PREMESSA
Questi brevi, alcuni brevissimi, testi sui miei progetti sono scritti tutti a posteriori, anche molto tempo dopo aver fatto i progetti. E sono scritti a memoria, senza riprendere passi dalle relazioni o da altri scritti precedenti. A volte addirittura non si parla o quasi dei progetti ma si riportano i pensieri che correvano nella mente a me e a chi ha lavorato con me mentre li facevamo. Ho detto a memoria per dire che ho scritto quel che mi ricordo essere stato il pensiero principale che ha dato forma ad ognuno dei tanti progetti. Questo esercizio, la descrizione del pensiero su cui si basa un progetto, andrebbe fatto sempre, soprattutto prima di iniziare il progetto stesso. Andrebbe fatto fare agli studenti di architettura per renderli consapevoli della sua finalità. Quella finalità che Romano Guardini distingue da qualsiasi ragione funzionale necessaria ma non sufficiente per fare architettura. Ma questo esercizio è utile anche a tutti noi, per tener ferma la direzione che abbiamo deciso di prendere, per rendere chiara ed evidente quella finalità. Tutto ciò nella convinzione che la bellezza, in architettura, sia la forma compiuta di un pensiero felice. Dicembre 2015
01 UNA PAGINA SU...
L’ASILO DI SEGRATE 1972
con Adriano Di Leo, Paolo Rizzatto
L’asilo di Segrate è uno dei miei primi progetti in cui compaiono alcuni elementi che resteranno alla base di molti progetti successivi: il recinto che porta con sè i significati di protezione e identificazione di un luogo, il tetto che copre la parte di quel luogo destinata alle aule, e il grande prato. Fra le aule e il prato vi è una relazione necessaria che contiene e rivela il senso del progetto. Pensando al tema dell’asilo si sovrappongono idee diverse come l’idea di accoglienza ma anche di luogo in diretto contatto con la natura. Il primo pensiero è stato quello di collocare l’asilo in un parco e di affacciarlo sul parco. Solo più tardi abbiamo deciso che il rapporto con la natura dovesse essere più diretto, che la natura dovesse essere parte dell’edificio e dunque che i due elementi, l’aula e il prato, dovessero essere all’interno di un unico recinto. Tutto il resto è stato semplice grazie alla mia ammirazione per il lavoro di Mies van der Rohe. Il modo di collocare l’aula all’interno del recinto deve molto alla ricerca di Mies sulla casa a corte, in particolare la grande vetrata tutta altezza che rende continuo lo spazio dell’aula con il prato, come se prato e aula fossero in realtà un’unica cosa. Il primo atto è stato la costruzione del grande recinto. Poi la costruzione del tetto che copre circa un terzo dell’area e, infine, la grande vetrata sotto il tetto che delimita il luogo chiuso dell’asilo e lascia che una parte dell’aula resti aperta sul limitare del prato.
05 UNA PAGINA SU...
LE CASE DI MONTESIRO 1982
con Paolo Rizzatto coll. Isabella Lagomarsino, Cristina Manzoni
Dieci case unifamiliari disposte su un terreno in leggero pendio, affacciate su un paesaggio nobilitato, sembra a me, dalla pittura di Leonardo. Abbiamo pensato che tutte le case dovessero assumere la posizione più idonea a far proprio quel paesaggio, a farne parte integrante della casa stessa. La casa dunque come luogo di contemplazione della natura. Questo è il senso del grande pergolato davanti ad ognuna delle dieci case, un pergolato dentro cui affacciano i due piani della casa: il piano terra dei soggiorni ma anche il primo piano delle camere. In questo modo tutta la casa e non solo una parte di essa confluisce nello spazio coperto dalla pergola. Si può dire che la casa è la pergola stessa che è il tramite dei luoghi della vita domestica con la natura. Se l’affaccio è il valore principale della casa era necessario che tutte ne godessero egualmente. Da qui la disposizione al suolo delle case binate, allineate su due file e distanziate fra loro in modo da lasciare lo spazio necessario alla vista lungo la valle. Il fatto di concentrare tutta la nostra attenzione sul rapporto della casa con la natura, in quel luogo ed in quel modo specifico, ci ha guidati in tutte le scelte successive che hanno costretto le forme della casa a quell’unica finalità. Le case sono tuttora intatte. Il paradosso è che, contro ogni previsione, davanti a loro è stato costruito un edificio che le ha private della ragione per cui sono state costruite.
06 UNA PAGINA SU...
LA CASA PER ANZIANI A GALLIATE 1982
con Paolo Rizzatto coll. Sandro Colbertaldo, Isabella Lagomarsino, Cristina Manzoni, Antonio Paolucci
Tre luoghi aperti e successivi, infilati da un unico asse di simmetria che dalla strada porta lo sguardo fino a un giardino, sul fondo, dove la comunità degli anziani si incontra. Dei tre luoghi il primo, quello più vicino alla strada, è un prato compreso fra due edifici paralleli, un edificio porticato che contiene alcuni servizi aperti alla città e un lungo portico identico a quello al di là del prato. I due porticati, anche se identici, svolgono due funzioni diverse: uno collega fra loro i servizi, l’altro è un luogo in cui stare, protetto dal sole e dal vento e quindi frequentato prevalentemente nei mesi estivi. Il secondo dei tre luoghi è un luogo di transito fra il prato e il giardino, un luogo pavimentato in cui si affacciano le stanze della degenza. Il terzo luogo, in fondo all’asse prospettico, è un giardino di alberi di tiglio che, come sempre i giardini, è il luogo privilegiato di tutto il sistema, il luogo dell’incontro ma anche della pace e della contemplazione. I tre luoghi sono ben visibili uno dall’altro e insieme costituiscono l’affaccio della casa degli anziani. La scelta di fondo è stata quella di dare la massima importanza a questi luoghi all’aperto che dovevano essere sempre visibili dalla strada e dalla città. Abbiamo pensato alla casa della comunità come una grande casa, trasparente e luminosa. Contro ogni separazione, contro ogni segregazione, per rendere migliore la qualità della vita di chi vi abita.
11 UNA PAGINA SU...
DUE TORRI BINATE
Mi sono spesso domandato perché in molti miei progetti le torri sono binate. Perché sono due e non una. A questa domanda non posso rispondere, perché la decisione non è mai stata del tutto razionale. Forse è meglio cercare di capire quali sono i caratteri delle torri binate rispetto a quelli di una torre singola. Possiamo dividerli in due categorie: i caratteri esterni e quelli interni alle torri. Il carattere esterno più evidente è lo spazio che si crea fra le due torri. Uno spazio centrale che segna fortemente un asse di simmetria dando a tutto il sistema una forte stabilità formale. La nostra attenzione è attratta da quel vuoto, le due torri che stanno ai lati del vuoto centrale sono, in qualche modo, subordinate a questo. È quella stabilità che fa di questa composizione una presenza importante, necessaria là dove le torri devono assumere un ruolo dominante. Il carattere interno è altrettanto importante. Il fatto di poter vedere dall’interno di una torre la propria gemella, vicina ma separata, crea una sensazione di sdoppiamento, come se il vuoto fra le due torri fosse necessario per contemplare, da una certa distanza, un doppio del luogo dove stiamo. Protagonista dunque è il vuoto centrale, visto sia dall’esterno che dall’interno delle torri, quello spazio che misura la distanza fra due edifici identici e solidali. Forse è questo vuoto che mi ha sempre affascinato e che mi ha fatto decidere per due torri invece che una. Quando sono legate da un unico basamento le torri diventano due parti di un unico edificio fortemente rappresentativo della sua ricchezza e singolarità.
35 UNA PAGINA SU...
LA CHIESA DI CASTELLAMMARE DI STABIA 2013
con Tomaso Monestiroli coll. Luca Cardani, Federica Cattaneo, Claudia Tinazzi
Ci si domanderà perché pensare a una chiesa con davanti un giardino che è parte della chiesa, che ne è una parte costitutiva. La risposta non è immediata, nel senso che non c’è una ragione liturgica per la presenza del giardino. È un modo per orientare il carattere della chiesa, che deve essere di forme semplici, una piccola chiesa in una campagna coltivata, che porta un luogo di culto fra gli alberi di quella campagna. Così, sopra un basamento alto pochi gradini dal suolo naturale, la chiesa e il suo giardino, in una relazione frontale, costituiscono il centro parrocchiale da costruire in quel luogo. Gli altari sono due, uno nel presbiterio della chiesa e il secondo, in asse con questo, nel giardino. Due altari gemelli in marmo verde venato, due lastre quadrate saldamente appoggiate su un blocco dello stesso marmo. Fra i due altari la relazione avviene attraverso un portale costruito da due muri perpendicolari al fronte della chiesa, evocativi di una porta sempre aperta, e da una parete vetrata che consente di vedere l’interno della chiesa anche quando questa è chiusa. La tensione fra i due altari tiene uniti esterno ed interno della chiesa, il giardino con il presbiterio. Il portale, che costituisce un vero e proprio atrio per metà coperto e per metà a cielo aperto, è equidistante dai due altari e costituisce il fulcro della loro relazione. Infine il presbiterio, sede della croce e dell’altare. Quel che lo distingue è la luce, una luce zenitale, rimbalzata dalle pareti bianche della torre che lo sovrasta e che lo porta in alto, oltre al tetto della chiesa, per prendere quella luce e per mostrare a tutti gli abitanti di quel territorio, anche da lontano, la sua presenza in quel punto.