ISSN 2532-1218
n. 19, ottobre-novembre-dicembre 2017
Aria
Emotional landscape, paper collage (2016) di Patrizio Martinelli Visiting Assistant Professor, Department of Architecture+Interior Design, College of Creative Arts, Miami University, Oxford (OH), USA “Il collage e il montaggio sono le tecniche di rappresentazione artistica preferite, nel nostro tempo; questi media permettono una densità archeologica e una narrazione non lineare grazie alla frammentazione di immagini derivanti da origini inconciliabili. Il collage rinvigorisce l’esperienza della tattilità e del tempo”. Juhani Pallasmaa, “Hapticity and Time: Notes on Fragile Architecture”, in The Architectural Review, n. 80, 2000, traduzione di PM Martinelli.
patriziomartinelli.tumblr.com
Stefania Mangini
Lo sguardo oltre il cielo Nel 1610 Galileo Galilei dà alle stampe il Sidereus Nuncius, un trattato di astronomia nelle cui poche pagine espone i risultati delle osservazioni condotte con il nuovo strumento da lui inventato: il telescopio. Il trattato, uno tra i primi a presentare in forma scientifica gli esiti di una ricerca, inizia con uno studio sulla Luna nel quale Galilei dimostra, attraverso l’osservazione delle ombre, che la superficie lunare non è affatto liscia e levigata ma “scabra e ineguale, e allo stesso modo della faccia della Terra, presentasi ricoperta in ogni parte di grandi prominenze, di profonde valli e di anfratti”. Il testo continua con una trattazione inerente le stelle fisse della Via Lattea in cui lo scienziato va a dimostrare che queste sono ben più numerose di quanto siano quelle visibili a occhio nudo, dilatando in tal modo le dimensioni del cosmo fino a limiti prima impensabili. Infine vengono descritte quattro stelle mobili mai prima osservate, i quattro satelliti di Giove: Io, Europa, Ganimede e Callisto. La scoperta è così sensazionale da spingere lo stesso Galilei a nominare i quattro satelliti come Astri Medicei, in onore del Serenissimo Granduca di Toscana Cosimo II De’ Medici, suo mecenate. Con questa scoperta Galilei dà il definitivo colpo di coda all’antropocentrismo, dando avvio a secoli di investigazioni sull’universo e sulla possibilità di andare oltre confini del nostro cielo. Dopo più di quattro secoli l’uomo ha fatto enormi passi avanti in questa direzione, arrivando a mettere piede sulla Luna, a spedire sonde e telescopi nello spazio e a scoprire miliardi di stelle e pianeti che ruotano attorno a esse. Il cielo è diventato la nuova frontiera dell’Umanità: l’uomo traccia in esso rotte aeree, sfrutta la forza dei venti e, sfidando la gravità, costruisce edifici sempre più alti che si stagliano sull’orizzonte; l’atmosfera è diventata il ricettacolo di tutti i nostri scarti e così l’uomo si spinge oltre i suoi limiti per cercare nuove terre e nuovi mondi da abitare. E questa spinta in altezza si fa più forte mano a mano che la “coscienza planetaria” descritta da Gilles Clement in L’alternativa Ambiente (Quodlibet, 2015) va rafforzandosi, mettendo l’Umanità di fronte al degrado e al declino che l’uso inconsapevole del nostro pianeta Terra sta provocando. Dopo secoli di guerre e battaglie per il dominio della terra, l’Umanità sta scoprendo che il vero nemico da cui difendersi è dentro di lei, che il suo passato non è stato poi tanto glorioso quanto ci raccontano le stelle con i loro appellativi e che il futuro che l’aspetta è incerto. L’Umanità ora comincia a chiedersi come porre fine a questo conflitto tra uomo e natura, e così alza gli occhi al cielo e tende l’orecchio, alla ricerca di una flebile risposta che forse, per dirla alla Bob Dylan, sta già “soffiando nel vento”. Emilio Antoniol
OFFICINA* Direttore editoriale Emilio Antoniol Direttore artistico Margherita Ferrari Comitato scientifico Fabio Cian (direttore), Sebastiano Baggio, Matteo Basso, MariaAntonia Barucco, Viola Bertini, Piero Campalani, Federico Dallo, Doriana Dal Palù, Francesco Ferrari, Michele Gaspari, Silvia Gasparotto, Giovanni Graziani, Michele Marchi, Patrizio Martinelli, Cristiana Mattioli, Corinna Nicosia, Fabio Ratto Trabucco, Chiara Scarpitti, Giulia Setti, Luca Velo, Barbara Villa, Carlo Zanchetta, Paola Zanotto Redazione Valentina Manfè (esplorare), Margherita Ferrari (portfolio), Paolo Borin (BIMnotes), Francesca Guidolin (microfono acceso), Libreria Marco Polo (cellulosa) Copy editor Emilio Antoniol (caposervizio), Luca Casagrande, Margherita Ferrari Impaginazione Margherita Ferrari Grafica Stefania Mangini, Luca Casagrande Photo editor Letizia Goretti Testi inglesi Giorgia Favero, Antonio Sarpato Web e social media Emilio Antoniol, Luca Casagrande, Margherita Ferrari Progetto grafico Margherita Ferrari
“Officina mi piace molto, consideratemi pure dei vostri” Italo Calvino, lettera a Francesco Leonetti, 1953
Trimestrale di architettura e tecnologia N.19 ott-dic 2017 Aria
Proprietario Associazione Culturale OFFICINA* e-mail info@officina-artec.com Editore Incipit Editore S.r.l. Sede legale via Asolo 12, Conegliano, Treviso e-mail editore@incipiteditore.it Stampa Press Up, Roma Tiratura 300 copie Chiuso in redazione il 20 novembre 2017, con tante crostatine al cioccolato Copyright opera distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale L’editore si solleva da ogni responsabilità in merito a violazioni da parte degli autori dei diritti di proprietà intelletuale relativi a testi e immagini pubblicati.
Direttore responsabile Emilio Antoniol Registrazione Tribunale di Treviso n. 245 del 16 marzo 2017 Pubblicazione a stampa ISSN 2532-1218 Pubblicazione online ISSN 2384-9029 Accessibilità dei contenuti online www.officina-artec.com Abbonamenti e-mail abbonamenti@incipiteditore.it online www.incipiteditore.it Prezzo di copertina 10,00 €
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO: Loris Agostinetto, ANEV, Eduardo Bassolino, Maurizio Brocato, Lorenzo Catania, Massimiliano Condotta, Valentina Crupi, Marcello Fantuz, Margherita Ferrucci, Paola Fortuna, Tiziana Gallon, Beatrice Lerma, Michele Manigrasso, Patrizio Martinelli, Angela Mejorin, William Miranda, Daniele Passoni, Matilde Pedroni, Fabio Peron, Maura Polesello, Giovanni Riva, Paolo Ruggeri, Chiara Scanagatta, Francesco Scarpati.
INDICE
n•19•ott•dic•2017
ESPLORARE
4
a cura di Valentina Manfè
Aria
8
introduzione di Emilio Antoniol
10
Per una rivincita della mobilità lenta Michele Manigrasso
18
Il progetto dei parchi nell’era dell’Antropocene Valentina Crupi
22
Climate adaptive design Eduardo Bassolino, Francesco Scarpati
28
I ventidotti di Costozza: vento, paesaggio, architettura Valentina Manfè, Marcello Fantuz
36
La sperimentazione aerodinamica con Air-chitecture Margherita Ferrucci, Maurizio Brocato, Fabio Peron
42
Climate Change and Façade Resilience Angela Mejorin, William Miranda
48
Le sfide dell’aria in piccola scala Beatrice Lerma
52
InFondo a cura di Emilio Antoniol e Luca Casagrande
PORTFOLIO
54
Con la testa tra le nuvole Margherita Ferrari
IN PRODUZIONE
60
Energia dal vento ANEV - Associazione Nazionale Energia del Vento
VOGLIO FARE L’ARCHITETTO
64
The LOOPER project in South Verona Massimiliano Condotta, Paolo Ruggeri, Chiara Scanagatta
IMMERSIONE
68
Riscaldamento globale Lorenzo Catania
72
Il teleriscaldamento a biomassa Loris Agostinetto, Giovanni Riva
76
Navigare sospinti dal vento Daniele Passoni
BIM NOTES
80
Lavorare con, chi e cosa? Paolo Borin
MICROFONO ACCESO
82
Luca Mercalli a cura di Francesca Guidolin
CELLULOSA
86
Abstract forecast a cura dei Librai della Marco Polo
(S)COMPOSIZIONE
87
In the wind Emilio Antoniol
Emotional landscape, paper collage (2016) Patrizio Martinelli
ESPLORARE
Van Gogh. Tra il grano e il cielo 7 ottobre 2017 – 8 aprile 2018 Basilica Palladiana, Vicenza www.lineadombra.it Il 7 ottobre ha aperto la mostra Van Gogh. Tra il grano e il cielo a cura di Marco Goldin. 43 dipinti e 86 disegni di una delle figure d’artista più singolari del secondo Ottocento, in esposizione nella Basilica Palladiana di Vicenza, patrimonio dell’Umanità Unesco. La mostra ne narra il percorso artistico: dai primi quadri da autodidatta con scene di vita contadina olandese, ai paesaggi influenzati dall’impressionismo francese; dal ricovero nell’istituto di Saint-Rémy, fino ai suoi ultimi giorni di vita. Le opere sono accompagnate dalle lettere che Vincent inviava al fratello Théo, piene di speranze, delusioni e progetti; documenti importanti per capire un artista che in soli dieci anni definì un linguaggio e un’espressione pittorica inconfondibile. Alla fine del percorso, il film Van Gogh. Storia di una vita coniuga opera ed esistenza del pittore olandese. Un viaggio nell’anima di un uomo deciso a perseguire l’obiettivo di diventare artista, obiettivo che divenne la sua unica ragione di vita. Maura Polesello Treasures from the Wreck of the Unbelievable. Damien Hirst 9 aprile – 3 dicembre 2017 Punta Dogana + Palazzo Grassi www.palazzograssi.it “Somewhere between lies and truth lies the truth” è l’iscrizione all’ingresso della sede di
Punta della Dogana che accoglie i visitatori alla mostra di Damien Hirst, uno dei più grandi artisti contemporanei. La costruzione narrativa di Hirst, Treasures from the Wreck of the Unbelievable curata da Elena Geuna, che si sviluppa in due prestigiose sedi veneziane, Punta della Dogana e Palazzo Grassi, è una vera e propria esperienza di scoperta e di interrogazione. È un continuo alternarsi tra l’oggetto materiale e il pensiero, tra la realtà e l’immaginazione, tra il minuscolo e il gigante. Lo spazio circostante e l’architettura giocano un ruolo fondamentale. Le opere dell’artista dialogano con il raffinato intervento di Tadao Ando come se sculture e costruito fossero state pensate in un unico momento, un susseguirsi di scorci d’architettura e scorci di opere scultoree, realizzate con i più vari materiali, bronzo, marmo, resina, giada e altri ancora. Esperienza di scoperta artistica e architettonica, dove tematiche mitologiche vere e false del passato si intrecciano e vengono declinate in tempi diversi e con materiali diversi. È una mostra che può essere visitata come se si stesse assistendo alla battuta finale dell’opera teatrale di Pirandello in Così è (se vi pare), quando Frola dice: “Nossignori. - Per me, io sono colei che mi si crede!” Ogni sabato pomeriggio si tengono delle visite guidate gratuite a cura di Giulia Granzotto che racconta la mostra “[…] un po’ come una storia del mondo in 100 oggetti”, alle 15.00 a Punta della Dogana e alle 17.00 a Palazzo Grassi, in italiano e in inglese. Valentina Manfè Visite alla scala Contarini del Bovolo 30 gennaio – 31 dicembre 2017 San Marco, Venezia
Matilde Pedroni
www.scalacontarinidelbovolo.com
4 OFFICINA*
Dopo un lungo restauro riapre al pubblico la Scala Contarini del Bovolo, della fine del 1400. Lasciato alle spalle Campo Manin, ci si immerge in una calle stretta, giungendo in una piccola corte, dove lo sguardo è attirato da questo raro e singolare esempio di architettura veneziana che si staglia elegante al di sopra dell’omonima corte. Il percorso inizia con una rampa rettilinea e, senza quasi accorgersene, ci si ritrova all’interno della torre. La scala prosegue con un andamento che diventa a chiocciola (in dialetto
veneziano bovolo), il cui elemento centrale è il pilastro in pietra d’Istria attorno al quale si impostano gli ottanta gradini trapezoidali che, in una danza elicoidale antioraria, conducono il visitatore verso la sommità. L’ascesa a spirale e le aperture ad arco sulla torre, che cadenzate si affacciano sul cortile con un gioco di pieni e vuoti, fanno sì che la scala diventi una vera e propria promenade architecturale: l’occhio sono offerti punti di vista differenti, regalando l’occasione di una privilegiata e graduale scoperta della città e creando con essa un’esclusiva connessione. Si raggiunge infine il belvedere: improvvisamente si è inondati di luce, colori e aria. Prima di ridiscendere, con lo sguardo verso l’orizzonte ci si lascia cullare da venti di provenienza lontana che sostano e si rincorrono tra gli archi a tutto sesto, affascinati ancora una volta da questa città che riserva sempre emozioni senza tempo. Matilde Pedroni Picasso. Sulla spiaggia 26 Agosto 2017 – 7 Gennaio 2018 Peggy Guggenheim, Venezia www.guggenheim-venice.it La visita alla mostra Picasso. Sulla spiaggia è la migliore occasione per scoprire i nuovi spazi espositivi delle Project Rooms in cui è allestita. L’esposizione, curata da Luca Massimo Barbero, è costituita da una ricercata selezione di opere, dipinti, disegni e una scultura, realizzati da Pablo Picasso nel 1937. Sulla spiaggia, il noto capolavoro dell’artista è il centro intorno cui si sviluppa l’intera esposizione, ma tutti e tre i dipinti, esposti per la prima volta insieme, evocano istantaneamente l’idea del Mediterraneo, con i suoi inequivocabili colori sapientemente richiamati anche nei toni dell’allestimento. I bagnanti dipinti da Picasso emergono, quasi come chiare sculture, dagli azzurri degli sfondi. L’esposizione fa parte del più ampio progetto triennale Picasso-Méditerranée, promosso dal Musée national Picasso-Paris, che coinvolge più di sessanta istituzioni, per celebrare l’arte e il legame tra l’artista e la cultura del Mediterraneo: dalle sue radici in Spagna, alla vita in Francia, alle relazioni con artisti e forme d’arte che avevano nel Mediterraneo un punto di riferimento. Tiziana Gallon
N.19 OTT-DIC 2017 5
Riproduzione di un relitto in scala di circa 18 metri realizzata in bronzo. Palazzo Grassi. Crediti: Valentina Manfè
6 OFFICINA*
messaggio (la straordinarietà di questo vento e della città con cui si identifica), le finalità (far conoscere il museo, e attraverso di lui la città di Trieste, inusuale e seducente). Una giornata a Trieste per raccogliere indizi, suggestioni, informazioni ha dato avvio all’esercitazione. Un incontro con Rino Lombardi, ideatore e direttore del Museo della Bora, che nel Salone degli Incanti ha raccontato com’è nata l’idea del Museo, come sarà organizzato, quali gli aspetti che saranno approfonditi. Una lezione di Renato R. Colucci, esperto di clima e ghiacciai e poi un sopralluogo dove la Bora soffia più impetuosa. Infine, una visita al Magazzino dei Venti, dove da quasi vent’anni convergono oggetti, immagini, idee e contiene in nuce ciò che sarà il Museo. Incuriositi, affascinati, divertiti, gli studenti hanno lavorato alle proprie proposte. Alcuni rielaborando i contributi visivi di vari fotografi e illustratori triestini, fra i quali Marco Covi, che si sono prestati a confrontarsi e interloquire con loro. Altri hanno voluto seguire una via autonoma, utilizzando materiali creativi propri. I risultati, allegri, freschi, vivaci, inaspettati, profondi, sono diventati i protagonisti di una mostra nel Palazzo delle Poste di Trieste, affascinante spazio in uno dei palazzi più maestosi della città, grazie alla disponibilità di Maria Letizia Fumagalli direttrice della Filiale di Trieste, Chiara Simon, Conservatore del Museo Postale e Telegrafico della Mitteleuropa e Maurizio Lozei, Ufficio Stampa. E la mostra si è tenuta proprio nei giorni della Barcolana, la regata più affollata del Mediterraneo, la grande festa del vento a Trieste. Un’occasione per stuzzicare la curiosità dei visitatori e chissà… di qualche possibile investitore illuminato e di tutti coloro che vogliono farsi trasportare da questo particolare vento e dalla fantasia di queste giovani generazioni di futuri designer. Paola Fortuna - docente del Laboratorio di Fondamenti di Design della comunicazione, Iuav e curatore della mostra
Visual book del Laboratorio di Fondamenti del Design della Comunicazione. Crediti: Marco Corvi
Un museo che è nell’aria 3 ottobre – 21 ottobre 2017 Palazzo delle Poste, Trieste www.museobora.org Come si fa a comunicare per immagini qualcosa di invisibile, inafferrabile: il vento? E non un vento qualunque. Il vento per eccellenza. La Bora. Che per pochi giorni all’anno, stringendola e scompigliandola, solleva Trieste agli onori delle cronache nazionali. E come si fa a creare l’identità visiva del museo che della Bora ha fatto il suo oggetto? Un museo che ancora non c’è ma che vuole esserci. Che da anni raccoglie oggetti, pensieri, parole per raccontare al mondo la Bora e tutti gli altri venti. In questa impresa si sono cimentati gli studenti del Laboratorio di Fondamenti di Design della Comunicazione del Corso di Laurea in Disegno Industriale e multimediale dell’Università Iuav di Venezia, per l’esercitazione finale. Il tema loro assegnato era appunto quello di creare un’immagine rappresentativa di questo museo ancora in progress che ne interpretasse le finalità e lo spirito. La paradossale volontà di catturare la Bora, di mostrarne i lati scientifici, culturali, poetici, storici, quotidiani. Il desiderio di legarla a Trieste che è la Bora come la Bora è Trieste, la sua anima, la sua identità. Protagonista assoluta di quei giorni in cui il tempo è come sospeso e tutti i triestini si trovano insieme spinti, tirati, sollevati, piegati, schiacciati. E ancora, la voglia di imparare da lei a superare i confini, e l’intento di tenere insieme tutte queste cose con passione, curiosità, leggerezza e ironia. Gli studenti dovevano scegliere un tema attraverso il quale parlare della Bora: un paesaggio, un oggetto, un dettaglio, una parola e costruire l’identità del museo attraverso un’immagine, un moodboard, un pieghevole e un… contenitore del vento: sulla scia dell’air de Paris di Marcel Duchamp, una bottiglia, una scatola, un palloncino pieni di Bora, da portare via con sé. Dovevano riuscire a rappresentare in un’unica immagine la committenza (il Museo della Bora), il
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There’s something in the air. For the 76% it is nitrogen (N2) and for the 22% it is oxygen (O2), a molecule which is vital to life. The remaining 2% of the atmosphere is composed of other gases, mostly argon and carbon dioxide (CO2). But today there is something new in the air: new compounds, new gases that man release into the atmosphere. These are only small quantities, and they increase a little the 2% of “other gases” that compose the air we breathe. However this small variation is able to cause big changes at a planetary level. The increase in gas concentration such as water vapor (H2O), carbon dioxide (CO2), nitrous oxide (N2O), methane (CH4) and sulfur hexafluoride (SF6), also known as greenhouse gases, produces an increment of the greenhouse effect on our Planet. These gases create a “barrier” that holds more heat in the lower layers of the atmosphere, thus raising the temperatures on Earth: this is global warming. But there is something more in the air, not just gases and pollution, but also strong power and valuable resources: for men air is also an instrument that, over the centuries, we have learned to exploit, developing technological solutions able to counteract and harness its energ y. The issue 19 of OFFICINA* again investigates the dichotomy between threats and resources that characterizes the whole cycle of climate change. The air that we breathe today is polluted and man has to do something to make it better but, at the same time, a proper use of air for natural ventilation can help to improve the quality of human life by reducing the effects of global warming. The wind is a force that must be tackled, and that contrasts us when we try to rise vertically but, at the same time, it’s an unlimited resource that allows us to produce renewable energ y. The air, an intangible substance and virtually free of materiality, can instead become one of the next-generation building materials that increasingly find in their upward thrust the reason for being. So air, but not only air; there’s so much more over our heads.
C’è qualcosa nell’aria. Per il 76% si tratta di azoto (N2) e per il 22% di ossigeno (O2) molecola, questa, fondamentale per la vita. Il restante 2% circa dell’atmosfera è composto da altri gas, per lo più argon e anidride carbonica (CO2). Eppure oggi c’è qualcosa di nuovo nell’aria. Si tratta di nuovi composti, nuovi gas che l’uomo immette in atmosfera. Si tratta di piccole quantità, che vanno ad aumentare di poco quel 2% di “altri gas” che compongono l’aria che respiriamo. Eppure questa piccola variazione è in grado di provocare grandi cambiamenti a livello planetario. L’aumento della concentrazione di gas come il vapore acqueo (H2O), l’anidride carbonica (CO2), il protossido di azoto (N2O), il metano (CH4) e l’esafluoruro di zolfo (SF6), noti anche come gas serra, produce un incremento dell’effetto serra sul nostro Pianeta. Ciò crea una “barriera” che trattiene più calore negli strati bassi dell’atmosfera, facendo così alzare le temperature sulla Terra: ecco spiegato il riscaldamento globale. Ma c’è qualcosa di più nell’aria, non solo gas e inquinamento ma anche potenti forze e risorse preziose: l’aria è per l’uomo anche uno strumento che, nei secoli, egli ha imparato a sfruttare, sviluppando soluzioni tecnologiche in grado di contrastare e imbrigliare l’energia di questo elemento. Il numero 19 di OFFICINA* affronta nuovamente la dicotomia tra minaccia e risorsa che contraddistingue l’intero ciclo dedicato ai cambiamenti climatici: l’aria che oggi respiriamo è inquinata e l’uomo deve fare qualcosa per renderla migliore ma, allo stesso tempo, l’uso appropriato dell’aria per la ventilazione naturale consente di migliorare la qualità della vita umana riducendo gli effetti del riscaldamento globale; il vento è una forza da contrastare e a cui resistere quando ci si eleva in altezza ma, allo stesso tempo, è una risorsa illimitata che permette di produrre energia rinnovabile; l’aria, sostanza intangibile e quasi priva di matericità, può invece diventare uno dei materiali principi delle costruzioni del prossimo futuro che, sempre più, trovano nella spinta verso l’alto la loro ragion d’essere. Aria, quindi, ma non solo; c’è molto di più sopra le nostre teste. Emilio Antoniol
Per una rivincita della mobilità lenta Una riflessione in chiave ambientale sulle politiche urbane di mobilità sostenibile
Michele Manigrasso è professore a contratto presso il Dipartimento di Architettura e Design di Genova. Assegnista presso l’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara, Dipartimento di Architettura. È co-fondatore di Studio [OPS!] Cingoli/Manigrasso. e-mail: michelemanigrasso@gmail.com
Urban mobility can play an important role in reducing global warming and improving environmental conditions. Every year, we register negative data about smog, air quality and private transport in many Italian cities. Many cities are implementing pedestrianizing parts of the territory through important sustainable projects. Usually our mobility system uses too many private means of transport and consumes polluting fuels. In Europe there are many important experiences to analyze in order to understand why Italy can learn “to slow down” to improve the environmental conditions in cities and realize the beauty of it. Changes can be a ransom opportunity to create favorable conditions for development; development is hope for survival and higher quality of life, trying to reduce to the point of eliminating vulnerabilities, increasing resistance/resilience and generating “antibodies” that give flexibility to systems, to metabolize further mutations in a constantly provoking context.
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allentare e respirare Le città sono drivers fondamentali dei cambiamenti climatici e contemporaneamente i luoghi ove gli effetti si presentano più severi. La considerazione dei rischi cui sono esposti popolazioni e beni, la valutazione della loro vulnerabilità e la formulazione di strategie atte a contrastare il problema sono, di conseguenza, un banco di prova importante, suscettibile di incidere sulla qualità della vita della porzione largamente maggioritaria della popolazione mondiale. Il taglio delle emissioni di CO2, avente valenza planetaria perché significativo rispetto alla riduzione del riscaldamento globale, incrocia in città effetti positivi sul comfort microclimatico, sulla qualità dell’aria e della vita dei suoi abitanti. Le strategie di mitigazione hanno effetti a diverse scale e in tempi differenti: incidono sul cambiamento climatico globale in tempi molto lunghi, e contribuiscono più rapidamente e direttamente alla riduzione del surriscaldamento delle città, quindi al verificarsi dell’effetto “isola di calore”. Per questo, molte azioni di riduzione dei gas serra in ambito urbano, sono ritenute contemporaneamente di adattamento1. Consumo di suolo, morfologia dell’insediamento e densità della popolazione sono strettamente legati ai consumi energetici e alle relative maggiori emissioni di GHG (GreenHouses Gases) climalteranti: l’urbanizzazione può incidere sul clima locale di una città più intensamente e più rapidamente di quanto faccia il riscaldamento globale (Musco, Zanchini, 2014). Da questa angolazione, la mobilità ha un peso determinante ed è facilmente comprensibile che le realtà che hanno avviato e in parte realizzato una revisione del proprio sistema, non solo contribuiscono alla mitigazione del riscaldamento globale, ma lavorano nella direzione di una migliore vivibilità urbana, in termini di qualità dell’aria, di microclima e di qualità spaziale. Oggi i rischi climatici meritano di essere ai primi posti nelle agende politiche
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di città ed enti locali e la mobilità è tra gli assi su cui ragionare in maniera profonda perché una revisione del suo modello incide direttamente sul contesto fisico locale, con un’eco globale. Quindi, rallentare… per prendere consapevolezza dei luoghi, riducendo le distanze dal prossimo; per ritornare ad attraversare la città recuperando il passo ormai dimenticato, quello utile alla scoperta, nella ricerca della bellezza, favorendo microclimi confortevoli. Per migliaia di anni gli insediamenti sono stati misurati dai passi; con il passus i Romani hanno dimensionato le città e colonizzato il territorio. Questo rapporto che legava gli abitanti al suolo e il sistema urbano al camminare, si è interrotto nel XX secolo, quando l’espansione della città è dipesa sempre più da infrastrutture stradali e il camminare è stato represso, con conseguenze profonde rispetto alla qualità urbana (Pavia, 2015). “La strada è morta”, ragionava Le Corbusier. E a ucciderla è stata la crescita indisciplinata delle città, lo sprawling urbano, quell’espansione edilizia informe che si è mangiata gli spazi liberi e ha svuotato la strada, la piazza, delle persone e della sua funzione sociale di spazio di aggregazione. La strada, si potrebbe aggiungere oggi, è morta e sepolta sotto un continuo smottamento di automobili, un ingarbugliato nodo urbano che quasi nessun sindaco, al di là delle ottimistiche enunciazioni pre-elettorali, è riuscito a sciogliere (Fiorillo, 2009). L’Italia dei record Non è per nulla confortante la fotografia scattata da Legambiente in termini d’inquinamento dell’aria, condizioni e politiche di
le realtà che hanno avviato e in parte realizzato una revisione del proprio sistema della mobilità, lavorano nella direzione di una migliore vivibilità urbana, in termini di qualità dell’aria, di microclima e di qualità spaziale
mobilità, nelle principali città italiane, tra il 2016 e il 2017. Come denuncia il dossier Mal’aria di città 2017. Come ridurre lo smog, cambiando le città in 10 mosse, anche il 2017 si è aperto nella morsa dello smog: nei primi 25 giorni di gennaio sono ben 9 le città italiane che hanno registrato oltre 15 giorni di superamento del limite giornaliero previsto per il PM10(polveri sottili con diametro uguale o inferiore a 10 μm) . Il mezzo di trasporto privato purtroppo risulta essere ancora di gran lunga quello più utilizzato, negli spostamenti interurbani e urbani (Ecosistema Urbano 2016. XXIII Rapporto sulla qualità ambientale dei comuni capoluogo di provincia). Nel 2016, i numeri di viaggi effettuati con il
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servizio pubblico restano sostanzialmente gli stessi rispetto a quelli relativi al 2015 e l’andamento è molto variegato a seconda delle tipologie di città: mentre in quelle di piccole dimensioni si verifica una ulteriore contrazione del servizio che passa da 38 a 35 viaggi all’anno per ogni cittadino residente, le città di media dimensione rimangono stabili intorno ai 70 viaggi e quelle grandi aumentano da 201 a 211. Soltanto Bolzano, come nel 2015, ha fatto segnare spostamenti privati motorizzati pari a meno di un terzo (30%) degli spostamenti totali. Buoni anche i dati di Genova (36%), Milano (37%) e Foggia (38%). Purtroppo in crescita il numero di città che dichiarano che la metà o più degli spostamenti privati vengono effettuati dai loro cittadini
rallentare… per prendere consapevolezza dei luoghi, riducendo le distanze dal prossimo; per ritornare ad attraversare la città recuperando il passo ormai dimenticato, quello utile alla scoperta, nella ricerca della bellezza, favorendo microclimi confortevoli
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con mezzi a motore (auto o moto), che passano da 51 a 56. Per quel che riguarda le auto circolanti, rispetto ad alcune grandi capitali europee (Londra, Parigi e Berlino), il tasso medio di motorizzazione dei comuni capoluogo italiani nel 2015 si conferma a livelli praticamente doppi, e aumenta ulteriormente rispetto ai due anni precedenti, passando da 64,9 a 65,7 auto ogni 100 abitanti. Cresce, seppur di poco, l’estensione media delle isole pedonali presenti nei comuni che passa dai 0,40 m2 per abitante del 2014 agli 0,41 m2 per abitante nel 2015. Salgono a 8 i comuni che superano la soglia di 1 m2 per abitante: oltre al caso particolare di Venezia (5,01 m2/ab), insieme a Verbania, Terni, Lucca, Oristano, Cremona e Firenze, troviamo Cagliari. Nel complesso, i capoluoghi di provincia che adottano le isole pedonali sono 93, con effetti positivi ormai indiscutibili: riduzione del livello di smog e rumore, aumento degli utenti del trasporto pubblico, migliori tutela dei monumenti e valorizzazione turistica, aumento della vivibilità e della sicurezza sia stradale che generale, rivalutazione del mercato immobiliare. E, soprattutto considerando le iniziali perplessità dei negozianti, l’innalzamento del volume d’affari delle attività commerciali non inferiore al 20%. Una finestra sull’Europa tra mancanze e buone pratiche I ritardi italiani sono evidenti soprattutto se ci si confronta con l’Europa, sulla base di un quadro molto complesso ed eterogeneo in materia di politiche e obiettivi a supporto della mobilità sostenibile. Strategie che, viaggiando a diverse velocità e su scale differenti, trovano nei programmi e nelle richieste della Commissione Europea una cabina di regia che purtroppo non sempre riesce a produrre risultati efficaci a scala nazionale
SIVIGLIA Qualità dell’aria
2006
2012
Soglia
NO2 annuo [μg/m 3]
34
24
40 μg/m 3
NO2 eccedenza oraria [ore]
3
3
18 h> 200μg/m 3
PM10 annuo [μg/m 3]
41
33
40 μg/m 3
PM10 eccedenza giornaliera [giorni]
152
40
35 g > 50 μg/m 3
0.5 %
7.0 %
nd
35 %
Sistemi di mobilità Bicicletta Auto privata Misure per migliorare la qualità dell’aria
Misure adottate sul traffico stradale
Incentivo della mobilità non motorizzata; Incentivo alla mobilità ciclabile in città; Creazione di infrastrutture dedicate per i ciclisti; Imposizione di restrizioni per le auto private; Incentivo all’uso di veicoli con elevato numero di passeggeri; Aumento e miglioramento dei trasporti pubblici; Introduzione di zone car-free in città; Revisione dei piani di mobilità in modo integrato;
Aumento delle infrastrutture ciclabili Budget totale
110 km € 421.000.000 03
e a tradursi in effettive politiche urbane. Per esempio, nel luglio 2016, la CE ha pubblicato la Strategia Europea con l’obiettivo generale di riduzione delle emissioni di CO2 per il settore dei trasporti, del 60% entro il 2050 (rispetto al 1990): la strategia mette in luce l’importanza delle città e degli enti locali ma il documento manca di misure concrete a livello europeo che possano sostenere tali realtà. Nonostante queste mancanze, spesso accompagnate da insufficienze finanziarie, ci sono ormai molte città che si sono distinte per una politica olistica sensibile al clima, tra mitigazione e adattamento, a favore di sistemi di mobilità lenta e alimentata da energie rinnovabili. E a queste realtà possiamo guardare anche perché molte di esse hanno monitorato i risultati, realizzando report che ci consegnano dati interessanti perché descrivono i cambiamenti negli stili di vita dei cittadini e nella qualità dell’aria. Alcuni casi risultano davvero emblematici. Stoccolma, per esempio, ha messo in pratica da alcuni anni,diverse azioni che le consentiranno di raggiungere l’ambizioso progetto di liberarsi dai combustibili fossili nel 2050. È una città verde, ricca di parchi e spazi aperti da attraversare e dove trascorrere il tempo libero. Il 90% della popolazione vive a meno di 300 m da un’area verde, scelta potenziata nel nuovo piano regolatore che evidenzia che si tratta di una città “walkable” che tradotto letteralmente significa “camminare a piedi, attraversare in bicicletta”. Ciò consente un miglioramento della qualità della vita e delle attività ricreative, la purificazione dell’acqua, la riduzione dell’inquinamento acustico, oltre a favorire la biodiversità e l’ecologia (The walkable city. Stockholm City Plan). Stoccolma ha ridotto le
emissioni di CO2 del 25% rispetto ai livelli del 1990: attualmente sono inferiori a 4 tonnellate pro-capite, metà della media svedese. Il 69% delle abitazioni ha accesso al teleriscaldamento nel quale la quota di energia rinnovabile è prossima al 70%. Il biogas è prodotto in impianti per il trattamento delle acque reflue tramite la digestione dei fanghi organici. La città dispone di un eccellente sistema per il trattamento dei rifiuti e utilizza metodi di produzione innovativi come un sistema sotterraneo di trasporto di rifiuti solidi, tramite aspirazione. I cittadini di Stoccolma utilizzano con frequenza i trasporti pubblici che risultano efficienti, affidabili e funzionali: tutti gli autobus urbani sono alimentati da biocombustibile; tutte le metropolitane e i treni pendolari sono alimentati da energia prodotta da fonti rinnovabili. Ci sono tantissimi ciclisti e negli ultimi 15 anni l’uso dell’auto è vistosamente diminuito. Dal centro cittadino passano poche auto perché il sistema di tariffazione degli accessi in città ha ridotto il traffico del 20% in cinque anni; gli incentivi al car sharing e alla rottamazione hanno fatto il resto. Il microclima e la qualità dell’aria sono migliorati, le emissioni di gas serra sono scese del 14%. La sfida per il futuro è la diffusione del biogas prodotto con i rifiuti urbani, grazie al quale le emissioni di CO2 potrebbero essere ridotte dell’85%2. Come non parlare di Copenaghen, città che sempre più viaggia su due ruote. La strategia di sviluppo dei trasporti risulta davvero ampia, interessando tutti i livelli della mobilità: da un lato scoraggia l’uso del mezzo privato, dall’altro sostiene una politica di mobilità lenta a favore di pedoni e ciclisti, unitamente a programmi di riconversione del regime energetico. Sempre più mezzi pubblici sono alimentati a idrogeno e biocarburi, con l’obiettivo, fissato nel piano del clima, di una completa trasformazione
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in tale direzione. Nel 2013, sono stati registrati dati molto interessanti: un tasso molto basso di utilizzo dell’auto, rappresentato dal 29% degli spostamenti totali in città; il trasporto pubblico fa registrare un traffico del 28%, mentre il 36% e il restante 7% riguardano rispettivamente ciclisti e pedoni. Ma la città vuole migliorare ancora: ad esempio, come si evince dalla Good, Better, Best. The City of Copenaghen’s Bicycle Strategy 2011-2025, vi è l’obiettivo di ridurre notevolmente i tempi per raggiungere in bici e a piedi diverse parti strategiche della città e di aumentare al 50% il flusso giornaliero di ciclisti3. I riflessi sulla qualità dell’aria sono buoni ma ancora non completamente soddisfacenti. Alcune stazioni di misurazione del traffico soddisfano i limiti di biossido di azoto (NO2): rispetto ai livelli del 2008 misurati in 54,9 μg/m³, le misurazioni nel 2012 hanno mostrato un valore inferiore pari a 55,1 μg/m³. Per i valori del PM10, la città è conforme ai limiti con livelli compresi tra 33,2 μg/m³ nel 2008 e 30,8 μg/m³ nel 2012. I dati sono piuttosto incoraggianti e fanno sperare in un miglioramento ancor più incisivo delle condizioni dell’aria. Un’altra realtà degna di nota è Siviglia che ha implementato uno dei programmi più ambiziosi per la promozione del ciclismo realizzando 80 km di piste ciclabili, organizzati in 8 itinerari, e pro-
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grammando la costruzione di altri 30 km negli anni successivi. La realizzazione di tali infrastrutture, unitamente a una complessa serie di altre misure di integrazione tra diversi mezzi di mobilità, all’interno del Piano di qualità dell’aria, ha portato a un fortissimo aumento dell’uso delle due ruote, passando per esempio dall’0,5% nel 2006 al 7% nel 2013. I risultati in termini di qualità dell’aria sono più che apprezzabili: come riportato dal report dell’European Cyclists’ Federation, quanto a concentrazioni di biossido di azoto (NO2), i livelli complessivi di Siviglia sono diminuiti nel periodo compreso tra il 2000 e il 2012 (da 52 μg/m³ a 25 μg/m³) e si prevede di conseguire una riduzione di 4 μg/m³ di NO2 e PM10 dopo il 2020 (Junta de Andalusia, 2014). A queste realtà si possono aggiungere tante altre esperienze che nello specifico riguardano eco-quartieri in cui il sistema della mobilità ha contribuito al miglioramento dello stile di vita e della qualità dell’aria, anche se non sempre le amministrazioni o gli enti preposti ci forniscono dati di monitoraggio. I trent’anni di isole pedonali in Italia impallidiscono davanti ai quasi sessanta dell’Olanda, apripista europea con la chiusura al traffico nel 1953 di Lijnbaan, principale distretto commerciale di Rotterdam. Oltre mezzo secolo di cultura del pedone che
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da qualche anno si è trasformata in qualcosa di diverso e di più ambizioso: la creazione di interi quartieri completamente liberi dal traffico dei mezzi motorizzati. Come a Vienna, dove c’è l’esperienza consolidata dell’Autofrei Siedlung di Nordmanngasse, un’area residenziale a circa 8 km dal centro, servita in modo perfetto dai mezzi pubblici: le circa 600 famiglie che abitano lì, al momento della firma del contratto, si sono impegnate a non possedere un’auto propria, scegliendo così per gli spostamenti quotidiani i mezzi pubblici, la bicicletta o i piedi. E dopo Nordmanngasse, è già in progettazione una replica, Bike City, con 3.400 persone che hanno già prenotato un appartamento. In Scozia, l’insediamento di Slateford Green a Edimburgo, è sorto su una zona precedentemente occupata dalla ferrovia: 251 appartamenti senza un solo posto auto privato. Anche in questo caso esistono servizi di trasporto pubblico efficientissimi, il car sharing e scuole facilmente raggiungibili a piedi. Rimanendo in Gran Bretagna, anche Londra ha il suo quartiere libero da auto. Si chiama BedZED (Beddington Zero Energy Development) ed è autosufficiente dal punto di vista energetico e a bilancio zero in fatto di emissioni di anidride carbonica. Un centinaio di case, 3.000 m2 di uffici, negozi e impianti sportivi, un centro
oltre a nuovi rischi, i cambiamenti generano anche nuovi valori, o modi diversi di intendere i principi che tradizionalmente ispirano l’azione dell’Urbanistica e dell’Architettura
medico-sociale e un asilo nido: per scoraggiare l’uso delle auto è stato promosso lo shopping online e messo a disposizione degli abitanti un parco di mezzi gestito in car sharing e car pooling (utilizzo della vettura da parte di un minimo di tre persone). In Germania, a 3 km da Friburgo (città che adottò le isole pedonali già negli anni Settanta), a partire dal 1998 si sta sviluppando quello che potrebbe diventare l’insediamento carfree più grande d’Europa, con circa 6.000 abitanti e 2.000 edifici. Piste ciclabili, spazio limitato per i posti
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auto, bus e ferrovia leggera efficienti: uno schema che a Vauban è partito dal basso, ovvero dall’associazione di cittadini Forum Vauban che ha partecipato a tutti i progetti di edificazione del quartiere. Una zona carfree che in Germania esiste anche a Kronsberg, nel distretto di Hannover, dove si è sfruttata l’occasione dell’Expo del 2000 per minimizzare il fabbisogno di mobilità motorizzata. E in questo elenco non poteva mancare la Svezia. A Malmö, il nuovo quartiere residenziale di Augustenborg ha puntato esclusivamente su vie pedonali, piste ciclabili e mezzi pubblici. Così, solo il 20% delle famiglie possiede un’automobile, rispetto alla media comunque bassa dell’intera Malmö (35%); l’80% delle strade ha un limite di velocità fissato a 30 km orari; il 40% degli spostamenti casa-lavoro avviene in bici; gli autobus sono alimentati a gas naturale o biogas; la rete dei tram è molto estesa e funziona un servizio di car sharing molto efficiente. Per una rivincita della lentezza Quella del clima è oggi una chiave strategica necessaria per rivedere le modalità di pianificazione, progettazione e costruzione delle nostre città, non solo con obiettivi di messa in sicurezza e di mitigazione, ma più profondamente di sviluppo. Oltre a nuovi rischi, i cambiamenti generano anche nuovi valori, o modi diversi di intendere i principi che tradizionalmente ispi-
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rano l’azione dell’Urbanistica. Più in generale, i cambiamenti possono essere occasione di riscatto, possono creare le condizioni favorevoli per nuovi cicli di vita; possono indurre a considerare lo sviluppo come speranza di sopravvivenza e di maggiore qualità del vivere, provando a ridurre fino ad annullare le vulnerabilità, accrescendo le resistenze/resilienze, e generando quegli “anticorpi” che diano flessibilità ai sistemi, per metabolizzare ulteriori mutazioni di un contesto costantemente provvisorio. La mobilità è uno dei sistemi sui quali ragionare in maniera integrata al territorio e alla città, non solo come dinamica dei flussi, sviluppo e diffusione dei mezzi di trasporto più o meno ecologici, o come ottimizzazione delle “linee di desiderio”, ma come telaio e insieme di spazi di relazione che devono assicurare comfort e benessere a chi abita. L’Italia è in netto ritardo su questi temi e le nostre città ne sono testimonianza evidente. Uno sguardo alle realtà europee può fare da bussola per orientare in maniera consapevole, autonoma ed efficace le politiche urbane e di trasformazione, anche svincolandosi da tardive strategie nazionali, nella direzione di uno sviluppo sostenibile che possa davvero migliorare le nostre città e di riflesso la nostra vita. È il momento di una rivincita delle nostre città a favore della lentezza, che possa contribuire alla costruzione di ambienti salubri nel rispetto di quella bellezza che abbiamo ereditato e che, a passi lenti, merita di essere riscoperta.▲
NOTE 1 - Si veda B. Stone, J. Hess, H. Frumkin, “Urban Form and Extreme Heat Events: Are Sprawling Cities more Vulnerable to Climate change than Compact Cities?” in “Environmental Health Perspectives”, 2010, pag. 118. 2 - “Stoccolma” in Sanseverino E.R, Sanseverino R.R., Vaccaro V. (a cura di ), “Atlante delle smart cities. Modelli di sviluppo sostenibili per città e territori”, , Franco Angeli Editore, Milano, 2012, pp. 61-69. 3 - Per la “Good, Better, Best. The City of Copenhagen’s Bicycle Strategy 2011-2025”, si veda w w w.kk.sites.itera.dk /apps/ kk _ pub2/pdf/823_ Bg65v7UH2t.pdf IMMAGINI 01- Ferrara. Piazza della Cattedrale. Crediti: listonemag.it 02, 05 - Siviglia. Paesaggi lenti, 2014. Crediti: Cidogreen. 03 - Sintesi delle condizioni della qualità dell’aria a Siviglia, European Cyclists’ Federation. 04 - Superkilen, BIG Architects , Topotek 1 , SuperflexCopenaghen. Rivitalizzare con la lentezza. Crediti: Big. 06 - What we wont, San Paulo, 2006. Crediti: Francesco Jodice. BIBLIOGRAFIA - AA.VV. “Good, Better, Best. The City of Copenhagen’s Bicycle Strategy 2011-2025”, www.kk.sites. itera.dk/apps/kk_pub2/pdf/823_Bg65v7UH2t.pdf8 - AA.VV., “The walkable city. Stockholm City Plan”, www.international.stockholm.se/globalassets/ovriga-bilder-och-filer/the-walkable-city--stockholm-city-plan.pdf, marzo 2010. - European Cyclists’ Federation, “CYCLING AND URBAN AIR QUALITY. A study of European Experiences”, Novembre 2014, www.ecf.com/ files/150119-Cycling-and-Urban-Air-Quality-A-study-of-European-Experiences_web.pdf. - Fiorillo A., “Città italiane più tartarughe che lepri” in “Ecosistema Urbano XVI. Le città di fronte alla sfida del clima”, Legambiente, pp.12-13. - Legambiente, “Ecosistema Urbano 2016. XXIII Rapporto sulla qualità ambientale dei comuni capoluogo di provincia”, www.legambiente.it/sites/ default/files/docs/ecosistema_urbano2016.pdf - Legambiente, “Mal’aria di città 2017. Come ridurre lo smog, cambiando le città in 10 mosse”, consultabile su www.legambiente.it/sites/default/files/ docs/malaria_2017.pdf - Manigrasso M., “Verso la mobilità sostenibile. Riferimenti virtuosi” in “Riabitare il Patrimonio. Un progetto per Grosseto”, Edizioni Archos, Bergamo, 2016, pp. 96-98. - Manigrasso M., Mastrolonardo L., “A.R.M.I. Adattamento. Resilienza. Metabolismo. Intelligenza”, nella collana ‘architettura sostenibile/documenti’, EdicomEdizioni, Gorizia, 2014. - Manigrasso M., “Città e clima. Verso una nuova cultura del progetto”, Sala Editori, Pescara, 2013. - Musco F., Zanchini E., “Il clima cambia le città. Strategie di adattamento e mitigazione nella pianificazione urbanistica”, FrancoAngeli Editore, Milano, 2014. - Pavia R., “Il passo della città”, Donzelli Editore, Roma, 2015, dalla quarta di copertina. - Sanseverino E.R., Sanseverino R.R., Vaccaro V. (a cura di ), “Atlante delle smart cities. Modelli di sviluppo sostenibili per città e territori”, Franco Angeli Editore, Milano, 2012. - Stone B., Hess J., Frumkin H., “Urban Form and Extreme Heat Events: Are Sprawling Cities more Vulnerable to Climate change than Compact Cities?” in “Environmental Health Perspectives”, 2010, pag. 118.
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Il progetto dei parchi nell’era dell’Antropocene
Valentina Crupi, architetto e dottore di ricerca in Progettazione integrata dell’Architettura e dell’Ingegneria civile, svolge attività didattica e di ricerca presso l’Università di Trieste e l’Università Iuav di Venezia. e-mail: vcrupi@iuav.it
Cloud Mountain and Supertree Groove, ultra-technological greenhouses and vertical forests: urban parks are renewed. New design approaches are transforming the challenges of climate change into an opportunity to rethink the green areas of the contemporary city. From New York to Singapore, from Taiwan to Milan, it is possible to recognize a different idea of “urban park”, focusing on enhanced technology and nature alliance while improving air quality and urban microclimate. Through an exploratory work on case studies, this contribution aims to provide a reflection on the role of urban park design in the perspective of resilience cities.
ggi più che mai la questione ambientale, determinata da fattori antropogenici e dal global warming, solleva nuove incognite per la città contemporanea a cui l’urbanistica è chiamata a trovare risposte, ma sollecita anche nuove progettualità e nuove idee di spazio verde urbano. Da Madrid a Singapore, da Taiwan a Milano è possibile riconoscere un diverso progetto di parco urbano, incentrato su una rafforzata alleanza tra tecnologia e natura e volto al miglioramento della qualità dell’aria e del microclima urbano. In questa prospettiva, il concetto di biomimetica - scienza che si occupa dello studio del trasferimento di processi biologici dal mondo naturale a quello artificiale - sembra offrire interessanti spunti per il progetto degli spazi aperti urbani, specie per quelli verdi. In quanto progettati per imitare fenomeni quali il raffrescamento e il riscaldamento dell’aria, ma anche in grado di migliorare le perfomance energetiche e ambientali, i nuovi parchi urbani combinano elementi naturali (vento, sole, acqua e vegetazione) con dispositivi tecnologici (ICT, smart devices, sensori, ecc.). E Cloud Mountain, Supertrees Groove, serre ultra-tecnologiche e boschi verticali sono alcuni dei nuovi materiali “verdi” che vanno a comporre una possibile grammatica di progetto per spazi verdi urbani resilienti a un clima che sta cambiando. Gardens by the Bay, Singapore Il parco Gardens by the Bay (2013) è un complesso sistema energetico-ambientale concepito per innescare relazioni “eco-logiche” col contesto attraverso lo scambio di energia, aria, acqua e nutrienti: da una parte due strutture bioclimatiche - Cloud Forest e Flower Dome - riproducono ambienti e climi differenti; dall’altra la foresta Supertrees Groove, con i suoi alti alberi artificiali in cemento e acciaio, è progettata per disperdere i gas prodotti
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dalla centrale a biomassa, generare energia pulita e offrire ombra alle aree pubbliche sottostanti. Attraverso questi dispositivi, tutti rigorosamente carbon neutral, il nuovo parco urbano contribuisce a ventilare, raffreddare e deumidificare l’ambiente equatoriale di Singapore, limitando al contempo l’impronta di carbonio. Phase Shifts Park, Taichung City Il Phase Shifts Park (2016) è un nuovo spazio pubblico per gli abitanti di Taichung City, Taiwan. La struttura del parco si basa sulle esistenti dinamiche topografiche così da assecondare e favorire le variazioni interne del microclima locale. Elementi legati alla litosfera (acqua, terreno) e all’atmosfera (caldo, umidità, inquinamento) modellano dispositivi naturali e tecnologici capaci di manipolare il microclima urbano: sono piante e alberi scelti per la loro capacità di assorbire l’inquinamento e mitigare il calore, ma anche materiali artificiali quali fontane, vaporizzatori e deumidificatori, altoparlanti a ultrasuoni per tenere le zanzare lontane, dispositivi di depurazione e di raffreddamento passivo. Bosco verticale, Milano Il Bosco Verticale (2014) è un complesso residenziale a Milano. Si tratta di un progetto di “riforestazione metropolitana”, un modello di densificazione verticale della natura all’interno della città, che opera in relazione alle politiche di rimboschimento e naturalizzazione dei grandi confini urbani e metropolitani. La vegetazione apporta numerosi effetti benefici alle due torri e all’ambiente urbano circostante sia sotto il profilo ambientale che sotto quello climatico: il sistema vegetale del Bosco Verticale contribuisce alla creazione di uno speciale microclima, controlla i livelli di umidità e ossigeno, assorbe particelle di CO2 e polveri sottili, protegge dall’irraggiamento solare e ripara dal vento attraverso l’azione frangivento delle fronde.
da Madrid a Singapore, da Taiwan a Milano è possibile oggi riconoscere una diversa idea di parco, incentrata su una rafforzata alleanza tra tecnologia e natura e volta al miglioramento della qualità dell’aria e del microclima urbano
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Cloud Mountain e Supertrees Groove, serre ultra-tecnologiche e boschi verticali sono i nuovi materiali verdi che vanno a comporre una possibile grammatica di progetto per spazi verdi urbani resilienti a un clima che sta cambiando
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Bulevar de la Naturaleza, Madrid I padiglioni Air Trees che scandiscono lo spazio urbano Bulevar de la Naturaleza (2006) sono strutture realizzate in modo da permettere il condizionamento passivo mediante processi di evapotraspirazione e correnti di aria fredda discendenti. Il fabbisogno energetico è dispensato da pannelli solari posizionati lungo il perimetro esterno. I padiglioni sono così collocati lungo l’eco-boulevard urbano, andando a mitigare l’effetto isola di calore e aumentando la qualità dell’aria del quartiere Vallecas a Madrid.
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Technology is the new green Sullo sfondo del cambiamento climatico globale, i parchi urbani del post Kyoto sembrano essere esito di una certa volontà di integrazione dei processi di adattamento con i sistemi di spazio urbano esistenti. Queste integrazioni rappresentano un’eccezionalità nel modo di concepire gli interventi per la difesa dei territori urbanizzati in quanto possono essere interpretati, nel campo del progetto urbanistico, come possibile arricchimento all’articolazione del progetto di suolo (Secchi, 1986). Un’evoluzione che agisce sulla continuità di saperi che tradizionalmente hanno influenzato le pratiche urbanistiche e che oggi vengono ripresi in maniera innovativa, grazie soprattutto all’uso di nuove tecnologie. Il progetto dei parchi urbani resilienti è incentrato sulla messa in sicurezza dai pericoli climatici con l’obiettivo di coniugare il rischio legato al clima alle altre questioni urbane attraverso dispositivi spaziali dal forte carattere relazionale e relazionante. In questi nuovi spazi climate-proof la città contemporanea sembra offrirsi come fertile campo di sperimentazione in cui trova significato tornare a parlare di “ambiente”, perdendo però la componente di wilderness a favore di quella eco-sistemica. La Natura, cioè, non è più ricercata a partire dalla costruzione della biodiversità e delle riserve della diversità (Clement, 2005), quanto piuttosto diviene ispirazione orientata a trasferirne i principi biologici nel contesto urbano e sui modelli climatici. È forse terminata l’epoca del culto del verde (Ramo, 2011) e dei paesaggi pantone (Muñoz, 2010): “fare ambiente”, orientando i processi ecologici per correggere gli effetti dell’urbanizzazione (Lotus, 2002), anche attraverso l’artificio tecnologico, diventa una possibile locuzione per sostituire o avvalorare il significato di “verde” urbano.▲
IMMAGINI 01 - Gardens by the Bay. Supertree Grove. Crediti: Grant Associates. Foto: Darren Chin. 02 - Bosco Verticale, Milano. Crediti: Boeri Studio. 03 - Phase Shifts Park, Taiwan. Tavola di concorso. Crediti: Philippe Rahm architectes, Mosbach paysagistes, Ricky Liu & Associates. 04 - Bulevar de la Naturaleza, padiglione Air Trees. Crediti: Ecosistema urbano. 05 - Gardens by the way, Singapore. Credits: Shiny Things. BIBLIOGRAFIA - Armour T., Armour S., Hargrave J., Revell T., “ Cities Alive: Rethinking Green Infrastructure”, Arup, 2014. - Clément G., “Manifesto del Terzo paesaggio”, Quodlibet, Macerata, 2005. - Crutzen P., “Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era”, Mondadori, Milano, 2005. - Lotus Navigator 5, “Fare l’ambiente”, Editoriale Lotus, Milano, 2002. - Muñoz F., “Los paisajes del transumer. El orden visual del consumo en tránsito”, in Enrahonar n. 45/2010, pp. 107-121. - Musco F., Zanchini E. (eds), “Il clima cambia le città. Strategie di adattamento e mitigazione nella pianificazione urbanistica”, FrancoAngeli, Milano, 2014. - Ramo B., “Il Culto del verde”, in “Casabella” n. 804, pp. 2-3. - Secchi B., “Progetto di suolo”, in “Casabella” n. 520, 1986, pp. 19-23. - Walliss J., Rahmann H., “Designing the twenty-first century urban park: design strategies for a warming climate”, in R.H. Crawford and A. Stephan (eds.), “Living and Learning: Research for a Better Built Environment: 49th International Conference of the Architectural Science Association”, 2015, pp. 869–878.
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Climate adaptive design Metodologia per la simulazione integrata di edifici e spazi aperti: il quartiere Duchesca e il “palazzo Kimbo” di via Mancini a Napoli
Eduardo Bassolino è dottore di ricerca e docente a contratto nel settore ICAR-12, presso il DiARC-Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli. e-mail: eduardo.bassolino@unina.it Francesco Scarpati è borsista di ricerca nel settore ICAR-12, presso il DiARC-Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli. e-mail: francescoscarpati.a@gmail.com
The current shortage of surveys and tools aimed at investigating the microclimatic relation between indoor and outdoor space, also considering current climate changes and their impact on the urban built environment, has prompted the definition of a methodology that, making use of appropriate information technology tools and the interoperability of their outputs, ensures a simultaneous monitoring between different software environments and the determination of the quantitative and qualitative impact that the outdoor environmental conditions produce on the indoor comfort. The case studies of the Duchesca district and the “Kimbo” building in Mancini Street in Naples were the subjects of the application of the defined methodology based on a simulative apparatus of climate adaptive design strategies and solutions for the redevelopment of buildings and urban open spaces.
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attuale verificarsi dei cambiamenti climatici, che a livello locale stanno provocando impatti sempre più consistenti sui sistemi urbani (IPCC-2014), è subito dagli utenti (la popolazione delle città) e accentuato dal fenomeno dell’isola di calore urbana (UHI - Urban Heat Island). L’impatto sui sistemi urbani dipende in larga misura dalle caratteristiche morfologiche e dai materiali dell’ambiente urbano, provocando l’alterazione del microclima locale e determinando seri rischi per le persone che vivono tali contesti. Tale fenomeno ha conseguenze tanto più significative nei contesti dell’Europa del Sud, caratterizzati da temperature medie stagionali più alte, in particolare quelle estive, e da una densa concentrazione edilizia, che generano variazioni del microclima locale, con un incremento delle temperature medie, che si traducono in condizioni di discomfort termico per gli utenti, sia in ambiente indoor che outdoor (Ambrosini, Bassolino, 2015). Gli effetti del cambiamento climatico in corso sono, e saranno nel prossimo futuro, percepiti con maggiore intensità in ambiente outdoor. D’altro canto è vero che gli interni delle unità abitative, dove viene trascorsa la maggior parte del tempo, sono caratterizzati da un’inadeguatezza prestazionale e ambientale a fronteggiare l’attuale incremento delle temperature e le variazioni del microclima. Le attuali ricerche nel campo della Progettazione Ambientale si servono di avanzati strumenti di Information Technology - IT per la definizione di soluzioni adattive al cambiamento climatico. Tale avanzamento metodologico e processuale ha avuto a oggetto sia lo studio del microclima outdoor, sia quello indoor, utilizzando strumenti specifici e producendo notevoli risultati sia in termini di analisi prestazionale, sia della capacità adattiva per le soluzioni proposte. Nonostante ciò si assiste ancor’oggi a una carenza di indagini e strumenti volti a investigare la relazio-
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ne microclimatica fra ambiente outdoor e indoor, non soltanto in termini qualitativi ma soprattutto quantitativi. Se è infatti noto che un miglioramento delle condizioni termoigrometriche esterne garantisca un relativo miglioramento di quelle interne, poche sono state le ricerche finalizzate a stabilire tale relazione. Lo scopo di questa ricerca è pertanto definire una metodologia che, facendo uso di opportuni strumenti IT, e considerando l’interoperabilità dei loro output, garantisca una gestione simultanea fra differenti ambienti software governati parametricamente e la determinazione dell’impatto qualitativo e quantitativo che le condizioni ambientali esterne producono sul comfort interno. Inoltre la possibilità di utilizzare immediatamente i risultati delle simulazioni svolte nello stesso ambiente di lavoro in cui il processo di design viene definito, garantisce il superamento dell’eccessiva frammentazione di dati provenienti da sorgenti e software differenti. L’applicazione della metodologia proposta a un progetto di riqualificazione urbana ha validato la stessa, mostrando come soluzioni adattive al cambiamento climatico, volte a contrastare l’effetto isola di calore, garantiscano un contemporaneo miglioramento del comfort esterno e del comfort interno negli edifici circostanti. La ricerca in particolare si articola per step: - Modellazione 2D e 3D dell’area di studio negli ambienti di lavoro ENVI-met1 e Rhinoceros 3D2 e definizione di un modello parametrico per le simulazioni ambientali attraverso il linguaggio di programmazione visuale per la generazione di algoritmi Grasshopper 3D3; - Simulazioni microclimatiche dello spazio esterno nell’ambiente di lavoro ENVI-met e valutazione dei risultati delle analisi svolte; - Generazione ed estrazione dei dati ambientali caratteristici dello spazio esterno in ambiente ENVI-met; - Modellazione 3D e definizione del modello energetico per le simulazioni indoor in ambiente Rhinoceros 3D–Grasshopper 3D–Ener-
i cambiamenti climatici stanno provocando impatti sempre più consistenti sui sistemi urbani, producendo condizioni di discomfort che vengono percepite tanto in ambiente outdoor quanto indoor
gyPlus4 , importazione dei dati ambientali nei plug-in Ladybug5 e Honeybee6 di Grasshopper 3D e simulazione microclimatica indoor tramite i software Ladybug e Honeybee; - Valutazione dei risultati e definizione di soluzioni adattive; - Iterazione del processo fino al raggiungimento di soluzioni adattive che favoriscano sia il microclima esterno che il microclima interno. Il caso studio per l’applicazione della metodologia ha riguardato il progetto per la riqualificazione urbana del quartiere Duchesca di Napoli, un’area collocata tra il world heritage UNESCO della città storica e la città orientale. L’assenza di infrastrutture verdi e la densificazione edilizia hanno contribuito a generare condizioni microclimatiche inadeguate e un aumento della temperatura media nell’area. Un’analisi morfologica e tecnologica è stata il punto chiave per comprendere le attuali criticità e per definire il modello per le simulazioni ambientali. L’area è stata modellata sia in 2D che in 3D, mediante l’uso del
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software CAD Rhinoceros 3D. Tale modello tridimensionale ha rappresentato la base per svolgere ogni simulazione ambientale e, successivamente, per definire le soluzioni progettuali di climate adaptive design. Contemporaneamente, l’area è stata modellata nel software di simulazione microclimatica ENVI-met. Una volta realizzato il modello, è stato impostato il file di configurazione con i seguenti valori: velocità del vento = 2 m/s; direzione del vento = 247°; temperatura dell’aria 300 K (26,85 °C); umidità relativa a 2 metri = 47,15%; umidità specifica a 2500 m = 2,8731 g/kg; senza modificare i valori di velocità e direzione del vento, sono stati invece impostati i seguenti valori per lo scenario al 2050: temperatura dell’aria = 302,4 K (29,25 °C); umidità relativa a 2 m = 47,15%; umidità specifica a 2500 m = 3,3272 g/kg. La simulazione ha reso possibile ottenere dall’area analizzata un elevato numero di output che possono essere successivamente estratti e visualizzati nel modulo LEONARDO incluso in ENVI-met. A simulazione eseguita, è possibile leggere i valori degli indici PMV7 e MRT8, comprendendo le criticità ambientali dello spazio esterno, caratterizzato da condizioni di elevato stress estivo. Tali valori sono stati calcolati sia alla condizione presente (anno di analisi 2015) che allo scenario futuro RCP 8.5 2050 (AR5 - IPCC, 2014), producendo, per un punto di riferimento, i seguenti valori: PMV 5,87 nel 2015 e 6,40 nel 2050; MRT 87,90 °C nel 2015 e 88,1 °C nel 2050. Infine, grazie alla definizione di un opportuno algoritmo in Grasshopper, è stato possibile importare i risultati della simulazione nell’ambiente di modellazione tridimensionale Rhinoceros, permettendo di leggere i dati direttamente sulle
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superfici del modello e di generare, tramite una relazione di analogia con il PMV, i dati relativi all’indice PET9, rispettivamente di 43,37 °C nel 2015 e 43,90 °C nel 2050. Al fine di simulare l’ambiente indoor, è possibile settare in ENVImet opportuni atmospheric receptor che consentono di collezionare informazioni microclimatiche specifiche dell’area studiata. In particolare, disponendo i recettori attorno all’edificio da simulare è possibile generare file ambientali caratteristici delle condizioni all’intorno dell’edificio (Peng e Elwan, 2014). Pertanto, i file meteo così generati sono direttamente influenzati dalle caratteristiche del contesto esterno, a differenza dei classici dati ambientali prodotti dalle stazioni meteo, che sono basati su condizioni ambientali spesso molto differenti da quelle dei contesti urbani densificati. Per le simulazioni indoor è stato scelto come caso studio un appartamento tipo del così detto “palazzo Kimbo” in Via Mancini, un edificio con struttura portante in calcestruzzo presente all’interno dell’area di studio e frutto del fenomeno di speculazione edilizia napoletana degli anni ’50. Grazie a rilievi in situ e documenti cartografici, è stato possibile modellare un appartamento tipo dell’edificio. Contemporaneamente è stato sviluppato un modello energetico dell’ambiente da simulare (definito con il software EnergyPlus e impostando le caratteristiche dei materiali e dei sistemi costruttivi), grazie al plug-in di Grasshopper 3D, Honeybee, il quale funge da strumento per l’exchanging data fra Rhinocheros 3D–Grasshopper 3D e Energyplus. In particolare, in seguito a una serie di rilievi tecnologici in situ, sono stati definiti i seguenti valori di resistenza termica U delle parti costruttive dell’appartamento analizzato: 1,98 W/m²K per il solaio; 1,54 W/m²K
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per le pareti esterne; 4,08 W/m²K per gli infissi. La definizione di uno specifico algoritmo in ambiente Grasshopper 3D ha reso possibile simulare l’ambiente indoor e leggere i medesimi indici di comfort PMV, MRT e PET analizzati in ambiente outdoor. Anche nello spazio indoor la simulazione è stata condotta agli scenari 2015 e 2050, producendo i seguenti valori: PMV 1,50 nel 2015 e 2,30 nel 2050; MRT 30,60 °C nel 2015 e 31,50 °C nel 2050, PET 31,10 °C nel 2015 e 33,0 °C nel 2050. Le analisi condotte alle condizioni di partenza e sfruttando il file meteo precedentemente generato, hanno mostrato una condizione di elevato stress termico estivo come conseguenza delle caratteristiche costruttive dell’edificio e delle condizioni ambientali dello spazio esterno. La possibilità di lavorare nell’ambiente parametrico di Rhinoceros 3D–Grasshopper 3D ha permesso la definizione di soluzioni
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adattive che siano direttamente correlate ai risultati delle simulazioni svolte. Inoltre, potendo simulare nel medesimo ambiente di lavoro anche l’ambiente indoor, si ha la possibilità di definire soluzioni progettuali che siano valide sia per l’ambiente outdoor che per l’ambiente indoor. Dalla valutazione delle aree di maggiore criticità ambientale e dei risultati delle simulazioni, sono state definite soluzioni progettuali al fine di garantire un miglioramento delle condizioni termoigrometriche outdoor. Successivamente, senza intervenire sulle prestazioni dell’edificio, è stata applicata la metodologia proposta. I risultati delle nuove simulazioni hanno mostrato non solo un miglioramento del microclima esterno, ma anche di quello interno all’unità abitativa analizzata. La possibilità di leggere gli indici di comfort relativi allo spazio indoor, ha reso possibile comprendere
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il miglioramento quantitativo che le soluzioni di climate adaptive design per lo spazio esterno hanno sul comportamento ambientale e sulle prestazioni degli edifici. Di seguito sono riportati i valori degli indici di comfort dovuti al design finale, per gli scenari 2015 e 2050, con rispettive percentuali di diminuzione rispetto alla condizione di stato di fatto. Per lo spazio outdoor: PMV = 2,5 (- 61,5%) nel 2015 e 2,74 (- 57,2%) nel 2050; MRT = 44,90 °C (- 49,0%) nel 2015 e 45,42 °C (- 48,5%) nel 2050; PET = 30,16 °C (- 30%) nel 2015 e 39 °C (- 11,2%) nel 2050. Per lo spazio indoor: PMV = 0,3 (- 80%) nel 2015 e 0,6 (- 74%) nel 2050; MRT = 26,90 °C (- 11,5%) nel 2015 e 27,40 °C (- 14%) nel 2050; PET = 27,60 °C (- 12%) nel 2015 e 28,10 °C (- 16%) nel 2050. Iterando il processo di simulazione descritto per più proposte progettuali, è possibile in ogni momento simulare e legge-
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re i dati sul miglioramento microclimatico outdoor e indoor, e comprendere la relazione che vi si genera. Inoltre, la possibilità di lavorare su più proposte progettuali nello stesso ambiente di lavoro garantisce una riduzione dei tempi di simulazione e un’ottimizzazione delle scelte progettuali basandosi sui risultati ottenuti in termini di miglioramento delle prestazioni ambientali e microclimatiche. L’applicazione della metodologia proposta al caso per il progetto di riqualificazione ambientale del quartiere Duchesca a Napoli, mostra numerosi vantaggi in termini di miglioramento delle condizioni microclimatiche e pone l’accento sulla fattibilità, in quanto la sola proposta progettuale per lo spazio aperto garantisce un miglioramento contestuale delle condizioni indoor degli edifici circostanti.▲
NOTE 1 - Envi-MET è un software di simulazione olistica microclimatica per gli spazi aperti. 2 - Rhinoceros 3D è un software di modellazione tridimensionale basato su curve e superfici di tipo NURBS (Non Uniform Rational Basis-Splines). 3 - Grasshopper 3D è un linguaggio di programmazione visuale, implementato nel software Rhinoceros 3D, per la generazione di algoritmi. 4 - EnergyPlus è un programma di simulazione energetica per l’edilizia. 5 - Ladybug è un plug-in ambientale di Grasshopper3D per analisi e simulazioni. 6 - Honeybee è un plug-in di Grasshopper3D per la simulazione di modelli energetici. 7 - Il Predicted Mean Vote è un indice di valutazione dello stato di benessere di un individuo che tiene conto di variabili soggettive e ambientali. 8 - La Mean Radiant Temperature esprime la temperatura uniforme di un ambiente immaginario circoscritto che risulterebbe in perdita di calore per irraggiamento dalla persona come per lo spazio stesso. 9 - La Physiological Equivalent Temperature è definita come la temperatura dell’aria per la quale, in un ambiente interno il bilancio termico del corpo umano tra la temperatura interna e quella della pelle è equilibrato alle condizione assegnate. IMMAGINI Crediti: Francesco Scarpati. 01 - Effetti dell’ambiente esterno sull’ambiente interno. 02 - Workflow. 03 - Valutazione degli Indici di Benessere Termoigrometrico in ambiente outdoor allo stato di fatto. 04 - Valutazione degli Indici di Benessere Termoigrometrico in ambiente indoor allo stato di fatto. 05 - Valutazione degli Indici di Benessere Termoigrometrico in ambiente outdoor alle condizioni post-progetto. 06 - Valutazione degli Indici di Benessere Termoigrometrico in ambiente indoor alle condizioni post-progetto. 07 - Il progetto di riqualificazione urbana del quartiere Duchesca di Napoli. BIBLIOGRAFIA -Ambrosini L., Bassolino E., “Parametric Environmental Climate Adaptive Design: The Role of Data Design to Control Urban Regeneration Project of Borgo Antignano, Naples”, in “Procedia - Social and Behavioral Sciences”, 2016, vol. 216, pp. 948-959. - IPCC (a cura di), “Working Group III to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Climate Change 2014 - Mitigation of Climate Change”, Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA, 2014. - Losasso M., D’Ambrosio V., “Progetto ambientale e riqualificazione dello spazio pubblico: il grande progetto per il centro storico di Napoli sito Unesco”, in “Techne - Journal of Technology for Architecture and Environment”, 2014, a. VI, n. 7, pp. 64-74. - Peng C., Elwan S. (2014), “An outdoor-indoor coupled simulation framework for climate Change– conscious urban neighborhood design”, in “Simulation”, 2014, n. 90, vol. 8, pp. 874-891. - Ratti C., Claudel M., “Architettura open source. Verso una progettazione aperta”, Einaudi, Torino, 2014. - Tedeschi A., “Algorithms-aided design: parametric strategies using Grasshopper”, La Penseur, Napoli, 2014.
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I ventidotti di Costozza: vento, paesaggio, architettura Valentina Manfè è architetto. Laureata in Architettura per la Costruzione presso l’Università Iuav di Venezia. e-mail: valentinamanfe@yahoo.it Marcello Fantuz è assistente universitario e ricercatore presso il Politecnico di Graz. e-mail: fantuz@tugraz.at
This article debates the relation between architecture and its surrounding landscape. Using the example of the villas of Costozza, connected by a system of galleries to the neighboring caves, Manfè argues that architecture and device can be the same thing. Natural ventilation is in fact used as mitigation system, an idea that triggered the curiosity and wonder of authors across the centuries, from Palladio to Milizia, and can still teach us a lesson about the importance of the technological aspects of design. Fantuz, instead, acknowledges that in the age of Anthropocene we are reminded that there is no distinction between nature and culture and we humans are part of a finely interconnected system of relations and we carry global responsibility for it. He looks at the system of galleries and villas in Costozza as an example of integration of architecture with its territory, and uses it to advocate for a greater consideration of natural dynamics in the planning of our cities.
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elazioni storico concettuali. Perché l’architettura non è solo lo spazio abitato di Valentina Manfè Il sistema passivo di ventilazione, come sistema architettonico riconoscibile nelle ville venete di Costozza, si può collocare al centro di una serie di riflessioni elaborate nel tempo da più autori. Numerosi sono i precedenti storici in merito: tra i primi a scrivere a proposito dei “covoli” di Costozza troviamo Vitruvio1, che nomina, nel secondo libro del De Architettura la pietra vicentina descrivendone la facilità di lavorazione. Nelle epoche successive autori come Palladio, nel Cinquecento, e Milizia nel Settecento2 , riprendono il suo scritto come primo riferimento documentato dove viene delineata la derivazione della pietra proprio da quei colli Berici dove sorge Costozza3. Le prime descrizioni del territorio vicentino appaiono nel XVI secolo con Andrea Palladio che descrive il beneficio generato dai venti che si vengono a creare all’interno dei “covoli” di Costozza; nel 1570 fa riferimento agli abitanti delle ville di Costozza nel primo libro de I quattro libri dell’architettura, nel capitolo relativo ai camini, dove descriveva il modo in cui gli antichi usualmente scaldavano le loro case. Continua su questo ragionamento, associando il loro funzionamento al loro scopo di raffrescare le abitazioni, dicendo: “Quasi nell’istesso modo i Trenti, gentiluomini vicentini, a Costoza lor villa rinfrescano l’estate le stanze. Perciochè, essendo nei monti di detta villa alcune cave grandissime, che gli abitato ridi quei luoghi chiamano covali, et erano anticamente petraie – delle quali credo che intenda Vitruvio […] – nelle quali nascono alcuni venti freschissimi, questi gentiluomini, per certi volti sotterranei ch’essi dimandano ‘ventidotti’, gli conducono alle loro case, e con canne simili alle sopradette conducono poi quel vento fresco per tutte le stanze, otturandole et aprendole a loro piacere per pigliare
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più o manco fresco, secondo le stagioni […] il carcere de’ venti, che è una stanza sotterra […] ove molti di detti ventidutti sboccano […]” (Palladio, 1570). I covoli sono stati messi in evidenza anche da Giangiorgio Trissino nel 1537 in una lettera indirizzata a Leandro Alberti, mentre descrive un laghetto all’interno di questi spazi: “Si giudica che detto Monte (cioè di Costoza) fosse cavato a mano in grandissimo spazio di tempo per trarne pietre per far Edifizi” (Maccà, 1794). Lo stesso Leandro Alberti riprende questo passo quando scrive nel suo libro del 1551 Descrittione di tutta l’Italia 4 . Anche più tardi, nelle parole di un altro autore, Vincenzo Scamozzi5 , troviamo riferimento all’attività estrattiva di pietre nei monti Berici. Nella seconda metà del Settecento, il naturalista Giovanni Arduino parla delle cave di Costozza definendole: “Spaventevole sotterraneo Laberinto, scavato a forza di trarne quantità enorme di pietre per fabbriche; quale s’interna moltissimo, con giro tortuoso a più branche di caverne, nel monte” (Maccà, 1794), mettendo così in evidenza l’interessante articolazione dei co-
voli all’interno della montagna. Un secolo prima della nascita della speleologia, nel 1794 Gaetano Girolamo Maccà raccoglie tutta la documentazione apparsa fino a quel momento: in questi scritti, in particolare nel IV capitolo intitolato Il covolo di Costoza altro non fu nel suo principio che una cava di pietre, Maccà ripercorre mediante diverse personalità la storia legata all’estrazione della pietra. Cita Giangiorgio Trissino “Scrive il Trissino nella sua Lettera al P. Leandro Alberti, informandolo del Covolo di Costoza […]”, Giovanni Arduino, Andrea Palladio e Vincenzo Scamozzi “[…] e l’altro pur insigne Architetto vicentino Scamozzi, che parimente (a Palladio) petraja l’appellò” (Maccà, 1794), evidenziando così la continuità nel tempo del forte interesse per questo luogo. Nel 1781 Francesco Milizia, importante poligrafo interessato di architettura, termina di scrivere Principi di architettura civile: il testo riporta diversi argomenti ed elementi costruttivi riguardanti l’architettura tra cui i camini, dove crea un parallelo tra la necessità di riscaldare e la necessità di raffrescare un’abitazione, portando come esempio proprio Costozza e illustrandone sinteticamente il funzionamento e la struttura: “[…] e vicende-
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volmente, volendo l’estate rinfrescare, si possono con tubi introdurvi de’ venti freschi provenienti da boschetti, da giardini, da grotte, come al riferir di Palladio facevano i Signori Trenti Gentiluomini Vicentini nella loro villa a Costoza. Quivi da alcune cave di pietra per certi volti sotterranei, da essi chiamati ventidotti, conducevano alle loro stanze quel vento fresco, che temperavano a lor talento coll’aprire più o meno, e col chiudere le aperture de’ i tubi. Nel sotterraneo di quel casino era una stanza, come carcere de’ i venti, perciò detta Eolia, ove sboccavano molti de’ i ventidotti, tutta decorata con sountuosità conveniente al suo uso” (Milizia, 1823). Tra il 1550 e il 1700 sei ville, a partire da Villa Eolia del conte Francesco Trento, furono costruite sulle pendici dei colli Berici,
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sfruttando l’aria incanalata nei ventidotti dai covoli. Queste ville sono la dimostrazione di come architettura e dispositivo siano la medesima cosa: il progetto stesso diventa dispositivo6. Gli attuali covoli, che in origine erano le cave da cui si estraeva la pietra, sono collegati alle ville per mezzo di canali, detti ventidotti: in questo modo il patriziato veneziano che abitava nelle ville poteva godere di un sistema di ventilazione naturale che veniva utilizzato sia per il raffrescamento degli ambienti che per la mitigazione invernale. Questo sistema si può definire una sorta di declinazione della ventilazione naturale negli edifici, dove la mitigazione degli ambienti avviene per scambio termico con il terreno e con il flusso da effetto camino. Esso sfrutta la differenza di densità
l’esperienza dell’uomo rispetto al luogo ha messo in luce le potenzialità dei covoli quali elementi naturali, influenzandone la localizzazione del costruito e la forma
dell’aria tra interno ed esterno: si ottiene così una variazione di temperatura per scambio termico indiretto, ovvero tramite canalizzazioni interrate che funzionano come scambiatori di calore terra-aria, dove non è richiesto necessariamente il contatto diretto dell’edificio con il terreno. Nel caso delle ville di Costozza, il beneficio è maggiore in quanto oltre a questo complesso sistema, costituito da più dispositivi, avviene anche uno scambio termico di tipo diretto tra l’edificio e il terreno; infatti gli edifici sono a diretto contatto con la massa termica del terreno a temperatura costante. L’uso del terreno e della ventilazione naturale come mezzo di controllo è antico e non così raro, si possono ricordare le torri del vento in Iran, ma anche le camere dello Scirocco in Sicilia, o i numerosi cunicoli e gallerie che si sviluppano per oltre duecento metri nelle montagne umbre di Cesi, nella frazione di Terni. Nello specifico le ville di Costozza sono collegate ai covoli”direttamente o indirettamente mediante ventidotti che creano una rete di condotti artificiali per una lunghezza di circa 7 chilometri e hanno dimensioni di circa 80 centimetri per un’altezza di 1,80 metri con pareti in pietra e soffitto a volta. L’aria che si trova nei covoli, a temperatura costante, viene incanalata e trasportata in diversi modi nelle ville, assicurando una mitigazione della temperatura sia in inverno che in estate. Ci sono due tipi di sistema di ventilazione che riguardano questi edifici: il primo sistema consiste nell’arrivo dell’aria dal covolo direttamente nella villa, nel secondo invece, l’aria dal covolo viene incanalata nel ventidotto ed entra sotto il pavimento del piano rialzato dove sono presenti griglie in pietra che mettono l’aria in comunicazione con l’interno. Villa Eolia è la prima villa a essere stata costruita di tutto il sistema: dalla grotta detta “còvolo dei venti” di villa Eolia si dipartono collegamenti dei quali il più importante è quello che percorre in sotterraneo il parco entrando sotto il pavimento del salone del piano rialzato della Villa Trento-Carli, dove sono presenti tre griglie in pietra. Grazie alla grande capacità termica del terreno, la temperatura all’interno dei covoli viene mantenuta costante, intorno ai 10-11,5°C; delle aperture poste a quote diverse li collegano con l’esterno cre-
ando, per effetto della differenza di temperatura, un circolo d’aria all’interno delle grotte. D’estate il movimento dell’aria è discendente, in quanto la temperatura esterna è maggiore rispetto a quella interna, invece d’inverno, generandosi la condizione contraria, lo spostamento dell’aria è ascendente: l’effetto camino, dato dalla differenza di temperatura tra gli ambienti superiori della villa e quelli dei tunnel sotterranei, genera così un movimento d’aria. L’esperienza dell’uomo rispetto al luogo ha messo in luce le potenzialità dei covoli quali elementi naturali, influenzandone la localizzazione del costruito e appunto la forma. Considerando l’architettura e i dispositivi, si può affermare che qui la funzione ha definito in modo importante la forma: nelle ville di Costozza sono state sfruttate pienamente le caratteristiche del luogo e il progetto segue soprattutto esigenze funzionali, oltre che di natura estetica. È necessario che ogni scelta progettuale compositiva sia strettamente legata all’aspetto tecnologico-impiantistico; quanto più i dispositivi, passivi o attivi, che permettono un controllo climatico, sono integrati all’architettura, tanto più questa avrà un proprio carattere e coinvolgerà tutti gli aspetti: tipologico, architettonico, psicologico e percettivo. L’immagine dei ventidotti, come lunghi canali sotterranei che convogliavano nelle stanze l’aria fresca proveniente dalle grotte dei monti circostanti, richiama una figurazione fortemente poetica, che rimanda a una riflessione di natura architettonica molto più ampia rispetto alla rarità e all’unicità di tale luogo. Hassan Fathy sostiene che oggi sarebbe importante considerare i caratteri ambientali delle soluzioni bioclimatiche del passato e che si stanno perdendo molto utilizzando in modo non attivo le risorse della natura, considerando che nel passato era stata creata una “cultura materiale locale sofisticata ed ambientalmente consapevole” che le attuali tecnologie che utilizzano le macchine hanno cancellato (Fathy, 1986). Se le scelte progettuali e tecnologiche fossero effettuate in simbiosi con il luogo, allora le architetture assumerebbero un loro carattere e una loro forza, esprimendo quel luogo e garantendo il benessere di chi le abita.
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l’architettura contemporanea deve riscoprire strategie antiche di relazione con il territorio e con il clima, come possiamo imparare dai ventidotti di Costozza
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Venti locali e responsabilità globali: appello per la simbiosi tra natura e architettura di Marcello Fantuz Per comprendere la lezione delle ville di Costozza e dei loro ventidotti occorre iniziare da una riflessione su scala globale innescata dalla tardiva ma necessaria presa di coscienza del cambiamento climatico in atto. La crescita dei grandi centri urbani come Pechino o Mumbai è rapida e inesorabile e si prevede che continui almeno fino alla metà del secolo in corso. Per governare tale spinta serve una nuova prospettiva planetaria che getti uno sguardo d’insieme sull’equilibrio delle dinamiche ecologiche e sull´influenza che le attività umane hanno su di esso. Siamo ufficialmente entrati nell’Antropocene, una nuova era geologica ma anche un termine provocatorio che suona come avvertimento e promemoria delle nostre responsabilità e del nostro impatto sui processi naturali. Nell’introduzione al catalogo della Biennale di Rotterdam del 2014, dal titolo Urban by Nature, Dirk Sijmons scrive: “Dalla dichiarazione dell´Antropocene, non dobbiamo piú fingere che naturale e artificiale siano distinti. Possiamo affrontare il fatto che siano strettamente intrecciati. Possiamo anche riconoscere il fatto che molti dei processi che ci circondano sono infatti degli ibridi: combinazioni in cui sono al lavoro forze sia naturali che umane. Ció che abbiamo finora soprannominato naturale é anche artificiale, e ció che chiamavamo artificiale é anche naturale” (Sijmons, 2016). Se dunque la distinzione tipica dell’epoca moderna tra natura e cultura, tra artificiale e naturale, viene meno, possiamo e dobbiamo ripensare il rapporto tra ambiente costruito, paesaggio e clima, riscoprendo un approccio regionale che considera il clima e la sua manifestazione atmosferica come risorsa energetica per creare ambienti condizionati e per ridurre la distanza tra le persone e il territorio. Costozza è un paese situato ai piedi dei colli Berici tra Vicenza e Padova, le colline che sovrastano il paese sono costellate da grotte, dette covoli formate “dalla natura e dall’arte” che da millenni ospitano attività umana. Sono state usate come abitazione, come cave di pietra, rifugio contro le invasioni, luogo
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di culto, deposito per la conservazione di vino e derrate alimentari e sede di coltivazioni di funghi. Si puó quindi dire che “l’abitato di Costozza è sempre stato legato ai suoi covoli, ricordati fin dai primi statuti, ma che per oltre due millenni hanno costituito una risorsa fondamentale per la vita di tutta la comunità” (Gleria, 2005). La funzione dei covoli piú interessante a fini dell´analisi architettonica é quella di impianto di condizionamento per le ville Trento ed Eolia, ampiamente descritto da Gino Panizzoni nel suo libro Villa Carli. Una Villa che Respira del 2001 e da Lucia Mussolin e Micol Feltre nell’articolo Il Covolo dei Venti e il Sistema dei Ventidotti del 2005. Nel libro di Panizzoni troviamo uno straordinario lavoro di ricerca storica che gli permette di compilare una lista delle testimonianze più significative in cui l’aria dei covoli é protagonista, tra le quali la più antica è attribuita a Rolandino Patavino, cronista di epoca medievale, che nel tredicesimo secolo scrive “haec est caverna pare ceteris mirabili subire monte […] frigidissima in aestate” (Rolandino, riportato da Panizzoni, 2001). Intorno alla metà del 1500 Francesco Trento, esponente della nobiltà veneziana, ha la geniale intuizione di collegare i covoli alle ville di sua proprietà per mezzo di alcuni canali detti ventidotti che hanno la funzione di trasportare l’aria fresca agli ambienti delle ville sfruttando la differenza di pressione tra l’aria fredda dei covoli7 e l’ambiente esterno, creando di fatto il primo impianto di condizionamento naturale di cui si abbia notizia. Il vento dei covoli, il cui soffio é controllato dagli occupanti delle ville per mezzo di bocchette regolabili, suscitò stupore e interesse tra i contemporanei del Trento di cui esistono
molteplici testimonianze tra le quali spiccano senz’altro quella di Palladio che, affascinato dalla possibilitá di creare correnti d´aria a piacimento ne parla nel primo de I quattro libri di architettura definendo il sistema collegato a Villa Eolia il “carcere dei venti” e di Galileo, il quale ha addirittura contratto una fastidiosa artrite dopo essersi incautamente addormentato esposto all´aria fredda proveniente dai ventidotti. L’effetto benefico dell’aria temperata si puó inoltre avvertire anche all’esterno del covolo. Grazie alla posizione ribassata dell’imbocco, “l’aria fredda che fuoriesce naturalmente dalla bocca dell’antro supera lo spigolo della casa e scende dal pendio, ristagnando negli strati bassi, trattenuta dalle mura in pietra che circondano la proprietà. Nelle giornate umide e afose è possibile nelle ore serali e notturne il riscontro di nebbia di condensa davanti al covolo e anche in giardino” (Panizzoni, 2001). L’idea che un semplice manufatto come il muro di cinta del parco di Villa Carli e la presenza di un fenomeno naturale come lo scivolare dell’aria fredda lungo il pendio possano creare un ambiente esterno condizionato, stupisce ancora oggi per semplicità ed efficacia dell´invenzione. Non è un caso che sia Francesco Trento, esponente dell’intellighenzia rinascimentale, a concepire l’idea di sfruttare l’aria fredda dei covoli. Nel Rinascimento infatti, l’aspetto pneumatologico è centrale nella disciplina medica e da questa trova riscontro anche in architettura. “Gli architetti del Rinascimento applicavano dottrine pneumatologiche nelle loro teorie e pratiche perché ritenevano che la vera architettura
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potesse essere decifrata solo in virtú di una corrispondenza tra la struttura dell´anima e quella dell´oggetto […] l´edificio modello del Rinascimento, quindi, doveva essere la realizzazione di teorie pneumatiche in pratica, e doveva accrescere il benessere dei suoi occupanti” (Kenda, 1998). Le ragioni per cui Trento fa edificare i ventidotti sono molteplici: lo fa per diletto e promozione personale, ma anche per ricerca del benessere e per ragioni spirituali. Il “carcere dei venti” di Villa Eolia, la sala superiore e il rosone che le collega, hanno pianta ottagonale, ripresa anche dal motivo del pavimento e dagli affreschi di rappresentazioni divine. Ogni lato ospita una nicchia che celebra uno dei venti locali seguendo, dunque, le istruzioni di Vitruvio circa la difesa delle città contro i venti e richiamando la Torre dei Venti di Atene (Kenda, 1998). Se pensiamo che parole come respiro, spirito e anima trovano la propria origine nell’etimologia della parola greca “pneuma”8 , capiamo come il carcere dei venti si tratti di uno spazio votivo, pensato per rinfrescare e intimidire, nel quale si riscontra un raro allineamento tra architettura, atmosfera e spiritualità. Il luogo ideale dove poter fare esperienza di un rapporto tra artificio e natura, antico ma allo stesso tempo moderno, dove la ricerca del benessere dipende dal rapporto simbiotico con il paesaggio. “La crescente consapevolezza di questioni climatiche nel processo di progettazione ha ancora una volta il potenziale di rendere l´architettura piú contestuale, restituendole pertinenza regionale” (Krautheim et al., 2014).
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L’esempio dei ventidotti di Costozza contribuisce a scardinare l’idea romantica di paesaggio come rifugio dalla civiltá e ci permette invece di attingere al potenziale che risiede nel progettare insieme agli elementi climatici locali. I ventidotti sono un esempio prezioso per le nostre città perché ci insegnano come il paesaggio sia infrastruttura che nutre, tempera, purifica, e collega. Il baricentro dell’architettura, oggi, deve allontanarsi dalla materialità dall’oggetto per avvicinarsi al moto dell’atmosfera e alle dinamiche naturali. La relazione tra elementi architettonici e le prestazioni del paesaggio è la chiave interpretativa grazie alla quale l’architettura può contribuire alla costruzione di città consapevoli della propria responsabilità ecologica e quindi più sostenibili.▲
IMMAGINI 01 - Ingresso del ventidotto di villa Carli. Crediti: Marcello Fantuz. 02 - L’elemento aria. L’elemento aria definisce la forma diventando esso stesso spazio architettonico. Crediti: Valentina Manfè, Maura Polesello. 03 - Planimetria del covolo Carli e dei ventidotti. Crediti: Paolo Verico. 04 - Villa Carli e il suo ventidotto, sezione e pianta. Crediti: Lucia Mussolin, Micol Feltre. 05 - Ventidotti di villa Eolia, sezione. Crediti: Lucia Mussolin, Micol Feltre. 06 - Ventidotto di villa Eolia. Crediti: Marcello Fantuz.
NOTE 1 - Marco Vitruvio Pollione (Marcus Vitruvius Pollio), vissuto tra il 70 a.C. e il 23 a.C., famoso teorico dell’architettura, scrittore romano e architetto. 2 - Andrea Palladio, (1508-1580). Architetto, il più importante della Repubblica di Venezia, scenografo e teorico dell’architettura, nel 1570 pubblicò “I quattro libri dell’architettura”. Nel suo percorso ha subito la forte influenza degli studi su Marco Vitruvio Pollione. Francesco Milizia (1725-1798), teorico dell’architettura, storico dell’arte e critico d’arte italiano, poligrafo interessato fortemente di architettura. 3 - Costozza è una frazione del comune di Longare, in provincia di Vicenza. 4 – Leandro Alberti (1479-1552) storico, filosofo e teologo di origine bolognese. “Descrittione di tutta Italia. Nella quale si contiene il sito di essa, l’origine, et le Signorie delle Città, et de’ Castelli; co’ nomi antichi, et moderni; i costumi de popoli, et le conditioni de paesi. Et di più gli huomini famosi, che l’hanno illustrata, i Monti, i Laghi, i Fiumi, le Fontane, i Bagni, le Minere, et tutte l’opere maravigliose in lei dalla Natura prodotte” è la sua opera più importante, pubblicata a Bologna nel 1551. 5 - Vincenzo Scamozzi (1548- 1616), architetto e trattatista, tra i maggiori esponenti dell’architettura veneta, autore di “Dell’idea dell’architettura universale”, pubblicato a Venezia nel 1615. 6 - Dispositìvo [dispozi’tivo] deriva dal latino Disposĭtus agg., che dispone; che intende disporre, ma anche meccanismo atto a compiere un dato lavoro, congegno che serve a una determinata funzione. In questo testo per dispositivo s’intendono i dispositivi tecnologicoimpiantistici (passivi o attivi), che permettono un controllo climatico all’interno dell’architettura. 7 - Che si mantiene alla temperatura quasi costante, tra i 10°C e i 13°C, fredda d´estate e calda d´inverno. 8 – Sempre nell´articolo di Kenda B., troviamo riferimento all´etimologia delle seguenti parole: pnèuma s. m. [dal lat. tardo pneuma, gr. πνεῦμα, propr. «soffio», der. di πνέω «soffiare»] (pl. -i); psiche s. f. [dal gr. ψυχή, connesso con ψύχω «respirare, soffiare»]; ànima s. f. [lat. anĭma, affine, come anĭmus, al gr. ἄνεμος «soffio, vento»]; spìrito (ant. e poet. spirto) s. m. [dal lat. spirĭtus -us «soffio, respiro, spirito vitale», der. di spirare: v. spirare1; il sign. grammaticale 1 b ricalca il gr. πνεῦμα (che è l’equivalente del lat. spiritus); nel sign. 7 di «alcole» è un termine alchimistico formato partendo dall’accezione di «esalazione»]. BIBLIOGRAFIA - Fathy H., “Natural Energy and vernacular architecture”, University of Chicago, 1986 in Scudo, Gianni, “Caratteri ambientali”, climatizzazione naturale e approccio bioclimatico” In “Ambiente costruito”, n.1/1997, pp. 63-65. - Maccà G.G., “Storia della famosa grotta detta volgarmente il Covolo, o Covalo di Costoza, capitolo IV, Il covolo di Costoza altro non fu nel suo principio che una cava da pietre”, Vicenza, 1794. - Gleria E., “I Covoli di Costozza”, in “Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza & Club Speleologico Proteo”, Grotte dei Berici. Grotte e Uomo, 2005, Vol. II, pp. 139-149. - Grosso M., “Principi e tecniche di controllo dello scambio termico edificio-terreno”, in “Ambiente costruito”, n.1, 1997. - Kenda B., “On the Renaissance art of well-being”, in “Res: Anthropology and aesthetics”, 1998, Vol. 34, pp. 101-117. - Krautheim M., Pasel R., Pfeiffer S., Schultz-Granberg J., “City and Wind. Climate as an Architectural Instrument”, DOM publishers, Berlin, 2014. - Milizia F., “Principi di architettura civile”, parte II, capitolo XVIII, “De’ camini”, 1823. - Mussolin L., Feltre M., “Il Covolo dei Venti e il Sistema dei Ventidotti”, in “Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza & Club Speleologico Proteo”, Grotte dei Berici. Grotte e Uomo, 2005, Vol. II, pp. 139-149; - Palladio A., “I quattro libri dell’architettura”, Libro primo, capitolo XXVII “De’ camini”, 1570. - Panizzoni G., “Villa Carli, Una Villa che Respira”, Istituto Regionale per le Ville Venete, 2001. - Sijmons D., “Waking Up in the Anthropocene”, in “IABR–2014–URBAN BY NATURE”, G. Brugmans & J. Strien, Rotterdam, 2014, pp. 3-5.
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La sperimentazione aerodinamica con Air-chitecture Un metodo semplice per comprendere l’interazione del vento con l’architettura Margherita Ferrucci, Maurizio Brocato, Fabio Peron
Natural ventilation, passive cooling and wind thermal comfort are bioclimatic passive strategies whose performance is linked to the interaction of the architectural form with the wind. To provide a tool to support the architectural conception we created a special type of wind tunnel named Air-chitecture. This is a declination of Etienne Jules Marey’s smoke machine and it belongs to the kind of wind tunnels conceived for scientific divulgation. The prototype was completed in 2016 under the PhD thesis in Architecture at the GSA Laboratory of ENSA Paris-Malaquais and the FisTec Laboratory of the Università Iuav di Venezia. Air-chitecture is optimized to display fluid dynamic phenomena on small-scale models of buildings and can be used for the teaching in architecture schools. In addition to that, by using the experimental views, we suggest a simplified method to interpret the interaction between the wind and the architecture.
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l comportamento aerodinamico di un edificio ha delle conseguenze importanti sul funzionamento dei sistemi di ventilazione naturale e di raffrescamento passivo, sul dimensionamento della struttura alle azioni del vento e sul comfort outdoor. In particolare la ventilazione naturale è raramente considerata dagli architetti nella progettazione degli edifici contemporanei perché essa necessita di conoscenze interdisciplinari di architettura, fisica tecnica e aerodinamica. L’interazione della forma dell’edificio con il vento genera dei campi di pressione aerodinamici sul suo involucro che a loro volta creano degli effetti di propulsione o suzione dell’aria sulle aperture attivando la ventilazione. Di conseguenza l’osservazione dei flussi di aria attorno a un modello in scala ridotta di un edificio diviene una tappa importante per poter progettare correttamente un manufatto. Per fornire uno strumento di supporto alla concezione architettonica si è creata, nell’ambito di un dottorato di ricerca italo-francese (ENSA Paris-Malaquais e Università Iuav di Venezia), una galleria del vento ottimizzata per le visualizzazioni dei flussi di aria attorno a modelli di edifici. Il prototipo, chiamato Air-chitecture, si ispira ad altre gallerie del vento che sono state create dal XIX secolo fino ai nostri giorni. Air-chitecture si rivela uno strumento semplificato per la progettazione adatto in ambito didattico nelle scuole di architettura in quanto consente di ridurre la visione dei fenomeni fisici da tridimensionali a bidimensionali. Inoltre le dimensioni contenute, il limitato costo di realizzazione e la facilità di gestione ne aumentano le potenzialità. La sua progettazione e costruzione sono state realizzate grazie alle moderne tecniche di progettazione parametrica e all’utilizzo di macchine a controllo numerico. Ben sei enti hanno partecipato allo sviluppo del progetto, tra cui tre enti universitari, un’azienda e due
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associazioni tecnico-scientifiche. Oltre alla realizzazione della macchina si è sviluppato un metodo che associa le visualizzazioni dei flussi di aria con fumogeno alla distribuzione delle pressioni aerodinamiche attorno all’involucro di un modello di edificio a scala ridotta. Tale metodo può essere applicato direttamente alla progettazione architettonica. Le gallerie del vento per la divulgazione scientifica Air-chitecture si ispira alla macchina di Etienne Jules Marey (1830-1904) che dal 1899 al 1901 ha fotografato i movimenti invisibili dell’aria (Marey, 1878). Oltre a lui si sono dedicati alla visualizzazione dei fenomeni aerodinamici il tedesco Ludwing Mach (1868-1951), costruendo una macchina a fumogeno (Merzkirch, 1987), e l’inglese Henry Selby Hele Shaw (1854-1941) con una macchina idrodinamica a filetti di glicerina colorata (Carruthers, 2010). Un’altra galleria del vento per la divulgazione scientifica è quella dell’ingegnere aerospaziale tedesco Alexander Martin Lippisch (1894-1976). Tale strumento accompagnò Lippish durante le sue lezioni di aerodinamica in un programma televisivo statunitense sul volo (Lippish, 1952). La prima riproduzione della macchina di
rien n’est plus secret, rien n’est plus lyrique, rien n’est plus explosif, rien n’est plus actuel que le silence de ses noirs et la légèreté de ses blancs1
Marey è quella del 1999 effettuata dal Centre Nationale de la Cinématographie. In seguito, nel 2004, sono state riprodotte altre quattro macchine di Marey per l’esposizione al Musée d’Orsay su Marey (Mannoni, 2004). Nel 2008, l’associazione AERODYNE2 ha prodotto una variante della macchina di Marey 3 . Air-chitecture a differenza delle precedenti, è concepita come uno strumento destinato agli studenti delle scuole di architettura.
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Scala Pascal
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Processo progettuale e costruttivo La realizzazione di Air-chitecture è stata possibile grazie alla collaborazione tra il laboratorio GSA dell’ENSA Paris-Malaquais4, INNOV’LAB dell’IUT di Cachan e AERODYNE . Il laboratorio GSA ha promosso la collaborazione con gli altri enti universitari e centri di ricerca e ha finanziato l’acquisto dei materiali, AERODYNE ha seguito la concezione del prototipo e INNOV’LAB lo sviluppo del modello CAD e la realizzazione dei vari componenti. APIS ha messo a disposizione una macchina a controllo numerico per la lavorazione dei pannelli di compensato e di plexiglas e gli ateliers per preassemblare la galleria. L’assemblaggio definitivo, la rifinitura dei componenti e le prime prove sperimentali sono state effettuate nei locali di Aérodynamique EIFFEL che ha fornito il materiale restante, gli strumenti per la lavorazione e la manodopera per l’assemblaggio e per la realizzazione dei modellini. Le attività progettuali e costruttive si sono svolte a Parigi in circa 12 mesi, da novembre 2015 a novembre 2016, presso le varie sedi degli enti citati. Air-chitecture: la struttura e il sistema di visualizzazione La galleria del vento è a circuito aperto con vena5 di tipo chiuso confinata da una struttura lignea. A una estremità della camera di prova6 sono posizionati 6 ventilatori a velocità variabile che aspirano l’aria dall’interno della camera di prova. La vena è visibile e accessibile grazie ad un portellone in plexiglas trasparente (img. 01). Il sistema di visualizzazione è realizzato con fumogeno bianco immesso nella vena fluida e illuminato
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da luci LED (Light Emitting Diode). L’uso dei LED evita il riscaldamento della vena e quindi le alterazioni del regime di flusso. Il prototipo è concepito per la visualizzazione di fenomeni di tipo bidimensionale. Questo è possibile grazie all’utilizzo di modelli sperimentali di lunghezza pari alla profondità della vena fluida. Riempiendo tutto lo spessore della vena con un ostacolo si eliminano gli effetti aerodinamici di bordo e si riproduce un fenomeno uguale a se stesso in tutto lo spessore della vena. Tale semplificazione, da tridimensionale a bidimensionale, è applicata alle analisi aerodinamiche su tutti i corpi allungati come edifici a torre o a barra, nei quali gli effetti di bordo si possono trascurare dato che il fenomeno preponderante è quello che si sviluppa sul corpo centrale dell’oggetto (Murray, 1946). Il modello sperimentale rappresenta la sezione orizzontale degli edifici a torre e la sezione verticale degli edifici a barra. La forma di Air-chitecture ricorda uno schermo televisivo davanti al quale il pubblico visualizza facilmente il fenomeno fluidodinamico. Gli osservatori indipendentemente dalla loro posizione vedranno lo stesso fenomeno perché esso è identico su tutto lo spessore della vena. Tale fruibilità dell’immagine si adatta a lezioni di tipo frontale dato che l’immagine è univoca per tutti i presenti. Risultati sperimentali Le visualizzazioni dei flussi con fumogeno sono messe a confronto con i risultati delle simulazioni numeriche CFD (Computational Fluid Dynamics) sullo stesso modello di edificio eseguite con il software Cast3M (Ferrucci et al., 2015 e Ferrucci et al., 2017). Il modello sperimentale è un parallelepipedo a base quadrata (64 x 64 x 125 mm) che attraversa tutta lo spessore della camera di prova e rappresenta un edificio a torre. Esso è posto sull’asse longitudinale della camera secondo lo schema geometrico utilizzato nelle simulazioni CFD. In questo modo il confronto dei risultati numerici con quelli sperimentali è immediato. Si riportano nell’immagine 02 e 04 le visualizzazioni del flusso attorno all’edificio a torre a confronto con i campi di pressione per un angolo di
una tesi di dottorato è l’occasione di stabilire delle relazioni tra il mondo dell’architettura, dell’ingegneria e delle aziende: la concezione e la realizzazione di Air-chitecture, ne è un esempio
incidenza del vento di 30°. I campi di pressione sono rappresentati grazie a delle mappe colorate generate con l’analisi CFD. Il flusso del vento incidente provoca a monte del modello pressioni positive (in rosso e arancione a seconda della intensità della pressione). A valle del modello, in scia, si passa a pressioni negative (in colore blu e azzurro). Ai limiti del dominio si ritrovano valori neutri della pressione (in giallo e verde chiaro). Sul lato a monte del modello si trova la pressione positiva massima (in rosso) e le restanti facciate sono sottoposte a pressione negativa. La pressione negativa massima può trovarsi, a seconda dell’angolo di incidenza del vento, sulla facciata opposta a quella in pressione. Nelle immagini si sono colorate le facciate dell’edificio a seconda del valore medio della pressione che vi agisce. Nelle zone a pressione positiva o neutra il filetto di fumogeno rimane compatto e segue i filetti fluidi lungo tutta la loro traiettoria. L’aspetto del filetto di fumogeno nelle zone a pressione positiva è bianco intenso e ben compatto, pertanto si riescono a seguire con continuità e in modo distinto le traiettorie. Anche la linea di distacco del flusso è ben riconoscibile e si trova tra la zona a pressione positiva e quella a pressione negativa massima (dove non si vede fumogeno). La scia è a pressione negativa e il fumogeno alimenta questa zona in depressione generando una macchia di colore bianco sfumato tendente al grigio (verde nei risultati CFD). Il fumogeno si miscela infatti all’aria a causa delle strutture vorticose di varie dimensioni presenti in scia.
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Applicazioni in architettura Associare il comportamento del fumogeno alla distribuzione delle pressioni è utile durante le prime fasi di progettazione. In questo modo si possono scegliere delle soluzioni progettuali che non influenzino negativamente il funzionamento aerodinamico del manufatto e anzi ne migliorino le prestazioni. Con Air-chitecture è possibile: - Scegliere la posizione delle finestre che massimizzi il differenziale di pressione aerodinamico. La ventilazione naturale per effetto del vento è generata dalla differenza di pressione tra
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le dimensioni contenute, il limitato costo di realizzazione e la facilità di gestione della galleria del vento rendono Air-chitecture un facile strumento per la sperimentazione aerodinamica in ambito didattico e progettuale
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le aperture dell’edificio destinate alla ventilazione. Se il fumo è bianco e compatto la pressione è positiva, se il fumo è grigio chiaro o quasi assente la pressione è negativa. Quindi si posizioneranno le finestre di inlet (aria entrante) nelle zone a pressione positiva e quelle di outlet (aria uscente) in quelle a pressione negativa (img.04); - Orientare l’edificio in modo da modificare la pressione agente sulle varie facciate in funzione delle esigenze del progettista; - Cambiare la forma del modellino e visualizzarne subito le conseguenze sulle linee di flusso attorno all’edificio e sulle pressioni aerodinamiche; - Individuare qual è lo spazio attorno all’edificio nel quale si risentono gli effetti dell’interazione tra il vento e l’edificio stesso. Allo stesso modo, a livello di dimensionamento strutturale per il carico del vento, si può individuare dove si applica l’effetto di pressione o suzione sulla struttura. Inoltre, per quando riguarda i problemi di discomfort legati all’aumento di velocità del vento in spazi aperti, si possono individuare con il solo fumogeno, le zone non confortevoli (con velocità del vento elevata) e quelle più riparate. Conclusioni La realizzazione di Air-chitecture è frutto della collaborazione tra istituti universitari e di ricerca in ambiti molto diversi (architettura, aerodinamica e ingegneria meccanica) e ha messo in evidenza la ricchezza tecnica, scientifica e culturale che può nascere da questo tipo di collaborazioni multidisciplinari.
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Il principale vantaggio che si può avere dalle visualizzazioni con fumogeno è il confronto diretto e qualitativo con i risultati di una simulazione numerica sullo stesso modello. La modellazione fisica permette di capire subito la bontà dei risultati della simulazione numerica e permette di comprendere i fenomeni fisici associati che altrimenti sarebbero espressi in modo astratto attraverso una gamma di colori e numeri. La sovrapposizione delle mappe colorate numeriche con le foto consente di validare i risultati del calcolo, arricchisce le informazioni già disponibili e facilita la comprensione dei fenomeni fluidodinamici anche a chi non ha conoscenze di aerodinamica. Con le visualizzazioni di Air-chitecture è possibile evidenziare rapidamente e facilmente alcuni fenomeni fluidodinamici inerenti alla progettazione di un edificio rendendoli accessibili agli studenti in architettura.▲
GLI AUTORI Margherita Ferrucci è dottoranda in Architettura presso il laboratorio di fisica tecnica ambientale dell’Università Iuav di Venezia ed il Laboratoire Géométrie, Structure et Architecture della ENSA Paris-Malaquais (Université Paris-Est). Dal 2009 esercita la professione di ingegnere presso il Laboratoire Aerodynamique Eiffel-groupe CSTB (Paris). e-mail: marferit@gmail.com Maurizio Brocato è professore di Sciences et techniques pour l’architecture presso Ecole Nationale Supérieure d’Architecture Paris- Malaquais ed è direttore del Laboratoire Géométrie, Structure et Architecture. e-mail: maurizio.brocato@mac.com Fabio Peron è direttore del Laboratorio di Fisica Tecnica Ambientale dell’Università Iuav di Venezia. e-mail: fperon@iuav.it NOTE 1 - H. Langlois, 1963, tratta da l’Exposition Etienne Jules Marey, de la Cinémathèque Française à Paris. 2 - Association d’Etudes et Réalisations en Optimisation Dynamique et Energétique dell’Istituto Tecnico di Cachan (Francia). 3 - Barreau M., Soufflerie Marey, www.aerodynecachan.blogspot.it/2008/01/soufflerie-marey _31. html, Aérodyne IUT de Cachan, 31-01-2008. 4 - Laboratoire Géométrie, Structures et Architecture de l’Ecole Nationale Superieure d’Architecture Paris-Malaquais. 5 - La vena indica la zona della galleria del vento dove scorre il flusso di aria. 6 - La camera di prova è la parte della galleria dove vengono inseriti i modellini. IMMAGINI Crediti: Margherita Ferrucci. 01 - Air-architecture. 02 - Flusso attorno ad una torre a sezione quadrata con azimut del vento di 30°. Immagini a confronto: visualizzazione del fumogeno attorno alla torre e campo di pressioni aerodinamiche ottenuto tramite simulazioni CFD. A lato valore della pressione in Pascal. 03 - Flusso di aria attorno a una forma quadrata con azimut del vento di 45°. 04 - Flusso attorno ad un edificio a sezione quadrata con azimut del vento di 30°. La posizione delle aperture sul lato rosso e blu ottimizza la ventilazione interna. 05 - Detaglio del flusso di aria. BIBLIOGRAFIA - Carruthers J., “Henry Selby Hele-Shaw LLD, DSc, EngD, FRS, WhSch, (1854–1941): Engineer, inventor and educationist” in “South African Journal of Science”, 2010, n.106 (1/2), pag. 119. - Ferrucci M., “L’air au service de l’architecte. La soufflerie Air-chitecture”, Re-vue Malaquais n°5, Edition Acte Sud, Paris (France), 2017. - Ferrucci M., Brocato M., Peron F., Cappelletti F., “Graphic and parametric tools for preliminary design stage of natural ventilation systems” in “Proceedings Building Simulation Applications BSA 2015”, Bozen (Italie) 04-06/02/2015. - Ferrucci M., Brocato M., Peron F., “Digital integration between the morphological building design and optimization of natural ventilation” in “Proceedings 3rd Building Simulation Applications BSA 2017”, Bozen (Italia) 08-10/02/2017. - Langlois H., “Exposition Etienne Jules Marey” in Exposition de la Cinémathèque Française, Paris, 1963. - Lippish A., “The secret of flight” in Educational Television and Radio Center of the State of IOWA, USA, 1952. - Mannoni L., “Mouvements de l’air, Etienne-Jules Marey, photographe des fluides”, Gallimard-Réunion des musées nationaux, Paris, 2004. - Marey E. J., “La Méthode graphique dans les sciences expérimentales et principalement en physiologie et médecine”, Masson, Paris, 1878. - Merzkirch W., “Flow Visualization” in “Academic Press INC”, Second Edition, London, 1987. - Murray H. E., “Wind-tunnel Investigation of End-plate Effects of Horizontal Tails on a Vertical Tail Compared with Available Theory” in “National Advisory Committee for Aeronautics”, Langley Aeronautical Laboratory, Langley Field, VA, United States, 1946.
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Climate Change and Façade Resilience Cyclone Resistant Glazing Solutions in the Asia-Pacific Region
Angela Mejorin and William Miranda are Research Assistants in the Council on Tall Buildings and Urban Habitat (CTBUH). e-mail: amejorin@ctbuh.org e-mail: wmiranda@ctbuh.org
Nel 1992 l’uragano Andrew ha messo in ginocchio la Florida. In tal contesto si è sviluppata la normativa delle costruzioni più stringente degli Stati Uniti e del mondo per la sicurezza durante queste catastrofi naturali. Il sud-est asiatico è battuto da tempeste della stessa forza alle quali ci si riferisce con l’appellativo di tifoni o cicloni. È in quest’area geografica che si assiste all’incremento maggiore del fenomeno a causa dei cambiamenti climatici. Nell’ultimo decennio il sud-est asiatico è cresciuto in modo senza precedenti in termini economici e demografici. Questo scenario ha portato un aumento di richiesta di costruzioni ad alta densità. Di qui l’inevitabile espansione anche in altezza dei nuovi edifici. L’ufficio di ricerca del CTBUH presso l’Università Iuav di Venezia ha condotto uno studio sulle normative dei vari paesi colpiti dai cicloni per la costruzione della prima barriera fra spazio interno all’edificio e ambiente esterno, nei grattacieli: le facciate resistenti ai tifoni.
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urricane Andrew, which hit Florida in 1992, became the costliest natural disaster in the history of the United States. In the following years, the Florida Building Code developed curtain wall provisions, which include strengthening building openings and glass surfaces to limit damage caused by high velocity winds. This code, and the revisions introduced since, still represents the most demanding building codes in the US when it comes to impact-resistant façade systems. On the other side of the Pacific, the South East region of Asia is affected by storms of the same strength, which are referred to as cyclones or typhoons. Highly-populated areas, including the Philippines, Vietnam, South and East China, Korea and Japan, have been affected by these storms, which are of such magnitude they are threatening the economic stability and growth of these regions. Additionally, the mega-cities that are forming in these areas demand additional residential and office space, which calls for the construction of new high-rise buildings. The Asia-Pacific region is the most disaster prone in the world, and these climate-change-induced disasters have been consistently increasing in both frequency and severity over the past 30 years (World Bank Group, 2016). Currently, the curtain wall is seen as the primary barrier to protect a tall building and its occupants from these external threats, in addition to controlling a buildings internal climate and lighting. The buildings and cities most prone to cyclones in the AsiaPacific region have recently been examined by The Council on Tall Buildings and Urban Habitat through an extensive research project, entitled Cyclone-Glazing and Façade Resilience for the Asia-Pacific Region, thanks to a research grant received from Kuraray Trosifol, a leader in safe curtain wall technologies for tall buildings.
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This research project has also investigated the current, stateof-the-art cyclone-resistant façade technology requirements in the Asia-Pacific region, with the aim to explore the norms and standards of the major tall building markets within this region and to propose a new general guideline for the design of cyclone-resistant façades in those countries in the future. Through the development of this research project, some of the countries that are the most prone to cyclones in the AsiaPacific region and the existing curtain wall standards in these countries have been identified. Asia Pacific Region Environmental Vulnerabilities The World Bank Group, in their October 2016 East Asia and Pacific Economic Update, has shown that both the frequency and severity of disasters in the East-Asia Pacific (EAP) region have been rising since 1980. Over this period, more than 3.5 billion people have been affected by natural disasters, and the region has sustained US$525 billion in losses, which is nearly a quarter of total global losses from natural disasters (World Bank Group, 2016). These profound figures are reinforced by the 2016 World Risk Index, which classifies the disaster risk for 173 countries globally, and indicates that over half of top 20 “most at-risk” countries are located in the East-Asia Pacific region. In their calculations, not only does the World Risk Index incorporate the amount of exposure and susceptibility to natural hazards, but also the ability for the effected countries to cope with these hazards (Welle and Birkman, 2016).
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most of the Pacific Island countries are experiencing moderate to strong growth, but at the same time, they are extremely vulnerable to natural disasters and climate change
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For countries such as the Philippines and Vietnam, which are currently seeing unprecedented growth in population and skyscraper development, the lack of refinement in their codes and standards for curtain wall systems could be leading to more damage from natural disasters then is necessary, especially when compared to cities in Florida, who have been developing provisions to combat curtain wall damage from hurricanes for 25 years. Most of the Pacific Island countries are experiencing moderate to strong growth, but at the same time, they are extremely vulnerable to natural disasters and climate change (World Bank Group, 2017). More or less every year, these countries experience a natural disaster, which can hinder the growth that they are experiencing. Identification of the Severity of the Problem – Tall Buildings in Cyclone Prone Areas In order to determine the exact extent in which skyscrapers within these countries are being effected, tall buildings can be directly compared with the past cyclone events through Geographic Information System (GIS) mapping. This is achieved by evaluating data from The Skyscraper Center, the premier source for accurate, reliable information on tall buildings around the world, and the collection of historic cyclone data, produced by the United Nations Environ-
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mental Programme, within their Global Resource Information Database (GRID) network (img. 01) (Peduzzi, 2015). With the geographic and time data for the buildings and cyclones, not only can the number of tall buildings that have suffered a cyclone event in the past can be determined, but recently developed buildings that are located in an areas that have been struck by a cyclone be identified, thus recognizes the buildings that are likely to experience a severe wind event in the future. Through this analysis, it was determined that 1,772 buildings within select developing countries in the Asia-Pacific region have experienced at least one cyclone event. Many of these building have experienced multiple events, resulting in at least 16,500 total instances that buildings have been affected by 234 unique cyclones in the past 45 years, with 336 buildings having experienced a severe cyclone event with wind speeds greater than 150km/h (img. 03). Currently, more than double the amount of buildings (3,647) are now built in these same areas that have experienced a cyclone event in the past, with a further 643 currently under construction in these areas. Furthermore, considering the increase in severity and frequency of major cyclone events, it is more than likely that the past events do not fully represent the geographic scope that the storms will reach in the near future, thus affecting countless more tall buildings (Trabucco et al., 2017).
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Existing Codes and Standards for Cyclone Prone Façades in Developed Countries Major cyclone (hurricane) events of the past have been the catalyst to spark governing bodies to create regulations for building curtain walls, as is the case in Australia (1975, following Cyclone Tracy) and in the US (1992, following Hurricane Andrew) (img. 02). After Hurricane Andrew, which left US$26 billion in damages and cause 65 casualties, major curtain wall provisions were added to Florida Building Code, which included the strengthening of openings and glass to limit damage caused by high velocity windborne debris. This code now represents the most demanding building codes in the US when it comes to resistance of façade systems to impact. Furthermore, the Florida Building Code regulates the standard testing requirements for façades performance requirements, which also represents the most rigorous testing requirements in the US (International Code Council, 2014). Similar to the US building standards, the requirements outlined in Australia and New Zealand’s building standards regulate curtain wall strength and testing requirements. Unlike the US standards, the Australian/New Zealand standards do not require cyclic pressure testing1 for cyclone glazing certification, which is a considered a critical aspect of the testing protocol for glazing in the US. In contrast, the speed requirements for large
missile tests are higher than those found in the US testing procedures (Standards Australia Limited/Standards New Zealand, 2011). This shows that even the most developed and advanced international standards for façade resistance to cyclones can differ. An internationally accepted standard would be beneficial for developing countries, to serve as a foundation or point-ofreference in the development of their own building standards. Façades Prone to Cyclone Events – Gaps in Standards for Developing Asia-Pacific Countries Some developing countries in the Asia-Pacific region, such as the Philippines, have adopted and translated the codes of other countries. The National Structural Code of the Philippines has implemented aspects of the ASCE and ASTM standards, but this can present problems, particularly with out-of-date wind maps (ASEP, 2010). For an area that experiences an average of almost ten major cyclone events each year (UNISDR, 2014), countries like the Philippines need to have the most up-to-date and specific wind maps, but in many cases these maps have not been updated in accordance with the increasing amount of cyclone events and are often made for entire regions, instead of specific cities or states. This became especially evident in November 2013, when the Philippines experienced Typhoon Yolanda (or Haiyan), one of the largest storms in its history (img. 04).
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Through GIS analysis, it was determined that this storm only affected one building over 100 meters at the time (the Ultima Residences Fuente Tower in Cebu), but were this storm to occur again, it would affect 11 buildings currently in development and hundreds more if it followed a slightly altered path (www.skyscrapercenter.com and Peduzzi, 2015). Thailand has also added requirements regarding the need for laminated glass. Although this may be a step in the right direction, there can be significant safety impacts if the curtain walls are not tested for typical typhoon conditions. As the Australian standards (AS 1288-2006 Amendment 2) point out, heat soaked toughened glass or laminated glass can cause significant safety concerns to building occupants and have considerable economic impacts. Spontaneous breakage of toughened glass is an obvious safety concern if the breakage occurs near building occupants, but it can also cause issues with the internal pressurization of the building. Also, after the breakage occurs, there are the economic implications of interruption to business during renovation periods and also can lead to the potential for future mold problems if there is water damage in the building’s interior (Trabucco et al., 2017). Currently, referencing US or Australian standards is currently the best case scenario, as there are still many countries in the Asia-Pacific region that have not implemented any curtain wall construction safety requirements. This is largely due to the fact that the skyscraper is a relatively new building typology for these regions. With the increase in foreign investments and the
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global reach of construction and engineering firms, the need for a local code is evident. This is because, for new tall building projects in developing regions, generic codes and standards from other countries are selected, which can lead to increased costs from over-engineering the curtain wall, or even worse, a lack of a façade construction authorization process can lead to dangerous conditions for building occupants during storms. Conclusions Cyclone resilience is the capacity for a building to protect its properties and provide safety to occupants during tropical storm events. Unlike the US and Australia, developing cities in the Asia-Pacific region need to preemptively develop their curtain wall standards and requirements before a major cyclone event occurs. As the density of population and tall buildings increase proportionally with the severity and regularity of cyclone events, it is only a matter of time before the “perfect storm” occurs and threatens this urban growth, especially due to the fact that the majority of Asia-Pacific urbanization is occurring in coastal regions (img. 05). In the Asia-Pacific region, the tall building is often seen as landmark for a company or a city. In these countries the tall building should go beyond this, and strive to be a symbol of safety and a refuge for local residents during disaster events (Wood and Malott, 2015). This goal is reliant on the specific governing bodies researching and testing curtain wall strength and creating standards to achieve façade resilience to cyclones globally.▲
NOTE 1 - Cyclic pressure testing is when a curtain wall component is subjected to pressure at repeated intervals. It is a well known method for determining a building envelope’s susceptibility to fatigue or failure under real-world conditions. IMMAGINI 01 - Location of tall buildings and past cyclone events within the Asia-Pacific region. Credit: William Miranda / CTBUH. 02 - Satellite imagery of Hurricane Andrew approaching Miami on 23 August 1992. Credit: U.S. National Oceanic and Atmospheric Administration. 03 - Windspeed of cyclone events between 1970 and 2015. Credit: William Miranda / CTBUH. 04 - Damage from Typhoon Yolanda in November 2013. (CC BY) Trocaire. 05 - A major storm event approaching the center of Hong Kong in 2010. (CC BY-SA) Zooey. 06 - Storm. C00. BIBLIOGRAFIA - ASEP (Association of Structural Engineers of the Philippines), “C101-10: National Structural Code of the Philippines, 2010”, Quezon City, Philippines, 2010. - International Code Council, “Florida Building Code: 5th Edition”, Tallahassee, FL, USA, 2014. - Wood A., Malott D., “CTBUH 2015 New York Conference Proceedings: Global Interchanges: Resurgence of the Skyscraper City”, Chicago, IL, USA, 2015, pp. 122-131 and 230-237. - Peduzzi P., “Tropical Cyclones Windspeed Buffers 1970-2015” in UNEP/GRID-Geneva, Châtelaine, Switzerland, 2015. - Standards Australia Limited/Standards New Zealand, “AS/NZS 1170.2:2011: Australian/New Zealand Standard: Structural Design Actions: Part 2: Wind Actions”, Sydney, Australia, 2011. - Trabucco D., Mejorin A., Miranda W., Nakada R., Troska C., Stelzer I., “Cyclone Resistant Glazing Solutions in the Asia-Pacific Region: A Growing Market to Meet Present and Future Challenges” in the “GPD Glass Performance Days 2017 Proceedings”, Tampere, Finland, 2017, pp. 47-52. - UNISDR (United Nations Office for Disaster Risk Reduction), “Countries & Regions Disaster & Risk Profile” in the “PreventionWeb Platform”, Geneva, Switzerland, 2014. - Welle T., Birkmann J., “The WorldRiskIndex 2016”, in “WorldRiskReport 2016”, Bündnis Entwicklung Hilft, Berlin, Germany, 2016, pp. 42-51. - World Bank Group, “World Bank East Asia and Pacific Economic Update: Reducing Vulnerabilities”, Washington DC, USA, October 2016. - World Bank Group, “World Bank East Asia and Pacific Economic Update: Sustaining Resisilience”, Washington DC, USA, April 2017.
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Le sfide dell’aria in piccola scala Un “nuovo-antico materiale” a disposizione dei designer
Beatrice Lerma è ricercatore in Design presso il DAD - Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino. e-mail: beatrice.lerma@polito.it
This contribution deals with the innovation introduced by air in many products and productive processes. The air, defined as a combination of oxygen, nitrogen, and small quantities of other gases that surround our Planet and form its atmosphere, can also be considered as one of the main materials used in various sectors, from packaging to sport, from automotive to safety. An overview on the several applications in which the air plays an important role is outlined in order to point out the most important properties and characteristics of this “material”. The air, in fact, has load-bearing capacity and properties of containment, protection and shock-resistance; moreover, the air can be controlled, compressed or contained. The contribution presents some specific case studies of products and processes as a model for designers to develop innovative projects in which the air is leading. The air represents a “newancient material” available to designers for facing new small and big design challenges.
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aria è leggera. L’aria è vita, salute. L’aria è vento, sorgente di energia. L’aria è movimento e aerodinamicità. L’aria è flessibile e impalpabile. L’aria può essere contenuta, compressa, controllata. Nel settore del packaging, nel settore sportivo, nel settore del domestic furniture e nell’automotive, essa svolge funzioni sempre diverse, come elemento portante, sovrastruttura, componente anti-urto. Dagli anni Sessanta e Settanta l’aria è protagonista della trasformazione degli imbottiti, che diventano “voluminosi” (Salvi, 1997) grazie all’introduzione di materiali innovativi, gli espansi cellulari, costituiti in buona parte di aria: tali materiali “altamente formabili e graduabili nelle prestazioni” (Manzini, 1986) svolgono allo stesso tempo la funzione di elemento flessibile e strutturale. Del rinnovamento sono significativa espressione alcuni prodotti di aziende italiane, quali la poltrona Blow di De Pas, D’Urbino, Lomazzi, Scolari (produzione Zanotta, 1968), la poltrona Torneraj di Ceretti, Derossi e Rosso (Gufram, 1968), la Serie UP di Gaetano Pesce (C&B, 1969) o il divano Le Bambole di Mario Bellini (C&B, 1972). Il poliuretano schiumato, utilizzato per la poltrona Torneraj e per Le Bambole, svolge contemporaneamente, in forti spessori, il ruolo di struttura portante, sovrastruttura e anche finitura (Branzi, 2008): si presenta come la materia ideale per una nuova progettazione libera e creativa. L’aria, grazie alla tecnologia del PVC calandrato, diventa elemento principale, anche visivamente, della poltrona pneumatica Blow (img. 01), oggi oggetto di culto e icona del design degli anni Sessanta: la poltrona, fornita completa di gonfiatore a mantice, si gonfia e prende vita dove vogliamo, come un materassino da spiaggia. Anche le poltrone della Serie UP (img. 03) propongono come materiale portante l’aria: le sedute, infatti, liberate dal loro imballaggio, si gonfiano trasformando un prodotto piatto in un prodotto tridimensionale, grazie all’aria!
materiali, processi di trasformazione e tecnologie di produzione vedono oggi l’aria come elemento di nuova e continua rilevanza
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Peraltro, l’aria intesa come elemento portante appartiene al nostro quotidiano. Chi di noi non ha mai utilizzato un cuscino o un materassino gonfiabile al parco pubblico, al campeggio, al mare o in piscina? Oggi, è disponibile sul mercato un materassino (produzione LayBag) che non necessita di pompe e gonfiatori: basta agitarlo in aria perché si gonfi, riempiendosi semplicemente di “vento” (Belpoliti, 2017). Agli imbottiti voluminosi e morbidi normalmente fabbricati in materiale plastico alludono i prodotti del designer polacco Oskar Zieta, realizzati in metallo gonfiato con l’utilizzo della tecnologia FiDU (dal tedesco Freie Innen Druck Umformung). Questa tecnologia, messa a punto circa una decina di anni fa, prevede la saldatura di sottili lastre metalliche, di 1 mm di spessore, all’interno delle quali è poi
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insufflata aria alla pressione di 0,4 bar: il metallo si gonfia e si trasforma da materiale pesante e rigido in materiale leggero e facilmente deformabile. Grazie a questo processo di lavorazione prendono vita, a partire da lastre piane opportunamente tagliate e saldate secondo specifiche indicazioni progettuali, oggetti tridimensionali quali, ad esempio, sgabelli (img. 02), specchi e accessori che ricordano le sculture di Jeff Koons. L’aria, inoltre, è il materiale che costituisce per la maggior parte la seduta Snap Chair di Karim Rashid, caratterizzata da una struttura in metallo, sulla quale si aggancia il sedile, realizzato in EPP (polipropilene espanso) composto per il 95% di aria. L’aria che abbiamo visto essere interprete del mondo delle sedute e del nuovo imbottito, è un materiale che trova ampi spazi di impiego anche nell’ambito dell’automotive, del packaging e in quello della sicurezza della persona. Da una breve panoramica su alcuni prodotti appartenenti a diversi ambiti emerge chiaramente la varietà di soluzioni progettuali offerte dal materiale aria. Dagli anni Cinquanta, con l’invenzione del Pluriball, l’aria costituisce la parte principale di molti materiali per imballaggi protettivi: dai gonfiabili per le bottiglie di vino, ai film pieni d’aria (in materiale plastico o bioplastica) per riempire 03
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gli spazi vuoti delle scatole oppure per avvolgere oggetti delicati, fino ad arrivare ai più grandi dunnage air bag, cuscini gonfiabili (realizzati in polipropilene o in carta kraft, con camera d’aria interna in polietilene) progettati per stabilizzare i carichi di container e pallet, con la duplice funzione di annullare i movimenti pericolosi e di assorbire eventuali urti durante il trasporto. Il Pluriball, scoperto accidentalmente da due ingegneri del New Jersey, dapprima sviluppato come morbida e pregiata carta da parati, oggi è utilizzato per le proprietà protettive delle bolle d’aria che contiene e anche come “scoppiettante” antistress. La forte espressività del Pluriball, d’altronde, è stata recentemente oggetto di rivisitazione da parte dello studio Nucleo di Torino, che ha progettato il Plurigigaball (produzione Saturno Casa, img. 05) (Turnaux e Hirsinger, 2005), un tappetino in PVC, con macro bolle del diametro di 25 cm, utilizzabile come materassino, cuscino o elemento espositivo. La sua espressività è esaltata anche dall’artista newyorkese Bradley Hart, che riproduce famosissimi ritratti utilizzando il Pluriball, nelle cui bolle inietta del colore acrilico, come una tela su cui dipingere. Quelle stesse bolle d’aria che proteggono durante gli spostamenti gli oggetti a noi più cari, trovano nuovi settori di impiego; ad esempio, in campo automobilistico, vengono utilizzati gli Airbump (paraurti contenenti aria) per salvaguardare la carrozzeria da eventuali urti durante il parcheggio. Proposti per la prima volta sulla Citroën C4 Cactus, gli Airbump rivoluzionano l’immagine e il concetto di modanatura: fascioni laterali vistosi, molto alti e colorati caratterizzano l’auto dandole una forte identità. Anche nell’ambito delle attrezzature e dell’abbigliamento per la montagna è frequente nella progettazione il ricorso all’elemento aria. Nello specifico, per lo scialpinismo e lo sci fuoripista, molte aziende leader del settore propongono zaini,
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dotati di airbag, che offrono protezione in caso di valanga. Tali prodotti consentono, infatti, allo scialpinista o al free rider sorpreso dalla valanga e già dotato dell’attrezzatura di sicurezza (apparecchio Arva, pala e sonda), di avere maggiori possibilità di sopravvivenza. Degno di nota è lo zaino FULL SAFE 30 di Ferrino che include, oltre all’airbag, un respiratore (img. 04); l’airbag si gonfia in tre secondi quando viene azionato da una maniglia che libera il gas contenuto all’interno di due bombole (inserite nello zaino stesso). L’aria dell’airbag ha la duplice funzione di proteggere da eventuali traumi lo sciatore e di consentirgli di facilitarne il galleggiamento sulla neve. L’aria svolge un ruolo da “primo attore” in molti altri settori, dall’aerospaziale al navale, all’edilizia (un classico è l’Aerogel, schiuma solida, costituita per il 99,8% di aria e per lo 0,2% di diossido di silicio, impiegata principalmente come materiale per l’isolamento termico) fino al settore dell’abbigliamento (le suole Nike Air ad esempio utilizzano l’aria, pressurizzata e racchiusa in sacche resistenti e flessibili, per ammortizzare sollecitazioni e pressioni durante la corsa). Nella ricerca quotidiana di nuovi modi di fare design, l’aria, questa nuova e antica materia, apre infiniti scenari progettuali e, con leggerezza, propone le sue indiscusse proprietà espressive e le sue camaleontiche caratteristiche tecniche per lo sviluppo di prodotti, materiali e semilavorati innovativi.▲
aria, un materiale che trova nuovi e ampi spazi di impiego nell’ambito dell’automotive, del packaging e in quello della sicurezza della persona
IMMAGINI 01 - La poltrona gonfiabile creata nel 1967 dai designer De Pas, D’Urbino, Lomazzi, Scola. Crediti: Zanotta Spa, Italia. 02 - Sgabello Plopp di Oskar Zieta. Crediti: ZietaProzessdesign–Museum für Gestaltung, Zürich. 03 - La poltrona gonfiabile Up. Crediti: Poltrona UP5_6 design Gaetano Pesce, B&B Italia. 04 - Lo zaino FULL SAFE 30 di Ferrino con respiratore indossato e con airbag gonfiato (a sinistra). Crediti: Carlo Vespertino e Pillow Lab. 05 - Dettaglio del materiale Plurigigaball. Crediti: Giulia Pino per MATto Materioteca del Politecnico di Torino. BIBLIOGRAFIA - Belpoliti M., “Laybag, il materassino che si gonfia con il vento”, in “La Repubblica”, 24 giugno 2017. - Branzi A., “Il Design italiano 1964-2000”, La Triennale di Milano, Triennale Design Museum, Electa Mondadori, Milano, 2008. - Manzini E., “La Materia dell’invenzione”, Arcadia, Milano, 1986. - Salvi S., “Plastica tecnologia design”, Hoepli, Milano, 1997. - Turnaux E., Hirsinger Q., “Material World 2: Innovative Materials for Architecture and Design”, Birkhauser, Basilea, 2005.
www.polito.it/MATto.it www.matto.polito.it
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INFONDO
Ogni attività umana provoca il rilascio in atmosfera di gas e altre sostanze, tra cui particolati e polveri, tali da influnzare il meccanismo di autoregolazione termica della Terra. In particolare l’aumento della concentrazione di gas serra fa si che il calore sia trattenuto negli strati più bassi dell’atmosfera (effetto serra), con conseguente innalzamento della temperatura globale del pianeta. Per bilanciare questo aumento di gas serra in atmosfera, e in particolare di CO2 , è necesario sviluppare processi di “sequestro” di tale gas attraverso il carbon sink, ossia il deposito di anidride carbonica nella biosfera terrestre. Le principali fonti di sink biosferico sono gli oceani, che assorbono anidride carbonica, e le piante che la trasformano in zuccheri e ossigeno mediante la fotosintesi clorofilliana. Per misurare l’impatto che ogni attività umana ha in termini di emissioni di CO2 è possibile usare la carbon footprint o “impronta di carbonio” che indica l’emissione di gas serra (tra cui CO2 , CH4 , N2O, HFCs, PFCs e SF6) attribuibile a un prodotto, un’attività o un individuo. Il calcolo della carbon footprint viene esteso a tutto il ciclo di vita di un prodotto, dall’estrazione delle materie prime fino allo smaltimento finale e viene espresso in kg di CO2 equivalente (CO2e). Inoltre, ogni anno, il Global Footprint Network pubblica il National Ecological Footprint, ossia l’impronta ecologica di ogni Nazione, che misura l’impatto in termini di emissioni e di consumo di risorse dovute a tutte le attività umane svolte in un anno in ciascuno degli Stati analizzati.
750 milioni di ha 141,0 MtCO2
6638,6 MtCO2
842 milioni di ha 1078,7 MtCO2
a cura di Emilio Antoniol e Luca Casagrande info: www.footprintnetwork.org fonte dati: data.footprintnetwork.org
4,5 2,64
1211,3 MtCO2
ha
ettari globali pro capite necessari per soddisfare i bisogni di risorse e assorbire le emissioni di CO2 in Italia nel 2013 Emissioni di CO2 da fonte fossile in MtCO2 e in percentuale sul totale mondiale (2015)
Terre
numero di pianeti Terra necessari per soddisfare i bisogni dell’intera umanità calcolati sugli standard di consumo di risorse e di emissioni di CO2 in Italia nel 2013
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Superficie a foreste in milioni di ha e in percentuale sul totale mondiale (2015)
%
Sottrazioni nette annue di CO2 da parte delle foreste in MtCO2 e in percentuale sulle emissioni continentali
fonti: Global Carbon Atlas, 2016; FAO faostat, 2015
1480 milioni di ha
200 milioni di ha 50,4 MtCO2
5564,3 MtCO2
71,9 MtCO2
19617,9 MtCO2
624 milioni di ha 1032,2 MtCO2
1317,3 MtCO2 4,1 MtCO2
173 milioni di ha 443,7 MtCO2
ATMOSFERA
54%
20,9 GtCO2/anno
38,6 GtCO2/anno
25%
21%
9,7 GtCO2/anno
OCEANI
35% Prod. energetica e riscaldamento
21% industria
8,0 GtCO2/anno
ATTIVITA’ ANTROPICA
FORESTE
Bilancio delle emissioni di anidride carbonica CO2 nel decennio 2005-2016 in GtCO2/anno
24% agricoltura
6% edilizia
14% trasporti
Emissioni globali di gas serra per settore economico. Fonte: IPCC 2014
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PORTFOLIO
Margherita Ferrari è dottoranda di ricerca in Architettura, Design e Città presso l'Università Iuav di Venezia. e-mail: margheritaf@iuav.it
"Ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido, riceve una spinta verticale dal basso verso l'alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato". La mongolfiera funziona esattamente sulla base di questo principio, in relazione poi a molti altri fattori, ma per ora, per capire come una decina di persone possano fluttuare nel cielo, in silenzio, trasportati dal vento, basta conoscere il principio di Archimede. Il cielo è sempre più trafficato, dal numero di voli aerei in crescita e dall’arrivo di droni utili a controllare quanto succede a terra. La mongolfiera è invece uno di quei mezzi che permette letteralmente di “volare” e di far vivere lo spazio del cielo come tale. Per capire il suo funzionamento, occorre immaginare l’atmosfera come un fluido all’interno del quale siamo immersi. Anche qui vige la forza di gravità e le cose più pesanti si spostano verso il centro della Terra. Per permettere al pallone di salire verso l’alto, occorre alleggerirlo: per questo motivo l’aria all’interno della mongolfiera viene riscaldata, riducendo la sua densità e quindi il suo peso. Infatti un metro cubo d’aria alla temperatura di 15°C pesa 1.225 g: portandolo a 100°C (meglio non andare troppo oltre, altrimenti diventa pericoloso per il materiale del pallone) riduce il proprio peso a 946 g. Ciò permette di far salire la mongolfiera a diverse quote d'altezza. La dimensione del pallone consente invece di intuire quanto peso possa trasporatare: le dimensioni di un pallone variano in base alla quantità d'aria che può contenere, indicativamente com-
presa tra i 1.000 e gli 8.000 m3 d'aria. Una volta riscaldata, la mongolfiera potrà iniziare gradualmente la sua ascesa, trasportata dal vento che, a diverse quote, cambia la propria direzione: un viaggio in assoluto silenzio, nell’aria.▲ "Every thing immersed partially or completely in a fluid, receives a vertical push from the bottom up, that is equal to the intensity of the weight of the displaced fluid volume". The balloon operates exactly on the basis of this principle, in relation to many other factors, but to understand how a dozen people can float in the sky, in silence, carried by the wind, it is enough to know the principle of Archimedes. The sky is always busy, the growing number of air travel and the arrival of drones useful to control what happens on the ground. The balloon is instead one of those means that literally allows to "fly" and make living the space of heaven as such. To understand balloon functioning, one must imagine the atmosphere as a fluid inside of which we are immersed, where heavier things go to the Earth for the gravity. To allow the ball to climb upwards, it is necessary to lighten it; for this reason the air inside the balloon is heated, reducing its density.
Balloon Team Italia www.mongolfiereitalia.com
Con la testa tra le nuvole
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un metro cubo d'aria alla temperatura di 100°C pesa 946 grammi, mentre a 15°C pesa 1.225 grammi
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Le immagini sono state cortesemente concesse da: Balloon Team Italia. 01 - Interno mongolfiera durante la fase di gonfiaggio. Crediti: Marco Robecchi. 02, 03, 04 - Alcune fasi di volo. 05 - La cesta per le persone coricata a terra, con i bruciatori per scaldare l'aria nella mongolfiera. Crediti: Michele Fuschini. 06 - Fase di gonfiaggio delle mongolfiere. 07 - Mongolfiere in volo. 05
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la mongolfiera permette di volare in silenzio e di far vivere lo spazio del cielo come tale
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IN PRODUZIONE
ANEV Associazione Nazionale Energia del Vento. e-mail: comunicazione@anev.org
IMMAGINI Crediti: ANEV. 01, 02, 03 - La produzione eolica italiana ed europea. AZIENDA
ANEV Lungotevere dei Mellini, 44 00193 Roma segreteria@anev.org www.anev.org
At the end of 2016, the wind-power installed in Italy amounted to approximately 9,250 MW compared to a target set in the National Energy Strategy by 2020 of 12,680 MW. This power gap is difficult to reach by 2020 due to the current normative framework. However, an ANEV - National Wind Energy Association - study estimates the Italian wind potential in 2030 at 17,150 MW, with significant environmental benefits that can be quantified in the saving of 50 million barrels of oil and 25 million tonnes of CO2, as well as a reduction in water consumption. The modernization of old wind turbines and the development of new nanotechnology will allow to a further increase of this productive potential, exploiting an inexhaustible source of energy as the wind. But to do this, it is necessary to verify the current state of wind energy production, to do new investments and, above all, to continue the research in this area.
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Energia dal vento Sfide e traguardi dell’eolico al 2030
l profondo mutamento del settore eolico in Italia negli ultimi anni ha portato l’ANEV Associazione Nazionale Energia del Vento - a riformulare gli orizzonti di crescita e sviluppo di questa fonte energetica, spostando gli obiettivi temporali al 2030 in linea con quanto sta emergendo nelle proiezioni degli accordi di Parigi e della nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN). I cambiamenti che si prospettano sono soprattutto tecnologici, basti pensare alle innovazioni nel settore off-shore, ma seguono anche una deriva legislativa che inevitabilmente ha portato a confrontarsi per delineare un quadro veritiero di crescita. Alla fine del 2016 la potenza eolica installata in Italia è risultata pari a circa 9.250 MW, a fronte di un obiettivo assunto nella SEN al 2020 di 12.680 MW (di cui 680 MW da eolico offshore): un disavanzo di oltre 3.000 MW, nonostante l’eolico abbia dimostrato di essere la fonte rinnovabile più economica e con il maggiore potenziale ancora disponibile. Il divario di potenza risulta difficilmente colmabile al 2020 visto soprattutto il quadro normativo attuale, basti pensare che ad oggi non ci sono disposizioni ministeriali per nuove procedure d’asta nonostante si registri un importante potenziale eolico già autorizzato ma non realizzato a causa dell’esiguità dei contingenti di potenza messi a disposizione dai D.M. e quantificabili in oltre 1.200 MW. Uno studio ANEV (ANEV e eLeMeNS, 2017), basato su dati anemometrici reali
e partendo da presupposti di fattibilità, stima in 17.150 MW il potenziale eolico al 2030, tra impianti minieolici (400 MW), off-shore (950 MW) e on-shore (15.800 MW), senza considerare il necessario rinnovamento del parco eolico esistente che potrebbe garantire il mantenimento dell’attuale produzione (che altrimenti andrà perduta) incrementandone l’efficienza per il sistema. Benefici e vantaggi connessi alla fonte eolica La produzione complessiva annuale stimata a regime nel suddetto studio ANEV è risultata pari a 36,4 TWh e comporta benefici ambientali considerevoli, riassumibili in un risparmio di 50 milioni di barili di petrolio e 25 milioni di tonnellate di CO2 emesse all’anno. Importanti benefici coinvolgono anche il comparto occupazionale che è stato analizzato con l’ausilio della UIL: il settore eolico nel 2030 potrebbe occupare oltre 67.000 unità tra diretti e indotto, con importanti ripercussioni soprattutto sulle zone dell’Italia meridionale e insulare. Altro aspetto da considerare è il cospicuo risparmio di acqua ottenibile. In Italia, dove non abbiamo impianti nucleari in esercizio che di gran lunga risultano essere quelli a maggior consumo d’acqua, la produzione energetica da fonti fossili genera ogni anno un consumo di circa 160 milioni di metri cubi d’acqua, ovvero, considerando in media un consumo procapite di circa 200 litri al giorno per persona, il fabbisogno annuale
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d’acqua di circa 2,2 milioni di persone. Un dato incredibile soprattutto se confrontato sul consumo di questa risorsa connessa alla produzione energetica da fonte eolica, praticamente nullo. Partendo da questo presupposto in Italia negli ultimi dieci anni, grazie all’apporto della fonte eolica nella produzione di energia elettrica nel nostro Paese si sono risparmiati circa 110 milioni di metri cubi d’acqua, equivalenti al consumo annuale di circa 1,5 milioni di persone. Visto anche da questa prospettiva è innegabile sottolineare come l’eolico rivesta un ruolo decisivo nella nostra strategia energetica. Considerando inoltre i risparmi economici che derivano dal mancato consumo di acqua per la produzione di energia, in Italia negli ultimi
dieci anni, all’eolico sono riconducibili risparmi per circa 170 milioni di Euro. Altro tema importante è quello dell’ammodernamento dei vecchi impianti. Entro il 2030 gli impianti che raggiungeranno l’obsolescenza e quindi usciranno dalla vita utile, saranno pari a circa 1,6 GW. In assenza di interventi di rinnovamento, questo calo non consentirà all’Italia di sfruttare l’intero potenziale on-shore al 2030. Nel resto d’Europa, dove gli impianti eolici esistono da molti anni come in Germania, Spagna e Danimarca, esistono normative specifiche per l’allungamento della vita degli impianti, ovvero per la sostituzione degli aerogeneratori con altri di nuova concezione. La riduzione numerica dei vecchi aerogeneratori potrebbe essere
alla fine del 2016 la potenza eolica installata in Italia è risultata pari a circa 9.250 MW a fronte di un obiettivo assunto nella Strategia Energetica Nazionale al 2020 di 12.680 MW
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un risultato importante da molti punti di vista: energetico, paesaggistico, occupazionale, economico (i nuovi impianti necessiterebbero di incentivi assai più bassi) e, ovviamente, ambientale. Inoltre da un punto di vista tecnico i nuovi aerogeneratori hanno significative evoluzioni tecnologiche da offrire sia dal punto di vista del rumore prodotto, sia da quello dei servizi di rete che tanto importanti saranno nel breve e medio periodo per fare fronte al nuovo mercato elettrico. In tale frangente si auspica che il sistema energetico consentirà anche alle fonti rinnovabili non programmabili come l’eolico di contribuire al funzionamento della rete nazionale autorizzando l’avvio di servizi di rete che oggi non sono ammissibili. Sfide tecnologiche future per l’eolico: mobilità elettrica, nanotecnologie Uno degli ambiti tecnologici che negli ultimi anni hanno mostrato un trend positi-
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vo è quello della mobilità elettrica. A tale auspicata crescita dovrà corrispondere lo sviluppo di tecnologie rinnovabili che siano capaci di ammortizzare l’impatto derivante dalla crescente domanda di energia. La conversione energetica del settore della mobilità richiederà una maggiore versatilità del sistema elettrico e le fonti rinnovabili giocheranno un ruolo chiave in questo ambito. La generazione distribuita porterà tetti fotovoltaici e piccoli generatori (eolici, a biomasse, geotermici) nelle nostre case. Questi, accoppiati a sistemi di accumulo intelligenti, porteranno a riconsiderare la logica dei consumi domestici con sistemi smart che armonizzeranno da una parte la domanda energetica degli elettrodomestici e dall’altra quella dei veicoli. A ciò si accompagnerà un crescente contributo dei grandi impianti rinnovabili dislocati sul territorio che contribuiranno a compensare la progressiva crescita della domanda elettrica.
La diffusione dei veicoli elettrici porterà quindi a un incremento della percentuale di autoconsumo per le utenze domestiche e i piccoli distretti industriali dotati di impianti di produzione di energia elettrica rinnovabile. Ottimizzando i tempi e i periodi di ricarica dei veicoli elettrici e dotandosi di accumulatori preposti a tale scopo sarà possibile quindi gestire in modo ottimale la produzione e i consumi energetici sfruttando la funzione di peak shaving1. Importanti connessioni tra nuove tecnologie ed eolico si stanno registrando anche nel settore delle nanotecnologie. La raggiunta maturità degli studi su queste tecnologie ha aperto degli scenari rivoluzionari per il futuro prossimo in cui, dal punto di vista tecnologico, la vera sfida consisterà nel costruire turbine leggere e performanti, che richiedano tempi e costi di manutenzione sensibilmente inferiori a quelli attuali.
da oggi fino al 2030 gli impianti che raggiungeranno l’obsolescenza e quindi usciranno dalla vita utile, saranno pari a circa 1,6 GW I principali elementi di criticità per gli aerogeneratori di ultima generazione caratterizzati da elevata potenza e grandi dimensioni riguardano infatti principalmente le difficoltà legate al trasporto, montaggio e tenuta dei singoli elementi, oltre alle problematiche relative alla perdita di produzione per deformazione e usura dei componenti soggetti a carichi elevati. Entrando più nel dettaglio, i nano composti potrebbero portare a notevoli vantaggi costruttivi. Esistono già allo stato attuale, ad esempio, tecnologie che replicano il cosiddetto effetto “fiore di loto” che permetterebbe di risolvere i problemi legati alla formazione di ghiaccio sulle pale. Le particolari proprietà di alcuni rivestimenti infatti consentono, grazie a una struttura molecolare caratterizzata da bassissima porosità e presenza di cristalli di cera, di far scivolare condensa e acque meteoriche in modo da evitare qualsiasi possibile formazione di ghiaccio. Principio simile vale anche per ridurre l’usura delle pale: i possibili agenti corrosivi che si depositano quotidianamente vengono infatti allontanati grazie agli effetti del vento e della pioggia. Ciò consente quindi di preservare le superfici esposte dal rischio di deterioramento dovuto all’acqua e agli agenti corrosivi. Con le nanotecnologie si potrebbe inoltre intervenire sulla riduzione del peso e l’incremento delle qualità strutturali, grazie all’utilizzo di materiali dalle strutture molecolari leggere e resistenti. Attualmente la sperimentazione sulle componenti di una turbina eolica ha permesso di raggiungere
risultati sorprendenti con incrementi significativi della resistenza alla trazione e alla flessione, del modulo di elasticità nonché della proprietà di ritardante di fiamma. Le nanotecnologie hanno inoltre permesso la produzione di speciali lubrificanti che, simulando l’effetto di “palline microscopiche”, aumentano la resistenza all’usura a tutti i livelli di temperatura e pressione riscontrabili nei meccanismi di un aerogeneratore. Lo stesso discorso vale per i sigillanti nano-compositi che possono arrivare a offrire prestazioni notevolmente superiori rispetto a quelli tradizionali, risolvendo le problematiche di perdite all’interno dei sistemi idraulici presenti negli aerogeneratori. Sviluppi futuri riguardano invece la possibilità di risolvere le problematiche di alimentazione elettrica necessaria all’avviamento del rotore e all’alimentazione dei servizi, come i sistemi di illuminazione e i meccanismi di orientamento e telecontrollo, tramite l’utilizzo di nanotubi di carbonio che presentano spiccate proprietà di stoccaggio dell’energia ed elevata conducibilità. Vanno considerati inoltre i vantaggi derivati dell’applicazione di queste tecnologie all’off-shore che presentano criticità ancora maggiori connesse alle difficoltà di natura logistica e all’aggressività degli ambienti marini. L’innovazione già disponibile e quella attesa in questo settore dimostrano quindi come sia importante e necessario continuare a fare ricerca in campo eolico.▲
NOTE 1 - Peak Shaving significa letteralmente “limatura del picco”. Tale funzione consiste nell’immagazzinare energia quando la domanda è bassa e rilasciarla quando invece la domanda elettrica è alta, con l’obiettivo di rimuovere i picchi di richiesta energetica. BIBLIOGRAFIA - ANEV, eLeMeNS, “Eolico in Italia: inerzia o full support?”, Roma, ANEV, 2017. Disponibile su www.anev. org/eolico-italia-inerzia-full-support (presa visione agosto 2017). - Pirazzi L. (a cura di), “Energia del Vento, tecnica, normativa, ambiente e mercato”, Salerno, Mixassociati, 2013.
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VOGLIO FARE L’ARCHITETTO
Massimiliano Condotta is assistant professor in Architectural Technology at Università Iuav di Venezia. e-mail: condotta@iuav.it Paolo Ruggeri, PhD in Industrial Engineering curriculum Technical Physics at University of Padua. e-mail: pruggeri@iuav.it Chiara Scanagatta is a PhD student in New Technologies for the Landscape, the City and the Environment at Università Iuav di Venezia. e-mail: c.scanagatta@stud.iuav.it
IMMAGINI 01 - The case study area of South Verona framed inside the city. 02 - Passive sampler cross section. Credits: Stefania Mangini. 03, 04 - Low cost acoustic level monitoring system. Prototype by: FisTec-Università Iuav di Venezia. 05 - Example of possible sample placement. The actual placement will be decided by citizens during the Urban Living Lab meetings.
L’inquinamento atmosferico è un fenomeno dovuto a molteplici fattori, e l’osservazione e la misurazione dell’inquinamento di un elemento trasparente, mobile ed etereo come l’aria è assai difficile. Spesso la condizione percepita dagli abitanti non coincide con le reali condizioni di inquinamento atmosferico, appunto perché essa è condizionata da molti altri fattori come il rumore o la presenza o assenza di elementi naturali. A partire da queste posizioni contrapposte è difficile individuare e attuare soluzioni di mitigazione valide e allo stesso tempo condivise per affrontare il problema dell’inquinamento urbano. Il presente articolo illustra le strategie messe in atto dal progetto di ricerca europeo LOOPER (Learning Loops in the Public Realm) e la sua applicazione al caso di Verona Sud. L’obiettivo del progetto è di costruire una metodologia e una piattaforma di co-creazione - basata su informazioni della qualità dell’aria derivate da processi di misurazione partecipata - al fine di migliorare i processi e gli interventi di trasformazione dell’ambiente costruito.
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The LOOPER project in South Verona Air quality participatory data collection towards co-design of mitigation measures in urban areas
The wind blows wherever it pleases. You hear its sound, but you cannot tell where it comes from or where it is going. So it is with everyone born of the Spirit” (John 3,8). Air quality and urban space We have chosen to start with this sentence of the New Testament for two reasons. The first is to underline the absolute relevance of the element “air”, considered by many religious as divine element (the Hebraic term ruah that means “breath”, “air”, “wind” is used in the Ancient Testament as “Spirit”). The second reason is to introduce a characteristic of the air: its ethereal condition, its being perceived as immaterial; nearly to be sometimes considered as non-existent. Understanding and perceiving the level of pollution of the air is quite difficult; but, even if we cannot see it, air is still something material and tangible, of vital importance, but also a vector of pollution and noise. Air quality of urban environment is therefore something everyone should be concerned about because it can affect people’s health and lifestyle, and with air quality we refer both at gas and particulates pollutant but also at noise often identified as a forgotten pollutant. Recently is increasingly being used the term “soundscape”1 (Southworth, 1969) at demonstration that urban noise is now recognized as an environmental and public health issue that needs to be addressed in correlation with air pollution.
Unfortunately, in most cities - that already suffer of pollution due to their geographical location - nuisance and pollution levels are raising because of massive use of cars, old heating plants and strong presence of industrialization next to city borders (European Commission, 2016; ARPAV, 2014). EU laws on urban air quality in the meantime are becoming stricter, and because of this, governments and municipalities are trying to find new ways to reduce air pollution. Most municipalities can only apply low budget and piece-meal-approach solutions like improvement of cycle paths, pedestrianizing of some streets, improvement of public transport systems, planting of more trees and creation of green areas. Other cities develop long term urban plans; those are large scale project and broad intervention that, even if they are brilliant ideas and good project, are expensive and difficult to realize and for this reason remain unrealized. The consequence is that both these strategies don’t give appropriate answer and urban problems related to air quality increase. Beside these “governance” gaps there is another element, often not considered, that comes into play. It is the question of people perception about the problem and about the real condition of air pollution. It’s quite common that even if there is a low amount of air pollution people might think the opposite and on the other hand it might happened to find people that think they are in an unpolluted area even if it’s not so2. This is of course because of the characteristic of air of being non-visible - anyone can see or perceive the polluted water
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of a river, or rubbish that contaminates the ground - but also because there are many factors that summed up together define the amount of pollution (such as wind, low or high pressure, no rain, noise, amount of green areas, building quality, etc.) or that influence the perception of the pollution (a space with trees and other green elements can be perceived as healthy even if the air is polluted). Due to these distorted perceptions, contrast between citizens and public administration are growing and the different urban stakeholder come into conflict. In this context of distrust condition, it is obvious that the solutions to tackle urban problems proposed by the city administration - that already are, as explained before, often unprofitable solutions - are most of the time unwelcomed by the citizens. The LOOPER project In these conditions of conflict, planning and implementation to improve public spaces and to mitigate air quality can be enhanced through citizen-administration co-creation processes not limited at isolated moment of the design procedure. The aim of the LOOPER project3 is to build a participatory co-creation methodology and platform to demonstrate “learning loops” inside Urban Living Labs, i.e. new ways of decision-making which bring together citizens, stakeholders and policy makers to iteratively learn how to address urban challenges. The “learning” that the LOOPER project brings inside the Urban Living Labs is based on the learning loop concept. In LOOPER a loop starts with
collective debate on urban or neighborhood issues, then frames the problem and collects data to create a contest awareness. An interactive platform visualizes the data and enables the co-design and evaluation of solutions. The selected solutions - small scale interventions that can be realized in a short time - are then implemented in the city, and the results are monitored with a second loop that learns from the first one. The LOOPER methodology - which long-term purpose is to improve the transformation processes of the built environment - is going to be applied in three different European cities where Urban Living Labs, with different spatial, cultural and thematic contexts, will test and improve the methodology: traffic calming in Brussels; safety and security in Manchester; environmental (air and noise) pollution in Verona. The case of South Verona The case of Verona is applied at the neighborhoods of Borgo Roma and GolosineSanta Lucia localized in the south part of the city, so called South Verona (img. 01). In this part of the city was established and developed an Industrial Agricultural Zone. The consequence was the rapid growth of the two residential areas on the sides of the large agricultural industrial triangle. The neighborhood is clearly separated from the historic city by the railway infrastructures, while an important road axis that connect the highway, south, with the old town, north, divides the city into two residential parts without a real urban center and mutual relations.
air pollution is something non-tangible and because of this it can be misperceived by citizens
diffusive surface
absorbant surface
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low-cost sensors are a reality but they should be use as indicator of exposure and not to gain data on pollution 03
Finally, the absence of typical contents of a self-sufficient urban fabric (public buildings, specialized buildings for culture and entertainment, museums, parks, architectural quality buildings) makes it homologous to neighborhoods and dormitories of all suburbs (Masterplan Verona Sud, 2011). These morphological weaknesses worsen the problem of air and noise pollution, consequence of the high traffic level - the presence of commercial centers and other activities such as the fair increase even more the traffic in the area - and of reduction of green areas. About air pollution exists a strong contrast between citizen’s associations and the city administration, which is presumed guilty by citizens to hide the real situation of pollution of the area. This has created a situation of distrust between citizens and administration. The ambition of the LOOPER project is to overcome this situation of contrasts through the implementation of learning loop inside Urban Living Labs toward a process of co-creation of shared solutions. The concept that is at the base of the project is simple: if different stakeholders of the city are collaboratively involved, since the preliminary stages of problem analysis and learning of urban issues, and then work together in a cyclic process of defining, evaluating, and refining solutions - a learning loop cycle - city decision making is enhanced and contrast eliminated toward a more efficient and effective governance of the city. The first step of the project is the analysis and measuring of environmental pollution through a collaborative and learning
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process that consider also direct participation of Urban Living Labs components (citizens) in the measuring activities. Noise and air pollution monitoring is usually performed through professional instrumentation, which is the only one that can provide highly accurate data acquisition, but those are also characterized by high costs and size and therefore nonadapt at participatory monitoring. However, there are low-cost alternatives that still provide, even if approximate, acoustic and air quality information. Smartphones can be used for low-cost environmental noise monitoring as an alternative, or almost an integration, to professional monitoring systems. Obviously, the accuracy of the detected data is not comparable to the one obtained by means of class 1 sound level meter4, but it still allows to collect data that qualitatively describe the characteristics of the acoustic environment. For the acoustic monitoring in the LOOPER project, it was chosen to use the measurement set-up developed by Arpa Piemonte (Masera et al., 2016). It is a very low-cost system5 made out of an Android smartphone and an omnidirectional lavalier microphone in a waterproof plastic box (img. 03). The system has been calibrated by comparison with a professional Bruel Kjaer 2260 Class 1 sound level meter at the Environmental Physics Laboratory FisTec of the UniversitĂ Iuav di Venezia. The Openoise software allows the acquisition of the A-weighted sound pressure level by means of a data-logger that saves within a data file.
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The low cost and its easy use allows the installation of more than one control unit in the area as well as the ability to directly involve the citizen who can visualize the environmental levels and identify the critical areas where to position them. Along with noise measurements, air pollutants will be also surveyed with low cost instrumentation. We are talking about passive samplers (img. 02) which are cylindrical air samplers6 with inside an adsorbent cartridge that is specific to each type of air pollutant like HF, NO2, and SO2. During the campaign, these systems will be fixed to a polycarbonate support plate and sheltered within protective enclosures at a height of 1.5 to 4 meters above the ground level. At the end of the monitoring, the adsorbent cartridges are picked up and analyzed in specific laboratories. Not all air pollutants can be acquired with accuracy through low cost passive samplers. In the case of particulate matter (PM10, PM2.5), it will be necessary to use the measurement stations provided by Arpav and Legambiente. The station will also enable the acquisition of carbon monoxide (CO), sulfur dioxide (SO2), nitrogen dioxide (NO), nitrogen oxides (NOX), ozone (O3) and other air pollutants. The measures of the Arpa mobile station will also be used to adjust measures of low-cost systems. A relevant aspect to underline is that the location of all measurement systems noise boxes, passive sensors and even the position of Arpav mobile station - will be identified by citizen trough discussions inside Urban Living Labs in cooperation with city administration.
This is a relevant innovation in citizen participation processes that consist in a direct involvement of citizens also in the investigation phase of problems inside a cooperation with city administration (img. 04). Acquired data will be transformed in information about air pollution, noise pollution and exposure of inhabitants. Information will be visualized - using web-gis tools and 3D immersive technologies - though a dashboard inside the LOOPER platform. It will be the virtual working environment of the Urban Living Labs of citizens that starting from the understanding of urban issues are asked to work on possible solutions to improve the environment of their neighborhood. The LOOPER kick-off was at the beginning of September 2017 and we are now in the inception phase of all the activities on the territory. As expressed during the kick-off, the ambition of the research team is to bring inside city “knowledge”, “innovation” and “changes” improving the transformation processes of the built environment toward more livable urban spaces. In the next three years two learning loops will be completed within the Urban Living Lab, in this way stakeholders will have the chance to see what change will be produced by the application of their ideas and they’ll also be able to improve those ideas within the second Loop. The LOOPER website will soon be online and anyone will be able to see the progresses of the project.▲
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NOTE 1 - The term “soundscape” has been first used by Michael Southworth in 1969. 2 - Gidlof-Gunnarsson e Ohrstrom, 2007; King et al., 2016; Carducci et al., 2017. 3 - LOOPER, Learning Loops in the Public Realm, is an European Research Project funded under the JPI Urban Euope Joint Programming, an instrument which was launched by the European Commission in 2008. Main European project partners are: Vrije Universiteit Brussel MOBI Mobility, Logistics and Automotive Technology Research Centre; University of Manchester, Centre for Urban Resilience and Energy. In Italy, the Università Iuav di Venezia coordinates the other Italian partners: Legambiente and City of Verona. 4 - The class of a sound meter level describes its level of precision. In the standard IEC 61672 “Electroacoustics - Sound level meters”, are defined four levels of accuracy from more to less accurate: 0,1,2 and 3. Class 1 is used for precision measurements in the field. 5 - The cost of each station is about 100,00€. 6 - Radiello.com. (s.d.). From: www.radiello.com BIBLIOGRAFIA - ARPAV, “Relazione sulla qualità dell’aria anno 2014, Provincia di Verona”, 2014. - European Commission, “In-depth report 13. Links between noise and air pollution and socioeconomic status”, in “Science for Environmental Policy”, 2016. - Carducci A., et al., “Air pollution: a study of citizen’s attitudes and behaviours using different information sources”, in “Epidemiology Biostatistics and Public Health”, 2017, vol. 14, n. 2. - Gidlof-Gunnarsson A., Ohrstrom E., “Noise and
well-being in urban residential environments: The potential role of perceived availability to nearby green areas”, in “Landscape and Urban Planning”, 2007, vol. 83, issues 2-3, pp. 115-126. - King E.A., Bourdeau E.P., Zheng X.Y.K., Pilla F., “A combined assessment of air and noise pollution on the High Line, New York City”, in “Transportation Research Part D: Transport and Environment”, 2016, vol. 42, pp. 91-103. - Masera S., Fogola J., Malnati G., Lotito A., Gallo E., “Realizzazione di un sistema di monitoraggio del rumore a basso costo attraverso la nuova app android “openoise”, in “Rivista Italiana di Acustica”, 2016, vol. 40(1-2), pp. 45-58. On www.acustica-aia.it - Paas B., Stienen J., Vorländer M., & Schneider C., “Modelling of Urban Near-Road Atmospheric PM Concentrations Using an Artificial Neural Network Approach with Acoustic Data Input”, in ”Environments”, 2017, vol. 2(4), pag. 26. - Ravetz J., “Urban Synergy-Foresight”, in “Urban Governance in the EU Current Challenges and Future Prospects”, 2011, pp. 31-44. - Scholl C., Kemp R., De Kraker J., “City labs instruments to shape common ground in urban sustainability”, in “JPI Urban Europe Transition Pathways Symposium”, 2016. - Southworth M.F., “The Sonic Environment of Cities,” in “Environment and Behavior”, 1969. - Grison M., Boninsegna P., FOA Federico Oliva Associati, “Masterplan Verona Sud”, in “Piano degli Interventi Verona”, 2012. - Voytenko Y., et al., “Urban living labs for sustainability and low carbon cities in Europe: towards a research agenda”, in “Journal of Cleaner Production”, 2015, vol. 123, pp. 45-54.
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IMMERSIONE
Lorenzo Catania è Senior Meteorologist presso Radarmeteo™, Fisico dell’atmosfera. In precedenza Meteorologo per Class Editori e numerosi portali online. e-mail: lorenzocatania@tin.it
IMMAGINI 01 - Lightning over Mariatrost Basilica, Graz (Austria). Crediti: Georg Mittenecker. 02 - L’uragano Irma, che ha provocato più di 100 morti tra i Caraibi e la Florida mulinando venti fin quasi ai 300 chilometri orari. Crediti: NASA. 03 - L’incremento di numero e persistenza di alluvioni lampo in molte zone della Terra è conseguenza dell’aumento di energia termica a disposizione in atmosfera dovuta al riscaldamento globale. Crediti: Eric Risberg.
Climate change is a fact, but an indication is needed of what is changing to make the definition clearer. Global warming, in particular, is the most evident phenomenon that people can experience since late 18th century. Global mean temperature is rising constantly, forcing the atmosphere to generate heavy rain shafts and flash floods more frequently than in the recent past. There is however a dangerous lack of awareness among people about it; we let events flow passively, forgetting possible solutions. Indeed, global warming can be stopped or - maybe - weakened in a few decades switching to sustainable habits, some of them involving international policy.
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Riscaldamento globale Un pericolo che potremmo limitare
l nostro è un pianeta vivo, che da una parte subisce le sollecitazioni imposte dalla forzante esterna, rappresentata dall’energia solare incidente sull’atmosfera e sulla superficie terrestre, dall’altra parte reagisce attraverso feedback di varia natura, più o meno evidenti a seconda delle condizioni che si vengono a creare in conseguenza della forzante stessa. L’atmosfera, in particolare, è soggetta alle leggi della fluidodinamica, della termodinamica e dell’elettromagnetismo; leggi che - combinate tra loro - ne determinano un’evoluzione caotica. Tutto ciò può significare solo una cosa: qualsiasi località o regione della Terra si vada a considerare riscontreremo condizioni meteorologiche sempre diverse, che mai potranno replicarsi identiche a se stesse a distanza di ore, di giorni, o anni. Ecco perché il clima evolve senza sosta, ed ecco perché parlare di cambiamento climatico senza indicare la direzione verso la quale sta andando rappresenta una mera ovvietà. Ad esempio, parlare di cambiamento climatico dovuto a temperature globali sempre più elevate rappresenta qualcosa di fisicamente sensato ed è - in particolare - esattamente quello che stiamo sperimentando negli ultimi decenni. Riguardo questo tema ciò che preoccupa ricercatori, scienziati e luminari in genere non è tanto il riscaldamento globale come fenomeno già evidente da tempo, quanto la velocità con la quale esso si sta manifestando.
Secondo i dati raccolti dai sensori installati sui satelliti, dalle stazioni meteorologiche a terra e dallo studio geomorfologico dei terreni e dei fondali marini, da almeno un milione di anni la Terra non aveva mai sperimentato un aumento di temperatura globale così rapido quanto quello degli ultimi due secoli. Si parla di una variazione di circa +1°C, un’oscillazione che finora è sempre avvenuta in migliaia - se non decine di migliaia - di anni. L’impennata recente della temperatura comincia con la Rivoluzione industriale, quando l’Uomo prende a iniettare enormi quantità di gas serra in atmosfera (in primis anidride carbonica); è quindi lecito pensare che la nostra specie abbia un ruolo in questo processo. È probabile che l’attività umana rappresenti una forzante evidente che, in ultima analisi, sta pompando in atmosfera e indirettamente anche negli oceani una maggior quantità di energia sotto forma di calore. Maggiore energia a disposizione significa, in generale, anche fenomeni meteorologici più estremi, piogge più forti e più concentrate (ma complessivamente meno abbondanti, se mediate in un anno), nevicate a quote sempre più alte, ghiacciai in ritirata, e altro ancora. Cose che in realtà tutti, più o meno, conosciamo. Mancata consapevolezza del rischio Il problema più grande è però rendersi conto del fatto che il riscaldamento responsabile di tutte queste mutazioni ambientali non dobbiamo aspettarcelo in un prossimo futuro; perché è già realtà! Ora. Adesso.
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L’Uomo, per quanto si possa considerare essere vivente dotato di una intelligenza particolarmente sviluppata ha un grosso limite da questo punto di vista: i suoi geni sono programmati per avere una memoria con orizzonte temporale di pochi decenni, un lasso di tempo durante il quale la variazione di temperatura globale è comunque sufficientemente limitata da non permettere di percepire cambiamenti significativi delle condizioni climatiche del luogo nel quale vive. Non ha la possibilità, in sostanza, di acquisire esperienza diretta del rischio (potenziale fino ad un certo punto) cui sta andando incontro assieme al resto del Pianeta. Solo una cosa è certa: a forza di sentir parlare del riscaldamento globale an-
che le comunità meno informate iniziano a far caso ad alcuni dettagli, al cambiamento graduale dell’ambiente in cui vivono, sia in termini biologici che morfologici. Però molti di noi mancano della piena coscienza dell’evento in sé, e attendono passivamente l’evolversi del processo di surriscaldamento come un qualcosa di inevitabile, senza prendere contromisure perché non ne avvertono la necessità immediata. Stiamo sostanzialmente facendo tutti la fine della rana bollita, una metafora che il filosofo americano Chomsky utilizzava per descrivere - tra le altre cose - la passività e l’immobilità con la quale un popolo è aduso ad attendere i cambiamenti lenti e graduali (ma unidirezionali), siano essi sociali, ambientali o economici.
parlare di cambiamento climatico senza indicare la direzione verso la quale sta andando rappresenta una mera ovvietà
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Eppure, se ci pensiamo bene, al di là dell’enfasi mediatica e del risalto dato ad alcuni eventi meteorologici, basta pensare a quello che è successo a partire dagli anni 2000, con un continuo susseguirsi di mesi e anni sempre più caldi dei precedenti, con record locali, regionali e continentali abbattuti con frequenza. Giusto per fare un esempio: possiamo parlare dei valori al di sopra dei +40/+41°C toccati e superati per la prima volta tra l’Emilia e il basso Veneto nei primi giorni dell’agosto 2017, durante il picco di un’onda di calore tra le più lunghe manifestatesi negli ultimi anni, in Italia e non solo. Non fare di tutta l’erba un fascio Bisogna comunque saper ben discriminare tra segnali concreti e segnali che rischiano di depistare, perché magari non legati al surriscaldamento globale. Questi ultimi, infatti, potrebbero far parte della coda estrema di una curva di variabilità climatica regionale o locale non necessariamente forzata da agenti esterni. Parlo ad esempio degli uragani Harvey e Irma, che tra metà agosto e
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metà settembre del 2017 hanno provocato danni economici e in termini di vite umane molto ingenti. Harvey, in particolare, ha scaricato fino a oltre 1.300 litri di pioggia per metro quadrato su una vasta area del Texas, portando a inondazioni estese e persistenti, con danni ingenti in parte irrisolti tuttora. Il suo è un record assoluto in termini di intensità e quantità di pioggia nell’area continentale degli Stati Uniti.
la climatologia, in generale, è una scienza giovane e ancora da sviscerare nelle sue variegate sfaccettature; con pazienza, costanza e tenacia
Invece Irma, un grosso uragano di categoria 5 (la più elevata), ha soffiato venti medi fino a 295 km/h, mantenendo inalterata la potenza massima per ben 37 ore consecutive, un lasso di tempo finora mai raggiunto da alcun ciclone tropicale. Più di cento sono state le vittime provocate dalla sua furia tra i Caraibi e le coste atlantiche degli Stati Uniti. I due uragani sono stati poi seguiti da altri cicloni piuttosto potenti, tanto che quello del 2017 è stato il settembre più ricco di tempeste di categoria superiore a 2 (ben 6) in Atlantico da quando viene monitorata l’attività dei cicloni tropicali. Questi sono segnali inquietanti, certo. Ma come già accennato potrebbero non essere legati direttamente al riscaldamento globale. Occorrono ancora dati e tempo per simulare attraverso modelli numerici tutte le variabili in gioco e capire il ruolo che un evento su scala globale può avere su scale più piccole. La climatologia, in generale, è una scienza giovane e ancora da sviscerare nelle sue variegate sfaccettature; con pazienza, costanza e tenacia. Nel frattempo, però, non dobbiamo continuare con l’atteggiamento della rana bollita; occorre iniziare a reagire.
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occorre in generale andare verso la sostenibilità, nell’ambiente che viviamo e nel nostro stile di vita
Come reagire Ci sono soluzioni a breve termine e possibili soluzioni nel lungo termine. Ad esempio, dato che la maggior concentrazione delle piogge nello spazio e nel tempo aumenta anche il rischio di pericolose alluvioni lampo, smottamenti e frane, occorrerebbe prima di tutto cessare con la politica della tombinatura e deviazione di torrenti e fiumi, con la costruzione di edifici in prossimità dei letti dei corsi d’acqua, con l’impermeabilizzazione indiscriminata del terreno a sfavore delle aree verdi. Occorre in generale andare verso la sostenibilità, nell’ambiente che viviamo e nel nostro stile di vita. La differenziazione dei rifiuti e l’utilizzo di vetture elettriche, per dire, sono abitudini che inizialmente possono avere un costo economico e in termini di tempo relativamente elevato, ma con un risultato che nel medio-lungo termine permette di risparmiare e di ottenere uno stile di vita più sano e sostenibile. Per quanto riguarda il lungo termine, lo sappiamo bene, la soluzione ideale è rappresentata dall’abbandono graduale di
petrolio e derivati in favore dell’energia rinnovabile. La capacità di sviluppare tecnologie utili allo scopo c’è; i fondi, con la volontà di governi e istituzioni si trovano. E il premio, come al punto precedente, sarebbe un futuro sicuramente più sostenibile dal punto di vista ambientale. Attenzione: non è detto che tutto questo possa bastare a far cessare l’aumento di anidride carbonica nell’aria né ad arrestare il riscaldamento globale; quantomeno non da subito. Però, se è pur vero che c’è un forte sospetto che l’Uomo abbia una grossa responsabilità per ciò che sta succedendo è allora altrettanto vero che - cambiando strategia e virando verso la sostenibilità piena - si può davvero pensare di attenuare gli effetti nefasti della nostra esistenza sull’intero organismo Terra, rallentando il cambiamento climatico in corso o portandolo a cambiare completamente direzione.▲
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IMMERSIONE
Loris Agostinetto è tecnico presso Agenzia Veneta per l’Innovazione Settore Primario – Settore Bioenergie e Cambiamento Climatico. e-mail: loris.agostinetto@venetoagricoltura.org Giovanni Riva, ingegnere è docente ordinario presso l’Università Politecnica delle Marche, Comitato Scientifico FIPER. e-mail: giovanni.riva2@gmail.com
Il teleriscaldamento a biomassa Una soluzione che risolve il problema delle emissioni in atmosfera
IMMAGINI 01 - Biomassa di origine legnosa. 02 - Centrale di teleriscaldamento a Kristianstad, Svezia. NOTE 1 - Un utile riferimento sul quale è reperibile la versione “vigente” (ovvero che tiene conto di tutti gli emendamenti successivi) del D.lgs 152/2006, così come quelle di tutte le altre leggi nazionali, è il sito www.normattiva.it .
Agenzia Veneta per I’Innovazione nel Settore primario Viale dell’Università n. 14 35020, Legnaro (PD) info@venetoagricoltura.org www.venetoagricoltura.org
From the earliest times man has known the burning of wood and has learned to use this source of energy to warm himself up. For the most part of the last century wood was still used for heating but was then replaced by fossil fuels such as gas oil, gpl or methane. Over the last few decades, heaters have begun to evolve and pellet stoves and flame-blast furnace heat exchangers have been developed. With a single large thermal unit you can heat entire countries (both private and public buildings). Technological development has enabled the construction of advanced and powerful district heating systems. At the same time, the quality of atmospheric emissions has improved considerably thanks to the optimized combustion at the highest levels and the efficient chimney filter systems.
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in dai tempi più antichi l’uomo conosce la combustione del legno, e ha imparato a utilizzare questa fonte di energia per i più svariati impieghi, primi fra tutti riscaldarsi e cucinare. All’inizio imparò ad accendere il fuoco all’aperto, poi all’interno dei propri rifugi, grotte, tende e capanne, fino all’interno delle case più evolute, costruendo apparecchi sempre più efficienti. Per la maggior parte del secolo scorso le società tecnologicamente più avanzate utilizzavano ancora il legno (o il carbone) per riscaldarsi; dopo la metà del secolo cominciarono a diffondersi apparecchi per la produzione di calore che utilizzano come combustibile il gasolio, il gpl o il metano. Il legno ha però continuato a essere utilizzato come combustibile in stufe e camini, in particolare in alcuni contesti quali i paesi di montagna e le zone rurali. Si trattava, e in molti casi si tratta ancora oggi, di apparecchi poco efficienti, che riescono a riscaldare bene gli ambienti ma al contempo emettono in atmosfera dei fumi e delle polveri ad alto contenuto di sostanze inquinanti. Tuttavia, negli ultimi decenni, gli apparecchi termici hanno cominciato a evolversi e sono state sviluppate stufe a pellet, stufe a legna in pezzi ad alta efficienza e caldaie a fiamma inversa a cippato e a pellet. Dal riscaldamento di singole case ed edifici si è passati, con un unico apparecchio termico di grandi dimensioni, al riscal-
damento di interi paesi, comprendendo sia edifici pubblici che privati: si è arrivati alla realizzazione e all’utilizzo di impianti di teleriscaldamento tecnologicamente avanzati e performanti. Va però sottolineato che questo sviluppo tecnologico ha parallelamente portato anche un notevole e costante miglioramento della qualità delle emissioni in atmosfera. Non c’è paragone infatti tra il potere inquinante delle emissioni effettuate dalla combustione del legno all’aperto, in stufe economiche di vecchia concezione e in caminetti aperti, con le emissioni di una centrale di teleriscaldamento funzionante a cippato di legno. Combustione ottimizzata ai massimi livelli e sistemi di filtri a camino sempre più efficaci hanno infatti portato all’ottenimento di emissioni in atmosfera con potere inquinante molto basso. Non solo, l’enorme riduzione delle polveri emesse, è accompagnata da un altrettanto significativa riduzione della tossicità delle stesse, grazie all’ottimizzazione della combustione in caldaia. Un ulteriore sviluppo tecnologico ha portato alla realizzazione di centrali di cogenerazione che, funzionanti a cippato di legno, producono sia acqua calda per teleriscaldamento che energia elettrica. Il teleriscaldamento in Italia Le potenzialità di diffusione del teleriscaldamento con biomassa legnosa nel territorio italiano sono molto elevate, mentre attualmente, secondo FIPER (Federazione Italiana Produttori Energie Rinnovabili), il teleri-
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combustione ottimizzata ai massimi livelli e sistemi di filtri al camino sempre più efficaci
scaldamento copre, nel suo complesso, il 4% del mercato del riscaldamento civile; si tratterebbe di una quota in realtà assai ridotta, se si considera che secondo la stessa FIPER, solo in base alle reali possibilità di approvvigionamento con biomassa legnosa di origine nazionale, tale diffusione potrebbe essere incrementata del 300%. Molti sono però gli ostacoli a tale massiccia diffusione: si pensi per esempio agli elevati costi iniziali di investimento nella realizzazione delle centrali, ma soprattutto delle reti di teleriscaldamento; oppure a una possibile difficoltà di reperimento della biomassa legnosa, nel caso di un elevato incremento degli impianti sul territorio; tale difficoltà sarebbe dovuta non alla disponibilità della stessa nei nostri boschi, anzi, ma alle difficoltà di raccolta dovute alla frammentazione delle proprietà dei boschi, alla scarsa viabilità forestale, alle dimensioni ridotte delle imprese forestali che non consentono un adeguato, quanto indi-
spensabile, livello di meccanizzazione, a ostacoli di tipo normativo/autorizzativo al prelievo. Ma un importante ostacolo alla diffusione del teleriscaldamento a biomassa legnosa nel territorio del nord Italia, soprattutto nella Pianura Padana, è dovuto all’errata conoscenza dell’effettiva azione inquinante della combustione del legno in questi impianti. Infatti, se è tecnicamente e scientificamente dimostrato che le emissioni al camino di una moderna centrale di teleriscaldamento di medie dimensioni sono estremamente basse in termini di quantità di polveri emesse in atmosfera e altrettanto basse in termini di tossicità delle stesse, è altrettanto vero che nell’opinione pubblica, ma anche in quella della maggior parte degli amministratori, è radicata l’idea che il problema dell’inquinamento atmosferico in Pianura Padana verrebbe radicalmente incrementato con relativo danno per la salute di tutti.
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Tabella A. D.lgs 152/2006: limiti di emissione per la conversione energetica delle biomasse combustibili.
gli impianti di teleriscaldamento sono controllati periodicamente dalle autorità ambientali
La normativa Per fare chiarezza vale la pena di analizzare la normativa vigente ricordando che la dimensione più rappresentativa degli impianti di teleriscaldamento varia da 5 a 10 MW termici. Il documento normativo che regola le emissioni degli impianti di combustione a biomassa è il D.lgs 3 aprile 2006 n. 152, aggiornato con molteplici provvedimenti che si sono susseguiti nel tempo1. Il citato D.lgs 152/2006 ha avuto l’importante ruolo di riunire e armonizzare per la prima volta tutta la normativa prodotta in materia, riordinando il precedente quadro. In particolare l’A llegato X (parte II, Sezione 4) disciplina le biomasse combustibili che possono essere utilizzate negli impianti industriali e civili, mentre l’A llegato I (parte V) fissa i limiti di emissione in atmosfera che sono riportati nel prospetto di seguito riportato. In aggiunta il decreto fissa le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi delle emissioni e i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite. Prendendo a riferimento i limiti di emissione per la conversione energetica delle biomasse combustibili del D.lgs 152/2006 (Tabella A) si osserva che gli impianti di potenza inferiore ai 35 kW (campo di interesse di tutti i dispositivi domestici, quali le stufe e le piccole caldaie citate in precedenza alle quali va attribuito il consumo di quasi 20 Mt/anno stimato da ISTAT) non sono regolamentate dal decreto. Di fatto per questi apparecchi
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Potenza termica nominale complessiva installata (MW) >3÷≤6 mg/Nm3 (2)
> 6 ÷ ≤ 20 mg/Nm3 (2)
> 20 mg/Nm3 (2)
100
30
30
30 10 (3)
-
-
30
20 10 (3)
Monossido di carbonio (CO)
350
300
250 150 (3)
200 100 (3)
Ossidi di azoto (espressi come NO2)
500
500
400 300 (3)
400 200 (3)
Ossidi di zolfo (espressi come SO2)
200
200
200
200
Inquinanti
(1)
>0,15 ÷ ≤ 3 mg/Nm3 (2)
Polveri totali (PM10) Carbonio organico totale (COT)
Tabella B. Valori dei limiti di emissione vigenti in alcune regioni italiane a seguito del recepimento del D.lgs 152/2006 unitamente all’adozione di specifici piani per il miglioramento della qualità dell’aria(4). D.lgs 152/2006
Lombardia
Emilia Romagna
Piemonte
Polveri (PM10)
30 mg/Nm3
20
10
20
CO
250 mg/Nm3
150
150
200
NOx
400 mg/Nm3
200
200
400
SOx
200 mg/Nm3
200
100
50
Tabella C. Valori effettivi delle emissioni rilevati da ARPA Lombardia su alcuni impianti di teleriscaldamento lombardi. Viene indicata la potenza termica(5).
Polveri (PM10) CO NOx COT
mg/Nm3 11% di O2
A (10 MW)
B (12 MW)
C (8 MW)
D (10 MW)
Media
2,3
3,4
2,7
1,7
2,5
10,8
23,6
5,2
3,7
10,8
15,9
95,6
78,3
37,7
57,0
4,1
7,0
6,3
4,6
5,5
I limiti sono riferiti a un’ora di funzionamento a regime dell’impianto. Il tenore di ossigeno di riferimento è l’11% in volume nell’effluente gassoso anidro. (1) Agli impianti di potenza termica nominale complessiva pari o superiore a 0,035 MW (35 kW) e non superiori a 0,15 MW (150 kW) si applica un valore limite di emissione per le polveri totali di 200 mg/Nm3. (2) I valori limite sono riferiti al volume di effluente gassoso secco rapportato a condizioni normali: 0° C e 0,1013 MPa. (3) Valori medi giornalieri. (4) Ripreso e modificato da M. Tava “Biomasse combustibili e limiti di emissione: Normativa e prospettive”, 2015, disponibile all’indirizzo www.tama.eu/public/file/slide%20convegno%20biomassa%202015/Tava_ Combustible_biomass_and_emission_limits_normatives_and_prospectives.pdf (5) Ripreso e modificato da www.inemar.eu/xwiki/bin/.../ResocontoattivitaConvenzione2009-2011BOZZA512.doc
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si fa riferimento a normative tecniche o regolamenti europei di prodotto che fissano alcune loro caratteristiche misurate in laboratorio e non nel luogo di installazione. In alcune regioni il D.lgs 152/2006 è stato recepito adottando normative specifiche più restrittive, soprattutto in relazione a specifici piani di controllo della qualità dell’aria. Una sintesi limitata alla fascia di potenza 6-10 MW (Tabella B) mette in evidenza (con riferimento a Piemonte, Lombardia e RER) come i valori del D.lgs 152/2006 vengano ridotti in modo più che sostanziale. Al momento la normativa nazionale è in fase di revisione e nel prossimo futuro il quadro nazionale si adeguerà su questi valori più restrittivi. Questi limiti sono rispettati dagli impianti? Sicuramente, anche perché gli stessi sono controllati periodicamente dalle autorità ambientali. Anzi, è senz’altro utile segnalare come le emissioni effettive siano nella realtà ben inferiori, come riportano i rilevamenti effettuati da ARPA Lombardia su alcune centrali della regione (Tabella C).
Conclusioni Gli impianti di teleriscaldamento rappresentano una solida garanzia per il controllo e il contenimento delle emissioni in atmosfera relative alla combustione della biomassa. Questa caratteristica è garantita pur utilizzando biomassa residuale, aspetto di grande valore per l’economia forestale che dovrebbe sostenersi con la produzione di manufatti di elevato valore aggiunto (legname da opera, paleria, ecc.) ma che trova, nei suoi residui di lavorazione, un elemento da valorizzare economicamente grazie a nuovi utilizzi. Si vengono a innescare così nuovi scenari di sviluppo delle filiere produttive, secondo i principi di economia circolare e riduzione dello spreco di risorse.▲
importante ostacolo alla diffusione del teleriscaldamento a biomassa legnosa nel nord Italia è dovuto all’errata conoscenza dell’effettiva azione inquinante della combustione del legno in questi impianti
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IMMERSIONE
Daniele Passoni è architetto, tecnico della Federazione Italiana Vela, Presidente di Tiliaventum asd di Lignano Sabbiadoro (UD), Sodalizio impegnato nelle attività sportive inclusive per tutti (disabili e non). e-mail: tiliaventum@gmail.com
IMMAGINI Crediti: Daniele Passoni. 01 - Alba oceanica. 02 - Andrea Stella al timone con l’equipaggio. 03 - Andrea Stella al timone durante la navigazione oceanica. 04 - L’arrivo a Portimao-Por con l’equipaggio in festa.
The wind and the natural forces lead to weighted and decisive choices to reach the goals of an adventure in which man, accessibility, and people’s rights are at the center of an ambitious project. Not just anyone can sail from New York to Gibraltar but everyone could do it if they want so. This is happening from May 26 to June 25, 2017, when an accessible catamaran is sailing from Manhattan to face the Atlantic Ocean and is heading to Portugal: aboard a crew of eight people, two of whom are disabled. The initiative was named WOW - Wheels On Waves.
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Navigare sospinti dal vento Progetto WOW: la traversata atlantica inclusiva
l vento e le forze della natura inducono a scelte ponderate e determinanti per gli obiettivi di un’impresa dove l’uomo, l’accessibilità, l’incisività, i diritti delle persone sono al centro di un progetto ambizioso. Navigare sospinti dal vento da New York a Gibilterra, non è da tutti, ma è per tutti. Questo accade dal 26 maggio al 25 giugno 2017 quando, un catamarano a vela accessibile salpa da Manhattan (NY) per affrontare l’Oceano Atlantico e dirigersi in Portogallo, con a bordo un equipaggio, del team di Lignano Sabbiadoro Tiliaventum, composto da otto persone di cui due disabili (un tetraplegico e un paraplegico). Portano con sé la Convenzione ONU dei diritti delle persone con disabilità ricevuta dalle mani del Segretario Generale ONU qualche giorno prima e poi consegnata a Papa Francesco nella tappa romana del giro che il catamarano ha proseguito nel Mediterraneo per concludersi a ottobre a Trieste, in occasione della Barcolana. L’iniziativa è stata denominata WOW - Wheels On Waves, (Ruote sulle Onde). Questa, dopo la traversata atlantica, diventa navigazione costiera a tappe con numerosi cambi di equipaggio che hanno dato la possibilità di essere a bordo ad altri soggetti disabili unitamente a normodotati. L’ambiziosa idea nasce dal vulcanico Andrea Stella, diventato paraplegico dopo una disavventura a Miami dove, durante un tentativo
di rapina con sparatoria, un proiettile lo ha raggiunto alla spina dorsale, polmone e fegato. È stato per lui un momento di grande sofferenza e crisi - circostanza che, in altri modi, può capitare nella vita di tutti - che Andrea ha saputo cogliere per ridisegnare scenari futuri e trasformarla in un’opportunità costruendo idee, progetti e sfide volte a rendere la vita di tutti - disabili e non - più confortevole. Il progetto punta infatti a dimostrare che, se si può navigare in oceano senza barriere, si può anche rendere la vita quotidiana terrestre più confortevole per tutti. Andrea, velista già prima della drammatica esperienza, ha deciso con tenacia di voler continuare a praticare questa disciplina con l’intento di condividerla anche con altre persone disabili. Così si è impegnato in prima persona per realizzare un mezzo nautico accessibile, il catamarano Lo Spirito di Stella1, un 56 piedi prodotto dal Cantiere Mattia2 che in realtà altro non è che un progetto esistente modificato per essere reso utilizzabile anche da chi è in sedia a rotelle. Gli interventi integrativi realizzati sul catamarano riguardano principalmente: la possibilità di salire a bordo confortevolmente da poppa - parte posteriore dell’imbarcazione, dalla quale si accede normalmente3 - e lateralmente (dotando l’imbarcazione di passerelle e spazi di manovra più ampi); il muoversi a bordo con facilità (sia nel pozzetto - zona esterna parzialmente scoperta dell’imbarcazione - e sia nella dinette4; l’accedere alle cabine dei due scafi situate a una quota
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inferiore rispetto alla zona giorno interna grazie a pedane motorizzate direttamente gestibili dal disabile; nell’ampliamento di bagni e di tutti i passaggi per consentire attraversamento e manovra; la possibilità di raggiungere la zona di prua all’aperto realizzata con seggiolino scorrevole su rotaia longitudinale; la possibilità di poter governare e gestire la barca nonché le numerose attrezzature con posizionamento dei comandi e regolazioni accessibili, con motorizzazione delle manovre. Infine, la possibilità di poter scendere a mare per fare un bagno e risalire a bordo con un allestimento lievemente modificato di una gru idraulica già esistente per l’alaggio e varo del tender, posizionata a poppa. L’obiettivo finale era dunque dare al disabile la possibilità di poter condurre la quotidiana vita di bordo in tutti i suoi aspetti senza necessità di aiuto di terzi (dal cucinare, all’effettuare le pulizie di bordo, dimostrando che tutto è possibile per
tutti). Gli interventi di modifica, frutto anche dell’esperienza sul campo, testando in prima linea le soluzioni, si sono rivelati estremamente confortevoli ed ergonomici anche per i normodotati. Ma è grazie al vento, l’aria, le forze che la natura rende disponibili, che è stata possibile l’impresa di navigazione a vela WOW. L’elemento naturale vento, nella navigazione a vela, è una forza che viene sfruttata per poter percorrere anche lunghissime distanze con le imbarcazioni grazie all’uso delle vele che trasferiscono al mezzo nautico la forza del flusso della massa d’aria in movimento per procedere. Il vento è sfuggente ai sensi, se non per gli effetti che provoca interagendo con altri elementi (ne sentiamo il fruscio o il fischiare, apprezziamo i profumi o odori che trasporta con sé, ne vediamo gli effetti sulle chiome degli alberi o sulla superficie del mare, percepiamo la forza, l’attrito sul corpo mentre corriamo all’aria aperta o semplicemente aprendo una
navigare sospinti dal vento da New York a Gibilterra non è da tutti, ma è per tutti
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un catamarano a vela accessibile salpa da Manhattan per affrontare l’Oceano Atlantico 02
mano fuori dal finestrino di un veicolo in corsa), può essere definito una forza naturale “capricciosa”, che l’uomo da tempo immemore utilizza in vario modo. Nell’impresa di navigazione il vento è l’elemento principe per poterla portare a compimento, elemento mutevole, a volte presente, altre volte no; a volte è impetuoso e indomabile negli effetti, a volte è prevedibile e conosciuto. Interagisce con un fluido, l’acqua, che ne enfatizza gli effetti; così nella navigazione a volte ci arriva in faccia, a volte ci coglie di sorpresa. In ogni caso costringe ad adeguarsi a lui, regolando tempi, procedure, attrezzature, al modo di essere del momento. Così è la navigazione sospinti dal vento, i cui principi e modi di utilizzo non sono cambiati radicalmente nella storia della marineria, se non nelle attrezzature, materiali e strumentazioni utilizzate grazie all’innovazione tecnico-scientifica (come i materiali degli scafi e delle vele, l’elettronica e impiantistica di bordo, ecc.) che hanno reso i mezzi più sicuri, veloci e anche più accessibili. Nella traversata transatlantica da New York al Portogallo il team Tiliaventum di Lignano Sabbiadoro (UD), da anni dedito alla vela inclusiva per tutti, ha navigato con Daniele Passoni, architetto con la grande passione per il mare e il vento, Presidente del Sodalizio e istruttore nautico per disabili, Roberto Dal Tio, cultore dei mezzi nautici d’epoca, Gino Bigai, disabile spesso a bordo di mezzi paralimpici e tradizionali, Marco Faggin velista ed esperto di comunicazioni e informatica, oltre a Andrea Stella e Maria
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Foscarini, soci del Sodalizio e con i quali si condividono da anni progetti e iniziative di mare e vela inclusiva per tutti. Il diario di bordo è uno strumento di rilevazione dati, con un basso grado di strutturazione, utilizzato principalmente per quella che si definisce “osservazione esperienziale”, nel diario si scrivono in forma libera di narrazione tutte quelle informazioni che vengono ritenute rilevanti durante la navigazione, una navigazione che in questo genere di imprese è fatta di turni di sonno-veglia molto precisi per condurre l’imbarcazione; perché ancora una volta è la natura a scandire i ritmi dell’uomo. Ed è proprio ripercorrendo questo voluminoso diario di bordo, che veniva aggiornato quotidianamente, che meglio si può descrivere l’inizio di questa affascinante impresa da quando si sono lasciati gli ormeggi a New York: “La
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luce dell’imbrunire accende i già sbalorditi sguardi, i volti imbambolati nell’ammirazione della metropoli americana, delle ardite costruzioni affacciate sull’acqua, nello scambiarsi silenziosamente energici sorrisi e sguardi avvolti dal dolce sciabordio dell’acqua e fruscio del vento che accarezza le vele. Lo Spirito di Stella procede e si allontana oltrepassando il Ponte di Verrazzano5, maestoso simbolo e porta, per noi, per l’Oceano. Sopraggiunge l’oscurità ma ancora miriadi di luci si scorgono a terra, alle spalle, delimitando il sempre più esile confine con l’immensa distesa di acqua di fronte a noi. Siamo partiti!” A bordo si organizzano gli “alloggi”, le cuccette6, due persone ciascuna, creando veri e propri microcosmi che saranno la casa di ognuno di noi per svariati giorni, i turni di navigazione, due persone per due ore di guardia e conduzione del mezzo che, per felice intuizione o coincidenza, non sono le stesse che condividono l’alloggio; una mescolanza di relazioni e rapporti: dai pasti, agli aperitivi, alle impegnative navigazioni, alle scelte giornaliere più spicciole, come il menù del giorno, a quelle più importanti, come le scelte di navigazione in base alle condizioni e previsioni meteo marine7. È proprio la previsione meteo che condiziona la scelta del percorso più sicuro per raggiungere la destinazione finale: abbiamo uno spazio libero di fronte a noi, immenso, una distesa d’acqua senza barriere, ostacoli, luoghi antropizzati, semafori, strade, scalini, solo qualche eventuale raro punto di appoggio costituito da isole sperdute in quest’immensità (le isole
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Bermuda, Azzorre, Madeira, Canarie). Ed ecco, cominciamo a navigare verso sudsudest, verso le isole Bermuda per evitare le conosciute aree di maltempo poste più a nord, tentiamo una timida ripresa della rotta verso le Azzorre, dopo poco abbandonata per l’arrivo di maltempo. Continue alternative di rotta e destinazioni intermedie. Intanto la vita di bordo prosegue con i ritmi naturali e con i turni programmati. Vento forte, burrasca, non si ha tempo per pensare se non per condurre il mezzo tra raffiche e secchiate d’acqua. Passati i giorni intensi di venti forti, segue un mare tempestoso, bollettini meteo incerti anche sulle possibili rotte e destinazioni, che ci hanno costretto ad allungare la navigazione di oltre 700 miglia (su 4.000 percorse). Ma ecco finalmente una giornata di tregua con la maestosa calma oceanica, enormi onde residue lunghissime e alte, colline d’acqua che si alternano lentamente una dopo l’altra, accarezzate dal sole e dal debole vento delle calme anticicloniche. Possiamo tentare l’avvicinamento alle Isole Azzorre, meta obbligata per chi naviga da ovest a est, sosta tecnica necessaria per noi per rifornirci di acqua dolce, viveri, carburante. Il mare e il vento dettano le regole ma a bordo il clima è sempre piacevole e sereno, con momenti di svago, battute, scherzi, preparazioni alimentari di primordine come il pesce e il pane fresco, sembra di essere nei panifici di un tempo, il profumo pervade la barca, con farina dappertutto. La giornata scorre con riordini e pulizie di bordo, docce di acqua salata, asciugature degli indumenti fradici di pioggia e spruzzi dei frangenti dei giorni precedenti. La
stanchezza di giornate e nottate di faticose veglie e manovre passa in fretta e gli sguardi trasmettono cariche di nuova energia ed entusiasmo consci di vivere un’esperienza unica. La notte silenziosa riaccende i ritmi dei turni di navigazione in attesa del prossimo sorgere del sole. Il navigar m’è dolce in questo vento e questo mar. Ed è così che, sfruttando un elemento naturale e bizarro quale l’aria, il vento, furia impietosa in questi tempi di gravi calamità (le drammatiche immagini del Centro America e Florida nel primo periodo di settembre 2017 ne sono un esempio), associandolo a un altro fluido, l’acqua, progettando e realizzando un mezzo nautico accessibile, è stato possibile progettare e realizzare un’impresa: la traversata transatlantica, impegnativa, per tutti, WOW!▲ NOTE 1 – Lo Spirito di Stella oltre a essere il nome del catamarano è una Onlus. 2 – Il catamarano Lo Spirito di Stella è un’imbarcazione di 16 m di lunghezza, 7,50 m di larghezza, con due scafi dove sono collocate le quattro cabine, un pianale di collegamento coperto e protetto dove è collocata la dinette, ovvero sala pranzo e cucina, una postazione di navigazione, l’albero, le vele e due postazioni di pilotaggio con i rispettivi timoni. 3 – Tutti i mezzi nautici hanno una passerella che collega la banchina terrestre alla zona poppiera della barca per salire e scendere. 4 – Parte interna coperta e protetta, dove si trova sala pranzo e cucina. 5 – Il ponte di Verazzano (Verrazano-Narrows Bridge) è uno dei più famosi della città di New York. 6 – Solitamente in un’imbarcazione si dorme in cuccette ovvero dei posti letto essenziali. 7 – Le previsioni meteo marine sono previsioni per i giorni successivi a quello in corso che forniscono informazioni sui movimenti dei fronti temporaleschi, sull'intensità e direzione del vento, sull'altezzae direzione dell'onda, ecc. Sono indispensabili per progettare la navigazione a breve e medio termine al fine di programmare la migliore rotta per raggiungere la meta prestabilita.
Tuffiamoci nelle note dell’Oceano Oilalà di Vinicio Capossela, con il suo testo liberamente tratto dal romanzo "Moby Dick" di Herman Melville…leggendo in La balena di Vinicio Capossela. Diario di bordo che "In musica, come in cucina e in marina, si fa con i mezzi di bordo. Questo il pianoforte che ci siamo scelti. È venuto da una montagna […] Ha assi come una barca è un complesso intreccio di corde, legni e sbarre, come le sartie di un veliero. È grave. […] Le Note muoiono subito è una volta che ci si adatta, sia come la sensazione di aggrapparsi alle scalette che portano le parti alte, velacci, velaccini […] Per salire il resto ce lo devi mettere tu: lo spirito, la vista, il respiro. […] È un veliero.. Ha la forma arrotondata e maestosa di un transatlantico di legno. […] Rolling the whale! È il nostro canto da ciurma. La balena rolla e rulla, tonda e oleosa, grassa e sontuosa! Va catturato con ingegno, cuore e strumenti […] Il momento della scelta, interpretare segnali, presagi e realtà. D'altro canto per attraversare il mare questo ci vuole: esperienza, istinto e un poco di spavalderia, se no te ne resti alla spiaggia”. A cura di Valentina Manfè
Vinicio Capossela L'Oceano Oilalà Marinai, profeti e balene, 2011
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BIM NOTES
Paolo Borin è dottorando presso il Dipartimento di Culture del Progetto dell’Università Iuav di Venezia. Collabora alla ricerca presso il Dipartimento ICEA dell’Università di Padova. e-mail: p.borin@stud.iuav.it
IMMAGINI 01 - Visualizzazione di un elemento gerarchico per classi di oggetti o posizione. Crediti: J. Habraken, ridisegno Luca Casagrande. BIBLIOGRAFIA Asmar Mounir El, Awad S. Hanna, Wei-yin Loh, “Quantifying Performance for the Integrated Project Delivery System as Compared to Established Delivery Systems” in “Journal of Construction Engineering and Management 139”, no. 11, 2013, pp.1–14. Habraken N. John, “Strutture per una residenza alternativa”, 1973. Habraken N. John, “The Uses of Levels.” As Re-Issued by Open House International 27, no. 2, 2002, pp. 1–17. Habraken, N John, “Notes on Hierarchy in Form,” 1984.
A well-known issue in design process is how to collaborate among separate organization and people. At the same time, collaboration is a significant term in the BIM-environment, because on one hand it supports those design and construction processes, on the other it needs precise features to represent itself as an innovation. The paper outlines two different organizational theory, the 1985 Habraken’s theory on hierarchies and the AEC industry Integrated Project Delivery. These external theories can be inherited in a BIM model, towards different standards and process, such as collaborative modeling and specific platform for data/information sharing. The second part of the article presents two software solution based on Autodesk Revit®.
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Lavorare con, chi e cosa? Strumenti di collaborazione per la progettazione edile e la produzione BIM
ollaborare, composto di cum e laborare, ha il significato di partecipare attivamente insieme con altri a un lavoro per lo più intellettuale, o alla realizzazione di un’impresa, di un’iniziativa, a una produzione, ecc.1 Metodologia Il termine è spesso associato al Building Information Modeling per due declinazioni differenti nei quali esso viene utilizzato, fatto che rende l’argomentazione spesso poco chiara e complessa. Se la prima declinazione è eteronoma rispetto alla stessa modellazione BIM, poiché sviluppa grazie al modello pratiche progettuali, gestionali e contrattuali che vivono nell’industria delle costruzioni, l’altro è un elemento implicito alla produzione di un modello e al suo funzionamento nella pratica professionale. Nella declinazione eteronoma è possibile inserire il processo progettuale collaborativo sviluppato, tra gli altri, da John Habraken (1928). In un suo significativo articolo (Habraken, 1985), offre una chiara interpretazione dello sviluppo progettuale in termini di organizzazione di gerarchie, relazionando a queste aree spaziali/funzionali di città ed edificio, e attori del processo, in termini di responsabilità in riferimento al controllo del processo. La struttura organizzativa descritta è facilmente associabile alla struttura gerarchica-relazionale del formato interoperabile IFC (Industry Foundation Class): Habraken stesso descrive gerarchie che si distinguono per classifica, rank, e per posizione, lo-
cation, all’interno di una rappresentazione ad albero (img. 01). Tale analisi sembra particolarmente adeguata per descrivere la capacità relazionale tipica di un modello BIM, le cui classi possono collegarsi a strutture gerarchiche differenti per classificazione, posizione nel modello, integrazione in sistemi differenti. Si pensi ad esempio alle relazioni spaziali/funzionali/impiantistiche di un elemento oscurante verticale a scorrimento meccanizzato. Nella comune pratica professionale BIM-based, il legame con la struttura eteronoma sta proprio nelle strutture gerarchiche informative e spaziali (livelli, aree funzionali e spaziali) ad ambiti di modellazione differenti, affidati a utenti con diversi gradi di responsabilità nel processo stesso. Una seconda teoria che influenza dall’esterno il significato di collaborazione all’interno del BIM, è il cosiddetto Integrated Project Delivery (IPD). Questa modalità di produzione e consegna di un manufatto architettonico, si differenzia dai modelli precedenti, come DBB design-bid-build, oppure DB design-build, per il coinvolgimento dei principali attori del processo all’interno di uno schema contrattualistico condiviso, fin dalle fasi iniziali del processo decisionale e progettuale (El Asmar et al., 2013). È evidente come già in Habraken (Habraken, 1973), il tema di assegnazione e distribuzione delle responsabilità sia principale, diversamente da sistemi che tendono a un accentramento delle responsabilità su vari attori (progettisti, general contractor, cliente). Sarà ora chiaro ai lettori come la collaborazione sia, in questo senso, una diretta conseguenza dell’operazione di condivisione delle informazioni
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legate al singolo sub-processo progettuale o realizzativo. Da qui nasce l’esigenza di specificare un ambiente di condivisione delle informazioni connesso a protocolli di scambio di dati: la recente normativa italiana UNI 11337-1 specifica un ambiente di condivisione dei dati, quale elemento di raccolta organizzata e condivisione dei dati relativi a modelli ed elaborati digitali (equivalente all’anglosassone CDE, vedasi PAS 1192-2), un archivio di condivisione documenti, quale raccoglitore organizzato di modelli ed elaborati progettuali (corrispondente all’anglosassone Data Room), e una più generale piattaforma collaborativa, ovvero un ambiente digitale per la raccolta organizzata e la condivisione di dati, informazioni, modelli, oggetti ed elaborati, nella forma di prodotti risultanti, prodotti componenti e processi. Ne consegue che la collaborazione per la produzione di un progetto architettonico, strutturale o impiantistico (Open Building, SAR, i più recenti OSARC, IPD), e quella per la produzione di un modello BIM presentano necessità e opportunità vicendevolmente intercambiabili. In questo senso, organizzazioni operative di modellazione e pratiche professionali eteronome al mondo BIM diventeranno processi unici nell’immediato futuro, tali da generare nuovi paradigmi produttivi nel campo architettonico. Strumenti Dal punto di vista strumentale, le soluzioni per la collaborazione in fase progettuale2 sono proposte all’interno degli stessi software di BIM-Authoring: Autodesk® propone per Revit l’uso della collaborazione tramite Workset, Graphisoft® introdusse in
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la collaborazione per la produzione di un progetto edile e quella per 3 di un modello BIM la produzione 1 presentano necessità e opportunità 2 2 vicendevolmente intercambiabili 4 3
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Archicad il cosiddetto Teamwork dal 1997, Allplan affida la collaborazione all’interno di reti private a Workgroup Manager, Bentley gestisce la collaborazione attraverso il potente ProjectWise. D’altra parte, tanto i costi di creazione di una rete interna, quanto la baumaniana liquidità della collaborazione nella professione contemporanea, ha spinto le aziende a sviluppare soluzioni specifiche per una collaborazione online-based. Un primo prodotto analizzato è Collaboration For Revit (di seguito, C4R), il quale rappresenta l’interfaccia per il caricamento del proprio file di progetto all’interno di una cartella condivisa di A360, declinazione di Autodesk di Common Data Environment di normativa inglese e in parziale sostituzione dell’anziano Revit Server. Il software è costituito di una parte per il caricamento e la sincronizzazione dei dati, una chat di progetto che permette agli utenti di scambiare informazioni e immagini dello schermo, una cronologia di progetto che mostra avanzamenti e revisioni. I test effettuati dagli studenti dell’Università di Padova3, hanno verificato un allungamento dei tempi di caricamento del file locale con reti domestiche, costringendo da un lato a ridurre il numero di sincronizzazioni giornaliere, dall’altro all’uso di un unico workset, tale da limitare le richieste di accesso. Lighdrive, sviluppato da Silentwave, è invece un prodotto esterno, indipendente dallo strumento di modellazione prescelto dall’utente. In questo senso, il software si presenta come un Common Data Environment, sul quale vengono riposte attenzioni di sicurezza e segretezza del dato. A questo viene aggiunto - nella versione beta
non ancora disponibile nel mercato - testata dal Dipartimento ICEA dell’Università di Padova4, un plugin per Autodesk® Revit, in grado di intervenire su scrittura e lettura del file centrale di progetto. Simile a C4R, Lightdrive per Revit si compone di un’interfaccia di sincronizzazione e di una chat interna, in cui è possibile inviare una selezione di oggetti per la verifica e la richiesta di revisione, nella quale l’utente ha accesso alla cronologia di modifiche e aggiornamenti. Una prima differenza con C4R risiede nella possibilità di creare reti collaborative senza utilizzare un’infrastruttura online in cloud. Ne consegue pertanto che utenti connessi alla medesima rete (locale o web) sono in grado, se appartenenti al medesimo progetto, di condividere file contenuti nella cartella di progetto, e sincronizzare il file centrale di Autodesk® Revit. Le velocità di sincronizzazione sono anche in questo caso dipendenti dalla qualità della rete interna. L’ampliamento della piattaforma a più software di BIM-authoring renderebbe Lightdrive uno strumento decisivo all’interno della collaborazione durante l’intero ciclo di vita di progettazione e produzione di modelli edili.▲ NOTE 1 – www.treccani.it/vocabolario/collaborare/ 2 – Per collaborazione in fase progettuale si intende che la produzione del modello avviene in tempo reale tra tutti gli utenti che partecipano al processo. 3 – Si ringraziano gli studenti del corso di Disegno Edile 3, Dal Lago Marco, Sommariva Giovanni per il progetto condiviso di modellazione del Conference Pavillon per il Vitra Campus di Tadao Ando, e Dall’Osso Riccardo, Giacomin Andrea, Sartori Claudia per la modellazione dell’ex ospedale psichiatrico di Sant’Artemio. 4 - Si ringraziano a riguardo Carlo Zanchetta, Cristina Cecchini, Dario Volpin, Federico Panarotto, Rachele Bernerdello, Mirka Dalla Longa, Gregorio Xausa.
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MICROFONO ACCESO
Francesca Guidolin è laureata in Architettura e Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Università Iuav di Venezia. e-mail: arch.francesca.guidolin@gmail.com
IMMAGINI Crediti: Luca Mercalli. 01 - Luca Mercalli. 02 - Luca Mercalli sul ghiacciaio Chardoney. Il marcato ruscellamento di acqua di fusione ha prodotto incisioni profonde circa mezzo metro anche in prossimità del Colle Ciardoney (da www.nimbus.it/ ghiacciai/2016/160914_Ciardoney.htm). 03 - Il fiume Eufrate. La gestione delle sue acque è al centro di numerosi scontri politici. C00. NOTE 1 - Luca Mercalli, “Filosofia delle nuvole”, Rizzoli, Milano, 2008.
Luca Mercalli is an Italian climatologist and the editor of Nimbus, a magazine on climate and meteorology. He is also president of the Società Meteorologica Italiana. Luca Mercalli’s experience in the scientific dissemination of sustainability and environmental problems allows us to paint a picture of both the physical and scientific problems and the human reactions to them, throughout a concrete exemplification within the audience of his conferences and interviews. A theme as the air has been conjugated to his publications: “Filosofia delle nuvole” (2008) and “Prepariamoci” (2011). Climate change is strongly visible in the change of meteorological conditions, but also in some little cultural changes that are now slowly visible. The interview aims to investigate the relation between a physical environment that is changing and the cultural background that is slower to change and adapt.
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Luca Mercalli Parlare di clima
C’è aria di cambiamento. Si respira osservando i fenomeni meteorologici che sempre più spesso ci trovano impreparati. C’è anche un altro tipo di cambiamento, che ci appare chiaro accedendo a internet, e soprattutto ai social: una costante bufera mediatica, in cui il “liberalismo dell’opinione” rischia di occultare le poche autorevoli informazioni scientificamente comprovate, mescolando la “scienza fai da te” al dato scientifico. In questo numero di OFFICINA*, riguardante il tema dell’aria, abbiamo pensato di intervistare il climatologo che ha fatto della sensibilizzazione per i temi della sostenibilità ambientale e dell’attenzione al cambiamento climatico la sua mission. Luca Mercalli è direttore della rivista Nimbus e presidente della Società Meteorologica Italiana. Nei numerosi seminari, conferenze e lezioni si occupa di ricerca e divulgazione scientifica sui temi del clima e soprattutto del clima alpino. Oltre ai numerosi incarichi televisivi RAI (Che tempo che fa, Scala Mercalli, TGMontagne, Pillole di Mercalli) è editorialista per La Stampa e diverse altre testate. L’obiettivo è la sensibilizzazione per quei temi che probabilmente saranno il problema cruciale dei prossimi 50 anni: il cambiamento climatico, il riscaldamento globale e la sostenibilità come risposta e unica soluzione. È proprio della relazione tra ambiente fisico e clima sociale che abbiamo voluto parlare con lui, per fare il punto su divulgazione scientifica e consapevolezza collettiva. Filosofia delle nuvole è uno dei suoi libri più conosciuti. Il titolo colpisce perché sottende la necessità di parlare di clima in un discorso più ampio, un discorso culturale. Qual è l’attuale panorama culturale in Italia, in base alla sua esperienza di divulgazione scientifica? Le persone sono realmente coscienti dei cambiamenti che stanno avvenendo e della loro portata? Secondo me non ancora a sufficienza. Molto spesso chi viene a un incontro dove si discute di clima appartiene già a una fascia sociale di persone sensibili e informate, quindi non completamente ignare. Ogni tanto capita che all’interno di una conferenza o un programma televisivo si possa accedere a un pubblico più vasto, anche catturato casualmente, e allora si assiste a una sorta di polarizzazione. Da un lato, una fascia di persone che non vuole credere alla dimensione dei problemi ambientali, con atteggiamenti di rimozione o ricerca di alibi: “non è vero”, “i dati non sono ancora sufficientemente completi”, “quello che dovremmo fare per risolvere il problema ci costa troppo”, insomma, una reazione di rifiuto. Dall’altra parte, vi sono poi coloro che non sapevano abbastanza e dopo aver ricevuto una serie di informazioni più o meno approfondite, comprendono e si vogliono impegnare.
Spesso nel gruppo di coloro che mettono in dubbio entra in gioco anche una certa polarizzazione politica: viene cioè introdotto nella discussione un aspetto di conflitto politico che è fuori luogo, in quanto i problemi ambientali influenzano tutti. La politica in questo senso può avere un ruolo, positivo o negativo che sia? Tutto è politica: studiando oggi il clima che dipende dalle attività umane, è ovvio sia necessario fare politica per cambiare le cose. Però un conto è la politica con la P maiuscola, una visione di futuro compatibile con i temi ambientali, un altro conto è la politica rivale, di gruppo, di conflitto. Essere di “squadre diverse” può porsi come un grosso problema, come sta accadendo negli Stati Uniti. Un rapporto antitetico tra due fazioni, repubblicani da una parte e democratici dall’altro, ha portato alla generazione di uno scontro di squadra dove non prevale più il ragionamento tecnico-scientifico, ma semplicemente l’appartenenza a una tribù, una squadra. Però questo atteggiamento fortunatamente a me capita di rado, poiché in genere, chi viene a una mia conferenza vuole saperne di più e solitamente anche avere degli strumenti per fare qualcosa di pratico in relazione al problema. Quali sono le domande che più spesso le vengono poste? Sono domande di due tipi. Da un lato mi vengono poste domande pratiche, volte alle possibili soluzioni del problema come ad esempio “come si fa a mettere i pannelli solari?”, “quanto costano?”, “com’è possibile cambiare mobilità?”, ecc. Altre volte le domande riguardano una visione generale sui possibili scenari di sviluppo futuro, come “cosa succederà tra 50 anni ai nostri figli?”. In minima parte ci sono ancora questioni in cui predomina lo scetticismo, come “ma siamo proprio sicuri che il clima cambia per colpa nostra?”. Si tratta di domande, si potrebbe dire, della “vecchia guardia negazionista”… anche se devo dire, queste ultime sono in misura sempre più limitata rispetto ad anni fa. Nel 2008 lei scriveva: “come tutte le filosofie spicciole, anche quella delle nuvole vuole una morale” che per lei è “far vedere che la scienza e la conoscenza del mondo che ci circonda sono in grado di motivare e riempire una vita” e ancora “osservare laicamente i fenomeni attorno a noi, porsi domande e trovare il piacere di ottenere risposte o di proseguire nel dubbio, […] percepire il cambiamento, […] scoprire le connessioni tra i saperi e godere di come uno fecondi l’altro”1. In che modo nel panorama culturale di oggi - questa sovrascrittura mediatica per la quale tutti possono e si permettono di dire tutto - questo concetto di “sapere” può evolversi o sopravvivere? Beh, forse oggi, questo clima di bufera mediatico rappresenta proprio un fallimento: il non aver recepito i tanti saperi disponibili, e passare alla critica aggressiva senza essersi prima informati. D’altro canto, l’altra faccia di internet, quella positiva, è quella che oggi questo strumento permette l’accesso a una quantità di conoscenza che se messa insieme in termini sistemici, permetterebbe di comprendere molto più a fondo le questioni complesse. È chiaro che se non viene usato in questo modo, ognuno rimane nella propria posizione e si genera questa enorme conflittualità. Proprio stamattina in una pagina di una testata giornalistica (per altro di una certa qualità) in calce alla notizia sull’uragano negli Stati Uniti, ho notato i “commenti”. Litigi, commenti di persone vuote che non avevano alcun riferimento all’uragano
quando i problemi sono globali il cambiamento non avviene attraverso l’attivazione di piccole fasce della popolazione, ma con la massa, ma al momento questa massa non c’è
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o ai cambiamenti climatici ma a una discussione spostata su altri temi, che lascia fuori il problema principale: di parlare quando si sono assunte tutte le informazioni che in un mondo complesso sono tante, richiedono fatica, tempo, credibilità e autorevolezza delle fonti. Quando dico che i saperi si devono fecondare mi riferisco proprio a questo: il mondo è diventato così complesso che ognuno di noi per parlare di un argomento deve prima assumere le informazioni su una base di dati oggettivi, e questa pluralità di saperi è anche quella che può offrire le soluzioni ai nostri problemi. Non stiamo sfruttando questo potenziale, anche di aggregazione tra persone su obiettivi prioritari, e utilizziamo invece la rete per questioni becere. In qualità di divulgatore scientifico, non si stanca di questo modo di vivere l’informazione? Sì. In realtà, più che un divulgatore scientifico (che può anche essere neutro), io sono un divulgatore di scienza ambientale, e come tale ho una mission, che è quella di avvertire la società sui gravi rischi che corriamo in futuro. Il livello di frustrazione a volte è notevole perché mi accorgo che il livello di divulgazione che faccio io e che fanno i miei colleghi non è sufficiente, non arriva ai risultati sperati. Le persone di cui parlavamo, che frequentano gli incontri di sensibilizzazione rappresentano una nicchia, sono ancora troppo poche. Quando i problemi sono globali il cambiamento non avviene attraverso l’attivazione di piccole fasce della popolazione, ma con la massa. E al momento questa massa non c’è.
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la mia mission è quella di avvertire la società sui gravi rischi che corriamo in futuro
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Si sta facendo abbastanza per l’istruzione, la didattica, la sensibilizzazione anche dei più piccoli su questi temi? Quali sono i rischi nel sottovalutare l’importanza di una adeguata educazione ambientale anche per le fasce più giovani? Il rischio è che in questo modo si perda ancora più tempo. Le giovani generazioni che potrebbero già oggi uscire con una visione diversa della realtà, del mondo, nella sua complessità, continuano a rimanere ancorate a visioni tradizionali, o peggio risultano ancora ignoranti su questi campi.
Al di là dell’interesse dei singoli studenti, o di scuole che scelgono di dare dei seminari al di fuori dei programmi curriculari, non ci sono forse ancora abbastanza programmi organizzati di educazione ambientale in Italia. Lei individua l’aumento dell’artificializzazione del territorio e della vita quotidiana come il principale problema in relazione al fatto che passiamo sempre meno tempo a contatto con il clima e i fenomeni atmosferici, cercando di controllare le forze della natura, l’ambiente, il contesto costruito e in cui viviamo, ma al tempo stesso senza vivere questa relazione. Che conseguenze culturali può portare questo tipo di artificializzazione? Sul piano dell’equilibrio psicofisico ci saranno delle conseguenze, ma lascio questo ai miei colleghi psicologi che ancora non stanno studiando il problema o non abbastanza. Di fatto vivere in maniera così artificiale ci allontana dal mondo naturale da cui di fatto siamo venuti. Constato che ci sono già degli effetti dannosi, per esempio durante gli eventi meteo estremi, nelle alluvioni o fenomeni atmosferici importanti: le persone non sanno più come comportarsi, e arrivano al punto di mettere in pericolo la propria vita, perché ciò che manca è la confidenza con i fenomeni atmosferici. Ci si inabissa con la propria auto dentro a sottopassi allagati pensando di essere invincibili, come nella pubblicità, e invece si annega! Questa è una delle conseguenze dell’essersi isolati ormai completamente dalla realtà del mondo fisico.
Luca Mercalli Prepariamoci Chiarelettere, 2011
Tra le sue pubblicazioni, di quale consiglierebbe la lettura, a un pubblico che avesse voglia di intraprendere la strada del cambiamento sostenibile? Penso a Prepariamoci (2011). É un libro in cui spiego una serie di azioni pratiche che è possibile fare nella vita di tutti i giorni per avere un minore impatto sull’ambiente. È un libro dove prima di tutto ho raccontato una mia esperienza personale, quindi una testimonianza reale di cose concrete e non solamente teoriche.▲
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CELLULOSA
Pietro Corraini Abstract forecast, Un Sedicesimo 30 Corraini Edizioni, 2013
a cura di
www.libreriamarcopolo.com
sullo scaffale
Alessandro Baronciani Le ragazze nello studio di Munari Bao Publishing, 2017
Nanna Debois Buhl Intervals and forms of stones of stars Humboldt Books, 2017
la meteorologia di Pietro Corraini è una scienza astratta, applicata a un’atmosfera mossa da correnti cromatiche e geometriche
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Jason Munn The small strakes Music posters Chronicle Books, 2010
(S)COMPOSIZIONE
In the wind “How many times must a man look up before he can see the sky? [...] The answer, my friend, is blowin’ in the wind” Bob Dylan, Blowin’ in the wind, The Freewheelin’ Bob Dylan, 1962
Immagine di Emilio Antoniol