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Vibrant urban osmosis

Evelyn Leveghi

Relational designer e ricercatrice indipendente (Urban&Food Studies). evelyn.leveghi@gmail.com

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Nuove forme di vivibilità e welfare per abitare la città contemporanea

Vibrant urban osmosis An original urban metabolism is defining the contemporary city: countless practices of spontaneous reappropriation of urban voids are regenerating the interstices of the city, in an extraordinarily effective and widespread way. The results seem as the combined action of acupuncture and kintsugi, revitalizing and redefining urban folds. Flows, exchanges and new practices are giving vital oxygen to common urban living, positively affecting livability. This phenomenon offers an important lesson to Urban Design, suggesting latent needs and new methods.*

Un inedito metabolismo connota la città contemporanea d’oggi: innumerevoli pratiche di riappropriazione spontanea dei vuoti urbani stanno rigenerando gli interstizi della città, in maniera straordinariamente efficace e diffusa. Gli esiti appaiono come l’azione sinergica di agopuntura e kintsugi a rivitalizzare e risignificare le pieghe della città. Flussi, scambi e nuove pratiche fungono da ossigenazioni al vivere urbano condiviso, incidendo positivamente sul livello di vivibilità. Questo fenomeno offre un’importante lezione al progetto urbanistico, suggerendo bisogni latenti e modalità nuove.* irst life, then spaces, then buildings. The other way around never works.” Questo claim, pronunciato sovente e con fermezza da uno dei massimi esperti al mondo di Urban Design, Jan Gehl, racchiude efficacemente l’essenza delle lezioni apprese sul rapporto città-società, tratte soprattutto da un’intensa attività di progetto nella città postmoderna.

In seguito al riconoscimento dei limiti del piano urbanistico¹ si è resa necessaria una profonda riformulazione metodologica e strategica degli interventi nei tessuti urbani e un vivace dibattito è nato in seno alla disciplina urbanistica e architettonica, in particolar modo per quanto riguarda la rigenerazione e progettazione dello spazio pubblico.

Sul finire del secolo scorso, una fitta schiera di progettisti si è risvegliata all’urgenza di una più attenta osservazione e comprensione delle dinamiche sociali site-specific che si dipanano negli spazi aperti della metropoli informale. In estrema sintesi, si era reso fondamentale leggere bene per scrivere meglio (Bianchetti, 2003). Lo sviluppo interdisciplinare, che ha dato vita agli Urban Studies², ha offerto una consapevolezza più profonda circa le ricadute psico-sociali delle azioni progettuali e, di riflesso, ha consentito di rimettere in discussione l’approccio top-down. È così che, a cavallo tra i due secoli, lo strumento del masterplan si è progressivamente rimodellato sulla scorta delle più virtuose esperienze di progettazione partecipata³; le politiche urbane hanno — in molteplici occasioni — attivato le cosiddette “buone pratiche”, imparando a sintonizzarsi sulla frequenza delle nuove forme di governance (Paba, 2010); molti architetti e urbanisti hanno potuto trarre preziose suggestioni fornite dalla crescente innovazione sociale, anche grazie a un approccio riflessivo (Manzini, 2015; Amendola, 2009).

In tale cornice si inserisce il presente scritto, il quale nasce da una più ampia ricerca dedicata alla vivibilità urbana nella città contemporanea. Particolare attenzione è posta al ruolo rivestito dallo spazio aperto, pubblico, nella definizione qualitativa dell’abitare. Le coordinate di riferimento

02. Das Küchenmonument, Raumlabor Berlin, Duisbourg, 2006. Marco Canevacci, AMC Architecture

sono state scelte, su un piano spaziale, negli insediamenti urbani europei con più di 500.000 abitanti e, su un piano temporale, le prime due decadi del XXI secolo. Scopo principale dell’articolo è mettere in luce le potenzialità de-

gli “intervalli” della città, gli interstizi urbani (img. 02). Più precisamente si intende evidenziare la valenza socio-politica e la capacità progettuale bottom-up rivelata negli usi spontanei temporanei che hanno luogo negli spazi aperti “di risulta” della città costruita, quelle pratiche che hanno saputo rivitalizzarli e — infine — rigenerarli (Di Giovanni, 2018; Clemente, 2010; Moccia 2009; Haydn, Temel, 2006). L’approccio adottato è quello olistico e trandisciplinare, tipico del relativismo descrittivo.

A partire dalla domanda di conoscenza, formulata attorno alla ricerca di una maggiore appropriatezza delle strategie progettuali attuabili nel presente, al fine di incrementare il welfare urbano e la vivibilità nelle città, è stata condotta un’ampia osservazione e lettura fenomenologica, sistematicamente posta in relazione con la valutazione di teorie e modelli (delle scienze sociali e delle discipline progettuali, in concerto). Inoltre, le valutazioni ex-post di 20 casi studio, collezionati in un osservatorio urbano digitale congiuntamente ad alcune sperimentazioni condotte on/off-line in un brano urbano milanese⁴, hanno consentito di trarre delle riflessioni generali e un buon numero di evidenze multilivello e transcalari. Si tratta di un lavoro eminentemente di Design Research in cui l’indagine teorica multidisciplinare è stata costantemente messa in relazione dialogica con la ricerca sul campo.

I vuoti si offrono come pieghe fertili della città, come essenza dello spazio pubblico

Dai primi anni Duemila innumerevoli movimenti “dal basso” sono emersi, come una nuova forza urbana, straordinariamente vitale, accomunati dalla necessità e volontà di riconquistare e rigenerare gli spazi aperti collettivi, considerati — a ragion d’essere — prezioso bene comune (img. 04). Questo fronte si è mostrato frequentemente in antitesi rispetto ai tratti del government, piuttosto impermeabile e sordo alle richieste della governance, traducendosi in prassi tramite progetti predeterminati, non realmente partecipativi5. Pertanto, una serie di tensioni di segno opposto fa da sfondo al campo di forze esistente tra il sistema materiale e il sistema sociale della città. Per secoli rimasto stabile, tale rapporto è — ad oggi — ricco di conflitti e asincronie ma denso di nuove sinergie e propulsioni.

La città contemporanea si presenta come un ecosistema complesso in cui il tema del benessere individuale e collettivo assume un ruolo cruciale. L’interesse al tema della qualità della vita emerse quando le promesse di sviluppo e benessere 03. Asphalt Oasis, 72 Hours Urban Action, Stoccarda, 2012. Mor Arkadir, ArchDaily della società capitalistica, del libero mercato e della crescita 04. Bodies in urban spaces, Willi Dorner, 2014. Lisa Rastl, Public Delivery industriale, rivelarono ingenti “effetti collaterali”6. La sintesi e proprio dalle criticità sin qui descritte. Un ricco ventaglio di la mediazione tra i filoni di ricerca qualitativa (sociale, di svi- pratiche informali sta tuttora rivitalizzando le “smagliatuluppo sostenibile e di qualità della vita) hanno dato esito all’e- re” della città costruita, quei vuoti risultanti da un secolo laborazione del concetto che si è fatto esso stesso obiettivo: di dismissioni industriali, devastanti bombardamenti e dila qualità urbana. In rapporto alle peculiari condizioni delle sastrosi eventi naturali (Ferretti, 2009). Queste nuove prassi città europee, alle cicatrici sociali e urbane, è divenuto sem- autonome pervadono gli spazi irrisolti delle maglie urbane, pre più urgente il richiamo ai requisiti qualitativi — oggettivi leggendo, interpretando e riscrivendo in maniera leggera, e soggettivi — del vivere e dell’abitare collettivo. Sebbene stu- reversibile e — per questo — innovativa, la disponibilità del diosi ed esperti afferenti a distinti ambiti disciplinari abbiano vuoto. “La fruizione attiva dello spazio urbano ne risignifica sinergicamente lavorato per avviare un cantiere culturale, gli spazi” (Martello, 2010, p. 40). Si tratta di pratiche sociaatto a delineare i più idonei interventi sulla città, e nonostante una decisa “democra- Usi e ri-usi temporanei e informali che tizzazione del planning” — come affermava Yona Friedman — la pratica progettuale agiscono come un’agopuntura urbana non ha segnato sostanziali mutamenti e progressi a raffronto della situazione di stallo precedente. li, sport urbani, playgrounds, tattiche di resistenza di corpi

Il fenomeno della riappropriazione spontanea dei vuoti plurali, auto-organizzati (Paba, 2010) che ridefiniscono e urbani costituisce un nuovo e straordinario impulso emerso risignificano gli spazi tracciando un’inedita semantica ur-

05. Cinemar, Collectif Etc, Trafaria, 2018. ©Collectif Etc bana (Clemente, 2010) (img. 03). Tali pratiche (di)mostrano un’ampia palette di funzioni possibili che sanno interagire con una costellazione di spazi che si presentavano come anonimi, dismessi, inconclusi, degradati. “Gli scarti della città si offrono come osservatori privilegiati delle trasformazioni urbane latenti che mutano in profondità le relazioni simboliche e materiali fra uomini e territorio, ma anche come rara occasione per riscoprire e rifondare le implicazioni etiche dell’abitare” (Sennet, 1999).

Di grande interesse è la portata virale di questa ondata di rigenerazione urbana “dal basso”. Usi e ri-usi temporanei e informali sono proliferati in tutto il globo e agiscono come un’agopuntura urbana, fornendo un’importante lezione progettuale (Moccia, 2009, p. 77). Gli esiti osservabili dichiarano la reale possibilità di una configurazione fluida degli spazi collettivi e, a chi scrive, questa pare assumere le connotazioni tipiche dei concetti “open content” e “a memoria di forma”, mutuabili dai contesti dell’hi-tech. La lectio della Convertible City berlinese7 proposta al grande pubblico nel 2006 in occasione es un solar” a Saragozza, “Küchenmonument” (unità multifunzionale itinerante), “Passage 56” a Parigi (img. 05), “Place au changement” a Saint-Etienne. Si tratta di progetti realizzati che hanno declinato il placemaking8 e il Tactical Urbanism, ovvero quelle forme di progettazione partecipata9 che pongono i cittadini come elemento pivotale, le loro conoscenze dirette dei luoghi e le competenze (latenti). Questa posizione riconosce in loro i veri esperti del territorio; essi non sono più visti come meri soggetti da (dover) consultare, bensì come attori fondamentali da coinvolgere attivamente e rendere protagonisti in tutte le fasi che portano alle trasformazioni dei luoghi in cui vivono. Volendo trarre da questi riferimenti delle linee guida utili, è bene evidenziarne gli aspetti cruciali: accurata analisi delle dinamiche attuali; ascolto attivo dei bisogni locali; attenta ricognizione e impiego delle risorse umane e materiali disponibili; magistrale gestione delle varie fasi del processo partecipativo; alto grado di sperimentazione; low-budget; basso rischio; alta reversibilità e adattabilità; progressione gradua-

La vivibilità urbana pare misurarsi oggi le e leggera degli interventi fisici; riduzione del consumo di suolo; attuazione e con questo aspetto di libertà operativa e feedback sul breve termine con possibilità di trasformare gli elementi di successo in insediativa dispositivi permanenti. Le nuove pratiche, connotate da un’eccezionale libertà operativa e insediatidella X Biennale di Architettura di Venezia, ha dato una prova va, oltre a costituire pervicaci dichiarazioni delle comunità tangibile dell’efficacia di questo approccio e modus operandi. urbane e preziose ossigenazioni al vivere urbano condiviso, Una città reversibile, sperimentale, adattiva, interagente con sono altresì elementi essenziali per il progetto. Ciò è di fonle multiformi esigenze della popolazione che la attraversa, la damentale importanza sia perché un tale metabolismo urvive, la scrive nel dispiegamento delle funzioni sociali e cultu- bano contribuisce sensibilmente al genius loci e lo qualifica rali (oltre che produttive ed economiche). Una città human- profondamente, sia perché definisce una preziosa traccia centered, inclusiva, multiversa. Un’utopia? Sì, ma realizzabile: d’azione progettuale basata su bisogni sociali reali (manifeun riscontro concreto è fornito da numerosi casi studio vir- stati) e potenzialità insite del luogo (dispiegate). Le direttrici tuosi che hanno saputo declinare pragmaticamente i principi osservabili possono essere lette come l’esito della conversopracitati. Per menzionarne alcuni: “72 Hours Urban Action” genza tra una precipua affordance dei vuoti urbani e un ca(workshop di architettura rigenerativa, itinerante), “Esto no pitale sociale site-specific non più silente. Un simile atteg-

06, 07. Passage 56, Atelier d’Architecture Autogérée, Paris. ©AAA-Atelier d’Architecture Autogérée, urbantactics.org di AAA giamento progettuale, che trae forza e ispirazione da questi flussi, scambi e usi, incontra inoltre una maggiore apertura alla cooperazione, sia da parte delle comunità locali sia delle istituzioni (un terreno fecondo per iniziative in partenariato).

Nello scenario che si offre all’esperienza dello spazio collettivo odierno, possiamo rilevare come i vuoti urbani abbiano acquisito un progressivo significato e valore. Si presentano ora come fertili pieghe della città ed essenza dello spazio pubblico contemporaneo: democratico, flessibile, riscrivibile, liberamente fruibile. La presenza di tali vuoti non volumizzati — se non dalle relazioni sociali — si è resa cruciale per garantire la vivibilità urbana. Bernardo Secchi evidenziava come le aree dismesse sono rappresentative di un’asimmetria vitale e che la deriva funzionalista rischia di sovrascrivere quei luoghi individuando una mera nuova funzione e volumetria10 .

A integrazione degli insegnamenti tratti dalle più virtuose prassi, si riportano quattro nozioni particolarmente significative: la teoria dell’Architettura a Zero Cubatura di Aldo Aymonino (Aymonino, Mosco, 2006), il binomio concettuale “interni come esterni” ed “esterni come interni” di Andrea Branzi, il “progetto di suolo” di Bernardo Secchi e il principio di open interiors di Andrea Di Giovanni. Pur con sfumature differenti, questi concetti si pongono al mondo del progetto come un insieme di strumenti speculativi squisitamente appropriati alle esigenze attuali. Permettono di indirizzare fattualmente una permeabilità reversibile e orizzontale tra costruito e vuoto, tra interno ed esterno. Offrono nuove suggestioni per individuare una morfologia adatta all’entità fluida, dinamica e adattiva per il vivere collettivo immerso in una crisi multilivello (ambientale, sanitaria e sociale). Il progetto della città oggi non può prescindere dai criteri di snella trasformabilità e di potenzialità performativa, ciò che Bourdieu definiva “spazio dei possibili”. L’abitare condiviso necessita perciò di un cambio di paradigma, una maggiore porosità tra la dimensione domestica e le plurime forme dell’urbano, del territorio e del paesaggio11 . *

NOTE 1 – Sul tema si suggeriscono due contributi di Vittorio Gregotti: “La città europea del XXI secolo: Lezioni di storia urbana”, Skira 2002, unitamente a “Eredità e crisi del progetto moderno”, redatto per l’Università Iuav di Venezia. 2 – Per approfondire si consiglia di consultare “Tracce urbane”, Italian Journal of Urban Studies. 3 – Sul tema si suggerisce “Progettualità dell’agire urbano: processi e pratiche urbane”, a cura di C. Cellamare (2011). 4 – Il materiale è in gran parte consultabile sulla piattaforma “The Urban Observatory”. 5 – Rif. alla scala di partecipazione elaborata da Sherry Arnstein nel 1969. 6 – Cfr. Di Franco, G. (1989), “Qualità della vita: dai modelli alle ricerche empiriche” in S. Vergati, “Dimensioni sociali e territoriali della qualità della vita”, La Goliardica, Roma. 7 – Circa tale esperienza si suggerisce di consultare la sezione progetti del sito dedicato (convertiblecity.de). 8 – Per approfondire il concetto di placemarketing si veda La filosofia del placemaking. Spazi pubblici a misura di cittadino di Giuseppe Mimmo (2011) disponibile su: https://bit. ly/3mDCLdZ (ultima consultazione novembre 2020). 9 – Un esempio di progettazione partecipata è R-URBAN: PRATIQUES ET RÉSEAUX DE RÉSILIENCE URBAINE: http://r-urban.net (ultima consultazione novembre 2020). 10 – Numerosi sono i contributi di Bernardo Secchi sul tema, tra essi si suggerisce il saggio “La città del ventesimo secolo” (2005). 11 – In merito si ritiene importante menzionare l’articolo “Un’architettura sfumata” scritto da Cristina Bianchetti per Domusweb (2006).

BIBLIOGRAFIA – Amendola, G. (2009). Il progettista riflessivo: Scienze sociali e progettazione architettonica. Milano: Laterza. – Aymonino, A., Mosco, V. P. (2006). Spazi pubblici contemporanei: architettura a volume zero. Milano: Skira. – Bianchetti, C. (2003). Abitare la città contemporanea. Milano: Skira. – Clemente, M. C. (2010). Il progetto dello spazio pubblico. DIID, n. 44. Roma: Rdesignpress, pp. 14-23. – Di Giovanni, A. (2018). Vuoti urbani come risorsa per lo spazio pubblico contemporaneo. Planum, n. 37, vol. II/2018, pp. 1-28. – Ferretti, A. (2009). Scarti urbani e bisogno di ordine nella città. UniRoma. – Haydn, F., Temel, R. (2006). Temporary Urban Spaces. Basel: Birkhäuser. – Manzini, E. (2015). Design, When Everybody Designs: An Introduction to Design for Social Innovation. Cambridge MA: MIT Press. – Martello, P. (2010). Panorami urbani on-offline. DIID, n.45. Roma: Rdesignpress, pp. 40-49. – Moccia, M. (2009). Il virus dell’informale: la rigenerazione urbana a partire dal web 2.0. On&Off Magazine, n. 31-32. Roma: nITroSaggio, pp. 75-77. – Paba, G. (2010). Corpi urbani: differenze, interazioni, politiche. Milano: Franco Angeli. – Sennett, R. (1999). Usi del disordine: identità personale e vita nella metropoli. AnconaMilano: Costa & Nolan.

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