ISSN 2384-9029
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gen-feb 2016
OFFICINA* Bimestrale on-line di architettura e tecnologia N.10 gen-feb 2016 ISSN 2384-9029 Rivista consultabile e scaricabile gratuitamente su : www.officina-artec.com/category/publications/officina-magazine
DIRETTORE EDITORIALE
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
Emilio Antoniol
Giulia Abbruzzese, Pietro Barucco, Antonio Battista, Mattia Cambi, Angel Cerezo Cerezo, Medardo Chiapponi, Alessandra Ciarmela, Andrea Ciotti, Giulia Ciliberto, Ettore Donadoni, Lorenzo Fabian,
COMITATO EDITORIALE
Isabella Loddo, Andrea Martinelli, Dario Martini, Andrea Meneghelli, Maddalena Mometti, Wanda
Valentina Covre
Moretti, Alessandro Pera, Davide Pesavento, Giorgio Sinapi, Francesca Toso, Luca Velo.
Francesca Guidolin Daria Petucco Margherita Ferrari Valentina Manfè Chiara Trojetto REDAZIONE
IMPAGINAZIONE GRAFICA Margherita Ferrari
Filippo Banchieri Libreria MarcoPolo PROGETTO GRAFICO Valentina Covre
EDITORE
Margherita Ferrari
Self-published by
Chiara Trojetto Associazione Culturale OFFICINA* info@officina-artec.com ArTec - Archivio delle Tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale Università Iuav di Venezia Copyright © 2014 OFFICINA*
Corpo e mente “Il mio sogno erano le Torri Gemelle del World Trade Center, un sogno iniziato prima ancora che esistessero; […] quando erano quasi completate […] le vidi per la prima volta. Appoggiai il mento contro il muro di alluminio e guardai in alto. A quel punto mi resi conto […] che il mio sogno non si sarebbe mai realizzato, che era un sogno impossibile. Ma alle persone come me la parola impossibile non piace, infatti non la uso mai. Quindi mi intrufolai illegalmente in uno degli edifici […] e mi ritrovai in cima. […] Era veramente una cosa da pazzi. Guardando dall’altra parte mi resi conto che si trattava di un’impresa assolutamente impossibile, quindi decisi di iniziare a lavorarci su” (Philippe Petit, Credere nel vuoto, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 12-14). Sono parole, queste, di Philippe Petit, noto funambolo francese, tornato di recente alla ribalta della cronaca grazie alla pellicola cinematografica di Robert Zemeckis che racconta il suo più celebre “colpo”: la traversata delle Torri Gemelle del 7 agosto 1974. I 45 minuti di camminata sul filo teso a oltre 400 metri di altezza sono però solo una delle tante imprese compiute da Petit che può annoverare tra i suoi spettacoli più riusciti quello delle cascate del Niagara ma anche, e soprattutto, tante traversate compiute su grandi architetture come la Torre Eiffel, la cattedrale di Nôtre Dame e il Centre Georges Pompidou a Parigi, l’Harbour Bridge di Sydney, il Superdome a New Orleans, il Lincoln Center e Grand Central Terminal a New York. Tratto comune a tutte queste imprese è senza dubbio la straordinaria abilità fisica di Petit capace, da autodidatta, di reinventare la disciplina del funambolismo, ma al tempo stesso la ricerca, il calcolo e la passione messe in campo da Philippe nel progettare ogni traversata, trovando spesso nell’architettura la perfetta scenografia per il suo spettacolo che, come ci dice Petit, “[...]è frutto della mente. Per camminare su una corda tesa si ha certamente bisogno del corpo, ma prima di tutto è necessario generare una sorprendente energia di solidità e
Chiara Trojetto
di fede: bisogna credere”.
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N.10 gen-feb 2016 in copertina: Running Corrent immagine di Patrizio M. Martinelli*
*Patrizio M. Martinelli, PhD in composizione architettonica, si occupa di progettazione in ambito professionale e di didattica e ricerca presso l’Università Iuav di Venezia, la Münster School of Architecture di Münster e la Escuela de Arquitectura UCLM di Toledo. È appassionato di fotografia, disegno, collage, grafica e illustrazione; le sue opere e i suoi studi sono presenti in pubblicazioni italiane e internazionali. patriziomartinelli ≥
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ESPLORARE Fare ricerca in design di Giulia Ciliberto Henri Cartier-Bresson e gli altri. I grandi fotografi e l’Italia di Valentina Manfè Il nuovo Museo Luigi Bailo di Filippo Banchieri
MUOVIMENTI introduzione di Margherita Ferrari Ri-Ciclare la mobilità in Veneto di Lorenzo Fabian, Ettore Donadoni e Luca Velo City running tour per la promozione di un turismo attivo di Giulia Abbruzzese Woodpark: laboratorio di idee in movimento di Giorgio Sinapi e Antonio Battista Sconfinamenti: la danza verticale di Wanda Moretti Analisi della gestualità nell’interazione di Isabella Loddo L’intelligenza del polpo di Pietro Barucco e Alessandro Pera L’anello che non tiene? di Daria Petucco Protesi e sport di Dario Martini Design per la salute, il benessere e lo sport di Medardo Chiapponi, Andrea Ciotti, Maddalena Mometti e Francesca Toso
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D’architettura e Mostri, Fantasmi e Favelas testo di Davide Pesavento, immagini di Alessandra Ciarmela IN PRODUZIONE Un serramento di design di Emilio Antoniol
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VOGLIO FARE L’ARCHITETTO Milano Renatur di Angel Cerezo Cerezo Una palestra sostenibile per l’arrampicata sportiva di Andrea Martinelli IMMERSIONE Cradle-to-cradle: un approccio sistemico per l’architettura sostenibile di Andrea Meneghelli
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Fórcola di Margherita Ferrari MICROFONO ACCESO Michele Ferrarin a cura di Mattia Cambi e Margherita Ferrari
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CELLULOSA Con il vento in faccia a cura dei Librai della Marcopolo
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(S)COMPOSIZIONE Per quanto tempo è per sempre? di Emilio Antoniol
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ESPLORARE
Fare ricerca in design 25-26 febbraio 2016 Palazzo Badoer, Università Iuav di Venezia www.room50.org/fare-ricerca-in-design≥
Il dottorato in Scienze del Design dell’Università Iuav di Venezia avvia la seconda edizione del forum nazionale Design Matters, che si terrà il 25 e 26 febbraio 2016 presso la sede di Palazzo Badoer. L’iniziativa, dal titolo Fare ricerca in design, ha l’obiettivo di riflettere sugli sviluppi che la disciplina del design sta assumendo oggi nelle sue diverse declinazioni attraverso il confronto fra i corsi di dottorato presenti in Italia, condividendo e divulgando i risultati delle ricerche in atto o recentemente concluse. Il forum, a cui parteciperanno 45 relatori selezionati tramite una call for paper rivolta a dottorandi dei cicli XXVIII, XXIX e XXX e dottori di ricerca dei cicli XXV, XXVI e XXVII, prevede una pubblicazione comprensiva di ISBN degli atti delle due giornate di incontri. Parallelamente al forum si terrà il seminario di studi “Riportare al centro il pensiero critico e le teorie”, che vedrà coinvolti docenti e studiosi di design attivi nel panorama della ricerca nazionale.
di Giulia Ciliberto
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Henri Cartier-Bresson e gli altri. I grandi fotografi e l’Italia 10 novembre 2015 – 7 febbraio 2016 Palazzo della Ragione, Piazza Mercanti 1, Milano www.palazzodellaragionefotografia.it ≥
Michael Ackerman, Nobuyoshi Araki, Jordi Bernadó, Elina Brotherus, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, Gregory Crewdson, John Davies, Joan Fontcuberta, Harry Gruyaert, Alex Hütte, Art Kane, William Klein, Irene Kung, Herbert List, Guy Mandery, Iroyuki Masuyama, Steve Mccurry, Joel Meyerowitz, Sarah Moon, Abelardo Morell, Helmut Newton, Claude Nori, Martin Parr, , Bernard Plossu, Mark Power, Sebastião Salgado, David Seymour, Paul Strand, Thomas Struth, George Tatge, Alexey Titarenko, Hans Van Der Meer, Cuchi White, Jay Wolke, Sophie Zénon. I loro scatti della bella Italia animano Palazzo della Ragione a Milano, che dal 1221 domina Piazza Mercanti, accanto al Duomo della città. Dopo Italia Inside Out, mostra fotografica che ha messo in scena l’Italia vista dai fotografi italiani, questa esposizione rappresenta invece ottant’anni di Italia vista con gli occhi di grandi fotografi internazionali. Svariati sono i fili conduttori che si possono individuare nella mostra ed è proprio questo aspetto che rende ancora più esclusivo
questo percorso, nel tempo e nello spazio, per chiunque lo percorra. Sono sette le sezioni che ci accompagnano in questo viaggio. Dalla fotografia “umanista” di Robert Capa alla poesia del bianco e nero, dalle città d’arte e di cultura al “linguaggio documentario” caratterizzato anche dalla fotografia di Joan Fontcuberta, dove tra i suoi “gabinetti delle curiosità” irrompe Frog, la celebre seduta di Ycami accanto a delle rane sotto vetro, che inevitabilmente fanno pensare allo studio dell’elettricità animale nella disputa GalvaniVolta. Il viaggio continua con le fotografie che ritraggono gli scempi architettonici e i disagi esistenziali e arrivano allo “sguardo positivo” che lascia spazio alla quotidianità, all’armonia, alla luce, dove prendono spazio i “campi da calcio” di Hans Van Der Meer che lui interpreta come un particolare spettacolo teatrale. Infine la mostra culmina con il “racconto di sé” mediante l’autoritratto. Si trova anche l’autoritratto di altri sé, che permette alla fotografa francese Sophie Zénon di esporre una sequenza di scatti intitolata “nonni”, nella quale affianca luoghi a persone, raccontandoli; questo tipo di fotografia diventa davvero la possibilità di raccontare sé stessi nel profondo. Ed è proprio l’autoritratto dell’ineccepibile maestro Henry Cartier-Bresson, che apre questa grande mostra fotografica.
di Valentina Manfè
Il nuovo Museo Luigi Bailo Dal martedì alla domenica, orario: 10.00-18.00 Borgo C. Benso di Cavour 24, Treviso www.museicivicitreviso.it ≥
Lo scorso 29 ottobre, dopo dodici anni di chiusura, ha riaperto il museo civico “Luigi Bailo” di Treviso. La storica sede dei Musei cittadini, grazie ad un accurato recupero, è così tornata ad essere una struttura di riferimento nel panorama culturale della Marca Trevigiana. L’ex convento degli Scalzi, convertito in museo nel 1888, è stato completamente rinnovato nella sua veste architettonica ed espositiva. Il nuovo Bailo, infatti, ospita adesso la sola Galleria del Novecento, adibita a mostra permanente di arte moderna, che ha come fulcro le opere dello scultore Arturo Martini (1889-1947). L’antico convento si presenta oggi visibilmente modernizzato grazie al progetto architettonico sviluppato dallo Studiomas di Padova. Le trasformazioni più evidenti hanno riguardato il prospetto principale e la galleria di ingresso, oltre alla riqualificazione della piazzetta antistante. Un raffinato intervento di restauro ha poi interessato il chiostro cinquecentesco, attorno al quale si affacciano le sale espositive su due piani.
testo di Filippo Banchieri foto di Marco Zanta
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London 2012 Olympic Games, more precisely on July 2nd: the games haven’t started yet, but in the United Kingdom the sportsmanship senses already, also the sport adrenalin. The Olympic torch arrives in Land’s End on May 19th and it reaches more than 1000 british cities, but that day in July the torch-bearer Sebastian Coe pauses at “graduates wall” in the Rugby School (Warwickshire, UK). The Olympic torch becames the device to commemorate Thomas Arnold (1795-1842), the dean of the same school for many years, but especially he was a supporter and promotor of the “sport idea”. This idea goes beyond the meaning of the word “sport”, that is the idea of entertainment. In fact the sport is an educational value and it represents the playground where we learn how to fight, with the others or against the others, but exspecially we learn how to fight with us. The sport needs to “toughen soul up”: this sport is both sunday morning running, and the surfing on the 30 m high wave like Garret McNamara (Nazaré, 2011). Primarily the sport compare us with ourselves and we are spare in front of our limits beyond which we want to go: it’s like in the job, where the ambition encourages to create and plan. However the sport is an hobby, it can be a pleasure or not and nobody is forced to do it: nevertheless Thomas Arnold looks in this physical discipline an intellectual excercise, useful in many kinds of match that men must take on. In fact over the centuries the sport has often represented the occasion to make aware of specific values, particulary concerning the discrimination of any nature it was or is being.
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That July 2nd Sebastian Coe decided to bring the media attention really on the figure of Thomas Arnold and this idea about sport, that connect the physical exercise to the intellectual and caracterial disciplines. They’re the MuoviMenti: when we move, we know. First of all, the sport is research and discovering; it’s an adventure to explore places and to know our capabilities, especially our limits. When we know these limits, we try to design tools to pass them: they can be specific trainings to improve our physical permformance or supporting tools to “extend” our body, for example for flying. Sport means exploring and it is applicated on several levels: from the urban to the technological scale. Thanks to sport, we can discover more than our physical capabilities: we know the materials of our tools, the places where we train and the people with whom we compare ourselves. From these MuoviMenti, the sport passion intertwines with the research.
limpiadi di Londra 2012, più precisamente il giorno 2 luglio: i giochi non sono ancora iniziati, ma si percepisce già da tempo nel Regno Unito lo spirito sportivo, l’adrenalina da competizione. La torcia olimpica sbarca a Land’s End il 19 maggio e tocca più di 1000 città britanniche, ma quel giorno di luglio il tedoforo Sebastian Coe si sofferma al “muro dei dottori” della scuola della cittadina di Rugby (contea del Warwickshire, UK). La torcia olimpica diventa l’espediente per commemorare Thomas Arnold (1795-1842), rettore della scuola stessa per molti anni, ma soprattutto sostenitore e promotore dell’idea di sport. Questa idea è qualcosa che va ben oltre l’etimologia della parola “sport”, che riconduce al concetto di divertimento: bensì lo sport come valore educativo, come campo in cui imparare a lottare, con gli altri o contro gli altri, ma soprattutto con sé stessi. “Temprare l’animo”: a questo serve lo sport, che si tratti di correre la domenica mattina o di cavalcare un’onda alta 30 m come Garrett McNamara (Nazaré, 2011). Lo sport ci mette prima di tutto a confronto con noi stessi, spogli di tutto davanti ai nostri limiti, oltre i quali ci spingiamo ad andare: come nel lavoro del resto, dove l’ambizione ci porta a progettare e a creare. Ma lo sport si distingue perché è un passatempo, che può piacere o meno, nessuno ci obbliga: tuttavia Thomas Arnold vede
in questa disciplina prettamente fisica prima di tutto un esercizio intellettuale, utile in qualsiasi tipo di lotta che l’uomo è costretto ad affrontare. Lo sport infatti nel corso della storia è stato spesso il luogo e l’occasione per sensibilizzare su particolari valori, in particolar modo sulla discriminazione, di qualsiasi natura essa fosse o sia. Quel 2 luglio Sebastian Coe ha voluto portare l’attenzione mediatica proprio sulla figura di Thomas Arnold e sulle sue teorie dello sport, che legano l’attività fisica a quella intellettuale e caratteriale. Da qui i MuoviMenti: quando ci muoviamo, conosciamo. Lo sport è prima di tutto ricerca e scoperta, un’avventura per esplorare luoghi e per conoscere le nostre capacità, soprattutto i nostri limiti. E proprio di fronte a questi limiti, ci ingegniamo per progettare strumenti per superarli, che si tratti di allenamenti per migliorare le prestazioni fisiche o di strumenti ausiliari che “prolungano” il nostro corpo per poter, ad esempio, volare. Sport significa appunto esplorare, un’indagine applicata su diverse scale: da quella urbana a quella tecnologica nei laboratori. Praticare sport può dunque portare a conoscere ben oltre le proprie capacità fisiche: ci interroga sui materiali che stiamo utilizzando, sui luoghi in cui lo esercitiamo e sulle persone con cui ci confrontiamo. Ed è proprio in questi MuoviMenti che la passione sportiva si intreccia con la ricerca.
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Patrizio M. Martinelli
di Margherita Ferrari
Ri-Ciclare la mobilità in Veneto Tradizioni, supporti ed economie della bicicletta verso nuove strade di sviluppo
Lorenzo Fabian é professore di Urbanistica e svolge attività di ricerca presso il dipartimento di Culture del Progetto, Iuav, Venezia. Ettore Donadoni e Luca Velo sono dottori di ricerca in Urbanistica, assegnisti di ricerca e collaboratori alla didattica presso il dipartimento di Culture del Progetto, Iuav, Venezia.
In the last decades, cycling has become something else than a sport or a mobility system. Cycling can be a lens to investigate the contemporary physical space and to go through new perspectives in planning, technological and economical development. The Veneto region is an ideal study case where tradition in bicycle production and innovation combine in a territory strongly addressed to mobility infrastructure for motorized vehicles since the end of the Second World War. The research led by Lorenzo Fabian and his team at the Iuav in Venice tries to define processes, plans, designs and policies in order to draw out a no-car scenario oriented to a massive use of bicycle with the connected form of integration and the recycle of exiting infrastructure, aiming at a comprehensive plan for the diffuse city and territory.
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di Lorenzo Fabian, Ettore Donadoni e Luca Velo
ello stesso anno in cui viene pubblicato negli Stati Uniti The view from the Road (Appleyard, Lynch e Myer, 1964), vengono inaugurati in Italia i 759 chilometri dell’Autostrada del Sole. La realizzazione del sistema autostradale italiano ha accompagnato la diffusione di massa dell’autovettura, imponendo in qualche decennio, un nuovo paradigma di mobilità nel Paese. Nelle regioni come il Veneto, dove negli anni settanta è più facile osservare la collisione improvvisa fra un mondo ancora contadino e le nuove possibilità offerte dall’auto di massa, appaiono più evidenti le ricadute territoriali ed urbane delle trasformazioni in atto. Al deposito millenario e minuto di fossi e strade bianche che nei secoli hanno dato forma al paesaggio si sovrappone un supporto altamente specializzato, fatto di strade asfaltate; “strade nere”, come le chiamavano i vecchi quando ancora il territorio era in gran parte coperto da strade sterrate e il principale mezzo di locomozione era la bicicletta. Alla luce dell’odierna crisi economica e delle politiche europee in materia di sostenibilità, i temi della mobilità ciclistica tornano d’attualità, influenzando il progetto della città e del territorio. Un finanziamento regionale del fondo sociale europeo1 ha rappresentato l’occasione per proseguire le ricerche dell’Università Iuav di Venezia sul riciclo delle infrastrutture per la mobilità del nord est, nell’ipotesi che le reti capillari per gli spostamenti lenti possano essere le attrezzature dalle quali partire per avviare un processo di profonda revisione e ristrutturazione dei territori della diffusione. Con alcune imprese venete sono state individuate strategie, progetti e dispositivi capaci di costruire le condizioni per una consistente riduzione dell’uso dell’auto privata in favore della bicicletta contribuendo a costruire o a consolidare forme di imprenditorialità nuove o più tradizionali. Le ragioni per posizionare la bicicletta al centro di un progetto di rinnovamento della città diffusa sono molteplici. La prima risiede
MICHE
SELLE ITALIA
Bassano BATTAGLIN CICLI
SELLE SAN MARCO
PINARELLO WILIER TRIESTINA
Treviso BASSOBIKES SELLA PIPA
REGGISELLA COLLARINO REGGISELLA
MANUBRIO
LEVE FRENI PINZE FRENI
PINZE FRENI
NIPPLI
CERCHIO CAMERA D’ARIA
FORCELLA
TELAIO
Vicenza
CATENA
CAMPAGNOLO RAGGI
MOZZO CAMBIO
COPERTONE
GUARNITURA
FULCRUM
NASTRO PARANIPPLI
MOVIMENTO CENTRALE
Venezia BILLATO
FAGGIN
BONIN Srl
Padova
SELLE SMP MOSER
OLYMPIA
BOTTECCHIA Srl
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nella speciale relazione, fin dalle sue origini, tra la bicicletta e il Veneto a tal punto da alimentare fino ai giorni nostri il mito della bicicletta ( Augè, 2008) . Per tutto il dopoguerra e in tutto il territorio, essa è stata il principale strumento di mobilità individuale per il mondo operaio: dai lavoratori del petrolchimico di Marghera a quelli dei distretti tessili di Valdagno e Schio. Negli anni cinquanta è diventata un prodotto raffinato per tecnologia dei materiali e design adottati dai numerosi artigiani insediati fra Treviso, Padova e Vicenza. Negli anni sessanta e settanta è stata il mezzo delle imprese sportive dei campioni che sul versante alpino hanno scritto una storia importante del ciclismo italiano. Riconcettualizzare la mobilità, mettendo al centro del sistema la bicicletta e le sue pratiche, non rappresenta solo un’azione di forte valorizzazione del capitale sociale ma, più in generale, offre la possibilità di intendere la mobilità individuale come possibilità collettiva, alla portata di tutti, seguendo principi capaci di combinare i temi energetici, ambientali e di giustizia sociale (Illich, 1973). Con le molteplici pratiche legate al suo uso, particolarmente in Veneto, la bicicletta concorre alla creazione di inedite forme di spa-
alla luce dell’odierna crisi economica e delle politiche europee in materia di sostenibilità, i temi della mobilità ciclistica tornano d’attualità, influenzando il progetto della città e del territorio
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la bicicletta concorre alla creazione di inedite forme di spazialità urbana, nuove aggregazioni tra abitanti ma anche imprenditorialità d’eccellenza
zialità urbana – ciclo-officine, ciclo-stazioni, spazi e attrezzature per il bike-sharing – nuove aggregazioni tra abitanti ma anche imprenditorialità d’eccellenza nel campo delle forme più innovative di turismo e di produzione. Tali esperienze hanno dimostrato di poter contribuire alla costruzione di “capitale sociale” e sviluppo economico intorno ai temi della sostenibilità ambientale, di affermazione “dal basso” del diritto alla mobilità individuale, operando anche entro i processi di policy making (Bozzuto, Fabian, 2014). I temi socio-economici relativi alla bicicletta in Veneto dimostrano una densità di forme, di norme e di processi. Tra questi alcuni hanno mantenuto caratteri di eccellenza nel corso dei decenni affidandosi simultaneamente alla tradizione e all’innovazione, sapendosi spingere in forme di “artigialità” evoluta (Micelli, 2010), altri si sono imposti in modalità di cooperazione sociale ed imprese private totalmente inedite anche nel panorama europeo. Nella ricerca, alcune tra le aziende d’eccellenza e le associazioni legate al mondo della ciclabilità sono divenute partner del progetto. Essi hanno permesso di riattualizzare alcune figure della mobilità (Martinotti, 1993) attraverso importanti specifiche economie, esigenze ed istanze spaziali sul territorio. Faggin Bikes di Padova, partner del progetto, fin dai primi anni sessanta produce telai per bicicletta in acciaio “cuciti”, sul corpo del ciclista. L’esperienza di Faggin non rappresenta tuttavia un caso isolato. Accanto ad essa si possono riconoscere imprese di componentistica e progettazione, come Campagnolo a Vicenza o Pinarello a Treviso, i cui marchi sono conosciuti e ricercati in tutto il mondo. Si può dimostrare come esista un made in Veneto nella produzione di biciclette, perché sono numerose le imprese di eccellenza che operano nel settore a tal punto che risulterebbe idealmente possibile costruire mezzi interamente realizzati a livello regionale. La normativa regionale2 infatti riconosce un vero e proprio distretto della bicicletta la cui area di competenza si estende a cavallo delle province di Treviso, Vicenza e Padova (Chahinian, 2013). Il tour operator con sede a Vicenza, Girolibero, altro partner della
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ricerca, si occupa di fornire tutto il supporto tecnico e logistico, dal noleggio delle biciclette alla prenotazione alberghiera, per realizzare in tutta Europa “vacanze facili in bicicletta”. Ma la forza sinergica delle diverse economie che legano la bicicletta al turismo si spinge anche in altri contesti settoriali. Ciclocollezionismo, eventi ludici e sportivi del mondo della bicicletta, in Veneto, godono di una riconosciuta tradizione storica e culturale e si collocano non unicamente nella dimensione professionistica ma anche dilettantistica e amatoriale, allungando le filiere in termini di popolarità e riconoscibilità fino ai contesti internazionali. Ciclostoriche come la Ottavio Bottecchia (Vittorio Veneto, Treviso), l’Artica o la Vacamora “circuito dei lanifici” (Lonigo e Schio, Vicenza), la Gardesana e l’Ardita (Verona) sono tra le più famose occasioni dove ogni anno, autentici appassionati, in sella a biciclette d’epoca o fedeli riproduzioni, attraversano lo spazio costiero, pianeggiante o montano del Veneto mobilitando flussi economici ed iniziative, prevalentemente dal basso, in cooperazione con le amministrazioni locali. La SellaRonda Bike Day, un circuito di 58 km con 1.800 m di dislivello tra i passi dolomitici, nel 2014 ha registrato presenze da record, sull’ordine dei 22.000 partecipanti. Associazioni come La Mente Comune di Padova, perseguono i principi dell’upcycling (Fiocco, 2013). La sua ciclofficina rigenera vecchi telai, recupera componentistiche, restituisce all’uso originario circa 400 mezzi l’anno, altrimenti destinati allo smaltimento in discarica. In questa prospettiva le biciclette riciclate dalle tante ciclofficine sorte in questi anni nell’area centrale del Veneto rappresentano ancora un’importante risorsa per studenti e pendolari che si muovono quotidinamanete fra le provincie di Padova, Vicenza e Treviso. Leggendo strumentalmente queste economie della bicicletta, si scorge come i sistemi lenti di percorrenza territoriale, strade bianche, circuiti regionali o europei, diventino supporti presenti e disponibili, sempre più tributari della capacità di intercettare flussi che investono conoscenza, capitale umano e risorse locali. Il progetto di una mobilità individuale basata sul mezzo a pedali
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attivare riflessioni che attraversino le differenti scale del progetto: dal territorio all’oggetto stesso della locomozione
potrebbe usare le modalità operative e le categorie concettuali che sono tipiche del riciclo per attivare riflessioni che attraversino le differenti scale del progetto: dal territorio all’oggetto stesso della locomozione (Donadoni, Fabian e Munarin 2015). Alla scala dell’infrastruttura, riciclo significa ridare alla strada il ruolo che nelle città del sud Europa ha sempre avuto: non solo dispositivo di transito ma spazio pubblico a tutti gli effetti, luogo di relazione e dell’interazione sociale. Alla dimensione transeuropea, riciclo può invece significare il recupero di linee ferroviarie dismesse, strade bianche, alzaie lungo i grandi fiumi, connessi in una immensa rete ciclabile che alla scala del territorio continentale riconcettualizza l’idea stessa di corridoio europeo. Grandi infrastrutture alla scala del territorio che appoggiandosi ai fiumi integrano le esigenze ambientali a quelle della mobilità e del loisir 3. Riciclo alla scala dell’oggetto significa infine riconoscere e valorizzare i “nuovi cicli” di produzione che “dal basso”, attraverso le ciclofficine, consentono il recupero delle vecchie biciclette. Autocostruzione, riciclo, artigianato evoluto sono solo alcune delle possibili parole d’ordine che, attraverso l’uso della bicicletta ci raccontano di un possibile progetto per la città e il territorio capace di costruire nuovo capitale fisso sociale, attivare spazio urbano, valorizzare il paesaggio indicando, nel contempo, una nuova concreta prospettiva per la crescita economica del nostro Paese. ♦
LINK UTILI www.bikenuovestrade.it ≥ www.fagginbikes.com ≥ www.girolibero.it ≥
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NOTE 1 - Ricerca Bike. Nuove Strade: Università Iuav di Venezia, Dipartimento di Culture de Progetto, Fabian L. (coord.), Donadoni E. , Velo L., cofinanziata dal FSE 2007-2013 Regione Veneto. Progetti: BIKE (Bicycle Instruments, Knowledge and Enterprise). La mobilità urbana dopo il picco del petrolio; Turismo, Territorio, Riciclo: riciclo di reti ferroviarie e infrastrutturali dismesse e di fabbricati abbandonati a favore dello sviluppo di itinerari turistici a percorrenza “lenta” nell’area veneta. 2 - Leggi Regione Veneto in materia di Distretti Produttivi L.R. n.8 del 4 aprile 2003, L.R. n. 5 del 16 marzo 2006 e L.R. n.13/2014. 3 - Oltre la ciclonavigabile lungo il Danubio merita attenzione il progetto italiano a cura del Politecnico di Milano denominato: “Vento”, un percorso ciclabile che si snoda per tutta la pianura Padana lungo il Po da Torino a Venezia (Vento, 2013). IMMAGINI 01 - Filiera della bicicletta in Veneto. Produttori di componenti per la bicicletta in Veneto e loro ubicazione. Immagine degli autori. 02 - Alcune aziende e associazioni legate al mondo della ciclabilità. L’azienda Faggin bikes fu fondata dall’ex ciclista Marcello Faggin nel 1945, il marchio si è affermato nella storia del ciclismo come una garanzia della tradizione telaistica italiana unita alla passione per le realizzazioni completamente su misura. Le copertine dei cataloghi dell’azienda Girolibero raccontano il loro spirito nell’organizzare vacanze facili in bicicletta. Associazioni come La Mente Comune e Cicletica, nelle proprie ciclofficine sensibilizzano all’uso della bicicletta, trasmettono conoscenze pratiche e rigenerano vecchie biciclette abbandonate. 03 - Un complesso intreccio di relazioni e spostamenti. Le geografie dei luoghi che per diversi motivi si possono legare all’utilizzo della bicicletta disegnano un complesso intreccio di relazioni in cui sono riconoscibili storie di persone e di aziende che hanno costruito intorno alla bicicletta importanti attività economiche. 04 - Il cambio Gran Sport della Campagnolo, azienda con sede a Vicenza alla quale si deve l’invenzione del cambio moderno. Disegni elaborati per il brevetto del 1954. 05 - Ogni bicicletta realizzata da Biascagne è un pezzo unico e stabilisce una relazione speciale con il luogo per la quale è pensata. Immagine di Biascagne cicli. 06 - L’utilizzo delle strade bianche come supporto esistente per la mobilità ciclistica. Immagine degli autori. BIBLIOGRAFIA - Appleyard D., Lynch K., Myer J. R., “The View from The Road”, MIT Press, Cambridge, 1964. - Augé M., “Il bello della bicicletta” (2008), trad. it. Bollati Borgherini ed., Torino, 2009. - Illich I., “Elogio della bicicletta” (1974), trad. it. Bollati Borgherini ed., Torino, 2006. - Bozzuto P., Fabian L., “Per una possibile “urbanistica della bicicletta” (Towards a possible town planning for the bicycle), in “Territorio”, 2014., n.69. - Micelli S. , “Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani”, Marsilio, Padova, 2010. - Martinotti G. , “Metropoli. La nuova morfologia sociale della città”, Il Mulino, Bologna, 1993. - Chahinian R., “Il distretto produttivo della bicicletta”, in Notizie sull’Economia, Rubrica il Punto, Camera di Commercio di Treviso, 2013. - Fiocco A., “Scrap Story, luoghi dove crescono idee”, Il becco giallo ed., Cierre Grafica, Sommacampagna, Verona, 2013. - Fabian L., Donadoni E., Munarin S. (a cura di), “Re-Cycle Veneto”, Aracne, Roma, 2015.
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City running tour per la promozione di un turismo attivo L’iniziativa “Venice by run“ a Venezia centro storico
Giulia Abbruzzese è ideatrice, insieme a Roberto Marin, del progetto di turismo sostenibile “Venice by run”. Architetto, laureata presso l’Università Iuav di Venezia, si occupa principalmente della comunicazione visiva dell’iniziativa (identità e promozione) svolgendo anche il ruolo attivo di running leader. e-mail: giulia.abbruzzese@venicebyrun.com
“Venice by run” is a sustainable tourism project born in 2015 with the aim of offering exciting experiences in Venice without undermining its fragile context given to artistic, historical and environmental factors.The running tours are designed for small groups to offer a unique visit to the most valuable historical, artistic and cultural places of the city in a different way from the tourism mass proposal: showing the everyday life of Venetians (yes, despite the high tourists flux, there are still many residents in the historical centre) and giving useful practical information to live like a local, enjoing the city without leaving a high impact on it. All this in a funny and healthy way! The tour leaders are first of all passionate runners and committed to obtain a fair trade-off between tourism and the city of Venice.
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di Giulia Abbruzzese
gni mattina è magica a Venezia: persone che portano a spasso il cane, gli addetti Veritas¹ che puliscono calli e campielli, l’allestimento dei banchi di pesce, frutta e verdura al mercato di Rialto, il camion carico di provviste per il supermercato sopra una chiatta che approda lungo la Fondamenta delle Zattere: un rituale che si ripete quotidianamente. Sembra impossibile che questa sia la città che ospita 23 milioni di visitatori all’anno². Chi la frequenta, soprattutto i turisti, rischia di non poterla apprezzare appieno, per la fatica di salire in battello, la difficoltà di attraversare il ponte di Rialto e raggiungere Piazza San Marco, l’impossibilità di fotografare luoghi e architetture senza la presenza umana. Esistono due facce della stessa città che ho scoperto correndo di mattina presto, prima che inizi il viavai di lavoratori, studenti e visitatori. Con un paio di scarpe da corsa ai piedi, si possono facilmente attraversare i diversi sestieri e godere delle bellezze, più o meno note, che caratterizzano la città. Non ci sono altri momenti della giornata in cui è possibile ammirare Piazza San Marco semi deserta, magari dopo aver attraversato aree meno turistiche come Cannaregio e Castello, soffermarsi sulla toponomastica di calli, fondamenta, rio terà, rughe, sotoporteghi, campi e campielli con la prima luce diurna e leggere le stratificazioni storiche nelle facciate degli edifici e nei materiali con cui la città è stata costruita a partire dalle sue origini. “La mattina questa luce si affaccia ai vetri della tua finestra, ti schiude l’occhio come fosse una conchiglia, ti chiama all’aperto e si mette a correre davanti a te strimpellando con i suoi lunghi raggi – come un ragazzino scatenato che batte il bastone contro la cancellata di un giardino o di un parco – su arcate, portici, comignoli di mattoni rossi, santi e leoni. Dipingi, dipingi!, ti grida la luce, scambiandoti per un Canaletto, un Carpaccio, un Guardi, oppure perché non si fida, non è tanto sicura che la tua retina sia capace di trattenere tutto ciò che lei ti squaderna davanti”³.
Mi sono interrogata su quali siano le aspettative di un turista che programma di recarsi a Venezia, considerando che il soggiorno medio nel centro storico si è ridotto a 1-3 giorni4. Il turismo “mordi e fuggi” per molti significa limitarsi a visitare i luoghi da cartolina, senza riuscire a trattenere informazioni, atmosfere e impressioni. Io ritengo invece che sia più interessante promuovere un turismo “attivo”, che permetta ai visitatori di essere consapevoli del luogo in cui si trovano, della sua storia ma anche degli aspetti legati alla quotidianità di chi ci vive. Portare con sé un ricordo “significante” vuol dire avere voglia di tornare a visitare quel luogo in futuro e far conoscere ad altri la propria esperienza. Condividendo la crescente richiesta da parte dei visitatori di scoprire le città in un modo non convenzionale, lontano dal turismo di massa e allo stesso tempo prestando attenzione al benessere mentale e fisico, è stato ideato un progetto di turismo sostenibile: “city running tour”. Sull’onda di iniziative promosse a Barcellona e Copenaghen, è stato lanciato nei primi mesi del 2015 “Venice by run” (www.venicebyrun.com ≥). I running tour che vengono proposti consentono in una sola ora di corsa di godere di una prima visita ai luoghi d’interesse di questa
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città, dal patrimonio storico, artistico e architettonico inestimabile, potendo scegliere tra diversi itinerari: “Fountains tour” propone la scoperta di luoghi poco conosciuti seguendo le fontane sparse per la città e scoprendo le attività legate a questa presenza; “Campi tour” tocca i luoghi più ampi e arieggiati, conosciuti come “grandi campi”, nei quali si è sempre svolta la vita sociale, commerciale, religiosa e che in origine rappresentavano un punto di riferimento importantissimo per l’approvvigionamento d’acqua (per la presenza di una o più vere da pozzo per il filtraggio dell’acqua piovana). “Arsenale tour” permette di scoprire la tradizione marittima Veneziana attraversando l’area di grande fascino degli antichi cantieri navali dell’Arsenale, quartier generale della Serenissima che hanno permesso la conquista della supremazia sul Mediterraneo per molti secoli. “Correre un’ora al giorno, e garantirmi così un intervallo di silenzio tutto mio, è indispensabile alla mia salute mentale”5. Le parole di Haruki Murakami sono condivisibili da tanti, un popolo di runner amatoriali in continua crescita, che sempre più ha fatto della corsa la propria attività fisica prediletta. Mettere in valigia un paio di scarpe da running ormai è diventata infatti un’abitudine di molti, per godere della possibilità di scoprire nuovi territori correndo anche quando si è in viaggio. Può sembrare insolito poter correre a Venezia, città d’acqua, di ponti e percorsi tortuosi. Quante volte mi è capitato di incrociare runner dal passo incerto con delle mappette ripiegate in mano! Anche la diffusione dei dispositivi provvisti di GPS non risolve la situazione: trovarci in un ambiente senza riferimenti noti può compromettere la nostra esplorazione. Cerchiamo di intraprendere percorsi facili per ricordarci da dove siamo arrivati oppure
teniamo lo sguardo incollato sulla mappa, perdendo la possibilità di guardarci attorno. “A guardarla sulla carta, questa città fa pensare a due pesci alla griglia serviti nello stesso piatto, o magari alle due chele di un’aragosta che quasi si sovrappongono (Pasternak la paragonava a un croissant rigonfio); ma non ha né un Nord né un Sud; non ha Est né Ovest; non ti indica una direzione, sempre e solo vie traverse. Ti circonda e ti avvolge come una massa di alghe marine sotto zero, e più ti agiti, più ti dibatti da una parte e dall’altra cercando di orientarti, più ti smarrisci. Non ti aiutano molto nemmeno le frecce gialle agli incroci, perché sono tutte curve, anche loro. Non ti confortano: ti confondono. Se poi fermi un passante per chiedergli la strada, ecco che la sua mano guizza su e giù nell’aria, e l’occhio, senza badare all’uomo che farfuglia: «A destra, a sinistra, dritto, dritto», vede in quella mano soltanto un pesce”6. Nel XX secolo una serie di fattori legati all’aumentata complessità spaziale delle città hanno fatto emergere notevoli problematiche riguardanti la percezione dello spazio dei tessuti urbani, portando alla compromissione di funzioni da sempre vitali per l’uomo, come l’identificazione dei luoghi e l’orientamento. Kevin Lynch7 sostiene che le persone nei contesti urbani si orientino per mezzo di mappe mentali: i tracciati e le riproduzioni del mondo fisico esterno possedute mentalmente da ogni individuo corrispondono alle immagini ambientali. Tali immagini sono il prodotto sia di una sensazione immediata che del ricordo delle esperienze passate e sono utilizzate per tradurre le informazioni e per orientare il movimento. “Elevare la figurabilità dell’ambiente urbano significa facilitare la sua identificazione visiva e la sua strutturazione […] Ciò richiederà
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Venice by run si propone di fornire al visitatore il punto di vista di chi vive la città
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un atteggiamento nuovo da parte del cittadino ed una configurazione del suo ambiente in forme che attraggano lo sguardo, che si organizzino da livello a livello nel tempo e nello spazio, che si costituiscano come simboli per la vita umana”8. Per aumentare il grado di figurabilità della città occorre dunque partire dai suoi elementi base (percorsi, margini, nodi, quartieri, riferimenti) e definirne una forma idonea alla percezione. Da questo punto di vista Venice by run si propone di fornire un metodo di costruzione dell’immagine ambientale, finalizzato al disegno urbano, permettendo di comprendere i processi cognitivi degli abitanti, i loro usi le loro abitudini con l’intento di rendere la città maggiormente leggibile. I running leader che guidano i tour sono infatti profondi conoscitori di Venezia, per fornire al visitatore soprattutto il punto di vista di chi vive la città: curiosità e aspetti legati alla vita quotidiana che non si trovano scritti in alcuna guida. Non resta quindi che provare a farsi guidare in uno degli originali percorsi! ♦
NOTE 1 - Veritas (Veneziana Energia Risorse Idriche Territorio Ambiente e Servizi). 2 - Direzione Sistema Statistico Regionale su dati Istat (Regione Veneto). 3 - Brodskij I., “Fondamenta degli Incurabili”, Adelphi, 1991. 4 - Direzione Sistema Statistico Regionale su dati Istat (Regione Veneto). 5 - Murakami H., “L’arte di correre”,Einaudi, 2009. 6 - Brodskij I., “Fondamenta degli Incurabili”, Adelphi, 1991. 7 - Kevin Andrew Lynch, urbanista e architetto statunitense, concentra la sua attività di ricerca nello studio della percezione del paesaggio urbano da parte delle persone. I suoi contributi scientifici spaziano dalla psicologia ambientale alla geografia della percezione. 8 - Lynch K. A., “L’immagine della città”, Marsilio, 1960. IMMAGINI 01 - Runnining leader ai piedi della basilica della Salute. Immagine di Michele Crosera. 02 - Il passaggio dei runner sotto un tipico “sotoportego” veneziano. Immagine di Michele Crosera. 03 - Un esempio di running tour a Venezia. Immagine di Venice by run. 04 - Vista su Punta della Dogana, uno dei luoghi panoramici per eccellezza della città. Immagine di Venice by run. 05 - Vista su Riva degli Schiavoni durante il giorno, popolata da bancarelle e turisti. Immagine di Venice by run. 06 - h. 7.10 am: i runner passano lungo Riva degli Schiavoni, ancora senza l’ombra di un turista. Immagine di Venice by run. BIBLIOGRAFIA - Brodskij I., “Fondamenta degli Incurabili”, Adelphi, 1991. - Murakami H., “L’arte di correre”, Einaudi, 2009. - Lynch K. A., “L’immagine della città”, Marsilio, 1960. LINK UTILI www.venicebyrun.com ≥
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Woodpark: laboratorio di idee in movimento Parco avventura e sport in quota
Giorgio Sinapi è amministratore e progettista di WOODPARK. Addetto lavori in quota su funi, su alberi e siti artificiali. Formatore della sicurezza, salute e igiene del lavoro. e-mail: giorgiosinapi@hotmail.com Antonio Battista è esperto di attività motoria in ambiente naturale. Istruttore soccorritore di WOODPARK. Addetto lavori in quota su funi, su alberi e siti artificiali. Istruttore di arrampicata. e-mail: cachimbo@libero.it ≥
The Woodpark was born to create a sustainable environment, surrounded by nature, where you can rediscover the outdoor physical activity, the manual skill, the respect for the environment and the relationship with yourself. The numbers that define this project: 100 trees; 50 platforms (up to 14 meters high); 7 acrobatic paths for adults and 2 for children; the longest Zip line (150 meters long); thousands of visitors in a couple of years. The activities of the Woodpark are planned to learn to move in nature: Orienteering, Acrobatic Paths among the trees, Educational Workshop for schools, night opening and Treeclimbing. Woodpark has been planned and built according to UNI EN 15567-1/2, which define the safety requirements of the acrobatic paths and their elements. We are going to plan a workshop for creative recycling, houses on the trees, paths for disable etc. We always carry on with our projects with the same energ y, since we think that the real strength is “motivation”.
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di Giorgio Sinapi e Antonio Battista
l progetto Woodpark ≥ nasce diversi anni fa con l’intento di creare un ambiente sostenibile immerso nella natura che fosse non solo un posto dove svolgere attività fisica all’aperto ma anche un luogo in cui riscoprire la manualità, il rispetto per l’ambiente e il rapporto con sé stessi. Attività all’aperto, benessere, socialità, riciclo creativo: questo e molto altro è ciò che abbiamo deciso di portare avanti. L’idea progettuale di creare strutture tra gli alberi ha origine dall’incontro di due professionisti con diverse competenze ma con una passione in comune: l’arrampicata. È sulle falesie a picco sul mare di Sperlonga che un ingegnere e un istruttore di arrampicata hanno l’idea di realizzare un parco avventura. Al duo iniziale si aggiungono nel tempo un’esperta di social marketing (Clarissa Retrosi), un esperto di alimentazione (Marco Mastrostefano), una grafica/artigiana (Orsetta Rocchetto ≥), un esperto di comunicazione (Roberto Meschino) e tanti altri che con le loro competenze hanno permesso al progetto di compiere un salto di qualità. È stato un percorso lungo e con qualche battuta d’arresto in un mare di burocrazia ma con molte soddisfazioni. La vera svolta è arrivata con l’approvazione del progetto all’interno di un bando europeo attraverso il quale la Regione Lazio ha finanziato l’idea ritenendola meritevole. Da quel momento si è messo in moto il meccanismo che in poco più di un anno ci ha portato a realizzare le installazioni sospese in un bosco naturale già di per sè splendido. 100 alberi coinvolti, 50 pedane realizzate tra 2 e 14 metri di quota, 48 atelier differenti, 7 percorsi acrobatici per adulti di difficoltà crescente, due percorsi acrobatici per bambini, 100 posti a sedere, 150 m la tirolese più lunga e diverse migliaia di visitatori in un paio di stagioni, questi sono alcuni dei numeri che descrivono questo progetto. Pensato e ideato nel concetto dell’eco-compatibilità, Woodpark
propone anche il riciclo creativo con oggetti creati ed esposti nel laboratorio della struttura. Tutto il legno ricavato durante la pulizia del bosco per costruire i percorsi è stato utilizzato per produrre gli oggetti presenti all’interno di Woodpark: sedie, tavoli, infopoint sono frutto dell’operosità e della creatività del nostro staff. Il movimento in ambiente naturale Praticare attività fisica in ambiente naturale significa sviluppare la coordinazione e le capacità dell’apparato muscolare attraverso l’utilizzo e lo sviluppo degli schemi motori statici e dinamici; farlo in quota coinvolge la mente e fortifica l’autostima. L’attività motoria in ambiente naturale diventa pertanto manifestazione di scuola attiva con fini chiaramente educativi, dei quali è preminente l’esercizio del movimento nelle sue diverse forme, integrate con attività di osservazione, ricerca, studio; dovrebbe diventare a pieno titolo non solo strumento affascinante, ma anche un obiettivo realmente attuato dell’educazione all’ambiente nell’ambito scolastico. Tramite l’attività motoria e sportiva legata alla natura s’intende avvicinare chiunque alle tematiche ecologiche e ambientali e alle diverse attività legate alla natura per far acquisire una maggiore sensibilità ambientale. Lo sviluppo sostenibile è, dunque, quello che mantiene la coesione sociale, che sa coniugare il soddisfacimento dei bisogni individuali con il raggiungimento di obiettivi comuni, che rispetta le diverse identità culturali. Gli sport all’aria aperta costituiscono una valida alternativa alle forme di turismo tradizionale, sia per il basso impatto sull’ambiente, sia per la maggiore adattabilità a zone povere di richiami climatici, storici o artistici adatti al turismo tradizionale. Le attività offerte da Woodpark sono pensate per dare l’opportunità di imparare a muoversi nella natura attraverso giochi ed esperienze diversificate. Nell’orienteering si impara a orientarsi nello spazio. Con i percorsi tra gli alberi si stimola il senso dell’equilibrio e l’autostima. Con i
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pensare di costruire un parco avventura in un bosco lontano dai centri urbani era un’idea romantica ed eticamente meravigliosa, ma poteva anche significare investire molto e rischiare di rimanere soli seppur in un posto magnifico
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laboratori didattici si pone l’attenzione sull’importanza del vivere sano e il rispetto per la natura. L’orienteering é chiamato lo sport dei boschi in quanto il suo campo di gara ideale è il bosco, ma si può praticare anche in altri ambienti quali centri storici, parchi pubblici, campagne. La sfida consiste nel sapersi spostare su terreni sconosciuti servendosi solo della bussola e della carta topografica, nel minor tempo possibile e senza mancare alcun posto di controllo. In questo sport non vince sempre il più veloce, ma colui che è in grado di leggere correttamente la mappa ed orientarsi più rapidamente effettuando le scelte di percorso migliori. I “Progetti Scuole” propongono invece attività in ambiente naturale mirate alla conoscenza e al rispetto del proprio territorio. L’obiettivo è riportare i giovani a muoversi in natura attraverso giochi ed attività facilmente integrati nella didattica scolastica.I pacchetti a disposizione per scuole e gruppi numerosi sono tre: “Pacchetto Esploratore”, “Pacchetto Salute” e “Pacchetto Natura”, in cui i percorsi acrobatici sono abbinati all’orienteering, ad un laboratorio di educazione ambientale o al trekking ed educazione ambientale. Il treeclimbing permette la scalata lungo il fusto degli alberi ed è un’opportunità per entrare in diretto contatto con la natura; un’attività affascinante che riesce a trasmettere la forza e la maestosità della natura consentendo a tutti gli appassionati di scalare e raggiungere vette di alberi monumentali. Infine, le aperture in notturna sono un’esperienza unica per entrare a contatto con la natura illuminati dal chiarore delle stelle, della
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Woodpark viene ritenuto nel 2012 dal Bando Europeo Regionale socialmente utile per la riqualificazione del territorio, per riportare le nuove generazioni a muoversi in natura e per sviluppare una coscienza eco-compatibile
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luna e da moderne lampade frontali. Ad ogni partecipante viene fornito un casco con installata una lampada frontale per permettere la visione di ciò che lo circonda, in compagnia del canto e dei richiami degli animali del bosco. Cos’è il parco avventura Woodpark I parchi avventura ≥ o parchi acrobatici sono delle installazioni aeree in ambiente naturale costituite principalmente da percorsi sospesi tra gli alberi di diversa difficoltà e lunghezza che puoi effettuare in tutta sicurezza grazie a cavi d’acciaio, pedane sospese in legno, corde e dispositivi di protezione individuali, in completa autonomia ma sempre sotto la supervisione di operatori competenti. Il parco avventura è un luogo dove esperienze e conoscenze si fondono in modo divertente ma allo stesso tempo riflessivo. La natura nelle sue diverse forme può essere scoperta attraverso giochi e attività in grado di suscitare interesse e curiosità stimolando creatività e approfondimenti. Woodpark è stato progettato e costruito secondo le norme europee UNI EN 15567-1/2, che definiscono i requisiti di sicurezza dei percorsi acrobatici e dei loro elementi. Sono stati addottati due differenti sistemi di sicurezza: il moschettone intelligente ed il vertige innovation ≥. In entrambi i casi i percorsi vengono definiti “a linea di vita continua” in quanto l’utente rimane sempre ancorato in totale sicurezza ad un cavo d’acciaio che collega gli alberi dall’inizio alla fine del percorso.
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lavori intensi durati sei mesi ma pesati meno perché consapevoli di aver ormai iniziato un processo che ancora oggi percepiamo in divenire
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Dove vogliamo arrivare Dall’inaugurazione del parco sospeso, mille nuove idee hanno catturato la nostra immaginazione. Tutto quello che esiste oggi è la base per nuove avventure. I progetti con le scuole, un laboratorio per il riciclo creativo, il treeclimbing, le case sugli alberi, i percorsi per disabili, le strutture geodetiche, la sistemazione e la gestione di una villa limitrofa con i suoi 50 posti letto: portiamo avanti tutto con la stessa energia di sempre consapevoli del fatto che la vera forza è la motivazione. “La creatività è un’astrazione che raggiunge forma significativa e concreta solo nel contesto di una relazione unica e particolare” (Clark Moustakas). ♦
IMMAGINI 01 - Super tirolese da 150 m di lunghezza del Percorso Viola. Immagine di Federica Picano. 02 - La mappa di Woodpark. Immagine di Orsetta Rocchetto. 03 - Particolare costruttivo in cui si evidenzia la protezione del fusto dal contatto coi i cavi di acciaio. Immagine di Giorgio Sinapi. 04 - Il sistema di sicurezza con moschettoni intelligenti Click-it. Immagine di Giorgio Sinapi. 05 - Area picnic arredata con arredo autoprodotto realizzato in pallet. Immagine di Orsetta Rocchetto. 06 - Risalita su corda per lavori di potatura prima della fase di costruzione. Immagine di Orsetta Rocchetto. 07 - Aula didattica per progetti scuole. Immagine di Michele Soprano. 08 - Lo staff e i vincitori delle Wood Olimpiadi. Immagine di Orsetta Rocchetto. 09 - Risalita su corda per lavori di potatura durante la prima fase di costruzione. Immagine di Orsetta Rocchetto. 10 - Passaggio su pendoli e piattelli del Percorso Verde. Immagine di Orsetta Rocchetto. 11 - Parete di arrampicata sospesa e passerella elicoidale. Immagine di Orsetta Rocchetto. LINK UTILI www.petzl.com ≥ www.dimensione-verticale.it ≥
www.woodpark.it ≥
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Sconfinamenti: la danza verticale Lo spazio diventa impulso motorio
Wanda Moretti è coreografa e ricercatrice. È la prima danzatrice in Italia a sperimentare la danza verticale ed ha approfondito lo studio della danza attorno ai sistemi di proporzione e armonia dello spazio. La sua ricerca riguarda la relazione con l’architettura e il paesaggio. e-mail: wandamoretti@ilposto.org
The physical and functional fragmentation, with the presence of different activities, is a specific condition of the space. So, why not to imagine that they can be an opportunity to transform an architecture into a landscape? A landscape thought as a collage of uncommon places which contribute to create the space itself. The physical relationship with places defines a useful way to understand the management of space, time and energ y. Creating and interpreting the places through the vertical dance, moving from the top, in harmony or in opposition, creating dialogues or dissociation, means to improve our own poetic perception of time and space.
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di Wanda Moretti
a frammentazione fisica e funzionale insieme alla presenza di diverse attività costituisce una condizione specifica dei luoghi, perché allora non immaginare che diventino un’occasione per fare di un’architettura un paesaggio? Un paesaggio pensato come un collage di luoghi non comuni, che devono essere attraversati e che, pur rimanendo in uno stato di genericità, concorrono a creare lo spazio nel suo insieme. Lo spettacolo, le nostre performances non sono solo esibizione, per quanto singolare, di danza verticale e aerea, ma un ambizioso accorpamento linguistico complesso fatto di danza, musica e architettura ≥. La creazione site specific realizzata lo scorso novembre per una grande azienda come Margraf, ha raccontato diverse scene della nuova sede, la sua storia, ma anche il suo concetto di produzione, di lavorazione e di accoglienza. In questa presentazione descriverò l’ispirazione e le linee di sviluppo che mi hanno condotto in questo lavoro, consapevole che per l’approfondimento di ogni singolo aspetto che compone tale analisi sarebbe necessaria l’esperienza fisica del danzatore, dello spettatore e dei luoghi. Un buon contributo al mio articolo è dato dalle immagini incluse e da qualche estratto del video realizzato da Luigi Coppola di Bizcuit ≥; ovviamente la performance raccontata non restituisce mai l’esperienza diretta: ciò che spetta all’azione fisica qui tace. Anche la musica composta e suonata da Marco Castelli per l’evento, a cui era affidata una parte importante del risultato nella relazione con l’architettura e il suo attraversamento sonoro, non sarà udibile nel mio testo. Rapportarsi fisicamente ai luoghi segna la via utile per comprendere la gestione dello spazio, del tempo e dell’energia. Creare una performance interpretando i luoghi attraverso la danza verticale, muoversi dall’alto o in perpendicolare, in armonia o in contrapposizione, ampliare le dinamiche, creare dialoghi o dissociazioni personali significa portare la propria lettura poetica a un livello
maggiormente percettivo e in tempo reale. Margraf è un’industria di marmi fondata nel 1906 a Vicenza caratterizzata da una spiccata attenzione all’innovazione tecnologica e alla ricerca ma soprattutto dalla sinergia con il mondo dell’architettura e del design internazionale. Margraf ha in lavorazione circa 200 tipi di marmi e si occupa di tutte le fasi, dall’estrazione al prodotto finito. È un’azienda italiana che ha realizzato progetti in tutto il mondo dall’Aeroporto di Pechino alla Stazione di Bologna, dallo Smith Center for the Performing Arts a Las Vegas al Winter Garden di New York. L’inaugurazione dell’headquarter di Margraf è stata l’occasione per raccontare l’edificio attraverso una serie di eventi, presentando lo spazio al pubblico attraverso un’esperienza sensibile. La performance era composta da una serie di azioni di avvicinamento, un percorso iniziato open air all’ingresso dell’architettura e terminato, ma non chiuso, nel cuore dell’esposizione. Abbiamo usato lo spazio come impulso motorio capace di generare informazioni e di restituirle sotto forma di atto performativo, nella relazione tra architettura attraversata e corpo in movimento abbiamo messo in campo molteplici punti di vista. Prospettive, immagini ravvicinate della materia, sospensioni dinamiche, relazione con l’ambiente acustico, con-
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le nostre performances, non sono solo esibizione di danza verticale e aerea, ma un ambizioso accorpamento linguistico fatto di danza, musica e architettura
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abbiamo usato lo spazio come impulso motorio capace di generare informazioni e di restituirle sotto forma di atto performativo 02
tatto delle superfici contro il corpo e volumi erano parte del nostro catalogo di spazi/azioni. Le singole azioni hanno quindi raccolto le specificità dei luoghi e sono state riconsegnate agli invitati sotto forma di una lettura artistica.
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Step 1, esterno. Respiro in superficie (20 min) Un flusso continuo di corpi che a partire dal tetto dell’edificio scivola a terra dove ad attenderli c’è una lastra in marmo, come il palmo di una mano pronta a farsi appoggio solido. Le indicazioni date ai danzatori erano essenziali: dopo aver creato una struttura di base ho chiesto a ognuno di loro di uscire dalla sommità dell’edificio come fosse aria respirata, aria che entra ed esce e di rendersi trasparenti come meduse che viaggiano tra i livelli. Ho immaginato che l’edificio potesse essere un gigante e i danzatori il suo respiro, tutto doveva avvenire con estrema lentezza a contrappunto delle linee della costruzione. Loro volatili e la pietra immobile. Il focus di questa danza è stato il contrasto generato dal movimento aereo, quasi senza gravità e la forma scolpita dell’edificio. La facciata dalle linee angolari e dal colore nero si presentava asimmetrica allo sguardo, ma la materia, il marmo, è stato talmente determinante nella relazione con il corpo leggero dei danzatori che non c’era altra possibile lettura. I corpi-silhouette hanno “danzato l’aria”, l’hanno attraversata e sono affondati nella terra per poi ricominciare incessantemente come in un ciclo. L’azione era accompagnata dalla musica preparata di Marco Castelli, in questo caso una sezio-
ne di archi, mixata a suoni delle macchine per il taglio del marmo registrati nello stabilimento qualche tempo prima. Step 2, interno. Volume (5 min) Quattro performers si muovono attorno all’albero in acciaio situato al centro della hall vetrata dell’ingresso, salgono dal basso e scendono dall’alto senza soluzione di continuità per sparire al termine fuori vista al piano interrato. In questa sezione i corpi hanno attraversato un volume interno, segnato uno spazio già pieno e caratterizzato da un albero in acciaio alto 16 metri circa. In questo incontro abbiamo assecondato l’attraversamento della struttura nell’edificio, andando in sintonia con il progetto architettonico e abbiamo contribuito ad aumentare la densità di questo spazio dove tutto si è mescolato: una zona dalla quale si irraggiano altre zone. La circolarità delle braccia ovali dell’albero in acciaio è diventata complementare al movimento dei danzatori che, sorretti da carrucole, salivano e scendevano verticalmente. La coreografia era realizzata da due coppie di danzatori che, come speleologi o minatori, si muovevano incessantemente e con molta energia in un’area blu prodotta dalla luce e dal suo riflesso su marmi e vetrate. A volte nel dislivello i danzatori utilizzavano la corda per appoggiare i piedi e poter saltare come se si trattasse di un muro, a volte incontrandosi impattavano tra loro alla ricerca di forme da plasmare come se si trattasse di un corpo solo, si aggregavano in una forma composta, solida. Marco Castelli ha suonato il sax e l’elettronica usando il ballato-
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io come un palcoscenico naturale; l’altezza della hall amplificava il suono come una cassa armonica. La musica rispetto all’esterno ha aumentato la sua densità e la sua forza. Step 3, showroom. Materia (4 min) In questa fase siamo nella sala espositiva, un showroom grandissimo dove le lastre di marmo sono quadri in esposizione, sono lastre pregiate dove si percepisce chiaramente l’eccezionale cura rivolta a queste pietre. Il carroponte mi ha ispirato l’idea di uno scanner che attraversa lo spazio orizzontale, ho deciso così di appendervi tre danzatori lasciandoli con il corpo fluttuante in aria ma con corda corta in modo che con il movimento elettrico del ponte non subissero troppi sbilanciamenti. La visione che avevo era che fossero come uccelli in volo battente che vanno incontro al pubblico appena entrato. Il volo battente consiste in un movimento rotatorio delle ali che va prima verso il basso e in avanti, poi verso l’alto e all’indietro, descrivendo un otto; questo tipo di volo è il più dispendioso da un punto di vista energetico ma è il più potente. L’inizio doveva essere forte, d’impatto, quasi a spaventare, infatti la velocità del carroponte che avanzava era la più alta che potevamo con circa 500 metri in 3 minuti, mentre il ritorno era lento e conduceva il pubblico alla scoperta delle lastre in esposizione che venivano illuminate man mano che il carroponte procedeva. La musica per sax e live electronic era sempre più incalzante e metropolitana, era il preludio alla parte finale.
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Epilogo. Il corpo incontra lo spazio (3 min) L’ultima tappa della performance ha suggerito la relazione d’insieme. L’azione aerea si è articolata con quella verticale completando così i rapporti con ogni piano spaziale. Abbiamo stabilito un legame tra l’ambiente e il pubblico, un contatto tra corpo e materia per riportarci al legame con la natura di cui il marmo è espressione diretta. Il musicista al sax ha decorato con dolcezza le note di un Madrigale di Monteverdi da una postazione creata sopra alcune lastre di marmo, mentre un passo a due delle danzatrici in parete ha concluso la performance. ♦
abbiamo stabilito un legame tra l’ambiente e il pubblico, un contatto tra corpo e materia per riportarci al legame con la natura di cui il marmo è espressione diretta
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COMPAGNIA IL POSTO DANZA VERTICALE www.ilposto.org ≥ Il Posto nasce nel 1994 a Venezia dal sodalizio fra la coreografa Wanda Moretti e il musicista Marco Castelli e da allora persegue con rigore e stile un proprio progetto artistico, creando produzioni poetiche in una scrittura scenica che fonde danza, architettura e musica. La scrittura coreografica di Wanda Moretti ha due elementi fondanti: la danza verticale, intesa come corpo che si muove sul piano verticale e prima fonte di ispirazione, e il suono affidato alle composizioni di Marco Castelli. Il ruolo centrale dell’architettura è il filo che distingue ogni spettacolo. Le creazioni della Compagnia Il Posto - la prima in Italia ad essersi specializzata nelle performance site specific su piani verticali - sono strettamente connesse all’architettura e al paesaggio, ponendo insieme le drammaturgie degli spettacoli e i luoghi nei quali vengono rappresentate. Da oltre 20 anni, Il Posto, crea performance su facciate di edifici storici e contemporanei, ponti, torri, fari, gru, chiostri, palazzi storici ma anche teatri, musei e ambienti industriali. Collabora con organizzazioni di arte e spettacolo, aziende, agenzie private ed enti pubblici di tutto il mondo e realizza spettacoli di Danza Verticale e Aerea in spazi all’aperto ed interni. Gli spettacoli sulle facciate degli edifici sono performance-scoperta, sono lettura dell’architettura attraverso i sensi, azione poetica, valorizzazione di un luogo con caratteristiche uniche.
IMMAGINI Immagini di Margraf. 01, 02 - Respiro in superficie (esterno). 03 - Volume (albero). 04, 05 - Materia (showroom, carroponte). 06 - Il corpo incontra lo spazio. 07 - Marco Castelli. 08 - Respiro in superficie (esterno). BIBLIOGRAFIA - Calcagno M., Cardullo C., Sicca L.M., “Writing and reading innovative organizations. An empirical research on vertical dance”, Working Paper 22/2013 in Working Paper Series, Department of Management, Universita Ca’ Foscari Venezia, 2014, pp. 1-15. - Calcagno M., Cardullo C., Sicca L.M., “Osservazione e pratiche delle esperienze artistiche: questione di etichette organizzative”, Management Arti Culture, Napoli, Editoriale Scientifica srl, vol. 1, 2014, pp. 21-36. - Moretti W., “La coreografia come contributo ad una teoria dello spazio in architettura” in La città nel museo il museo nella città. Documentare il presente tra identità civiche e nuove relazioni urbane, Regione Veneto, 2008, pp 124-129. - Moretti W., “Danza e Architettura, la percezione dello spazio strutturato” in Arte documento, Venezia Ed della Laguna, 2006, n. 21, pp 194-202. - Moretti W., “Pratiche corporee nella didattica dell’arte”, in Educazione alla teatralità, n. 3, XY Editore, 2011. - Lawrence K., “Vertical dance with Wanda Moretti”, Dancing cities, Dance in urban landscapes 12, Edita Marató de l´Espectacle Ciudades Que Danzan Barcelona 2006. - Danse et Architecture, Nouvelle de Danse, n.42/43, 2000. - Costanzo M., “Bernard Tschumi l’architettura della disgiunzione”, Torino: Testo & immagine, 2002. LINK UTILI - www.ilposto.org ≥ - Musiche di Marco Castelli www.marcocastelli.org ≥ - Alcune performances della compagnia di danza verticale Il Posto ≥ - Inaugurazione dell’headquarter di Margraf, video di Luigi Coppola di Bizcuit ≥
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Analisi della gestualità nell’interazione Lo sport come esperienza di visualizzazione
Isabella Loddo è dottoranda in Scienze del Design all’Università Iuav di Venezia. Nella sua ricerca si occupa del corpo come interfaccia tangibile per la tecnologia, integrando la robotica nel design. e-mail: isabella.loddo@gmail.com
Sports technologies study the body with advanced tools and high level results. New technologies can be analyzed with strategies and data coming from the field of sports, to provide a new visualization of the body and its behavior, in order to explain the ease in using devices that take it as their interface and to signal the issues in dialogue with technolog y. In this article, we reflect on the future of social relationships mediated by technolog y, starting from their action space. Starting from early motion capture techniques, based on long and multiple exposure photography of athletes, we will evaluate new approaches to visualize the invisible qualities in tangible interactions with interactive artifacts. The effectiveness of motion in sports can inspire new approaches to decode and design the movements of the body for a functional purpose.
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di Isabella Loddo
gni gesto atletico è caratterizzato dall’attivazione di un limitato distretto muscolare che produce lo spostamento nello spazio di una o più articolazioni. Visualizzare e quantificare questo movimento in ambito sportivo serve per migliorarlo e per preservarlo dagli infortuni. In ergonomia tali informazioni sono fondamentali per la progettazione di nuove tecnologie e spazi legati alla capacità di interagire con altri dispositivi e persone, al di là della loro distanza cartesiana. L’approccio alla visualizzazione può essere di tipo quantitativo o qualitativo. Per il primo modello bisogna affacciarsi ai domini della biomeccanica, che studia le proprietà del movimento con misurazioni, dati e distribuzione di forze. Il secondo modello invece visualizza il movimento utilizzando fotografie e video, come nel recente esempio del fotografo canadese Stephen Orlando1 che sviluppa foto scattate con sportivi che nuotando in mare o pagaiando in canoa lasciano attorno a loro linee di luce di vari colori. Questo effetto è reso possibile grazie a luci LED programmabili poste sul corpo o sugli strumenti utilizzati dagli atleti. I tempi di esposizione molto lunghi cancellano la presenza umana e ciò che rimane sono disegni di linee come sculture in ambienti naturali. Mentre l’approccio quantitativo punta a descrivere il movimento in modo accurato raccogliendo una quantità di dati utile alla comprensione del movimento, l’approccio qualitativo de-quantifica le informazioni mirando a una visualizzazione intuitiva e tridimensionale del volume nello spazio. Attualmente ci sono esempi che riescono ad unire entrambi gli approcci, come il lavoro di ricerca CMU Panoptic Studio 2 alla Carnegie Mellon University, in cui 480 telecamere riprendono il medesimo movimento combinando i dati e ottenendo una rappresentazione dettagliata di coordinate spaziotemporali e traducibili in punti, linee, curve e volumi. Già il lavoro di Eadweard Muybridge del 1878 indagava il movimento in animali e persone utilizzando più fotocamere simultaneamente. Il suo metodo fotografico sconvolse la pittura del 1800
sulla rappresentazione equestre. Muybridge utilizzando 24 fotocamere posizionate parallelamente lungo un tracciato e azionate da un unico filo colpito dagli zoccoli del cavallo, fotografò con successo la corsa mostrando come gli zoccoli si sollevassero dal terreno contemporaneamente, ma non nella posizione di completa estensione come era comunemente raffigurato. Successivamente Etienne-Jules Marey3 introdusse nel 1881 metodi di registrazione grafica come il cronofotografo, strumento che permetteva di fissare le varie fasi del movimento. L’ingegno di Marey si concentrò soprattutto sulla preparazione del soggetto in movimento. Per registrare un uomo in cammino utilizzava una tuta completamente nera e su fondo scuro, con delle righe bianche lungo tutte le laterali del corpo in modo tale da massimizzare la visibilità dei punti di controllo del movimento articolato. Lo stesso approccio viene ripreso dall’odierno e sofisticato Sistema Vicon o di Motion Capture in cui vengono utilizzati dei marker4 posizionati sul soggetto. Le telecamere, emettendo luce infrarossa, illuminano i marker e permettono l’acquisizione del movimento in tempo reale. Questo sistema è conosciuto soprattutto per l’animazione tridimensionale nel cinema.
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per la prima volta la biomeccanica si occupava dell’attività lavorativa, nell’intento di ottimizzare le prestazioni del lavoratore e ridurre la fatica
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le interazioni con i dispositivi determinano spazi di azione che hanno caratteristiche dimensionali e temporali specifiche, analizzabili in modo quantitativo ma allo stesso tempo più leggibili nella loro de-quantificazione
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Le analisi successive di Christian W. Braune e Otto Fischer5 portarono a termine l’analisi tridimensionale del passo. Nel loro lavoro,hanno unito gli esperimenti su cadaveri di soldati - volti alla misurazione dei segmenti corporei - con sperimentazioni su soggetti vivi, la cui conformazione fosse simile a quella dei soldati deceduti, per comprenderne il movimento. I dati risultanti furono comparati parallelamente su cento soggetti e altrettanti soldati deceduti6. Questo approccio biologico nell’Ottocento si differenziò in campi diversi: la teoria dell’evoluzione di Darwin aveva mostrato come le strutture biologiche evolvono, anche in relazione alla funzione svolta e alle sollecitazioni presenti. L’ingegneria cominciò a entrare pesantemente in questo tipo di analisi. Le basi dell’elettromiografia7 furono poste da Du Bois Reymond e Duchenne, gli esperimenti di Galvani avevano creato un enorme interesse sull’elettricità “animale”. Nel 1920 Jules Amar pubblicò The Human Motor, un’analisi dei fattori fisiologici e fisici del lavoro umano. Per la prima volta la biomeccanica si occupava dell’attività lavorativa
nell’intento di ottimizzare le prestazioni del lavoratore e ridurre la fatica. Si trattava di ricerche chiaramente stimolate dal processo d’industrializzazione dei paesi sviluppati. Nicholas Bernstein, medico russo, si applicò alla psicofisiologia del lavoro, scomponendo il comportamento durante l’attività lavorativa in movimenti elementari, studiando la corretta postura del lavoratore nelle sue operazioni abituali e l’utilizzo di utensili, includendo anche dati sulla corretta progettazione del posto di lavoro. Tra i risultati di Bernstein la scoperta che gli adulti compiono, dal punto di vista energetico, movimenti più economici dei bambini. Erano i risultati di una nuova scienza, l’ergonomia. Rudolph Laban sviluppò un metodo per rappresentare il movimento nella danza codificandolo secondo atti elementari. La visione globale del movimento, all’interno del quale i vari ambiti in cui la danza trova espressione, non erano considerati separatamente, ma facenti parte di un’unica dimensione dell’esistenza; il suo metodo si prestava alle applicazioni del mondo del lavoro per il
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miglioramento della produttività e per accrescere il benessere del lavoratore nell’Inghilterra del 1938. Sul tema del rapporto uomo-macchina in un contesto lavorativo, lo studio dei movimenti e del benessere fisico nelle mansioni svolte diventa ancor più problematico e decisivo con il passaggio alle tecnologie digitali, le quali non dipendono più da azioni meccaniche ma possono assumere diverse forme a seconda del progetto delle interfacce. Per molto tempo la comunicazione uomo-computer è stata limitata al lavoro davanti ad uno schermo con un mouse e una tastiera per interagire con finestre, icone, menù e puntatori. Lo sviluppo della ricerca tecnologica insieme a quella delle scienze umane, psicologiche e sociali nel campo dell’ergonomia hanno portato ad un’esplosione di interfacce disegnate a misura di utente. Rispetto a questa crescita di prodotti, contemporaneamente i computer sono stati incorporati nella vita di tutti i giorni e non più legati a esclusivi domini di azione, l’interazione non è limitata solo ai sensi visuali e uditivi ma si basa anche sul senso aptico, sul tocco. Allo stesso
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tempo queste interfacce sono progettate sulla tridimensionalità dell’interazione e sulle sue qualità temporali (velocità, ritmo, attesa, predizione), ma non sempre anche sullo spettro di utenza. L’interazione manuale con il dispositivo fisico-virtuale è diventata parte integrante della nostra quotidianità, rendendo il corpo dell’utente un tutt’uno con l’interfaccia. La performance del nostro corpo nel relazionarsi con le applicazioni digitali è molto simile all’uso del gesto atletico con gli strumenti propri dello sport e studiarne il comportamento può fornire utili risultati per la progettazione delle future tecnologie.
la performance del nostro corpo, nel relazionarsi con le applicazioni digitali, è molto simile all’uso del gesto atletico con gli strumenti propri dello sport
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Questa visione influenza in modo sostanziale quella che è la nostra idea di concetti come la latenza o la fluidità che sono fondamentali nelle esperienze d’uso dei prodotti tecnologici. Ho avuto la possibilità di lavorare su questo tema nella mia partecipazione al workshop Embodying Embodied Design Research tenutosi all’interno della conferenza Aarhus 2015 Critical Alternatives dal 17 al 21 agosto 2015. Ho preparato una research probe in cui i partecipanti sono invitati ad indossare un paio di guanti con luci LED e interagire con oggetti e tecnologie. Ispirandomi alla pratica del light painting e alle ricerche già citate sulla cattura del movimento nello sport, ho fotografato le scene di interazione con un lungo tempo di posa ottenendo linee, curve e volumi disegnati nello spazio dal movimento delle mani; a livello visivo la differenza tra una buona interazione ed una inefficace è visibile e si esprime in linee più economiche, nette e regolari. Come in uno spazio performativo, le interazioni con i dispositivi determinano spazi di azione che hanno caratteristiche dimensionali e temporali specifiche, analizzabili in modo quantitativo ma allo stesso tempo più leggibili nella loro de-quantificazione. L’approccio de-quantificato permette una maggiore flessibilità nella progettazione di interfacce tangibili per uno spettro di utenza ampio. Ogni movimento può essere ottimizzato come in una pratica sportiva. ♦
NOTE 1 - www.motionexposure.com ≥ 2 - Joo H., Liu H., Tan L., Gui L., Nabbe B., Matthews I., Kanade T., Nobuharak S., Sheikh Y., “Panoptic Studio: A Massively Multiview System for Social Motion Capture”, 2015, The Robotics Institute, Carnegie Mellon University (www.cs.cmu.edu ≥) 3 - Etienne-Jules Marey fu il primo a trasformare l’analisi della locomozione da indagine qualitativa a quantitativa. 4 - Strisce o sfere in materiale catarifrangente. 5 - Braune W., Fischer O., “The Human Gait”, Springer-Verlag, Edizione ristampata 2011. 6 - Ottennero una precisa analisi del movimento utilizzando 4 camere che riprendevano un soggetto con marker particolari (Tubi Geissler) i quali emettono una corrente visibile durante la registrazione filmata. 7 - La scoperta dell’elettricità portò nuovo interesse sui processi elettrochimici di attivazione muscolare. Le teorie vitalistiche sfidarono quelle meccanicistiche di funzionamento del corpo umano. Numerosi fisiologi del tempo studiarono la natura e il meccanismo della contrazione muscolare, scoprendo che un muscolo poteva contrarsi sotto stimoli meccanici, elettrici e chimici. IMMAGINI 01 - Cronofotografia di un cavallo al galoppo. Immagine di Etienne-Jules Marey. 02 - Studio sull’economizzazione del movimento nel lavoro. Immagine di Frank e Lilian Gilbreth. 03 - Immagine stroboscopica del giocoliere Stan Cavenaugh fotografato da Gjon Mili già noto per esser stato il fotografo di Pablo Picasso. Immagine di Gjon Mili. 04 - Visualizzazione di traiettorie disordinate alla Carnegie Mellon University durante il il progetto di ricerca Panoptic Studio. Immagine di CMU Panoptic Studio. 05 - Analisi del movimento attorno a dispositivi digitali. Immagine di Isabella Loddo. 06 - Fotografia a esposizione multipla della tecnica di voga. Immagine di Stephen Orlando. BIBLIOGRAFIA - Anceschi G., “Il progetto delle interfacce, oggetti colloquiali e protesi virtuali”, Domus Academy, Milano, 1993. - Bonsiepe G., “Dall’oggetto all’interfaccia. Mutazioni del design”, Feltrinelli, Milano, 1995. - Dourish P., “Where the Action Is. The Foundations of Embodied Interaction”, MIT Press, Cambridge, 2001. - Joo H., Liu H., Tan L., Gui L., Nabbe B., Matthews I., Kanade T., Nobuharak S., Sheikh Y., “Panoptic Studio: A Massively Multiview System for Social Motion Capture”, The Robotics Institute, Carnegie Mellon University, 2015. - Laban R., Lawrence F. C., “Effort, economy of human movement”, Macdonald and Evans, 1974 (prima edizione 1969). - Norman D., “The Psychology of Everyday Things”, New York: Basic Books, 1988. - Picasso B., “Fondamenti di Meccanica e Biomeccanica: Meccanica dei corpi rigidi articolati”, Springer-Verlag, Milano, 2013, pp. 8-11.
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L’intelligenza del polpo Design navale dallo spirito ellenico: tra passione e innovazione
Pietro Barucco è responsabile Mètis Vela 2014-2015; progettista piano velico di Ate. e-mail: pietro.barucco@gmail.com Alessandro Pera è progettista di Ate. e-mail: alessandro.pera01@gmail.com
Mètis Vela is an engineering and sailing project of the University of Padua. The team was founded in 2008 by Giacomo Pellicioli. Mètis has always been at the top of the 1001Vela Cup. The group has also distinguished itself for its ability to increase by the implication of different faculties. Argo, Aura and Aretè compose the team’s fleet. Ate is the latest projected skiff and it will be produced in 2016. Hull has been designed by Alessandro Pera whereas Pietro Barucco has conceived the sailing plan. VARTM resin infusion technique has been improved to carry out Ate that will be compounded by a flax fiber and balsa wood sandwich composite. During their work Alessandro and Pietro were supported by the experience of Prof. Andrea Lazzaretto, Eng. Cristiano Battisti and Arch. Ugo Pizzarello, and they were also assisted for the logistics by Compagnia della Vela. Many companies collaborate with Mètis as well, among them: Licospar with Luciano Lievi and Olimpic Sails with Renzo Sorci.
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di Pietro Barucco e Alessandro Pera
a risposta BIO e economicamente più sostenibile, la prestazione che non deve mai passare in secondo piano, una passione comune che diventa per molti una professione: sono questi alcuni fattori che ispirano la competizione 1001Vela Cup, regate universitarie che ogni anno mettono a confronto numerosi atenei italiani. Il regolamento vede come punti principali l’auto-costruzione di skiff 1 di 4,6 m realizzati con percentuali BIO in peso superiori al 70% senza l’utilizzo di fibre ad alto modulo2 . La 1001Vela Cup nasce nel 2006, e nel 2008 vede per la prima volta tra i contendenti al titolo gli studenti dell’Università di Padova sotto la guida del fondatore Giacomo Pellicioli e del prof. Andrea Lazzaretto. Grazie a queste due figure il gruppo assume una sua identità e raccoglie intorno a sé professionisti del settore quali l’ing. Cristiano Battisti e l’arch. Ugo Pizzarello. Nei suoi primi anni di vita il team vara le prime tre imbarcazioni e identifica nel pensiero riposto al loro interno l’animo del gruppo. Si delinea il manifesto del Mètis Vela Unipd che nella mètis trova la sua definizione: l’intelligenza esecutrice che i Greci distinguevano per comportamenti e stratagemmi utili a capovolgere le regole del gioco nelle prove di forza. L’intelligenza che, invece di contemplare essenze immutabili, si applicata nelle difficoltà pratiche, in tutti i rischi, di fronte a un universo di forze ostili, sconcertanti perché sempre mutevoli e ambigue. È un’Intelligenza impegnata nel divenire. Allegoria della mètis è il polpo, animale dall’intelligenza pratica. Sono gli studenti a fare da metronomo e le loro decisioni portano avanti il progetto: la libertà loro concessa, incanalata dai consigli di chi li assiste, diventa un modo per mettere alla prova le proprie idee che sono giudicate, più che sulla base dei successi, sull’onestà espressa nel perseguirle e sulla validità del processo che le ha fatte venire a galla. Hanno il loro battesimo del mare Argo e Aura, rispettivamente del 2008 e del 2009, entrambe costruite in legno3. Aura vince nel 2010, è seconda nel 2011 e terza nel 2015. Entrambe al loro debutto sono le imbarcazioni più leggere presenti al 1001Vela. Dopo l’edizione del
2011, con l’apertura alle fibre per la realizzazione degli scafi l’ateneo patavino vara Aretè, la prima barca in letteratura costruita in lino e balsa. Per il peso ridotto e le linee più proprie degli skiff, Aretè si dimostra il terzo esemplare perfetto per la linea evolutiva voluta da Padova. Le regate, ad oggi, la vedono da tre anni sul podio (2013-2015). Un gruppo che riesce a dare continuità al progetto porta a domandarsi se le conoscenze acquisite siano sufficienti per costruire una quarta imbarcazione. I progettisti iniziano a definire i vincoli di design che modelleranno Ate4. Lo spunto viene dato dalla mètis che non deve essere confusa con uno stato di grazia, non è l’assoluta infallibilità. Nella mètis vi è la capacità di comprendere ciò che è reale considerandone le difficoltà, i difetti e gli errori commessi: Ate, dea dell’accecamento che posa i suoi piedi solo sulla testa degli uomini, errore involontario che induce alla tracotanza, figlia dalla mancanza di senso della misura. Rappresenta la volontà di confrontarsi apertamente con l’errore, di comprendere e giustificare ogni aspetto del design. Il lavoro si sposta quindi sul benchmarking e sui target; filtrando queste informazioni con quella che è stata l’esperienza in campo di regata, si individua quale sarà l’ambiente naturale di Ate: poco vento e onda corta. Fissati i 5 nodi di vento come condizione ottimale, ci si pone un problema: a bassa velocità, con uno scafo estremamente leggero, si vede necessario rendere Ate anche il più stabile possibile così da ottimizzare la sua prestazione in andatura. La condizione di poco vento impone di ottenere la minore superficie bagnata dell’opera viva possibile: tale esigenza si concretizza in una contenuta larghezza della carena. Questa necessità è in contrasto con
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la Mètis è l’intelligenza applicata nelle difficoltà pratiche
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Ate: dea dell’accecamento che posa i suoi piedi solo sulla testa degli uomini
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la stabilità dello scafo. Si decide quindi di rimediare con una sezione maestra particolarmente piatta e dotata di una concavità al di sopra della linea di galleggiamento, peculiarità degli skiff allo stato dell’arte. In questo modo è garantita la massima capacità planante, caratteristica fondamentale per lo skiff, in aggiunta ad una componente di stabilità dinamica supplementare. Il miglior comportamento su onda corta e la reattività della barca sono garantiti da una distribuzione dei volumi, e quindi dei pesi, in corrispondenza della sezione d’albero. L’angolo di ingresso di prua è stato tarato per una migliore penetrazione dell’onda. La randa vedrà una forma ellittica, balumina positiva e alta capacità di twist così da poter ottimizzare la prestazione riducendo la superficie esposta e portando il centro di spinta nella posizione che mantenga la barca controllabile. Particolare attenzione è stata data al fiocco e al suo circuito che sono la risposta all’onda: la vela di prua darà la possibilità contemporaneamente di stringere maggiormente il vento, smagrire la randa, e soprattutto ripartire sull’onda. Infine il gennaker sarà dal taglio poliedrico, armabile in due punti grazie ad un nuovo circuito di issata e del bompresso: questo darà alla barca propensione alla planata, stabilità in condizione di poco vento e la possibilità immediata di gestirlo con vento forte. Il matrimonio tra design di carena e di piano velico non può esprimersi al meglio se non veicolato da una serie di fattori: coperta, armo (con bozzelli e scotte), albero, rig, materiali di costruzione e messa in opera dello skiff sono sempre definizioni stesse di Ate. Il design navale moderno raccoglie al suo interno numerosi aspetti, ma la chiave di volta e condizione necessaria perché lo si possa definire tale è la ricerca: la messa a punto dell’imbarcazione per le regate servirà a dare ai progettisti modo di evolvere le proprie idee mantenendo fede a ciò che si erano prefissati. ♦
GLOSSARIO - Poppa: estremità posteriore di una barca. - Prua: parte anteriore dello scafo. - Carena: superficie inferiore dello scafo. - Sezione maestra: sezione massima trasversale dello scafo. - Planata: condizione di altissima velocità in cui lo scafo si solleva parzialmente sull’acqua, iniziando a scivolarci sopra. - Randa: Main Sail, vela principale. - Balumina: bordo d’uscita del vento dalla vela. - Twist: comportamento della vela che svergola nella parte alta lasciando uscire una parte del vento sulle raffiche di maggiore intensità. - Centro di spinta: punto in cui si concentrano le somme delle forze sottoposte dal vento alle vele e dall’acqua alla parte immersa. - Fiocco: Jib, vela di prua; più piccola della randa, in bolina fondamentale per stringere il vento. - Bolina: andatura a zig zag utile a risalire il vento andando verso la sua direzione. - Gennaker: vela leggera per le andature portanti (vento dai 90° ai 180° rispetto all’asse della barca); con il punto di mura oltre la prua della barca grazie al bompresso. - Bompresso: prolunga realizzata in carbonio utile a spostare oltre la prua il punto di mura del gennaker. - Punto di mura: vertice in cui la vela viene fissata alla barca, posto più in basso e a pruavia. - Bozzelli: pulegge atte a migliorare lo scorrimento delle scotte. - Scotte: cime (impropriamente corde) utili a regolare le vele. NOTE 1 - Imbarcazioni dal peso ridotto ed estremamente performanti. 2 - Carbonio e fibre aramidiche. 3 - Vincolo imposto dall’allora regolamento. 4 - Verrà costruita ad inizio 2016. IMMAGINI 01 - Regate 1001Vela Cup, Mondello (Pa) 2014. Immagine di Paolo Mitrotta. 02 - Il Mètis Vela dopo la Barcolana 47, Trieste 2015. Immagine di Veronica Lazzaretto. 03 - Progettazione digitale. Immagine di Veronica Lazzaretto. 04 - Lavorazione con i flessibili nel laboratorio dell’Università, Padova 2014. Immagine di Leonardo Costa. 05 - Dettaglio della fibra di lino. Immagine di Leonardo Costa. 06 - Varo di Aura in bacino San Marco, Venezia 2009. Immagine di Giacomo Pellicioli. LINK UTILI Métis Vela Unipd - Facebook ≥
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L’anello che non tiene? OFFICINA* in visita al Centro Studi Materiali e Tecniche del Club Alpino Italiano
Daria Petucco è architetto e dottoranda presso l’Università Iuav di Venezia. e-mail: dariapetucco@gmail.com
The CSMT (Centro Studi Materiali e Tecniche) in Padua is a laboratory for the testing of materials and techniques used in the world of mountaineering, climbing and caving. The Centre is managed by the C.A.I., Italian Alpine Club, through the work of volunteers, which are mostly instructors of climbing and mountaineering. Aim of the Centre is the investigation of security issues related to alpine activities, made through laboratory tests and simulations. The CSMT focuses on the preparation of rules on materials and techniques, the dissemination and training related to researches’ findings. OFFICINA* has visited the Centre in its dual headquarters: the laboratory to test the materials (ropes, helmets, carabiners, etc.) and the “Tower”, in which dynamic falls are simulated and measured. Thanks to the CSMT - one of the few in Europe - the features and the evolution of materials and techniques for mountaineering can be investigated in order to achieve greater safety during climbing and caving activities.
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di Daria Petucco
erme in sosta, appese in parete a circa 30 metri da terra, pronte per una discesa in corda doppia su un anello metallico infisso in parete ci si fa la domanda che - per tacito accordo - non si dovrebbe mai fare in queste situazioni: “Terrà questo anello?”. L’aggravante è che se questo dialogo avviene tra due architette, aspiranti tecnologhe, la domanda e la successiva disquisizione può vertere non tanto sull’apparente semplice fatto che l’anello tenga o meno, ma piuttosto su chi verifichi il materiale, su come avvenga la certificazione, sui dati relativi alle caratteristiche di quell’anello metallico infisso in parete a 30 metri da terra che deve, e sottolineo deve, supportare la discesa in corda doppia. L’anello - certificato o meno - per fortuna tiene. Non poteva però rimanere questo dubbio, così, una delegazione di OFFICINA* si è recata in visita presso il Centro Studi Materiali e Tecniche (CSMT) a Padova, una struttura del C.A.I., Club Alpino Italiano, nella quale si indagano, attraverso prove in laboratorio e dal vivo, i problemi legati alla sicurezza in montagna e in parete e dove si studiano le prestazioni delle attrezzature alpine e speleologiche. In altre parole, l’alter ego nell’ambito dell’alpinismo dei laboratori che testano i materiali e i sistemi per l’edilizia. L’attività di ricerca all’interno del CSMT è finalizzata all’elaborazione delle norme nel settore dell’alpinismo e dell’arrampicata, alla formazione e alla divulgazione dei contenuti degli studi rivolta alle scuole di alpinismo del C.A.I., oltre che ad altri soggetti, quali ad esempio le guide alpine o le forze dell’ordine che operano in montagna. L’aspetto più interessante della ricerca che si svolge all’interno del CSMT risiede nella sperimentazione sistematica e approntata con metodo scientifico di tutta una serie di questioni frequenti e comuni nell’alpinismo con le quali concretamente si confronta chi svolge attività in montagna. Il CSMT indaga “il perché e il come” rispetto ad alcune situazioni anomale che si possono verificare in parete, quali ad esempio la rottura di una corda o di altri componenti dell’attrezzatura.
Entrando nel laboratorio si è subito colpiti da un’infilata di corde da arrampicata i cui colori, non proprio più brillanti, ci raccontano che quelle funi “ne hanno fatta di strada”. Su ognuna è apposta una scheda nella quale l’alpinista che l’ha utilizzata ha avuto cura di segnare, tra le varie informazioni, quanti metri di salita ha compiuto con quella corda, quante discese e in che condizioni meteorologiche si è svolta l’arrampicata. Per il CSMT questi dati sono un importante oggetto di ricerca. I materiali utilizzati per le attività alpinistiche e speleologiche - corde, cordini, imbracature, caschi, moschettoni, fettucce, ecc. - sono infatti certificati da normative CE e UIAA (Union Internationale des Associations d’Alpinisme). Tuttavia tali certificazioni riguardano solamente le prestazioni del prodotto nuovo, appena uscito dalla fabbrica. I fattori legati all’uso, ad esempio la quantità di volte che la corda è stata usata o la quantità di cadute che ha trattenuto, non rientrano quindi nei dati forniti dal produttore. Nessuno tuttavia acquista una corda nuova ogni volta che deve compiere una salita. La ricerca del CSMT è quindi volta anche a indagare le prestazioni residue e il comportamento in diverse condizioni delle attrezzature da montagna: come si comporta per esempio una corda bagnata? Quali possono essere le sue reazioni nel momento in cui strofina contro uno spigolo roccioso?
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l’alter ego nell’ambito dell’alpinismo dei laboratori che testano i materiali e i sistemi per l’edilizia
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sperimentazione sistematica e approntata con metodo scientifico di tutta una serie di questioni frequenti e comuni nell’alpinismo
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Non solo: come per l’architettura, accanto ai materiali vi sono le tecniche, le modalità di impiego e di assemblaggio dei materiali. Il CSMT si occupa quindi anche di valutare, tra i vari aspetti, i possibili comportamenti dei nodi utilizzati in arrampicata, le varie configurazioni dei metodi di assicurazione e delle soste in parete. La ricerca svolta del CSMT e la sua divulgazione diventano quindi fattori importanti per chi pratica attività in montagna, suggerendo alcuni accorgimenti per l’utilizzo ottimale dei materiali e delle tecniche. Le attività del Centro Studi Materiali e Tecniche, tra i pochi presenti in Europa, si suddividono tra due strutture. La prima è un laboratorio attivo dal 2008, situato a Villafranca Padovana (PD), nel quale avvengono i test sui materiali. All’interno, tra i vari macchinari per la realizzazione delle prove - tra cui la macchina per la trazione lenta orizzontale delle corde e la prova sui caschi relativa alle sollecitazioni alla colonna vertebrale - si trova in particolare il Dodero, una macchina che prende il nome dal pro-
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fessore francese che l’ha ideata negli anni ‘50. In sintesi, il Dodero è costituito da una struttura metallica alta circa 9 m sulla sommità della quale si riproduce il passaggio della corda su un moschettone e si simula la caduta dell’alpinista (rappresentato, per normativa, da un peso di 80 kg) trattenuto dalla corda. Questo sistema premette di valutare le corde secondo tre parametri: l’allungamento (in mm), la velocità di caduta (in m/s) e la forza di arresto (in kN e che per normativa ha il limite massimo di 1200 kN). La prova su una corda nuova non condizionata (ovvero che non ha subito il passaggio in cella di condizionamento per raggiungere determinati valori di temperatura e umidità) ha visto il campione resistere fino a cinque prove di caduta, con la rottura avvenuta per fusione alla sesta caduta, ad un valore di 1133 kN. La stessa prova, ripetuta però a corda bagnata, ha evidenziato come la rottura sia avvenuta già alla terza caduta, con un valore di forza di 1247 kN. La seconda struttura è invece la Torre, situata a Padova, nella quale si realizzano le prove dinamiche di caduta, simulate sia con masse
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che con persone. Vengono qui studiati, in particolare, il funzionamento dei sistemi frenanti che si usano in arrampicata e quindi le tecniche di assicurazione dinamica. La Torre, alta 15 metri, è attiva dal 1988. È stata ricavata all’interno di un traliccio dismesso dell’Enel, acquistato dai responsabili del CSMT e rimontato nella sede attuale nello spirito di fare di necessità virtù, spesso comune a chi fa attività in montagna. Il CSMT è un luogo nel quale l’espressione “fare ricerca” assume le caratteristiche che molto probabilmente ogni ricercatore desidererebbe per la propria attività. La ricerca e la sperimentazione contengono infatti in sé un insieme di elementi: in primo luogo la passione per l’ambiente alpino, ingrediente principale immesso dalle persone, alpinisti e istruttori C.A.I., che da volontari svolgono questo servizio presso il Centro; quindi l’approccio scientifico al tema, che consente di formulare ipotesi, valutare il rapporto causa-effetto, con un rigore che rende gli esiti della ricerca trasmissibili e quindi sviluppabili, soprattutto in un contesto - l’alpinismo
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il CSMT è un luogo nel quale l’espressione “fare ricerca” assume le caratteristiche che molto probabilmente ogni ricercatore desidererebbe per la propria attività
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e la speleologia - in cui l’evoluzione di materiali e delle tecniche è rapida e continua. Non manca poi, come si è visto nel riutilizzo del traliccio, una sana dose di praticità nell’affrontare questa attività che vede i volontari del centro ideare, con i più svariati mezzi, dei sistemi per percorrere nuovi filoni di sperimentazione, tra cui per esempio un macchinario per simulare la degradazione che subisce una corda al contatto continuo con sassi e ghiaia. Infine, da ultimo ingrediente, la ricerca all’interno del CSMT nasce da necessità concrete che si verificano nell’attività alpinistica e speleologica. L’indagine e l’approfondimento possono quindi avere, attraverso la divulgazione, l’esito di aumentare la consapevolezza e la sicurezza in parete. ♦
RINGRAZIAMENTI Si ringraziano in particolare Giuliano Bressan, Sandro Bavaresco e Massimo Polato del CSMT non solo per l’occasione offertaci di poter visitare le strutture del CSMT e di partecipare alla prove, ma soprattutto per la dimostrazione di entusiasmo e passione rispetto al loro lavoro di ricerca. IMMAGINI 01 - Le corde con la relativa scheda descrittiva dell’attività svolta in attesa di essere testate. Immagine di Emilio Antoniol. 02 - Un pannello, esposto presso il laboratorio, che riassume l’evoluzione relativa a moschettoni e sistemi di ancoraggio. Immagine di Valentina Covre. 03 - La rottura della corda per fusione a seguito della sesta prova di caduta sul Dodero. Immagine di Valentina Covre. 04 - Campionatura di differenti tipi di corde. Immagine di Valentina Covre. 05 - La Torre di Padova. Immagine di Valentina Covre. 06 - Il Dodero in fase di test della corda. Immagine di Valentina Covre. 07 - Test di verifica di un nodo sottoposto a trazione. Immagine di Emilio Antoniol. LINK UTILI www.caimateriali.org ≥
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Protesi e sport Un nuovo incontro progettuale
Dario Martini è progettista Ph.D. in Scienze del Design e collaboratore alla didattica per il Corso di laurea Magistrale in Design all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino. e-mail: dariomartini@me.com
After World War II, the emerging field of sports has been gradually replacing the military sphere as a major space for innovation in prosthetics. Unlike the armies, sports involve highly multifaceted communities that range from skilled professionals, paired with dedicated training teams, to amateur groups, inciting wide experimentation and participatory design practices. The field of para-sports implies a unique convergence of advanced research initiatives, international events, diffused athletic groups and the passion of millions of people, often motivated by personal needs. Whereas collective designs and wide testing platforms draw considerable attention for design studies, the variety of sport disciplines provides formal solutions and functional enhancements that can even differ from the original mechanics of the body.
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di Dario Martini
el 2005, Oscar Pistorius richiede allo IAAF di partecipare alle Olimpiadi di Pechino tra i velocisti normodotati. Oltre a suscitare una grande eco mediatica, la vicenda diffonde la percezione che la tecnologia delle protesi si sia evoluta al punto di consentire a un corridore disabile un vero e proprio vantaggio competitivo. Si sollevano, di pari passo, interrogativi etici rispetto all’intervento sul corpo: quale criterio rende lecita una protesi e scorretto il doping? Qual è la differenza tra un normodotato e un disabile, quando l’handicap è uno spazio per l’aumentazione? Il compito di deliberare sul caso Pistorius viene assegnato al prof. Brüggemann, della Sporthochschule di Colonia. Analizzando l’efficienza motoria degli atleti in diverse condizioni di andatura, Brüggemann conclude che, sebbene la potenza sprigionata da un amputato sia ridotta, la risposta elastica fornita da una protesi da corsa può costituire, comportando un minor costo metabolico, un fattore di vantaggio. Respinto inizialmente dai Giochi di Pechino, Pistorius presenta ricorso e – a riprova dei pareri controversi e della complessità delle valutazioni – ottiene, nel 2008, il via libera del TAS di Losanna1. Senza entrare nel merito del giudizio arbitrale, né della possibilità di circoscrivere le condizioni-limite delle disabilità, ci domandiamo, da studiosi di cultura materiale, come siamo giunti a questo risultato. Le risposte che otterremo sono gli esiti di una vicenda storica particolarmente intrecciata. Se la realizzazione di prime e rudimentali protesi, con finalità principalmente estetiche e protettive, risale agli albori della civiltà, l’evoluzione di questi artefatti intraprende un’effettiva traiettoria tecnico-scientifica solo nel XVI secolo, con la medicina militare francese, e ottiene una diffusione rilevante solo nel XIX secolo, con l’invenzione dell’anestesia. Tecniche chirurgiche, cinematismi e materiali rispecchiano principalmente il mondo militare, verso il quale le nazioni riversano i loro maggiori sforzi tecnologici, sia per garantirsi le migliori aspet-
tative di vittoria, sia per esaltare, specialmente con il ‘900 e quindi con l’emergere del foto-giornalismo, il valore dei reduci e promuoverne, anche in chiave di propaganda, un trionfale rientro in società. La Prima guerra mondiale in particolare interpreta i risultati del panorama industriale nascente determinando gli antesignani delle fondamentali tipologie di protesi ancora oggi esistenti 2 . Gli Stati Uniti, che già avevano visto l’emergere di competenze specialistiche nella guerra di Secessione, diventano il punto di riferimento, con pionieristiche figure di inventori auto-didatti – oggi diremmo maker – e aziende di proporzioni inedite, come la A.A. Marks di New York 3. Dapprima invitati a svolgere mansioni di minima utilità sociale, i veterani incontrano nelle trasformazioni dello spirito del tempo un’attenzione crescente, che porta a valorizzare le loro possibilità di carriera, enfatizzando il loro ingresso nel settore dei servizi, dell’amministrazione, della finanza, che si iniziano a prospettare più promettenti delle manifatture. Di pari passo sono promossi – specialmente da Hollywood – gli esempi di nuove celebrità che riconquistano un ruolo sociale grazie al loro talento, come il biamputato Harold Russell che nel 1947 riceverà un doppio Oscar4. Gli esempi mediatici, con gli sviluppi nelle scienze psicologiche e sociali, contribuiscono a richiamare l’attenzione per le qualità formali delle protesi, al di là delle loro capacità di ripristino fisiologico. Negli anni ’40 è opinione condivisa che l’estetica delle protesi ne influenzi l’accettazione da parte del soggetto, influendo sulla sua autostima e quindi sulla propensione a ritrovare un’identità sociale positiva. Questa esigenza si concretizza in strategie che mirano a obiettivi diversi, già intraprese in modo seminale, ma portate avanti in questa fase tramite un lavoro più mirato: da un lato, si indaga la possibilità di nascondere la protesi simulando le sembianze della pelle, rendendo i movimenti più fluidi o integrandole con l’abbigliamento; dall’altro, si cerca di ripensare la protesi in chiave espressiva, evitando di mimetizzarla ma anzi, traendone uno spazio comunicativo con colori e materiali legati al gusto personale,
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tatuaggi, elementi vezzosi ed eccentrici. L’accresciuta sensibilità al benessere psico-fisico degli individui negli anni ’40 è accompagnata da un più ampio processo di ridefinizione sociale: con lo sviluppo economico, le attività ricreative e di svago diventano fenomeni di massa. In particolar modo, si diffondono il turismo e lo sport. Nascono le squadre e i club dilettantistici, proliferano i dopolavoro e si approfondiscono gli studi sui benefìci dello sport per la salute. Cambia il profilo stesso degli amputati, che da reduci di guerra diventano sempre più vittime di incidenti o di malattie5. Nel 1944 Ludwig Guttmann, un neurochirurgo tedesco naturalizzato britannico, applica per la prima volta esercizi sportivi in terapie di riabilitazione6 presso l’ospedale di Stoke Mandeville, nel Buckinghamshire. Il lavoro di Guttmann riscuote subito risultati incoraggianti, tanto da portare, nel ‘48, la cittadina di Stoke Mandeville a ospitare il primo torneo sportivo per atleti tetraplegici e amputati. Gli Stoke Mandeville Games vengono replicati nel ‘52, ospitando i primi atleti stranieri e incrementando il numero di discipline sportive. Grazie al lavoro congiunto di Guttmann e del prof. Antonio Maglio7, l’edizione del 1960 dei Giochi si svolge a Roma, confluendo nel programma olimpico. Iniziano così i Giochi
nascono le squadre e i club dilettantistici, proliferano i dopolavoro e si approfondiscono gli studi sui benefìci dello sport per la salute
paralimpici, la cui storia testimonierà la rapida successione di progressi sportivi, civili e tecnologici avvenuta nei decenni successivi. Attualmente i Giochi includono 12 discipline, suddivise in categorie a seconda del grado di menomazione. La partecipazione nazionale, più che l’incidenza delle disabilità, esprime la capacità delle Federazioni di raggiungere capillarmente gli amputati e accompagnarli in un processo di preparazione atletica. In questo senso, è significativa la carenza di para-atleti provenienti da paesi come la Cambogia 8: il raggiungimento di risultati atletici di primo livello non corrisponde tanto al benessere sociale e tecnologico, quanto all’efficacia del sistema sanitario e delle politiche sociali, che sono i principali filtri per la diffusione e l’accessibilità delle pratiche sportive. In molti contesti si sovrappongono alle iniziative collegiali gli sforzi di singoli individui che affrontano lo sport – e la progettazione di strumenti per renderlo praticabile – come sfida e opportunità personale. Si collocano in questa direzione Van Phillips9, Rob Radocy10 o Sepp Zwicknagl11. Un ulteriore stimolo all’innovazione è quello offerto dall’incontro tra produttori di ausili sanitari e di prodotti commerciali per lo sport: l’incursione del know-how di aziende come Nike con soluzioni tecniche e stilistiche avanzate, porta nuovi stimoli per lo sviluppo tecnologico in realtà specialistiche, come Össur12 . Questi input si esprimono nella scelta di nuovi materiali, nella semplificazione delle strutture e nell’integrazione di strumenti digitali e interattivi per il training. Organizzazioni sanitarie, inventori autodidatti e produttori di equipaggiamento sportivo sono gli interpreti centrali di una storia in cui le discipline del progetto a tutt’oggi faticano a trovare un ruolo e un potenziale definiti. Iniziamo a riscontrare un lavoro consistente di industrial designer dedicato alla progettazione di nuove protesi non prima degli anni ’90 e tale contributo è ancora episodico, incompleto, frammentario. Una parte essenziale di questo intervento è dedicata allo sport e specialmente a discipline legate
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all’interazione con strumenti tecnici, come nel caso del ciclismo o degli sport su sedia a rotelle, o con ambienti che impongono andature, materiali e soluzioni diverse dalla comune andatura bipede, come gli sport acquatici. Nel presente quadro di attenzione per lo spazio del design nei sistemi complessi, per la partecipazione aperta ai processi progettuali e per le opportunità fornite – a diversi livelli – dalle strutture progettuali, produttive e di distribuzione digitali, l’intervento di saperi e di esperienze del design nello sviluppo di nuove protesi, a partire dalle necessità e dagli obiettivi del contesto sportivo, costituisce un processo ancora da studiare, da comprendere e da incoraggiare. ♦
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NOTE 1 - Non ha più il tempo di qualificarsi per Pechino, ma parteciperà a Londra 2012. 2 - Con il passaggio a strutture endo-scheletriche invece delle precedenti soluzioni “ad armatura”, le prime ricerche sui polimeri bio-compatibili e le basi dell’odierna chirurgia ricostruttiva e quindi estetica. 3 - Riconosciuta già nel 1907 primo produttore di protesi ortopediche al mondo. 4 - Per il ruolo di Homer Parrish ne “I migliori anni della nostra vita”. 5 - Una ricerca del 2011 sostiene che negli Stati Uniti abbia subito un’amputazione 1 persona su 200, con il 47% di tutti gli interventi relativo all’arto inferiore al di sotto del ginocchio, e la maggioranza di casi legata a complicazioni del diabete. 6 - Lo sport viene promosso in quanto “strumento per consentire ai disabili di ripristinare il contatto con il mondo che li circonda e ottenere il loro riconoscimento come cittadini” (Guttmann, 1976). 7 - Direttore del Centro Paraplegici INAIL “Villa Marina” di Ostia. 8 - In cui i casi di amputazione sono tristemente diffusi, a causa della piaga sociale rappresentata dalle mine anti-uomo. 9 - L’inventore delle cosiddette gambe “cheetah”. 10 - Prolifico ideatore di molte protesi specializzate, sviluppate specificamente per la danza, la vela, la pallacanestro, i pesi, la pesca agonistica e persino la fotografia, a partire dagli anni ’70.
11 - Pioniere degli sci per disabili (il primo modello documentato è stato realizzato da H. Matz, anch’egli in Austria, nel 1949) e padre dei Giochi Paralimpici Invernali. 12 - Si fa riferimento, in particolare, alla loro collaborazione per il progetto “The Sole”, nel 2012. IMMAGINI 01 - Cartolina pubblicitaria per la A.A. Marks di New York, fine ‘800. Autore sconosciuto. 02 - Fotogramma da “I migliori anni della nostra vita”, 1946. Immagine di William Wyler. 03 - Sir Ludwig Guttmann accompagna la regina Elisabetta II in visita a Stoke Mandeville, 1969. Immagine dall’Archivio Wolfson. 04 - Brevetto USA 5,085,665: funzionamento della mano “Flex Hand”, 1992. Immagine di Robert Radocy. 05 - Suola chiodata Nike (“Spike Pad”) per le protesi da corsa di Oscar Pistorius (Össur), 2012. Immagine di Tobie Hatfield (Nike Inc.). 06 - Disegni di studio per la protesi da nuoto “Neptune”, 2010. Immagine di Richard Stark. 07 - Prototipo della protesi anfibia “MurrMa”, 2013. Immagine di T. Essl, Y. Machida, J. Johnson, D. Rocca. BIBLIOGRAFIA - Arrigoni C., “Paralimpici. Lo sport per disabili: Personaggi, storie, discipline”, Ulrico Hoepli, Milano, 2012. - Brüggemann G.P., Arampatzis A., Emrich F., “Biomechanical and metabolic analysis of long sprint running of the double transtibial amputee athlete Oscar Pistorius using Cheetah sprint prostheses – Comparison with able-bodied athletes at the same level of 400m sprint performance”, German Sports University, Koeln, 2007. - Chadwick R., “Therapy, Enhacement and Improvement”, in Gordijn B., Chadwick R., “Medical Enhancement and Posthumanity”, Springer, Berlin, 2008, pp. 25-37. - Guttmann L., “Textbook of Sports for the Disabled”, HM+M, Aylesbury (UK), 1976. - Miah A., “Genetically modified athletes: Biomedical ethics, gene doping and sport”, Routledge, London, 2004. - Pullin G., “Design meets disability”, MIT Press, Cambridge (USA), 2009. - Radocy R., “Upper-extremity prosthetics: Considerations and design for sport and recreation”, in “Clinical Prosthetics and Orthotics”, 1987, n°3, pp. 131-153. - Ross J.C., Harris P., “A tribute to Sir Ludwig Guttmann”, in “Paraplegia”, 1980, n°18, pp. 153-156. LINK UTILI - Report sul caso Pistorius del prof. Brüggemann (Sporthochschule, Colonia, 2007) ≥ - Brevetto “Prosthetic device for vigorous activities”, 1982, inventori Robert Radocy, Ronald E. Dick ≥ - www.paralympic.org ≥ - www.sports-innovation.org.uk ≥
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Design per la salute, il benessere e lo sport Iuav, quattro progetti di wearable design
Medardo Chiapponi è direttore del corso di laurea magistrale in design dell’Università Iuav di Venezia e presidente della Società Italiana Design - SID. Andrea Ciotti è designer e collaboratore alla didattica, Iuav, Venezia. Maddalena Mometti è PhD in Scienze del Design, designer e collaboratore alla didattica, Iuav, Venezia. Francesca Toso è dottoranda in Scienze del Design, Iuav, Venezia.
The contemporary technological development is an opportunity to re-think the design project in function of the human well-being. The areas to work on are different, and the investigation of the technologies potentials is faced through a design laboratory, in which it is required to apply the technologies to the design project in order to imagine new products. Here we present four projects dedicated to sports, both agonistic and amateur (rugby, athletics, volley, hiking). All the projects have been filed in the ADI archive to grant the protection of the intellectual property rigths of the students.
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di Medardo Chiapponi, Andrea Ciotti, Maddalena Mometti e Francesca Toso
o sviluppo tecnologico contemporaneo si propone come un’opportunità di ripensamento del progetto di design in funzione del benessere umano. Le aree d’intervento sono di diverso tipo, attraverso un laboratorio di progettazione viene promossa l’investigazione delle potenzialità delle nuove tecnologie, che vengono applicate al progetto di design per l’ideazione di nuovi prodotti. L’introduzione nel mercato di tecnologie sempre più versatili grazie anche alle dimensioni ridotte delle componenti elettroniche, ha permesso la diffusione di prodotti che oltre ad essere facilmente indossabili e poco invasivi, monitorano le funzioni corporee delle persone e ne memorizzano l’andamento grazie alla possibilità di connessione con gli smartphone, dispositivi che sono ormai entrati a far parte della nostra quotidianità. Il design si trova dunque a interfacciarsi sia con questioni che appartengono alla sua tradizione che con nuovi stili di vita e diverse modalità di interazione con gli oggetti. Grazie al connubio tra tecnologie miniaturizzate con costi relativamente accessibili e materiali progettati appositamente per integrarsi al corpo umano, i progettisti hanno oggi molteplici possibilità per sviluppare prodotti che favoriscono e promuovono il benessere personale. Tra gli utenti ai quali il progetto di design si va a rivolgere, vi sono persone che seguono uno stile di vita attento al benessere psicofisico, per i quali l’attività fisica ha un ruolo importante; persone che mantengono uno stile di vita attivo nonostante l’avanzamento dell’età, per i quali l’attività sportiva non è più volta alla competizione ma al mantenimento della fisicità; soggetti che necessitano di monitorare a domicilio determinati parametri fisiologici e mantenere un controllo costante dei dati da parte del medico curante. Applicare le tecnologie emergenti a dei prodotti di uso comune richiede di prestare attenzione soprattutto a quelle che sono le componenti comunicative di questi, e quindi le interfacce e gli elementi di identificazione delle prestazioni tanto quanto manuali d’uso e manu-
tenzione. I progetti presentati di seguito1 sono una dimostrazione di come grazie a un intervento di design mirato le tecnologie emergenti si possano applicare a svariati ambiti nei quali il monitoraggio dell’attività fisica può avere effetti benefici sulla prestazione stessa o talvolta assumere una funzione protettiva accentuata dalla possibilità di segnalazione immediata di una specifica difficoltà. RTD helmet e EMC medical glasses (di Aimar Arianna) RTD helmet e gli EMC medical glasses sono due progetti che si rivolgono ai giocatori di rugby. Grazie ai sensori integrati al loro interno permettono un monitoraggio delle funzioni cerebrali per intervenire con tempestività nel caso di danni a seguito di urti violenti: per regolamento infatti il medico ha 15 minuti per stabilire se il giocatore ha riportato un danno cerebrale. I due progetti presentati di seguito hanno l’obiettivo di facilitare la definizione di un giudizio tanto rapido quanto preciso. RTD helmet è un caschetto che monitora i valori corporei dei rugbisti nel corso del gioco, aiutano a prevenire e individuare le tipologie di possibili lesioni cerebrali derivate da urti di particolare forza: all’interno del caschetto è inserito un sensore, situato nella parte posteriore, che rileva la forza e la direzione dell’urto, permettendo al medico a bordo campo di ricevere i dati tramite un sistema wifi. Aggiornato in tempo reale sugli impatti e sullo stato effettivo del giocatore, il medico è nella condizione di decidere di mettere a riposo i giocatori qualora il
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grazie al connubio tra tecnologie miniaturizzate con costi relativamente accessibili e materiali progettati appositamente per integrarsi al corpo umano, i progettisti hanno oggi molteplici possibilità per sviluppare prodotti che favoriscono e promuovono il benessere personale
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colpo ricevuto si possa rivelare pericoloso. Oltre alla componente sensoristica, il caschetto si distingue dai prodotti attualmente impiegati grazie ad uno studio ergonomico che ha portato allo sviluppo di una forma tale da permettere maggiore ampiezza del campo visivo rispetto ai caschetti tradizionali e facilitare la ricettività uditiva senza perdere la capacità protettiva necessaria per proteggere le orecchie nel momento della mischia, durante la quale sono frequenti i fregamenti. La vestibilità del caschetto è gatantita dalle allacciature nella parte posteriore, mentre la ventilazione dello stesso è ottenuta attraverso l’impiego di materiali anti-urto traspiranti. EMC medical glasses funziona grazie al monitoraggio del movimento binoculare. Si tratta infatti di un paio di occhiali che catturano il movimento degli occhi: quando questo risulta compromesso, significa che si è verificata una concussione. Il controllo attraverso EMC medical glasses aiuta ad individuare velocemente e in modo obiettivo l’eventuale presenza di una lesione cerebrale, permettendo così il rientro in campo del giocatore qualora non vengano rilevate anomalie oppure un trasporto in ospedale per ulteriori accertamenti in caso contrario. Tre1 (di Buroni Miro) Tre1 è un dispositivo atto a monitorare lo sforzo corporeo durante l’attività di endourance, al fine di incrementare e massimizzare la prestazione sportiva nelle attività che vanno ad innescare i meccanismi aerobici lattacidi e alattacidi. L’elemento innovativo di Tre1 è la capacità di unire in un unico prodotto le prestazioni di tre tecnologie presenti sul mercato in maniera indipendente, riducendo ingombri e tempi di applicazione: per indossare il dispositivo basta applicare sulla coscia il cerotto, il quale permette l’adesione del dispositivo alla gamba, posizionare Tre1 a contatto con il cerotto e l’atleta è pronto per l’allenamen-
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to. I dati vengono ricevuti e collezionati nell’apposito programma installato sul personal computer, che li elabora in tempo reale in una tabella. La facilità di utilizzo, il poco ingombro durante l’atto e la comodità di un dispositivo di monitoraggio indossabile sono caratteristiche che rendono Tre1 particolarmente funzionale all’attività sportiva, a cui si somma la possibilità di avere un monitoraggio completo grazie all’incrocio continuo dei dati rilevati tramite i sensori posizionati all’interno del dispositivo. LuMoS (di Tonello Arianna) LuMoS è un dispositivo progettato per gli atleti praticanti la pallavolo, in particolare si rivolge a quei giocatori che soffrono di
lo sviluppo tecnologico contemporaneo si propone come un’opportunità di ripensamento del progetto di design in funzione del benessere umano
lombalgia e hanno la necessità di controllare gli sforzi muscolari dell’area lombare. Attraverso quattro sensori per l’elettromiografia di superficie vengono monitorati i muscoli lombari e paravertebrali; in particolare i sensori permettono di rilevare gli sforzi muscolari, le aree muscolari attive durante il movimento, l’affaticamento muscolare e l’intensità dell’azione. Grazie al monitoraggio, l’atleta ha un feedback relativo agli sforzi compiuti e viene avvertito da una vibrazione del dispositivo quando lo sforzo diventa eccessivo e potenzialmente dannoso. I dati raccolti nel corso dell’attività vengono registrati e trasmessi al medico e all’allenatore, che può impostare gli allenamenti successivi sulla base delle capacità dell’atleta. 03
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Icaro (di Andolfatto Tommaso) Icaro è pensato per gli escursionisti, in particolare si rivolge a coloro che si trovano a frequentare luoghi alpini nei quali la copertura della rete telefonica è scarsa o assente. Si tratta di un dispositivo per l’invio di informazioni per il primo soccorso in zone montane, costituito da una struttura di posizionamento, il case, e una componente mobile, il drone. Il case è progettato per trovare posizionamento nella parte superiore dello zaino, dove viene assicurato attraverso un sistema di allacciamento, e viene trasportato nel tragitto con il drone al suo interno. In caso di caduta dell’escursionista, l’accelerometro inserito all’interno del drone rileva il movimento anomalo e attiva un timer per il rilascio del drone stesso: questo si stacca dal case per sollevarsi ad un’altezza di sei metri, dalla quale scatta alcune foto panoramiche utili al fine dell’individuazione del luogo e della posizione. Grazie ad un sensore di navigazione GPS e ad un altimetro, il drone individua la posizione in rapporto ad una mappa di copertura della rete telefonica presente nella memoria del dispositivo e individuata la rotta più breve per la trasmissione invia le informazioni al soccorso alpino. Accertato l’invio della segnalazione, il drone ritorna nel case posizionato sopra allo zaino dell’escursionista in difficoltà. ♦
NOTE 1 - Tutti i progetti presentati sono stati depositati presso l’archivio dell’Associazione per il Disegno Industriale – ADI, ai fini di tutelare i diritti di proprietà intellettuale degli studenti. IMMAGINI 01 - RDT helmet. Immagine di Aimar Arianna. 02 - Illustrazione del funzionamento di LuMoS . Immagine di Tonello Arianna. 03 - Tre1 applicato su un atleta. Immagine di Buroni Miro. 04 - Illustrazione del funzionamento di Icaro. Immagine di Andolfatto Tommaso. 05 - Foto di gruppo degli studenti del laboratorio di Design Medicale 2015. Immagine di Maddalena Mometti. 06 - Manifesto della mostra del laboratorio 2015. Immagine di Maddalena Mometti. BIBLIOGRAFIA - AA.VV., in ”OfArch – International Magazine of Architecture and Design”, n.131, pp. 136-139. - AA.VV., ”Design Medicale e Telemedicina”, in ”L’Economia della Marca Trevigiana”, n.3/2014 , pp. 6-9. - Badalucco L., Chiapponi M., ”Energia e design. Innovazioni di prodotto per la sostenibilità energetica”, Carocci, 2009. - Chiapponi M., ”Cultura sociale del prodotto. Nuove frontiere per il disegno industriale”, Feltrinelli, 1999. - Chiapponi M., ”Ambiente: gestione e strategia. Un contributo alla teoria della progettazione ambientale”, Feltrinelli, 1997. - D’E A., “Lo Iuav inventa il monitor da passeggio”, in “Il Corriere del Veneto”, del 28/06/2014., p. 9. - Magistà A., ”Con Ivo, Manitù e Warny il design è terapeutico”, in ”Il Venerdì di Repubblica”, del 27/06/2014, p. 83. CONTATTI - Medardo Chiapponi e-mail: medardo@iuav.it - Andrea Ciotti e-mail: ciottidesign@gmail.com - Maddalena Mometti e-mail: mometti@iuav.it - Francesca Toso e-mail: franciti@hotmail.it LINK UTILI - Antonelli P., “SAFE Design Takes on Risk”, 2005 ≥ - Magistà A., ”Il design che fa del bene”, in ”La Repubblica online”, del 27/06/2014 ≥ - New Design Vision ≥
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D’architettura e Mostri, Fantasmi e Favelas testo di Davide Pesavento, immagini di Alessandra Ciarmela CIA Ciambella
Davide Pesavento è architetto e socio fondatore di Duebarradue - studi associati di progettazione. e-mail: info@duebarradue.com Alessandra Ciarmela è artista e architetto. Ciambella: skin, arts and more ≥
Escaping from unconsciousness monsters and complicated relationships sometimes results in an artistic therapy made by drawings, paintings and comic stripes, a sort of “katarsi”, peculiar and recognizable in the art work of CIA (Ciambella). This feminine mature Peter Pan in fact , at the artistic sunrise fed her art with sad and hard reminds but naturally, also with images of a sweet childhood surrounded by nature, animals and african masks in a small village in the north east of Italy; growing, she enhanced her artistic sensibility studying architecture in Venice, jumping for a while in the exciting and multiethnic londoner artistic vibe after the faculty and later, spending some months in Barcelona, where she discovered and “rehabbed” the ironic Gaudì and the machismo of Picasso, making fun of his minotaurs in several inks stripes. After BCN and London,six years spent in Rio de Janeiro and a social work in Rocinha, the biggest favela of South America, represented the ideal way to metabolize her artistic past, enriching it with a new social and civic sensibility. Once back in Italy, in 2015, the importance of art became crucial to her in such a way she decided to deepen at the Academy of art in Venice, some traditional art techniques she didn’t manage.
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uando la incontrai Ciambella viveva a Rio de Janeiro e insegnava storia dell’arte. La posso definire un contenitore di storie burrascose, viaggi e incontri. Inizia a disegnare da molto piccola. I primi disegni coincidono con un periodo felice in cui viveva con il nonno e le zie, circondata da animali e maschere sudafricane appese alle pareti. Si trasferisce a Venezia per studiare architettura e si dedica al disegno della progettazione. Per necessità dipinge una serie di quadri dal tema tribale ispirandosi a Diego Rivera e Keith Haring: accostamenti di colori vivaci che abbellivano le pareti del locale che gestiva. Approfondisce la sua conoscenza dell’architettura e dell’urbanistica che diventano parte integrante della sua arte, davanti alla tela è razionale, attenta al dettaglio e non lascia nulla al caso. Le sue linee sono precise e misurate. La affascinano artisti quali Gaudì, Picasso, L. Freud, Dubuffet, Guttuso e il brasiliano Grilo. Nei disegni lo spazio è ben delineato da cornici che identificano ciò che sta dentro da ciò che vorrebbe uscire. Compaiono, dopo un breve soggiorno a Barcellona, figure spettrali con occhi nella bocca e bocche negli occhi, gufi con corna, bianchi parassiti aggrappati agli orifizi di altri mostri dall’aspetto contorto. “I miei Omini”, come li appella, si rafforzano con l’immaginario gaudiano e caratterizzano tutto il suo lavoro. Vive qualche mese a Londra mescolandosi a milioni di persone, stili e tradizioni. Ritrae volti dai forti connotati etnici; sagome che reggono corpi che reggono teste; uomini famosi trasformati in bachi da seta. Compare nei suoi disegni la protesta: esseri che sollevano tra le mani il loro sesso, dove il genere viene prima della persona; donne con sei braccia, ironiche e tristi immagini dello sfruttamento. Arriva in Brasile per uno stage all’ONU Habitat. Lavora in Rocinha, la più grande favela del Sudamerica, nella povertà più difficile da immaginare. L’arte diventa sociale denunciando l’accettazione della povertà con le serie “Eu Grito” e “Favelas”. Restano gli Omini di A Comunidade, in cui le macchie di inchiostro
si fondono in un susseguirsi di esseri spettrali. Rientra in Italia durante la crisi soffrendo il reinserimento. Trasporta nell’arte le difficoltà e le frustrazioni. Disegna autoritratti con colori di pelle e capelli all’opposto della realtà, come se la Garrota di Ipanema non si riconoscesse lontana dalla terra amena, allo stesso modo di Pryntyl, la sirena fuggita agli abissi. Trasporta l’immaginario carioca in storie simili alle Fanzine lette a Londra. L’architettura è sempre presente, crea palazzi albero abitati da piccoli fantasmi. Gli stimoli creativi prima legati ai luoghi ora nascono da letture, mostre e fotografia, passano attraverso concetti e modi di vivere. Oggi frequenta l’Accademia di Belle Arti mettendo in discussione il suo stesso lavoro: “mi sto destrutturando per ricostruirmi, cercando di crescere con caratteristiche e qualità diverse pur considerando il mio passato”. ♦
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figure spettrali con occhi nella bocca e bocche negli occhi, gufi con corna, bianchi parassiti aggrappati agli orifizi di altri mostri dall’aspetto contorto
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01 - A Comunidade. Acrilico su tavola, Brasile. 02 - Eu Grito 01. Penna su carta, Rio De Janeiro. 03 - Eu Grito 02. Penna e pennarelli su carta, Rio De Janeiro. 04 - Eu Grito 03. Penna su carta, Rio De Janeiro.
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lavora in Rocinha, la più grande favela del Sudamerica, nella povertà più difficile da immaginare
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05 - Saudade 02. Penna e matita su carta, Venezia. 06 - Saudade 03. Penna e pantone su carta, Venezia. 07 - Babele . Penna, pantone e acquerello su carta, Venezia.
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08 - Accecato d’Amore mi stava a guardare. Acrilico su tavola, Venezia. 09 - Autoritratto. Penna, acquerello e pantone su carta, Venezia. 10 - Bento Rubiao. Penna e pennarello su carta, Rio De Janeiro.
un contenitore di storie burrascose, viaggi e incontri
BIBLIOGRAFIA - De Rosa M., Prakash Dorigo C., “Biografie incerte”, Mare di carta, Venezia, 2009. - Prakash Dorigo C., “Homo Sapiens Nord Est”, Mare di carta,Venezia, 2011.
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LINK UTILI Ciambella: skin, arts and more ≥
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IN PRODUZIONE
Un serramento di design Oltre la prestazione tecnica
Emilio Antoniol è architetto PhD in tecnologia dell’architettura. e-mail: antoniolemilio@gmail.com
Doors and windows have a dominant role in the definition of thermal and acoustic performance of the building envelope. However, describing a window only through its technical features is not completely correct. In fact, a window plays a crucial role in the definition of form and style of the external and internal facades of a building, becoming a piece of furniture both in terms of landscape design, with the definition of street fronts, and in terms of interior design. Designing a window therefore requires to choose the correct performance and specifications to ensure the living comfort, but also to identify the right finish to make it an beautiful and easy to use object. Piavevetro is specialized in the design and construction of special and custom windows, made according to clients and architects needs.
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orte e finestre sono componenti essenziali nella definizione dell’involucro edilizio sia negli edifici residenziali che in quelli a uso commerciale o, più in generale, terziario. Sono inoltre elementi tecnici soggetti a una forte spinta innovativa sul piano dei materiali, delle tecnologie e dei componenti, date le numerose prestazioni che essi debbono soddisfare. Tra queste, è l’ambito energetico a costituire un campo privilegiato per la ricerca e sviluppo, con un costante investimento in migliorie volte a ottimizzare l’isolamento termico e il controllo solare dei prodotti per serramenti. Ciò si traduce in nuovi materiali, nuovi profili e nuovi sottocomponenti che vanno ad arricchire il già vasto panorama di soluzioni adottabili per la chiusura di un’apertura sull’involucro edilizio. Questo scenario di continua proliferazione di forme, sistemi e possibilità tecniche invita inoltre a una riflessione su un ulteriore aspetto legato ai serramenti, ossia sul loro ruolo figurativo nella definizione dello spazio architettonico. La finestra è infatti sia un importante componente d’arredo interno, definendo una relazione con gli spazi della casa, le finiture delle pareti e dei pavimenti della stanza, sia un elemento di landscape design, influendo sulla percezione dei prospetti edilizi e, con essi, sull’intera
di Emilio Antoniol immagine della città. Le molteplici soluzioni materiche e formali che una finestra può offrire, diventano quindi uno strumento a disposizione del progettista per definire o caratterizzare una stanza o un prospetto, facendo del “componente finestra” un vero e proprio oggetto di design. Negli ultimi anni il design della finestra si sta orientando in due direzioni preferenziali: da un lato, si punta alla realizzazione di serramenti dalle finiture sempre più raffinate dall’uso di legnami di pregio ai metalli quali CorTen e ottone fino all’applicazione di boiseries tessili o in pelle - dall’altro, si cerca di limitare l’ingombro visivo dei telai dando maggiore risalto alla componente trasparente. In entrambi i casi sono comunque la possibilità di personalizzazione e la produzione su misura a decretare l’appetibilità
la finestra è infatti sia un importante componente d’arredo interno sia un elemento di landscape design
finale del prodotto, con produttori e serramentisti sempre più attenti alle esigenze di una committenza che cerca, anche nella finestra, la qualità del design made in Italy. In questo scenario si inserisce anche Piavevetro, azienda trevigiana da oltre quarant’anni leader nella trasformazione del vetro piano per l’edilizia e nella produzione di infissi speciali. Maturata negli anni una notevole esperienza e conoscenza del materiale, oggi Piavevetro dispone di maestranze preparate per la progettazione, realizzazione e posa in opera di infissi su misura, con l’intento di fornire al cliente un prodotto di qualità, certificato e rispondente non solo alle richieste formali del progetto ma anche alle sempre più stringenti normative energetiche, grazie a test di laboratorio e verifiche condotte nel reparto di ricerca e sviluppo. Fondamentale è poi la costante e attiva collaborazione con gli studi di architettura per
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il nuovo concetto di finestra nasce dal desiderio di andare oltre a quanto offerto dal mercato attuale del serramento, per dare al vetro il diritto di innovazione tecnologica e formale
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individuare le soluzioni più adeguate alla realizzazione di serramenti speciali e su misura, in grado di adattarsi alle specifiche esigenze architettoniche del progetto. Per rispondere a questo tipo di richieste, nel 2006 Piavevetro brevetta il primo sistema di porte e finestre tutto vetro, I AM Crystal Sculptures. Il processo che ha portato a questo nuovo concetto di finestra nasce dal desiderio di andare oltre a quanto offerto dal mercato attuale del serramento, per dare al vetro un diritto di innovazione tecnologica e formale, basata sull’esperienza, l’ingegno e la creatività di un’azienda che lavora tale materiale fin dal 1969. Il sistema prevede la realizzazione di serramenti dalle elevate prestazioni tecniche in cui il telaio, che può essere realizzato nei diversi materiali messi a disposizione dal mercato attuale, è coperto da un vetro stratificato serigrafato che ha funzione strutturale e che resta l’unico elemento a vista, ad eccezione della ferramenta di movimentazione. In tal modo l’intera finestra è caratterizzata da una superficie unica, continua e omogenea che si adatta ai più differenti
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con la serie I AM anche un componente tecnico estremamente complesso come la finestra entra quindi a pieno titolo tra gli oggetti di arredo
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ambiti progettuali trovando applicazione sia in contesti di nuova costruzione che di recupero dell’esistente. Il sistema è, inoltre, altamente personalizzabile e dispone di tre varianti di prodotto: I AM Inside, con il tutto-vetro solo all’interno, I AM Outside, che presenta la finitura tutto-vetro solo all’esterno e I AM Crystal Sculptures con una doppia lastra vetrata sia all’interno che all’esterno che nasconde totalmente il telaio. Le finestre così concepite presentano inoltre varie tipologie di apertura: anta, anta e ribalta, bilico verticale, scorrevole e alzante scorrevole permettendo, soprattutto in quest’ultima opzione, di realizzare superfici vetrate di grandi dimensioni dove la continuità del tutto-vetro rende estre-
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mamente caratterizzante la finestra come componente di design. Con la serie I AM, anche un componente tecnico estremamente complesso come la finestra entra quindi a pieno titolo tra gli oggetti di arredo, senza tuttavia perdere le sue funzioni primarie di interfaccia tra interno ed esterno, ma arricchendo il suo ruolo di nuovi significati e nuove valenze formali. ♦
IMMAGINI di Piavevetro S.r.l. 01, 02 - La produzione del vetro in vetreria. 03 - Finestre a battente I AM Crystal Sculptures installate a Palazzo Ricordi, Milano, 2013, arch. Studio P+F Parisotto e Formenton. 04 - Dettaglio delle finestre della sede Nespresso a Genova con serigrafie color caffè. 05, 06 - Bilico verticale I AM Crystal Sculptures alluminio, Boffi Studio, Treviso 2010. 07, 08 - Scorrevole minimal I AM Luce in una casa privata,Treviso 2013. 09 - La produzione del vetro in vetreria.
Masterpiece bespoke windows and doors
Piavevetro S.r.l. via Postioma 103, 31050, Villorba (TV) www.iampiavevetro.com ≼ Tel: +39 0422 608341 info@iampiavevetro.com
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Milano Renatur
Angel Cerezo Cerezo è architetto e ingegnere, co-fondatore e partner dello studio AAIMM Architects Office (Barcellona). e-mail: acc@aaimm.es www.aaimm.es ≥
Il progetto Milano Renatur promuove la rinaturalizzazione della zona sud di Milano al limite tra la città e natura; una zona inutilizzata incline al progressivo deterioramento come risultato dello sviluppo di funzioni non desiderate della comunità. Il progetto reinterpreta questi spazi attraverso un paesaggio agricolo produttivo, che diventa l’elemento principale della proposta; il programma funzionale è poi completato da residenze per giovani, cohousing e impianti sportivi che consentono un uso ecologico e sostenibile dell’area a beneficio anche dei quartieri adiacenti. Il paesaggio agricolo produttivo e le funzioni sportive costituiscono cosi un gradiente tra la città e la campagna, mediando il progressivo passaggio del paesaggio costruito al paesaggio completamente naturale, rurale e agricolo.
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he political and economical “romance” that Margaret Thatcher and Ronald Reagan held each other during the 1980´s decade, introduced a new world order. A new way of understanding and operating the economy based on principles and ideas from the 1920´s, which promoted free markets and an unregulated economic playground. This ultimately affect the way we program and understand housing and landscape design, effectively achieving a negative influence in those realms. Some of the consequences that cities have to deal with when non-regulated economies are put in place: - Private, and usually foreign, investments are promoted, which would only be interested in real estate investment opportunities and not in the health and wellbeing of the neighbourhood. - Design and construction are usually externalized to enterprises with no protection of local landscape identity. - Land´s requalification and reassigning permits are issued to create a flow in plot prices and destabilize neighbourhoods and communities. - Citizens lack the economic power to consume in local stores, with products from the vicinities. - Small City Halls and Municipal Go-
di Angel Cerezo Cerezo vernments lack the power to restrain all these actors to invest and reorganize their communities because of the economic investment they tempt big scale Governments offices with. Given all these circumstances, the landscape is promoted not as a public realm with an intrinsic environmental value and provided by the communities in a sustainable relationship with the ecosystem, but as a market asset which ultimately can be developed. This dynamic destroys communities, creates wasted landscapes areas voided of function or use, it foments real estate developments and real estate bubbles beyond
Milano Renatur explores how these negative effects can be effectively reversed or reinterpreted to promote a healthy community and ecosystem
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the city limits, invading the natural realm expanding the reach of the city forever into the rural realm; it creates irreversible instabilities in the ecosystems and developments are planned for and segregates communities into locals with no power nor powerful economic forces - often international and constantly in conflict with each other. Milano Renatur explores how these negative effects can be effectively reversed or reinterpreted to promote a healthy community and ecosystem, in a close relationship that would promote their mutual sustainability, blurring the limits of the city into natural ecosystems without creating an invasive and unconnected landscape of abandoned buildings or villas. The project promotes the re-naturalization 02
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of the southern part of Milan, an area at the edge of the town and currently of an ambiguous nature, unused, with no character and prone to a progressive deterioration as a result of undesirable uses. The adjacent community’s day to day reinvented through productive landscape strategies - main character of the proposal - that also includes scattered residential programs for young citizens fighting for their emancipation and an exploration of new means of co-habitat, all supported by sports facilities; effectively blurring the limits between the city and rural landscape with a progressive density lowering strategy as one moves further away from the city. The sports landscape, in particular, is a gradient between city and nature, completing a progressive disappearance of the built landscape to a completely natural and rural landscape. Sustainability of the landscapes ecosystems has been a design force of the project, being present in all decisions made in order to provide the community with a coherent project with the natural environment in the area and one that does not require excessive
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maintenance or influence in a negative way. Some of these strategies include: - Regeneration of old rivers and water canals for the irrigation of the whole site and also to implement limits to the developments, avoiding the use of potable water from non-sustainable resources; - Collection of rainwater for drop irrigation purposes; - Housing is to achieve passive standards of energy consumption, applying passive bioclimatic strategies such as greenhouse effects, solar collectors, ventilation, insulation and shading; - Low scale rentable spaces for food production introduces crops as positive landscape features, different from those ornamented that require resources and investments. Low scale food production effectively reduces CO2 emissions, cutting transportation, production and delivery emissions of the high scale production; - Use of autochthonous vegetation that promotes equilibrium between all forces of the ecosystem and provides the natural resources to keep it stable, reducing water consumption and maintenance efforts;
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the sports landscape is a gradient between the city and nature, completing a progressive disappearance of the built landscape to a completely natural and rural landscape
- Local resources and low cost materials for all constructions to avoid transportation of materials, which would create CO2 emissions and affect the ecological footprint of the whole development by the introduction of non-organic materials; - Treatment of roads and pathways with hierarchies of use has been assessed to reduce emissions and promote efficient means of circulation, promoting healthy habits and reduction of emissions from carbon engine means of transportation; - Renewable energy sources and a sustainable system of biomass production to generate energy. Wind turbines provide the network with electricity while the city´s trees are used to create energy through a biomass cauldron respecting their natural cycles and growth. The whole Renatur site is meant to be a community effort, where every citizen can not only share facilities and housing arrangements but also promote a caring sentiment for their own accomplished landscape and community, creating a positive effect which is pedagogic, experimental and real in an otherwise wasted and unoccupied land waiting to be developed with high density and profitable real estate strategies. ♦
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IMMAGINI Tutte le immagini sono state prodotte dallo studio AAIMM Architects. LINK UTILI AAIMM Architects Office blog ≥
AAIMM Architects Office AAIMM is a firm specialized in design, research and development of full of Architecture, Master planning, Landscape and Interior Design projects. AAIMM is a growing and award winning young architecture studio from Barcelona with a network of professional architects based in Rotterdam to internationalize its projection work. We are experts in Project Design and interpretation of the many inputs and variabilities involved in a complex design process, data evaluation whith the physical constrains of site regarding construction viability and procedure for great sustainable projects. From 2007 onwards, AAIMM has won over 20 awards in national and international competitions, has participated in development projects in conjunction with various associations and individually. Team: Angel Cerezo Cerezo, Elisa Battilani, Alejandro Ribas Mercau, Isacio García Roldán, Martín Negri Rodríguez. www.aaimm.es ≥
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VOGLIO FARE L’ARCHITETTO
Una palestra sostenibile per l’arrampicata sportiva Andrea Martinelli è architetto; è stato progettista architettonico e direttore dei lavori. e-mail: a.mar@gmx.com
The building provides a new interpretation of the traditional g ym and reinvents its form and content. The desire to create a meeting place, used not only for the competition, has led to the creation of a structure whose shape, a pillar stuck in the ground, was inspired by a passion for climbing. The small building is composed essentially of two morphological elements: the service area, contained in a low volume topped by a green lawn and the climbing hall, which is vertical, dotted with small colored objects that animate the crooked and irregular walls. The spaces are connected to each other and calibrated for optimal development of the main sport activity and the support ones: training, supervision and management. The morpholog y of the building has been configured in the most effective way to optimize the absorption of solar radiation and to obtain the maximum energ y efficiency.
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a palestra di arrampicata sportiva svetta in un’area di Codroipo (UD) nella quale si concentrano diverse strutture adibite allo svolgimento di attività sportive e di svago, poco distante dal centro cittadino; tale intervento può essere definito di completamento e arricchimento di quest’area, data la posizione centrale al distretto scolastico, che favorisce la fruizione degli impianti sportivi da parte degli studenti. La struttura, a servizio dell’intera popolazione, è pensata principalmente per attività di arrampicata sportiva e propedeutiche, d’indirizzo o avvicinamento alle attività di alpinismo, oltre che di educazione fisica; grazie alle sue caratteristiche tecniche, possono anche svolgersi attività di tipo agonistico, che rimangono tuttavia a carattere del tutto saltuario. La volontà progettuale è stata quella di creare un luogo d’incontro e non solo di competizione, ma anche finalizzato alla socialità, luogo che si trasforma in sala didattica, in ambito di promozione culturale, non solo della passione per la montagna, spazio di relazione e conviviale. L’involucro esterno diviene segnale, stele infissa nel terreno, sfida da superare sino alla meta dei suoi 18 m; le pareti saranno animate da un groviglio di funi e corde, da personaggi, che in pose asimmetriche
di Andrea Martinelli e scomposte, si daranno appuntamento in cima. Dall’alto questo guscio scenderà verso terra prima in modo repentino, per trasformarsi in una lieve altura che lo porterà a dissolversi nel prato. Prato che sale sugli ambienti a supporto delle attività sportive. Prato che porta ad un affaccio nelle viscere dell’antro, a guardargli dentro a scoprirlo; prato che diviene luogo di riposo disteso al sole, luogo per vedere gli eventi che dinnanzi gli passano, piccola platea verso un possibile spettacolo. Il corpo basso tenta di risolvere la relazione tra il volume alto della sala di arrampicata e l’ambiente circostante, determinandone una mediazione. Non è stato possibile adottare altre soluzioni, come scendere sotto il piano di campagna a causa della particolare conformazione del territorio in cui le falde acquifere sono superficiali; ne consegue un’architettura caratterizzata da una forte verticalità. L’accesso alla palestra di arrampicata avviene grazie ad un percorso pedonale preesistente che connette il parcheggio ai vari impianti del parco sportivo. L’ingresso che si trova sul fronte ovest, protetto da una pensilina, introduce nello spazio dedicato all’accoglienza, il quale distribuisce ai vari ambienti, studiati e calibrati per una fruizione ottimale e per l’idoneo svolgimento dell’attività sportiva. La sala di arrampicata si sviluppa in altezza per oltre 17 m mentre, adiacente, trova posto il boulder, luogo di
esercitazione senza fune, di altezza contenuta (circa 3,40 m); gli spazi collaterali sono costituiti da una sala polivalente di medie dimensioni per attività di formazione e dai servizi di supporto quali locali di deposito, vani tecnici, il pronto soccorso e i servizi igienici, organizzati in due bagni, uno dei quali dimensionato per disabili, dotati di doccia. Gli spogliatoi richiesti dagli eventi agonistici sono disponibili nell’adiacente palestra. Il volume edilizio della palestra è costituito da una struttura mista cemento armatolegno: la parete ovest è in cemento armato e raggiunge un’altezza di circa 6,50 m verso sud e sale fino a 8,50 m dove gira sul fronte nord con un setto inclinato, questo è l’elemento di riferimento della struttura al quale si collega il telaio che completa l’involucro, realizzato in legno lamellare e che arriva ad un’altezza utile interna di 18,3 m,
che corrispondono a circa 20 m all’esterno, sul fronte est. La struttura principale della parete est è costituita quindi da piedritti in legno lamellare fissati a terra con un piede in acciaio che determina un vincolo a cerniera; i piedritti sono irrigiditi da controventi in legno bilama ad essi ortogonali per tutta l’altezza. Dalla diversità altimetrica delle due pareti longitudinali parallele, est e ovest, consegue che la copertura, anch’essa realizzata in legno, si deforma e si scompone in tre falde triangolari che degradano con differenti pendenze, tale complessità diviene un valore aggiunto nella percezione interna ed esterna della forma. Il corpo basso degli spazi di supporto, invece, è costruito in murature in cemento armato, come i muri di contenimento del pendio che conduce al primo piano. Questo diviene all’esterno un prato digradante che
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la struttura è pensata principalmente per attività di arrampicata sportiva e propedeutiche, d’indirizzo o avvicinamento alle attività di alpinismo
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si protende parzialmente sul solaio di copertura che è realizzato con lastre predalle. Le finiture esterne rendono l’involucro leggero ed estremamente dinamico. Nella parete ovest e in parte di quella nord, quest’ultima completata da un’ampia vetrata, il calcestruzzo rimane a vista, ad esclusione di alcune porzioni dove esso è colorato (grigio per il boulder e bianco per il pendio). La parete est è invece rivestita con scandole di alluminio preverniciato color antracite, a protezione della parte realizzata in legno, favorendo cosi una micro-ventilazione sulla sua superficie. La copertura infine ha un manto in alluminio preverniciato in nastri a doppia aggraffatura. La crescente sensibilità verso il contenimento dei consumi energetici e la produzione di energia con fonti rinnovabili sono le ragioni della scelta di realizzare un edificio sostenibile e autosufficiente a livello energetico. La copertura del fabbricato è stato disegnata in modo da ottimizzare l’assorbimento delle radiazioni solari, così che il pannello solare non richieda ulteriori sottostrutture per l’orientamento. La tecnologia a film sottile in silicio amorfo si è rivelata la più idonea: il contenuto coefficiente di temperatura permette di mantenere una buona
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volendo perseguire la strada dell’indipendenza dalle fonti energetiche classiche è stato messo a punto un sistema integrato fotovoltaico-geotermico
produzione di energia anche a temperature elevate; la sensibilità alla luce diffusa è marcata, mentre le cellule disposte verticalmente evitano perdite di potenza dovute all’eventuale effetto ombra; le aree di produzione possono essere differentemente orientate senza produrre scompensi; infine, la grande versatilità di posa garantisce una perfetta integrazione con la copertura. Volendo perseguire la strada dell’indipendenza dalle fonti energetiche classiche è stato messo a punto un sistema integrato fotovoltaico-geotermico che consente di produrre la necessaria potenza termica
sfruttando il potere calorico e lo scambio termico del terreno, in particolare dell’acqua di falda che le sonde geotermiche a circuito chiuso intercettano nel sottosuolo. La necessaria pompa di calore con elevato rendimento viene alimentata dall’energia elettrica generata dall’impianto fotovoltaico, che provvede anche al fabbisogno di illuminamento. Un ulteriore fattore di sostenibilità è individuabile nella scelta di realizzare la maggior parte dell’involucro del corpo della palestra in legno e nell’uso di materiali isolanti in fibra minerale ad alta densità, in particolare
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sulla copertura per garantire la riduzione delle dispersioni e un adeguato sfasamento e smorzamento dell’onda termica. Inoltre il tetto giardino che sale sul fabbricato ha una valenza, oltre che architettonica, anche climatica: lo spessore di terreno e la sua massa provvedono a regolare l’assorbimento della radiazione solare durante l’estate e a costituire un volano termico con elevata inerzia nel periodo invernale. Infine l’orientamento verso la tipologia d’impianto di riscaldamento radiante a pavimento è finalizzata anch’essa al contenimento dei consumi, garantendo un mi-
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la sala di arrampicata si sviluppa in altezza per oltre 17 m mentre, adiacente, trova posto il boulder, luogo di esercitazione senza fune
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gliore comfort ambientale e consumi ridotti; vista la natura e l’uso mutevole dello spazio della palestra, questa tipologia di impianto è l’unica a garantire un efficace percezione del calore nella parte bassa, entro i primi due metri, senza disperdere inutilmente energia per il riscaldamento dell’intero volume: in sostanza la trasmissione del calore avviene per irraggiamento con minimo riscaldamento dell’aria. La luce naturale della vetrata a tutta altezza illumina la sala di arrampicata orientata a nord così da impedire effetti di abbagliamento e avere una luce costante durante l’arco della giornata; l’apertura orientata a sud è invece più bassa, calibrata in modo tale che l’irraggiamento estivo non possa penetrare l’involucro, mentre quello invernale apporti i benefici calorici dei raggi solari con bassa inclinazione. Le grandi dimensioni garantiranno un’efficace illuminazione naturale diurna in ogni momento dell’anno, mentre lampade a basso consumo forniscono l’illuminazione artificiale quando necessaria. La circolazione dell’aria per convezione
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naturale è favorita dall’altezza dell’involucro e dal gradiente termico che in essa si genera. L’azione combinata dell’irraggiamento solare, del calore interno e del vento (se presente) genera una depressione nel sistema di circolazione dell’aria che permette all’aria calda e viziata di fuoriuscire dalle aperture poste nella parte alta della vetrata a nord. Non è quindi necessaria l’installazione di un impianto di ventilazione e di condizionamento perché l’effetto così innescato garantisce il ricambio necessario dell’aria e il raffrescamento nel periodo estivo. Queste soluzioni tecnico-funzionali hanno permesso di ottenere un edificio autosufficiente con costi di gestione vicini allo zero. ♦
IMMAGINI 01 - Il fronte sud. 02 - Dettaglio di facciata. 03 - Il fronte est. 04 - L’ampia vetrata a nord. 05 - La sala per l’arrampicata. 06 - L’ingresso della palestra. 07 - La palestra dall’esterno. Tutte le immagini sono di Andrea Martinelli. BIBLIOGRAFIA - Prefa, “Manto in alluminio Prefalz Deluxe, film fotovoltaico Prefalz Solar”, Andrea Martinelli Architetto, in AREA n. 117, 2011. - Prefa, “Palestra per arrampicata, Codroipo, Italy”, Andrea Martinelli Architetto in THE PLAN n. 056, Report 2012. - Ghiacci S., “Edificio per l’arrampicata indoor a Codroipo – Andrea Martinelli Architetto”, in Arketipo n.75, Luglio 2013, pp. 58-67. ≥ - Corbe F., “Progetto edificio impianto efficiente per la palestra climatizzata solo d’inverno”, in Edilizia News Novembre 2012. ≥ LINK UTILI www.archilovers.com ≥ www.edilportale.com ≥
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Cradle-to-cradle: un approccio sistemico per l’architettura sostenibile Experience Centre un progetto di “upcycling” di un area industriale dismessa ad Halle, Germania
Andrea Meneghelli è ingegnere e architetto. Ha svolto attività di tesi di ricerca con l’Università di Trento e la Technische Universität München: Upcycling an Existing Building, Cradleto-Cradle. Libero professionista, si occupa di architettura sostenibile. e-mail: andreameneg@hotmail.com
In the mainframe of a growing awareness of human impact on climate change and the research of new models for a truly sustainable development, Cradle-to-Cradle(C2C) design and the Circular Economy model have suggested one of the most advanced approach toward a positive future for the next generations. This vision of a regenerative circular model eliminates the word waste and promote that all resources are conserved through a closed loop. This article presents how such an innovative approach of sustainable reuse was implemented into the refurbishment concept of an existing building in order to become the Experience Centre of C2C, as part of the site development of a brownfield in Halle in Germany into a Green technolog y center by 2020.
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l rapporto Brundtland1 nel 1987 introduce il concetto di sviluppo sostenibile che promuove uno sviluppo che non comprometta il benessere delle generazioni future. Il protocollo di Kyoto (COP3) del 1997, riconosce i problemi ambientali legati al surriscaldamento globale ed evidenzia la comprovata responsabilità dello sviluppo antropico sull’effetto serra. Dopo decenni di mediazioni e trattative lo scorso 12 dicembre a Parigi al termine della COP21 è stato raggiunto un accordo storico e condiviso tra 180 nazioni che stabilisce un limite globale e vincolante di 2°C al surriscaldamento climatico per evitare conseguenze irreversibili causate dai cambiamenti climatici. Mentre la maggior parte dell’attenzione pubblica si focalizza sul porre rimedio ad un’economia lineare del ventesimo secolo, si fa spazio nel dibattito scientifico e culturale una innovativa prospettiva di sviluppo sostenibile in cui si elimini il concetto di scarto e le materie vengano costantemente riutilizzate. Le opportunità prospettate da questo modello economico sono state fatte proprie nel 2010 da l’Ellen McArthur Fundation, che definisce l’economia circolare come “un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli
di Andrea Meneghelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera” 2 . Questo modello economico-culturale è stato ispirato dall’innovativo approccio al tema della sostenibilità elaborato fin dal 1992 dal Prof. Michael Braugart e da William McDonough ideatori per protocollo Cradle-to-Cradle (dalla culla alla culla)3. Il Cradle-to-cradle (C2C) introduce il principio dell’eco-efficacia che si pone l’obbiettivo di eliminare all’origine il concetto di scarto-rifiuto, emulando l’equilibrio degli ecosistemi naturali: per ogni prodotto viene definito fin dalla sua origine quale sarà l’impatto sull’ambiente, come sarà reintrodotto nel ciclo produttivo come materia prima o reintegrato perfettamente nel ciclo naturale. L’obbiettivo è l’ottenimento di un prodotto eco-sostenibile inserito in un ciclo chiuso in cui “nulla si crea, nulla si distrugge tutto si trasforma”4. Su questo tema l’università TUM di Monaco rappresenta uno dei centri di ricerca europei di eccellenza, e grazie ad una collaborazione attivata con l’università di Trento, ho avuto l’opportunità di svolgere a Monaco una tesi sperimentale, dal titolo: “Upcycling an existing building: Experience Centre for Cradle-to-Cradle in Halle, Germany”. Il progetto nasce da un rapporto di ricerca attivato tra l’università di Monaco e la proprietà di un’area industriale dismessa ad Halle in Germania, di cui si prevede la
riconversione in un Green District nel 2020. L’upcycling dell’edificio destinato a diventare Experience Centre (EC), rappresenta il progetto pilota sia per il riutilizzo dell’edificio, sia per promuovere idee e contenuti innovativi del C2C per un rilancio economico dell’area industriale dismessa. L’Experience Centre ha l’obbiettivo di sviluppare i principi C2C e la loro applicazione nel recupero dell’edificio e di poterli trasmettere in modo coinvolgente e dinamico al grande pubblico, attraverso un’esperienza interattiva. Ogni piano sviluppa uno specifico tema con esposizioni, attività didattiche e showroom dimostrativi dei nuovi prodotti e delle tecnologie più innovative. Il centro si propone di favorire un’esperienza multi-livello che parte dalla formazione e sperimentazione dei principi C2C per promuovere le applicazioni di materiali e tecnologie volte a sostenere una progettazione che abbia un impatto positivo sull’ambiente a beneficio delle generazioni future. I
visitatori possono scegliere liberamente le tematiche da approfondire in base ai loro interessi e conoscenze. La struttura tematica è organizzata con percorsi interattivi di conoscenza ed approfondimento che si articolano attraverso: C2C-Discovery; C2C-Partner; ricerca e sviluppo e torre tecnologia. C2C-Disvovery è l’area destinata alla scoperta dei principi del C2C, attraverso esposizioni tematiche, esperienze conoscitive multimediali e applicazioni e sperimentazioni dirette. C2C-Partner è l’area dove gli operatori di settore e i tecnici presentano i materiali e le nuove tecnologie e in cui i visitatori acquisiscono le informazioni sulle più recenti applicazioni del C2C. Le aziende partner, istituzioni, designer e sviluppatori possono disporre di specifici stand dove poter svolgere la propria attività divulgativa ed attivare forme di collaborazione e ricerca comuni. La torre tecnologica è una nuova struttura collegata all’edificio esistente, che funge da
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il principio dell’ecoefficacia pone l’obbiettivo di eliminare all’origine il concetto di scartorifiuto, emulando l’equilibrio degli ecosistemi naturali
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laboratorio in cui sperimentare i nuovi sistemi costruttivi dell’architettura del C2C. Il telaio della torre costituisce il supporto su ci applicare ad esempio, le nuove sperimentazioni di pannelli di facciata, di pareti verdi, di pannelli fotovoltaici, serre solari, ecc. “Ricerca e innovazione” è l’area posta negli ultimi due piani, in cui si svolgono attività di ricerca condotte da università, istituzioni ed enti di ricerca pubblici e privati. Un ambiente stimolante e favorevole alla nascita di start-up. Lo scopo di questo centro innovativo è anche quello di promuovere una rete di collaborazioni propositive dove tutti gli stakeholders del settore edilizio sono coinvolti e partecipano allo sviluppo e all’attuazione di nuovi concetti di architettura sostenibile. L’EC vuole diventare la sede di eccellenza per la ricerca e la tecnologia fortemente collegata in una rete di cooperazione con analoghi altri centri europei. Il percorso di visita inizia dal parco della biodiversità, quale processo di ri-naturalizzazione dell’area ex industriale, da esso si entra nell’EC tramite un info-point collo-
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cato nel basamento della torre. I visitatori nel piano terra dell’edificio incontreranno ambienti gradevoli, caratterizzati da pareti verdi, quale continuità con il bio-parco, dove rilassarsi e socializzare. Vi saranno inoltre esposizioni temporanee, spazi per conferenze e workshop che forniranno le informazioni generali sul Cradle-to-Cradle. Dal primo fino al quarto piano sono presentati i tre principi del C2C: waste equals food (lo scarto è una risorsa), use current solar income (utilizzare l’attuale guadagno solare) e celebrate diversity (celebrare la diversità). Gli ultimi due piani sono dedicati alla ricerca e all’innovazione, dove condividere conoscenze e competenze al fine di sviluppare prodotti innovativi, strategie e implementazioni. Il progetto adotta materiali e tecnologie sostenibili, il tutto reso come un processo intellegibile ai visitatori. Nella fase progettuale per i materiali e gli elementi dell’edificio sono definiti il loro ciclo di vita, il proprio utilizzo e i possibili scenari di ri-utilizzo ancora prima che di riciclo. Gli obbiettivi della riqualificazione dell’a-
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Experience Centre (EC), rappresenta il progetto pilota sia per il riutilizzo dell’edificio, sia per promuovere idee e contenuti innovativi del C2C per un rilancio economico dell’area industriale dismessa
rea sono: la produzione di energia da fonti rinnovabili più di quanto l’edificio necessiti; il miglioramento della qualità dell’aria e dell’acqua rispetto alle condizioni iniziali del sito; la promozione della biodiversità e la realizzazione di un ambiente gradevole per i visitatori. Per questo sono stati definiti dei sistemi integrati: dell’acqua, biologico e delle energie rinnovabili. - Sistema integrato dell’acqua. La qualità dell’acqua usata nell’edificio viene migliorata dopo il suo utilizzo attraverso un sistema di trattamento biologico che permette di rimuovere gli inquinanti mantenendone i nutrienti, per poi essere riutilizzata nell’edificio. L’EC illustra ai visitatori il funzionamento del sistema integrato dell’acqua. - Sistema integrato biologico. L’inserimento di ambienti naturali nelle aree industriali fornirà una vasta gamma di servizi ecosistemici5, quali il miglioramento della qualità dell’aria, la filtrazione dell’acqua piovana, la creazione di un microclima, il raffrescamento estivo, la riduzione dell’effetto isola di calore. Si offrono nel contempo
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nella fase progettuale per i materiali e gli elementi dell’edificio sono definiti il loro ciclo di vita, il proprio utilizzo e i possibili scenari di ri-utilizzo ancora prima che di riciclo
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aree ricreative e di relax per i visitatori. La varietà botanica di fiori e piante del parco crea un’esperienza sensoriale che favorisce la biodiversità6. L’EC dimostra come l’inserimento della vegetazione nell’architettura non sia da considerare solo come un aspetto estetico ma che contribuisce attivamente all’ assorbimento di CO2 , alla produzione di ossigeno, all’ assorbendo di polveri sottili, al miglioramento dell’isolamento dell’edificio. Le pareti verdi esterne possono costituire un habitat per piccoli uccelli e insetti fornendo un contributo alla biodiversità dell’area. - Sistema integrato di energie rinnovabili. L’energia prodotta da fonti rinnovabili poste nel sito fornisce più energia di quanto serva agli edifici stessi. La produzione di energia avviene: da un innovativo impianto di pirolisi7, da pannelli fotovoltaici integrati con la facciata storica e posti sulla copertura alla torre tecnologica e da una turbina eolica ad asse verticale come integrazione della torre. L’EC fornisce ai visitatori informazioni in tempo reale inerenti le diverse fonti energetiche attive, i dati della loro produzione, i consumi dell’edificio. Negli spazi espositivi vengono forniti approfondimenti di caratte-
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re multimediale sulle tecnologie e i processi di produzione di energia da fonti rinnovabili evidenziandone i vantaggi ambientali. L’up-cycling di questo edificio definisce prioritariamente le nuove funzioni e quindi poi le modalità progettuali del suo recupero. L’intervento vuole essere reversibile e adattabile nel tempo, sia nel rispetto tipologico dell’edificio, sia per operare in tempi successivi i necessari aggiornamenti tecnologici e funzionali. Questa concezione del C2C può inizialmente apparire una visione utopistica, ma in realtà promuove un processo innovativo per una progettazione sostenibile che concepisce l’edificio come un ecosistema naturale. ♦
NOTE 1 - Il Rapporto Brundtland è risultato del lavoro della Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo istituita nel 1983 dalla Nazioni Unite. 2 - Cradle-to-Cradle(C2C) è un approccio alla progettazione intesa come sistema che si ispira agli ecosistemi naturali ed introduce i concetti di metabolismo biologico e tecnologico. È stato presentato da M.Braungart e da W. McDonough nel 2002 nel libro “Cradle to Cradle remaking the way we make things”. 3 - Definizione di Economia Circolare da Ellen McArthur Fundation; 4 - Definizione della Legge della conservazione della massa di Antonie-Laurent Lavoisier. 5 - Servizi Ecosistemici: “i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano”, United Nations Millennium Ecosystems Assessment (2005) costituisce il fondamentale documento per il riconoscimento e la definizione degli ecosystems services. 6 - Biodiversità è la varietà degli esseri viventi che popolano la terra ed ha un ruolo fondamentale nel mantenere un equilibrio dinamico della biosfera contribuenti ai servizi ecosistemici. 7 - Pirolisi: processo di decomposizione termochimica di materiali organici in assenza di ossigeno per ottenere energia e calore avendo come sottoprodotto syngas (gas di sintesi) e residuo biologico. IMMAGINI 01 - Schema dell’economia circolare - Fonti:SUN, e McKinsey Center for Business and Environment, Diagram di Braungart&McDonough Cradle-toCradle(C2C). Immagine di Ellen MacArthur Foundation. 02 - Planimetria del sito industriale di Halle ed immagine dell’edificio oggetto del progetto di Upcycling. Immagine di A. Meneghelli. 03 - Metabolismo biologico e tecnologico del Cradle-to-Cradle. Immagine di Braungart & McDonough Cradle-to-Cradle (C2C). 04 - Render dell’ingresso all’Exceperience Centre e dell’interno. Immagine di A. Meneghelli. 05 - Studio dell’Upcycling della facciata storica esisteste. Immagine di A.Meneghelli. 06 - Schema assonometrico del concept dell’Experience Centre del C2C. Immagine di A. Meneghelli. BIBLIOGRAFIA - Braungart M., McDonough W.,”Cradle to Cradle remaking the way we make things”, Edito Vintage Book, 2002. - McDonough W., “Cradle to Cradle design” , TED talks, 2005. - Mulhall D., Braungart M., “Cradleto-Cradle® Criteria for the Built Environment” ,Drukkerij Knoops, 2010. - Mulhall D., Braungart M., Hansen K., “How to Plan a Big Beneficial Footprint, Guide to Innovation Tools for Cradle-toCradle- Inspired Value in Building Development” RSM, Technische Universität München & TUDelft, 2013. - Meneghelli A., “Upcycling an existing building: Experience Centre for Cradle-to-Cradle in Halle, Germany “, Unitn e TUM, 2014. - Ellen MacArthur Foundation ≥ - Grant,Gary Ecosystem Services Come to Town: Greeening Cities by Working with Nature, 2012. - United Nations Millennium Ecosystems Assessment reports ≥
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DECLINAZIONI
di Margherita Ferrari La fórcola è lo scalmo utilizzato nella gondola e nelle altre imbarcazioni venete in cui il vogatore rema in piedi, per poter avere una visuale e manovrabilità migliori. Da qui la necessità di creare uno scalmo utile a questo tipo di voga, con una conformazione asimmetrica, sul quale il remo potesse muoversi agevolmente da un punto di appoggio all'altro, in base al tipo di manovra da affrontare. La sua conformazione asimmettrica permette inoltre di poter procedere diritti vogando su un solo fianco. La fórcola dunque può racchiudere numerosi punti di appoggio, specifici per alcune manovre: tra i più articolati si ricorda ad esempio quella per gondola, in cui c'è il punto di partenza, quello per la voga lenta e nei canali stretti, quello invece per la voga più veloce, il punto di arresto, il punto per la voga all'indietro o quello per la voga con un altro vogatore a prua. Ogni fórcola inolre varia la propria configurazione anche in base alle caratteristiche stesse del vogatore, sia corporee che di voga; questo richiede una specifica lavorazione e un susseguirsi di fasi che definiscono man mano la forma scultorea della fórcola. Prima di tutto si selezionano le essenze di legno e i tronchi, ad esempio per la fórcola da poppa per gondola si impiegano trochi di noce, generalmente di 60 cm. I tronchi vengono tagliati in quarti, scortecciati e stagionati per circa due anni. Da ciascun quarto si ricaverà una fórcola, attraverso differenti lavorazioni che andranno a definirne man mano le dimensioni, l'ingombro e ogni singola curva. La prima lavorazione ad esempio serve per abozzare la forma della fórcola e si effettua con l'ausilio della sega a nastro e quella a telaio, quest'utlima serve in particolar modo per tracciare la testa. Per definire più precisamente la sagoma si impiega anche l'ascia, molto utile in particolari punti. Dopodiché inizia la modellazione della fórcola con i ferri a due manici, creando man mano ciascuna curva. Una fase di lavoro che richiama proprio l'idea di una lotta corpo a corpo tra la fórcola, chiusa in una morsa, e l'artigiano, che si muove attorno a lei, la osserva, la modella, la ruota.. Una volta definita, la fórcola viene lisciata e infine si effettuata la finitura in olio paglierino a più a mani. La fórcola è pronta per salire in barca. ♦
www.forcole.com ≥
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F贸rcola / f贸rkola / s.f.
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MICROFONO ACCESO L’atleta azzurro di paratriathlon racconta il viaggio per le Olimpiadi di Rio dopo l’oro conquistato a Chicago. Il segreto? Concentrazione e conciliazione. E Isabella.
Michele Ferrarin a cura di Mattia Cambi e Margherita Ferrari Mattia Cambi è laureato in Scienze delle attività motorie e sportive, presso la facoltà di Verona; è tecnico di triathlon e tecnico dello staff nazionale paratriathlon (FITRI); founder project Move your body. www.moveyourbody.it ≥ Margherita Ferrari è architetto e dottoranda di ricerca in tecnologia dell’architettura, Iuav, Venezia. e-mail: margheritaferrari27@gmail.com
Michele Ferrarin is 44 years old and he works in a large-scale retail trade company like administrative manager. He is married with Isbaella and he is father of Vittoria (12 years old) and Edoardo (9 years old). He is a sport enthusiast and this passion leads him around the world to cross several finishing lines; last examples are the London 2012 Paralympic Games and the world campionships in New Zeland (2012), in England (2013), in Canada (2014) and in the U.S.A. (2015). He always has been on the podium, between the first places. Thanks to these victories, he is qualified for the Rio de Janeiro 2016 Paralimpic Games. In this interview, Michele tell us his sport carrier and the travel towards world competitions, through the illness, and trainings, tranings and trainings!
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Michele Ferrarin ha 44 anni e lavora come responsabile amministrativo in un’azienda che si occupa di grande distribuzione. È sposato con Isabella e hanno due figli, Vittoria (12 anni) e Edoardo (9 anni). Si distingue per la sua passione sportiva, una passione che lo ha portato lontano tagliando traguardi importanti, a partire dalle Paralimpiadi di Londra 2012, i mondiali in Nuova Zelanda (2012), quelli in Inghilterra (2013), quelli in Canada (2014) e infine quelli negli U.S.A. (2015): sempre sul podio! E proprio questi ultimi lo hanno qualificato per le Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016. Siamo lieti di intervistare Michele, atleta della nazionale di paratriathlon, per conoscere il suo percorso sportivo, ma soprattutto la dedizione e la costanza che lo ha condotto a percorrere la strada in direzione Rio 2016. Puoi spiegarci qual è stato il tuo percorso per entrare in questo progetto paratrathlon? Ho praticato nuoto agonistico fino a circa 21 anni, con grandissima passione e dedizione; ranista, ho gareggiato per molti anni a livello nazionale. Poi ho conosciuto il mondo del triathlon che mi ha affascinato davvero molto; così per un’altra decina di anni ho continuato a fare sia nuoto (piscina ma anche acque libere) sia triathlon, ma tutto per puro divertimento, quindi allenandomi sì, ma per stare bene, con gli amici, non con l’impegno che richiede un vero agonismo. Da quando avevo 26 anni la mia disabilità, che deriva da una malattia neurologica progressiva, l’atrofia muscolare spinale, ha iniziato a farsi sentire sempre di più; ha praticamente disattivato/limitato alcuni muscoli del tronco, del braccio sinistro e in misura minore della gamba destra. Quindi faccio tutta la mia quotidianità usando un solo braccio; dal nuotare al vestirmi, al guidare l’auto o nell’impugnare il manubrio della bici. Sono arrivato al paratriathlon dopo una vita intera passata ogni giorno tra nuoto e triathlon, ed essendo la mia una disabilità acquisita in età adulta, ci sarebbero quindi due vite sportive da raccontare, una da normodotato e una da disabile. Nei successivi dieci anni ha iniziato a farsi sentire progressivamente la mia malattia, e ho dovuto adattarmi per riuscire a fare comunque quello che mi piaceva fare da sempre; finché, oramai prossimo ai 40 anni, grazie all’entusiasmo di mia moglie, ho portato a termine due Ironman, la gara più dura nel mondo del triathlon (Klagenfurth 2010 e Nizza 2011). Nello stesso 2011 mi è stata proposta quella che sarebbe stata la svolta, cioè la possibilità di gareggiare nel mondo paralimpico; prima nel nuoto e poi, a distanza di pochi mesi,
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anche nel triathlon. Con molta curiosità ho portato avanti queste due esperienze, quella del nuoto con obiettivo la partecipazione alle allora imminenti Paralimpiadi di Londra 2012, e comunque anche quella del triathlon perché si stava iniziando un percorso verso le Paralimpiadi di Rio 2016. Conciliare lavoro e sport richiede organizzazione e costanza: prevale qualcosa? Prima di tutto chiarirei lavoro, sport e famiglia. Conciliare tutto questo è senza dubbio la parte più difficile, il vero cuore dell’avventura. Riuscire a mantenere questo equilibrio necessita avere ben chiari quali siano le vere priorità e decidere cosa fare, ogni giorno; ho la fortuna di condividere tutto ciò con mia moglie che mi supporta al massimo. Ovviamente la famiglia e il lavoro hanno importanza primaria, quindi se sono tranquillo lì, posso esprimermi al meglio nello sport, che a questi livelli richiede dedizione, concentrazione e costanza. Poi devo considerare che mi alleno sempre da solo, anche due volte al giorno, quindi la concentrazione deve essere al top. C’è una gara che ti ha emozionato più di tutte? Faccio sport per passione e sono davvero tante le gare che per me sono state importanti. Potrei citare il primo triathlon su distanza olimpica che ho terminato, era il 2005, avendo però nuotato con un braccio solo, come i due ironman, esperienza pazzesca, o il mondiale Londra 2013, gara con pioggia e freddo ma poi con la bellissima cerimonia di premiazione a Trafalgar Square con l’inno di Mameli cantato da tutto il team Italia ma anche dai turisti italiani presenti in piazza, o ancora l’ultimo mondiale a Chicago dove la consapevolezza intima di aver lavorato bene e di vederne i frutti si è trasformata in fiducia ed entusiasmo per affrontare il percorso verso Rio 2016.
conciliare lavoro, sport e famiglia, è senza dubbio la parte più difficile, il vero cuore dell’avventura
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c’è ancora molto da fare, più come cultura generale che come attenzione da porre alla progettazione e realizzazione di strutture sportive e di altre infrastrutture accessibili
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E qualche gara ti ha deluso? Quando gareggio rappresento l’Italia, e nel mio piccolo lo faccio ogni volta con il massimo impegno e zero rimpianti; quando so di avere fatto il meglio delle mie possibilità mi do sempre una pacca sulla spalla. Poi chiaro che alle volte capitano delle gare che non vanno proprio come uno se le aspetta, ma ragionandoci a posteriori si trova sempre il motivo, l’importante è capirlo bene e aggiustare il tiro. C’è stato un momento nella tua carriera sportiva in cui hai esitato di te stesso, in cui temevi di non essere all’altezza? Sicuramente, è capitato spesso, direi ogni volta di fronte a qualcosa che all’inizio sembrava gigantesco, insormontabile. Capita anche durante il percorso quotidiano; non sono sempre in grado di sopportare tutto, certe volte sento il limite che mi soffia sul collo. Conta davvero tanto chi ti sta vicino. Quindi, tanto sacrificio e lavoro vero ma con intelligenza, poi i frutti si vedono, sempre. Un atleta del tuo livello, a maggior ragione della tua disciplina, si interfaccia con numerosi aspetti sportivi, dai materiali tecnici e gli strumenti, alla strutturazione meticolosa degli allenamenti. Ritieni che qualche settore dell’ambito sportivo debba essere migliorato e necessiti di maggiore ricerca? Da sempre tutto ciò che tocca lo sport è in continua evoluzione, materiale tecnico, metodologie dell’allenamento, alimentazione, integrazione, posizionamento sui mezzi, protesi, cura degli aspetti propriocettivi e posturali, ecc.; l’attenzione ai particolari, ad alti livelli, può fare la differenza tra salire o no sul podio. Secondo me non c’è qualcosa di prioritario che va studiato, direi che nell’insieme bisogna continuare nella ricerca di mezzi e metodi che migliorano la performance; nell’ambito dello sport per disabili poi, ogni situazione è diversa dalle altre e quindi sta molto alla sensibilità e bravura del binomio tecnico/atleta nel trovare le soluzioni efficaci. Credo invece che possa essere approfondito moltissimo lo studio scientifico della gestualità tecnica dei movimenti delle singole discipline e la loro applicazione nelle posizioni più efficaci per ottenere il massimo della performance.
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Negli ultimi anni l’architettura e la tecnologia si stanno sviluppando sempre più in termini di accessibilità: ad esempio le Paralimpiadi di Londra 2012 alle quali hai partecipato, sono state definite tra le più accessibili degli ultimi eventi di portata mondiale. Ritrovi questa accessibilità e attenzione nella tua quotidianità? È vero che Londra ha impresso una svolta nella percezione del grande pubblico del valore reale della “diversa abilità” degli atleti disabili; ovviamente tutta la struttura olimpica è stata resa completamente accessibile e tutto ma proprio tutto era predisposto per mettere gli atleti in condizione di dare il meglio di loro stessi, senza pensieri. Girando per il mondo con i miei amici della squadra mi sono reso conto che sono stati fatti passi avanti, quindi spero che la cultura della nostra e delle future generazioni possa ancora di più vivere una situazione di disabilità come una risorsa e non come un peso. Anche da noi la situazione sta migliorando, ma c’è ancora molto da fare, più come cultura generale che come attenzione da porre alla progettazione e realizzazione di strutture sportive e di altre infrastrutture accessibili.
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Hai praticato da sempre sport e ne hai fatto una tua “professione”. Quindi hai potuto vivere il mondo dello sport agonistico da normo (più precisamente quello del nuoto) e quello para: esistono secondo te delle distinzioni tra i due ambienti? Qui si va più sull’aspetto soggettivo. Lo sport disabile è sorprendentemente identico a quello normo, un universo parallelo; quando ho vissuto l’esperienza paralimpica a Londra 2012 il clima attorno a me era di estrema tensione, l’agonismo era a fior di pelle, lo si vedeva nelle espressioni degli atleti e dei miei avversari, non c’era nessuna differenza in termini di sentimento agonistico. Ci sono atleti che fanno solo quello, alcuni anche di mestiere, quindi è gente che si allena moltissimo come dei professionisti. Non essendo più un ragazzino, da tutte queste situazioni e da questi sentimenti ci sono già passato mille volte e per non so quante ho anche sbattuto la testa contro. Quindi oggi la cosa che mi “gasa” tantissimo è la piena consapevolezza di quello che sto vivendo, di quale 06
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da disabile acquisito, da genitore, vedo questi atleti, moltissimi giovani, che dal primo all’ultimo fanno delle cose semplicemente straordinarie
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fortuna ho, di quanto bella è la vita; in questi scenari subentra moltissimo la forza della mente e la capacità di capitalizzare l’esperienza. Poi da disabile “acquisito”, da genitore, vedo questi atleti, moltissimi giovani, che dal primo all’ultimo fanno delle cose semplicemente straordinarie, impensabili per uno che non le ha mai viste. Lo sport disabile porta con se un messaggio che è molto ma molto più vasto rispetto a quello normodotato; è un messaggio di riscatto che non ha paragoni perché porta con sé forza e fiducia interiori, rispetto, la personale vittoria sul sentimento di vergogna in cui ti verrebbe da rifugiarti, conquiste fatte con i propri scarsi mezzi. In questo senso le medaglie, i podi, i risultati agonistici possono anche perdere il loro valore, perché quello che rimane è il vero senso e mistero della vita stessa e del dovere che abbiamo di viverla dando il meglio di noi in ogni età e in ogni condizione. Ti ringraziamo molto e ti auguriamo il meglio per il tuo cammino verso l’olimpiade di Rio. Buona fortuna Michele! Io colgo l’occasione per ringraziare la mia famiglia, mia moglie Isabella che mi è sempre a fianco e che ha così tanto entusiasmo e fiducia in me da avermi insegnato parecchio, i miei figli che a loro modo, con le loro conquiste e con la loro semplicità, mi rasserenano lo spirito. Ringrazio anche tutti quelli che mi stanno dando una mano in questa bellissima avventura. ♦
08 IMMAGINI 01 - M. Ferrarin alla fine di una sessione di Ciclismo, sullo sfondo la splendida Chicago. Immagine di M. Cambi. 02 - M. Ferrarin sul gradino più alto del podio al Mondiale di Chicago 2015. Immagine di FITRI. 03 - Frazione Ciclismo nella Gara di Iseo. Immagine di FITRI. 04 - Team Italy a Madrid dopo le Premiazioni. Immagine di M. Cambi. 05 - M. Ferrarin e un compagno di nazionale rinfrescano i piedi nel Lago d Iseo dopo una seduta di Corsa. Immagine di M. Cambi. 06 - M. Ferrarin all uscita della frazione di Nuoto nel Campionato Italiano Riccione 2014. Immagine di FITRI. 07 - Team Italy con atleti e staff dopo la premiazioni dei Campionati Europei a Ginevra 2015. Immagine di M. Cambi. 08 - La bici di M. Ferrarin al centro di una pista di atletica leggera di accesso pubblico nell’area verde di Chicago. Immagine di M. Cambi. 09 - M. Ferrarin in uscita dall’acqua al Campionato Italiano di Riccione 2015. Immagine di M. Cambi. RINGRAZIAMENTI Fitri e lo staff federale ≥ Fisiatra dott. Pietro Picotti ≥ Bici Chesini ≥ Css piscine Montebianco ≥ Move your body ≥ Dott. Plotegher, Centro Ortopedico Trentino ≥
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CELLULOSA
a cura di
Con il vento in faccia
www.libreriamarcopolo.com ≥
Vento Paolo Pieri, Alessandro Giacomel, Diana Giudici. Illustrazioni di Valerio Vidali. Corraini Edizioni, 2015
Jack London La classica faccia da pugile Mattioli 1885, 2010
Come scrive Eduardo (Hughes) Galeano “Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare”. Vento è la storia di un progetto gentile, visionario ma concreto. Vento è una dorsale cicloturistica, un’infrastruttura leggera, da VEnezia a TOrino, lungo il grande fiume, il Po. Vento è una rianimazione sostenibile del paesaggio, a colpi di pedale un dialogo s’instaura tra spazio percorso e spazio abitato; la lingua è il bello dell’andare in bicicletta, come dice Marc Augé, tra tutti i mezzi di trasporto quello più a misura di territorio lento, dalla velocità dolce e che consente di entrare in intimità con quanto ci sta intorno. Vento è cicloturismo pedagogico che educa ai luoghi, alle genti, al senso di cittadinanza e, ancora, al paesaggio. Al di là dei segni amministrativi e delle competenze territoriali, il filo rosso del Po rende Vento un progetto culturale. “Passare lentamente e con continuità tra i luoghi consente a questi di divenire luoghi narranti e rappresentazioni in movimento”. Vento non è nato per stare da solo, altri pro-
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getti di nuove dorsali cicloturistiche si sono animati, per diventare filo continuo. Con spirito leggero e divulgativo, a cura degli architetti e urbanisti Paolo Pileri, Alessandro Giacomel e Diana Giudici, accompagnato dalle illustrazioni di Valerio Vidali e da numerose infografiche, Vento, edito da Corraini, è un percorso dal 2010 a oggi, in italiano e in inglese. Un lavoro di ridisegno “basso e nobile” del territorio locale e, verso “l’alto”, del dialogo con le istituzioni nazionali, del futuro che “non potrà più avere la forma dura e insostenibile del cemento e dei suoi effetti eccessivi e perversi”. Dorsale dopo dorsale la scala diventa planetaria e il pensiero non può non arrivare sino a Gilles Clément; in Giardini, paesaggio e genio naturale, edito da Quodlibet, il paesaggista racconta che con la nascita dell’ecologia, nasce anche un nuovo significato di limite, quello cioé di un pianeta finito e di un giardino planetario. Per preservarlo è necessario andare oltre le leggi del mercato e dello sviluppo illimitato. Per preservarlo il giardiniere ha bisogno di un “nuovo economista”, un assistente preparato e sufficientemente visionario da assecondare il genio naturale. ♦
a cura dei Librai della Marcopolo
Duncan Hamilton George Best, l’immortale 66thand2nd, 2015
Alessandro Lise e Alberto Talami Saluti e Bici BeccoGiallo, 2014
(S)COMPOSIZIONE
Alice Per quanto tempo è per sempre? Bianconiglio A volte, solo un secondo. Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, 1865.
Immagine di Emilio Antoniol
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