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VOCE FRITTURA

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Visioni

Visioni

di Luigi Caricato Ciò che ci di erenzia dagli animali in fatto di alimentazione è che noi cuciniamo il cibo, loro no. Tutto era partito dall’esigenza di conservare il più a lungo possibile il cibo, rendendolo anche più fruibile e appetibile. La cottura degli alimenti è stata una grande intuizione. Utilizzare il fuoco a proprio vantaggio è stato un apporto di civiltà. L’uomo primitivo ebbe l’ingegno di comprendere che alcune parti degli animali si scioglievano sotto l’azione del calore, diventando più stuzzicanti e tenere. Le parti muscolose della carne si “friggevano” nel liquido che si andava costituendo. Quel liquido era il grasso contenuto nella carne che si scioglieva sotto gli e etti della fiamma. Lo stesso liquido grasso una volta ra reddato facilitava la conservazione stessa del cibo. Dalle prime esperienze ebbero inizio, e in seguito si a narono, le varie tecniche di cottura. Il primo approccio consisteva nello scottare il cibo su pietre roventi, poi di arrostirlo dopo averlo infilzato su alcuni bastoni. Poi si introdusse l’animale in apposite buche scavate nel terreno preventivamente riscaldate facendo ardere dei rami secchi. La carne macellata veniva ricoperta di erbe aromatiche e sopra si accendeva il fuoco per completare la cottura. A partire da queste primordiali forme di cottura si concepirono una serie di arnesi appositi. Il tempo, si sa, scorre inarrestabile e da una prima forma di cucina, risalente a circa mezzo milione di anni fa, all’epoca dell’uomo di Neanderthal, si è arrivati ad oggi, a una forma di cucina molto più complessa e articolata, fino a giungere a una cucina molecolare, dall’approccio e dall’impostazione espressamente scientifico-sperimentale. Chissà cosa ci riserva il futuro.

Il De Re Coquinaria è un testo molto complesso e costituito da ricette di salse e di piatti completi. Il suo latino era povero dal punto di vista letterario, ma adatto al linguaggio dei cuochi dell’epoca. Si trattava di un’opera di uso corrente, alla quale si aggiungevano in margine varianti e nuove ricette, dando così vita poco a poco, edizione dopo edizione al corpus di cui disponiamo.

uando si iniziò a estrarre l’olio dalle olive, o da altri frutti o semi, il tentativo di scaldarlo per usi alimentari rivoluzionò l’idea stessa di cucina. Si scoprì che la natura chimico-fisica dei grassi determinava un rapido accumulo di calore, con esiti stupefacenti, ben diversi da altre modalità di cottura. Il cibo si percepiva più buono e croccante.

Nel celebre trattato De re coquinaria di Apicio, le fritture riguardavano soprattutto pesci, verdure e carni. Tante le ricette, ma di studi specifici sul tema non c’è traccia. La frittura era tuttavia largamente praticata un po’ ovunque, con frequenza e con successo. Si ricorreva non solo all’olio ma anche al grasso d’oca o d’anatra, o in ogni caso ad altri grassi disponibili. Al fritto non si rinunciava e l’esercizio della frittura divenne metafora letteraria, espressione di costume e segno di appartenenza. Il commediografo

Tito Maccio Plauto racconta nelle Bacchides di uno schiavo che minacciava di friggere il proprio padrone allo stesso modo con cui si andavano friggendo i ceci. Il grammatico greco Ateneo, vissuto nel secondo secolo dopo Cristo, elargiva ai suoi tanti estimatori ghiotte ricette di fritti e d’altro. Nel suo Dipnosophistarum sive coenae sapientum, opera composta da quindici volumi, fotografò fedelmente la gastronomia dell’epoca, riportando l’elenco di circa 1500 pubblicazioni, con l’indicazione di ben 700 autori, a testimonianza di come l’arte culinaria avesse anche in quel tempo un certo seguito. Ateneo riportò una serie di ricette elaborate dal poeta epicureo Archestrato, vissuto in Grecia nel quarto secolo avanti Cristo. Una tra le più emblematiche ricette ci fa comprendere quanto fossero già perfettamente acquisite le procedure tecniche necessarie per ottenere buoni esiti di frittura. La ricetta dei pesciolini fritti serve a capire quanto fossero chiare le regole per ottenere un buon fritto: rispetto dei tempi di cottura, necessariamente brevi per evitare che il cibo assorbisse liquido di frittura. Archestrato raccomandava di friggere in olio con ortiche di mare e pisellini ancora dolci. I pesciolini a parer suo dovevano rimanere pochissimo in padella: “solo qualche istante e sono già cotti”.

Nel susseguirsi dei secoli le ricette a base di frittura trovarono ampio spazio in tutta la pubblicistica di maggior successo. Si va da Guglielmo Tirel - conosciuto con il nome di Taillevent, autore del primo importante libro di cucina francese, il Viandier, scritto con ogni probabilità nel 1380 - al tanto celebrato ricettario dell’Anonimo Toscano e a molti altri testi ancora, noti e meno noti.

Un’opera chiave del Rinascimento italiano, il De honesta voluptate et valetudine, di cui è autore l’umanista lombardo

Bartolomeo Sacchi, detto Platina, era prodiga di consigli. La ricetta ova fricta florentinorum more è un classico: “In una padella ove stia bollendo dell’olio - scrive Platina - butta delle uova fresche avendo cura di staccarle, sui bordi tutto intorno, con un cucchiaio. Quando cominciano a prendere colore, sappi che sono cotte. È necessario che restino tenerelle nell’interno. Questa cottura - avverte infine

Guillaume Tirel, anche noto con lo pseudonimo Taillevent (Tagliavento) (Pont-Audemer, 1310 –Saint-Germain-en-Laye, 1395), è stato un cuoco francese al servizio di numerosi sovrani francesi, tra i quali Filippo VI, Carlo V e Carlo VI, ed è considerato l’autore del celebre manoscritto di cucina chiamato Le Viandier

Tito Maccio Plauto l’autore - è molto di cile”. Non tutti però sono stati propensi a dispensare consigli dettagliati. L’arte del cucinare andava carpita e custodita in segreto. Tuttavia, presso le maggiori corti italiane vi erano molti esperti che si dilettavano in tecniche gastronomiche dispensando consigli ed esortazioni. Come nel caso del gastronomo Cristoforo di Messisbugo Nel suo Libro novo. nel qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivande secondo la diversità de i tempi così di carne come di pesce, pubblicato a Ferrara nel 1549, riportava gran parte delle sue invenzioni, o rendo interessanti rielaborazioni di ricette valide per ogni occasione. Rivedeva le tradizioni popolari rielaborando all’occorrenza alcune tra le più antiche ricette della cucina contadina, o adattava ricette esotiche mutuate da altri Paesi. Le idee non mancavano. In un ricco banchetto organizzato dallo stesso Messisbugo, e di cui ci è giunto il menu, si poneva grande attenzione ai fritti. Si andava dalle polpe di capponi involte in bianco mangiare fritte con zucchero fino sopra alle code di trutte fritte accarpionate con limoni tagliati sopra, dai piccioni casalenghi in ba etta, fritti con cedri tagliati sopra ai passarotti fritti caldi con arance sopra, dai rombi fritti coperti di salsa sapor bianco e mostarda alle aguselle di mare fritte. Con grande generosità d’animo Messisbugo non disdegnò di fornire preziosi suggerimenti anche sulla gestione della temperatura: sconsigliava di dare “troppo fuoco all’oglio bogliente”, giacché le frittelle amano “esser cotte adagio”.

Titus Maccius Plautus o Titus Maccus Plautus; Sarsina, tra il 255 e il 250 a.C. – Roma, 184 a.C.) è stato un commediografo romano. Plauto fu uno dei più prolifici e importanti autori dell’antichità latina e l’autore teatrale che più influenzò il teatro occidentale.

Tornando invece a Platina, nel suo noto ricettario scende in dotte disquisizioni intorno alla tipologia di oli da utilizzare in frittura, suggerendo di volta in volta gli abbinamenti più idonei e confacenti. Riteneva che gli oli “dolci polputi” fossero i meno adatti alla frittura, rivelandosi per contro più idonei se utilizzati con minestre. Questione di punti di vista. La preferenza la accordava agli oli “men grassi e chiari”, ritenendo pure, altrettanto “perfettissimi”, gli oli “che ritirano al verde, essendo di olive cernute e non smaccate”. C’è da considerare che il grado di conoscenza degli oli era all’epoca piuttosto limitato, ma Platina riusciva in qualche modo a intuire le soluzioni più opportune da seguire. Anche se si tratta di opinioni a volte bisognose di revisioni, i suoi ragionamenti, supportati dalle conoscenze della sua epoca, dettero un impulso a ulteriori approfondimenti sul tema: “Quando l’oglio fa schiuma nel friggere, non sarà troppo buono; così anco quando creperà, ma quando si scalderà senza far moto et non renderà tristo odore, alhora sarà perfetto”. Le considerazioni di Platina intorno alla frittura ispirarono molti altri gastronomi contemporanei. Bartolomeo Stefani fornì utili chiarimenti in merito alla quantità di liquido di frittura necessaria per ottenere risultati apprezzabili: “Se haverai un pesce d’un’onciascrive - per friggerlo si ricerchi un’oncia d’oglio, crescendo a oncia a oncia tanto il pesce quanto l’oglio”. Alla luce delle acquisizioni attuali, a leggere i volumi scritti nel corso dei vari secoli, alcuni sono discutibili e superati, ma testimoniano la costanza di attenzio- ni riservate al tema frittura. In un libro del 1998, Fritto all’olio di oliva, Piero Antolini non ha esitato a bacchettare Jean Anthelme Brillat-Savarin (1755-1826), autore di Fisiologia del gusto. Antolini è severissimo: si tratta di “uno dei primi gastronomi che amò la tavola per diletto e cultura, non per competenza culinaria”. Brillat-Savarin “non ha evidentemente mai tenuto il manico d’una padella per friggere nella sinistra e la reticella o paletta forata nella destra”. Nel capitolo “Teoria della frittura”, Brillat-Savarin scrive sulla base di conoscenze, all’epoca, alquanto limitate in fatto di chimica dei grassi: “L’esperienza ha insegnato che non bisogna servirsi d’olio di oliva che per quelle operazioni che possono compiersi in poco tempo e che non esigono un grande calore, perché l’ebollizione prolungata vi sviluppa un sapore empireumatico e sgradevole che deriva da alcune particelle di parenchima dalle quali è di cilissimo sbarazzarsi e che si carbonizzano”. Un errore di valutazione, perché sappiamo bene come l’olio ricavato dalle olive sia di fatto il più stabile tra tutti i grassi, oltre che il più ricco in sostanze antiossidanti. Un plauso lo merita invece il libro di Giovanni Felice Luraschi, Nuovo cuoco milanese economico, pubblicato nel 1829, dove si a ronta in modo più completo, sistematico, corretto ed esaustivo la frittura, attraverso un ampio ricettario e una serie di preziosi consigli, tra i quali il suggerimento di servire le fritture su salviette, con sopra prezzemolo o foglie di sedano o foglie di salvia fritti. Non è da trascura- re nemmeno il libro di un altro esperto gastronomo, l’abate partenopeo Vincenzo Corrado, autore de Il cuoco galante, che riserva il giusto rilievo alla figura del cuoco friggitore, e, a dimostrazione e a supporto del detto napoletano secondo cui tutto ciò che si frigge è buono, riporta una serie di utili indicazioni su come sia possibile friggere di tutto, perfino i fiori di sambuco, le cimette di rosmarino, i rametti teneri di salvia, o il prezzemolo. La fantasia in cucina di certo non è mai mancata, soprattutto se si ha a che fare con le tradizioni popolari. Da qui la centralità della cucina di strada, strutturata in modo semplice tra botteghe di rosticceria e friggitorie ambulanti, rimodulata nel rinnovato spirito dello street food. Non a caso, molte tra le tante ricette regionali sono nate a partire dall’abitudine di mangiare per strada, come già avveniva ai tempi degli antichi romani. Solo per restare in Italia, si va dalle olive ripiene alla crema fritta, dalla pizza fritta ai panzerotti, dagli arancini ai cannoli, dai carciofi alla giudìa ai fiori di zucca, aprendo di volta in volta a un vasto e composito elenco di specialità che di regione in regione si rende sempre più appetitoso, fino a giungere all’infinita gamma di frittate e dolci della tradizione, dai krapfen alle zeppole. Una fantasia che nel tempo non è mai venuta meno, come si deduce dal libro Cucina di strettissimo magro, di padre Gaspare Delle Piane, pubblicato nel 1880. All’interno del volume compare un corposo capitolo dedicato alle fritture, dove si o re al lettore un catalogo essenziale “di taluni pesci che si solitano

Nuovo cuoco milanese economico, opera pubblicata a Milano nel 1829 dall’editore Carrara (Il titolo completo dell’opera è: “Nuovo cuoco milanese economico che contiene la cucina grassa, magra e d’olio e serve pranzi all’uso inglese, russo, francese ed italiano utile ai cuochi, ai principianti ed ai particolari, esperimentato dal cuoco milanese Giovanni Felice Luraschi”).

Il cuoco galante scritto nel 1773 da Vincenzo Corrado (Oria, 18 gennaio 1736 – Napoli, 11 novembre 1836) , definito all’epoca un libro di alta cucina, testo richiesto in tutto il mondo dalle principali autorità dell’epoca, e ristampato per ordini del principe per ben sei volte.

Il fritto all’olio di oliva Piero Antolini, fondatore della Corporazione dei Mastri Oleari, ha introdotto, con questo e altri libri, un nuovo e moderno approccio al modo di intendere e impiegare l’olio da olive nelle varie formulazioni alimentari.

Pellegrino Artusi (Forlimpopoli, 4 agosto 1820 – Firenze, 30 marzo 1911) è stato uno scrittore, gastronomo e critico letterario italiano. È conosciuto principalmente per essere stato l’autore del libro di ricette italiano più popolare di sempre: La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene mangiar fritti, tenendo conto della stagione nella quale convien farne uso”, e si va dalle polpette fritte di pesce a quelle di riso, dai ravioli fritti alle cialde fritte, dai crostini di pane fritti alla salsa di tartufi, e dai crostini fritti di frutti di mare a molto altro ancora. A sorprendere, qui, è soprattutto, l’attualità delle ricette, segno che l’evoluzione del fritto ha conosciuto, negli ultimi anni dell’Ottocento, pur con fasi alterne, una costante e virtuosa evoluzione. Anche Pellegrino Artusi, con la celeberrima opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, pubblicato nel 1891, ha saputo prendere in seria considerazione l’arte della frittura. Ha riservato un intero capitolo ai fritti, in cui oltre a un repertorio classico, compaiono alcune insolite ricette come il fritto di pesche, o di mele: gli spicchi, non troppo grossi, vengono avvolti nella pastella e successivamente spolverizzati di zucchero dopo la cottura. Artusi non trascura le tradizioni locali: ecco allora i granelli fritti, tipica espressione della Maremma toscana nel giorno della castratura dei puledri. Quando per friggere si tratta di optare per l’olio o per il lardo, Artusi media tra le due scuole di pensiero, suggerendo in alcuni casi la maniera emiliana (con il lardo), in altri la maniera toscana (con l’olio di oliva). Nulla di strano, perché la contrapposizione tra gli oli da olive e i grassi animali, burro e strutto, era molto avvertita fino a qualche decennio fa. Infatti, come opportunamente evidenzia Giuseppe Mantovano nel suo L’avventura del cibo. Origini, misteri, storie e simboli del nostro mangiare quotidiano, è solo con l’avanzare dello sviluppo industriale, e con il progresso della tecnologia, che si assiste alla massiccia diffusione degli oli ricavati dalle olive. Nel passato, a eccezione dei luoghi di produzione a maggior vocazione, l’olio veniva impiegato solo per le insalate e sul pesce. A dominare la scena è stato lo strutto, ma solo per una questione di pura economia, perlopiù. L’olio era riservato ai pochi che se lo potevano permettere.

Giuseppe Gioachino Belli (Roma, 7 settembre 1791 – Roma, 21 dicembre 1863) è stato un poeta italiano. Nei suoi 2279 Sonetti romaneschi, composti in vernacolo romanesco, raccolse la voce del popolo romano del XIX secolo.

Friggere bene Con questo libro gli autori, Luigi Caricato e Giuseppe Capano, si propongono di sfatare preconcetti molto di usi e di a rontare con chiarezza i temi cardine per ottenere una buona frittura: dai grassi più adatti, agli strumenti più utili, alle temperature di cottura, agli accorgimenti tecnici.

L’avventura del cibo Con questo libro edito da Gremese nel 1989, l’autore, Giuseppe Mantovano, prende in considerazione le origini, i misteri, le storie e le simbologie del nostro mangiare quotidiano.

Una poesia di Giuseppe Gioachino Belli ci chiarisce a suo modo le idee su come stiano le cose: “Sì è bona la cucina co lo strutto, / anzi lo strutto er barbiere m’ha detto / ch’è un connimento che fa bene ar petto. / Come fa er pepe ch’arifresca tutto.

/ S’addatta a li grostini cor presciutto / ar pollame (...) a l’arrosto de lommetto (...), / a lo stufato, all’umido, ar guazzetto (...), / ma addopprallo in ner fritto è un uso brutto. / Vòi frigge er pesce co lo strutto? Eh zitto. / Er pesce fritto in nell’ojo va cotto: / l’ojo è la morte sua p’er pesce fritto, / che magnà da stroppiati! io ne so matto. / E guarda er papa che davero è jotto: / ce se lecca li ba com’un gatto”.

La poesia del Belli ci fa ben capire come, in fatto di grassi, sia necessario far sempre le dovute distinzioni, perché c’è grasso e grasso. Con le conoscenze odierne sappiamo bene che non tutti i grassi alimentari sono idonei a sostenere le alte temperature, e non tutti risultano altrettanto e caci quanto a gusto e appetibilità. Ciò che importa, sopra ogni cosa, è ottenere un fritto sano e piacevole. Ora, rispetto al passato in cui mancavano conoscenze specifiche, la letteratura sul tema frittura è supportata da numerosi studi scientifici. E altrettanti sono i vademecum oggi disponibili, dal taglio divulgativo. Segnalo in particolare un libro di cui sono autore insieme con il maestro di cucina Giuseppe Capano, Friggere bene, pubblicato per le edizioni Tecniche nuove. Ciò che comunque importa sapere sopra ogni cosa, è che una frittura a regola d’arte, con l’olio più adatto, è senz’altro salutare (per quanto possa essere salutare un fritto, s’intende), purché non se ne abusi in quantità e in frequenza di consumo. Se si frigge in modo corretto, in relazione al valore nutritivo degli alimenti, la frittura è senz’altro meno aggressiva di molte altre tecniche di cottura.

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