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OFFICINA* Bimestrale on-line di architettura e tecnologia N.12 mag-giu 2016 ISSN 2384-9029 Rivista consultabile e scaricabile gratuitamente su : www.officina-artec.com/category/publications/officina-magazine ≥

DIRETTORE EDITORIALE

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:

Emilio Antoniol

Associazione cantieri Teatrali Veneziani, Alberto Bertollo, Antonietta Casini, Massimiliano Ciammaichella, Chiara Dattola, Paola Fortuna, Manuela Rigon, Giulia Sacilotto, Francesca Vanzi,

COMITATO EDITORIALE

Isabella Vivaldi, Carlo Zanchetta, Chiara Zuliani

Valentina Covre Francesca Guidolin Daria Petucco Margherita Ferrari Valentina Manfè Chiara Trojetto

IMPAGINAZIONE GRAFICA Valentina Covre

REDAZIONE

TRADUZIONI

Filippo Banchieri

Anna Peron

Paolo Borin Libreria MarcoPolo PROGETTO GRAFICO Valentina Covre Margherita Ferrari Chiara Trojetto

EDITORE Self-published by Associazione Culturale OFFICINA* info@officina-artec.com

Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. ≥ L’editore si solleva da ogni responsabilità in merito a violazioni da parte degli autori dei diritti di proprietà intelletuale relativi a testi e immagini pubblicati.


Il re è nudo Fili, trame e tessuti sono frequentemente presenti nell’immaginario fantastico di fiabe, miti e leggende a dimostrazione di come il tessile sia un settore dalle antiche tradizioni ed essenziale per lo sviluppo della società umana. Nella mitologia greca, fili e tessuti sono spesso usati quali espedienti narrativi per il superamento di sfide o di prove d’abilità: basti pensare al filo di lana donato da Arianna a Teseo per ritrovare l’uscita dal labirinto del Minotauro, o alla celeberrima tela che Penelope tesse di giorno e disfa di notte, temporeggiando così alle incalzanti richieste di matrimonio dei Proci in attesa del ritorno del marito Ulisse. Il fuso per filare la lana fa da incipit alla fiaba La bella addormentata così come alla canzone medievale Malbrough s’en va-t-en guerr, da cui De André trae ispirazione per la sua ballata Fila la lana ≥ del 1974. Ma tessile vuol dire anche innovazione, tecnologia e sviluppo: i telai meccanici a vapore, motore della prima rivoluzione industriale, lo sviluppo delle fibre sintetiche, l’applicazione di tessuti in campi che esulano quello della moda come l’architettura, l’aeronautica e lo sport sono solo alcune delle molte sfide tecnologiche che i tessuti hanno saputo affrontare nei secoli e, di nuovo, sono fiabe e leggende a raccontarci di questa straordinaria trasformazione. In esse, abiti e tessuti sono spesso dotati di poteri magici e sovrannaturali. È cosi, ad esempio, che nella saga dei Nibelunghi un cappuccio rende Sigfrido invisibile ai nemici, che il tappeto di Aladino vola e che I vestiti nuovi dell’imperatore, fiaba danese del 1837 scritta da Hans Christian Andersen, sono così formidabili da cambiare forma e colore ogni giorno risultando però invisibili se indossati da stolti, ignoranti e stupidi, destino che tocca anche al vanitoso Re cantato

Chiara Trojetto

dagli Articolo 31 in Sputate al re ≥.


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N.12 mag-giu 2016 in copertina: Eleganza immagine di Chiara Dattola*

*Chiara Dattola vive e lavora a Milano. Lavora principalmente nel mondo dell’editoria. Vanta collaborazioni con magazines e quotidiani, agenzie di comunicazione e pubblicità, nonché con case editrici italiane e straniere. Dal 2007 è docente di illustrazione all’Istituto Europeo di Design di Milano. Nel 2015 è stata selezionata per il Creative Quarterly n.41. Ha illustrato interamente il calendario 2016 della rivista italiana Internazionale. chiaradattola ≥

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ESPLORARE Boccioni (1882-1916). Genio e memoria di Valentina Covre Steve McCurry. Senza confini di Valentina Manfè Venice Open Stage di Ass. Cantieri Teatrali Veneziani

TRAME introduzione di Valentina Covre Ardite trame di Valentina Covre Tessuti come storie di Francesca Vanzi Cosà&Così. Una maglia, quattro modi per indossarla di Antonietta Casini L’immagine in movimento di Massimiliano Ciammaichella Di tessuti e di altre storie di Emilio Antoniol Non omne qui nitet viridis est! di Isabella Vivaldi Creazioni Zuri: gioielli in carta di Chiara Zuliani e Manuela Rigon

40 PORTFOLIO

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Tessitura Renata Bonfanti a cura di Daria Petucco IN PRODUZIONE D’oro e seta di Emilio Antoniol

VOGLIO FARE L’ARCHITETTO Dalla città del tessuto, alla città in tessuto di Giulia Sacilotto e Alberto Bertollo


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IMMERSIONE Improvvisazioni manifeste di Paola Fortuna BIM NOTES Lost in Modeling di Carlo Zanchetta

70 DECLINAZIONI 72

Fibbia di Chiara Trojetto MICROFONO ACCESO Aires Mateus a cura di Francesca Guidolin

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CELLULOSA Pi첫 nero del nero a cura dei Librai della Marcopolo (S)COMPOSIZIONE Non stirare pi첫! di Valentina Covre

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ESPLORARE

Boccioni (1882-1916). Genio e memoria

Steve McCurry. Senza confini

Venice Open Stage

23 marzo 2016 - 10 luglio 2016 Palazzo Reale, Milano www.palazzorealemilano.it ≥

27 febbraio 2016 - 12 giugno 2016 Palazzo Spelladi, Pordenone www.stevemccurry.com/exhibitions ≥

2-13 luglio 2016 Campazzo San Sebastiano, Venezia www.veniceopenstage.org ≥

Continuerà fino al 10 luglio 2016 la mostra a

La nuova retrospettiva di Steve McCurry sarà pre-

Dal 2 al 13 Luglio torna Venice Open Stage,

Palazzo Reale intitolata Boccioni (1882-1916).

sente fino al 12 giugno presso la Galleria Harry

Festival Internazionale del Teatro delle

Genio e Memoria con la quale Milano celebra il

Bertoia di Palazzo Spelladi.

Università e delle Accademie organizzato

centenario della morte di uno dei protagonisti

Il fotografo statunitense non concepisce una vita

dall’associazione Cantieri Teatrali Venezia-

italiani dell’avanguardia futurista. La concomi-

senza il viaggio e senza la scoperta. La curiosità

ni con il supporto dell’Università Iuav di

tanza con il ritrovamento di una serie di do-

intelligente lo ha spinto negli anni a esplorare e

Venezia e del Comune di Venezia. Il festival

cumenti inediti su Umberto Boccioni negli ar-

perpetuare con la fotografia culture e civiltà in

si svolgerà in Campazzo San Sebastiano,

chivi della Biblioteca Civica di Verona, tra cui

tutto il mondo.

dove verrà montato un teatro all’aperto in

spiccano un atlante di immagini raccolte nei

Con questa mostra è la volta di Cuba. Secondo

grado di ospitare 200 persone, unico nel suo

diversi anni di attività e una rassegna stampa

McCurry le occasioni fortunate per scattare una

genere in città.

futurista costruita molto probabilmente con

buona fotografia si propongono, ma è necessario

Venice Open Stage nasce nel 2013 dall’inizia-

la collaborazione di Marinetti, ha permesso

cercarle con pazienza e costanza. Così quando

tiva di un gruppo di studenti ed ex-studenti

di rivivere le fasi della ricerca e il suo percorso

inizia un nuovo progetto è importante compren-

dei corsi di teatro dell’Università Iuav di

artistico attraverso una mostra che espone, ol-

dere subito la “storia” in modo da poter avere

Venezia. Nato dall’esperienza decennale

tre alle sue opere, i riferimenti (testi, immagini,

molto tempo per scattare; anche se spesso, dice,

del Laboratorio finale di teatro dello Iuav

disegni, dipinti, sculture), le influenze, le “ri-

le fotografie migliori sono quelle che si realizzano

tenuto dal regista Gigi Dall’Aglio, consoli-

flessioni grafiche” dell’artista: circa 280 docu-

durante il viaggio per arrivare. Il superamento dei

da la sua natura laboratoriale creando una

menti provenienti da musei e collezioni private

confini, la fiducia e la collaborazione diventano

vetrina europea dedicata ai giovani talenti

di tutto il mondo. L’ordine cronologico aiuta

elementi fondanti per la buona riuscita del lavoro,

teatrali. La particolarità di questo festival sta

a definire l’evoluzione espressiva di Boccioni

avere quindi un appropriato staff e riuscire a creare

nell’essere un luogo in cui studenti di recita-

fino alla svolta futurista, in una trasformazio-

empatia con le persone del luogo permettono di

zione di tutto il mondo possono incontrarsi,

ne che appartiene ai soggetti delle opere, alla

“arrivare”. Steve Mc Curry vive senza confini e

confrontarsi ed esibirsi davanti a un pubbli-

luce, ai tratti, ai colori, al senso del tempo e del

grazie ai suoi scatti permette ad ognuno di noi di

co, e allo stesso tempo essere un laborato-

movimento.

sentirsi parte del mondo.

rio unico in Europa dedicato agli aspetti

di Valentina Covre

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di Valentina Manfè

gestionali e tecnici di un evento dal vivo,


secondo la metodologia del learning by doing. In questi anni il palco del Venice Open Stage è stato lo scenario delle produzioni di varie compagnie: l’École du Théâtre National di Strasburgo, la Escola Superior de Teatro e Cinema di Lisbona, la Scuola Dimitri di Verscio, la Lituanian Academy of Music and Drama di Vilnius, l’Université ParisSorbonne di Parigi, la Aristotle University di Salonicco, la Sultan Idris University di Kuala Lumpur e la Tarbiat Moodares University di Teheran ma anche l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma la Scuola Paolo Grassi di Milano, l’Accademia Nico Pepe di Udine e la cittadina Accademia Teatrale Veneta. L’ultimo ingrediente fondamentale della ricetta Venice Open Stage è il suo pubblico, 7000 persone in tre edizioni, che in molti casi si è avvicinato al festival in modo attivo, aiutando lo staff a superare piccoli e grandi imprevisti, creando così un vero e proprio legame tra il Venice Open Stage e il luogo. Se sei uno studente universitario o diplomando delle scuole superiori e ti interessa collaborare con Venice Open Stage, attraverso uno stage o un tirocinio formativo, o se vuoi candidarti come volontario per realizzare questa 4^edizione, puoi scrivere a veniceopenstage@gmail.com.

di Ass. Cantieri Teatrali Veneziani

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T of textile, the environment that, since ages, weaves together materials,

a cultural heritage safeguard and transfer as well as of technical knowledge.

colours, tactile and technical perceptions with culture and the project. Im-

An expertise that the most broad-minded enterprises don’t give up keeping

aginary and actual space where experts related to the fashion world compare

it as reference in their activity, in a close dialogue with the most avant-garde

themselves: not only fashion houses, photographers, designers, enterprises,

process and product innovations; a heritage to be disclosed, to be archived

illustrators and publishers but also historians, economists, communicators,

with order and accuracy, to be transmitted through channels, networks (also

computer technicians. The territory being open to contaminations with “dif-

physical ones) as well as initiatives.

ferent” materials employed to design and create dresses and fashion ac-

T of “trame”. In Italian the word has a double meaning: one is “weave”

cessories, researches different ways to interact with the body. The context

and the other is “storyline”… not only textile “trame” (weaves) but also

that, precisely for these last reasons, over time presented itself in the form of

movie “trame” (storylines). For example they provide evidence of the weave

various inflections, through different “Modi” (meaning “ways”, the Italian

between items produced and the places or the persons that gave life to

word often juxtaposed to “Moda” meaning “fashion” in the titles of texts,

the same. Areas and buildings shaped on productive requirements that, in

exhibitions and events).

many cases, have now been transformed in urban and social nothingness.

T of technolog y, always more part and parcel of a sector that has been ca-

But also “trame” (stories) that allow to explore the fashion world by means

pable of becoming a test, innovation and technolog y transfer centre. A field

of new instruments, new shapes, new styles.

where the nanotechnologies’ application led to developing “again” highly

T of time, the time you now have to dedicate yourself to reading this issue.

performing fabric (water-repellent, antimicrobial, fire-resistant, UV raysresistant, stain-resistant, etc.). A field in which apparently distant disciplines, for example as medical science can be, benefit from the fibres’ direct manipulation , from the fabric’s integration with sensors for body functions distant-control, rehabilitating processes or pharmacological therapies. T of tradition, the one that takes us back not only to Yurta Mongolian “nomads” textile coverings suitable for these dwelling places’ impermanence, or to the always Asian Japanese architecture, but also the one referring to

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T

di tessile, l’ambito che da secoli intreccia materiali, colori, percezioni tattili e tecniche con la cultura e il progetto. Lo spazio fisico e immaginario in cui i professionisti legati al mondo del fashion si confrontano: non solo case di moda, fotografi, designer, imprese, illustratori ed editori ma anche storici, economisti, comunicatori, informatici. Tessile come il territorio aperto a contaminazioni con materiali “altri” per la progettazione e realizzazione di abiti e accessori e che ricerca differenti modalità di interazione con il corpo umano. Il contesto che proprio per questi ultimi motivi si è presentato, nel tempo, sotto forma di molteplici declinazioni, attraverso differenti “modi” (il termine italiano che più volte ha affiancato “moda” in titoli di testi, mostre ed eventi). T di tecnologia, sempre più parte integrante di un campo che ha saputo diventare sede di sperimentazione, innovazione e trasferimento tecnologico. Un campo in cui l’applicazione delle nanotecnologie ha portato allo sviluppo di tessuti altamente e “nuovamente” performanti tra cui gli idrorepellenti, gli antimicrobici, gli ignifughi, quelli resistenti ai raggi UV, gli antimacchia). Un campo da cui anche discipline apparentemente distanti, come ad esempio la medicina, traggono vantaggio dalla manipolazione diretta delle fibre o dall’integra-

zione di tessuti con sensori per il monitoraggio a distanza di funzioni organiche, per processi riabilitativi o per trattamenti farmacologici. T di tradizione, quella che ci riporta non solo alle coperture tessili delle “nomadi” Yurta mongole, appropriate alla temporaneità di tali abitazioni o alle architetture giapponesi ma anche quella che fa riferimento alla salvaguardia e al trasferimento di un patrimonio culturale e di conoscenze tecniche. Un bagaglio che le più illuminate aziende non rinunciano a tenere come riferimento nella loro attività in un dialogo stretto con le più spinte innovazioni di processo e di prodotto; un’eredità da divulgare, da archiviare in maniera ordinata, da comunicare attraverso canali, reti (anche fisiche) e iniziative. T di trame, non solo quelle tessili ma anche quelle cinematografiche, che documentano ad esempio l’intreccio tra i prodotti realizzati e i luoghi o le persone che ad essi hanno dato vita. Territori ed edifici plasmati sulle esigenze produttive che in molti casi si sono ora trasformati in vuoti urbani e sociali. Ma anche trame che permettono di esplorare il mondo della moda attraverso nuovi strumenti, nuove forme, nuovi linguaggi. T di tempo, quello da dedicare alla lettura di questo numero. ♦

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Chiara Dattola

di Valentina Covre


Ardite trame Storia, cultura e innovazione al lanificio Paoletti di Follina

Valentina Covre è architetto e Ph.D. in Tecnologia dell’architettura. e-mail: v.covre@gmail.com

A

di Valentina Covre Follina, le storie della lana e della tessitura iniziano molti secoli fa. Già dal nome il piccolo borgo rimanda all’attività della follatura1 dei panni di lana e lascia trasparire la lunga storia tessile di questo territorio; una storia che precede l’arrivo dei monaci

Cistercensi, stabilitisi nella valle nel 1146 circa, e sicuramente più antica dell’espansione economica medievale prima e cinquecen-

The history of wool and weaving began many centuries ago in Follina. The small village name refers to the full activity of woolen cloth and reveals this area’s long textile history where Lanificio Paoletti produces wool fabrics since 1795. It is one of the most interesting textile companies in Veneto, with a centuriesold experience and tradition. A story that the woollen mill Lanificio Poletti provides to the community through the event “La via della Lana” (along the wool road), designed by Paolo Paoletti and Danilo Gasparini, and now in its fourth edition. “Ardite Trame” (inventive weaves) was the theme chosen for the 2016 event. It led to Follina art, culture and entrepreneurship related to the fabric world. The wool mill work spaces were so open to visitors, enabling recovery dynamics and the sharing of values about the textile tradition.

tesca poi. La storia della lana a Follina continua nei secoli fino all’epoca recente con l’arrivo nelle valli venete di commercianti e imprenditori, italiani e stranieri, che portano ad inizio ‘800 alla costruzione di un vero e proprio polo tessile con quattro lanifici, cinque tintorie e quattro folloni da lana attivi nella zona di Follina. È a questo periodo, e precisamente al 1795, che risale la fondazione dello storico Lanificio Paoletti, una manifattura per la produzione a ciclo completo di filati e tessuti in lana cardata con sede proprio nel piccolo borgo trevigiano. Visitando l’azienda, è lo stesso complesso edilizio del Lanificio che lascia intravedere le stratificazioni che hanno caratterizzato i suoi oltre duecento anni di vita. Edifici di varie epoche, alcuni ancora in uso, altri trasformati in sale espositive o museali, vanno a formare quella che oggi è una delle realtà tessili più interessanti del Veneto, con il suo secolare bagaglio di conoscenze e tradizioni. Una cultura e una storia che il Lanificio mette a disposizione della comunità attraverso l’evento La via della Lana 2 , ideato da Paolo Paoletti e Danilo Gasparini, giunto quest’anno alla sua quarta edizione. Ardite Trame è stato il tema scelto per l’evento che ha caratterizzato i due weekend centrali di maggio 2016, portando a Follina arte, cultura e imprenditoria legate al mondo del tessuto. Gli spazi di lavoro del lanificio sono stati così aperti ai visitatori, attivando dinamiche di recupero e condivisione dei valori legati alla tradizione tessile. Tra botteghe temporanee e installazioni artistiche, per due fine settimana si sono succedute presentazioni e incontri sul tema

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è lo stesso complesso edilizio del Lanificio che lascia intravedere le stratificazioni che hanno caratterizzato i suoi oltre duecento anni di vita 02

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della lana, dalla sua filiera e delle sua storia, accompagnando il visitatore in un mondo antico e affascinante e riscoprendo, tra l’altro, l’archivio di campionari e documenti storici aziendali degli anni ’20, segnati dalla difficile ripresa postbellica ma caratterizzati da inedite scelte stilistiche e cromatiche, stimolo anche per la moda e il design contemporaneo. L’esposizione continua nel sottotetto, adibito dal secondo dopoguerra a magazzino filati e riaperto proprio in occasione dell’evento, dove sono ospitati I racconti delle finestre blu, un’opera site specific dell’artista Fabio De Meo, che dialoga con l’ar05

chivio intervenendo sullo strato di pittura blu dei vetri che aveva il compito di proteggere i filati dalla luce solare, preservandone così il colore. Il Lanificio Paoletti non è nuovo a questo tipo di attività. Negli anni sono state numerose le iniziative culturali sviluppate dal Lanificio tra cui si ricorda la ricerca del 2015 coordinata dall’Università Iuav di Venezia e finanziata dal Fondo Sociale Europeo dal titolo L’Archivio come fonte di innovazione e sviluppo del potenziale creativo ed economico nelle lavorazioni del tessile laniero. A conclusione della ricerca si è svolto il workshop Storytelling Storymaking che ha posto l’accento

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sulla contaminazione sensoriale delle percezioni, con la ricerca di forme innovative per raccontare la storia della manifattura tessile. Ma fare cultura vuol dire anche fare rete, innovare e trovare nuovi percorsi per superare le nuove sfide imposte dalla quotidianità. È così che l’evento Ardite Trame diventa l’occasione per lanciare il progetto Venice Textile Manufacturers, rete di cinque imprese venete del settore tessile che hanno visto nella cooperazione una nuova possibilità per il futuro. Con la partecipazione di Gruppo Sistema Moda Unindustria Treviso, le aziende Serica 1870, Maglificio Giordano’s, Manifatture Tessili Vittorio Veneto, Tessitura Bevilacqua di Venezia e Lanificio Paoletti si sono quindi presentate al pubblico con una nuova missione: valorizzare la tradizione e la cultura veneta

Ardite Trame è stato il tema scelto per l’evento che ha caratterizzato i due week end centrali di maggio 2016, portando a Follina arte, cultura e imprenditoria legate al mondo del tessuto

nel settore tessile, esaltarne la qualità imprenditoriale e rilanciare le possibilità di fare impresa dando valore economico al territorio e ai suoi abitanti. La manifattura tessile odierna si apre quindi verso nuovi scenari dove il fare rete e il mettere in comune esperienze, risorse e competenze da avvio a un percorso di innovazione dell’industria, del territorio e della sua comunità. ♦

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fare cultura vuol dire anche fare rete, innovare e trovare nuovi percorsi per superare le nuove sfide imposte dalla quotidianitĂ 09

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NOTE 1 - La follatura è un processo di finitura dei tessuti di lana che consiste nel compattare il tessuto attraverso l’infeltrimento per renderlo più compatto e in alcuni casi impermeabile. 2 - L’evento La via della Lana è organizzato dal Lanificio Paoletti e dalla Pro Loco Follina in collaborazione con Trento Film Festival, con il patrocinio del Comune di Follina e della Provincia di Treviso e con il supporto della Banca Prealpi Credito Cooperativo. IMMAGINI 01 - Una pagina dell’archivio storico in cui si affiancano i campioni di tessuto al disegno della trama. Immagine di Valentina Covre. 02 - Il dettaglio del fazzoletto realizzato all’interno di un workshop. Immagine di Martina Bernardi. 03/06 - Installazioni artistiche ospitate dagli spazi produttivi del lanificio Paoletti in occasione della quarta edizione de La via della Lana. 07 - Lo spazio del magazzino delle lane del lanificio attualmente operativo adibito, in occasione dell’evento, a spazi espositivi per artisti e designer. Immagine di Valentina Covre. 08 - Gli ambienti del lanificio ospitano conferenze e dibattiti sul tema, coinvolgendo professionisti del settore, rappresentanti di categoria, designer, aziende. Immagine di Nico Covre. 09 - Cartella colori filati Harrys. Immagine di Martina Bernardi. 10 - Campioni di lana colorata in attesa di essere filati. Immagine di Valentina Covre. LINK UTILI La Via della Lana - www.laviadellalana.it ≥ Lanificio Paoletti - blog.lanificiopaoletti.it ≥

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Tessuti come storie Progettare in una scuola italiana di moda

Francesca Vanzi consegue la laurea triennale in Design della Moda a settembre 2015 con una tesi progettuale sulla sua collezione “Xylography. Dresden, 1905”. Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Arti visive e Moda, curriculum Moda, all’Università Iuav di Venezia. e-mail: vanzifra@gmail.com

T

di Francesca Vanzi rame di tessuto, parole e immagini in un percorso universitario che combina l’approccio pratico e la riflessione sulla moda: studiare allo Iuav significa progettare, avere un contatto diretto con i materiali e le tecniche ma soprattutto significa scoprire,

attraverso la teoria e la pratica, la propria identità creativa. Ci troviamo a Venezia, città sede della Biennale, all’interno di un

Fabric textures, words and images in a university program that combines the practical approach and a consideration on fashion design: studying at Iuav University of Architecture means designing and being in direct contact with materials and techniques; but above all it means discovering, through theory and practice, a personal creative identity. In October 2015, after the three-year degree, I enrolled in a master. During these four years I spent at Iuav, I learnt what it means to work with images, weaving histories, creating imaginaries. I learnt that touching fabrics helps to have and to develop a vision on fashion, a personal point of view. I identified three projects, that are three workshop results, presented in exhibitions set up by students between 2012 and 2014. I chose them because they represent the plots woven by Iuav in collaboration with some production companies.

ateneo dove l’insegnamento universitario e la ricerca nel campo dell’architettura, del design, della cultura visuale vanno di pari passo. Allo Iuav Moda l’abito è concepito come uno spazio abitato dall’uomo. Durante l’insegnamento in Storia e teoria della moda con la docente Alessandra Vaccari, ne affrontiamo la valenza culturale e la capacità di raccontare un’epoca in profondità: non semplice oggetto di uso pratico e quotidiano ma testimonianza di fattori antropologici. Partendo da riflessioni di questo tipo ci interroghiamo sulla nostra contemporaneità, sul significato del nostro modo di vestire e sulle sue origini, sulle esigenze e la funzionalità. Impariamo, in questo modo, a riflettere sulla moda come sistema culturale, come strumento utile alla comprensione di ciò che accade nel mondo. Durante il Corso di laurea triennale in Design della moda si affrontano diversi metodi di progettazione e sviluppo di una collezione, sia di abito che di accessori. Ogni studente dispone di conoscenze e mezzi per poter realizzare individualmente la propria capsule collection. Il Corso di laurea magistrale in Arti visive e Moda comprende anche un insegnamento di moda maschile e di maglieria, con laboratori sperimentali dove l’insegnamento tecnico dell’utilizzo delle macchine è affiancato a quello progettuale, che parte non più dal tessuto in trama e ordito, ma dai filati. A ottobre 2015, dopo la laurea triennale, mi sono iscritta alla magistrale. In questi quattro anni passati nelle aule dello Iuav ho imparato cosa significa lavorare per immagini, tessere storie, crea-

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all’interno del chiostro dell’ex convento di Santa Caterina a Treviso i materiali dell’archivio Paoletti e i progetti degli studenti comunicano attorno ai quattro lati dello spazio, veicolati dai percorsi ortogonali del giardino, come in un sistema di trama e ordito

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re immaginari. Ho imparato che toccare i tessuti, saperli cucire,

cuni professionisti della moda italiana contemporanea, diversi per

maneggiare, sconvolgere, aiuta ad avere e sviluppare una propria

formazione e ruolo. Appuntamenti come questo, che permettono

visione sulla moda, un personale punto di vista, anche per chi non

un confronto diretto con fashion designer, fotografi, stylist, giornalisti,

è particolarmente interessato alla parte pratica.

sono molto utili e interessanti. L’Italia è di moda si inserisce all’inter-

Ho cercato di sperimentare più cose possibili: nel corso del se-

no di Fashion at Iuav, l’evento che celebra la conclusione dell’anno

condo anno dal laboratorio di abito sono passata al laboratorio di

accademico con il graduation show e comprende mostre e installazio-

accessori, sviluppando molte competenze attraverso l’utilizzo di

ni con i risultati delle attività progettuali e di ricerca. Fashion at Iuav

materiali eterogenei e degli strumenti per lavorarli. L’anno succes-

è un momento speciale in cui noi studenti possiamo presentarci e

sivo ho svolto il mio stage curriculare in un laboratorio di maglieria

presentare il nostro modo di lavorare, dentro e fuori le mura scola-

di ricerca a Firenze, Boboutic, fondato dai designer Michel Bergamo

stiche. È un lavoro di squadra e un primo importante dialogo con

e Cristina Zamagni, parte del corpo docente dello Iuav Moda ed

il mondo esterno.

esponenti della nuova generazione di fashion designer italiani come altri insegnanti del corso: Mariavittoria Sargentini, Fabio Quaran-

Ho individuato tre progetti, esito di altrettanti workshop, presentati

ta, Arthur Arbesser.

in mostre curate e allestite dagli studenti tra il 2012 e il 2014. Li ho

La magistrale prevede un percorso formativo più libero rispetto

scelti perché rappresentano gli intrecci e le collaborazioni tessute

alla triennale, attraverso la pianificazione individuale del corso di

dalla scuola con le realtà produttive. Il tema dell’archivio è il mini-

studi. È l’unione dei due indirizzi, Moda e Arti visive, a permettere

mo comune denominatore di queste esperienze.

l’interdisciplinarità. Sono numerose le collaborazioni con aziende, istituzioni, fondazioni, musei e la didattica viene continuamente

Storytelling Storymaking

integrata con un’intensa programmazione di conferenze, workshop,

È una mostra presentata in occasione di Fashion at Iuav nel 2014 a

mostre, partecipazioni a concorsi e progetti editoriali. A luglio

cura di Martina Bernardi e raccoglie gli esiti di un workshop che

2015 ho partecipato a L’Italia è di moda, un ciclo di incontri con al-

coinvolge gli studenti del Corso di laurea triennale e del Corso di

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laurea magistrale. L’intento è individuare dei percorsi di narrazione

cura di Maria Cristina Cerulli con Martina Bernardi. All’interno

della storia del Lanificio Paoletti di Follina, attraverso l’analisi e la

sono presentati i lavori di dieci laureati in Design della moda, esiti

rielaborazione del suo archivio. Il titolo della mostra si riferisce

di un workshop nato all’interno di una ricerca più ampia intitolata

ai due livelli di esplorazione. La parte di storytelling, a cura degli

Textile and Fashion Hub: come estendere il ciclo di vita di tessuti e altri ma-

studenti della magistrale, racconta attraverso la scrittura, la rappre-

teriali della moda.

sentazione grafica e tridimensionale, la realtà e la storia dell’azienda

All’origine della mostra c’è la necessità di far comunicare attiva-

Paoletti, partendo dall’esperienza sensoriale suscitata dal passare

mente due realtà: l’Università e il mondo delle imprese, entrambe

una giornata all’interno del lanificio. La parte di storymaking, a cura

tese a indagare il rapporto fra innovazione e forme di utilizzo con-

degli studenti della triennale, consiste in una rilettura in chiave

sapevole delle risorse. La mostra comprende uno scambio di rifles-

contemporanea dei materiali presenti nell’archivio aziendale e

sioni e studi legati al recupero degli archivi storici d’impresa e alla

un’analisi delle informazioni e impressioni assorbite dalla parte

loro valorizzazione come patrimonio di esperienze e conoscenze

di storytelling. Questo secondo livello si concretizza sotto forma di

tecniche, utile alla produzione di opere e attività contemporanee.

progetti di design della moda e del tessuto capaci di raccontare il

La collaborazione tra Iuav Moda e, nuovamente, il Lanificio Pao-

prodotto del lanificio ma anche di innovarlo, aprendo a un nuovo

letti di Follina, testimonia la volontà di stabilire una connessione

percorso di ricerca sul tessuto. All’interno del chiostro dell’ex con-

tra il territorio della ricerca e i temi dell’impresa.

vento di Santa Caterina a Treviso i materiali dell’archivio Paoletti

Il lanificio partecipa mettendo a disposizione le rimanenze del pro-

e i progetti degli studenti comunicano attorno ai quattro lati dello

prio magazzino, scarti di produzione accomunati dalla caratteristi-

spazio, veicolati dai percorsi ortogonali del giardino, come in un

ca di essere stati rifiutati dai committenti a causa di errori intercor-

sistema di trama e ordito.

si durante la fase di realizzazione. Gli studenti-designer utilizzano come punto di partenza l’errore, il motivo del rifiuto delle varie

Refuso tessile. Archivio, riciclo e procedure progettuali

pezze, utilizzandolo ed evidenziandolo come qualità distintiva. Il

È una mostra presentata in occasione di Fashion at Iuav nel 2013 a

materiale scartato viene rimesso in circolo attraverso una riflessio-

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all’origine della mostra c’è la necessità di far comunicare attivamente due realtà: l’Università e il mondo delle imprese, entrambe tese a indagare il rapporto fra innovazione e forme di utilizzo consapevole delle risorse

ne che ne rivalorizza le sue caratteristiche. I progetti del workshop

da questo oggetto, dalla sua struttura avvolgente e modellabile e

sono accompagnati, in mostra, dalla biografia delle pezze di tessu-

dalla sua storia. Dopo aver costruito un grande moodboard collet-

to, dalla storia della loro vita precedente, mostrando in alcuni casi

tivo, gli studenti elaborano il proprio tema progettuale, a partire

anche il capo realizzato dal cliente con il tessuto corretto, prodotto

da quattro percorsi: “abitazione identità”, “materiale lana”, “archi-

in seguito all’individuazione dell’errore nella pezza scartata.

vio vivo memoria”, “modulo rettangolo”. Alcuni decidono di non

La mostra restituisce la complessità di un processo produttivo che

modificare il modulo geometrico della coperta, altri intervengono

parte dall’ideazione fino ad arrivare alla realizzazione, passando

attraverso tecniche sartoriali. Predomina il color carne che ha ori-

attraverso ostacoli ed equivoci e porta, indirettamente, a riflettere

gine dall’interpretazione della coperta come seconda pelle. Under

sugli strumenti utili e necessari per una buona comunicazione tra

the Cover dà la possibilità di mettere in contatto un marchio storico

azienda tessile e cliente.

del tessile-abbigliamento con la creatività dell’ambiente universitario, collegando passato e futuro, tradizione e innovazione. La

Under the Cover È un progetto articolato in un workshop e in una mostra ospitata per la prima volta nel 2012 nello spazio espositivo del Lanificio Conte a Schio. La ricerca parte da una riflessione sugli archivi aziendali di Lanerossi, una delle imprese tessili che hanno fatto la storia dello sviluppo industriale del Veneto e poi dell’Italia. Gli studenti, durante la visita alla sede di Schio, fotografano i documenti d’archivio, raccolgono il materiale iconografico utile per la fase progettuale del workshop e ascoltano le testimonianze di ex dipendenti dell’azienda. L’indagine ha permesso di individuare un oggetto simbolo di Lanerossi: la coperta. Il workshop prende avvio

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mostra, ripensata nell’allestimento, è stata ospitata negli spazi della Biblioteca Nazionale Marciana a Venezia nel 2013. ♦


IMMAGINI di Francesco de Luca. Il testo è accompagnato dal servizio fotografico Last Embrace, selezionato dall’archivio di Iuav Moda, realizzato da Francesco de Luca nel 2013 con gli studenti del Corso di laurea magistrale.

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Cosà&Così. Una maglia, quattro modi per indossarla Antonietta Casini è product e communication designer. Conduce una ricerca tra design e pedagogia nata con l’autoproduzione e la collaborazione con aziende. Segretario di ADI Emilia Romagna. e-mail: info@antoniettacasini.com

È

di Antonietta Casini a partire dalle osservazioni condotte su mio figlio che ha preso vita il progetto delle maglie-gioco Cosà&Così. Poco prima dei tre anni ho iniziato ad accompagnarlo in un percorso verso l’autonomia nel vestirsi. Ho trascorso mattinate infinite a documen-

tare e prendere appunti sul suo modo di rapportarsi al capo di abbigliamento utilizzando tutto il corpo: con le mani, con i piedi,

Cosà& Così. A clothing project starting as a collection of design objects: few pieces, executed in an artisan way in Italy, having an educational idea as basis. Thanks to a an observation work on children and their relation with clothes, Cosà&Così is created: a series of reversible play-pullovers that can be worn in four different ways, having abstract-shaped pockets supporting children’s narrative potential. A way to win autonomy in dressing oneself, in an instructive and amusing way, an outfit born for and together with children.

con le gambe, con la testa. Mi ha colpito la sua fascinazione per l’oggetto maglia in sè, oggetto per me scontato, semplice, funzionale e invece pieno di suggestioni per lui. Tutti quei buchi, grandi, piccoli, quel tessuto morbido e leggermente elastico che si adatta a essere deformato, a prendere la forma delle parti di corpo che lo indossano e poi il dentro e il fuori, il dritto e il rovescio, un universo da scoprire. Ho iniziato a riflettere su come poter intervenire su una maglietta per renderla più adatta ad accompagnare le sue esplorazioni ludiche. Insieme a un team di educatori – Chiara Di Palma, Giuseppe Vitale, Licia Trolli - con cui avevamo già esplorato il concetto di tasca e le sue possibilità di applicazione, ho maturato l’intuizione della reversibilità. Il dritto e il rovescio di una maglietta sono aspetti difficile da comunicare ad un bimbo piccolo. Quale interesse può avere per un bambino di pochi anni il dritto di una maglia? Probabilmente è l’aspetto meno affascinante e curioso dell’abito. Semplificando le linee e lavorando di sottrazione ho raggiunto una linea essenziale, in cui le differenze tra dritto e rovescio e tra davanti e dietro non esistono più. Le cuciture sono diventate un motivo di finitura, ho lavorato contrastando il colore. E le tasche sono diventate applicazioni, in modo da potere essere utilizzate sia da dentro che da fuori. Grazie alle loro forme astratte accolgono aperture grandi o piccole, in modo da offrire sia la possibilità di inserire oggetti o parti del corpo, che la possibilità di giocare con le dita. Mi è tornato alla mente il divertimento che provavo da piccola quando una

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il dritto e il rovescio di una maglietta sono aspetti difficile da comunicare ad un bimbo piccolo. Quale interesse può avere per un bambino di pochi anni il dritto di una maglia?

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tasca dei pantaloni si rompeva e io trascorrevo ore a giocare con il dito

proprio non ci voleva, basta girarla e tutto scompare. Vuole essere

nel foro che si era creato; parlando con altre mamme ho raccolto storie

soprattutto un capo pensato per i bambini, con i bambini, rispetto-

di bambini che amano buchi di lenzuolini, buchi nei pupazzi, buchi

so del loro modo di vedere le cose, di esplorarle.

nei vestiti. Questo è diventato un ulteriore elemento di progettazione.

Sempre più spesso vediamo abiti da bimbo come miniature di abi-

Ho elaborato alcuni soggetti astratti, ispirandomi alle forme d’aria,

ti da adulti, vediamo bambine e bambini atteggiarsi da modelli,

d’acqua e di terra. Blu Bolla fa pensare al mare, a storie di pesci

vediamo bambini con guardaroba da divi. Certamente l’abito ha

grandi affamati e di piccoli pesci furbi che sopravvivono a tutti

un’importanza fondamentale nella costruzione dell’identità del

i pericoli; Bruno lento fa pensare alle lumache, agli incontri con le

bambino e questo spiega anche la loro grande attenzione ai dettagli

forme di vita lente degli orti o del sottosbosco; Rosa soffio fa pensare

dell’abbigliamento. Inquadrato in quest’ottica l’abbigliamento di-

alle farfalle, alla delicatezza di ali primaverili e lievi.

venta un ulteriore fattore di affermazione di quel fenomeno dell’a-

Ogni maglia porta una storia, anzi, tante storie, tante quante sono i

dultismo che porta a precorrere esperienze, atteggiamenti, sensa-

bambini che hanno voglia di vedere qualcosa, che sanno immaginarsi

zioni, negando di fatto il diritto pieno all’infanzia, con limitazioni

un mondo a partire da una maglietta. Ogni maglia ha una sua identità,

ulteriori per le bambine che sempre più sono soggette alle pressioni

come membro di una famiglia. Vorrei che ogni bimbo potesse affezio-

dettate dai canoni della bellezza e dell’immagine, veicolati da mo-

narsi a questa maglia come a un oggetto speciale, come a un gioco o a

delli stereotipati che limitano il diritto all’individualità e alla gioia

un libro e che potesse mantenere un ricordo indelebile.

di essere semplicemente se stesse.

Per la realizzazione ho cercato di lavorare con materiali naturali,

Se è vero che nulla può farci sentire bene come un bell’abito in cui ci sen-

cotone, cotone organico e fibra di bambù, ma nella mia ricerca ho

tiamo a nostro agio, è anche vero che un eccesso di attenzione al capo di

incontrato anche la fibra di soia e di latte. Per la confezione ho

abbigliamento può diventare un’ossessione ed essere vissuto come una

trovato un’artigiana di altri tempi nel carpigiano che, nonostante la

prigione invece che come un’opportunità: non gioco perché non voglio

giovane età, lavora con la stessa attenzione, cura e passione di mia

sporcare il vestito, non posso correre perché se cado posso strappare

mamma nel farmi gli abiti da piccola, utilizzando l’esperienza ac-

l’abito nuovo, non posso arrampicarmi perché rovino la gonna.

quisita lavorando per alcuni anni per una confezione per bambini.

Cosà&Così vuole essere un oggetto di sensibilizzazione per ricor-

Cosà&Così vuole essere un invito al gioco, un modo per avvicinar-

darci che è sano vestire i nostri bambini con abiti adatti al gioco,

si all’autonomia del vestirsi da soli senza bisogno della mamma che

semplici, che possano essere indossati facilmente, che si possano

insegna qual è il davanti e qual è il dietro della maglietta. Ma può

sporcare. Perché il diritto al gioco e a vivere la propria infanzia in

anche essere un modo per risolvere una macchia di gelato quando

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modo pieno viene prima di tutto. ♦


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IMMAGINI di Antonietta Casini 01 - Mi vesto da solo e mi diverto. 02 - Cosa posso fare con una maglia? Esplorazioni tra gioco e corpo. 03 - Mi vesto da solo e mi diverto. 04 - C’è una tasca sulla schiena! 05 - Cosà&Così Blu Bolla. 06 - Esplorazioni di gruppo. LINK UTILI www.antoniettacasini.wordpress.com ≥

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L’immagine in movimento Origine e sviluppo del Fashion Film

Massimiliano Ciammaichella è Professore Associato in Disegno, Università Iuav di Venezia, DPPAC - Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi. e-mail: ciamma@iuav.it

L

di Massimiliano Ciammaichella e ragioni di una pratica filmica, che per sua stessa natura tende a svincolarsi da ogni forma di etichetta riconducibile al genere, vanno rintracciate nelle modalità attraverso le quali i protagonisti della moda costruiscono immaginari e veicolano storie non necessariamente

lineari, collocandole nei canali web più opportuni come ad esempio Youtube e Vimeo. Così il fashion film si identifica come una forma di

This article describes how fashion film arose as a communication device with which today’s leading fashion designers construct imaginaries and convey stories, not necessarily linear, in the form of a short and immediate language, made of images in motion. Fashion design mixes and uses different media to communicate the project, from the static or dynamic image to the direct experience of the catwalk, that later evolved into the fashion show. It is within this latter context that fashion film made its earlier appearances. The main investments in this powerful medium are made by photographers and, among them, Nick Knight stands out: together with the graphic designer Peter Saville he established in 2002 the SHOWstudio, a website conceived as an interactive magazine. Fashion film may also lack a narrative plot, turning itself into a sort of visual hypertext, capable of dynamically fixing the most eloquent image of the subject which interprets and identifies itself with its clothes.

linguaggio breve e immediata, fatta di immagini in movimento che non necessariamente documentano gli esiti di una collezione e il suo principio ispiratore, poiché le modalità di racconto sono libere e i formati spaziano dal promo di una sfilata al videoclip, allo spot pubblicitario, al video sperimentale e in genere la sua durata oscilla fra il minuto e il quarto d’ora. Ma differentemente dalle grandi produzioni per noti marchi del lusso, come Dior e Chanel1 dirette rispettivamente da David Lynch e Martin Scorsese, i fashion film possono connotarsi per una precisa assenza di narrazione, del tutto funzionale alle modalità con le quali lo spettatore si relaziona con questa tipologia di video digitale fruibile in internet e, come afferma Nathalie Khan2, il flusso di immagini non lo limita all’osservazione passiva della progressione cinematografica, ma lo rende attivo perché può scegliere di soffermarsi su specifici fotogrammi o sequenze differenti. Allora il fashion film diventa una sorta di ipertesto visuale, capace di fissare dinamicamente l’immagine più significativa del soggetto che interpreta e si identifica nell’abito che indossa, ancor più della fotografia che, a partire dagli anni ’70 in poi, ha consolidato un rapporto diretto con il cinema, costruendo rappresentazioni dedite alla sintesi del movimento attraverso fotogrammi che paiono estratti da un’azione temporale prestabilita3. Del resto la moda utilizza e mescola differenti medium per comunicare il progetto, passando liberamente dall’immagine, statica o dinamica che sia, all’esperienza diretta della sfilata evolutasi nel fashion show. È proprio all’interno di quest’ultimo che il fashion film fa le sue prime apparizioni. Sono i fotografi a investire su questo potente mezzo

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e fra tutti spicca Nick Knight che nel 2000 fonda assieme al grafico Peter Saville la piattaforma SHOWstudio4: un sito web pensato come magazine interattivo, così lo descrive Marketa Uhlirova5, perché offre un punto di vista preferenziale sul complesso universo della moda, intersecando molteplici linguaggi espressivi e puntando su un’idea di immagine in movimento che si interroga sui concetti di tempo, suono, dinamiche del corpo e dell’abito, spingendo sempre più i direttori

il fashion film diventa una sorta di ipertesto visuale, capace di fissare dinamicamente l’immagine più significativa del soggetto che interpreta

creativi a restituire in video le loro collezioni, tanto che designer come Gareth Pugh prediligono il fashion film all’esperienza diretta della sfilata. La sua collaborazione continua con Ruth Hogben, videomaker di straordinario talento, gli permette di maturare un’inconfondibile linea di stile per la quale il racconto in video non necessita di alcuna esigenza narrativa e questa, come afferma Maria Luisa Frisa6, garantisce al designer il totale controllo di ciò che vuole esprimere. Nel 2011, in occasione di Pitti Immagine, fa il suo debutto in Italia presentando a Firenze la collezione donna primavera/estate, con un fashion film proiettato su una superficie che occupa le volte della chiesa di Orsanmichele. L’appropriazione armonica del contesto è denunciata sin da subito dalla scelta del punto di vista, attraverso il quale fruire di questo video mapping che dilata la percezione dello spazio aprendosi allo sfondato prospettico di un’architettura in bianco e nero, dipinta digitalmente. Fa una breve apparizione, poi sparisce nel buio, per cedere il posto alle

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fugaci apparizioni di corpi ripresi dal basso che ci guardano incuriositi e fluttuano sui contrasti del nero vuoto; li segue una nuvola blu rossastra che finalmente si apre alla limpida sequenza degli outfit indossati dalla celebre modella Kristen McMenamy. Qui i singoli movimenti del corpo diventano sequenze ripetute o invertite, per ricreare una continuità ritmica che sovrappone diacronicamente la moltitudine dei fotogrammi impartiti dalla singola azione scenica, omaggiando la cronofotografia di Jules Marey in una coreografia comandata dal montaggio video e in perfetta sincronia con le musiche di Matthew Stone. La danza digitale alterna echi del corpo, come fossero veri e propri riflessi delle stesse azioni della protagonista, si ripetono in un caleidoscopio di forme animate che astraggono l’osservatore per consentirgli una pausa, in modo tale da fissare l’immagine più rappresentativa dell’intera esperienza. Questo può spiegare perché, quando si parla di fashion film, ci si confronta con la grammatica di un’immagine in movimento che per forza di cose non può prescindere dalla fotografia. È il suo stesso fruitore a poterla ricomporre ed eventualmente apprezzarla, ritrovando in essa una certa empatia con le proprie logiche vestimentarie, del resto le differenze fra i fashion victim e i fashion addict in questa sede non vanno spiegate. Se la moda è il sismografo dei mutamenti e delle persistenze del tempo presente, può dettare le regole dell’imminente divenire innestandosi nei canali di comunicazione più idonei ai soggetti che vuole coinvolgere, senza farsi alcun ritegno. Ciò spiega la perfetta operazione di marketing proposta da Nicola Formichetti, direttore creativo di Mugler, nel momento in cui presenta Brothers of Arcadia, un fashion film che deve promuovere la collezione uomo primavera/estate 2012. Decide sapientemente di affidarsi agli strumenti della comunicazione virale quando sceglie di pubblicarlo nel noto canale web del porno, XTube, perché la dimensione del sexy nulla ha a che vedere con la pornografia ma qui la visualizzazione dei più è pressoché assicurata dal loro voyerismo. Quindi la moda sa perfettamente come e dove agire, contrariamente a chi continua a definirla una disciplina effimera, certo non priva di ombre, e come afferma la guru dei fashion blog, Diane Pernet7: “Il fashion film rappresenta il futuro di come vivremo la moda negli anni a venire. Con immediatezza, dinamicità, bellezza e coinvolgimento”. ♦

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se la moda è il sismografo dei mutamenti e delle persistenze del tempo presente, può dettare le regole dell’imminente divenire


NOTE 1 - Lady Blue Shanghai (2010) e Bleu de Chanel (2010). 2 - Nathalie Khan, “Cutting the Fashion Body: Why the Fashion Image Is No Longer Still”, in “Fashion Theory”, 2012, vol. 16, Issue 2, pp. 235-250. 3 - Si veda ad esempio il lavoro dei fotografi Guy Bourdin ed Helmut Newton. 4 - www.showstudio.com. ≥ 5 - Marketa Uhlirova, “100 Years of the Fashion Film: Frameworks and Histories”, in “Fashion Theory”, 2013, vol. 17, Issue 2, pp. 137-158. 6 - Maria Luisa Frisa, “Modarama: Lo schermo della moda”, in “Milano Design Film Festival”, 2015, pp. 57-58. 7 - Giorgia Cantarini, “Parigi non si arrende: al Centre Pompidou, il fashion film festival di Diane Pernet trionfa”, 9/12/2015 (www. huffingtonpost.it ≥). IMMAGINI di Ruth Hogben. Fotogrammi estratti dal fashion film della collezione di Gareth Pugh, Pitti Immagine #79, 2011 (www.showstudio.com ≥). BIBLIOGRAFIA - Bartlett D., Cole S., Rocamora A. (edited by), “Fashion Media. Past and Present”, Bloomsbury, London, 2013. - Bruzzi S., Church Gibson P. (edited by), “Fashion Cultures Revisited. Theories, explorations and analysis”, Routledge, London and New York, 2013. - Frisa M. L., “Le forme della moda. Cultura, industria, mercato: dal sarto al direttore creativo”, Il Mulino, Milano, 2015. - Frisa M. L., “Modarama: Lo schermo della moda”, in “Milano Design Film Festival”, 2015, pp. 57-58. - Geczy A., Karaminas V., “Fashion’s double. Representations of Fashion in Painting, Photography and Film”, Bloomsbury, London, 2015. - Khan N., “Cutting the Fashion Body: Why the Fashion Image Is No Longer Still”, in “Fashion Theory”, 2012, vol. 16, Issue 2, pp. 235-250. - Machin D. (edited by), “Visual Communication”, de Gruyter GmbH, Berlin, 2014. - Munich A. (edited by), “Fashion in Film”, Indiana University Press, Bloomington, 2011. - Uhlirova M., “100 Years of the Fashion Film: Frameworks and Histories”, in “Fashion Theory”, 2013, vol. 17, n. 2, pp. 137-158.

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Di tessuti e di altre storie La Prato di Teresa Paoli

Emilio Antoniol è architetto Ph.D. in Tecnologia dell’architettura. e-mail: antoniolemilio@gmail.com

N

di Emilio Antoniol el 2010 Prato, uno tra i più importanti poli industriali del tessile a livello europeo, si trova a un bivio; la storia di una città e di una comunità che fonda le sue radici nella manifattura tessile del XI secolo si trova oggi di fronte a un mondo nuovo fatto di crisi e globalizzazione.

Teresa Paoli, pratese, racconta la storia recente della sua città attraverso le testimonianze di tre imprenditori del settore tessile messo in

One of the most important textile industrial poles in Europe, Prato, in 2010 is faced with the crisis and the globalization era. Teresa Paoli, director, born in Prato, describes her city’s recent history through the testimony of three entrepreneurs in the textile sector, overwhelmed by an increasingly relentless competition, by disinterested politics and by the need for innovation that can find hope only in a future change.

ginocchio da una competizione sempre più accanita, da una politica disinteressata e da un’esigenza di innovazione che può trovare solo nel cambiamento la strada per un possibile futuro. Luciano, Manuela e Salvatore sono i tre protagonisti di questo racconto; una storia comune, sebbene molto personale, che inizia molti anni fa, quando c’era una Prato ricca, operosa e generosa verso chi, come loro, ha investito tutto nel tessile con sacrificio e spirito imprenditoriale. È la storia di contoterzisti che quotidianamente danno il loro contributo allo sviluppo di un settore altamente qualificato e di grande valore economico, di abili artigiani, simbolo del made in Italy, ma soprattutto di persone che con la loro azienda mantengono la propria famiglia e quella di loro dipendenti. Oggi di quel mondo resta ben poco; la crisi ha portato via oltre 12.000 posti di lavoro e l’immigrazione, con la comunità cinese più grande in Italia, ha dato il colpo di grazia a un’economia già in bilico. Lavoro a basso costo, evasione fiscale ma anche sfruttamento e discriminazione sono tutti ingredienti di una trama ordita sulle vite delle persone che hanno fatto di Prato la capitale del tessile europeo; una trama che trova nella politica un attore inadeguato, con vani proclami e inutili comizi che, alla fine, lasciano le cose come stanno. Così finisce anche la storia di Luciano, di Manuela e di Salvatore, costretti a lasciare il loro lavoro, le loro case, la loro vita. Oggi, nel 2016, dopo un calo di oltre il 40% delle attività produttive di Prato, un live segnale di ripresa si fa sentire all’orizzonte; l’export del tessile segna una leggera crescita ma si lascia alle spalle una lunga scia di silenzio che non può più essere taciuto. ♦

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Prato non deve chiudere

IL DOCUMENTARIO Titolo: Di tessuti e di altre storie Anno: 2010 Durata: 52’ Genere: Documentario Sceneggiatura e regia: Teresa Paoli Testi: Fabrizio Marini Musica: Tommaso Rosati, Baby Blue Postproduzione sonora: Bruce Morrison Fotografia montaggio: Teresa Paoli Produzione: Invisibilia Film Distribuzione: Deriva Film L’AUTRICE Teresa Paoli (Prato, 1975) è autrice e regista del documentario Premio Ilaria Alpi DOC 2011 Di Tessuti e di altre storie, trasmesso all’interno del palinsesto di Doc3 su Rai3. Dopo la laurea con lode in Scienze della Comunicazione gira e produce il suo primo documentario Genova Senza Risposte nel 2001 in occasione del G8 di Genova. Autoprodotto e firmato con Stefano Lorenzi e Federico Micali, il documentario è stato distribuito al cinema da Pablo/Gianluca Arcopinto. Tra gli altri documentari girati con la stessa squadra, realizza Nunca Mais e Firenze Città Aperta, distribuito in edicola in 20.000 copie. Tra il 2004 e il 2005 vive un anno a Los Angeles dove gira il suo primo cortometraggio di finzione 100 Percent, vincitore di numerosi festival. Per la televisione lavora come film maker e regista in programmi come Reparto Maternità (Fox Life) Exit e Piazza Pulita (La7) e ha collaborato come autrice e regista in programmi Rai come Costamagna Robinson (Rai3), E se domani (Rai3) e Petrolio (Rai1). Il suo ultimo documentario Lamoreverticale, sul lutto prenatale, è co-prodotto e distribuito da CiaoLapo Onlus. In concorso tra gli altri al Siloe Film Festival e al Calitri Sponz Film Festival di Vinicio Capossela è stato vincitore del Premio Pubblico al ViaEmiliaDocfest 2014 e del premio PerSo Short Jail al Perugia Social Film Festival 2015. IMMAGINI Frame del trailer. LINK UTILI Trailer youtu.be/Cf6C98k1ZrQ ≥


Non omne qui nitet viridis est! Considerazioni di base ai primordi di un esperimento sul riciclo creativo

Isabella Vivaldi, studentessa di Scienze dell’architettura presso l’università Iuav di Venezia. e-mail: vivaldi.isabell@gmail.com

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di Isabella Vivaldi a qualche tempo il fenomeno della “Rivoluzione Verde” si è diffuso anche all’interno del mondo della moda e del design italiano. Seppur con un certo ritardo, la sua portata si è estesa all’interno dell’opinione pubblica, sicuramente grazie a una maggiore con-

sapevolezza dei consumatori medi, ma anche alle campagne mediatiche dei grandi nomi del fast fashion e dell’alta moda.

For some time now the “Green Revolution” phenomenon has finally reached the Italian fashion and the product design worlds, as well as the public opinion, certainly due to an increased consciousness of average consumers and that of the new generation raised on vintage, but also thanks to the media campaigns made by famous names in the fast fashion and the couture fashion. What does it actually mean to put these principles into practice? Are we truly conscious of this reality’s limitations and opportunities? How is it possible to safeguard ourselves as consumers? The purpose of this article is to lay the foundations for a more critical insight, as well as that of giving an example of an experience of this kind, through the eyes of an absolute beginner.

Cosa significa però metterne in pratica i principi? Si ha sufficiente consapevolezza di questa realtà emergente, dei suoi limiti e potenzialità? Come è possibile auto-tutelarsi diventando consumatori più accorti? Il riutilizzo e la riconversione dei materiali sono pratiche spontanee che appartengono alla storia umana dall’alba dei tempi ≥. Dall’avvento del miracolo economico il tradizionale ruolo di queste attività è però stato snaturato e adattato alla grande macchina dei consumi. Con l’allontanamento della gestione dello scarto dalla vita quotidiana, siamo giunti a una fase storica in cui queste pratiche sono recepite dal pubblico in un’ottica di non familiarità: la diffusione della cultura del riciclo quindi non è stata affatto negativa, poiché ha avuto la capacità di estendere nuovamente la consapevolezza di certe realtà ad ampia scala. Il concetto di riuso tuttavia è spesso stato strumentalizzato; ad esempio il potenziale valore di riciclo previsto nella realizzazione di un bene di consumo, tende a essere percepito automaticamente come un valore aggiunto: questo si riflette anche sul piano economico, senza considerare altri fattori, ritenuti fondanti in altri contesti. Di conseguenza, l’aspetto della sostenibilità diventa spesso l’unica ragione di pregio di alcuni manufatti: ciò tende a far perdere di vista altre importanti caratteristiche, come la manifattura del prodotto, la sua durabilità, ma anche l’impatto che le lavorazioni per il riutilizzo hanno sull’ambiente.

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Se si vogliono acquistare articoli realmente ecologici, etici, ma soprattutto di qualità, è bene tenere a mente che sono i consumatori a detenere la responsabilità di indirizzare i mercati, anche se solo in parte, attraverso il potere di acquisto. Bisognerebbe accompagnare al discutibile ottimismo ecogreen una visione più critica, curiosa e attiva, con la consapevolezza che ogni acquisto equivale indirettamente ad una scelta di politica ambientale. Un punto di riferimento istituzionale per comprendere i valori della gestione degli scarti è l’articolo 4 della Direttiva 2008/98/CE

i manufatti nella cui realizzazione è inclusa una fase di riciclo tendono ad essere percepiti come portatori di un valore aggiunto […] ciò tende a far perdere di vista altre importanti caratteristiche

del Parlamento Europeo del 19 novembre 2008 ≥ relativa ai rifiuti. Qui se ne enunciano i principi attraverso una rappresentazione grafica di una piramide capovolta, che illustra in ordine cronologico e di importanza le possibilità di intervento: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, ad esempio il recupero di energia; e) smaltimento. Informarsi sul ciclo di vita dei materiali è un buon inizio per lo sviluppo di un sistema immunitario-critico nei confronti di questo tipo di produzione e per riconoscere episodi di strumentalizzazione pubblicitaria. È infatti facile cadere preda della trappola del green washing ≥, una categoria di strategie di marketing finalizzate all’incentivazione dei

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è facile cadere preda di varie strategie di marketing, ad esempio il Green Washing. Campagne di questo genere raramente provvededono un vantaggio ambientale ed etico all’interno del sistema dei consumi

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materia prima, per la quale i negozianti dovrebbero pagare una tassa di smaltimento per liberarsene, e che regalano volentieri. Gli stessi venditori di biciclette subiscono il fascino commerciale delle possibilità di riuso di questo materiale: alcuni vendono all’interno dei loro negozi gadget riciclati, ma anche vere e proprie linee di abbigliamento realizzate con le componenti di scarto delle biciclette. Il materiale di cui sono composte si chiama butile ed è molto versatile; a seconda del tipo di bici a cui è destinato infatti subisce diverconsumi attraverso la gratificazione emotiva del compratore. Cam-

si tipi di trattamenti chimici e acquisisce caratteristiche materiche

pagne di questo genere raramente garantiscono la chiusura del ci-

differenti; in alcuni casi ha una resa simile ai pellami, altre volte

clo di vita dei materiali e non riescono a provvedere un vantaggio

invece più simile alla gomma, quindi più rigida. Questa rigidità è

ambientale ed etico per il sistema dei consumi. Non c’è da meravi-

data dall’utilizzo, grazie alla pressione esercitata dall’aria all’inter-

gliarsi, dato che questi escamotages sono attuati per la maggior parte

no, che tende a far permanere la curvatura del tubolare anche dopo

da grandi marchi appartenenti a multinazionali note per la quasi

il logorio. Prima del riuso le componenti devono essere lavate più

totale assenza di politiche di tutela dell’ambiente e dei lavoratori.

volte, prima con sapone, poi con soda caustica e infine di nuovo

Il modo migliore per comprendere i meccanismi di questa realtà è

con sapone, per rimuovere sia la sporcizia, sia il talco industriale

stato per me il coinvolgimento in prima persona nella pratica del

che ne ricopre l’interno. Dopodiché si procede alla lavorazione.

riciclo: da circa due anni ho iniziato a realizzare per svago gioielli

Ogni tubolare possiede una serie di caratteristiche variabili, che

con vari materiali di scarto, principalmente collane fatte di camere

modificano le possibilità di lavorazione in base al pezzo: il diame-

d’aria di biciclette. Frequentare i corsi di Architettura all’Università Iuav di Venezia mi sta insegnando come costruire un certo tipo di progettualità, possa rimanere uno dei fattori determinanti per lo sviluppo di questo esperimento. Un altro fattore che mi ha spinto in questa direzione è stato quello di essere cresciuta in uno dei maggiori poli del turismo ciclistico europeo, il Lago di Garda, dove esistono innumerevoli attività commerciali inerenti al settore. È qui che mi rifornisco della

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lavorare con un materiale progettato per un precedente uso specifico è una risorsa: i “limiti” dati dalle caratteristiche formali e materiche aiutano nella scelta delle infinite possibilità di conversione

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tro, per esempio, influisce sulla curvatura della sezione, la superfi-

per aumentarne la capacità di torsione. La forma della collana di-

cie della gomma è spesso lavorata con parti in rilievo che possono

venta alterabile e si può indossare in modi diversi: anche questo è

diventare riferimenti per il taglio oppure textures, le valvole han-

un buon modo per ridurre gli sprechi.

no lunghezza variabile e si possono usare da sole come ciondoli o

Per rispettare al meglio le linee guida sopra elencate mi impegno

come giunti per le chiusure e, a volte, le camere stesse possiedono

sempre a produrre la minor quantità possibile di scarto: con i pez-

una forma schiacciata inalterabile. Tutto ciò permette di avere ogni

zi rimasti si possono realizzare anelli, giunti, oppure campioni di

volta dei pezzi unici, e costringe volta per volta a sperimentare,

studio. Lavorare con le caratteristiche di un materiale già disposto

lavorando sempre seguendo la curvatura della fibra e quindi in ma-

in precedenza per un uso specifico e riuscire a trovare applicazioni

niera vincolata.

anche in altri ambiti è una risorsa: i “limiti” dati dalle caratteristi-

Non servono strumenti costosi o difficili da reperire: si può taglia-

che formali e materiche infatti aiutano nella scelta delle infinite

re il tubolare in piccoli pezzi con una forbice robusta e assemblarli

possibilità di conversione attuabili. Inoltre l’approccio pratico co-

poi tra di loro con ago e filo, oppure come perle, attraverso dei fila-

stituisce una preziosa occasione per misurarsi con la concretezza

ti più o meno elastici, la cui lunghezza può essere regolata tramite

di manufatti anche complessi: imparando a progettare in armonia

nodi di scorrimento.

con la materia la resa qualitativa è sempre maggiore.

Lavorare con pezzi unici è però più interessante dal punto di vi-

Non dimentichiamoci però che questo tipo di approccio dovrebbe

sta della sperimentazione: tagliando la superficie in alcuni punti si

essere fondamentale nella produzione artigianale, anche quando

altera la struttura del tubo riducendone la rigidità della curvatura,

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non si ha a che fare con la pratica del riciclo. ♦


IMMAGINI 01 - Collana della Linea BeUtile. Immagine di Isabella Vivaldi. 02 - Collage degli elementi che compongono i gioelli realizzati con camere d’aria. Immagine di Isabella Vivaldi. 03 - Collana della Linea BeUtile. Immagine di Isabella Vivaldi. 04 - The Magic of Marketing. Immagine di Andy Singer. 05 - Una delle Definizioni del Termine Upcycle (Via Urbandictionary). 06 - Rappresentazione Grafica della Gerarchia dello Scarto (Via Drstuey, Stannered , Users di Wikipedia). 07 - Collage dei dettagli delle camere d’aria e dei campioni della Linea Beutile. Immagine di Isabella Vivaldi.

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Creazioni Zuri: gioielli in carta

Chiara Zuliani e Manuela Rigon sono Founder & Designer di Creazioni Zuri. e-mail: info@creazionizuri.it

C

di Chiara Zuliani e Manuela Rigon hiara Zuliani e Manuela Rigon sono entrambe laureate in Disegno Industriale allo Iuav di Venezia. Si sono conosciute proprio all’università ed è lì che è nata la loro amicizia e collaborazione che dura da molti anni. Le lega la grande passione per il design e per il mondo

dell’accessorio. Dalla loro costante ricerca di gioielli originali creati con materiali innovativi è nata poi la volontà di dare vita a una loro

Creazioni Zuri is a line of jewelry entirely made of paper and cardboard. Influenced by their university education, addressed to a product’s serial planning, Chiara Zuliani and Manuela Rigon decided to develop their creations by combining industrial with manual production through a creative and original project joined to the fun of “hand making”. All of their jewellery is based on paper and cardboard discs having different diameters, thicknesses and textures. The discs are cut industrially by a cutting die and subsequently put together manually, one by one, strung with needle and thread, and moulded to create unique pieces of jewellery with a strong identity.

collezione: Creazioni Zuri. Una linea di gioielli realizzati interamente in carta e cartone. L’idea, nata quasi per caso e per gioco, durante una passeggiata a Venezia, si è poi tradotta in un vero e proprio progetto, una scommessa: utilizzare e “nobilitare” un materiale povero come la carta, rendendolo materia preziosa. Anche l’interesse per la carta e le sue applicazioni risale ai loro studi universitari. Entrambe infatti hanno frequentato corsi di “tecniche cartarie” che hanno fatto nascere in loro l’amore per questo materiale così utilizzato e versatile ma poco valorizzato, e che poi hanno saputo trasportare anche nella loro attività lavorativa. L’una nel campo della grafica pubblicitaria, della stampa e della fotografia, l’altra nel mondo della cartotecnica e nel design di prodotti in carta e materiali di riciclo. La scelta della carta, infatti, riflette anche il loro impegno nell’utilizzare materiali riciclati o riciclabili. La maggior parte dei gioielli Creazioni Zuri è infatti in carta riciclata che proviene dagli sfridi di lavorazioni che vengono in questo modo riutilizzati. Influenzate dalla loro formazione universitaria, indirizzata ad una progettualità seriale del prodotto, Chiara e Manuela, hanno pensato di sviluppare i loro pezzi unendo l’aspetto industriale di produzione del prodotto a quello manuale, creativo, originale e ludico del fare “a mano”. Infatti, la base di ogni loro pezzo sono dei dischetti di carta e cartone di vari diametri, spessori e texture, che vengono tagliati industrialmente da una fustella e solo successivamente vengono uniti manualmente, uno a uno, infilati con ago e filo, e modellati per creare gioielli unici e dalla forte identità. Ogni linea di Creazioni Zuri si ispira al territorio a cui le due designer sono molto legate e da cui hanno

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ereditato l’amore per la carta. Esempi sono la collezione Bassano che si rifà alle sfumature dei marroni dei vecchi legni del Ponte Vecchio; la collezione Palladio nei colori delle mura della Basilica Palladiana a Vicenza; o la collezione Canova che riprende le sfumature di grigio, i chiari scuri delle ombre riflesse nel marmo. L’obiettivo è quello di raccontare il proprio territorio, per valorizzarlo attraverso pezzi unici, originali ed ecosostenibili. Tra le creazioni più rappresentative del loro progetto vi è la collana Racconto, un lungo filo che si snoda in piccole curve e tortuosi meandri. Realizzata con dischetti di cartone nero è una collana annodata da portare al collo, così come si indossa la propria storia, il proprio racconto personale. Il progetto è nato nel 2011, ha avuto un buon ri-

sviluppiamo i nostri pezzi unendo l’aspetto industriale di produzione del prodotto a quello manuale, creativo, originale e ludico del fare “a mano”

scontro da parte del pubblico e della critica, e nel 2013 è stato presentato al FuoriSalone a Ventura Lambrate in occasione del Salone del Mobile di Milano. Nel novembre dello stesso anno Chiara e Manuela hanno parteciparto ad Open Design dove hanno vinto il premio Ambasciata Italiana a Berli-

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l’obiettivo è quello di raccontare il nostro territorio, per valorizzarlo attraverso pezzi unici, originali ed ecosostenibili

no. Tra dicembre 2013 e aprile 2014 hanno esposto alcuni pezzi presso l’ambasciata italiana di Berlino. Nel giugno del 2015 il Metropolitan di New York ha selezionato alcuni pezzi della loro collezione per il paper shop all’interno del museo, dedicato completamente agli oggetti realizzati in carta. Recentemente sono state selezionate da CNA e Open Design per esporre a giugno insieme ad altri designer nella Basilica Palladiana di Vicenza. ♦

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IMMAGINI 01 - Chiara Zuliani e Manuela Rigon, Founder e Designer di Creazioni Zuri. Immagine di Photopiu. 02 - Dischetti di carta riciclata. Immagine di Photopiu. 03 - Collana Racconto. Immagine di Photopiu. 04 - Bracciale collezione Laguna. Immagine di Alessandro Zorzi. 05 - Dettaglio della collana Racconto. Immagine di Photopiu.

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PORTFOLIO

Tessitura Renata Bonfanti Una produzione tessile tra arte e design

Daria Petucco è architetto e Ph.D. in Tecnologia dell’architettura. e-mail: dariapetucco@gmail.com

N

a cura di Daria Petucco el laboratorio di Renata Bonfanti si può ancora veder tessere a mano arazzi e tappeti. I disegni sono attuali, le tecniche di lavorazione antichissime. Con lo stesso impegno progettuale e la stessa cura nell’esecuzione, si producono anche tappeti in serie a telaio

meccanico, progettati da Alessandro Bonfanti - nipote di Renata Bonfanti e attuale responsabile della tessitura - e inoltre tovaglie,

Renata Bonfanti’s laboratory is a place where the art of weaving, both manual and mechanical, can be seen in all its different phases. The ancient technique of weaving is matched with a contemporary design. The inspiration for each product is site-specific. Rugs, wall hangings, tablecloths, bedspreads, curtains and fabrics in general, are designed starting from the architecture and the context in which the products will be placed. The weaving, located in a hilly and green area between Bassano and Asolo, was founded by Renata Bonfanti who, among other awards, in 1962 received the “Compasso d’oro” prize. Her weaving products, in particular handmade carpets, are exhibited in many public and private collections in Italy and abroad. Today the weaving is run by Alessandro Bonfanti, Renata’s grandson, who continues the research in the world of weaving through the use of the power loom.

tende, copriletti e altri tessuti. L’ispirazione per ogni prodotto nasce dall’architettura e dal contesto in cui esso andrà collocato. Il laboratorio, immerso nel verde delle colline della pedemontana tra Asolo e Bassano, è sito in un edificio moderno, costruito appositamente alla fine degli anni ‘60. In un unico grande spazio operativo si può vedere l’insieme della produzione e la lavorazione, sia a mano che a macchina, in tutte le sue fasi. Renata Bonfanti Renata Bonfanti ha studiato tessitura all’Istituto Statale d’Arte di Venezia nei primi anni ‘50 e nel ‘54 ha frequentato un corso di perfezionamento alla Kvinnelige Industri Skole di Oslo. In quello stesso anno ha partecipato alla Triennale di Milano con un tappeto annodato a mano. Allora la sua attività comprendeva soltanto tessiture da lei eseguite personalmente. Nel ‘56 ha iniziato a disegnare anche per l’industria tessile e ha allargato il suo laboratorio con un’attrezzatura che comprendeva anche telai meccanici. Nel ‘62 le è stato assegnato il Premio Compasso d’Oro per l’insieme di tutta la sua produzione. In seguito ha partecipato a varie mostre, tra cui la Biennale di Venezia, la Triennale di Milano, la Biennale de la Tapisserie di Lausanne, la Triennale Tkaniny di Łódź (Polonia). Sue opere sono presenti in varie collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero. ♦

Testi a cura della Tessitura Renata Bonfanti.


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in un unico grande spazio operativo si può vedere l’insieme della produzione e la lavorazione in tutte le sue fasi

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(nella pagina precedente) 01 - Ischia, Arazzo tessuto a mano. Crediti: foto Alessandro Vallotto. 02 - Kenya, Arazzo tessuto a mano. Crediti: foto Alessandro Vallotto. (in questa pagina) 03 - Particolare della lavorazione a telaio meccanico. Crediti: foto Alessandro Vallotto. 04 - Renata Bonfanti al lavoro. Crediti: Archivio Renata Bonfanti. 05 - Renata Bonfanti con Bruno Munari e Enzo Mari in occasione del ritiro del premio Compasso d’oro. Crediti: Archivio Renata Bonfanti. 06 - Renata Bonfanti con Achille Castiglioni in occasione del ritiro del premio Compasso d’oro. Crediti: Archivio Renata Bonfanti.


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i disegni sono attuali, le tecniche di lavorazione antichissime

07 - Arazzo Pecol. Crediti: foto Alessandro Vallotto. 08 - Particolare dei tessuti realizzati a telaio meccanico. Crediti: foto Alessandro Vallotto. 09 - Particolare tappeto Geo. Crediti: foto Alessandro Vallotto.

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10 - Particolare dei filati utilizzati per la tessitura. Crediti: foto Alessandro Vallotto. 11 - Lo spazio del laboratorio. Crediti: foto Sana. 12 - Particolare Tappeto/Arazzo Algeria 27. Crediti: foto Alessandro Bonfanti. LINK UTILI www.renatabonfanti.com ≼ video:w w w.youtube.com/ watch?v=f9wavTb4aBA ≼

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IN PRODUZIONE

D’oro e seta La nuova Via Etica della Seta secondo D’orica

Emilio Antoniol è architetto Ph.D. in Tecnologia dell’architettura. e-mail: antoniolemilio@gmail.com

D’orica is a jewellery workshop, based in Nove that has been producing jewels for twenty five years. The peculiar features of these jewels are the “Doriche”, gold spheres with small engravings, put together by skilled craftsmen to give life to all D’orica’s collections. Experience and innovation are the two milestones on which the company is based. Thanks to its long experience D’orica exports its products to more than twenty countries around the world. But, in 2014 the two founders of D’orica, Giampietro Zonta and Daniela Raccanello, decided that it was time to start a new innovative project, rooted in the local territory. This is the beginning of “The ethics way of Silk “ project which aims at starting again with the silk industry in Italy.

48 OFFICINA*

D

di Emilio Antoniol a oltre venticinque

l’oro e un filato. La seta, lucente ed elegan-

anni D’orica, labo-

te, pare essere la scelta ottimale per il pro-

ratorio orafo con

getto ma, da subito, emerge una difficoltà:

sede a Nove, nel

in un’ottica di qualità e produzione artigia-

Vicentino,

punta

nale come quella che contraddistingue D’o-

su artigianalità e

rica, la seta deve essere italiana ma, nono-

qualità per dare forma a gioielli dal design

stante la grande tradizione serica nazionale,

originale, il cui tratto peculiare sono le “do-

da circa cinquant’anni l’intera filiera serica

riche”, sfere in oro dotate di piccole inci-

è scomparsa non solo in Italia ma in tutta

sioni che vengono sapientemente accostate

Europa.

dalle mani di esperti artigiani per dar vita

Eppure il territorio Veneto è ancora segna-

a tutte le collezioni D’orica ≥. La grande

to da questa antica produzione, con le mol-

esperienza dei collaboratori e la costante

tissime ex filande che testimoniano come

innovazione tecnologica, con l’introdu-

nel ‘900 la produzione di seta fosse un’at-

zione di macchinari e tecnologie sempre

tività molto diffusa e remunerativa. Inizia

più sofisticate, sono i due capisaldi su cui

così per D’orica la ricerca di esperienze

si fonda la storia dell’azienda, capace di

che possano dare soluzione a questo pro-

esportare i suoi prodotti in oltre venti paesi

blema. Giampietro Zonta trova le risposte

nel mondo sotto l’insegna dell’artigianalità

che cerca in una serie di interlocutori che,

Made in Italy.

da lì a poco, diventano parte integrante del

Nel 2014 i due coniugi fondatori di D’orica,

progetto La Via Etica della Seta. Tra questi

Giampietro Zonta e Daniela Raccanello,

troviamo: Ferdinando Pellizzari già pre-

decidono però che è tempo di iniziare una

sidente di ANB (Associazione Nazionale

nuova sfida, un nuovo progetto a cavallo

dei Bachicoltori), Silvia Cappellozza, re-

tra innovazione e tradizione, fatto di col-

sponsabile del CREA-API (Consiglio per

laborazione e di spirito di squadra ma, so-

la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Eco-

prattutto, radicato nel territorio. Nasce così

nomia Agraria) di Padova e Bruno Pozzo-

La Via Etica della Seta ≥, progetto volto a

bon, fondatore di un gruppo di cooperative

rilanciare la filiera della seta in Italia.

agricole, tra cui Campoverde, dove si trova

L’idea parte da un’intuizione di Daniela

l’ultima filandina funzionante in Europa in

Raccanello, l’anima creativa dell’azienda,

grado di misurare il titolo del filato1 e ca-

che nell’estate del 2014 sta lavorando a una

pace quindi di riattivare una produzione

nuova linea di gioielli in cui si combinano

ormai scomparsa.


01

D’orica, laboratorio orafo con sede a Nove, nel vicentino, punta su artigianalità e qualità per dare forma a gioielli dal design originale il cui tratto peculiare sono le doriche

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03

Con questo intento i coniugi Zonta acqui-

lezione sono frutto di una grande passione,

27 e 28 aprile 2015 a Bruxelles, presso la

stano la filandina e la rimettono in funzio-

della volontà di recuperare una tradizione

sede della Commissione Europea come best

ne presso D’orica. Il progetto ha così inizio.

quasi scomparsa ma anche di innovazione

practice per il settore Ricerca & Innovazione

Non essendo possibile produrre bozzoli in

e sviluppo. Infatti, con l’aiuto di Claudio

comunitaria.

pochi mesi, il primo stock viene acquistato

Gheller di Veneto Marketing, nel 2014 vie-

I motivi che hanno portato il progetto alla

dalla Calabria, dove se ne trova ancora una

ne costituita una ATI (Associazione Tem-

selezione sono rintracciabili in tre ambiti

piccola produzione e, con l’aiuto del tecnico

poranea d’ Impresa) che vede D’orica come

specifici: da un lato lo sviluppo economico

Aldo Roncato che ha rimesso in funzione

capofila e le cooperative della filiera come

imputabile al rilancio di una filiera produt-

la macchina, e di Salvatore Gullì, ingegnere

partecipanti, con l’intento di presentare un

tiva come quella della seta, dall’altro l’im-

dell’automazione siciliano appassionato di

progetto di Ricerca e Innovazione alla Re-

patto occupazionale del progetto, capace di

seta che per la tesi di laurea si è trasferito in

gione Veneto. Il progetto, denominato La

riattivare molti settori produttivi e di offri-

Giappone per imparare a eseguire la trat-

Rinascita della Via della Seta, trova gran-

re nuovi posti di lavoro e infine la sua im-

tura dei bozzoli per ricavarne il filo di seta,

di consensi ed è la stessa Regione a farlo

postazione generale, che vede nel rilancio

D’orica produce la prima seta 100% italia-

partecipare al bando europeo GROW your

dell’intera filiera una concreta applicazione

na dopo circa cinquant’anni dalla chiusura

REGION: Delivering Smart Specialisation

del concetto di economia circolare, in cui

dell’ultima filanda.

and Economic Transformation through Clusters

tutti i sottoprodotti della produzione pos-

Da qui inizia una nuova storia. Dalla prima

dedicato ai cluster (gruppi di imprese che

sono essere reimpiegati nella filiera o in al-

produzione prende vita la nuova linea di

cooperano) e rivolto alle Smart Specializa-

tri ambiti innovativi. Infatti, oltre alla pro-

gioielli I colori della Luna, realizzati unendo

tion, intese come strategie regionali per la

duzione di filati, dal bozzolo sono estraibili

tra loro le piccole sfere d’oro - marchio di

ricerca e le specializzazioni intelligenti. Il

due proteine: la sericina, impiegata ormai

fabbrica di D’orica - con un filo tubolare in

progetto viene infatti premiato a livello

da alcuni anni nel settore cosmetico e la

seta. Eleganti e raffinati, i gioielli della col-

regionale e poi selezionato e presentato il

fibroina che, in quanto proteina naturale

50 OFFICINA*


03

04

i due fondatori di D’orica decidono che è tempo di iniziare una nuova sfida, un nuovo progetto a cavallo tra innovazione e tradizione, fatto di collaborazione e di spirito di squadra ma, soprattutto, radicato nel territorio. Nasce cosĂŹ La Via Etica della Seta progetto volto a rilanciare la filiera della seta in Italia

N.12 MAG-GIU 2016 51


05

e biologica, sta trovando applicazioni in

al fine di evitare gli errori che, in passato,

campo biomedico per la produzione di fili

hanno portato alla sua fine. Questa è stata

da sutura, protesi e come scaffold (supporto)

dovuta a uno sfruttamento eccessivo del-

cellulare. Con gli scarti di produzione della

la filiera che si è concretizzato da un lato

seta si possono realizzare imbottiture anal-

nello sfruttamento economico delle perso-

lergiche, mentre con gli scarti delle crisali-

ne, dai produttori di bozzoli alle lavoratrici

di, ricchi di proteine, si possono produrre

delle filande, dall’altro nello scarso rispet-

mangimi o oli cosmetici. Infine la seta sta

to ambientale con una diffusione sempre

trovando applicazioni innovative anche in

maggiore di pesticidi e insetticidi che han-

campo elettronico con le tecnologie legate

no portato alla quasi totale scomparsa dei

all’electronic textiles in cui componenti elet-

bachi, animali particolarmente sensibili

tronici vengono integrati all’interno dei tes-

alle condizioni di salubrità dell’ambiente.

suti per monitorare parametri vitali o altre

La Via Etica della Seta vuole invece fare del

funzioni relative al corpo umano.

rispetto verso l’ambiente e verso le perso-

Un progetto quindi che, partendo da un’i-

ne il suo principale vettore di innovazione,

dea di design, si è trasformato in un percorso

attivando una filiera biologica, grazie alla

di innovazione ricco di possibilità di svilup-

definizione di un protocollo per la gelsiba-

po; tuttavia, come ci ha raccontato Giam-

chicoltura biologica, con il coinvolgimento

pietro Zonta durante un’intervista conces-

delle cooperative agricole, già fautrici di un

saci in D’orica, esso deve trovare nell’etica

progetto di inclusività dove persone disabili

il suo primo fondamento. Il valore etico del

e non collaborano per la crescita economica

progetto, espresso già nel nome, non vuole

e sociale degli individui, e con il recupero

infatti essere solo un pretesto con finalità di

di una tradizione culturale che fa parte del

marketing, ma vuole diventare un principio cardine per la produzione serica in Italia,

52 OFFICINA*

nostro territorio e della nostra storia. ♦

la Via Etica della Seta vuole invece fare del rispetto verso l’ambiente e verso le persone il suo principale vettore di innovazione


NOTE 1 - Il “titolo” è un numero legato allo spessore del filo di seta. La filandina recuperata e riattivata da D’orica è in grado di mantenere il valore del titolo del filato costante, garantendo una produzione di alta qualità. IMMAGINI di PH Enrico Celotto - Seta Etica 01,02 - Daniela Raccanello nelle fasi di ideazione della nuova linea di gioielli in oro e seta. 03 - Alcune fasi della trattura della seta eseguita in D’orica con la filandina rimessa in funzione per il progetto La Via Etica della Seta. 04 - La nuova linea di gioielli in oro e seta I colori della Luna. 05 - Dettaglio di uno dei gioielli della nuova linea D’orica in oro e seta 100% italiana. 06 - La nuova linea di gioielli in oro e seta I colori della Luna. AZIENDA D’orica s.r.l. via Parini 5, 36055, Nove (VI) www.dorica.com Tel: +39 0424592160 info@dorica.com PROGETTO SETA ETICA www.setaetica.it Tel: +39 349 0721920 info@setaetica.it LINK UTILI La Via Etica della Seta: www.setaetica.it ≥ Progetto GROW your REGIOn: www. ec.europa.eu/regional_policy/index.cfm/ en/conferences/grow_region ≥

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VOGLIO FARE L’ARCHITETTO

Dalla città del tessuto, alla città in tessuto Sperimentazioni di applicazione della tecnologia tessile in architettura

Giulia Sacilotto e Alberto Bertollo sono laureandi in Architettura e Culture del progetto. Si confrontano con tematiche tra loro diverse, ma attuali: le prestazioni energetiche negli edifici storici e la progettazione di nuovi insediamenti di integrazione. e-mail: giulia.sacilotto92@gmail.com e-mail: bertolloalberto@gmail.com

The challenge undertaken with our project is to operate in a context that is considered static but where, however, a new development in the urban migration is noticeable. After a long exodus to the countryside, the population is returning to live in small towns, where services are placed close to homes in a “protected” and socially active context. Like many other centres in Italy, Prato keeps its identity unchanged despite the industrial, demographic and economic development that has no comparisons in the surrounding area. The town of Prato is born in the X - XI century, when the Counts noblemen of Prato began the lowland reclamation and the water system construction that channelled the Bisenzio river waters in a dense network of channels used in the textile manufacture. This close relation of Prato with the textile production has been an essential element of the project since its beginning.

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L

di Giulia Sacilotto e Alberto Bertollo a sfida che abbiamo

sieme degli spazi aperti. Già da un’analisi

voluto cogliere con

preliminare si nota, tuttavia, come siano

il nostro proget-

caratterizzati da una fortissima presenza di

to1 è stata quella di

strade carrabili e di parcheggi a pagamento,

intervenire in un

anche nelle parti più antiche di città, e da

contesto

general-

interi isolati soggetti a degrado, inaccessi-

mente considerato statico che sta vedendo,

bili e occupati da edifici dismessi4. Da qui,

tuttavia, un nuovo sviluppo nel panorama

la necessità di riappropriarsi di questo spa-

delle migrazioni urbane. La sostenibilità

zio, densificando per andare incontro alla

intrinseca al centro storico, dopo un eso-

crescente domanda di alloggi, ma creando

do verso le campagne, sta riportando parte

al contempo una nuova “porosità” all’inter-

della popolazione nei piccoli centri, dove

no del tessuto urbano di Prato attraverso

è possibile trovare servizi vicini, prossimi

nuove brecce che innervino isolati oramai

alle abitazioni e contesti “protetti” e so-

privi di funzioni pubbliche, commerciali

cialmente attivi. Come molti altri centri

o ricreative. Questo obiettivo è soddisfat-

in Italia, Prato conserva una sua identità

to da un elemento architettonico costante,

fortemente configurata, a fronte invece di

versatile e ripetibile, capace di adattarsi agli

uno sviluppo industriale, demografico ed

spazi e alle condizioni sempre differenti

economico che difficilmente trova parago-

del centro storico. Per definirlo come base

ni nei dintorni.

funzionale, ancora una volta, abbiamo ri-

Prato come città vera e propria si sviluppa

cercato la risposta nell’esistente: dal rilievo

a partire dal X - XI secolo, quando i Con-

dell’attacco a terra della città antica abbia-

ti di Prato diedero il via alla bonifica della

mo estrapolato un principio compositivo

piana e alla costruzione del sistema idrico

modulare basato sulla struttura degli edifi-

che incanalava le acque del Bisenzio in

ci, generalmente scandito a ritmo regolare,

una fitta rete di gore, che servivano per far

dovuto probabilmente alla grandezza degli

funzionare le “gualchiere”2 . Ed è proprio

antichi solai. Ai setti murari esistenti spes-

questo stretto legame che Prato intrattiene

so sono addossati i servizi, dai quali si svi-

con la produzione tessile, fiorita in epoca

luppa poi l’abitazione; allo stesso modo, nel

moderna 3, che fin dall’inizio secondo noi

nostro progetto gli spazi di servizio costi-

doveva far parte della vocazione del pro-

tuiscono delle spine centrali attorno a cui si

getto stesso.

articola l’abitazione. Il setto diventa quindi

Un’altra grande potenzialità di Prato è l’in-

l’elemento funzionale sia da un punto strut-


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turale sia dal punto di vista impiantistico,

to dei lacerti tessili e dal conseguente au-

ancoraggio al suolo e contenitore di servizi,

mento delle discariche abusive.

consentendo di agire con massima libertà

Per noi l’uso del tessuto in architettura era

nelle unità abitative5 che costituiscono l’e-

una pratica totalmente nuova, pertanto era

lemento fluttuante, variabile e leggero di

necessario trovare dei riferimenti sia in

questo oggetto architettonico.

pratiche progettuali precedenti, sia in so-

Si crea così l’evidente contrapposizione tra

luzioni tecnologiche contemporanee. Per

il setto portante funzionale “pesante” e gli

quanto riguarda il primo aspetto, la ricerca

elementi “leggeri” sospesi da terra, isolati

ha portato a confrontarsi con una varietà

e rivestiti interamente utilizzando il tessu-

di esempi, dalla Kocher Canvas Week-end

to.
Ed è qui che entra in gioco l’elemento

House di Albert Frey, realizzata nel 1934

che caratterizza il progetto, sia nella sua

come sperimentazione dell’utilizzo di tes-

componente tecnologica, sia in quella este-

suto cerato su una struttura in legno ed

tica e identitaria.

alluminio, alla lontana Mongolia, le cui

La scelta del materiale ricade sul tessuto per

popolazioni nomadi costruiscono le pro-

due ragioni principali: nel caso del rivesti-

prie abitazioni circolari con una struttura

mento, il tessuto tecnico è un prodotto fini-

leggera in legno completamente rivestita

to a km0 che consente anche una possibilità

in feltro, lana e pellicce. Se dall’architetto

cromatica interessante, mentre per quanto

americano si apprende la lezione del rive-

riguarda gli isolanti sfruttiamo il recupero

stimento e della schermatura solare, dalle

degli scarti del distretto industriale pratese,

yurtas ≥ mongole l’uso del tessuto si sposta

gravato da notevoli problemi di smaltimen-

verso l’isolamento termico.

un elemento architettonico costante, versatile, ripetibile e moltiplicabile capace di adattarsi a spazi e alle condizioni sempre differenti del centro storico

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02

Per quanto riguarda, invece, le soluzioni

prodotte dalla Siretessile S.r.l. sotto forma

tecnologiche, a Prato ha preso avvio una

di materassini riciclabili costituiti da un ag-

ricerca attiva per tessuti innovativi e so-

glomerato di poliuretano e scarti di gom-

stenibili, alcuni in grado di assorbire la

mapiuma di recupero.

radiazione solare o addirittura di ridurre la

Le chiusure opache verticali sono, quindi,

componente di CO2 che vi si deposita; spes-

costituite nella loro componente principale

so sono utilizzati nella nautica, nelle tenso-

da tessuto per uno spessore massimo di 13

strutture o come tendaggi di rivestimento

cm. Quando si utilizzano materiali soft 7 in

e schermatura di edifici per uffici, mentre

ambito edilizio bisogna considerare la sicu-

è un sistema ancora poco sviluppato per la

rezza per gli abitanti, la praticità dell’utiliz-

residenza. Se la pelle in poliestere imperme-

zo e l’efficienza dal punto di vista del comfort

abilizzato è materia quasi consolidata nella

interno. In tal senso, la sopraelevazione

pratica architettonica, per la progettazione

della residenza garantisce la protezione da

del pacchetto costruttivo delle chiusure

eventuali atti di vandalismo e degrado delle

opache sono stati fondamentali prodotti

pareti esterne; all’interno del pacchetto di

come il “Recycletherm”: pannelli isolanti

parete sono presenti montanti e pannelli in

termoacustici costituiti da fibre provenien-

legno per garantire la resistenza meccanica

ti dagli scarti delle lavorazioni delle vicine

e all’effrazione della chiusura; all’interno

industrie del distretto tessile pratese e dal

dell’abitazione la componete “morbida”,

riciclo di prodotti tessili giunti al termine

limitata alle pareti perimetrali, crea inve-

del loro ciclo di impiego6. Elementi più

ce una originale sensazione visiva e tattile.

complessi sono le membrane anticalpestio

Attraverso un programma di simulazione

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dinamica si è dimostrato che, dal punto di vista termo igrometrico, il pacchetto funziona anche alle più basse temperature raggiunte nella stagione invernale e che esso rispetta i valori di trasmittanza richiesti dalla normativa vigente. Il prodotto scelto offre una vastissima gamma cromatica, che abbiamo selezionato in contrasto con il piano colore del centro storico. La tonalità del colore dei rivestimenti tessili è stata scelta in funzione all’orientamento rispetto al sole secondo una regola di compensazione; la luminosità invece è ridotta al primo piano, per accentuare la sensazione di sospensione, mentre aumenta mano a mano che si sale di livello. Inoltre il prospetto gioca con la spazialità stretta e fortemente prospettica dei vicoli del centro storico attraverso disegni anamorfici e chiaro-scuri che dilatano o restringono percettivamente lo spazio. Il rivestimento, inoltre, si comporta come un


E

la scelta del materiale ricade sul tessuto per due ragioni principali: nel caso del rivestimento, il tessuto tecnico è un prodotto finito a km0 […] mentre per quanto riguarda gli isolanti sfruttiamo il recupero degli scarti dall’imponente distretto industriale pratese

S

O

N

03

matière à doutes 8: genera diversi effetti durante la giornata, passando da materiale quasi opaco durante il giorno a membrana semitrasparente al crepuscolo grazie all’illuminazione artificiale interna alle abitazioni. Il progetto si caratterizza come una sperimentazione, al momento solo teorica, ma riteniamo che l’uso di materiali inediti nella pratica comune d’architettura e presenti nel sito di intervento sia di grande interesse, poiché apre nuove possibilità non solo tecnologiche, ma anche compositive, facendo leva sull’aspetto identitario dei luoghi stessi. ♦

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è proprio questo stretto legame che Prato intrattiene con la produzione tessile […] che fin dall’inizio secondo noi doveva far parte della vocazione del progetto stesso

58 OFFICINA*

NOTE 1 - Il progetto è stato sviluppato all’interno dell’Atelier di Sostenibilità Ambientale tenuto dai prof. B. Albrecht, M. Rossetti e M. Scarpa (2015-2016). 2 - Una gualchiera è un macchinario di epoca preindustriale, usato per lo più nella manifattura laniera e quindi per la produzione tessile. Per traslazione il termine gualchiera indica anche l’edificio che contiene questo tipo di macchinario. 3 - Dal 1901 al 2011 la popolazione pratese è passata da 50.000 abitanti a oltre 180.000 grazie alla continua crescita del distretto industriale tessile grazie al quale Prato ottenne nell’Ottocento la definizione di “Manchester della Toscana” (Emanuele Repetti) o “città dalle cento ciminiere”. 4 - Sono stati rilevati circa 1300 parcheggi a pagamento e 116 edifici dismessi all’interno della cerchia muraria ampia appena 1,2 km. 5 - Le unità abitative sono varie e variamente componibili, sia nel prospetto, sia nella gestione dello spazio interno che si sviluppa lungo la spina di servizi laterali compresi nel setto e sfruttando al massimo la luminosità dettata dal doppio affaccio sul fronte strada e sulla corte semipubblica. 6 - Si tratta di un prodotto della Manifattura Maiano altamente sostenibile anche

nel processo produttivo: le materie prime vengono lavorate senza acqua, prodotti chimici o collanti ed è riciclabile al 100%. 7 - Si definiscono soft o molli quei materiali cedevoli al tatto quali tessuti, spugne, resine e gel prodotti delle più recenti innovazioni tecnologiche. 8 - “Materiale dubbio” nella traduzione letterale del pensiero estetico di Paul Valery. IMMAGINI 01 - Filanda Bocchese – Trissino (1958). 02 - Vista al crepuscolo. Immagine di Alberto Bertollo, Giulia Sacilotto, Marco Bomben. 03 - Grafici e schemi dei principi cromatici del tessuto. Immagine di Alberto Bertollo, Giulia Sacilotto, Marco Bomben. 04 - Spaccato prospettico tecnologico. Immagine di Alberto Bertollo, Giulia Sacilotto, Marco Bomben. BIBLIOGRAFIA - Avigdor, E., “L’industria tessile a Prato: processo tecnologico, corti, mercato di un settore caratteristico della produzione laniera italiana”, Feltrinelli, Milano, 1961. - Brandt A., “Haus und landschaft in Asien: Dörfer, Häuser und Tempel in Nepal, Orissa, Vietnam und der Mongolei 2000-2009”, Alpheus, Berlino, 2011.


- Cacciatore F., Cornoldi A., Kahn L., “Il muro come contenitore di luoghi: forme strutturali cave nell’opera di Louis Kahn”, Lettera Ventidue, Siracusa, 2008. - Paoletti I., Riva E., “Materiali molli per l’architettura” in “FRAMES”, 2011, n°152, pp. 18-23. - Rosa J., Albert Frey, Architect, Rizzoli, New York, 1990. - Secchi B., Viganò P., “Un progetto per Prato: il nuovo piano regolatore”, Alinea, Firenze 1996. - Sinopoli N., Tatano V.,” Sulle tracce dell’innovazione. Tra tecniche e architettura”, Franco Angeli Editore, Milano, 2002. - Tornquist J., “Colore e luce: teoria e pratica”, Ikon, Milano, 2005. LINK w w w.plataformaarquitectura.cl /cl /02326671/arquitectura-vernacula-yurtasviviendas-nomades-en-mongolia ≥

04


IMMERSIONE

Improvvisazioni manifeste Itinerari di sperimentazione visiva

Paola Fortuna è architetto, visual designer e docente a contratto del Laboratorio di Fondamenti del Design della Comunicazione del corso di laurea in Disegno industriale e multimedia Iuav. e-mail: paola@piufortuna.it

The training program of the Laboratorio di Fondamenti del Design della Comunicazione (Laboratory of Fundamentals of Communication Design), which has had as a major goal the education of the sight as the basis of the visual design, has led to a very delicate step: the final project of the course. That is the time to harvest the fruit of experience gained through the exercises performed, in a perspective of evolution to the definition of the design language. The decision to involve sixty first year students of the degree course in Disegno industriale e multimedia Iuav (Industrial Design and Multimedia Iuav), into the reinterpretation of the identity of Glasstress Gotika, collateral event of the Art Biennale 2015, was born from the realization of the difficulty of spreading the culture of art to the younger audience. Through the visual experimentation, they were made posters aimed to emphasize the centrality of communication projects in contemporary art. The results of the planning process were displayed in an exhibition inaugurated on 20 January 2016 at the Venice Projects / Fenice Gallery in Venice, realized thanks to the collaboration between the University Iuav of Venice and Berengo Foundation.

60 OFFICINA*

I

di Paola Fortuna l percorso di forma-

nuove generazioni la capacità di affrontare

zione del Laborato-

questa professione tramite la multidiscipli-

rio di Fondamenti

narietà. Ci vuole flessibilità di approccio.

del

Per questo la didattica è fondamentale.

Design

della

Comu n icazione,

La decisione di coinvolgere i sessanta stu-

che si proponeva

denti del primo anno del corso di laurea

tra i principali obiettivi l’educazione dello

in Disegno industriale e multimedia Iuav,

sguardo come base alla progettazione vi-

nella reinterpretazione dell’identità di

suale, ha portato a n passaggio molto deli-

Glasstress Gotika, evento collaterale della

cato, l’esercitazione di fine corso.

Biennale Arte 2015 è nata dalla presa di

Si dovevano “tirare le reti”, raccogliere il

coscienza della difficoltà di diffondere la

frutto dell’esperienza acquisita attraverso

cultura dell’arte verso il pubblico giovane,

gli esercizi eseguiti, in una prospettiva di

maturata proprio nella posizione di respon-

evoluzione verso la definizione del linguag-

sabile della identità visiva di Glasstress fin

gio progettuale.

dalla sua nascita nel 2009.

Per la professione di designer è fondamentale

L’invito agli studenti futuri designers a lavo-

provare una sensazione di urgenza. Questa

rare, a scopo didattico, sul concetto stesso

sensazione va vissuta nei confronti del con-

di identità visiva è stato accolto con grande

tenuto della comunicazione, avere, sentire,

entusiasmo.

bisogno di trasmettere. Non è un caso, che

Il percorso del progetto ha seguito atten-

alcune delle interpretazioni più appassio-

tamente i contenuti del tema, osservando

nanti e più forti nella storia del design sia-

con uno sguardo progettuale le opere e il

no legate alla partecipazione del progettista

lavoro dei vari artisti che collaborano con

all’idealità che è contenuta nel messaggio.

Glasstress. Attraverso prove, errori e ipote-

Bisogna essere partecipi alla coscienza che

si continue si è arrivati a risultati sorpren-

esprime il messaggio per fare nascere delle

denti; è la magia del design della comunica-

grandi intuizioni poetiche. Da qui la consa-

zione: tutti partono dalla stessa linea e tutti

pevolezza che il progetto di fine corso non

arrivano in un luogo diverso.

poteva essere finzione.

La sperimentazione visiva ha consentito

Dall’attività di libera professione come vi-

di realizzare manifesti che sottolineano la

sual designer su differenti tipologie di pro-

centralità del progetto di comunicazione

getto e per committenti diversi, è emerso

nell’ambito dell’arte contemporanea.

quanto fondamentale sia far acquisire alle

È stato scelto il manifesto perché rappre-


01

per la professione di designer è fondamentale provare una sensazione di urgenza. Questa sensazione va vissuta nei confronti del contenuto della comunicazione, avere, sentire, bisogno di trasmettere

02

03

N.12 MAG-GIU 2016 61


senta un’attività principe della progetta-

niversità Iuav di Venezia e la Fondazione

È vitale sviluppare la passione e coinvolge-

zione grafica e perché contiene nella sua

Berengo.

re gli studenti con l’obiettivo di motivarne

natura tutte le essenze di un’unità espres-

Considerati i risultati, si auspica che que-

il percorso.

siva: figura, spazio, lettera e materia. Il ma-

sta sia solo la prima di una lunga serie di

Se la creatività è l’espressione del desiderio

nifesto nella storia della grafica, testimonia

collaborazioni tra Iuav e il mondo delle

di conoscere, e il conoscere è l’espressione

in maniera inequivocabile la cultura della

istituzioni culturali locali, nazionali e in-

della voglia di esplorare le relazioni tra sè e

civiltà di cui è espressione: da zio Sam che

ternazionali. In questo specifico caso il

gli altri, è sempre tramite il linguaggio che

ti chiama in causa puntando l’indice pro-

connubio perfetto tra Iuav e Glasstress,

si tenta di facilitare tale processo e render-

prio verso di te, ai manifesti pubblicitari

cannocchiale globale di tematiche e artisti

lo comunicabile e comprensibile. Ma tutto

di Dudovich che faceva rivivere tramite

di differenti aree geografiche e culturali, ha

questo percorso non può iniziare il proprio

le sua atmosfere alcuni momenti della vita

fornito l’opportunità di espandere i confini

sviluppo se non si parte dalla situazione

quotidiana di un’epoca, a quelli di Oliviero

dell’insegnamento.

del “punto zero”, condizione vitale di ogni

Toscani con la loro funzione persuasiva. Il

Delineare una forte identità professionale si-

manifesto è specchio dell’intelligenza, con-

gnifica delineare una forte identità formativa,

sapevolezza e stato del pensiero civile ed

e per delineare una forte identità formativa è

etico di un’epoca.

necessario condividere la realtà concreta, vi-

I risultati del percorso progettuale sono

sita alla Biennale d’Arte ed alle fornaci, con i

stati esposti in una mostra inaugurata il

suoi contenuti magici. Coinvolgere gli studen-

20 gennaio 2016 presso la galleria Venice

ti nella realtà concreta, vuol dire vedere con

Projects/Fenice Gallery a Venezia, rea-

i loro occhi, con il loro sguardo, che diventa

lizzata grazie alla collaborazione tra l’U-

esso stesso strumento progettuale.

62 OFFICINA*

azione creativa. Una pagina bianca. ♦


bisogna essere partecipi alla coscienza che esprime il messaggio per fare nascere delle grandi intuizioni poetiche 04

05

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N.12 MAG-GIU 2016 63


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è la magia del design della comunicazione: tutti partono dalla stessa linea e tutti arrivano in un luogo diverso

08

09

64 OFFICINA*

IMMAGINI 01 - Book del Laboratorio di Fondamenti del Design della Comunicazione. Immagine di Marco Covi. 02/03 - Elaborati del progetto d’esame. Immagini di Marco Covi. 04/08 - Improvvisazioni manifeste: Progetti immaginari per l’identità visiva dell’evento Glasstress Gotika 2015. Galleria Venice Projects / Fenice Gallery, Venezia. Immagini di Alessandra Chemollo. 09 - Studenti alla Fondazione Berengo, Murano. Immagine di Gloria Zanotti. 10 - Dettaglio elaborati Improvvisazioni manifeste.


LA MOSTRA Progetti immaginari per l’identità visiva dell’evento Glasstress Gotika 2015. Corso di laurea in Disegno industriale e multimedia Iuav. I progetti esposti in mostra sono il risultato del Laboratorio di fondamenti del design I A. a.a.: 2014/2015 docente: Paola Fortuna collaboratori alla didattica: Sabina Bonfanti Asia Valencic e la partecipazione di: Gloria Zanotti Clara Accebbi Alessandro Agosta Roberto Baccichetto Silvia Baggio Beatrice Barbieri Alessandro Basso Domenico Bellantuono Matteo Benetti Leonardo Bidoia Sara Boschin Mattia Botteon Lisa Brustolin Giorgia Caderbe Simone Calegaro Piergiorgio Callegher Irene Canovi Simone Catalano Simone Cavallin Matlis Cenuka Ruben Conte Camilla De Biasio Eleonora Di Francesco Daniela Drumea Riccardo Fasolo Chiara Fornasa Giulia Forza Giada Frattina Anna Germin Marian Gonzales Nieto Alessandra Iacovino Pierpaolo Lazzarini Silvia Luisetto Elena Mancuso Andrea Marchetti Riccardo Marchiori Alice Maturo Mattia Mutti Nicole Rahel Nalbach Alberto Paganotto Filippo Papa Nicolò Perina Francesca Pian Francesco Piazza Valentina Pierpaoli Matteo Pirolo Marta Pulin Niccolò Re Giulio Rigoni Matteo Roici Riccardo Rumor Agata Salmaso Alessandro Sasso Giorgia Scaramuzza Alessandra Sisti Lorenzo Sogaro Beatrice Stefani Mattia Toffolo Giulia Toneguzzo Simona Trasforini Francesca Vedovato Elena Veseli Laura Viale Leonardo Vianello Antonella Zaccarelli Alberto Zanusso Beatrice Zilio 10


BIM NOTES

Lost in Modeling Investire in utopia e standardizzazione (e in ciò che sembra apparentemente inconciliabile)

Carlo Zanchetta è dottore di Ricerca in Ingegneria Edilizia e Territoriale. Docente del corso di Produzione Edilizia e laboratorio presso il Dipartimento ICEA dell’Università di Padova. e-mail: carlo.zanchetta@unipd.it

The problem of sustainability of AEC industry points out the necessity of setting up a sequence of predictive models. These models are interdependent and stand up on the comprehension of the intimate relations that characterize building systems. Regarding this aspect BIM, and openBIM format IFC, represent a leading tool to support design and contemporarily a knowledge base that can be universally accessed. Even if analyzed in relation to process aspects it is clear that the development of BIM technolog y and BIM methodolog y helps to clarify and standardize the relationship between the subjects involved. The research on information sharing and on its organization characterize most of the R&D processes in building information modeling. This research is one of the most important contribution to the qualification of the AEC industry.

66 OFFICINA*

I

di Carlo Zanchetta l grande interesse

al BIM come a una disciplina che ha ormai

relativo alla tecno-

definito i propri orizzonti scientifici, matu-

logia

rato un assestamento produttivo e afferma-

nel

informativa settore

delle

to definitivamente il proprio contributo in

costruzioni deriva

seno alla disciplina progettuale.

dalla presa di co-

È proprio in relazione a quest’ultimo aspet-

scienza della sostanziale insostenibilità di

to che preme evidenziare come oggi si fac-

questa industria, sia sotto il profilo della

cia un uso assai limitato del BIM in relazio-

produttività che del consumo di risorse che

ne a quelle che sono ormai le potenzialità

della carenza di sicurezza nella fase di rea-

consolidate dello strumento.

lizzazione e gestione.

Nella stragrande maggioranza dei casi la

Un’attenta analisi delle ragioni che deter-

modellazione informativa viene utilizzata

minano queste criticità evidenzia il ruolo

al fine di produrre gli elaborati grafici, ri-

discriminante dei processi e degli strumen-

solvere le interferenze geometriche in fase

ti di condivisione dell’informazione tecnica

esecutiva o di cantierizzazione e contri-

che attraversano il processo edilizio e ne

buire alla quantificazione economica delle

connotano i prodotti.

opere2 .

Come tutte le tecnologie emergenti anche

Tutti questi obiettivi sono circoscritti alla

il Building Information Modeling obbedisce alla

fase realizzativa dell’opera. Tuttavia è nella

legge di Gartner1 evidenziando una prima

chiara comprensione delle sfide che la di-

fase di forte incremento delle aspettative

sciplina progettuale è chiamata ad affron-

alla quale fa seguito tipicamente una forte

tare in relazione al contenimento dei costi

disillusione sui limiti intrinseci di una tec-

economici e ambientali che l’opera genera

nologia ancora immatura.

nel suo intero ciclo di vita che si comprende

Nonostante l’esperienza pratica e l’elevato

l’urgenza di consolidare la conoscenza della

numero di contributi scientifici e media-

progettazione digitale3.

tici evidenzino una certa limitatezza delle

Ancora di più è nella assoluta necessità di

potenzialità dello strumento è importante

istituire un’etica della trasformazione an-

ricordare che tale tecnologia offre ormai

tropica dell’ambiente che si comprende

una storia trentennale e quindi possiamo

come sia oggi imprescindibile impostare

ben considerare superata la fase nel baratro

sulla base di una filiera di solide soluzioni

della disillusione indicata da Gartner. È as-

informative il controllo del processo di deci-

solutamente essenziale iniziare a guardare

sion making che sottende un qualsivoglia in-


Mahdavi A., Martens B., Scherer R., (a cura di) eWork and eBusiness in Architecture, Engineering and Construction: ECPPM 2014 CRC Press, Boca Raton, 2014

01

tervento. Qualsiasi altro discorso prescinde

Come si può pensare di affinare una pro-

dalla sacralità del territorio che calpestiamo

gettazione senza un modello di prodotto da

e dalla irreversibilità (e spesso irrintraccia-

poter testare in una pluralità di ambienti di

bilità) di certe trasformazioni nefaste che

calcolo e simulazione? E soprattutto, i det-

imprimiamo allo stesso.

tami della progettazione esigenziale pre-

La promozione del Digital Plan of Work in-

stazionale o performance based building design

glese verte sul principio che, attraverso

(PBBD)6 ci insegnano che la prestazione di

una capillare adozione del BIM, è possibi-

sistema dipende dai contributi di tutti gli

le ridurre del 30% il costo degli interventi

elementi tecnici, le discipline e i sottosiste-

edilizi4. Ebbene tale valore, seppur signifi-

mi dell’organismo edilizio. Tali sottosistemi

cativo in tempi di spending review, appare as-

sono sempre interdipendenti (basti pensare

sai limitato se comparato alla riduzione dei

alla relazione involucro-impianto-profili

costi che una progettazione sostenibile può

di utilizzo) e qualsiasi modellazione fina-

comportare. Ancor di più vi è la chiara evi-

lizzata a una simulazione non può che im-

denza del fatto che adottare un approccio

postarsi come un processo iterativo di pro-

esigenziale prestazionale alla programma-

gressivo affinamento del comportamento

zione, progettazione, esecuzione e gestione

previsionale del modello. La relazionalità

delle opere può portare a un incremento del

degli elementi assieme alla interdipendenza

18% della produttività delle imprese econo-

delle discipline è alla base della modellazio-

miche che in seno a queste si sviluppano5.

ne informativa. Il semplice fatto che un pa-

Se il primo dato ci fa circostanziare il valore

rametro venga pubblicato all’interno del set

del BIM e ripensare alla quantità di testi-

di attributi di un oggetto informativo non

monianze che attorno a questa tecnologia

in maniera espressa ma per via relazionale

vengono condivise, l’ultimo dato deve for-

determina a monte la programmazione del-

zare utenti nuovi e consolidati a guardare

le relazioni degli oggetti che compongono

al BIM non semplicemente come uno stru-

il BIM. Tale programmazione, edilizia, non

mento di supporto alla progettazione ma di

informatica, è il risultato di un lavoro plu-

fatto come a un patrimonio tecnologico e

riennale di ricerca e standardizzazione e a

culturale al quale attingere per comprende-

questa dobbiamo guardare per apprendere

re a fondo il comportamento degli organi-

di più in termini di conoscenza del sistema

smi edilizi e programmarne eventualmen-

edilizio e per provare a estendere la nostra

te l’evoluzione in forme più sostenibili e

visione progettuale oltre i limiti del con-

produttive.

suetudinario. Il contributo di personalità

N.12 MAG-GIU 2016 67


02

elevatissime del panorama architettonico qualificazione dell’ambiente costruito. Alcontemporaneo non avrebbe potuto con- lora il messaggio che è urgente condividere cretizzarsi oggi senza questo tipo di sensi- all’interno di un documento divulgativo bilità e disponibilità tecnologica.

sulla cultura della progettazione è che risul-

Collocarsi oggi nel mercato delle progetta- ta fondamentale interessarsi di tutte quelle zioni, definire il proprio linguaggio archi- schematizzazioni e modellizzazioni dell’or-

essendo una standardizzazione delle relazioni tra gli elementi della costruzione IFC si configura come un patrimonio conoscitivo condiviso dal valore eccezionale. Studiare e testare questo patrimonio rappresenta il primo obiettivo per sviluppare una cultura del digital design

tettonico, offrire un prodotto migliore in ganismo edilizio che, in seno al BIM, vantermini di qualità e significato architetto- no sviluppandosi a partire dall’enorme lanico, impone di misurarsi con una cultura voro che sta conducendo buildingSMART, del fare architettonico che si compone di ossia l’organizzazione internazionale che aspetti materici, compositivi e informativi, persegue l’interoperabilità tra i software prosecondo una triade che, lasciando stare Vi- muovendo il formato openBIM IFC. truvio, non può che risultare instabile qua- IFC non è semplicemente un formato dilora monca di una delle parti.

modellazione informativa all’ambito dell’in- IFC si configura come un patrimonio coformation technolog y è oggi tanto forte e peri- noscitivo condiviso dal valore eccezionale7. colosa quanto lo è stata in passato quella di Studiare e testare questo patrimonio rapseparare il contributo della progettazione presenta il primo obiettivo per sviluppare tecnologica dall’ambito della progettazione una cultura del digital design, della progettaarchitettonica al fine di evitare derive stili- zione digitale. Utopia è pensare che sia posstiche della prima nella seconda. È chiaro sibile implementare nel processo creativo che, riprendendo il succitato diagramma il linguaggio della tecnologia informativa di Gartner, la straripante esposizione me- e della standardizzazione per capitalizzare diatica di una nuova tecnologia comporta il contributo dell’openBIM, concretezza è fascinazioni stilistiche a volte difficilmente sulla base di questa utopia forzare i limiti digeribili da parte di chi, legittimamente e delle discipline progettuali per perseguire con grande cura, coltiva la cultura del com- sinergie finora inesplorate e che possano porre architettura. Tuttavia anche questo qualificare il nostro modo di (bis)trattare tipo di inquinamento va visto come un l’ambiente. ♦ segno dei tempi, come parte connessa allo sviluppo di un processo che non può che essere virtuoso in quanto orientato alla

68 OFFICINA*

gitale; essendo una standardizzazione delle

La tentazione di relegare il mondo della relazioni tra gli elementi della costruzione


NOTE 1 - Penttilä, H; Markus Peter, D.E.; VBE AND BIM-frameworks. A Cost Estimation Case Study and Reflections to Environmental Issues, CAADRIA 2008 Proceedings of the 13th International Conference on Computer Aided Architectural Design Research in Asia, Chiang Mai (Thailand) 2008, pp. 81-88 2 - Eadie, R., Browne, M., Odeyinka, H., McKeown, C., & McNiff, S. (2013). BIM implementation throughout the UK construction project lifecycle: An analysis. Automation in Construction, 36, 145-151. 3 - Sui limiti di produttività del settore delle costruzioni: Teicholz, P. (2001). U.S. Construction Labor Productivity Trends, 1970-1998. Journal of Construction Engineering and Management, 127(25), 427–429. Relativamente ai costi per la sicurezza consultare www.bls.gov/iif/oshcfoi1.htm. ≥ Sui dati relativi all’impronta ecologica dello stock edilizio: archive.epa.gov/greenbuilding/web/pdf/gbstats.pdf. ≥ 4 - Department for Business, Innovation & Skills, Industrial Strategy: government and industry in partnership, 2013. www. gov.uk /gover nment /uploads /s ystem / uploads/attachment_data/file/210099/ bis-13-955-construction-2025-industrialstrategy.pdf. ≥ 5 World Green Building Council, The Business Case for Green Building. A Review of the Costs and Benefits for Developers, Investors and Occupants. www. worldgbc.org/files/1513/6608/0674/Business_Case_For_Green_Building_Report_WEB_2013-04-11.pdf. ≥ 6 «The Performance approach is [..] the practice of thinking and working in terms of ends rather than means. It is concerned with what a building or a building product is required to do, and not with prescribing how it is to be constructed». In E.J. Gibson, CIB Working Commission W060: Working with the Performance Approach in Building, No.64, Rotterdam, 1982, p.4. Sul PBBD consultare anche F. Szigeti, G. Davis, What is Performance based building, EC 5th Framework, 2005, p.3. 7 Sulla sinergia esistente tra lo sviluppo dello standard informativo IFC e i processi di progettazione consultare gli atti del convegno biennale dedicati al tema in eWork and eBusiness in Architecture, Engineering and Construction: ECPPM in particolare annate 2012/2014 e il contributi di van Berlo, Beetz, Bos, Hendriks, Tongeren; Collaborative engineering with IFC: new insights and technology. IMMAGINI Le immagini sono prodotte dagli studenti del corso di Produzione Edilizia della Facoltà di Ingegneria Edile e Architettura dell’Università degli studi di Padova. 01 - California Academy of Siences. Elaborato di Dennis Durante, Alex Antonio Rocco, Matteo Salmaso, Simone Salvadori, Erald Sulaj, Alberto Toniolo. 02 - High Museum of Art, Atlanta. Elaborati di Marco Baldan, Michele Carradori, Mickall Furlan, Sabrina Martin, Michele Scotton, Alberto Tono. 03 - Lingotto Factory Conversion. Elaborato di Giuseppe Della Ragione, Giulia Freschi, Anna Grigoletto, Federico Pigato, Matteo Pulvini, M.Costanza Scarna Casaccio.

03


DECLINAZIONI

di Chiara Trojetto La fibbia, termine che deriva dal latino fibula, da figĕre «attaccare, appendere», è un fermaglio generalmente di metallo, materiale plastico o legno, utilizzato per chiudere cinture, borse, scarpe e capi d'abbigliamento. Può avere forme e finiture di vario tipo, ma comprende sempre una traversa, detta staffa, a cui sono collegate una o più punte che, passando attraverso il foro predisposto su uno dei due lembi di pelle o stoffa, ne realizza il collegamento. La sua origine non ha una datazione certa, ma le prime apparizioni documentate risalgono, in Europa, all’età del Bronzo (dal 3500 a.C. al 1200 a.C.). Nell’area cinese se ne iniziò a fare uso alcuni secoli dopo: nel 300-200 a.C. un popolo nomade, gli Xiongnu, indossava delle lunghe tuniche chiuse da cinture con delle fibbie finemente lavorate. Per secoli sono state degli elementi decorativi e preziosi, oltre che funzionali, per i quali venivano scelti metalli nobili quali l’oro e l’argento, o pietre preziose. È infatti interessante vederne l’evoluzione attraverso la storia dell’arte e la letteratura: Omero narra di una fibbia appartenuta a Ulisse, sulla quale erano rappresentati un cane che stringe nelle zampe un cerbiatto, mentre Boccaccio scrive di “[…] una bellissima fibula, non solamente d’oro ma di varie gemme splendiente” (L'Ameto, o ver Commedia delle ninfe fiorentine, volume 4.4). La fibbia è un accessorio che nella Storia ha sempre alternato periodi di grande successo a periodi di declino, periodi di larga diffusione a periodi in cui il suo uso era ristretto a categorie specifiche: nel Medioevo divenne talmente comune chiudere i mantelli con le fibbie che gli orefici che fabbricavano le più preziose formarono una corporazione, mentre a partire dal secolo XIV caddero in disuso, rimanendo un accessorio molto usato per i paramenti sacri utilizzati nelle cerimonie più solenni. È curioso osservare come le forme più comuni che oggi vengono normalmente utilizzate nel settore della pelletteria, di cui in queste pagine è possibile osservare alcuni esempi, paiano un ritorno alla funzionalità con cui sono nate, una pausa dopo una lunga e sfarzosa parentesi. ♦

In collaborazione con www.dupelli.it

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Fibbia / 'fib:ja / s.f.

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MICROFONO ACCESO Dimensione spaziale dell’architettura, limite e materialità nell’intervista all’architetto portoghese

Aires Mateus a cura di Francesca Guidolin Francesca Guidolin è architetto e dottoranda di ricerca in Nuove tecnologie per il territorio, l’ambiente e la città – Tecnologia dell’Architettura. e-mail: arch.francesca.guidolin@gmail.com

L’architetto portoghese Manuel Aires Mateus era presente a Venezia in occasione dei workshop WAVe 2015. Si tratta dell’appuntamento annuale che l’Università Iuav di Venezia organizza invitando architetti e professionisti di fama internazionale. Aires Mateus, presente per uno dei corsi con la sua collaboratrice, l’arch. Luz Jimenez, ha risposto ad alcune domande nel corso di una conversazione svoltasi negli spazi del laboratorio ArTec (Archivio delle Tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale) dell’Università Iuav di Venezia.

Based in Lisboa, the architect Manuel Aires Mateus has collaborated with Arch. Gonçalo Byrne since 1983, but from 1988 he founded an architectural office with his brother, Francisco. The growing interest for his projects brings him to teach in different schools: the Harvard’s Graduate School of Design, the Accademia di Architettura in Mendrisio and, in July 2015, at the Iuav University of Architecture in Venice, for the WAVe2015, the Summer Workshops of Architecture that Iuav organizes every year. Here there is a part of the speeches that take place in the Artec Laboratory (the Archive of the Techniques and materials for architecture and industrial design) of Iuav’s Univeristy.

Che importanza date al rapporto che c’è tra la vostra architettura e il contesto in cui andate ad operare, tra la contemporaneità e la tradizione nelle architetture residenziali che realizzate in Portogallo, inserite in un contesto preesistente? Partiamo dalla considerazione di cosa è un progetto: una necessità di cambiamento di una realtà. Il progetto è una domanda. Operiamo come se l’architettura fosse un altro layer su una realtà preesistente. Sia che il contesto sia preso dal punto di vista fisico, dal punto di vista del senso di continuità del tempo, abbiamo sempre l’idea che il progetto debba anche mettere in evidenza il suo intorno, così che diventi centrale, per avere un progetto di qualità. Voi lavorate spesso sul tema del recupero (ad esempio la casa ad Alenquer). Partite da un perimetro e un limite che già esiste. Quali sono le cose all’interno di un progetto di recupero che voi ritenete come fondamentali? Dipende molto da ogni progetto, bisogna capire veramente cosa in ciascun progetto sia fondamentale. Per esempio in Alenquer il progetto ha avuto una storia molto lunga. Si è deciso di conservare i muri esistenti, i quali, nonostante avessero 50 anni, avevano una certa rigidezza strutturale. Era interessante tenerli perchè quei muri mantenevano il rapporto con la città, la scala dell’urbano, con la strada che aveva già una memoria. Siccome questi muri non avevano capacità di carico, abbiamo deciso di costruire separatamente, ma in rapporto con essi. Il perimetro diventava così l’esistente, il nuovo muro, e lo spazio tra questi due elementi. I muri storici avevano una cosa molto bella: si potevano adattare senza perdere l’identità; invece il nuovo rappresenta una sorta di perfezione geometrica, perché l’architettura è geometria, è certezza.

72 OFFICINA*


così il limite diventava l’esistente, il nuovo e lo spazio tra i due

E nel progetto della casa a Breios?

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La casa a Breios è un caso molto diverso. Il concetto del progetto è stato fatto praticamente in un secondo: siamo entrati dentro, con il proprietario, e c’era una luce all’interno della casa che dava la sensazione di uno spazio unico. Entrando, il proprietario ha detto “vediamo come dividere questo spazio” e immediatamente il progetto è stato fatto, perché io ho

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pensato “questo spazio non si può dividere, abbiamo bisogno di conservare questa sensazione di unicità”. Così abbiamo tenuto un unico spazio con le finestre che lasciano entrare la luce da sopra e creano una sensazione di unità. Successivamente è stato deciso di inserire degli spazi chiusi che fluttuano a diverse altezze all’interno di questo unico spazio dell’edificio. Sono stati fatti i due corridoi che hanno la funzione di appoggio. Dopo, nello sviluppo del progetto, abbiamo deciso che questi cubi per fluttuare dovessero toccare solo con uno spigolo il muro sottostante: una cosa staticamente impossibile, linea con linea. Lei prima ha parlato di sviluppo del progetto, qual è il processo che nello studio utilizzate per passare dall’ideazione del progetto alla costruzione, al cantiere. Ci sono delle fasi che voi affrontate? La prima cosa che noi facciamo in ogni progetto è raccogliere i materiali, i problemi legali, fisici, il modello del sito, il programma. Dopo c’è una fase di discussione sul problema, per capire qual è la direzione che è utile prendere per noi: lavoriamo sulla domanda per capire qual è la risposta. Poiché io non so lavorare a computer, il mio lavoro è disegnare a mano. Disegno a mano: in tasca ho A6, in valigia A5, in ufficio ho anche un formato un po’ più grande. Scrivo, disegno e cerco un punto di partenza.

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Abbiamo tre modalità di rappresentazione. La prima è fare dei modelli a grande scala, minimo 1:20 (anche se dipende dall’edificio) per mettere la testa dentro, per vedere lo spazio, ma anche per un’altra questione: per non innamorarsi della miniatura. L’altra forma per rappresentare il progetto è uno schema. Questi schemi accompagnano il progetto in tutte le sue fasi, fino all’esecutivo e fino anche al cantiere, per garantire che quelle che sono le idee fondamentali del progetto non si perdano (perché un progetto dal primo giorno in cui c’è fino al giorno in cui viene messo in cantiere ha una storia). C’è infine una terza rappresentazione del progetto che è la grande sezione costruttiva. Come lo vogliamo costruire, quali sono i grandi problemi e quanto costa? Rispetto al tema del progettare l’abitare, quali sono i temi e le esigenze su cui vi focalizzate? Varia o ci sono delle cose da cui non si può prescindere? Varia: la cosa più importante è capire cosa è centrale nella vita di ogni persona, perché l’architettura ha un rapporto molto diretto con la vita. Abitare è una delle cose più tradizionali, ma le case devono proporre una certa libertà d’uso, perché uno dei grandi problemi che affrontiamo di più adesso, con le dimensioni sempre più ridotte delle case, è la funzionalizzazione: uno spazio per dormire, uno spazio per cucinare, uno spazio per… e così la casa non propone mai una libertà. Per questo penso che le persone, quando hanno la possibilità, recuperano e non fanno exnovo: una casa che si recupera ha sempre un vano di una finestra che diventa il tuo spazio di libertà, che è quello dove fai quello che vuoi.

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una casa che si recupera ha sempre un vano di una finestra che diventa il tuo spazio di libertà , che è dove fai quello che vuoi

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il mio lavoro è disegnare a mano. In tasca ho A6, in valigia A5, in ufficio ho anche un formato un po’ più grande Come diceva Siza, quando ha fatto il quartiere e le abitazioni ad Evora1: “Tutti gli spazi sono troppo funzionali, per questo faccio allargare il corridoio da 1,1 a 2,2 m, che non è gran che come aumento volumetrico, ma quello spazio, ogni abitante della casa ha la sua possibilità di abitarlo.” Ognuno di noi lo occuperà in modo diverso. Questa è una dimensione della libertà. Un’altra è quella di cui parlava il vecchio principe nel Gattopardo che diceva: “Di una casa - per essere una casa - non si possono conoscere tutti i compartimenti”. Ma per me l’architettura non può mai essere chiusa nella funzione, perché così funziona molto male. Essa predispone un uso ma deve conservare sempre quel dominio della libertà … non so perché abbiamo sempre bisogno di questo dominio sulla libertà… Cioè la necessità di appropriazione degli spazi? Lasciare la possibilità di appropriazione. Non è molto diverso da appropriarsi, è sottilmente diverso, e questa sottile differenza dà la qualità. Non c’è niente di peggio che non avere libertà. ♦

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NOTE 1 - Il riferimento è qui probabilmente all’incarico del quartiere Malagueira ad Evora, ottenuto da Alvaro Siza ed eseguito tra il 1977-1992. IMMAGINI 01 - L’architetto Manuel Aires Mateus. Immagine di DMF-Daniel Malhão Fotografia, Lda. 02 - Interno della casa a Brejos de Azeitao. Immagine di DMF-Daniel Malhão Fotografia, Lda. 03 - Interno della casa a Brejos de Azeitao, la spazialità libera è enfatizzata dalla fluttuazione dei cubi che accolgono le stanze del piano superiore. Immagine di DMFDaniel Malhão Fotografia, Lda. 04 - Manuel Aires Mateus, casa a Brejos de Azeitao. Immagine di DMF-Daniel Malhão Fotografia, Lda. 05 - Interno della casa a Brejos de Azeitao, le stanze del piano superiore sembrano appoggiare con un unico spigolo sul muro perimetrale che accoglie la scala. Immagine di DMF-Daniel Malhão Fotografia, Lda. 06 - Esposizione dei lavori degli studenti del Laboratorio di Manuel Aires Mateus ai WAVe2015. Immagine di Umberto Ferro (Laboratorio Fotografico IUAV). 07 - WAVe 2015 l’esposizione dei lavori degli studenti del workshop. Immagine di Umberto Ferro (Laboratorio Fotografico IUAV).

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CELLULOSA

a cura di

Più nero del nero

www.libreriamarcopolo.com ≥

Black Bazar Alain Mabanckou 66THAND2ND 2010 (copertina di Silvana Amato)

Alan Mets Le mie mutande Edizioni Clichy, 2015

Divertendoci forte di pagina in pagina, ci tro-

la sua vita, il lavoro, gli amici del bar, la famiglia,

viamo a Parigi, non in periferia, nel primo e

il monolocale. Ciò che leggiamo è il suo diario,

nel decimo arrondissement, eppure non si vede

digitato su una macchina da scrivere comprata

un francese bianco, se non alla fine del libro. Ci

al mercato delle pulci e l’idea del diario gli viene

sono neri di varia tonalità e di varie provenienze,

da uno scrittore haitiano che conosce per caso.

vengono dal Congo Grande, Congo Piccolo, Ca-

Ci sono parti autobiografiche in questo romanzo,

merun e poi dalla Martinica, da Haiti, da Nancy.

Mabanckou nasce in Congo, va in Francia per lavo-

È un mondo di immigrati, di prima o seconda

rare e sceglie di abbandonare il lavoro per la scrittura,

generazione, con una caratteristica in comu-

lo scrittore che ispira il protagonista esiste davvero.

ne: si sentono tutti francesi, anzi qualcuno più

L’aspetto più interessante è ciò che potremmo defi-

francese di altri. C’è quello della Martinica che

nire biografia comune, quella di una generazione di

considera gli africani dei selvaggi e pensa che i

immigrati, arrivati in Francia con i mezzi più dispa-

colonizzatori siano stati troppo buoni, c’è l’A-

rati e disperati e intenzionati a restare, non a convi-

rabo che se la prende con gli altri immigrati,

vere come cittadini di serie B ma decisi a portare un

la figlia di congolesi che ha sempre vissuto in

nuovo mondo e un nuovo modo di essere francesi.

Francia e che ha gli stessi pregiudizi dei bianchi.

È con questo libro che siamo venuti a conoscenza

Il protagonista è senza nome, solo con un so-

dei Sapeurs. Quello dei Sapeurs è un fenomeno

prannome datogli dai suoi amici al bar, Sedero-

emerso in Africa, proprio in Congo, circa venti-

logo, esperto di sederi femminili. Lui è del Con-

cinque anni fa; sono bande di uomini, noti per i

go Piccolo, non del Congo Grande, ex Zaire,

loro abiti firmati, le bretelle colorate, le scarpe vin-

differenza che non riesce a far comprendere ai

tage e i loro rituali . Nel 2010 il designer britannico

suoi interlocutori, e la storia inizia quando è stato

Paul Smith ha lanciato una linea maschile ispirata

lasciato dalla sua donna, chiamata Colore d’Ori-

a loro. ♦

gine perché è più nera delle donne del suo Paese pur essendo nata in Francia. Sederologo racconta

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a cura dei Librai della MarcoPolo

Elisabetta Bucciarelli La resistenza del maschio NN editore, 2015 (copertina di 46xy)

Bernerdine Evaristo Mr Loverman Playground Libri, 2015 (copertina di IFIX)


(S)COMPOSIZIONE

Non stirare pi첫!

Il vero e unico consiglio utile suggerito da una rivista per smettere di stirare.

Immagine di Valentina Covre



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