Olio Officina Magazine n. 16

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LA RIVISTA DEI CONDIMENTI

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OXOS

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di Chiara Di Modugno Il fritto chiama l’olio, sia quello estratto dalle olive, sia quello ricavato dai semi di altre specie vegetali. Questo però non esclude che alcune fasi possano prevedere l’utilizzo di un altro condimento, durante la preparazione stessa, o al termine: sì, stiamo proprio pensando all’aceto. Dopo aver osservato tutti i passaggi essenziali, quest’ultimo contribuisce a rendere perfetta la preparazione. Infatti, immergendo per pochi istanti in una bacinella di acqua e aceto – dove le parti si equivalgono – la pietanza che si intende poi friggere, la farina in eccesso viene rimossa, così come l’amido presente nella farina; in questo modo il rischio che la frittura bruci il cibo in questione è molto bassa. Serve anche ricordare che attraverso questo passaggio si otterrà un piatto finale dalla consistenza molto più compatta e soda, e per quanto sia un rimedio da sempre utilizzato nelle cucine, molti non ne sono a conoscenza. Ma l’aceto svolge anche un’altra funzione, quella di conservare il fritto ed evitare che gli avanzi vengano sprecati. La tecnica a cui facciamo riferimento è la marinatura, una tecnica che nasce proprio per prolungare la conservazione degli alimenti. Nel tempo i suoi impieghi si sono ampliati e si sono scoperte le sue capacità di insaporire e ammorbidire i diversi cibi prima di essere cucinati, ma tutt’oggi la marinatura con l’aceto risulta essere uno dei migliori modi per riutilizzare ciò che è stato fritto, come è appunto il caso del pesce. La marinatura può essere realizzata in due distinti modi, alla tartara, o al carpione, e permette di consumare il piatto fino a una settimana. Anche la scapece, metodo di origine araba, diffuso e reinterpretato a seconda delle tradizioni in Italia, Spagna e Portogallo, è molto conosciuto per conservare gli alimenti sotto aceto, e indica sia il procedimento stesso che il prodotto ottenuto. La marinata può essere realizzata con diversi prodotti – zafferano, alloro, aceto, vino, menta o pepe – a seconda dell’alimento principale. In Puglia è possibile degustare la “scapece gallipolina”, che, come suggerisce il nome, è una ricetta tipica di Gallipoli. Dopo aver fritto il pesce nell’olio, quest’ultimo viene fatto marinare a strati alternati con mollica di pane precedentemente imbevuta con aceto e zafferano. Mentre in Liguria, dove il dialetto vuole che si pronunci “scabeccio”, dopo aver infarinato e fritto i pesci – in particolar modo triglie, acciughe e altri di piccole dimensioni – vengono fatti marinare per almeno un giorno in aceto, olio, sale, aglio, cipolle e rosmarino. Le ricette regionali che prevedono l’impiego dell’aceto per questo tipo di preparazione sono molte, e sarebbe molto interessante portare avanti un ricettario in cui, a partire proprio dalla tradizione, si possano raccogliere ricette che prevedano il fritto, o la sequenza successiva, con l’aceto.


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