettività. Nonostante la legislazione attuale non favorisca il riciclo delle acque reflue, il contributo scientifico e una crescente sensibilità collettiva ai temi del riciclo dell’acqua porta ad una sempre più ampia adozione di questi sistemi. Per rendere questo processo ecosostenibile è necessario che vengano utilizzati i prodotti ecocompatibili e processi di depurazione biologica che garantiscano adeguati standard igienico-sanitari. L’approvvigionamento dell’acqua dolce e la regolamentazione della purificazione dell’acqua sono elencati come fondamentali ecosystems service dall’UN Millennium Ecosystems Assesment 3. Le aree umide assumono questo ruolo fondamentale nell’ecosistema per il ciclo dell’acqua. La convenzione di Ramsar4 defi nisce le funzioni di: controllo delle alluvioni, rifornimento delle falde acquifere, stabilizzazione delle linee costiere, protezione dalle tempeste, depurazione dell’acqua, serbatoi d’acqua, prodotti delle aree umide, valori culturali, riposo e turismo, mitigazione ed adattamento dei cambiamenti climatici. Il sistema di fitodepurazione è un’ingegnerizzazione del processo in atto naturalmente nelle zone umide, i cui ecosistemi hanno la naturale capacità di auto-depurarsi. La fitodepurazione veniva utilizzata già in epoca romana nell’Agropontino. Dagli anni ’50, sono iniziati gli studi scientifici condotti presso il Planck Istitute di Plon su sistemi di depurazioni ispirati delle aree umide. Negli anni ’70 si giunge alla realizzazione del primo impianto a flusso sommerso orizzontale per il trattamento dei reflui urbani a Othfresen. In Europa ed in particolare in Germania, sono presenti molti impianti di fitodepurazione a flusso sommerso, soprattutto verticale per il trattamento di piccole e medie utenze. Gli impianti a flusso sommerso permettono un favorevole rapporto tra superficie verde e l’efficacia 01
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di trattamento che risulta ben inseribile anche in aree urbane. I sistemi di fitodepurazione possono essere efficacemente utilizzati per reflui domestici, urbani ed industriali, acque meteoriche, riqualificazione fluviale ed anche per biopiscine. Per quanto riguarda il contesto italiano il D.lgs. 152/99 riconosce la fitodepurazione come tecnologia appropriata di cui è auspicabile la diffusione nel nostro territorio. Le tipologie di impianti di fitodepurazione si distinguono in flusso superficiale (FWS) e a flusso sommerso, quest’ultimo si articola in flusso orizzontale (HF) e verticale (VF). Sono possibili anche sistemi misti. Questo sistema biologico di trattamento delle acque richiede impianti a bassa tecnologia con costi limitati di gestione. I vantaggi di tale sistema sono: l’assenza di manutenzione e gestione specializzata, l’adattamento a scarichi discontinui stagionali, l’assenza di utilizzo di energia, ottimi rendimenti di depurazione e opportunità di riutilizzo dell’acqua così depurata, la mancata richeista di smaltimento dei fanghi, ecc. Un impianto di fitodepurazione rappresenta un ecosistema aperto costituito da elementi biotici ed abiotici in stretta relazione tra loro. Il sistema è fortemente influenzato dalla radiazione solare, dal bilancio idrico e dalle cinetiche chimiche di reazione. I principali inquinanti che possono essere eliminati o ridotti tramite la fitodepurazione sono: solidi sospesi BOD5, COD, ozono, fosforo, microrganismi patogeni, metalli, idrocarburi, ecc. I sistemi di fitodepurazione di prassi vengono adottati per lo smaltimento dei reflui tramite sub-irrigazione con dispersione nel sottosuolo costituendo un processo lineare e non ciclico completo. Il ciclo completo dell’acqua prevede che l’efficacia dei processi biologici di depurazione consenta di recuperare l’acqua rigenerata per diversi usi in relazione alla tipologia dei reflui. Inoltre, la fitodepurazione può costituire un ecosistema locale con un positivo impat-
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to ambientale che aumenti il valore della naturalità e del paesaggio in contesto architettonico ed urbano. Un esempio di gestione dell’acqua in ambito urbano è il complesso architettonico polifunzionale (residenziale, terziario e commerciale) di Postdamer Platz5 a Berlino, dove il sistema biologico di trattamento e riuso delle acque piovane, è diventato un elemento centrale dello spazio pubblico integrato nei canali e nei piani d’acqua di 13.000 m 2 . Dai tetti verdi e dai giardini, estesi su una superficie di 23.000 m2 , vengono raccolte le acque meteoriche in due cisterne poste nel sottosuolo e collegate al lago artificiale dove il biotopo fi ltra naturalmente l’acqua.
l’utilizzo i prodotti detergenti ecocompatibili e processi di depurazione biologica permettono un riciclo naturale dell’acqua
La fitodepurazione si estende su un’area di 1.900 m 2 ed ha una capacità di purificare da 30 m3/h fi no a 150 m3/h di acqua che viene successivamente riutilizzata dai diciannove edifici per gli sciacquoni e per l’irrigazione, senza incidere sul sistema fognario berlinese. I benefici derivanti da questo intervento sono l’eliminazione dell’inquinamento della falda acquifera, la riduzione del rischio di inondazione e di sovraccarico del sistema fognario. Inoltre, il lago artificiale permette un’alta evaporazione dell’acqua che migliora il microclima dell’area riducendo l’effetto “isola di calore”. Il Progetto completato nel 1998 ha vinto il DGNB6 Silver Sustainable Urban District. Un eccellente progetto di architettura sostenibile è quartier generale del San Francisco Pubblic Utilities Commission7 che ha ottenuto la certificazione LEED Platinum ed è stato inserito nella Top
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10 Most Sustainable Buildings degli Stati Uniti nel 20138. L’edificio che accoglie 900 dipendenti, consuma il 32% in meno di energia e ben il 60% in meno di acqua potabile rispetto ad un edificio con analoga destinazione d’uso e dimensione9. Oltre a garantire questi elevati standard di sostenibilità è capace di fornire l’acqua depurata anche agli altri edifici posti in prossimità. La gestione dell’acqua dell’edificio si compone di due sistemi: un sistema per la raccolta dell’acqua piovana che viene, dopo essere stata fi ltrata, riutilizzata per l’irrigazione e un sistema di fitodepurazione a marea che raccoglie e depura i reflui dell’edificio per riutilizzarli negli sciacquoni. L’innovativo sistema di fitodepurazione brevettato con il nome di Living Machine è collocato sul perimetro esterno dell’edificio e nella
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hall interna, con una capacità di depurare oltre 20.000 litri10. Questo impianto si articola in più fasi: la prima inizia con un bacino di raccolta, segue di una vasca di stabilizzazione e ricircolo, poi di un’area verde di fitodepurazione a marea, quindi vasche di fitodepurazione a flusso verticale di raffi nazione ed infi ne un sistema di disinfezione che ne permette il riutilizzo. La nuova sfida per un’architettura ecosostenibile sarà progettare un edificio che produca più energia di quanto consuma e che depuri più acqua di quella che utilizza, determinando un impatto positivo sull’ambiente11.
perché non pensare ad un edificio che produca più energia di quanto consumi e che depuri più acqua di quella che utilizza?
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NOTE 1 - OMS: Organizzazione Mondiale della Sanità. 2 - Fonte: ENEA “il risparmio idrico negli edifici civili”. 3 - “United Nations Millennium Ecosystems Assessment” costituisce il fondamentale documento per il riconoscimento e la definizione degli ecosystems services. 4 - Convenzione internazionale relativa alle zone umide e sugli uccelli acquatici è stata firmata a Ramsar, Iran nel 1971. Tale convenzione costituisce un importante trattato per la conservazione e l’utilizzo sostenibile delle zone umide, riconoscendo le loro funzioni ecologiche. 5 - Impianto di fitodepurazione Potsdamer Platz, Berlino inaugurato nel 1998; progetto architettonico Renzo Piano e Christoph Kohlbecker e progetto impiantistico-paesaggistico Atelier Dreiseit/ Daniel Roehr and Phasen Welchesel. 6 - DNGB German Sustainable Building
Council, Sistema di certificazione sostenibile tedesco. 7 - San Francisco Public Utilities Commission (SFPUC) completato 2012, San Francisco, CA. Progetto architettonico KMD Architects/Stevens+Associates; progetto di impianto di fitodepurazione e riciclo dell’acqua AECOM/Living Machine. 8 - Fonte: AIA - American Institute of Architects. 9 - Fonte: KMD Architects. 10 - Fonte: John Scarpulla per SFPUC. 11 - Un approccio all’architettura sostenibile ispirato dallo studio del Cradle-toCradle e Circular Economy. IMMAGINI 01 - Schema dei possibili sistemi di ciclo dell’acqua (cfr. Hoban&Wong, 2006). Immagine di Andrea Meneghelli. 02 - Foto dell’inserimento dell’impianto del lago artificiale di Postdamer Plaz, Berlino. Immagine di Atelier Dreiseitl. 03 - Schema Sistema di gestione acque meteoriche, Postdamer Plaz, Berlino. Immagine di Atelier Dreiseitl. 04 - SFPUC e del sistema di fitodepurazione, San Francisco, CA. Immagine di San Francisco Water Power Sewer. 05 - Sistema “Living Machine”. www.living machines.com 06 - La biodiversità di sistemi biologici di trattamento dell’acqua. Immagine di Andrea Meneghelli. BIBLIOGRAFIA - ISPRA, “Guida tecnica per la progettazione e gestione dei sistemi di fitodepurazione per il trattamento delle acque reflue urbane”, Manuali e Linee guida 81/2012. - F. Romagnolli, “Fitodepurazione. Gestione sostenibile delle acque”, Dario Flaccovio editore, 2013. - R. Bresciani, F. Masi, ”Manuale pratico di fitodepurazione”, Terra Nuova Edizioni, 2013. - G. Grant, “Ecosystem services come to town: greening cities by working with nature”, John Wiley & Sons Editore, 2012. - ENEA, “Obbiettivo sviluppo sostenibile: il risparmio idrico negli edifici civili”, ENEA editore, 2013. - ISTAT, “Noi Italia: 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo”, febbraio 2015. - International Wetlands and Waterfowl Research Bureau (IWRB), Convenzione di Ramsar, Iran , 1971 (vedi Dpr 13 Marzo 1976). - M. Schmidt, “Rainwater harvesting for mitigating local and global warming”, Fifth Urban Research Symposium, 2009. - Ciria, “Creating water sensitive places – scoping for Water Sensitive Urban Design in UK”, London, 2013. - M. Braungart, W. McDonough,”Cradle to Cradle remaking the way we make things”, Edito Vintage Book, 2008. - A. Meneghelli, “Upcycling an existing building: Experience Centre for Cradleto-Cradle in Halle, Germany“, Unitn e TUM, 2014.
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NonèpescEXPOchi La valorizzazione di specie povere per il rilancio di vallicoltura e pesca tradizionale
di Federico Riccato, Marco Picone, Giacomo Cipolato, Riccardo Fiorin Federico Riccato e Riccardo Fiorin, entrambi laureati in Scienze Ambientali all’università Ca’ Foscari di Venezia, sono soci fondatori di Laguna Project s.n.c. Marco Picone e Giacomo Cipolato anch’essi laureati in Scienze Ambientali presso Ca’ Foscari collaborano con Laguna Project a diversi progetti tra i quali NonèpescEXPOchi. e-mail: info@lagunaproject.it
As in the rest of Italy, in Veneto we can observe progressive simplification in the consumption of fish: few species are eaten and they often come from abroad. The project NonèpescEXPOchi (Not fish for just a few) wants to inform the consumer so that fishing and fish consumption becomes sustainable and to sponsor the choice of local fish. Sustainable fish consumption is possible! How? Learning to recognize those species, often mistakenly considered “poor”, discovering simple, tasty recipes… and if you don’t want to cook just come and taste these local productions during one of the many events programmed!
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Il vecchio pedalava a fatica lungo la stradina di sassi. La bici da donna non aveva ruote buone per quella strada tutta buche e pantano; sopra la ruota davanti stava montato un portapacchi imbastito su con fi l di ferro e bestemmie e in cima, a coprire il fanale, c’era una cassettina in legno verniciata di verde pastello, solida, con un bel coperchio in legno color panna. Il coperchio era tenuto a posto da una cinghia di cuoio. Sul portapacchi di dietro l’altra cassetta era grande il doppio e di un colore azzurro intenso. Il vecchio Gioani passava ogni due venerdì. Grande elemento di distrazione per noi bambini, quando imboccava la via cominciava a suonare il campanello, tutta la teppa di ragazzini gli andava incontro correndo e rischiando di farlo cadere ‘fioi d’un can, se ve ciapo…’ Ma poi, una volta fermata la bici in mezzo alla via, si trasformava in abile venditore. Fischiettando un tango metteva il cavalletto, scioglieva le cinghie delle cassette e le scoperchiava. Quanta meraviglia per noi bambini di campagna: il pesce di laguna! Lucido, umido, riflesso verdemetallo di animali mai visti. E che no’l spusava da foso. E poi chi di noi aveva mai potuto giocare con un granchio? Gioani infi lava la mano in mezzo alle schie ancora vive e scattanti, ne prendeva una e se la lanciava in bocca tra i pochi denti rimasti, sorridendo poi a noi schifati. La sorpresa era tanta per quegli animali che venivano dalle barene, posto mitico che non avevamo mai visitato, che stava lontano, delà del stradon (la Romea). El pesse dei poaretti de campagna era quello una volta: mazenete, boseghe, verzeate, caustei, capetonde, caraboi e schie. Esposta la mercanzia tutto accadeva rapidamente: mamme e nonne uscivano di casa, ricordo i grembiuli, le scodelle o le terrine che venivano riempite di questa o quella prelibatezza, il passamano dei schei e ciascuna che se ne tornava in casa con un pugnetto di qualcosa, chi do siegoi, chi una scodella di caraboi o di mazanete per preparare el marendin per gli uomini di ritorno dai campi…”
In cinquant’anni sono cambiate molte cose: la pesca ha visto l’arrivo delle barche a motore, le reti di cotone sono state sostituite da quelle in nylon, Porto Marghera ha dato il lavoro e poi lo ha tolto.. e le nostre abitudini sono cambiate. Lo sfruttamento eccessivo di alcuni stock ittici ha avuto il suo riflesso sul mercato e sulle abitudini di noi consumatori che, mano a mano, abbiamo banalizzato le nostre diete cercando prodotti “nobili”, semplici da preparare e possibilmente poco costosi. Molte specie, comunemente pescate anche nelle nostre lagune, stanno così attraversando un pesante momento di crisi. La drastica diminuzione dei quantitativi commercializzati nei principali mercati ittici infatti è il chiaro segno di popolazioni in sofferenza o sovra pescate. Ma i nostri mari e le nostre lagune producono ancora in abbondanza specie “minori” il cui consumo tuttavia è molto ridotto. È il caso ad esempio delle cinque specie di cefalo presenti in laguna di Venezia, il cui pescato è in costante ripresa (img. 02) ma che non trovano mercato per motivi sia commerciali sia culturali. La grande distribuzione purtroppo “ci suggerisce” di consumare specie spesso di allevamento o provenienti da acquacoltura intensiva, talvolta originarie dell’altra parte del pianeta. Così mangiamo salmone nord-europeo allevato in intensivo e trattato con antibiotici, pangasio cinese e vietnamita, anch’esso allevato in acquacoltura intensiva e poverissimo in Ω3; mangiamo mazzancolle tropicali per il cui allevamento stanno scomparendo ambienti prioritari quali le foreste di mangrovie.
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el pesse dei poaretti de campagna era quello una volta: mazenete, boseghe, verzeate, caustei,capetonde caraboi e schie
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Quello a cui assistiamo è un paradosso: privilegiamo poche specie, costose ed ecologicamente insostenibili e ne ignoriamo altre localmente abbondanti, organoletticamente apprezzabili e caratterizzate da buoni parametri nutrizionali. Alla luce di questo scenario è nato NonèpescEXPOchi, un progetto ideato da Laguna Project, supportato da Federvalli e cofi nanziato dalla Camera di Commercio di Venezia, che si pone tra gli scopi principali la valorizzazione di specie ittiche “povere” ed il rilancio della vallicoltura e della pesca tradizionale in laguna di Venezia. Questo progetto si basa sulla convinzione che il consumatore possa giocare un ruolo fondamentale nell’indirizzare il mercato e che campagne di sensibilizzazione, come quella qui proposta, potrebbero orientarlo verso consumi più consapevoli. In tempi recenti, in Italia, sono state tentate iniziative simili; Slow Food ha condotto per alcuni anni campagne di sensibilizzazione (Slow Fish 2009-2011 associate al manuale Mangiamoli giusti), circa la questione della pesca e dell’allevamento non sostenibili di alcune specie ittiche e la valorizzazione di altre defi nite “povere”.
ignoriamo specie localmente abbondanti, organoletticamente apprezzabili e caratterizzate da buoni parametri nutrizionali
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Tra i pesci “poveri” presenti lungo le coste venete si possono citare alcune specie di cefalo (img. 04) come il lotregano (Liza aurata), la bosega (Chelon labrosus) e la volpina (Mugil cephalus). I cefali trovano difficile collocazione sul mercato a causa della rusticità di alcune specie che vivono anche in acque di porti ed aree industriali coprendo così ingiustamente l’intera famiglia dei mugilidi dell’appellativo di “pesci spazzino”; al contrario molte specie di cefalo risultano ottime se pescate in acque pulite e valorizzate con la giusta preparazione. Stesse considerazioni possono essere fatte per il “cuore di laguna” o “capa tonda” (Cerastoderma glaucum, img. 07) la cui pesca nelle lagune della provincia è quasi scomparsa; tra le ragioni si citano sicuramente i ridotti guadagni derivanti dalla vendita, la difficile conservabilità del prodotto e la necessità di classificazione igienico-sanitaria delle aree con maggiori abbondanze; questi aspetti, uniti all’ormai perduta abitudine di consumarla esclusivamente cruda, l’hanno relegata a specie di scarso interesse. In un periodo di crisi economica diffusa, nel quale anche il comparto alimentare ha registrato una riduzione dei consumi, va favorito quanto più possibile il consumo di risorse abbondanti e a buon mercato, attraverso un’operazione commerciale e culturale. L’Expo 2015 ci sta offrendo a questo scopo un’occasione mirabile, aumentando la visibilità di tali produzioni a livello internazionale e favorendone una riscoperta locale. Esiste la convinzione che l’aumento del consumo di specie neglette locali rappresenti uno scenario auspicabile per ragioni di carattere economico, sociale ed ambientale. Infatti rilanciare le produzioni lagunari e vallive sosterrebbe ad esempio proprio i rispettivi comparti, oggi fortemente in crisi. Un’operazione di questo tipo andrebbe ad aumentare il consumo procapite di pesce in funzione dell’aumentata disponibilità dei prodotti al dettaglio ad un prezzo di vendita concorrenziale, e al contempo permetterebbe il recupe-
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ro di preparazioni e ricette tradizionali. Da un punto di vista ecologico, cambiare specie target inoltre, contribuirebbe in maniera importante a ribilanciare le reti trofiche degli ambienti acquatici di transizione quali le lagune, con effetti diretti e visibili sull’intero ecosistema. Stiamo dunque cercando di diffondere il messaggio del nostro progetto: abbiamo creato un sito internet in continuo aggiornamento (www.nonepescexpochi.it) che propone un’introduzione al tema del consumo consapevole dei prodotti ittici, ponendo l’accento sulla tematica del consumo responsabile e sulle caratteristiche nutritive che fanno del pesce povero locale un elemento fondamentale in una dieta sana ed equilibrata. Utili e complete schede informative guidano l’utente alla conoscenza delle specie povere (ecologia, biologia e proprietà nutritive) e alla loro identificazione e scelta al momento dell’acquisto. Inoltre, una sezione dedicata alla cucina raccoglie numerose ricette tradizionali al fi ne di recuperare e diffondere il sapere perduto sulla cucina di un tempo. E per passare dalla teoria alla pratica, NonèpescEXPOchi organizza per l’intera durata di Expo 2015, in collaborazione con una rete di ristoratori distribuiti sul territorio provinciale, una serie di cene-evento a tema “specie minori”. In queste occasioni vengono proposti dei menù completi (dall’antipasto al dolce) a prezzo contenuto (massimo 30 €) così da sfatare il luogo comune che vuole: pranzo di pesce - conto salto. Ad oggi sono stati realizzati tre eventi, a Cortellazzo, Mirano e Caorle, che hanno visto la partecipazione di circa 200 persone. I ristoratori, alcuni dei quali già orientati verso il consumo di prodotti a km 0 e di provenienza locale, si sono mostrati entusiasti e soddisfatti manifestando l’intenzione di replicare gli eventi. Anche il riscontro da parte dei clienti è stato incoraggiante: dopo una bella serata dal clima conviviale, sono tornati a casa con una
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rilanciare le produzioni lagunari e vallive sosterrebbe ad esempio proprio i rispettivi comparti, oggi fortemente in crisi
consapevolezza nuova rispetto al “mangiar pesce” e con utili e curiose idee su come preparare e consumare da sé pesce mai considerato prima. Chiaro è dunque il segnale che il consumatore è effettivamente recettivo al messaggio e che molto può essere fatto in questo senso. Expo 2015 garantisce la possibilità di intercettare, nella terraferma veneziana, un flusso straordinario di turisti ai quali offrire l’opportunità di conoscere le tipicità locali con uno sguardo speciale rivolto ad ambiente e tradizioni. Gli eventi saranno pubblicizzati tramite il sito, la pagina Facebook (www.facebook.com/nonepescexpochi), la carta stampata e la produzione di brochure e volantini ad hoc. Ma NonèpescEXPOchi non è solo “cene in ristorante”! La stretta collaborazione con Federvalli spinge Laguna Project a voler proseguire quest’opera di sensibilizzazione con iniziative che possano veder coinvolte mense scolastiche, fiere e sagre locali al fi ne di ampliare il bacino di utenza. L’efficacia di NonèpescEXPOchi si basa tuttavia sulla sua capacità di sopravvivere ad Expo 2015 in termini sia temporali che territoriali. I risultati ottenuti e le iniziative proposte sono uno stimolo a proseguire in questa direzione con l’intento di coinvolgere sempre più persone e realtà in questo progetto che trova nella valorizzazione del territorio e delle specie ittiche locali una delle vie per perseguire la sostenibilità ambientale, economica e sociale.
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IMMAGINI 01 - Dettaglio di tresso con cogolli in laguna Sud. 02 - Andamento dei quantitativi di prodotto commercializzato nei mercati ittici della provincia di Venezia: cefali, gambero grigio, Ghiozzo gò e passera di mare. 03 - Boseghe di valle (Chelon labrosus). 04 - Banco di cefali lotregani (Liza aurata). 05 - Il granchio di laguna (Carcinus aestuarii). 06 - Tagliatelle col granchio di laguna e zuppa di capetonde, piatti realizzati in occasione della serata di apertura presso il ristorante “Al Granatiere” di Cortellazzo (VE). 07 - Le capetonde. LINK UTILI - www.nonepescexpochi.it - www.facebook.com/nonepescexpochi
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Orti sinergici e permacultura Giovani esperienze di agricoltura responsabile e sostenibilità per ripartire dalla terra
di Alberto Stangherlin, Sara Stangherlin, Federica Sgambaro, Denis Borso
Alberto Stangherlin e Sara Stangherlin sono socio e presidente GodegoLAB, un’associazione che promuove esperienze di partecipazione civica attiva. Opera principalmente a Castello di Godego (TV). e-mail: godegolab@gmail.com Federica Sgambaro e Denis Borso sono ideatori del progetto di permacultura a Cartigliano. e-mail: federica.sgambaro@gmail.com
Recently, it has become necessary to rethink the relationship with land and agriculture. After exploitation and intensive farming, the trend is coming back to a concept of sustainable agriculture which considers its environmental impact. It is also important to consider the social aspect of working in agriculture that stimulates people to take care of a piece of land with their own hands, to improve their lifestyle and to defend the well-being of the whole community. In a fragmented and urbanized agriculture system as in the Veneto area, projects of social gardens and permaculture are spreading out: they are meant to be an input to enable the society to change from the bottom, starting from the nearby areas. This article presents two concrete examples based in the Veneto area: the vegetable garden of the youth association GodegoLAB and a permaculture project of Federica Sgambaro and Denis Borso.
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rti urbani e agricoltura (di Alberto Stangherlin) Molti potranno dire che un orto in un sistema semi agricolo sia paradossale, ma la campagna veneta ha avuto una fortissima modificazione negli ultimi 40 anni: le condizioni sociali ed economiche del passato hanno generato una grande frammentazione e ora si fa fatica a dare un senso compiuto alle varie schegge sparse nel territorio. Città e campagna ormai non sono più separate da un solco invalicabile: ora il nuovo contesto non è né urbano né rurale e dà vita a un’identità civica sempre più incerta. Ci troviamo in un sistema molto complesso, senza una logica d’insieme, il cui risultato è un paesaggio fatto di ritagli. E i ritagli, nella logica moderna, si buttano. L’inversione di tendenza vuole essere una sfida contemporanea: utilizzare lo scarto come anello di congiunzione tra le diverse forme territoriali. Spesso gli orti urbani sono intesi come progetti che vanno a tamponare i residui lasciati dalla gigantesca macchina dello sviluppo urbano. Noi crediamo invece che le diverse forme di agricoltura urbana siano un ottimo mezzo per il miglioramento della qualità paesaggistica e della vita sociale. È “Agri-civismo”, parola coniata dallo storico dell’urbanistica Richard Ingersoll1, a definire in modo perfetto questo valore. Molti progetti agro-civici sono i primi esempi concreti di una società, un territorio, un paesaggio che sta cambiando e che pretende una nuova visione di governo del territorio e così un nuovo stile di vita. Potremmo definirli come una palestra per cominciare a concepire grandi piani di partecipazione e coinvolgimento della popolazione. Iniziative di questo tipo vanno al di là del concetto di produzione agricola poiché l’agricoltura si fonde con il patrimonio civico presente nel territorio e diventa un aiuto per incrementare la qualità della vita attraverso il rinnovamento del paesaggio, il recupero sociale e il miglioramento ambientale. Attualmente il concetto chiave in relazione all’agricoltura periurbana è la polifunzionalità. Distanziandosi dall’appiattimento e
dall’intensività dell’orticoltura tradizionale, si stanno sviluppando forme di coltivazione che potremmo defi nire innovative. Questo non perché adottino soluzioni mai sperimentate prima, o inventino qualcosa di nuovo, ma perché combinano in maniera diversa, rispetto al recente passato, elementi che, presi singolarmente, sono di lunga tradizione. Tra i fattori da tener presenti in un’orticoltura polifunzionale e innovativa vi sono: - l’elemento di integrazione sociale, presente “spontaneamente” a livello di semplice socializzazione nel lavoro condiviso e atto a includere fasce sociali deboli; - l’elemento di gestione partecipata, relativamente all’area vasta e non solo al famoso “orticello” personale. Ortolani e altri utenti vengono responsabilizzati e sensibilizzati a valori paesaggistici e divengono attori di una vera e propria progettazione dal basso; - l’elemento identitario: attraverso questo tipo di progetti l’atto di coltivare assume una sua identità rispetto ad altre attività lavorative o di tempo libero, e si distingue in quanto vissuto in maniera sociale. Nulla ci vieta di pensare ancora all’orto urbano come a un “cerotto” tra interstizi urbani, ma se ci immergiamo in un progetto agrocivico di questo tipo scopriamo che la sua complessità innesca una dinamica di cambiamento in cui il cittadino è il vero protagonista del miglioramento del benessere collettivo. L’amministrazione concreta del territorio non passa solo per decisioni politiche, ma deve tradursi in progetti di partecipazione civica.
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curare il proprio orticello, in questo caso, significa avere a cuore il benessere della collettività
Iniziative come quelle di GodegoLAB non hanno risultati immediati nel tessuto cittadino, ma vogliono essere uno stimolo per spronare la società a cambiare dal basso e da vicino. Curare il proprio orticello, in questo caso, significa avere a cuore il benessere della collettività. Orto-Giardino La Terra dei Cachi (di Sara Stangherlin) La Terra dei Cachi è un progetto dell’associazione di promozione sociale GodegoLAB, con sede a Castello di Godego (TV). Il nostro orto-giardino è nato come una di quelle fantasticherie a occhi aperti che prendono vita un po’ per gioco, un po’ per scherzo, chiacchierando tra amici. Nel nostro territorio certo non mancano le distese di campi coltivati e gli orti privati, non abitiamo in un centro urbano asfittico.
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il nostro intento era quello di riappropriarci del verde, sentirlo parte del nostro quotidiano, sporcandoci le mani e sudando per ottenere dei risultati
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Ma è un tipo di agricoltura tradizionale che abbiamo ereditato senza viverlo. Il nostro intento era quello di riappropriarci del verde, sentirlo parte del nostro quotidiano, prendendoci cura direttamente di un pezzetto di terra, sporcandoci le mani e sudando per ottenere dei risultati, seppur su piccola scala. Per prima cosa abbiamo individuato un ritaglio di terra di proprietà comunale - non troppo periferico, ma fuori dal traffico cittadino - che potesse fare al caso nostro. L’appezzamento era in stato di abbandono: due panchine tristi e imbrattate, immondizia e bottiglie vuote tra l’erba alta. Eppure ci pareva un’area ricca di potenziale. Con una buona dose di ingenuità, ma altrettanta determinazione, abbiamo steso un progetto e lo abbiamo presentato all’amministrazione, chiedendo la concessione del terreno alla nostra associazione. Nell’estate del 2014, a seguito della trattativa, La Terra dei Cachi ci è stata affidata per un anno agricolo, prorogabile. La nostra idea è stata quella di dare vita a un orto-giardino, seguendo i principi dell’agricoltura sinergica. Questo metodo di coltivazione intende rispettare per quanto possibile i cicli naturali, evitando di impoverire e trattare chimicamente il terreno, nel rispetto dell’ecosistema circostante. A darci i primi rudimenti in materia è stato l’agrotecnico Mauro Flora attraverso un breve ciclo di lezioni teoriche aperte a tutti i membri dell’associazione. Sono seguiti dei laboratori pratici sul campo e degli interventi mirati, per improntare la struttura del nostro orto. L’orto sinergico consta in una serie di aiuole rialzate, detti cumuli o bancali, di forma trapezoidale, costituite da vari strati: una base secca di cartone e legna su cui poi si alternano strati umidi (residui vegetali, cippato, erba fresca) e strati secchi (ramaglie, foglie, fieno). Non ci sono operazioni che vanno a modificare il terreno: niente aratura o concimazione. Il cumulo va lasciato maturare nel tempo, affi nché si crei un ottimo humus fertile per la coltivazione. Su queste aiuole viene effettuata una pacciamatura con paglia e residui vegetali in generale. La pacciamatura in estate serve per evita-
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re l’eccessiva evaporazione dell’acqua e la conseguente essiccazione del terreno; in inverno per limitare gli effetti delle gelate. Inoltre impedisce all’acqua piovana di dilavare gli elementi nutritivi del terreno e alle infestanti di crescere. La semina ed i trapianti sono effettuati spostando la pacciamatura quanto basta e poi risistemandola per bene; è importante che vengano assortite le piante in maniera da arricchirsi vicendevolmente. Devono essere presenti sia piante della famiglia delle leguminose, ovvero le azoto-fissatrici, sia piante della famiglia delle alliacee, così come piante aromatiche e fiori, efficaci per allontanare insetti dannosi e attirare quelli utili. Vanno alternate anche essenze di altre famiglie in modo da colonizzare i cumuli con radici a tutte le profondità e con capacità diverse. Coltivare insieme specie diverse rende più difficile da parte dei parassiti la distruzione dell’intera coltura e rende il raccolto più garantito rispetto ad una monocoltura massiva. Alla fi ne del ciclo vitale le piante non vengono estirpate, ma lasciate nel terreno affi nché le radici si degradino in maniera naturale rilasciando nutrienti, formando humus e favorendo il passaggio delle radici di altre piante nelle semine successive. La scorsa primavera abbiamo sistemato i cumuli stratificati, rimasti a maturare durante l’inverno, e abbiamo messo a dimora le prime piantine: una grossa donazione di fiori arrivata da una signora che non poteva più occuparsene e poi ortaggi consociati a piante aromatiche e officinali. Per ora i risultati vengono spartiti tra i membri dell’associazione, ma non è escluso che più avanti si riesca a mettere in piedi un piccolo mercatino orticolo con i nostri prodotti, a sostegno del progetto. È incredibile come in un paio di mesi, con poche azioni fondamentali, si siano modificate le dinamiche che interessano quest’area del nostro paese: le panchine sono frequentate a qualsiasi ora del giorno, si fermano bambini, anziani e famiglie, molti curiosi vengono a chiederci cosa stiamo facendo e come vanno le cose, i più esperti dispensano consigli. La Terra dei Cachi ha tutti i presupposti per diventare un luogo di aggregazione e lavoro all’aria aperta.
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Progetto di permacultura a Cartigliano, Vicenza (di Federica Sgambaro e Denis Borso) “O Madre Terra, Tu ti curi della nostra crescita come fanno le nostre Madri. Ogni passo che muoviamo su di te dovrebbe essere mosso in modo sacro: ogni passo dovrebbe essere una preghiera.”2 È con queste parole di Alce Nero (tribù dei Sioux) che vorremmo iniziare a raccontarvi un po’ di noi. Siamo due ragazzi, Denis e Federica, che insieme hanno deciso di avviare un progetto di permacultura. La nostra iniziativa parte da lontano, e si fonda su un’esperienza personale: quando poni un seme nella terra e vedi spuntare una
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piantina, davanti ai tuoi occhi si manifesta il mistero della vita. Vivendolo, impari a rispettare e a ringraziare la terra. Capisci che la natura è dentro te stesso, che ne fai parte e quindi ne sei inevitabilmente collegato. La Permacultura infatti, considera tutti gli elementi di un sistema (piante, animali, edifici, acqua, energia, ecc.) in relazione tra loro: lo scopo di questo approccio è la creazione di un sistema ecologicamente ben strutturato, in grado di provvedere ai fabbisogni umani, evitando però ogni forma di sfruttamento e inquinamento così da risultare sostenibile sul lungo periodo. Il nome stesso “perma - cultura” indica una concezione della coltivazione a lungo termine, “coltura o agricoltura permanente.” La nostra idea è nata lo scorso anno, quando abbiamo avuto la fortuna di vivere per un periodo in una comunità indigena messicana, i Wixarika. Si tratta di un popolo con una forte tradizione, che ancora oggi pratica l’agricoltura naturale. I Wixarika si tramandano da generazioni le sementi e le costudiscono come un prezioso tesoro. Grazie ai loro insegnamenti abbiamo deciso di seminare solo sementi non ibridate dall’uomo, conservandole come facevano i nostri nonni. Inoltre abbiamo deciso di piantare e seminare più varietà possibili. La biodiversità è necessaria affi nché un sistema ambientale sia equilibrato e si autoregoli, diminuendo così l’intervento antropico. Se si osserva un bosco, si nota la perfezione della natura: ogni elemento interagendo con il sistema contribuisce alla fertilità del suolo e al benessere di tutti i suoi componenti. L’illusione di dominare e controllare la natura ha portato l’uomo
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alla creazione di OGM e fitofarmaci che stanno mettendo a rischio la nostra salute e sovranità alimentare. Masanobu Fukuoka, pioniere dell’agricoltura naturale, sostiene: “Gli alimenti che sono stati allontanati dalla loro condizione selvatica e quelli coltivati chimicamente o in ambiente completamente artificiale squilibrano la chimica dell’organismo. Più sbilanciato diventa il nostro organismo, e più forte si fa il desiderio di cibi artificiali. Questa situazione è pericolosa per la salute.”3 La prima medicina che abbiamo a disposizione ci è donata amorevolmente dalla terra. Rispettiamola e così facendo cureremo noi stessi!
capisci che la natura è dentro te stesso, che ne fai parte e quindi ne sei inevitabilmente collegato
NOTE 1 - R.Ingersoll, B. Fucci, M. Sassatelli (a cura di), “Agricivismo, agricoltura urbana per la riqualificazione del paesaggio. Linee guida e buone pratiche per l’agricoltura urbana”. Regione Emilia Romagna, 2007. 2 - Alce Nero, “La sacra pipa”, Rusconi Editore, 1975. 3 - M. Fukuoka, “La rivoluzione del filo di paglia”, Quaderni d’ontignano, 2011. IMMAGINI 01 - Cartelli dipinti a mano alla Terra dei Cachi. Immagine di Christian Pierobon. 02 - La Terra dei Cachi in piena attività. Immagine di Alberto Stangherlin. 03 - Cestoni intrecciati e aiuole pacciamate. Immagine di Leonardo Bernardi. 04 - Workshop invernale. Immagine di Valentina Mason. 05 - Denis al lavoro nell’orto. Immagine di Federica Sgambaro e Denis Borso. 06 - Uno specchio d’acqua nell’orto è molto importante, per esempio attira alcuni dei predatori delle lumache: larve di lucciole, le rane e i rospi.Immagine di Federica Sgambaro e Denis Borso. 07 - Il nome del progetto. Scritto in paleoveneto, si legge “Van” che significa unione cosmica. Immagine di Federica Sgambaro e Denis Borso.
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L’alternativa alla grande industria e alla grande distribuzione Nuove pratiche informali che si autorganizzano: risposte locali contro l’industria globale di Chiara Gaspardo e Sara Todeschini Chiara Gaspardo è ricercatrice indipendente e presidente dell’Associazione di Promozione Sociale About, Venezia. e-mail: chiaragaspard@gmail.com Sara Todeschini è cuoca, diplomata presso la scuola di cucina Sana Gola di Milano. e-mail: topolinoamaranto@gmail.com
About is an independent group of research, actions and arts that aims to promote new urban practices related to the free distribution of food products, to subtract urban spaces to the profit and to the commercialization. A new urban practice to achieve the food sovereignty, to give access to genuine food for all, to share knowledge and expertise and to define a new relationship between people and food, starting from the basic human needs, from history and from resistance experiences.
Nutrire il pianeta” è il titolo dato all’Expo ospitato dalla città di Milano ma è anche la nuova missione dell’industria alimentare che trova la sua vetrina ideale in questo grande evento. Grazie a Expo 2015, il tema dell’alimentazione si è fatto onnipresente, riempie gli spazi informativi ma di fatto, sembra rimanere un tema astratto relegato agli schermi televisivi e alla propaganda. La spettacolarizzazione del cibo coinvolge il mondo della cucina e dell’alimentazione con programmi tv, food blogger, siti tematici e testate cartacee. Navigando nel sito di Expo Milano 2015 leggiamo “[...] l’Esposizione Universale [...] sarà il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione e la nutrizione. Per sei mesi Milano diventerà una vetrina mondiale in cui i Paesi mostreranno il meglio delle proprie tecnologie per dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri”. Evitando di entrare nel merito dei progetti presentati dai diversi Paesi ospiti, basta dare un’occhiata a sponsor e aziende partner di Expo per svelare l’ipocrisia dei discorsi ufficiali. Multinazionali dell’alimentazione, della tecnologia, dell’energia, delle comunicazioni e istituti bancari per l’occasione si tingono tutti di “verde”. Tra gli altri nella categoria Official Partners troviamo: Algida, Birra Moretti&Partesa, Coca Cola, Ferrero, Eni; nella categoria Official Premium Partners: Coop. Non presenti tra i partner ufficiali ma accorsi alla kermesse con tanto di padiglioni sono presenti, per citarne alcuni, McDonald’s, Perugina, Kinder e la nuovissima catena di distribuzione di prodotti di alta qualità Eataly. “La partecipazione di alcune delle principali multinazionali dell’industria alimentare e della grande distribuzione; l’investimento sull’evento da parte di colossi dell’agroindustria che detengono il
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monopolio sulla mercificazione delle sementi e la gestione di quelle geneticamente modificate (che moltiplicano in questo modo rapporti di dipendenza dei paesi economicamente più indigenti verso quelli più ricchi); il supporto alle politiche di sfruttamento intensivo dei terreni e il sostegno ad un’agricoltura di tipo industriale, che segue le regole del mercato schiacciando l’attività agricola rurale, sono tutti elementi che raccontano un modello che nulla ha a che fare con il ritorno alla terra”1. I temi dell’ambiente e dell’alimentazione sbandierati da questo grande evento diventano un concetto volontariamente distorto per modellare le nuove tendenze consumistiche legate al neo-capitalismo e alla green economy. Spesso Expo ha fatto riferimento a concetti quali “benessere animale” e “sovranità alimentare” per accrescere la sua credibilità e mascherare un approccio al tema completamente inserito all’interno del modello economico neoliberista attraverso operazioni di greenwashing: di fatto Expo non fa altro che pubblicizzare, più o meno velatamente, politiche legate alle attività delle multinazionali dell’alimentazione, del biologico, dell’agricoltura e dell’allevamento di tipo intensivo e industriale. Esse garantiscono la distribuzione al dettaglio del cibo a basso costo a livello globale, a discapito della salute dei consumatori e delle l’eccellenze che, seppur molto diffuse in Italia, non sono alla portata di tutti. Davanti a questa situazione si pongono quindi delle domande non solo pratiche e tecniche, bensì politiche e culturali che ci riguardano molto da vicino come consumatori. Dove è opportuno fare la spesa? Come avere prodotti locali biologici a prezzi accessibili? Affidandosi alla grande distribuzione con i suoi prodotti a basso costo, ma alimentando la sovrapproduzione lo spreco e contribuendo a indebolire la produzione locale? Il cibo di qualità non è un semplice prodotto ma è un tema politico e come tale va gestito: coinvolge le piccole economie agricole, l’ambiente, la salute e il benessere di tutti.
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Questa visione del cibo, che rivendica il diritto ad una consapevole scelta e alla sovranità alimentare, ha dato vita ad esperimenti interessanti ed innovativi ormai sempre più diffusi anche se spesso invisibili. Comunità informali che si autorganizzano in risposta alla crisi degli ultimi anni, per contrastare il modello di sviluppo dominante e soprattutto per sostenere tutti coloro che sono esclusi dalle logiche del mercato globale, siano essi produttori o consumatori. Queste nuove esperienze mettendosi in rete, hanno attivato dei processi collettivi, tutt’ora in atto, che favoriscono un rapporto diretto con la terra, che si basa sull’acquisto solidale, la vendita diretta, il chilometro zero, la diffusione del biologico a prezzi contenuti, cioè l’accesso per tutti a cibo di qualità. Sono comunità che difendono l’autodeterminazione alimentare, che sperimentano pratiche di vita e produzione alternative alle logiche distruttive del mero profitto. Parliamo di esperienze di vita perchè la vendita dei prodotti avviene all’interno di progetti più ampi di informazione, condivisione e partecipazione. Trasformando di fatto l’economia di mercato in economia di relazione, consentendo di stabilire forme di solidarietà concreta tra consumatori e produttori, legati da obiettivi comuni
multinazionali dell’alimentazione, della tecnologia, dell’energia, delle comunicazioni e istituti bancari per l’occasione si tingono tutti di “verde”
quali la salute, l’ambiente e la dignità del lavoro. Un esempio virtuoso che esemplifica questo tipo di pratiche e raggruppa attorno alla sua carta programmatica diversi gruppi di produttori attivi in tutta Italia è Genuino Clandestino 2 . Queste “comunità in divenire”, come si defi niscono nel loro manifesto, generalmente riconoscono la fi liera corta come una scelta strategica per favorire l’economia locale, preservare colture e culture locali, stimolando la produzione di alimenti di qualità. La vendita diretta valorizza l’importante ruolo di presidio ambientale del territorio da parte dei produttori, consente il contenimento dei prezzi dei prodotti alimentari e tesse un reciproco rapporto di controllo e conoscenza della fi liera tra consumatori e produttori. Il biologico e il biodinamico sono riconosciute come le uniche tecniche agricole che preservano l’ambiente e la salute di chi lavora e consuma. Ma la cosa più interessante di queste realtà è la “garanzia partecipata”, ossia una metodologia di certificazione dei prodotti che, sostituendosi a quella legalmente e istituzionalmente riconosciuta, permette un controllo diretto da parte degli appartenenti alla rete sulla produzione e sulla circolazione dei prodotti. Come in altre parti d’Italia, anche nel territorio veneziano molti produttori, cuochi erranti e artigiani hanno deciso di intraprendere un sincero percorso di ritorno alla terra. Ognuno a modo suo e con le proprie specificità sta cercando di creare, attraverso diversi approcci, pratiche e progetti, un mercato alternativo che affermi attraverso il lavoro della rete, l’autodeterminazione alimentare e il valore della produzione locale di qualità. La volontà di contribuire alla ricostruzione di un legame tra città e campagna ha spinto l’Associazione di Promozione Sociale About a promuovere, attraverso degli incontri presso la sua sede, la nascita di un’alleanza tra gruppi informali di abitanti e piccoli produttori dispersi tra le isole della laguna e la terraferma. L’intento è quello di impostare un percorso che permetta di ri-connotare e ri-convertire l’uso degli spazi urbani e rurali sulla base di pratiche quali l’autor-
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ganizzazione, la cura del territorio, la solidarietà, la cooperazione e il mutuo soccorso. About cerca inoltre di garantire attraverso pratiche di vendita diretta, mercatini e gruppi d’acquisto il diritto ad un cibo genuino, economicamente accessibile e locale. L’importanza di creare nuove relazioni tra produttori e consumatori e favorire il rafforzamento di reti di economia solidale locale, contribuisce ad acquisire una diversa considerazione del cibo intesa come socialità, cura e spazio di relazioni liberato. Il tessere legami permette la condivisione di saperi e competenze, per la costruzione di nuove relazioni che si instaurano a partire dai bisogni, dalle storie e dai racconti di resistenze di chi oggi sceglie di lottare per ricordare a tutti noi la necessità di un rapporto più diretto e consapevole con il cibo, la terra e il territorio in cui viviamo.
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comunità informali che si autorganizzano in risposta alla crisi degli ultimi anni, per contrastare il modello di sviluppo dominante
ABOUT About è un gruppo indipendente di ricerca, azioni ed arti, riunitosi in forma di associazione. Promuove nuove teorie e pratiche mirate a rigenerare e sperimentare logiche solidali e collettive di scambio di saperi, risorse e competenze, affermando la centralità della dimensione spaziale all’interno di questi processi. Attivando sinergie, relazioni e momenti di dialogo la prova che si vuole affrontare è quella di riflettere sulle forme dell’abitare e della produzione sia culturale che materiale. Rifiutando qualsiasi tipo di catalogazione preferiamo non identificarci con definizioni esistenti. Intendiamo la ricerca come cura e pratica della curiosità e studio della sperimentazione collettiva anche nella sua dimensione ludica e conviviale, senza doversi preoccupare di nominare o etichettare i risultati o i fallimenti dei nostri pensieri, dei nostri discorsi o azioni. La nostra sede si trova Venezia in Lista Vecchia dei Bari, Santa Croce 1165. Spazio vivo ed aperto, vuole essere un luogo di confronto e di scambio; non un semplice espositore ma un vero e proprio condensatore di esperienze auto-organizzate e collettive; un laboratorio che funzioni come generatore di nuovi approcci sperimentali che superino qualsiasi confine teorico e disciplinare tra i saperi e le competenze, tra la ricerca e l’azione.
NOTE 1 - Tratto da Expo 2015: “Nutrire le multinazionali, Nocività per il pianeta”, a cura della Rete attitudine NoExpo, 2015. 2 - www.genuinoclandestino.noblogs.org IMMAGINI 01 - Greenwashing, infografica. Immagine di Graziano Giscani. 02 - Illustration for The Village Voice’s “Best Of NYC 2013” issue from last year (Best Food & Drink). Immagine di Michael Waraksa. 03 - Manifesto per Eat the Rich. Immagine di Ericailcane. 04 - Un qualsiasi supermercato. APPROFONDIMENTI - R. Patel, ”Stuffed and starved”, Portobello Books Ldt, 2007; ed. italiana: R. Patel, “I padroni del cibo”, Feltrinelli, 2008. - M. Potito, R. Borghesi, S. Casna, M. Lapini, “Genuino Clandestino. Viaggio tra le agri-culture resistenti ai tempi delle grandi opere”, Terra Nuova Edizioni, 2015. LINK UTILI - www.about-about.org - www.genuinoclandestino.noblogs.org
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Contadini ai piani alti Prospettive di rinnovamento agricolo e urbano
di Antonio Musacchio Antonio Musacchio è architetto, PhD in Tecnologia dell’Architettura. e-mail: antonio.musacchio@iuav.it
“From producer to customer” was a recurrent tv slogan of early ’80. In those years the great distribution was starting its growing and that advertize shows the lies of industrialization which become in recent years a true paradox in agricoltural rules: the introduction of d.o.c. and i.g.p. labels, originally created to preserve the use of native materials in food processing, due to allow industrial production, changed traditional recipes introducing chemical ingredients. Today that false slogan is becoming a real need: in 2050 population will increase at a level which correspond a soil need of one extra million acres. We don’t have that soil and the only answer to the food need will consist in artificial fields. A renovation in alimentary culture recently introduced new agricoltural forms based on km0 and, in general, on proceedings shortage, in order to reduce air pollution caused by transportation. A further step in that direction is rapresented by vertical farms, a new model of agricoltural production on our horizon.
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Dal produttore al consumatore!” urlava Salvatore lanciandomi un grappolo d’uva appena strappato dai tralci mentre, incollato al sedile del trattore da una specie di melassa appiccicosa che lo chiazzava un po’ dappertutto e attraversava le trame di un calzone di almeno tre taglie più grande prestatomi per l’occasione, percorrevo, ancora bambino, le vigne del padre del mio compagno di banco. La battuta rimandava a uno slogan televisivo (di un alimento di chiara produzione industriale di cui non ho più memoria) in onda nei primi anni Ottanta e il figlio del produttore agricolo difendeva giustamente la categoria senza sapere che ciò che all’epoca si realizzava nell’infi ngimento mediatico si sarebbe poi trasformato in una vera e propria distorsione normativa: basti pensare alle fi liere “geograficamente protette” e alle innumerevoli polemiche sollevate in relazione alle etichettature in generale dei prodotti alimentari; sarebbe facile leggervi una crisi generale del comparto agroalimentare osservando quanta miopia e scarsa capacità di valorizzazione delle materie prime del nostro paese dipendano da fattori politici, tanto locali quanto legati ad accordi internazionali. Ma tant’è, viviamo tempi drammatici e, come la cultura orientale ci insegna, il dramma è sintesi essenziale di crisi e possibilità e certamente l’evento dell’Expo rispecchia tale dicotomia, a suo modo. Che il settore agricolo abbia necessità di un serio cambiamento è cosa risaputa: in Italia la crisi lo attraversa dal momento in cui, in età giolittiana, una riforma agraria1 che omologava il modello del lavoro nei campi all’organizzazione delle cooperative formatesi nell’Italia settentrionale scardinava di fatto il modello lavorativo del Mezzogiorno, causando l’esodo dei braccianti verso nuovi poli industriali e metropolitani. Questo ha determinato la perdita, ad esempio, del primato europeo sull’esportazione del grano, ceduto all’Inghilterra in virtù di modalità di coltivazione di tipo intensivo, come pure, nel tentativo di aumentare al massimo grado la produzione dei derivati, la non meno
importante perdita di alcune pratiche di conservazione, sostituite dai silos, divenuti nel tempo parte del paesaggio urbano del meridione. Prima dell’avvento dei silos (tanto di muratura quanto d’acciaio) il grano veniva conservato in cosiddette fosse granarie che, scavate in ampie aree urbane e peri-urbane, permettevano la conservazione dei cereali, anche per decenni, senza alcun additivo chimico, pratica obbligatoria nel caso di conservazione in silos fuori terra; la tramoggia, ovvero la praticità (ed il costo più basso) del travaso nei camion, ha vinto sulla qualità del prodotto naturale. Oggi come in passato le “tecnologie invisibili” che hanno agito sulla riorganizzazione di un importante settore del nostro paese fi niscono per scontrarsi con un abbassamento della qualità della materia prima, alla base della nostra alimentazione, tradendo così uno degli aspetti che maggiormente ci identificano: il cibo. Il paesaggio urbano del meridione (e non solo) ha perso un importante collegamento con il territorio, segno di un’elisione sempre più marcata della città dalle dinamiche agricole. Più in generale gli esiti dello sviluppo delle nostre città nel secondo dopoguerra hanno caratterizzato ampie fasce di territorio che si estendono con spessore variabile nell’ambiente rurale, defi nendo brani di territorio la cui marginalità dipende dal rifiuto della città stessa, pur nella consapevolezza degli irrinunciabili vantaggi di prossimità che essa offre2 . La sfida urbanistica della riqualificazione delle periferie può trovare occasione di rinnovamento soltanto lasciando le tradizionali logiche del sistema-città per affrontare la nuova avventura del progetto della campagna.
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oggi come in passato le tecnologie invisibili che hanno agito sulla riorganizzazione di un importante settore del nostro paese finiscono per scontrarsi con un abbassamento della qualità della materia prima
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Drammaticamente gli allarmi sanitari lanciati negli ultimi anni dagli studi medici sull’alimentazione ci spingono a valutare nuove possibilità, nel rispetto della qualità del prodotto e dell’ambiente: fi liere a chilometro zero, orti urbani, ecc., rappresentano l’inizio di una nuova rivoluzione agricola che può riavvicinare la città alla campagna e persino generare nuove tipologie edilizie. Sembrerà semplicistico ma la risposta al quesito fondamentale dell’Expo sulle prospettive produttive a fronte della crescita demografica globale non può essere trovata procedendo nel verso di un efficientamento del comparto industriale e dagli equilibri commerciali, quanto nell’aumento del suolo coltivabile: a Londra, come in alcune città americane, alcuni centri commerciali hanno trasformato in serre le proprie coperture, proponendo la vendita di prodotti ortofrutticoli coltivati in loco, mentre in numerose metropoli statunitensi interi quartieri convertono le coperture praticabili in tetti coltivati, grazie ad associazioni che, con il coinvolgimento degli abitanti, hanno defi nito gli schemi della Community Supported Agricolture in base ai quali i partecipanti (soprattutto ristoratori) acquistano una quota all’inizio della stagione, ricevendo in cambio i prodotti freschi al momento del raccolto. Pierre Donadieu3 parla in tal proposito di utopia delle campagne urbane, che i “poteri urbani” possono trasformare in realtà materiale promuovendo un paziente lavoro di raccordo tra lobbies associative, agenzie fondiarie pubbliche, organizzazioni professionali agricole, collettività locali e territoriali.
Innovative tecnologie invisibili possono supportare coerentemente nuove forme di edificazione e, procedendo in questa direzione, in un futuro ormai prossimo, permetteranno di compiere quello che alcuni teorici indicano come prospettiva a lungo termine del settore agroalimentare4: le Vertical Farm5. Emblematiche in tal senso sono state le teorizzazioni del gruppo MVRDV, formulate in KM3 e che si traducono nel progetto di torri di allevamento autoalimentate a sostegno dell’intero comparto produttivo della carne suina olandese. PigCity 6 è il nome di un progetto certamente visionario che parte da presupposti teorici come “capacità” e “densità” e che appartiene ad un fi lone di ricerca con altri obbiettivi ma, nel tentativo di sondare i possibili risvolti architettonici, mostra i vantaggi di un sistema produttivo tradotto in forma meccanizzata e controllata, quasi laboratoriale. I vantaggi di questo modello si possono tradurre in produzione uniforme di raccolti senza gli sprechi dovuti a siccità o epidemie, cibi prodotti senza l’uso di erbicidi, pesticidi o fertilizzanti, nell’eliminazione dell’erosione del terreno, nella conversione delle acque grigie in acqua potabile, nella generazione di energia dalle biomasse, nonché in una drastica riduzione degli spazi destinati all’immagazzinamento e conservazione degli alimenti. Aldilà delle questioni relative all’ingegnerizzazione degli aspetti produttivi o delle soluzioni costruttive, esse rappresentano il superamento del modello della grande distribuzione dei prodotti ali-
ecologie del territorio, sostenibilità delle reti di insediamenti locali, agricoltura urbana, ecovillaggi, sono alcune delle tematiche che possono essere ascritte ai cosiddetti villaggi rur-urbani, una definizione che riassume i molteplici volti dell’ibridazione tra forma urbis e forma agrorum
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mentari verso una rinnovata logica local del sistema di produzione e vendita al dettaglio nonché una nuova forma urbana che nelle intrinseche complessità spaziali e funzionali potrà offrire nuove opportunità architettoniche oltre che socio-economiche. Le formule espresse per le Vertical Farm, che rappresentano una contrazione estrema delle fi liere della produzione alimentare, indicano una delle possibili strade verso una ri-localizzazione dell’agricoltura, in forma laboratoriale, e spostano l’attenzione per il prossimo futuro sulla configurazione delle dinamiche processuali verso nuovi modelli e sinergie e che porteranno forse i contadini “ai piani alti”, modificandone ruoli e competenze. Chissà cosa ne pensa Salvatore...
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la sfida urbanistica della riqualificazione delle periferie può trovare occasione di rinnovamento soltanto lasciando le tradizionali logiche del sistema-città per affrontare la nuova avventura del progetto della campagna
NOTE 1 - Per un approfondimento del tema si veda: E. Sereni, “Storia del paesaggio agrario italiano”, Laterza, Bari, 1982. 2 - Ecologie del territorio, sostenibilità delle reti di insediamenti locali, agricoltura urbana, ecovillaggi, sono alcune delle tematiche che possono essere ascritte ai cosiddetti “villaggi rur-urbani”, una definizione che riassume i molteplici volti dell’ibridazione tra forma urbis e forma agrorum. Cfr. A. Ghini, M. Zazzi, “Villaggi rur-urbani. Elementi di autosostenibilità edilizia e insediativa”, Maggioli, Rimini, 2012. 3 - Cfr. P. Donadieu, “Campagne urbane. Una proposta di paesaggio della città”, Donzelli editore, Roma, 2006. 4 - Secondo quanto affermato dal Dr. Dickson Despommier, responsabile dell’Environmental Health Science di New York, si prevede che entro cinquanta anni la popolazione mondiale aumenterà di 8,3 miliardi di individui con la conseguente richiesta di circa un miliardo di ettari supplementari di terreno coltivabile; terra che non esiste. 5 - Per una più ampia descrizione si veda: A. Musacchio, “Vertical farming”, in: V. Tatano (a cura di), “Verde: naturalizzare in verticale”, Maggioli, Rimini, 2008, pp. 115-127. 6 - Cfr. MVRDV, KM3, Actar, Barcellona, 2005. LINK UTILI - Distorsione normativa: www.report.rai.it/dl/Report - PigCity: www.vimeo.com/89893363 - Vertical Farm: www.inspirationgreen.com/vertical-farms
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La geomatica a supporto dell’agricoltura di precisione Tecnologie e algoritmi geospaziali per la sostenibilità ambientale e l’ottimizzazione delle produzioni agricole Paolo Dosso è titolare dello Studio di Ingegneria Terradat e fondatore di TEAM - Tecnologie Evolute Agricoltura Meccanizzata1. e-mail: p.dosso@terradat.it
Italy is currently hosting the Universal Exhibition 2015, whose theme is “Feeding the Planet, Energ y for Life”. Besides underlining the fact that the world needs to make conscious political choices and to develop sustainable lifestyles, it also explicitly states that a crucial role in creating a balance between the availability and the consumption of resources will be played by the use of the best available technolog y. In this framework, precision agriculture techniques will have a big chance to contribute to the goal of reducing the environmental impact of farming activities while increasing their yield, the quality of products, and their profitability. Precision farming, which makes wide use of geospatial data sources and data processing algorithms, aims at reducing intra-parcel variability by monitoring it and adopting variablerate strategies in order to apply (virtually) every agronomical input at varying doses, according to the actual needs of every single point within the field as the tractor moves inside it.
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L’
di Paolo Dosso
Italia ospita in questi mesi l’Esposizione Universale 2015, il cui tema è “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Oltre a sollecitare scelte politiche consapevoli e stili di vita sostenibili, Expo indica in modo esplicito che un ruolo importante verso l’obiettivo di trovare un equilibrio tra disponibilità e consumo delle risorse verrà esercitato dall’utilizzo di tecnologie all’avanguardia. In questo contesto si inseriscono le tecnologie di agricoltura di precisione, settore che ha avanzato i primi passi alla fine del secolo scorso allorché la nuova disponibilità di dati satellitari ad alta risoluzione - grazie al lancio ed alla messa in orbita del satellite Ikonos II nel 1999 - permise all’uomo di osservare la Terra dallo Spazio con un dettaglio geometrico e spettrale sino ad allora mai raggiunto. La risoluzione del sensore multispettrale ad immagine alloggiato a bordo del satellite Ikonos II, pari a 4x4 m al suolo per pixel, permise infatti per la prima volta di riprendere dallo spazio ed analizzare gli oggetti ed i fenomeni presenti sulla superficie terrestre con un dettaglio tale da ritenere di poter essere in grado di descrivere per tale via anche la variabilità che caratterizza da sempre le coltivazioni moderne, e che i satelliti delle generazioni precedenti non erano in grado di cogliere. Osservando con i nostri occhi un qualsiasi appezzamento coltivato con tecniche moderne, sia che si tratti di colture erbacee o di impianti arborei, è infatti possibile notare come l’espressione vegetativa della coltura sia spesso assai variabile all’interno dell’appezzamento, andando così a costituire la cosiddetta variabilità intraparcellare delle colture, che si manifesta nonostante tutte le operazioni colturali (irrigazione, fertilizzazione, trattamenti fitosanitari, potatura, ecc.) vengano in realtà realizzate con pari intensità all’interno dell’appezzamento stesso. Da cosa deriva questa variabilità? In massima parte dall’elemento di base sottostante al processo agricolo, ovvero dalle caratteristiche geopedologiche del suolo coltivato, che possono variare anche
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repentinamente in ambiti relativamente ristretti (pochi metri di distanza). Inoltre, pendenze ed esposizione dei versanti influenzano la capacità della vegetazione di intercettare la radiazione solare e costituiscono il fattore determinante per la defi nizione del reticolo idrografico di drenaggio dei terreni, contribuendo quindi ad instaurare condizioni differenziali di insolazione delle colture e di disponibilità idrica per le stesse. Infi ne, anche le operazioni colturali - condotte dall’uomo con tecniche ormai quasi integralmente meccanizzate ed in larga parte estensive - tendono ad enfatizzare le differenze già presenti all’interno di un appezzamento: quando infatti un terreno presenta già variabilità importanti in termini di dotazione minerale, e quindi livelli di fertilità differenti al suo interno, adottare - come normalmente avviene - piani di concimazione a rateo costante (ovvero dove la dose erogata si mantiene costante in tutto l’appezzamento) significa in realtà accumulare ulteriori nutrienti laddove non vi sarebbe una reale necessità di apporti nutritivi esterni, giungendo per tale via a volte anche a causare in tali areali un peggioramento della qualità delle produzioni anziché un beneficio: ad esempio a causa del conseguente sviluppo di condizioni favorevoli alla diffusione di attacchi parassitari nel caso di colture arboree, come nella vite,
oppure dell’incremento delle condizioni favorevoli all’allettamento delle colture in caso di coltivazioni erbacee, come nel frumento. Tante di queste “variabilità” all’interno degli appezzamenti si riflettono in ultima analisi sia sulle rese agricole che sulla loro qualità, influendo quindi in modo assai determinante sulla profitability dell’attività agricola stessa, già oggetto di costante e progressiva erosione a causa delle dinamiche economiche globali e delle forti
sfruttare le tecnologie finalmente disponibili per “mappare” la variabilità intraparcellare esistente nelle colture con l’intento di volgerla questa volta a proprio favore
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pressioni coercitive provenienti da un lato dalle multinazionali che presidiano la produzione ed il commercio di sementi, fertilizzanti ed agrofarmaci, e dall’altro dagli operatori della fi liera logistica e distributiva dell’agroalimentare, e in particolare dai grossisti e dagli operatori della GDO. L’origine di questa problematica nasce senza dubbio dall’evoluzione sociale ed economica subita dal comparto agricolo nel corso degli ultimi decenni, che ha portato ad un continuo incremento delle dimensioni aziendali medie, oltre che a fenomeni sempre più estesi ed ampi di sistemazione fondiaria miranti all’aggregazione progressiva delle parcelle tra di loro al fine di garantire maggiore efficienza e quindi economicità nella lavorazione meccanica delle stesse. Aziende sempre più estese e parcelle sempre più grandi hanno portato via via ad una minore consapevolezza della variabilità intraparcellare da parte dell’agricoltore, spesso impossibilitato a monitorarne l’entità ed estensione e quindi sostanzialmente ignaro del conseguente impatto sulle produzioni in termini di rese, qualità e profitability. Si tratta di una condizione impensabile nel contesto dell’economia rurale che ancora sussisteva nel nostro paese non più tardi di sessant’anni fa, caratterizzata da estrema parcellizzazione delle proprietà fondiarie: un mondo ormai del tutto confi nato in un passato impossibile da recuperare, ove il contadino conosceva alla perfezione pregi e difetti di ogni angolo di terra da lui coltivato. Da queste considerazioni, oltre che dalla disponibilità di dati atti a supportare tale approccio, nasce all’inizio di questo secolo la cosiddetta agricoltura di precisione, ovvero l’idea di sfruttare le tecnologie fi nalmente disponibili per “mappare” la variabilità intraparcellare esistente nelle colture con l’intento di volgerla questa volta a
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proprio favore mediante l’utilizzo di macchine intelligenti in grado di operare non più a rateo costante, come di consueto, ma a rateo variabile, ovvero in una modalità in cui l’intensità dell’azione puntuale della macchina (sia essa uno spandiconcime, un irrigatore, un atomizzatore o virtualmente qualsiasi altra macchina agricola) sia proporzionata alle effettive esigenze puntuali della coltura. Risulta chiaro quindi che un sistema di agricoltura di precisione è costituito da tre segmenti, tra loro strettamente interdipendenti: 1 - una sorgente di dati atta a registrare, preferibilmente in forma di mappa, la variabilità intraparcellare; 2 - un’elettronica dedicata, in grado di leggere le informazioni georeferenziate contenute nella mappa che descrive la variabilità intraparcellare, stabilire la posizione corrente del mezzo agricolo, generalmente facendo ricorso alla tecnologia GPS, incrociare tali due informazioni al fi ne di stabilire l’entità della regolazione (la dose di un prodotto o l’intensità di una attività) da comunicare alla macchina agricola; 3 - una macchina agricola intelligente, in grado di recepire il comando proveniente dall’elettronica e regolare quindi i propri attuatori in modo da erogare l’azione specifica secondo il rateo stabilito, che quindi risulta variabile istante per istante e non più costante come nelle lavorazioni meccaniche tradizionali. In questo contesto, il ruolo della geomatica risulta di fondamentale importanza in almeno due segmenti dell’intero sistema. Innanzitutto, ciò avviene con l’utilizzo di tecnologie per il posizionamento globale (GPS), le quali a partire dal 2000 - anno in cui il presidente USA Bill Clinton stabilì la cessazione della Selective Availability 2 - sono in grado di fornire misure di posizionamento in
negli ultimi tempi ha ripreso interesse l’impiego di sensori di prossimità montati direttamente a bordo del trattore, in grado di fornire una base informativa per l’adozione di tecniche di agricoltura di precisione
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continuo ed in movimento del tutto compatibili con gli usi nel settore dell’agricoltura di precisione, e via via sempre più accurate con l’integrazione della costellazione americana GPS con altri sistemi di proprietà di altri paesi quali il russo GLONASS ed in prospettiva l’europeo GALILEO (da 1-2 metri di errore nelle soluzioni più economiche, fi no a pochi cm per quelle più sofisticate). L’agricoltura di precisione si avvale poi di una variegata serie di piattaforme (satellite, aereo, drone) e sensori ad immagine (camere digitali multispettrali, sensori iperspettrali, camere termiche) al fi ne di raccogliere i dati atti a descrivere la variabilità intraparcellare in modo semplice e di facile utilizzo. Anche gran parte degli algoritmi di elaborazione dati utilizzati in agricoltura di precisione si basano su tecniche e procedimenti tipici del mondo geomatico (in particolare reperiti in aree tematiche quali remote sensing ed image processing, ma anche geometria computazionale e Geographical Information Systems). Per quanto riguarda le piattaforme e le sorgenti di dati, il satellite risulta in linea di principio il sistema più idoneo allo scopo, in special modo quando si tratti di monitorare ampie superfici, grazie alla sua capacità di riprendere vasti areali in un solo “scatto” o passaggio. Ciò che risulta ancor oggi carente è la flessibilità nella scelta dell’istante di acquisizione dei dati (spesso l’utente deve “accontentarsi” di immagini d’archivio, anche per ragioni di budget), ed il costo delle immagini, ancor oggi troppo elevato (in special modo per quanto riguarda acquisizioni ad hoc o addirittura con time windows molto ristrette o ravvicinate rispetto al momento dell’ordine dell’immagine). Il futuro allestimento di costellazioni di microsatelliti, attualmente già in corso da parte di alcune società sta-
tunitensi, permetterà di superare quelli che al momento risultano handicap insormontabili per l’utilizzo massivo di dati da satellite in agricoltura di precisione. Anche l’aereo, sebbene molto più flessibile del satellite per quanto riguarda la scelta dell’istante di acquisizione dei dati, risulta ancor meno idoneo in termini di costi, che in generale sono assai superiori rispetto all’opzione satellite. Da un paio d’anni assistiamo ad una vera e propria frenesia ed impazzimento dell’opinione pubblica relativamente alla crescente popolarità dei droni: pare che nessuna attività umana possa resistere all’attrazione fatale di questi congegni ronzanti hi-tech e, di conseguenza, anche l’agricoltura di precisione è stata travolta dalla mole di potenziali applicazioni in tale campo della tecnologia dei droni, che spaziano dal loro utilizzo quale piattaforma per riprese aeree, ad altri improbabili usi quali vettori per la distribuzione sui campi di fertilizzanti, fitofarmaci, insetti utili. In effetti l’utilizzo di droni per riprese fotogrammetriche di prossimità a supporto dell’agricoltura di precisione costituisce un interessante ambito applicativo. Purtroppo però il Regolamento emanato da ENAC in materia ed entrato in vigore nel 2014 pone condizioni operative fortemente limitanti agli operatori di droni3, ed impone procedure autorizzative burocratiche e farraginose, con l’effetto di rendere sostanzialmente improponibile, oltre che economicamente non sostenibile a queste condizioni operative, l’utilizzo dei droni in agricoltura. Alla luce di tali limiti connessi all’utilizzo di satellite, aereo o drone, ha ripreso negli ultimi tempi interesse l’impiego di sensori di prossimità montati direttamente a bordo del trattore, in grado di rilevare uno o più parametri agronomici o micrometeorologici in
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grado di fornire una base informativa per l’adozione di tecniche di agricoltura di precisione. In tali sistemi, il sensore rileva in continuo un array di parametri4 le cui letture sono collegate ad una misura di posizionamento GPS e memorizzate in un fi le di log. Un software di postprocessing si preoccupa successivamente di convertire i fi le di log in una serie di mappe tematiche (una per ciascun parametro rilevato) sovrapponibili ed incrociabili tra loro. L’efficacia del sistema si basa sulla constatazione che i costi del suo utilizzo, al netto dell’investimento iniziale, sono sostanzialmente nulli, potendo impiegare il sensore stesso durante uno degli innumerevoli passaggi in campo per effettuare le più comuni pratiche colturali (fertilizzazione, trattamenti, diserbo, sfalcio, cimatura, ecc). Inoltre, a differenza di tutte le altre sorgenti dati, i sensori di prossimità possono essere utilizzati anche per realizzare attività a rateo variabile in tempo reale, utilizzando sistemi in cui il dato rilevato dal sensore comanda direttamente ed in tempo reale gli attuatori della macchina intelligente al fi ne di regolarne il funzionamento in regione degli effettivi fabbisogni direttamente desunti dalla lettura proveniente dal sensore. Infi ne, il sensore di prossimità, in quanto nella piena disponibilità dell’agricoltore stesso, lo mette in condizione di indipendenza dalle problematiche che un eventuale fornitore di servizi di mappatura da satellite/drone/aereo potrebbe incontrare nella sua attività, e del tutto al riparo da possibili problematiche che potrebbero eventualmente affl iggere fi liere (come quella dei satellite data provider) così lontane - anche psicologicamente - dal mondo dell’agricoltore. Esperienze ormai protratte lungo un arco temporale di oltre 10 anni ci consentono di affermare che l’adozione di tecniche di agricoltura di precisione, con l’impiego in campo di macchine intelligenti con tecnologia a rateo variabile, permette di conseguire risparmi nella distribuzione di fertilizzanti e fitofarmaci generalmente compresi tra -20% e -40%, con le evidenti ed ovvie ricadute anche in termini di compatibilità e sostenibilità ambientale di tali produzioni agricole. Inoltre, in campo viticolo, l’adozione di pratiche di concimazione
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a rateo variabile consente di evitare efficacemente l’instaurarsi di condizioni favorevoli allo sviluppo di fitopatie nelle zone di maggior vigore della coltura, con un’ulteriore conseguente diminuzione della necessità di impiego di alte dosi di fitofarmaci. Infine, l’utilizzo di strategie di vendemmia selettiva5 basate su mappe di vigore del vigneto permette di ottenere incrementi qualitativi assai significativi nelle produzioni di maggior pregio (fino a +3 gradi brix e tra +50% e +100% di polifenoli ed antociani nei mosti corrispondenti alle zone meno vigorose del vigneto). In sintesi, possiamo dire che l’agricoltura di precisione è un’opzione tecnologica ormai alla portata di ogni azienda agricola, del tutto sostenibile in termini di costi/benefici, ed in grado di portare con sé numerosi risvolti ambientali di sicuro interesse: crediamo di non sbagliare se concludiamo affermando che essa si ritaglierà un importante ruolo nel raggiungimento dell’obiettivo di trovare un equilibrio tra disponibilità e consumo delle risorse nel nostro mondo globalizzato.
l’agricoltura di precisione, con l’impiego in campo di macchine intelligenti con tecnologia a rateo variabile, permette di conseguire risparmi nella distribuzione di fertilizzanti e fitofarmaci compresi tra -20% e -40%
NOTE 1 - TEAM è un raggruppamento di imprese (Studio di Ingegneria Terradat, Appleby Italiana, Casella Macchine Agricole) nato nel 2009 con lo scopo di fornire al settore agricolo soluzioni di agricoltura di precisione “chiavi in mano”, dal rilevamento del dato, al suo processamento e successiva gestione tramite dispositivi elettronici, fino alle macchine agricole appositamente dedicate ad attività in campo di tipo VRT (Variable Rate Technology). 2 - La Selective Availability è una tecnica, dismessa nel 2000, che degradava la precisione della tecnologia GPS per usi non civili ad accuratezze non superiori a 100 m. 3 - Oltre a porre numerosi altri vincoli che stabiliscono il divieto di sorvolo con droni entro 8 km dagli aeroporti, in prossimità di strade, infrastrutture, zone urbanizzate, aree congestionate ed all’interno delle aree aeroportuali o di spazi aerei controllati, il Regolamento ENAC limita l’utilizzo professionale del drone in un volume (denominato V70) contenuto entro una distanza orizzontale di 200 m dal punto di stazionamento del pilota e della base station, e ad un’altezza massima di 70 m dalla quota del medesimo punto. 4 - A titolo d’esempio: indici di vegetazione, misure di temperatura superficiale della vegetazione, umidità relativa atmosferica, temperatura atmosferica, distanze della parete vegetata, ecc. 5 - Da parte di alcuni produttori di macchine agricole, sono state sviluppate vendemmiatrici in grado di separare (in continuo e durante il percorso delle vendemmiatrice stessa all’interno del vigneto) le uve di un unico vigneto in due lotti differenti, in funzione delle indicazioni provenienti da una mappa di vigore del vigneto stesso, con il fine quindi di operare una vendemmia differenziata e selettiva, che porta in ultima analisi all’ottenimento di due vini con caratteristiche profondamente (e spesso sorprendentemente) differenti, anche se provenienti da grappoli raccolti nel medesimo vigneto. IMMAGINI 01 - Uno spandiconcime a rateo variabile, con dettaglio sull’elettronica di bordo. 02 - Sensore di prossimità da vigneto, dall’alto a sinistra in senso orario: rendering del principio di funzionamento, visualizzazione dell’area della parete ripresa dai diversi sottosensori, dettaglio costruttivo, la centralina di controllo a bordo trattore. 03 - Sensore di prossimità da campo aperto al lavoro in un appezzamento coltivato a pomodoro. 04 - Trattore equipaggiato con un sensore di prossimità da vigneto (posto sul sollevatore anteriore del trattore) ed uno da campo aperto (posto sulla cabina del trattore). 05 - Mappa di vigore realizzata con sensore di prossimità da campo aperto (30 ha accorpati coltivati a pomodoro). Immagini dello Studio di Ingegneria Terradat. LINK UTILI - www.terradat.it - www.precision-farming.com - www.casella.it - www.applebyitaliana.com - www.teamsmartfarming.com
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PORTFOLIO
Campagna abbandono
Alessandro Venerandi è dottorando in Urban Sustainability and Resilience presso UCL - University College of London. e-mail: avenerandi@gmail.com www.vederephotography.com www.flickr.com/photos/alevenerandi
Many abandoned villas characterize the agricultural landscape near my home town in northern Italy. However, not long ago, the situation was different: most of these beautiful buildings were populated and their inhabitants used to grow and sell a diversified set of products. Me and my parents knew many people who lived there and used to go there to buy fruits, vegetables, meat. Around 20 years ago, this changed drastically and people started to abandon these places. There are many reasons behind this phenomenon however two seem to be the main ones. First, the globalised market made diversified productions no longer profitable. Second, work in the fields is no longer considered decent. This caused several negative outcomes: a more uniform landscape, the disappearance of a specific kind of social group and the loss of important architectural heritage. As positive note, at least some of these ancient villas have been recently saved and restored.
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di Alessandro Venerandi
iaggiando per le campagne del mio paese mi imbatto spesso in enormi casoni completamente disabitati e abbandonati a loro stessi. Qualche tempo fa non era così, questi edifici erano quasi tutti abitati, ospitavano numerose persone ed erano sede di una fiorente produzione agricola. Anche se io e la mia famiglia abitavamo in paese, spesso ci recavamo presso le corti di campagna per incontrare amici, parenti o per comprare i prodotti della campagna. Si respirava sempre un’atmosfera rilassata e cordiale e mi sentivo unito a quei luoghi da un legame atavico, antico. Oggi la situazione è radicalmente cambiata e molti di questi luoghi sono stati abbandonati e vertono in situazioni precarie. Le cause di questo fenomeno sono molteplici ma molto probabilmente quelle principali sono due. La prima riguarda recenti cambiamenti a livello economico-produttivo a scala globale. Ognuna di queste corti di campagna, produceva infatti un’incredibile varietà di prodotti: differenti tipologie di carni, frutti, verdure. L’avvento del mercato globale ha richiesto una massiccia riduzione del numero di prodotti offerti a vantaggio di pochi (ad esempio mais e grano) e l’accorpamento di proprietà. Questo ha reso piccole e variegate produzioni non più redditizie e di conseguenza molte persone hanno deciso di trovare occupazione altrove. Un’altra causa che ha contribuito a questo fenomeno è di carattere socio-culturale. Sembra infatti che al giorno d’oggi il lavoro in campagna non sia più considerato dignitoso e che le nuove generazioni vadano indirizzate verso categorie di occupazioni slegate dalla produzione agricola, ad esempio il terziario. Questo non solo riduce in modo cospicuo la diversità nell’offerta di prodotti, ma porta anche altri tre aspetti negativi: più uniformità nel paesaggio agricolo, la scomparsa di uno specifico tipo di società e la perdita di un incredibile patrimonio architettonico (le corti di campagna a cui faccio riferimento risalgono infatti alla fine del XIX secolo). La nota positiva è che almeno alcuni di questi antichi edifici rurali sono stati salvati e trasformati in abitazioni private, bed & breakfast o in sedi di varie istituzioni.
01 - Corte in localitĂ Camatte, Pegognaga (MN). 02 - Dettaglio di facciata, localitĂ Camatte, Pegognaga (MN).
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03 - Stalla-fienile, località Zara, Pegognaga (MN). 04 - Stalla-fienile, località Sacca, Pegognaga (MN). 05 - Stalla, località Ronco Nuovo, Pegognaga (MN).
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06 - Corte in localitĂ Camatte, Pegognaga (MN). 07 - Corte in localitĂ Portiolo, Pegognaga (MN).
08 - Fienile, localitĂ Camatte, Pegognaga (MN).
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IN PRODUZIONE
Impronta ecologica leggera L’EPD della pasta per un processo sostenibile
Emilio Antoniol è architetto PhD in tecnologia dell’architettura. e-mail: antoniolemilio@gmail.com
The concept of sustainability includes not only the aspects directly linked to environmental protection but also some issues such as product quality, social and economic equity. In the food sector, for example, we are developing processes and marketing strategies aimed to elevate the quality of the Italian products and to promote environmental friendly processes. Pasta is one of the food sectors that are most interested in these aspects. Sgambaro S.p.A. has used sustainability as its brand for over fifty years. The whole production process is linked to the theme of km 0, to reduce transports and emissions; the company uses only energ y from renewable sources and invests in “carbon capture and storage projects” with initiatives aimed to safeguard the environmental heritage of Veneto. Finally, company has set up an EPD for pasta product, to certify its environmental light footprint.
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evoluzione del concetto di sostenibilità ha portato negli ultimi anni ad includere in tale principio non solo gli aspetti direttamente connessi alla salvaguardia dell’ambiente ma anche temi e questioni quali la qualità del prodotto, l’equità sociale ed economica e la non pericolosità per l’utente fi nale, tutti fattori che influenzano fortemente l’impatto complessivo di un processo produttivo e che richiedono investimenti in tecnologia e in certificazioni sempre più rilevanti. Questo nuovo approccio alla sostenibilità trova nel settore edilizio uno dei campi di applicazione più floridi visto l’enorme impatto ambientale, sociale ed economico che l’architettura riveste ma, contemporaneamente, sta trovando applicazione anche in altri ambiti della produzione ponendo così le basi per processi di trasferimento di tecnologie e buone pratiche. Il settore agroalimentare ne è un sicuro esempio; in ogni comparto della produzione alimentare si stanno infatti sviluppando processi e strategie di marketing finalizzate ad esaltare la qualità del prodotto made in Italy e a valorizzare il basso impatto ambientale che tale processo produce attraverso l’uso marchi e certificati che ne attestino le caratteristiche di sostenibilità. La pasta, eccellenza dell’agroalimentare italiano, è forse uno dei
di Emilio Antoniol prodotti di punta di questa nuova “visione sostenibile” e trova proprio in un’azienda del territorio Veneto, la Sgambaro S.p.A., uno dei suoi principali protagonisti. Sgambaro nasce alla fi ne degli anni ’40 con la costruzione di un pastificio artigianale a Cittadella, nel padovano. Negli anni ’60 l’azienda si amplia acquisendo diversi mulini in provincia di Treviso e dà avvio ad una politica aziendale focalizzata sui temi della qualità del prodotto investendo su aspetti quali la produzione a km 0 e l’uso di solo grano duro italiano. Tra le prime attività sviluppate in questa direzione vi è l’accentramento di tutte le fasi produttive, dal mulino al pastificio, a Castello di Godego (TV) riducendo così tempi e costi legati ai trasporti. Negli anni è poi seguito l’investimento nella produzione cerealicola che oggi si concentra prevalentemente nel Nord Italia (Veneto, Emilia Romagna, Lombardia e Friuli Venezia Giulia) riducendo così gli impatti legati al trasferimento della materia prima. Ed è proprio sulla questione ambientale che si focalizzano le attività più recenti con un’attenzione sempre maggiore alla sostenibilità del processo produttivo estesa a tutta la fi liera, dalla produzione fi no alla tavola. Sono nate così iniziative rivolte prima al monitoraggio e alla certificazione del processo e poi alla sensibilizzazione su tali temi, coinvolgendo scuole e università per
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trasmettere l’idea di un prodotto sostenibile e di qualità.
le attività più recenti si focalizzano sulla sostenibilità del processo produttivo estesa a tutta la filiera, dalla produzione fino alla tavola
Il processo produttivo Il processo di produzione della pasta segue una fi liera complessa che parte dal campo in cui viene prodotto il grano duro italiano. Dopo la raccolta questo viene trasportato al mulino, pulito dalle impurità e sottoposto ad una selezione ottica per eliminare i corpi estranei e tutti i difetti di colore. Segue la fase di bagnatura, che aumenta l’umidità del grano e ne facilita la separazione dalla scorza nelle fasi successive. Dopo una prima fase di decorticatura, in cui viene eliminata la parte corticale del chicco, si passa alla macinazione vera e propria che consiste in una sequenza di azioni di macinatura e setacciatura, necessarie per ottenere e separare le diverse componenti della farina:
la crusca, il tritello, il farinaccio, la farinetta e le semole (circa il 70%), suddivise a loro volta in semola raffi nata, calibrata, cous-cous, semolone e semolino. Le lavorazioni si spostano poi in pastificio dove viene preparato l’impasto miscelando la semola con acqua. Si ottiene un impasto morbido ed elastico, dal colore giallo, che viene inviato alle trafi le in bronzo per i formati “con il buco” o agli impianti di laminazione per la pasta “piatta” come farfalle, orecchiette e tagliatelle. Segue una fase, di breve durata, detta “incartamento” in cui viene stabilizzata la forma della pasta grazie all’ausilio di grandi quantità di aria calda. Contemporaneamente avviene anche la pastorizzazione del prodotto, che permette di ridurre la carica batterica garantendone così la conservazione. L’ultima fase è quella di essiccazione che avviene a basse tempe-
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rature in tempi lunghi (dalle 8 alle 12 ore in base al tipo di pasta). Questo processo, che richiama la naturale asciugata al sole, esalta il sapore e la fragranza del grano duro e ne conserva intatte le proprietà organolettiche. I valori della sostenibilità Con l’intento di fornire un prodotto di qualità e dal basso impatto ambientale da anni Sgambaro S.p.A. investe su diversi aspetti legati al processo. Il primo passaggio è stata la produzione di pasta a km 0, puntando a ridurre al minimo le fasi di trasporto e accentrando tutte le attività principali attorno ad un unico polo produttivo. A ciò è seguita la scelta di monitorare e certificare il consumo energetico relativo alla produzione della pasta con l’obiettivo di ottimizzarne i consumi. Nei suoi stabilimenti l’azienda utilizza solo energia derivante da fonti rinnovabili (69,1% idroelettrico, 26,6% eolico, 4,3% biomasse, 0,1% fotovoltaico) certificate dalla società trentina Trenta S.p.A., che garantisce un approvvigionamento esclusivo da impianti alimentati da fonti
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rinnovabili. Ciò implica che una quantità di energia pari a quella consumata dall’azienda è stata prodotta da impianti alimentati da una fonte rinnovabile ben defi nita in un determinato periodo temporale. La tracciabilità e la garanzia di provenienza dell’energia è fornita dalla certificazione G.O. (Garanzia di Origine), riconosciuta a livello internazionale e indirizzata allo sviluppo di un mercato su base volontaria dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Negli ultimi anni, l’impegno dell’azienda nel campo della sostenibilità si è indirizzato verso nuove iniziative legate al risparmio delle risorse e alla valorizzazione del territorio. Tra queste va ricordata la partecipazione al progetto Carbomark attraverso il quale Sgambaro ha concluso un accordo di compensazione acquistando dei “crediti di carbonio” proporzionali ai kg di CO2 emessi dall’azienda. Gli investimenti sono rivolti a tutelare alcune aree boschive nel Comune di Lusiana (VI) e nel Comune di Mel (BL); essi andranno a compensare il mancato guadagno delle amministrazioni locali, derivate dallo sfruttamento dei bo-
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la sostenibilità di processo non passa solo attraverso iniziative mirate di risparmio energetico, ma richiede un approccio più ampio, globale
pasta Sgambaro presenta un’impronta leggera sull’ambiente soprattutto grazie ad un minore impatto nelle fasi di produzione, di trasporto e di imballaggio
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schi, sostenendo i costi della cura e manutenzione degli alberi per trent’anni. Nel 2015 questo progetto di compensazione delle emissioni si è esteso anche alla laguna di Venezia dove è stato avviato un progetto di CCS (Carbon Capture and Storage) gestito della Blue Valley S.r.l.. Esso prevede di sfruttare i fondali salmastri della laguna come bacini di stoccaggio della CO2 atmosferica mediante processi del tutto naturali di fotosintesi a carico di alghe e piante acquatiche. L’efficienza di questo processo è legata ad una corretta gestione ambientale della valle dove viene promossa un’attività di pesca e allevamento ittico biologico estensivo al fi ne di salvaguardare i fondali lagunari. I costi di tali attività sono supportati dall’acquisto di quote di compensazione della CO2 , certificate dalla società BIOS. Sgambaro ha aderito a questo progetto proprio in occasione di Expo 2015, acquistando quote di compensazione della CO2 pari a tutta la pasta fornita per l’evento milanese. L’EPD della pasta Un ulteriore passo verso la sostenibilità del processo è stato compiuto nel 2014 attraverso la defi nizione di un’EPD per la pasta. L’EPD (Enviromental Product Declaration) è una Dichiarazione Ambientale di Prodotto del III tipo, secondo quando defi nito dalla ISO 14025:2006 “Environmental labels and declarations - Type III environmental declara-
tions - Principles and procedures”. Sono certificazioni volontarie che vengono convalidate da un ente di certificazione terzo e che hanno come obiettivo principale quello di fornire informazioni rilevanti, verificate e confrontabili relative all’impatto ambientale di un prodotto o di un servizio. La metodologia per la defi nizione di una EPD si basa sull’analisi del ciclo di vita LCA (Life Cycle Assessment), a sua volta regolata dalle norme ISO della serie 14040, defi nendone gli impatti ambientali riferiti alle tre parti principali del processo: l’upstream module, che comprende le fasi di produzione delle materie prime, il core module che racchiude le attività legate alla produzione e il downstream module che contiene le attività legate alla fase d’uso e fi ne vita del prodotto. L’analisi del ciclo di vita della pasta Sgambaro ha fatto riferimento all’unità funzionale di 1 kg di prodotto. I confi ni del sistema per la defi nizione dell’LCA sono stati individuati secondo lo schema seguente (img. 06): - per l’upstream module sono stati considerati la fase agricola di produzione grano duro (incluse le emissioni dovute alla fertilizzazione del terreno e alla coltivazione), la produzione dei semi, la produzione di fertilizzanti, diserbanti e pesticidi usati in agricoltura, la produzione del packaging primario e secondario del prodotto, il trasporto al mulino e la macinatura del grano; - per il core module sono stati considerati la
produzione della pasta, l’utilizzo di prodotti ausiliari e la distribuzione del prodotto; - il downstream module comprende invece processi legati alla cottura della pasta e allo smaltimento dell’imballaggio dopo l’uso. Poiché tali processi sono a discrezione dell’utente ne è stata compiuta solo una descrizione di tipo qualitativo. Nello studio non sono state considerate le operazioni di costruzione dell’azienda e delle sue infrastrutture, la produzione dei macchinari dell’azienda, nonché il trasporto dei dipendenti dell’azienda. L’analisi LCA ha messo in evidenza il consumo di risorse correlato alla produzione di 1 kg di pasta e i relativi indici di impatto ambientale legati alle emissioni in aria e acqua. Tra questi l’indicatore di riferimento, il GWP100 (Global Warming Potential ), defi nisce le emissioni di anidride carbonica, principale gas serra, prodotte nell’intero ciclo di vita del prodotto al quale sono sommati altri gas con minore grado di assorbimento dei raggi infrarossi. L’indicatore viene espresso in funzione del grado di assorbimento della CO2 in kg di CO2 equivalente. Il risultato defi nisce un valore di GWP100 pari a 0,898 kgCO2eq per 1 kg di pasta. Le diverse azioni messe in atto dall’azienda hanno permesso di ridurre sempre più l’indice GWP100 che, ad oggi, risulta inferiore a molti dei valori proposti per altri prodotti della stessa categoria; pasta Sgambaro presenta quindi “un’impronta legge-
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Processi Operativi Fase Principale (core processes)
Processi a Monte del Sistema (up-stream processes)
Coltivazione grano
Trasporto
Processo di macinatura
Produzione imballaggio
Acidificazione AP Eutrofizzazione EP Ossidi fotochimici POCP
Fase di cottura
Smaltimento imballaggio
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Come dimostra l’esperienza appena descritta, la sostenibilità di processo non passa dunque solo attraverso iniziative mirate di riduzione dei consumi o di risparmio energetico, ma richiede un approccio più ampio, globale, in grado di coinvolgere nel processo realtà locali, di compensare dove non è possibile azzerare e di innovare laddove le moderne tecniche lo consentono. Tale approccio non è valido o applicabile solo nel settore alimentare ma, al contrario, costituisce una buona pratica per tutti gli ambiti produttivi, compreso un settore come quello edilizio che risulta essere una tra le principali cause di consumo energetico e inquinamento ambientale.
UPSTREAM MODULE
Cambiamenti climatic GWP100
Distribuzione (trasporto)
Trasporto
ra sull’ambiente” soprattutto grazie ad un minore impatto nelle fasi di produzione, di trasporto e di imballaggio. L’innovazione messa in campo dall’azienda negli ultimi decenni ha permesso di raggiungere risultati interessanti sul piano del contenimento delle emissioni ma è comunque impossibile azzerare l’impatto di un’attività di tipo industriale. Per tale motivo risultano cruciali le iniziative di compensazione della CO2 prodotta avviate negli ultimi anni. L’investimento in tali progetti consente infatti la salvaguardia di patrimoni ambientali del territorio favorendo allo stesso tempo le economie locali e, in tale contesto, la scelta di progetti legati al Veneto, dai boschi bellunesi alla laguna di Venezia, evidenziano nuovamente l’impostazione a km 0 dell’azienda.
CATEGORIA IMPATTO
Acqua e Energia per la cottura
Acqua e Energia
Produzione pasta
Materie prime imballaggio
Processi a Valle del Sistema (down-stream processes)
CORE MODULE
Coltivazione Campo
Molinatura
Packaging
Produzione Pasta
Distribuzione
Totale
Unità Misura
0.562
0.036
0.086
0.176
0.038
0.898
kgCO2eq
0.00609
0.00021
0.00026
0.00019
0.00028
0.00703
kgSO2eq
0.023
0.0001
0.0001
0.0001
0.0001
0.0234
kgPO 4 3-eq
0.00021
0.00004
0.0001
0.00007
0.00005
0.00047
kgC 2H4eq 06
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IMMAGINI MAGINI 01 - La raccolta del grano gra rano no duro ro di origine italiana italiana. a. 02 - Pastificio, linea di p proroduzione corta. zione della pasta cort rta. a. 03 - Molino, impianto di ma macicinatura ura del grano. 04 - Confezionamento della pasta t Sgambaro ambaro etichetta gialla. 05 - Confini per il calcolo LCA della produzione ne della pasta Sgambaro. 06 - Tabella di sintesi per il calcolo del GWP100 WP100 di 1 kg di Pasta Sgambaro etichetta gialla. lla. 07 - La pasta dall’impronta leggera sull’ambiente. l’ambiente. Immagini magini di Sgambaro S.p.A. LINK NK UTILI - Per er scaricare l’EPD di pasta Sgambaro: www.environdec.com ww.environdec.com - Trenta renta S.p.A.: www.trenta.it - Progetto rogetto Blue Valley: www.bluev.it - Bios: ios: www.certbios.it CONTATTI NTATTI AZIENDA Sgambaro ambaro S.p.A. Via Chioggia, 11/A 31030, Castello stello di Godego (TV) www.sgambaro.it ww.sgambaro.it tel. 0423 760007 info@sgambaro.it o@sgambaro.it
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VOGLIO FARE L’ARCHITETTO
Touch Security House La casa a portata di tocco
Dario Moretto e Luca Arieldi sono architetti, collaborano da sempre in ambito architettonico, nella partecipazione a concorsi, bandi, realizzazione di prototipi e attualmente sono impegnati nella professione. e-mail: dario.moretto@hotmail.it e-mail: ariediluca@hotmail.it
A new interface between user and home: a touch security watch to insert the home access code and a wall touch system to enable home automation systems and lighting. The Touch Securit House project is based on the use of conductive paints that allow you to draw on the wall of the input points for lighting and automated systems control. The paint is washable and can be easily removed. So it is possible to customize and transform the space as needed minimizing masonry work and without the intervention of a specialized technician. Moreower, thanks to the smartwatch, you can: turn on the lights, open the automatic shutters, select the themes of the lights, verify the energ y saving of the house and control the video entry phone also when you are not at home.
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ensare al futuro della domotica nell’ambito domestico è stato il tema del concorso “Came Design Award” che aveva come obbiettivo la realizzazione dei prototipi dei progetti vincitori e la loro esposizione presso il padiglione di Came ad Expo Milano 2015. Il progetto Touch Security House guarda ad un futuro in cui l’interazione tra uomo e luogo dell’abitare diventi un processo istintivo e naturale grazie all’uso del più “spontaneo” tra i cinque sensi, il tatto. Il toccare una superficie mette in relazione un individuo con un oggetto; in questo caso il toccare un logo disegnato su una parete consente di inviare un input che genera una qualsiasi automazione. Il sistema si basa su una vernice conduttiva che trasmette un impulso al sistema domotico che risponde a sua volta azionando un output come, ad esempio, l’accensione delle luci, l’apertura di cancelli, l’apertura dei tendaggi oscuranti e le ambientazioni preimpostate (atmosfera generata da luci, temperatura e suoni). Questa nuova tecnologia permette di dare maggiore libertà al progettista/designer potendo personalizzare le icone da dipingere sulla parete, senza essere più vincolati alla scelta degli interruttori convenzionali. Immaginate di poter creare un’icona, ad esempio una lampadina stilizzata, disegnarla
di Dario Moretto e Luca Ariedi sulla parete e accendere la luce con pochi semplici gesti; questa è l’essenza di questo progetto. La libertà non è solo “di forma”, ma anche “di posizione” sulla superficie della parete. Possiamo disegnare il nostro logo/interruttore più in basso, ad esempio in un asilo per agevolare il bambino, o più in alto, ad esempio sopra un mobile. Anche l’uso a pavimento può dare origine a spazi che si illuminino ed emettano suoni semplicemente camminandoci attraverso; esempi di applicazione possono essere gli interni di una mostra o di un allestimento. L’uso di una vernice non tossica e lavabile con acqua permette di spostare il logo/interruttore durante la vita e l’uso dello spazio senza la necessità di opere murarie portando la concezione di flessibilità ai massimi livelli. Immaginiamo ad esempio di voler cambiare l’arredamento di una stanza disponendo la libreria a ridosso dell’interruttore oscurandolo, basta cancellare la traccia esistente spostando il logo a piacere. Questa tecnologia applicata in contesti medici può agevolare i pazienti affetti da malattie come il morbo di Parkinson, permettendo di focalizzare l’attenzione su un area più grande rispetto ad un interruttore convenzionale. Lo stesso principio vale per chi ha problemi alla vista: è possibile variare le dimensioni dell’interruttore mano a mano che l’utente allena gli occhi e la mente a riconoscere l’elemento a scale via via più ridotte. Touch Security House non è solo questo,
ma sviluppa una seconda parte di carattere tecnologico e attuale nel campo dei dispositivi mobili. Con uno smartwatch connesso al sistema domotico si riesce ad avere il controllo della casa a portata di tocco. Esportabile su altri dispositivi mobili come cellulari e tablet, si tratta di un’APP dedicata al monitoraggio, alla sicurezza e alla personalizzazione dello spazio casa. Da questa interfaccia si ha la possibilità di accendere/ spegnere le fonti luminose, attivare gli am-
bienti/atmosfere, controllare il consumo energetico, impostare il codice di sicurezza delle aperture, comandare gli oscuramenti e il sistema di video citofonia. Questa parte di progetto estende il concetto di “casa a portata di tocco” dando la possibilità di avere una parte di casa sempre con sé. Immaginiamo di aver lasciato una luce accesa accorgendoci solo a metà di un viaggio di questa dimenticanza, con questo sistema possiamo spegnere la luce
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the house comes into contact with the people
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interface with house in one touch, the house always with you
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a distanza e controllare allo stesso tempo il consumo energetico. Un altro esempio che sicuramente è capitato a molti è l’essere impegnati in una stanza senza il citofono e non poter vedere e sentire nell’immediato chi si trova all’esterno. Con questo sistema si ha il controllo degli ingressi in tempo reale connettendo in streaming la camera del videocitofono, i tasti di sblocco cancello pedonale e l’apertura del cancello carraio. Un sistema a tutto tondo che rende l’esperienza del vivere quotidiano incentrata sull’interazione tra l’uomo e il mondo in cui vive. Nel passaggio da idea concettuale a prototipo è stato importate il rapporto di reciproca fiducia e la volontà di innovazione instaurato tra i giovani architetti dell’Università Iuav di Venezia e il Came group che ha messo a disposizione gli esperti di domotica ed elettronica, dell’azienda BPT e lo studio ACAMEDY. L’iter di realizzazione del prototipo ha seguito specifiche fasi di ricerca, step di modellazione e svariate prove fi no ad arrivare ai test di stabilizzazione e resistenza in un ambiente reale. Tuttora il prototipo è presente in Expo ed è completamente funzionante a disposizione del pubblico che può divertirsi a scoprire tutto il percorso legato a questo progetto e alla storia dell’evoluzione della luce all’interno della casa. Importanti sono state le basi di
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conoscenza acquisite nel corso dei cinque anni di studio all’Università Iuav che hanno insegnato ad affrontare con flessibilità le questioni tecniche e decisionali per aggirare gli ostacoli che sembravano insormontabili in fase di scelta di materiali quali gli isolanti e i protettivi. È da sottolineare anche il grande impegno e la presenza che Elisa Menuzzo, vicepresidente del gruppo Came, e l’arch. Marco Mora hanno dimostrato, affiancando e credendo nei giovani talenti italiani che così hanno potuto partecipare ad Expo per merito e impegno.
IMMAGINI 01 - I progettisti di THS in Expo 2015. Immagine di CAME S.p.A. 02 - Spazio THS nel padiglione CAME EXPERIENCE. Immagine di CAME S.p.A. 03 - Concept design THS. Immagine di Dario Moretto e Luca Ariedi. 04 - Le specifiche delle funzioni degli smartwatch. Immagine di Dario Moretto e Luca Ariedi. 05 - Particolare degli smartwatch e vernice conduttiva. Immagine di CAME S.p.A. LINK UTILI - Came Design Award: www.came.com/ camedesignaward/vincitori - Touch Security House: www.youtube. com/watch - Came Group: www.came.com - BPT: www.bpt.it - ACAMEDY www.acamedy.it - Expo: www.came.com/came-experience/ it/scopri-il-living#light-your-life
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Alimentare lo sguardo L’importanza di comunicare il retroscena dell’agroalimentare
Michele Bruttomesso è graphic designer presso CO.ME. Otto Climan è co-founder di Giotto Creative Studio. Giordano Zennaro è co-founder di Giotto Creative Studio. e-mail: info@giottocreative.com
A project developed during a course held by GL Pescoldeung about specialized crops. Landscape, climate and agricultural techniques converge in quality products, which deserve a proper presentation to the costumer. Our work focuses on the Lamon Bean ( Fagiolo di Lamon), DOC and DOP certified (meaning that special organizations guarantee its provenance), which is grown on the slopes of the Italian Alps. All the projects were then mounted onto panels, creating a discovery path for visitors.
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el periodo storico in cui il tema dell’alimentazione consapevole e del design legato all’informazione hanno assunto un ruolo centrale, il laboratorio di Design della comunicazione tenuto alla facoltà di design di Treviso dal prof. Gianluigi Pescolderung con Giorgio Cedolin ed Elisa Pasqual si è occupato di affrontare queste tematiche. Il laboratorio ha lavorato infatti ad un progetto infografico di promozione e conoscenza del prodotto tipico, con il contributo di aziende dell’agricoltura più autentica del territorio. Un insieme unico di storia, strumenti, abilità, metodi, ingredienti, restituito attraverso accurati processi di narrazione e visualizzazione. Come suggerisce Carlo Petrini “...per non essere più solo consumatori, ma qualcosa di diverso, di più interessante, di più intelligente, di più felice”. Territorio, clima e tecniche agricole convergono in prodotti d’alta qualità, che meritano pari eccellenza anche sul piano della comunicazione. Il nostro lavoro si è concentrato sul fagiolo di Lamon, certificato DOC e DOP, che viene coltivato alle pendici delle Alpi bellunesi. La sfida era di realizzare dei punti di interesse che alleggerissero il tema portante e che si rivolgessero ad un pubblico variegato per età e competenza. Per fare ciò, abbiamo
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di Michele Bruttomesso, Otto Climan e Giordano Zennaro cercato di raggiungere uno stile serio, ma anche rappresentativo e didattico, con particolare enfasi posta sull’illustrazione che notoriamente invita alla lettura. Il risultato del laboratorio consiste in un sistema di pannelli informativi, semplice ed economico, destinato a trasmettere “in uno sguardo” tutto il sapere necessario a un consumo consapevole.
APPROFONDIMENTI “Saor - Le forme del Gusto”, mostra sui prodotti tipici della provincia di Treviso, organizzata dal Corso di laurea in Disegno industriale e multimedia e dal Corso di laurea magistrale in Design dell’Università Iuav di Venezia. È possibile visitare la mostra presso Palazzo Giacomelli, Spazio Unindustria Treviso, Piazza Garibaldi 13, fino all’11 ottobre 2015.
territorio, clima e tecniche agricole convergono in prodotti d’alta qualità , che meritano pari eccellenza anche sul piano della comunicazione
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IMMERSIONE
Riciclare con creatività Smaltire gli scarti aziendali con l’arte e l’artigianato
Margherita Ferrari è architetto e lavora nel campo della tecnologia e dei sistemi costruttivi a secco. e-mail: margheritaferrari27@gmail.com
Scrap become stuff, and sometimes artwork. This is RiAction, that is a competition to elaborate the waste in new objects. It is promoted by Legambiente Veneto and the association La Mente Comune, with the sponsorship of Symbola and Regione Veneto, the contribution of Veritas SpA and Hilton Molino Stucky Hotel. This one has been moreover the supplier of this competition, thanks to its scraps! A lot of young students and designers have created fine products, like lamps, bags or fornitures. The winners have receveid four weekends in some beautiful cities like Milano, Firenze, Barcellona, Berlino: obviously in Hilton Hotel!
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l rifiuto negli ultimi tempi ha assunto un ruolo sempre più importante e di conseguenza anche un vero e proprio valore economico. La così detta “economia circolare” riassume appunto questo concetto, ovvero quello di reinserire il rifiuto in un processo in grado di attribuire ad esso un nuovo valore. Questa fi losofia oggigiorno è applicata in innumerevoli settori, dall’architettura al cibo, e in tutti quegli ambiti in cui è possibile controllare la materia e la sua qualità. C’è chi nei rifiuti trova la creatività e l’ispirazione, dando così vita a straordinarie opere d’arte o a prodotti di utilizzo quotidiano. Nasce così il concorso RiAction - Scrap become Stuff, progetto promosso da Legambiente Veneto con il presidente Luigi Lazzaro e dall’associazione padovana La Mente Comune (di Alessandro Bellotto e Melissa Morandin), già operativa in questo settore da qualche anno. Questa infatti con il progetto Scrap raccoglie numerose iniziative su differenti scale, sia urbane che di prodotto. E’ l’esempio di ScrapOut (20132014), una collettiva di artigiani, attraverso i quali raccontare e stimolare il lavoro manuale e le sue tecniche. È proprio anche sulla base di questa stessa esperienza che prende vita il concorso di idee RiAction - Scrap become Stuff, con il pa-
di Margherita Ferrari trocinio di Symbola e della Regione Veneto, e con l’importante contributo di Veritas SpA e Hilton Molino Stucky Hotel. L’obiettivo del concorso era appunto quello di ripensare i rifiuti, rielaborarli e attribuire loro un valore puramente artistico oppure creare un vero e proprio prodotto funzionale. E proprio in questo Hilton Molino Stucky Hotel ha assunto un ruolo determinante. Esso infatti non è stato solamente il “fornitore dei rifiuti”, ma ha saputo interpretare in maniera creativa una questione a cui l’azienda è costantemente sottoposta: Hilton Hotel è una catena di oltre quattro mila alberghi in più di 90 paesi, e ciascuno deve rispettare precisi target di consumo energetico, tra cui appunto anche il riciclaggio stesso. Ilio Rodoni (General Manager Hilton Molino Stucky), Antonio Ruano (Direttore operativo Hilton Molino Stucky Hotel), con il prezioso contributo di Christine Bodikian (Receiving and purchasing specialist Hilton Molino Stucky Hotel), hanno infatti spiegato come l’azienda si stia muovendo attentamente in questa direzione, e quanto soprattutto voglia sensibilizzare attraverso il concorso stesso, le persone sull’importante questione dei rifiuti, a partire proprio dalla realtà veneziana, città simbolo dell’arte e della creatività. Hilton Molino Stucky Hotel ha inoltre ospitato i due principali eventi del concorso, la
presentazione e la premiazione. In queste occasioni è stato possibile confrontarsi con i promotori di RiAction e gli artigiani protagonisti; tra gli ospiti anche Amos Torresin, con le sue figure animalesche riprodotte con minuziosi scarti tecnologici, e Lorenza Salati e Giulio Focardi di Bigmagma, che hanno premiato i vincitori attraverso lo specchio Wow dalla Multifactory tedesca Freiland- Potsdam. In occasione del concorso è stato creato un catalogo dov’erano in cui sono stati riportati i rifiuti dell’Hilton Molino Stucky Hotel disponibili per i partecipanti al concorso, anche per essere prelevati e rielaborati: dalle cassette in legno o in plastica, alle stoffe delle federe degli scaldapiedi o dei paralume. Ognuno dei quali veniva descritto anche per quantità, ovvero il numero degli
scarti prodotti settimanalmente: da qui deriva la volontà di creare una sorta di fi liera, circolare appunto, e quindi di ragionare su un possibile rapporto tra quantità di rifiuti e un determinato numero di prodotti rielaborati. Ed è proprio anche in questo aspetto che sta la capacità di riciclare, ovvero quella di riutilizzare uno scarto attribuendogli un valore aggiunto, senza creare ulteriori sprechi. La creatività così ha avuto la meglio: al concorso hanno partecipato numerosi artigiani, designers e giovani studenti delle scuole medie superiori, provenienti da tutta Italia. Oltre 1500 i pezzi di scarto disposti da Hilton Molino Stucky Hotel per i partecipanti al concorso, più di 100 progetti inviati di cui 40 selezionati per la fi nale. La giuria ha successivamente decretato i
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interpretare in maniera creativa una questione a cui l’azienda è costantemente sottoposta
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vincitori nelle due principali sezioni del concorso: “Arti visive e plastiche” e “Design Upcycling”, suddivise a loro volta in under 20 e over 21. Ciascuno di loro è stato premiato con un weekend presso gli Hilton Hotel di Firenze e Milano (per i più giovani), Berlino e Barcellona. Due giovani studentesse del corso di scenografia del Liceo Artistico Statale di Venezia, si sono aggiudicate i premi per la categoria under 20: Marta De Momi nella sezione “Arti visive e plastiche” con una scultura luminosa ottenuta dalla composizione di
vele di plastica, ovvero pezzi di secchielli cartavetrati; Diletta Causin invece nella sezione “Design Upcycling”, con nuovi prodotti in ecopelle, come portapenne e buste, ricavati da vecchie cartelle: il tutto con la creazione di un nuovo marchio Hiltools. Una creatività dunque che è andata oltre il mero prodotto e che anzi ha voluto attribuire ad esso uno specifico significato. Nella categoria over 21 invece i premi sono andati nella prima sezione agli artisti Enej Gala e Francesco Nordio, entrambi studenti dell’Accademia di Belle Arti, che hanno
rappresentato una mitologica figura slovena, attraverso la creazione di una maschera realizzata con da cuscini, stoffe e gommapiuma, animata all’interno da ben 5 persone; nella sezione invece di “Design Upcycling” è stata premiata Beatrice Menniti di MiCreo Lab, con la creazione di una parete in pallets retroilluminata con led, per ottenere un particolare effetto luminoso in un ambiente. La stessa associazione MiCreo Lab lavora da molto tempo con materiali di scarto e promuove la lavorazione di questi anche attraverso attività nelle aule di scuo-
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la: Beatrice racconta infatti di come abbia visto in questo concorso rispecchiati molti degli ideali che da tempo persegue con la collega Simona proprio tramite la loro associazione, e che la vittoria rappresenta un importante traguardo, oltre il quale si possono creare altrettante iniziative. Anche gli altri partecipanti non sono stati da meno: hanno tutti dimostrato una creatività tale da reinterpretare scarti così particolari, rifiuti che solo con l’ingegno avrebbero potuto rivivere! Lampade, gioielli, abiti creati da bancali, giocattoli per bambini e federe. Pregiati prodotti di scarto. Riccardo Seccarello (responsabile comunicazioni esterne Veritas SpA) e membro della giuria, ha infatti sottolineato l’importanza di creare questa fi liera e di sensibilizzare le persone in un contesto soprattutto come quello di Venezia, in cui i rifiuti hanno un ruolo determinante e richiedono una particolar attenzione. Il concorso RiAction rappresenta dunque l’incontro tra due importanti aspetti della città: la sostenibilità appunto e l’arte. Valori supportati e ben rappresentati anche dagli altri membri della giuria: Stefano Coletto (curatore responsabile Fondazione Bevilacqua La Masa), Sandro Polci (Legambiente Onlus), l’arch. Domenico Sturabotti (direttore Fondazione Symbola), il prof. Paolo
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la capacità di riciclare, ovvero quella di riutilizzare uno scarto attribuendogli un valore aggiunto, senza creare ulteriori sprechi
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Pavan (docente chimica applicata e coordinatore progetto LIFE per il recupero energetico da rifiuti, Università Ca’ Foscari). Saper trasformare un rifiuto in un’opera non è da tutti: per questo è stato creato il concorso di idee, per scovare e stimolare gli ingegni! Tuttavia non è da meno saper riconoscere il potenziale di queste iniziative, crederci e investirci: e soprattutto voler raccontare questa capacità, rendersi quindi testimoni di una realtà che sta pian piano cambiando.
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Con RiAction quindi si cerca di osservare in maniera differente lo scarto, di valutare con innovazione ciò che viene gettato: e in una città come quella di Venezia, non si poteva far altro che affrontare i rifiuti proprio tramite l’arte.
il concorso RiAction rappresenta dunque l’incontro tra due importanti aspetti della città: la sostenibilità appunto e l’arte
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IMMAGINI 01 - I vincitori del concorso RiAction con Luigi Lazzaro (Legambiente Veneto), Christine Bodikian (Hilton Molino Stucky Hotel), Sandro Polci (Legambiente Onlus), Alessandro Bellotto e Melissa Borina (La Mente Comune). Immagine di David Salovin. 02 - L’intervento di Sandro Polci (Legambiente Onlus) durante la premiazione presso Hilton Molino Stucky Hotel, 4 luglio 2015. Immagine di Margherita Ferrari. 03 - Enej Gala e Francesco Nordio, vincitori nella sezione “Arti visive e plastiche”, parlano con Lorenza Salati e Giulio Focardi dalla Multifactory tedesca FreilandPotsdam, attraverso lo specchio Wow. Immagine di Margherita Ferrari. 04 - Hilton Molino Stucky Hotel, isola della Giudecca Venezia. La struttura ha ospitato gli eventi della presentazione del concorso RiAction e la premiazione finale dei vincitori. 05 - Le federe degli scaldapiedi dismessi da Hilton Molino Stucky Hotel. Immagine di La Mente Comune. 06 - Alcuni studenti del liceo Artistico Statale di Venezia accompagnati dalla propria docente, ritirano il materiale da Hilton Molino Stucky Hotel per iniziare progettare le proprie opere. Immagine di La Mente Comune. 07 - La locandina del concorso RiAction. Immagine di La Mente Comune. 08 - Alcune delle opere e dei prodotti selezionati per la finale del concorso RiAction. Immagine elaborata da La Mente Comune. LINK UTILI: - www.legambienteveneto.it - www.lamentecomune.it - www.symbola.net - www.regione.veneto.it - www.gruppoveritas.it - www.molinostuckyhilton.it - www.bigmagma.it
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DECLINAZIONI
di Emilio Antoniol All’interno di Expo 2015 sono presenti nove aree tematiche, i Cluster,r che per la prima volta nella storia delle esposizioni universali raggruppano i paesi partecipanti non per collocazione geografica ma per fi liera alimentare. Riso, cacao, caffè, frutti e legumi, spezie, cereali e tuberi, bio Mediterraneo, isole mare cibo e zone aride sono i temi scelti per rappresentare la varietà alimentare che il pianeta offre. Ogni Clusterr porta il visitatore di Expo alla scoperta di cibi, sapori, profumi e colori che caratterizzano una data identità tematica. In linea con questo “viaggio a tema” OFFICINA* propone un personale e a tratti stravagante percorso musicale dove il cibo è assoluto protagonista. Partendo dalla strumentale Rice puddingg di Jeff Beck si prosegue con un’incredibile Non voglio cioccolataa di Mina; si superano poi i 7000 Caffè di Britti per arrivare alla celeberrima Cinnamon girll di Young; Apples and oranges,s b-sidee della più nota Piant box, x ci catapulta nel rock psichedelico dei primi Pink Floyd seguiti da una ribelle Tori Amos con la sua Cornfl ake girl;l Acqua e salee di Mina e Celentano e Friday fish fry, y tratta dall’ultimo album di Kelis ci avviano verso la conclusione del viaggio che trova il suo epilogo nella ballata Terra in bocca. Politica, corruzione, onore, amore, morte e coraggio, c’è tutto questo e molto di più nell’opera rock de I Giganti dove il tema della carenza d’acqua raggiunge l’apice della nazzazione poetica in musica.
Riso Jeff Beck, Rice pudding, Beck-Ola, 1969 Cacao e cioccolato Mina, Non voglio cioccolata, Il cielo in una stanza, a 1960 Caffè Alex Britti, 7000 caffè, Alex Britti MTV unplugged, d 2003 Spezie Neil Young, Cinnamon girl, Everybody knows this is nowhere,1969 e Frutti e legumi Pink Floyd, Apples and oranges,s 1967 Cereali e tuberi Tori Amos, Cornflake girl, Under the pink, 1994 Bio mediterraneo Mina e Celentano, Acqua e sale, MinaCelantano, o 1998 Isole mare cibo Kelis, Friday fish fry, Food, d 2014 Zone Aride I giganti, Terra in bocca. Poesia di un delitto, o 1971
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Note tra i Cluster
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MICROFONO ACCESO L’alta ristorazione secondo Massimiliano Alajmo
Una cucina di sostanza a cura di Michele Menegazzo Michele Menegazzo è un ingegnere edile padovano. Concluso un assegno di ricerca presso l’Università Iuav di Venezia, è tuttora impegnato nel mondo della tecnologia. e-mail: kavaeta@yahoo.it
Architects, designers and engineers, why do we share the passion for fine food and venture to make it? Finding an answer to this question is quite easy, since the two worlds do not differ too much: they both require a large knowledge of the human body and soul, the analysis of forces and balances, a good choice for textures and color juxtapositions, an attitude for research and innovation. Ultimately, both architecture and cuisine aim to create essence in the Aristotelian sense of the word, to build a strong connection between forma and materia. For a deeper understanding of the nature of this relation, I interviewed Massimiliano Alajmo, chef at Le Calandre restaurant in Rubano. His answers, serious or witty, structured or concise, well describe his philosophy in making fine food and his interest in the sixth sense: time and its projection as a souvenir.
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Perché molti fra noi, architetti, designer e ingegneri, condividono la passione per la buona cucina e vi si cimentano? Ho cominciato a pormi questa domanda durante i primi anni di università, frequentando amici e colleghi. Trovare una risposta è stato abbastanza facile: in fondo, questi due mondi non sono così distanti tra loro. Entrambi richiedono una grande cultura del mondo, dell’animo e del corpo umano, uno studio dei rapporti di forza e degli equilibri, una scelta delle tessiture e delle giustapposizioni cromatiche, un’attitudine alla ricerca e all’innovazione. In defi nitiva, sia l’architettura che la cucina mirano alla creazione di sostanza nel senso aristotelico del termine, alla costruzione di un’unione forte tra forma e materia. Per comprendere maggiormente la natura di questa relazione, ho scelto di porre alcune domande a Massimiliano Alajmo, chef del ristorante Le Calandre di Rubano. Le sue risposte, tra il serio e il faceto, tra l’articolato e il lapidario, ci restituiscono quella che è la sua fi losofia di cucina. Essa parte dagli ingredienti e segue percorsi di indagine legati ai concetti di leggerezza, profondità e liquidità. Le ricerche da lui sviluppate hanno condotto anche all’uso di oli naturali e purissimi, estratti dalla materia prima e nebulizzati sul cibo: essenze appunto, che ci riconducono all’οὐσία platonica. L’esperienza nella sua sala da pranzo viene amplificata dai cinque sensi: la solidità dei tavoli passa attraverso il tatto, l’illuminazione è dosata in maniera sapiente, l’udito si accorda ai suggerimenti sonori, l’aria viene microfi ltrata, il gusto è naturalmente protagonista. L’obiettivo di Alajmo è quello di coltivare negli avventori il sesto senso: il tempo e la sua proiezione nella dimensione del ricordo. Il tema del food design, in tutte le sue declinazioni, è oggi molto discusso: Lei quale accezione dà a questo termine? Non ho mai capito a cosa si riferisca. Se lo traduco letteralmente, si parla di design del cibo e, quindi, non me ne occupo. Se si parla invece di ciò che sta con il cibo, mi interessa: con mio fratello ho realizzato una linea di piatti, che distribuisce Rosenthal, e di calici, che distribuiamo noi, che rispecchiano pienamente la mia fi losofia di cucina. I concetti di serialità, modularità e formato che informano il design sembrano non essere direttamente applicabili all’alta cucina, dove tutto sembra dipendere dalla capacità dello chef di porsi in relazione con la materia, le tecniche e gli strumenti. Qual è il Suo pensiero in merito? La penso come Lei.
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Come nasce una porzione? La quantità di una porzione è calibrata in base a come deve poi essere consumata: se all’interno di un menù degustazione va più piccola, se à la carte, più grande.
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Qual è il giusto rapporto tra scenografia del piatto (vista) ed esaltazione del cibo (gusto e olfatto)? La scenografia è una conseguenza dell’esaltazione di gusto e olfatto. In che modo è evoluta la Sua ricerca formale e decorativa dagli inizi della carriera fino a oggi? Di pari passo con la mia crescita personale, data da esperienze vissute attraverso viaggi e letture. Quali processi di innovazione hanno investito il modo in cui si produce e si consuma il cibo nei Suoi ristoranti? I ristoranti si evolvono con la società. La tecnologia digitale è parte della vita quotidiana, cambiano i modi di interazione dei clienti con i ristoranti, cambia la modalità di servizio: noi, ad esempio, a gennaio 2010 abbiamo rinnovato completamente Le Calandre, spogliando il ristorante da fiori, argenti e tovaglie e contestualizzandolo con i tempi. Nel tableware il classico servizio con segnaposto e tutto coordinato non esiste più, ogni pietanza viene servita nel contenitore più adatto uscendo dai vecchi principi. Tutto si trasforma, sempre e continuamente. In cucina c’è spazio per la radical innovation o solo per la design-driven innovation? Non capisco la domanda. Quanto i trend internazionali modificano la cultura alimentare locale? Il mondo è sempre più globalizzato, quindi sicuramente la cultura alimentare ne è influenzata. Ha senso parlare di nazionalità nell’alta cucina? Certo, è assolutamente necessario parlare e mantenere un’identità nazionale.
sia l’architettura che la cucina mirano alla creazione di sostanza nel senso aristotelico del termine
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A cosa associa il concetto di qualità nella Sua pratica professionale? Ad ogni scelta. Che rapporto vi è tra qualità e piacere? Il piacere di vivere immersi nella qualità. E tra qualità ed etica? La scelta qualitativa deve essere eticamente sostenibile. In che modo la ricchezza enogastronomica del territorio può essere promossa attraverso il food design? Attraverso i ristoranti.
siamo effettivamente pronti a mangiare insetti, come previsto da Expo?
Che rapporto ha con la cultura del km 0? La osservo da 2 km. Siamo effettivamente pronti a mangiare insetti, come previsto da Expo? Si vedrà, credo sia presto.
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IMMAGINI 01 - Massimiliano Alajmo. Immagine di Sophie Delauw. 02 - Sala con ospiti. Immagine di Mario Reggiani. 03 - Fritto di verdure con crema gelata di peperone dolce e citronella - rilettura. 04 - Fritto di verdure con crema gelata di peperone dolce e citronella. 05 - Risotto allo zafferano con polvere di liquirizia - rilettura. 06 - Cappuccino di seppie al nero - bicchiere. Immagine di Wowe. 07 - Saletta. Immagine di Mario Reggiani. LINK UTILI - www.alajmo.com
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CELLULOSA
Un’idea del cavolo? Massimo Acanfora, Coltiviamo la città, 2012
Emilio Antoniol è architetto, PhD in tecnologia dell’architettura. e-mail: antoniolemilio@gmail.com
To grow a garden in the city is possible: in empty or abandoned lands but also in the urban centre, in small empty area or in our own balcony. To grow a garden in the city is useful: it improves the appearance of the city itself, it is a social activity which stimulates the cooperation, it contributes to environmental quality and gives satisfaction to the owners. To grow a garden in the city is easy: obviously it requires some basic knowledge and a good dose of patience, but everybody can cultivate their little vegetable garden. These are some of the basic concepts express by the Acanfora’s book in a simple, clear and didactic way. The book is a manual for the farmers of the new millennium that don’t have the basic resource needed to cultivate: the ground.
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oltivare ortaggi e frutta in città è forse “un’idea del cavolo”? In realtà no; da ormai diversi anni associazioni, movimenti sociali e studiosi spingono per una riappropriazione da parte dei cittadini degli spazi liberi della città per ritornare ad auto-prodursi cibo e nutrimento. Coltivare in città è possibile: non solo in aree urbane vuote o abbandonate ma anche in pieno centro, in piccoli fazzoletti di terra, in spazi comuni o nel proprio balcone. Coltivare la città è vantaggioso: migliora l’aspetto della città stessa, è un’attività aggregativa che stimola la partecipazione e la cooperazione, contribuisce alla qualità ambientale e dà soddisfazione grazie alla produzione di fiori, frutta e ortaggi che possono essere consumati direttamente da chi li produce. Infi ne, coltivare la città è facile: ovviamente richiede alcune conoscenze di base e una buona dose di pazienza ma tutti possono coltivare il loro piccolo orto in giardino o sul balcone. Sono questi alcuni dei concetti che il libro di Acanfora, Coltiviamo la città. Orti da balcone e giardini urbani per contadini senza terra, esprime in modo semplice, chiaro e didattico. Il volume si pone infatti come un piccolo manuale per contadino del nuovo millennio che è deficitario proprio della prima risorsa necessaria per coltivare: la terra.
a cura di Emilio Antoniol Senza un appezzamento l’attività dell’orticoltore sembra cosa impossibile, un’idea del cavolo appunto, invece con un po’ di fantasia e seguendo alcuni consigli pratici è possibile realizzare un orto anche in spazi ristretti come un terrazzo o un piccolo sporto. La coltivazione si fa così in verticale, gli ortaggi si impilano e la terra “in piano” lascia il posto a contenitori di recupero quali cassette della frutta o bottiglie di plastica. Ma anche l’orto sul terrazzo ha le sue regole; il libro propone per questo una serie di strumenti e linee guida utili per il coltivatore di città. Dall’esposizione ottimale ai periodi di semina e trapianto, passando per la compatibilità tra specie fi no ad arrivare a suggerire rimedi naturali per proteggere gli ortaggi da parassiti e infestanti, il libro offre un quadro semplice ma completo per l’autoproduzione orticola, spingendosi poi fi no a descrivere tecniche più sofisticate quali la permacultura e l’agricoltura sinergica. Quest’ultima basa i suoi fondamenti sul principio dell’auto-fertilità del suolo che, seguendo specifiche pratiche di coltivazione, è in grado di ripristinare nel tempo la sua fertilità. Le regole su cui si basa l’agricoltura sinergica fanno riferimento al “minimo intervento” evitando quindi di arare il terreno che sarà invece “trasformato” dalle radici e dai piccoli animali che in esso vivono. Sono esclusi dalla pratica agricola
Coltiviamo la città. Orti da balcone e giardini urbani per contadini senza terra. Ponte alle grazie. Adriano Salani Editore, 2012.
sullo scaffale
Massimo Acanfora, nato a Milano nel 1966, è giornalista di Altraeconomia, autore ed editore. Esperto di consumo critico ed economia solidale, ideatore di Fa’ la cosa giusta!, ha scritto tra gli altri Autosufficienza e E ora si ikrea. Scrive di economia solidale, consumo critico, temi sociali.
Mauro Berta, Federica Corrado, Antonio De Rossi, Roberto Dini, Architettura e territorio alpino. Scenari di sviluppo e riqualificazione energetico-edilizia del patrimonio costruito Editore Regione Piemonte, Torino, 2015
anche l’uso di concimi, di fertilizzanti e pesticidi, lasciando invece al naturale ciclo vegetativo il compito di ricostituire la componente organica del suolo. Queste esperienze sono senza dubbio interessanti ma anche sofisticate e applicabili solo in contesti specifici. Acanfora affianca a tali pratiche sistemi di coltivazione sperimentabili da tutti anche nel proprio terrazzo suggerendo tecniche per la produzione del compost, per l’irrigazione goccia a goccia fino alla realizzazione di un piccolo semenzaio protetto per la produzione delle proprie sementi e piantine direttamente in casa. La coltivazione della città si può quindi declinare in molti modi diversi che vanno dal piccolo orto privato sul balcone all’orto condominiale fi no al vero orto urbano, dove piccole o gradi comunità collaborano al progetto, per spingersi infi ne verso orti collettivi, sociali, terapeutici o didattici dove alla produzione sono affiancati aspetti di inclusività sociale, partecipazione e formazione. Tutti questi esempi sono accompagnati da schede, con relativi link, di progetti concreti in cui la coltivazione della città è diventata pratica reale, in grado di apportare benefici diretti sia al territorio che al contesto sociale in cui questi si sono originati. Nella sua semplicità e completezza il libro diventa così un utile manuale tascabile che defi nisce le regole essenziali per il provetto coltivatore della città. E l’ultima delle indi-
cazioni che l’autore lascia al suo lettore è quella di non temere di sporcarsi le mani poiché, citando una celebre canzone di De Andrè, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
Alberto Bassi, Food design in Italia. Progetto e comunicazione del prodotto alimentare, Mondadori Electa, 2015
LINK UTILI Tra i link più interessanti segnalati dall’autore si riportano i seguenti siti o progetti: - www.coltivareorto.it - www.miraorti.com - www.eutorto.eu - www.agricolturasinergica.it
Massimiliano Ciammaichella (a cura di), Il corpo umano sulla scena del design, Il poligrafo, Padova, 2015
ARCHITETT’ALTRO
Quando l’architettura incontra l’agricoltura La casa di paglia: un’architettura all’avanguardia costruita con materiali naturali, semplici e antichissimi uniti alle moderne tecnologie
Alice Biasia è libera professionista, nello studio da lei definito “Laboratorio di Eco-Sostenibilità”. Collabora da anni con S. Los e N. Pulitzer, che l’hanno introdotta all’architettura bioclimatica. e-mail: alicebiasia@gmail.com
Alice, an architect, and her husband Paolo, owner of the organic farm “Al Confin”, have chosen to self-build their house, with wood, straw, lime and clay. They were looking for a home that could refl ect their philosophy: love for humanity and Earth. The building is an “handbook” of green architecture: it is built without cement, even in the foundations; the structure is made of solid wood in order to avoid the use of glues; the walls are made of straw, as insulation material, lime plaster on the outside and clay plaster on the inside; the ground fl oor is insulated with recycled cellular glass gravel and the roof with straw bales. Straw and clay are produced from our organic farm and wood comes from the nearby mountains. Natural materials and thermodynamic building control give the building a great energ y performance and indoor comfort. Straw-bale constructions are successful because they are easy to self-build, (then) economic, ecological, comfortable and durable. For these reasons more and more people (including many architects) choose to build with this system.
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o conosciuto l’architettura in paglia all’università, grazie ad un minicorso con Stefano Soldati1, frequentato con uno sparuto gruppo di compagni di corso che hanno poi realizzato un piccolo edificio nel cortile di Santa Marta (Venezia). L’ho ripresa marginalmente in occasione della tesi, ma ne ho capito le potenzialità solo con il progetto della mia casa perché ho studiato, visitato edifici abitati, partecipato a corsi di formazione e costruito con le mie mani. Per un architetto la propria casa è il manifesto fi losofico che il suo lavoro sottende, essendo io donna e madre, la casa è anche “la tana”, nel senso arcaico del termine, il rifugio dove accudire la famiglia. Da circa dieci anni mio marito Paolo coltiva e alleva diverse specie col metodo biologico; la casa sorge nella sua piccola azienda a ciclo chiuso, che è anche fattoria didattica e sociale. Biologico è una fi losofia di vita, possiamo chiamarlo in tanti modi: ecologico, sostenibile, solidale, bioclimatico, permaculturale2 , ma ciò che ne sta alla base è il profondo rispetto per la Terra e l’Uomo. Il progetto prova a tenere insieme tutte queste esigenze con l’abitare moderno. La casa è un esperimento dove l’ecologia e il comfort sono elevati a potenza. Le fondazioni ad esempio non hanno cemento:
di Alice Biasia all’interno di uno scavo sono posate gabbie a maglia metallica per contenere la pietra che regge il peso dell’edificio e lo zavorra. Ad ogni pilastro corrisponde in fondazione un getto di calce che chiude gli spazi tra una pietra e l’altra e ancora a terra le barre fi lettate annegate all’interno e fissate al cordolo in legno alla base dell’edificio. Il solaio a terra è in larice, isolato con ghiaia di vetro cellulare, che crea un vespaio microareato idrorepellente e in grado di smaltire l’eventuale presenza di radon. Abete e larice massiccio del Veneto compongono travi, pilastri e solai della casa, compresa la copertura. Balle di paglia di grano antico, orzo e farro, prodotte dalla nostra fattoria isolano muri e tetto. L’intonaco a calce e terra cruda, garantisce tenuta all’acqua, resistenza meccanica e controllo dell’umidità interna. Fotovoltaico, solare termico e stufa a legna forniscono la poca energia necessaria a soddisfare i fabbisogni dell’edificio, perché il progetto bioclimatico di volume e aperture assieme ad un involucro prestante e impianti all’avanguardia hanno prodotto un edificio veramente efficiente. Il progetto esecutivo è pensato per l’autocostruzione parziale3: i materiali, anche nelle fi niture sono il più possibile ecologici, facilmente reperibili e smontabili, per questo si sono scelte tecniche semplici da realizzare e a secco; ad esempio i solai hanno un doppio tavolato incrociato in tavolato grezzo, un
anticalpestio in juta, un sottofondo a secco tra morali in legno per l’ancoraggio del pavimento in perline di larice massiccio. L’autocostruzione, unita alla scelta dei materiali, rende l’edificio economico, ecologico, riciclabile, a km 0, poco energivoro per tutto il ciclo di vita, ma soprattutto garantisce benessere interno e durabilità nel tempo. La scelta di autocostruire risponde ad esigenze specifiche, che tuttavia rispecchiano la situazione di un numero sempre maggiore di famiglie che con la crisi economica si trovano a dover scegliere tra qualità dell’abitare e costi non più sostenibili. La paglia è un materiale naturale di scarto, molto economico e versatile, perciò si adatta bene anche ai progetti più arditi e sempre
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per un architetto la propria casa è il manifesto filosofico che il suo lavoro sottende, essendo io donna e madre, la casa è anche la tana, nel senso arcaico del termine, il rifugio dove accudire la famiglia
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più persone se ne interessano sviluppando continuamente nuovi modi per utilizzarla. Ma la chiave per capirne lo sviluppo degli ultimi anni è la volontà comune di creare edifici ad elevato comfort abitativo, economici e ecologici. Le tecniche costruttive che utilizzano legno, paglia, calce e terra hanno come base comune l’abbinamento di materiali semplici e tecniche antiche, con materiali e tecniche d’avanguardia. Si pensi ad esempio alla domotica, ai tessuti per l’edilizia, al tadelakt 4, e come in questo progetto, al cocciopesto o l’uso di cavi dyneema 5 al posto di quelli in acciaio per controventare la struttura. Questo progetto mi ha dato la rara opportunità di partecipare direttamente a quasi tutto il processo di realizzazione. L’idea, la conoscenza del luogo, il disegno, le regole e la burocrazia, la scelta di materiali e tecnologie, la direzione del cantiere, la sua logistica, la sicurezza, la gestione della spesa e la costruzione vera e propria hanno fatto crescere in me tecnica e consapevolezza, rendendomi un professionista migliore. Il mestiere dell’architetto oggi più che mai è incastrato tra mille “lacci”, per svolgerlo al meglio, portando ognuno un piccolo pezzo di cambiamento dobbiamo imparare a spremere ogni opportunità fi no in fondo. La casa è un’occasione da cogliere al volo per esprimersi ed imparare!
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la chiave per capire lo sviluppo degli edifici in paglia è la volontà comune di creare edifici ad elevato confort abitativo, economici ed ecologici
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NOTE 1 - Stefano Soldati è titolare dell’Azienda agricola “La Boa” ed è il primo costruttore di un edificio in paglia in Italia. Oggi promuove e tiene corsi di permacultura e costruzione di edifici con la paglia. 2 - La permecultura è una sintesi di ecologia, geografia, antropologia, sociologia e progettazione che dà come risultato un ambiente sostenibile, equilibrato ed estetico per la conservazione di ecosistemi produttivi che hanno la diversità, la stabilità e la flessibilità degli ecosistemi naturali. 3 - Autocostruzione parziale: struttura portante e impianti sono realizzati da imprese specializzate e il resto dagli autocostruttori. 4 - Tadelakt: intonaco tradizionale marocchino, ottenuto impastando calce idrata prodotta artigianalmente nelle antiche fornaci a legna di Marrakech, con acqua e pigmenti naturali. Simile al marmorino o allo stucco veneziano, si usa per impermeabilizzare. 5 - Dyneema (Gel Spun Polyethylene): cavi in fibra di polietilene utilizzati per applicazioni sportive quali il kitesurf, il parapendio, l’alpinismo, il tiro con l’arco, la pesca e la produzione di giubbotti antiproiettile. I cordini in Dyneema hanno una resistenza paragonabile a quella dei cavi di acciaio ma con il vantaggio di resistere molto bene agli sforzi da torsione e piegamento. IMMAGINI 01 - Copertura in abete massiccio con isolamento in balle di paglia. 02 - Fondazione drenante con pietra di Sarego e ghiaia di vetro cellulare contenuta in gabbie metalliche. 03 - Bruffo su paglia in “calcecanapa” con intonacatrice “Tigre”. 04 - Posa e compressione delle balle di paglia nel muro. Immagini di Alice Biasia. BIBLIOGRAFIA - B. Jones, “Costruire con le balle di paglia: manuale pratico per la progettazione e la costruzione”, Aam Terra Nuova, Firenze, 2006. - E. Piovesan, “Terra, bamboo, paglia, carta, ghiaccio, costruire con la natura in tema di sostenibilità”, Tesi di laurea, rel. N. Sinopoli e G. Minucci, IUAV, 2005. - L. Emmanueli, “Costruire con la paglia: casi studio internazionali e l’esperienza italiana”, tesi di laurea, rel. C. Bertolini, Politecnico di Torino, 2010. LINK UTILI - www.casadipagliaalconfin.blogspot.it
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(S)COMPOSIZIONE
Un caffè? Sì grazie, ma solo se espresso italiano tradizionale!
dott.ssa Giusy Laura Pascarelli, amministratrice ufficio botteghe e responsabile assicurazione qualità aziendale Dersut e dei corsi di formazione. e-mail: gl.pascarelli@dersut.it
Immagine di Valentina Covre
The espresso is characterized by the preparation process that is able to extract from coffee beans a real concentrate of fl avorings. The drink is obtained by running hot water, subjected to suitable pressure, through the coffee powder, to extract from it natural fats and collodions, the elements that give fl avor to the drink. For the preparation of a perfect espresso is necessary to respect the “4 M rule of “: 1) Mixture; 2) Milling; 3) Machine; 4) Man. A high quality mixture is needed and milling must ensure the correct extraction of coffee. The machine must be subjected to regular maintenance but, without the intervention of a skilled operator, the good espresso can’t exist.
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l caffè espresso, il caffè che viene preparato al momento della richiesta espressamente per il cliente, è lo stereotipo del caffè all’italiana, un autentico simbolo del made in Italy. Per tutelare l’talianità di questo prodotto tradizionale è nato lo scorso anno il “Consorzio di tutela del caffè espresso italiano tradizionale” tra le cui principali fi nalità vi è quella di proporre la candidatura dell’espresso come patrimonio immateriale dell’Unesco. Il Consorzio è sorto grazie all’iniziativa del Presidente del Gruppo Triveneto Torrefattori Caffè e Amministratore Unico, conte dr. Giorgio Caballini di Sassoferrato, di Dersut Caffè S.p.a., storica torrefazione veneta con sede a Conegliano; ne fanno parte oltre a Dersut, che è tra i 16 soci fondatori, altri torrefattori, produttori di attrezzature per espresso e importanti associazioni quali l’Associazione Caffè Trieste e l’istituto Nazionale Espresso Italiano. L’espresso si distingue e caratterizza per essere il processo di preparazione del caffè che riesce ad estrarre dai chicchi, grazie alla tecnologia tutta italiana, un vero e proprio concentrato di aromi. È la bevanda in tazza, largamente consumata in Italia e in tutto il mondo, ottenuta facendo attraversare la polvere di caffè da acqua riscaldata a circa 90°C, sottoposta a idonea pressione
di Giusy Laura Pascarelli all’incirca di 9 atmosfere, così da estrarne le componenti che determinano il gusto, grazie ad una macchina che è un frutto di una tecnologia tutta italiana; la macchina per espresso è infatti l’unica in grado di permettere una corretta emulsione nel liquido dei grassi naturali e dei collodi, gli elementi che danno alla bevanda aroma e sciropposità. Un caffè espresso a regola d’arte si presenta con un volume di circa 25 ml, con una crema persistente, a maglie strette, di 2-4 mm, di tonalità nocciola con delle striature chiare che creano una tigratura uniforme, caratterizzato da un aroma elegante, equilibrato, ricco, gradevolmente amaro e mai astringente, con un corpo consistente, rotondo, vellutato e composto. Una tazzina di buon espresso è frutto di un lungo e accurato processo produttivo che tiene in considerazione la crescita e la raccolta dei chicchi, la tostatura, il modo di preparare la miscela, la macinatura, la funzionalità delle attrezzature e la maestria degli operatori addetti alla preparazione della bevanda. Vige per la preparazione di un espresso perfetto la “Regola delle 4 M”: 1) Miscela; 2) Macinatura; 3) Macchina; 4) Manualità. Innanzitutto preliminare è la scelta di una miscela di qualità, correttamente tostata; serve poi un macinatura che dia 25 ml di bevanda nel giro di 25 secondi, così da evitare errori di sovraestrazione o di sottoe-
per la preparazione di un espresso perfetto vige la “Regola delle 4 M”: 1) Miscela; 2) Macinatura; 3) Macchina; 4) Manualità
strazione, bruciando il caffè o non estraendo a sufficienza il suo potenziale aromatico e tattile. La macchina deve essere sottoposta ad una regolare manutenzione perché possa continuare ad estrarre tazzine di caffè impeccabili. Non esiste poi l’espresso di qualità senza che vi sia l’intervento di un operatore specialista che sappia scegliere e gestire con abilità e professionalità la miscela e le attrezzature, quali strumenti di lavoro del bar, tra i quali va ricompresa anche la tazzina, perché anche questa fa la differenza. Affi nchè questo oggetto possa divenire lo strumento adatto a portare al consumatore la qualità di un caffè espresso, idoneo a conservare ed esaltare le sue proprietà organolettiche, deve essere di porcellana dura, materiale che garantisce la “coibenza termica” mantenendo la temperatura ideale di servizio intorno ai 65°C, utile ad esaltare l’intensità del profumo e l’equilibrio del gusto, impedendo all’amaro di prevalere. La forma è studiata per aiutare la formazione della crema, concentrare gli aromi e regolare il flusso della bevanda nel cavo orale; una forma conica o concava con una base arrotondata e la sommità non troppo larga, il cosiddetto “fondo a uovo”, è indispensabile perché la crema permanga consistente. Lo spessore deve essere maggiore sul fondo, al fi ne di mantenere la giusta temperatura e valorizzare la consistenza e deve diventare più sottile verso il bordo per agevolare il contatto con le labbra. La
tazzina deve essere asciutta a avere una temperatura di circa 45°C. La capacità ideale della tazza deve essere circa di 60 ml per 25 ml di espresso, una tazza troppo capace disperde gli aromi. Il colore bianco facilita la valutazione dell’espresso e ne risalta meglio le caratteristiche visive, in particolare i riflessi fulvi della crema. Tutti coloro, nessuno escluso, che prendono parte alla fi liera del caffè espresso, concorrendo in vario modo alla preparazione dello stesso, dalla coltivazione della pianta sino all’estrazione in tazzina, devono offrire il loro professionale, abile e virtuoso contributo per mantenere sempre ferma e costante, dalla prima sino all’ultima tappa, la qualità del caffè, perché un semplice gesto quotidiano per il consumatore sia trasformato in un importante e piacevole rituale.
Chiunque può conoscere ed ammirare la filiera del caffè espresso in tutti i suoi articolati passaggi al Museo del Caffè Dersut, sito a Conegliano (TV), in Via T. Vecellio 2, adiacente alla sede aziendale. Esso consente al visitatore di fare un viaggio nella storia del caffè, partendo dalle piante di coffea Arabica, poste all’interno di una serra climatizzata, transitando per la storia della tostatura, testimoniata da numerosi tostini e macchine tostacaffè, passando per la storia della macinatura, con una ricca esposizione di macinini di varie epoche e provenienze, sino ad arrivare alla storia dell’estrazione della bevanda caffè con l’esposizione di diverse caffettiere a testimonianza dell’evoluzione nel tempo delle svariate tipologie di estrazione, per concludere con la storia della macchina per caffè espresso, dai primi esemplari di macchine a vapore a colonna, seguite dalle macchine a leva o pistone, sino all’avvento della macchina ad erogazione continua. Il percorso museale termina nell’ampia sala degustazione – formazione, sita al piano superiore dell’edificio, dove Dersut ha realizzato il proprio Centro Formazione, e dove vengono organizzati corsi di formazione per gli operatori del settore, con il prezioso intento di fornire al proprio prodotto un’ulteriore qualità, un valore aggiunto: la cultura del caffè a totale beneficio del consumatore finale.
Dersut Caffè S.p.A. Via T. Vecellio, 6 31015, Conegliano (TV) Tel. 0438 411200 www.dersut.it info@dersut.it museodelcaffe@dersut.it
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