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FRITTURE IN OLIO

FRITTURE IN OLIO

di Chiara Di Modugno

Il fritto chiama l’olio, sia quello estratto dalle olive, sia quello ricavato dai semi di altre specie vegetali. Questo però non esclude che alcune fasi possano prevedere l’utilizzo di un altro condimento, durante la preparazione stessa, o al termine: sì, stiamo proprio pensando all’aceto.

Dopo aver osservato tutti i passaggi essenziali, quest’ultimo contribuisce a rendere perfetta la preparazione. Infatti, immergendo per pochi istanti in una bacinella di acqua e aceto – dove le parti si equivalgono – la pietanza che si intende poi friggere, la farina in eccesso viene rimossa, così come l’amido presente nella farina; in questo modo il rischio che la frittura bruci il cibo in questione è molto bassa.

Serve anche ricordare che attraverso questo passaggio si otterrà un piatto finale dalla consistenza molto più compatta e soda, e per quanto sia un rimedio da sempre utilizzato nelle cucine, molti non ne sono a conoscenza. Ma l’aceto svolge anche un’altra funzione, quella di conservare il fritto ed evitare che gli avanzi vengano sprecati. La tecnica a cui facciamo riferimento è la marinatura, una tecnica che nasce proprio per prolungare la conservazione degli alimenti. Nel tempo i suoi impieghi si sono ampliati e si sono scoperte le sue capacità di insaporire e ammorbidire i diversi cibi prima di essere cucinati, ma tutt’oggi la marinatura con l’aceto risulta essere uno dei migliori modi per riutilizzare ciò che è stato fritto, come è appunto il caso del pesce.

La marinatura può essere realizzata in due distinti modi, alla tartara, o al carpione, e permette di consumare il piatto fino a una settimana.

Anche la scapece, metodo di origine araba, di uso e reinterpretato a seconda delle tradizioni in Italia, Spagna e Portogallo, è molto conosciuto per conservare gli alimenti sotto aceto, e indica sia il procedimento stesso che il prodotto ottenuto. La marinata può essere realizzata con diversi prodotti – za erano, alloro, aceto, vino, menta o pepe – a seconda dell’alimento principale.

In Puglia è possibile degustare la “scapece gallipolina”, che, come suggerisce il nome, è una ricetta tipica di Gallipoli. Dopo aver fritto il pesce nell’olio, quest’ultimo viene fatto marinare a strati alternati con mollica di pane precedentemente imbevuta con aceto e za erano. Mentre in Liguria, dove il dialetto vuole che si pronunci “scabeccio”, dopo aver infarinato e fritto i pesci – in particolar modo triglie, acciughe e altri di piccole dimensioni – vengono fatti marinare per almeno un giorno in aceto, olio, sale, aglio, cipolle e rosmarino.

Le ricette regionali che prevedono l’impiego dell’aceto per questo tipo di preparazione sono molte, e sarebbe molto interessante portare avanti un ricettario in cui, a partire proprio dalla tradizione, si possano raccogliere ricette che prevedano il fritto, o la sequenza successiva, con l’aceto.

Simona Pahontu, dell’Acetaia Pahontu, ci ha raccontato la ricetta di un piatto tradizionale veneto, le Sarde in saor. «Fanno parte della cucina veneta, ma sono conosciute ed amate anche in altre regioni d’Italia. Le sarde in saor, infatti, costituiscono una piacevole scoperta per chi poco conosce la tradizione veneziana» spiega.

Di seguito, la ricetta come vuole la tradizione.

Ingredienti

— 500 g di sarde

— 700 g di cipolle

— 200 ml di aceto di vino

— 2 cucchiaini di zucchero

— q.b. di sale

— q.b. di pepe

— q.b. di uvetta

— q.b. di olio extra vergine di oliva Turri, Monocultivar Leccino

— q.b. di farina 00

Preparazione

Per iniziare la preparazione delle sarde in saor secondo la ricetta veneta la prima cosa da fare sarà partire dalle cipolle, che dovranno essere private delle sfoglie esterne, poi tagliate a metà e messe in ammollo in acqua fredda mentre si preparano le sarde.

Dapprima dovranno essere eliminate la testa e la lisca centrale aprendole in modo tale da non separare le due parti. Una volta ben pulite e tamponate infarinarle per bene da entrambe le parti, eliminando gli eccessi. Continuare in questo modo fino a quando avrete pulito e preparato tutte le vostre sardine. Solo a questo punto si procede con la cottura, che deve avvenire in abbondante olio extra vergine di oliva dal gusto delicato, portato ad una temperatura di 180°C. Cuocere fino a leggera doratura e adagiare su un piatto coperto con carta assorbente così da eliminare l’olio in eccesso. A questo punto aggiustare di sale in base ai propri gusti.

È il momento di riprendere le cipolle, privarle dell’acqua in cui sono state tenute in ammollo e quindi a ettarle finemente. In una padella ben capiente mettete a scaldare dell’olio extra vergine di oliva. Aggiungere quindi, le cipolle e fare saltare per circa 15/20 minuti o fino a quando inizieranno ad appassire. Aggiungere quindi l’aceto e lo zucchero e sfumare. Proseguire la cottura, aggiustare con sale e pepe in base ai propri gusti e spegnere la fiamma.

A questo punto non resta che creare all’interno di una pirofila o su un piatto da portata degli strati di sarde fritte e uno di cipolle in agrodolce. Aggiungere in questa fase l’uvetta, precedentemente tenuta in ammollo per farla ammorbidire. Aggiungere pinoli o pepe in grani, se lo si preferisce. Continuare con la stratificazione fino ad esaurimento degli ingredienti. Fare riposare per circa 12 ore prima di servire.

«Un’altra ricetta che mi viene in mente – ci racconta sempre Simona Pahontu - è il Fish and chips, uno dei piatti simbolo della cucina anglosassone, nonché uno degli street food più apprezzati in tutto il mondo. I filetti di pesce, solitamente di merluzzo, pollack o eglefino, vengono pastellati, fritti in abbondante olio. Alla pastella in cui vengono immersi i filetti prima della frittura, viene aggiunto dell’aceto di vino. E per dare un tocco ancora più fresco e leggero al filetto fritto, a fine cottura, prima di essere servito, viene spruzzato con l’aceto di vino». Di seguito, ricetta e preparazione.

Ingredienti

— 600 g di filetti di merluzzo

— 600 g di patate

— 5 cucchiai di farina di grano tenero 00

— ½ cucchiaio di bicarbonato di sodio

— 150 ml di birra fredda

— 1 cucchiaio di aceto di vino

— 400 ml di olio di arachidi

— Sale q.b.

Preparazione

Iniziare sciacquando i filetti di merluzzo, tagliandoli a bocconcini della stessa dimensione: rettangoli spessi circa 4-5 centimetri e lunghi una decina di centimetri.

Poi sbucciare le patate, dopodiché vanno sciacquate e asciugate bene. Si tagliano quindi a bastoncini larghi circa 1 centimetro.

Per la pastella

Versare un po’ di farina, circa due cucchiai, in un piatto piano. Prendere la farina rimanente e metterla in una ciotola: aggiungere un pizzico di sale e il bicarbonato e mescolare. Versare anche l’aceto e irrorare il tutto con la birra, unendola a filo e mescolando con una frusta a mano fino a ottenere una pastella omogenea e dalla consistenza piuttosto densa.

Tutti gli ingredienti necessari per il fish and chips sono pronti: procedere con la frittura. Scaldare l’olio dividendolo in due padelle. In una ci vanno le patatine. Nell’altra padella portare l’olio a una temperatura di circa 160°C, dopodiché passare i bocconcini di merluzzo prima nella farina, poi nella pastella: metterli immediatamente in cottura, facendoli dorare in modo uniforme, scolando anch’essi con la schiumarola e adagiandoli in un altro piatto con carta assorbente.

Prima di servire aggiustare di sale e spruzzare con altro aceto, se si preferisce, per una maggiore freschezza e leggerezza.

Le alici alla scapece sono un antipasto della tradizione casalinga molto di uso nel sud Italia, caratterizzato da sapori forti e decisi. Come tutte le preparazioni “a scapece”, anche qui ritroviamo la frittura del pesce e poi la tipica marinatura aromatizzata all’aceto di vino, ingrediente insostituibile in questa ricetta. Il risultato è un piatto dal sapore semplice e genuino, da personalizzare a piacimento, variando ad esempio le erbe aromatiche o aggiungendo una nota piccante con del peperoncino fresco.

Ingredienti

— 400 g di acciughe (alici) già eviscerate

— Farina 00 q.b.

— Sale fino q.b.

— Olio extra vergine di oliva

Caricato Factory, Tatanoso, per friggere q.b.

Per la marinatura

— 2 spicchi d’aglio

— Menta q.b.

— 200 ml di aceto di vino bianco moscato

— 100 ml di acqua

— 50 ml di olio extra vergine di oliva

Preparazione

Per preparare le alici alla scapece per prima cosa sciacquare le alici già pulite, scolarle e tamponarle con carta assorbente. Quindi infarinarle. Eliminare la farina in eccesso e tenere da parte. Tritare gli spicchi d’aglio e la menta fresca. In un pentolino versare il trito di aromi.

Unire anche l’aceto, l’acqua e l’olio extra vergine di oliva.

Scaldare la marinatura sul fuoco senza farla bollire per 10 minuti a fiamma bassa. Passare poi alla frittura: portare a temperatura di 170° l’olio extra vergine di oliva in una padella e friggere poche alici alla volta per 2 minuti circa.

Scolare le alici su carta per fritti o carta assorbente poi salarle leggermente. Versare la marinatura sulle alici. Coprire le alici a scapece con pellicola trasparente e mettere in frigo per una notte prima di servirle.

Questa che segue, invece, è una preparazione della cucina greca che si trova molto facilmente nei ristoranti greci.

Ingredienti

— 1 kg di triglie, sardine, latterini (pesci piccoli in generale)

— ½ bicchiere di aceto di vino

— ½ bicchiere di vino bianco

— 1 bicchiere di olio extra vergine di oliva

Santagata 1907, Selezione Oro

— 1 bicchiere di acqua

— 1 rametto di rosmarino

— Farina qb

— Sale qb

— Pepe nero qb

Preparazione l mondo dell’olio da olive è stato celebrato in tante nazioni, portando la cultura della sua produzione in giro per il mondo. In tal senso lo strumento filatelico rappresenta un eccezionale veicolo di trasmissione di un messaggio che sta mantenendo vivo nel tempo la produzione olearia. mmergersi nel mondo dell’olio è un’esperienza unica, dove tutti i sensi vengono stimolati e trovano un percorso magico, a ascinante e naturale. Madre Natura ha voluto davvero donare all’umanità qualcosa di unico, con tutte le sue varietà che identificano territori lontani tra loro, con culture diverse e un passato non comune; eppure, a unirle è il frutto di un albero che mantiene vivo il senso della vita, il senso del bello e il senso del semplice.

Pulire i pesci, salare, infarinare e friggere. In un tegame preparare la salsa. Mettere l’olio a scaldare, aggiungere la farina e mescolare. Versare il vino, l’aceto, salare, pepare e unire il rosmarino. Subito dopo versare l’acqua e lasciare amalgamare la salsa. Unire in seguito i pesci e farli bollire 5 minuti nella salsa appena realizzata e servire.

C’è un altro impiego, non strettamente alimentare, dell’aceto. Per evitare che l’odore di fritto si propaghi in tutta la casa, è possibile collocare sul fuoco un pentolino con acqua e aceto: in questo modo l’e uvio sprigionato dall’ebollizione favorirà l’assorbimento degli odori rilasciati dalla frittura, bonificando l’ambiente.

“Vir” è un’edizione limitata e fuori commercio di Maria Luisa Durante. Estratto da olive Leccino - nel Salento, a Lecce - si ispira nel nome alla figlia Virginia. Destinato in parte per l’autoconsumo, in parte a essere regalato agli amici, rappresenta in maniera emblematica il lato bello e artistico dell’olivicoltura familiare. Eravamo abituati a immaginare un olio anonimo e senza identità, per le produzioni familiari che tanto contraddistinguono l’Italia. Invece qui si cura oltre alla qualità del contenuto anche l’aspetto estetico e l’estro. A partire da questo numero di OOF Magazine, il 16, segnaleremo di volta in volta un’etichetta che eleviamo a simbolo di rinascenza. Il Salento, si sa, è afflitto dalla Xylella, e proprio per questo ha bisogno di esprimere tanta energia e brio. Il disegno eseguito dalla piccola Virginia nei mesi della pandemia è il ritratto di Frida Kahlo. L’olio ha freschi sentori erbacei e un impatto dolce al palato. Morbido, di buona fluidità e finezza, dalle note amare e piccanti armoniche, chiude con eleganti e persistenti richiami alle erbe di campo. (F. C.)

Olio O cina, che ha fatto della cultura dell’olio una vera e propria missione, da dodici edizioni con Olio O cina Festival trasferisce la grande Milano, l’industriale Milano, la tecnologica e poliedrica Milano, in un virtuale giardino dove il verde intenso, mediterraneo e aromatico, ingentilisce lo skyline della città e la fa diventare la capitale del gusto unico e sempre diverso di questo nettare divino. In un caleidoscopio di colori e di parole che inneggiano alle caratteristiche sensoriali dell’olio e alla cultura di questo ramo dell’agricoltura sostenibile, si inserisce ormai con una tradizione consolidata, la filatelia. Ma prima di raccontare il percorso che Olio O cina ha intrapreso con Poste Italiane nel 2015, proviamo a fare un viaggio a ritroso nel tempo, percorrendo idealmente un’emozione che solo la filatelia è in grado di o rire: i francobolli che hanno raccontato questo mondo speciale che tutti noi amiamo. La rassegna non può essere esaustiva, ma rappresenta un omaggio che tante nazioni, soprattutto quelle dell’area mediterranea, hanno voluto dedicare all’olio e al suo mondo.

Come si può ben apprezzare ammirando i molti francobolli dedicati, vi sono tanti territori diversi, lingue di erenti, consuetudini di coltivazione distinte, ma sempre unite da un filo logico condutto- re e da un messaggio univoco trasmesso da quel veicolo postale che il francobollo porta indissolubilmente con sé. Sono pertanto innumerevoli i richiami all’ulivo come simbolo di pace, ma qui abbiamo voluto ripercorrere soprattutto il prodotto e la sua lavorazione.

Luigi Caricato ha sin da subito creduto nel messaggio filatelico, nella sua validità mediatica e culturale, che sa di storia, di arte, di tipicità, di territori e di tutto quanto può essere rappresentato da un annullo filatelico, da una cartolina e da un francobollo. Con gesti semplici, in passato, si mandavano messaggi o lettere con la nobile arte della scrittura manuale appresa con l’esercizio sui banchi di scuola. Si aveva il tempo di riflettere su quello che si voleva comunicare e si a dava a una busta o a una cartolina i nostri pensieri, le nostre confidenze, i nostri obiettivi e, in fin dei conti, il nostro stato d’animo.

Ormai puntuale, l’appuntamento con il richiamo filatelico, ricorda il periodo della fioritura dell’olivo, preludio di un frutto di cui ormai conosciamo tutto ma che ci permette sempre di scoprire qualcosa. Un appuntamento che è diventato arte, non fosse altro che per gli artisti che di volta in volta si sono cimentati nella realizzazione dei bozzetti.

23 gennaio

2015

IV edizione Olio O cina Festival:

“Le forme dell’olio”, bozzetto di Valerio Marini dedicato al design degli oli.

2019

VIII edizione Olio O cina Festival: “Cattedra ambulante di olivicoltura”, bozzetto di Giulia Serafin.

VIII edizione Olio O cina Festival: “Memoria su I saggi diversi di olio – G. Presta”, bozzetto di Giulia Serafin.

7, 8 febbraio

2020

IX edizione Olio O cina Festival: “60 anni dalla classificazione merceologica Extra Vergine”, bozzetto di Antonio Mele.

IX edizione Olio O cina Festival: “10 anni di Olio O cina – La cultura dell’olio”, bozzetto di Antonio Mele.

22, 23 gennaio

V edizione Olio O cina Festival: “Avanguardia. L’olio del futuro”, due bozzetti di Valerio Marini dedicati all’assaggio dell’olio.

4 febbraio

2021

X edizione Olio O cina Festival: “L’olivo rinasce”, bozzetto di Giulia Serafin

3, 4 febbraio

2017

18, 19 marzo

2022

XI edizione Olio O cina Festival: due bozzetti di Stefania Morgante, “L’olio della bellezza” e “L’oliere”.

2018

VI edizione Olio O cina Festival:

“Energia. Olio in movimento”, bozzetto di Valerio Marini dedicato alla figura professionale dell’oleologo.

VI edizione Olio O cina Festival: “Innesto olivi contro la xylella”, bozzetto di Valerio Marini dedicato al flagello che si è abbattuto sugli olivi nel Salento.

VII edizione Olio O cina Festival:

“Io sono un albero”, due bozzetti di Doriano Strologo: il primo con due alberi secolari, il secondo con un olivicoltore nell’atto di raccogliere le olive.

15 novembre

2022

Olio e design. Olio O cina e Simei presentano l’oliena: bozzetto di Mauro Olivieri

2023

XII edizione Olio O cina Festival: “L’olio è progresso”, bozzetto di Stefania Morgante.

XII edizione Olio O cina Festival: “Omaggio a Giuseppe Pontiggia a vent’anni dalla morte”, bozzetto di Stefania Morgante.

uesto insolito viaggio filatelico ha dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, che olio è anche cultura, arte (del lavoro, della coltivazione, dell’indotto che crea, del sapere antico) in un mondo che chiama al progresso, ma che non può avere un senso senza una visione del passato, come lo strumento del francobollo che dal passato arriva per lanciarsi verso un futuro sempre più innovativo nel solco della tradizione.

di Chiara Di Modugno

La cerimonia si è svolta sabato 6 maggio, presso l’Abbazia di Westminster

Non si tratta di un olio qualsiasi, ma di un olio facente parte di una lunghissima tradizione secolare, impiegato per l’unzione dei monarchi di tutti i tempi. La consacrazione del succo di olive è avvenuta a Gerusalemme, presso la Chiesa del Santo Sepolcro, per mano di Sua Beatitudine Theophilos III, patriarca di Gerusalemme, e del reverendo Hosam Naoum, arcivescovo anglicano. Le olive da cui è stato ricavato l’olio sono state raccolte presso il Monte degli Ulivi del Monastero di Maria Maddalena e del Monastero dell’Ascensione. Il Monastero di Maria Maddalena, in particolare, è un luogo molto caro a Re Carlo III. Vi è sepolta la principessa Alice di Battenberg, madre del principe Filippo di Edimburgo e nonna di Sua Maestà. Nata nel Castello di Windsor nel 1885, la nobildonna è stata principessa di Battenberg, Grecia e Danimarca ed è venuta a mancare nel 1969. Quanto alle olive, queste sono state spremute con ogni cura in un frantoio poco distante da Betlemme. L’olio estratto, profumato con oli essenziali di sesamo, rosa, gelsomino, cannella, neroli, benzoino e ambra, è stato accompagnato dai fiori d’arancio. Una formula specifica studiata nei minimi particolari e utilizzata per centinaia di anni.

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