Il Giornale dei Biologi - N.6/8 - Luglio/Agosto 2021

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Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Luglio/Agosto 2021 Anno IV - N. 7/8

SALGONO I CONTAGI CON LA VARIANTE DELTA

I numeri del Covid tornano a crescere. Ministero della Salute: “Vaccini argine contro il virus e i sintomi gravi”

www.onb.it


DELEGAZIONE REGIONALE SARDEGNA

Workshop

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GESTIONE, RIPRISTINO E CONSERVAZIONE DELLE AREE UMIDE QUALE CHIAVE DI LOTTA ALLA DESERTIFICAZIONE

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Cagliari, 11-12 settembre 2021 Parco Naturale Regionale Molentargius – Saline


Sommario

Sommario EDITORIALE 3

Quel lacero mantello di Vincenzo D’Anna

PRIMO PIANO 6

8

Covid, contagi in risalita e variante Delta prevalente di Rino Dazzo

76

Onb e Fao, partnership su Terra e Acqua

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Il cervello a riposo prepara super prestazioni di Pasquale Santilio

17

Parkinson: più rischi con le varianti genetiche rare di Pasquale Santilio

18

GlicoRna, una nuova classe di biomolecole di Sara Bovio

20

Talassemia: corretto il gene della forma grave di Domenico Esposito

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I benedici dell’anguria, la regina dell’estate di Domenico Esposito

23

La caffeina protegge dal melanoma di Domenico Esposito

26

Chemosensation del follicolo pilifero di Biancamaria Mancini

28

Fattori di protezione solare e pelle di Carla Cimmino

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AMBIENTE

INTERVISTE 10

Come le cellule perdono l’identità causando l’insorgenza dei tumori di Chiara Di Martino

12

Vescicole extracellulari biomarcatori tumorali di Chiara Di Martino

SALUTE 14

Alzheimer: primi segnali nella dopamina di Domenico Esposito

32

Isole sostenibili 2021. Rapporto Lagambiente-Cnr di Felicia Frisi

34

Reti e mattoni selvaggi di Gianpaolo Palazzo

36

I consigli del Wwf per una vita plastic free di Gianpaolo Palazzo

38

Il ritorno dei castori di Giacomo Talignani


Sommario

40

I panda meno minacciati di estinzione di Giacomo Talignani

44

Caldo killer: così nel mondo le ondate di calore uccidono miliardi di animali di Giacomo Talignani

46 SPORT-OLIMPIADI

46

Imparare dal bosco di Gianpaolo Palazzo

62

Più veloci di tutti. Più in alto di tutti di Antonino Palumbo

48

L’Enea e il progetto “sensibile” di Michelangelo Ottaviano

66

A Tokyo l’ultimo “ballo” della Divina di Antonino Palumbo

49

Uomo drago, scoperta una nuova specie umana di Michelangelo Ottaviano

67

Uta e Hifumi Abe nella storia: due ori in famiglia di Antonino Palumbo

51

Nuove metodologie per mappare i fondali marini di Pasquale Santilio

SPORT

INNOVAZIONE

68

L’impresa di Berrettini a Wimbledon di Antonino Palumbo

72

Il calcio torna azzurro: 10 cose belle di Euro2020 di Antonino Palumbo

52

Università. La classifica del Censis di Felicia Frisi

54

Le nuove frontiere della chimica verde di Sara Bovio

74

Doping: il primo caso alle Olimpiati del 1904 di Marco Modugno

56

Il “cuore” ultraveloce delle celle solari di Pasquale Santilio

76

BREVI LAVORO

78

Concorsi pubblici per Biologi

SCIENZE

62

80

I percorsi storici sul sequenziamento del DNA (parte I) di di S. Barocci et al.

84

La connessione ecologica per la biodiversità e la longevità di Giovanni Misasi et al.

90

La tassonomia: una scienza “vintage” o “moderna” per valutare la biodiversità? di Cinzia Gravili

BENI CULTURALI 58

Il castello affrescato della Manta di Rino Dazzo

61

Tre nuovi siti italiani patrimoni dell’Unesco di Pietro Sapia

ECM 94

La Meningite meningococcica: caratteristiche, diagnosi e vaccini

di Elena Scaglione et al.


Editoriale

Quel lacero mantello di Vincenzo D’Anna Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi

S

i deve allo storico e filosofo latino non addirittura originata da una matrice diviPublio Cornelio Tacito il primo li- na. È con questa veste oscura ed austera che bro sulle modalità di governo dello chi governa è in grado di imporre ai governaStato, un lavoro che anticipa di molti ti la propria volontà. Lo storico negli Annali

secoli il più noto “Principe” di Niccolò Ma- racconta che il detentore del potere utilizzava chiavelli. Negli Annali, Tacito svela quali sono i segreti del potere (gli Arcana Imperii) spiegando che per governare la cosa pubblica spesso occorre non solo saper gestire il potere ma anche mantenere

tre mantelli che indossava a Siamo alla vigilia dell’anno delle elezioni dei consigli degli 11 ordini regionali che comporranno la Federazione degli Ordini dei Biologi

segreti gli strumenti utilizzati per farlo.

seconda delle circostanze per giustificare i provvedimenti che assumeva. Uno era il bonus pubblicum, allorquando intendeva lasciar credere che quella disposizione era adot-

tata per il bene del pubblico, un altro era il

Il popolo, sovente, deve essere influenza- salus pubblica nel momento in cui si dispoto da queste pratiche esoteriche che rendono neva per tutelare la salute pubblica. Il terzo, il la figura di chi governa, autorevole e, al tem- più usato, ovvero quello lacero, era l’intentio, po stesso, imperscrutabile. In pratica trattasi la buona intenzione. di un espediente che rende il potere stesso

Era quest’ultimo proposito il motivo più

espressione di una volontà trascendente se ricorrente invocato dai governanti per giuGdB | Luglio/agosto 2021

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Editoriale

stificare le decisioni assunte. I tempi sono assicurare la governance dei Biologi. Il Concambiati ed i governi assumono decisioni siglio dell’Ordine, il Consiglio Nazionale e la democratiche, così abolendo l’assolutismo Commissione Disciplina cesseranno di esistedecisionale dei monarchi e dei tiranni, con re e saranno sostituiti, dalla Federazione del’ausilio delle carte costituzionali e delle gli Ordini, a livello nazionale e dai Consiglio leggi votate dal parlamento eletto a suffra- direttivi regionali sul piano territoriale, così gio universale.

come le Commissioni di Disciplina regionali.

Una digressione storica politica, la nostra, Sarà quindi determinante il gradiente di parche serve ad introdurre un argomento che ci tecipazione degli iscritti al voto e la qualità sta particolarmente a cuore: il modo con il quale i Biologi hanno considerato (poco a dire il vero), nel corso del mezzo secolo di vita del loro Ordine nazionale, la democrazia partecipata. Alla vigilia dell’anno delle elezioni dei

degli eletti a livello regionale Il 31 dicembre 2022 gli organi decisionali deputati alla governance dei Biologi cesseranno di esistere e avrà vita una nuova organizzazione territoriale

e poi di quelli a livello nazionale nella Federazione. Per molti anni la partecipazione al voto è stata scarsa, non avendo mai superato il venti percento dei partecipanti tra gli aventi diritto.

consigli direttivi degli undici ordini regio- Parimenti scarso è risultato il gradiente di nali autonomi che comporranno la Federa- democrazia effettiva registrato nelle tornate zione degli ordini medesimi, è più che mai elettorali, requisito, quest’ultimo, contamiopportuno che si discuta su questo fattore nato fortemente dal voto per posta che si è decisivo per la nuova organizzazione terri- prestato a manipolazioni ed a disfunzioni. toriale dell’ONB. L’ingresso nelle professio- Ben due le elezioni annullate per difetti rileni sanitarie ha infatti cancellato la centralità vati dai TAR e dal Consiglio di Stato con la dell’Ordine che si appresta a chiudere i bat- nomina di due commissari inviati dal Minitenti definitivamente il 31 dicembre del 2022 stero vigilante, all’epoca quello di Giustizia. e con esso gli organi decisionali deputati ad Un Ministero sempre poco vigile e presente 4

GdB | Luglio/agosto 2021


Editoriale

per estraneità di competenze e di interesse

L’organizzazione delle operazioni di voto

verso i Biologi ritenuti, non a torto, un cor- e di scrutinio farà capo ai commissari strapo estraneo per quel Ministero. Un’indiffe- ordinari indicati dal Ministero della Salute renza che ha pesato non poco sul controllo con apposito decreto. Le tornate elettorali di legalità delle tornate elettorali e sul voto saranno tre a seconda del raggiungimento del per corrispondenza. E tuttavia tranne i di- quorum indicato dal regolamento elettorale retti interessati, ovvero i candidati non eletti, per ciascuna tornata. Il Consiglio dell’Ordine non c’è stato mai un moto di interesse verso ha approvato il regolamento elettorale sulla quelle pratiche poco chiare che ebbero a por- falsariga delle norme contenute nella legge tare al governo dell’ONB taluni personaggi per oltre un ventennio, senza soluzione di continuità. Non riesumo fatti ormai consegnati al tempo edace, anacronistici e come tali marginali, per spirito di

sul riordino delle professioL’invito ai Biologi è quello di interessarsi concretamente alla tornata elettorale, senza indossare il lacero mantello delle sole buone intenzioni

polemica o per mera dietro-

ni sanitarie. I seggi saranno composti per volontà delle assemblee elettorali. Saranno convocati secondo criteri di anzianità oltre che di iscrizione all’ONB. Un quadro di certezze giu-

logia, quanto per avvertire chi ha la bontà di ridiche, al quale associare una trasparente ed leggere questo editoriale, che occorre cam- efficiente rete capillare di controlli da parte dei biare registro. Per continuare sulla strada commissari preposti, garantirà la legittimità del rilancio della categoria, per migliorare delle operazioni e la sicurezza degli esiti. Inl’organizzazione e la presenza dell’ONB nei somma, anche stavolta l’aria di rinnovamento contesti che contano, occorre un rinnovato pervaderà questo evento. Non ci sono Arcana spirito di partecipazione ed interesse per gli Imperii ma democratiche elezioni. L’invito ai esiti elettorali. Si voterà solo di persona pres- Biologi è quello di interessarsi concretamente so i seggi che saranno allestiti nelle varie zone alla tornata elettorale, senza indossare il lacero territoriali delle regioni interessate.

mantello delle sole buone intenzioni. GdB | Luglio/agosto 2021

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Primo piano

COVID, CONTAGI IN RISALITA E VARIANTE DELTA PREVALENTE Ministero della Salute: “La copertura vaccinale è lo strumento principale per prevenire ulteriori recrudescenze di episodi di aumentata circolazione del virus”

di Rino Dazzo

C

ontagi in risalita e variante Delta che si è affermata come prevalente nel Paese qualche settimana prima delle previsioni: luglio si è chiuso con una graduale progressione dei nuovi casi di Covid-19 in Italia, in controtendenza rispetto ai mesi precedenti. Si comincia a parlare di «quarta ondata», anche se l’impennata dei contagi non è stata seguita – almeno per il momento – da un aumento preoccupante dei decessi e dei ricoveri in terapia intensiva e nei reparti ordinari. I vaccini hanno attutito il colpo e limitato i danni, come del resto accaduto nei paesi – Regno Unito e Israele su tutti – che erano avanti con la campagna e che avevano dovuto fare i conti prima con la risalita dei contagi. I dati parlano chiaro. Positivi in aumento – circa 30mila in più rispetto ai 55mila di fine giugno – eppure la mortalità da Covid si è abbas-

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GdB | Luglio/agosto 2021

sata notevolmente (16 decessi al giorno la media mensile) e la pressione ospedaliera è rimasta tutto sommato sostenibile in tutto il Paese, ancora interamente “zona bianca” e con tre sole regioni a rischio gialla nelle prossime settimane: Sicilia, Sardegna e Lazio. Più bassa, d’altro canto, l’età media dei contagiati, profondamente diversa rispetto all’anno precedente: 27 anni, contro i 40 anni del 2020. Dal Ministero della Salute, nel suo ultimo monitoraggio sull’andamento dell’epidemia, l’invito a intensificare prevenzione e contact tracing: «L’attuale impatto della malattia Covid-19 sui servizi ospedalieri presenta tassi di occupazione e numero di ricoverati in area medica e terapia intensiva in lieve aumento. La trasmissibilità sui casi ospedalizzati è sopra la soglia epidemica. La circolazione della variante Delta è ormai largamente prevalente in Italia. Questa


Primo piano

Il Ministro della Salute, Roberto Speranza.

variante sta portando a un aumento dei casi in altri Paesi con alta copertura vaccinale, pertanto è opportuno realizzare un capillare tracciamento e contenimento dei casi. Una più elevata copertura vaccinale e il completamento dei cicli di vaccinazione rappresentano gli strumenti principali per prevenire ulteriori recrudescenze di episodi di aumentata circolazione del virus sostenute da varianti emergenti con maggiore trasmissibilità. Sulla base dei dati e delle previsioni ECDC (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, agenzia indipendente dell’Unione Europea), della predominanza della variante virale Delta in Italia e delle attuali coperture vaccinali, è opportuno mantenere elevata l’attenzione, così come applicare e rispettare misure e comportamenti per limitare l’ulteriore aumento della circolazione virale». Che i vaccini siano l’arma principale per contenere e frenare l’epidemia, del resto, lo conferma anche l’analisi sulla mortalità eseguita dall’Istituto Superiore di Sanità per il periodo dal primo febbraio al 21 luglio. La quasi totalità dei decessi registrati in Italia in questo lasso di tempo, il 99%, ha riguardato persone che non avevano terminato il ciclo delle vaccinazioni. Tra quelli che avevano ricevuto le dosi, invece, si è registrata un’età media più alta, 88.6 anni contro 80, e un numero medio di patologie pregresse maggiori rispetto alla media precedente: 5, contro 3,7. Ma a che punto è l’andamento della campagna di vaccinazione nel-

Dopo la frenata della prima parte di luglio, a ridare slancio e vigore alle prenotazioni sono stati gli annunci sul Green Pass, che hanno scosso soprattutto i più giovani.

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la Penisola? Alla fine di luglio oltre il 60% della popolazione, più di 36 milioni di persone, ha ricevuto la prima dose. Ha completato il ciclo con entrambe le dosi, o con una sola somministrazione nel caso del vaccino monodose sviluppato da Johnson & Johnson o per chi ha avuto pregressa infezione, più del 54% della popolazione: oltre 32 milioni di persone. L’obiettivo di arrivare all’80% entro fine agosto, ribadito in più occasioni dal commissario straordinario per l’emergenza generale Figliuolo, rimane raggiungibile, soprattutto se si continuerà a viaggiare sui trend dell’ultima settimana del mese, superiori alle 400mila somministrazioni di media quotidiane. Dopo la frenata della prima parte di luglio, a ridare slancio e vigore alle prenotazioni sono stati gli annunci sul Green Pass, che hanno scosso soprattutto i più giovani (e l’Aifa ha dato il via libera al siero Moderna anche per i ragazzi da 12 a 17 anni). Proprio la fascia 12-19 anni, comprensibilmente, è quella ancora meno coperta dai vaccini. Solo il 16,57% ha ricevuto due dosi, il 17,61% una sola dose, mentre il 65,82% - di fatto, due ragazzi su tre - non sono ancora protetti. La percentuale di non vaccinati neppure con una dose si abbassa al 38,98% nella fascia 20-29 anni, risale al 39,92% tra i 30-39 anni per riabbassarsi al 32,47% nella fascia d’età compresa tra 40 e 49 anni e al 22,91% tra 50 e 59 anni. Rimangono ancora alte le percentuali di persone che non hanno ricevuto neppure una dose tra i 60 e i 69 anni (15,41%) e tra i 70 e i 79 anni (10,48%). Quasi completata, invece, la vaccinazione degli over 80 (5,93% quelli che non hanno ricevuto neppure una dose) e degli over 90 (1,97%). Intanto, si comincia a parlare anche di possibile terza dose per soggetti fragili, sanitari e categorie a rischio, anche perché gli ultimi studi sulla durata degli anticorpi dei vaccini a mRna (Pfizer e Moderna) suggeriscono una diminuzione dell’efficacia all’83,7% dopo quattro-sei mesi dal completamento del ciclo. Proprio secondo Pfizer, il secondo richiamo del vaccino garantirebbe una protezione più efficace contro le varianti che si stanno affermando nel mondo, Delta in primis. In Israele hanno già dato l’ok a un’ulteriore iniezione, a patto che siano trascorsi oltre cinque mesi dalla seconda. La priorità in Italia, almeno per il momento, è sempre quella di vaccinare giovani e over 60. Solo dopo si procederà con ulteriori dosi. GdB | Luglio/agosto 2021

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Primo Piano

Da sinistra, Vincenzo D’Anna, Giuliano Russini, Maria Sorrentino, Maria Helena Semedo, Aruna Gujral, Ariella Glinni, Beth Bechdol, Maurizio Martina.

ONB-FAO, PARTNERSHIP SU TERRA E ACQUA Prosegue l’intesa tra l’Ordine Nazionale dei Biologi e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. La lettera sui progetti futuri

I

n riferimento alla partnership tra Onb e Fao avviata nel mese di giugno scorso e finalizzata all’inserimento dei Biologi in progetti ambientali, pubblichiamo una lettera inviata al presidente D’Anna da parte dei vertici dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Egregio Signor D’Anna, In primo luogo, desidero ringraziarvi per l’incontro molto istruttivo tenuto con voi e altri rappresentanti del Coordinamento Nazionale dei Biologi Ambienta-

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GdB | Luglio/agosto Giugno 2021 2021

li (CNBA) dell’Ordine Nazionale dei Biologi (ONB) il 24 giugno 2021. Apprezzo anche i vostri messaggi di follow-up volti a esplorare e sviluppare una partnership tra l’ONB e la FAO, nonché l’invito a parlare al Congresso su “Gestione, ripristino e conservazione delle zone umide per affrontare la desertificazione”, organizzato dall’ONB, Università di Cagliari e Regione Sardegna 11-12 settembre 2021. Sono lieto di informarvi che la Divisione Terra e Acqua della FAO (NSL) sarà il punto focale dell’Organizzazione per la collaborazione

con l’ONB e guiderà il coordinamento tra l’ONB e le altre Divisioni della FAO, se necessario. Ciò includerà ulteriori discussioni congiunte per definire le aree e le modalità della futura collaborazione. L’Ufficio del Direttore della NSL sarà in comunicazione diretta con te e i colleghi dell’ONB per fornire i dettagli di contatto dei Funzionari interessati. In merito alla tua lettera del 15 luglio 2021, desidero ringraziarti per il gentile invito a parlare al Congresso su “Gestione, ripristino e conservazione delle zone umide per affrontare la desertificazione” e per aver condiviso l’ultimo programma (https:// cdn.onb. it/2021/07/aree_umide_completo_versione_sette.pdf). La Divisione del punto focale fornirà consulenza sulla partecipazione prevista. Confido che troverete questo aggiornamento utile per fare progressi nell’ulteriore esplorazione della partnership proposta nelle aree chiave del nostro comune interesse.


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GdB | Luglio/agosto 2021

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Intervista

COME LE CELLULE PERDONO L’IDENTITÀ CAUSANDO L’INSORGENZA DEI TUMORI Indagine del gruppo coordinato da Diego Pasini, leader del Gruppo Meccanismi Epigenetici del cancro all’Istituto Europeo di Oncologia. La ricerca è stata pubblicata su Molecular Cell

di Chiara Di Martino

I

dentificato uno dei meccanismi molecolari che causa la “perdita di identità” delle cellule: ad aprire un potenziale varco verso future nuove opzioni terapeutiche di molti tumori è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia e del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano. Sostenuta dalla Fondazione Airc, la ricerca, pubblicata su Molecular Cell, indaga il meccanismo che coinvolge la perdita di funzionalità della proteina BAP1 coinvolta in vari processi cellulari, (incluso il rimodellamento della cromatina), che caratterizza lo sviluppo di un gruppo di tumori comprendente mesoteliomi, melanomi uveali e diversi tipi di cancro del fegato. A ripercorrere la genesi dello studio è Diego Pasini, che lo ha coordinato, leader del Gruppo Meccanismi Epigenetici del cancro all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e docente del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università Statale. Laureatosi a Milano in Scienze Biologiche, durante il dottorato si è diviso tra l’Italia e la Danimarca, per poi tornare in Italia nel 2010 dove ha avviato il suo laboratorio indipendente come Group Leader junior

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presso il dipartimento di oncologia sperimentale dello IEO. Professore Pasini, da dove parte lo studio? Il nostro laboratorio, fin dalla sua nascita nel 2010, è impegnato in quella che comunemente si indica con l’espressione fundamental science. In questo contesto, cerchiamo di capire come le cellule acquisiscono identità specifiche. Al livello molecolare questo coinvolge lo studio dei meccanismi attraverso i quali “accendono” e “spengono” specifici set di geni, tutti meccanismi fondamentali per acquisire specifiche funzioni esprimendo solo alcune proteine specifiche e mantenendo spente le altre. Quando questo equilibrio manca, si perde l’identità. Perché queste premesse sono così importanti? Perché questa perdita di identità, in oncologia, rappresenta una “strada” che tutti i tumori intraprendono. Sono meccanismi già da una decina d’anni sotto la lente di ingrandimento della ricerca grazie alle grandi quantità di informazioni genetiche ottenute dal sequenziamento dei genomi di pazienti che hanno consentito l’identificazione di alterazioni genetiche che non conoscevamo in tumori spe-


Intervista

© Image Supply/shutterstock.com

cifici. Andando più nel dettaglio, BAP1 svolge normalmente il ruolo di soppressore tumorale, agendo da controllore dell’identità delle nostre cellule. Tutte le cellule tumorali perdono infatti parte della propria identità per rompere le barriere imposte dai tessuti e dal nostro sistema immunitario e crescono in modo incontrollato. La ricerca in oggetto si concentra in particolare su questa proteina? Sì, e questo aspetto – che si incardina nel filone di ricerca più ‘antico’ del nostro laboratorio – è stato oggetto di studio negli ultimi due anni, anche grazie a Eric Conway, che ne è l’autore principale, un post-doc irlandese che è venuto nel mio laboratorio grazie ad una borsa di studio iCARE molto competitiva finanziata da AIRC. Molti dei tumori studiati presentano mutazioni del gene che fanno perdere l’identità cellulare. La perdita di funzioni della proteina appare fondamentale per lo sviluppo dei tumori. La nostra ricerca ha chiarito il meccanismo d’azione, svelando l’effetto delle mutazioni in questa proteina, un enzima che rimodella la cromatina. Attraverso tecniche di ingegnerizzazione genetica abbiamo cercato di capire quanto queste strategie potenziali possano essere applicate a vari tipi di tumore. Con quale orizzonte? Quello di potenziali regolatori su cui si potrà intervenire a livello terapeutico, ribilanciando lo squilibrio causato dalla perdita di identità generato dalla perdita di BAP1. C’è bisogno di altro lavoro, sia dal punto di vista molecolare sia attraverso lo sviluppo di inibitori, compo-

Diego Pasini. Diego Pasini, 44 anni, si è laureato presso l’Università di Milano in Scienze Biologiche nel 2002 ed è entrato a far parte dell’Istituto Europeo di Oncologia. Da gennaio 2015 è diventato Group Leader di ruolo presso IEO ed è stato eletto EMBO Young Investigator. Nel 2017 è stato insignito di un ERC Consolidator grant e da marzo 2018 è diventato Professore Associato presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano.

sti che possono andare a inibire il meccanismo che abbiamo descritto ed essere utilizzati a scopo terapeutico: questo secondo aspetto, però, rientra nelle competenze di altri laboratori. In parallelo c’è un lavoro di stampo più biochimico sugli enzimi - particolarmente articolato perché coinvolge l’azione coordinata di 5-6 proteine diverse - per capire come colpirle. E ora? L’obiettivo è espandere queste osservazioni a un numero di pazienti più ampio e poterle analizzare in tumori di tipo diverso ma con le stesse mutazioni. Il passaggio successivo è spostarle in modelli in vivo: sono già in programma studi preclinici per validare le nostre osservazioni e verificare l’efficacia terapeutica dei meccanismi che abbiamo identificato. Il nostro lavoro è un passo in più verso una medicina di precisione anche per i tumori più difficili da curare. Chi c’è dietro questo studio? L’autore principale del lavoro è Eric Conway, ma alla ricerca hanno collaborato Federico Rossi, post-doc bioinformatico; Daniel Fernandez Perez ad Eleonora Ponzo, dottorandi in medicina molecolare alla scuola SEMM; Karin Ferrari, staff scientist del mio laboratorio; Marika Zanotti, tecnico specializzato; Daria Manganaro, post-doc in biologia molecolare; Simona Rodighiero, coordinatore della Imaging Unit del nostro dipartimento e Simone Tamburri, ricercatore dell’Università di Milano e mio diretto collaboratore, che mi ha aiutato a coordinare la ricerca. GdB | Luglio/agosto 2021

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Intervista

VESCICOLE EXTRACELLULARI BIOMARCATORI TUMORALI Uno studio italiano guidato da Ilaria Laurenzana, premiato dalla Società Italiana di Citometria, ha individuato una potenziale tecnica diagnostica meno invasiva di quelle tradizionali “L’obiettivo della ricerca oncologica è di sostituire la biopsia tissutale con la biopsia liquida”

U

n premio prestigioso, quello della Società Italiana di Citometria, che quest’anno per la sezione ematologia è finito tra le mani di una giovane ricercatrice. Lucana, 35 anni, Ilaria Laurenzana lavora dal 2011 nei laboratori di ricerca preclinica e traslazionale dell’IRCCS Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata. Tutto è partito dall’identificazione di un nuovo metodo di isolamento delle vescicole extracellulari che potrebbero, in futuro, diventare biomarcatori tumorali: lo studio ha dunque implicazioni importanti, come testimonia la pubblicazione sull’International Journal of Nanomedicine. Dottoressa, che valore ha un premio così prestigioso per una giovane ricercatrice? I premi scientifici hanno sempre un grande valore per un ricercatore e per tutto il gruppo di ricerca. In particolare, tanta soddisfazione per l’assegnazione di questo premio da parte della Società Italiana di Citometria che annovera fra i suoi soci i massimi esperti italiani di citofluorimetria. Come sintetizzerebbe lo studio che c’è dietro? È stato messo a punto un work-flow semplificato per l’isolamento delle vescicole extracellulari a partire da un piccolo volume di siero e per la loro successiva analisi a livello quantitativo, fenotipico e di contenuto molecolare in termini di DNA/RNA. La procedura, applicata su sieri di soggetti sani e pazienti affetti da mieloma multiplo, una tra le più comuni neoplasie ematologiche, ci ha permesso di identifi-

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care vescicole specifiche di malattia e di caratterizzare le loro dimensioni, la concentrazione e il contenuto in microRNA, consentendo la discriminazione significativa tra sani e malati. Andando più nel dettaglio, da dove siete partiti? Quando è iniziato lo studio? Le vescicole extracellulari sono piccole particelle rilasciate da tutte le cellule e sono presenti in diversi fluidi biologici: sangue, saliva, urina, latte materno. Rispecchiano totalmente o in parte le cellule da cui derivano e nella loro capacità di influenzare la fisiologia delle cellule che le ricevono, rappresentando quindi un importante mezzo di comunicazione tra cellule ed è stato dimostrato il loro ruolo chiave nello sviluppo e nella progressione dei tumori. La capacità di “rappresentare” la cellula di origine, insieme alla possibilità di poterle identificare nei fluidi biologici, fa sì che esse possano essere considerate dei potenziali biomarcatori. Abbiamo iniziato a lavorare sulle vescicole extracellulari nel 2012: già nel 2015 abbiamo dimostrato che sono presenti nel sangue periferico dei pazienti affetti da neoplasie ematologiche. Le abbiamo isolate e analizzate, concludendo che sono presenti in maggiore quantità nei pazienti rispetto ai controlli sani, e, dato ancor più interessante, veicolano proteine specifiche del tumore. L’enorme vantaggio di questo studio è che il campione di partenza è un semplice prelievo di sangue periferico, con l’obiettivo di evitare così esami più invasivi, come la biopsia midollare. Quali altri vantaggi presenta?


Intervista

Dopo l’isolamento delle vescicole, analizzando le proteine sulla loro superficie e il loro contenuto molecolare in termini di microRNA, possiamo identificare dei marcatori tumorali nello specifico nel contesto del mieloma multiplo. Nel primo lavoro avevamo utilizzato l’ultracentrifuga, strumento presente nel nostro Istituto ma non comune nei laboratori di analisi cliniche. Ci siamo chiesti se fosse possibile isolarle anche con uno strumento più comune, la centrifuga da banco e abbiamo avuto ragione. In più, abbiamo ottenuto vescicole “pure” prive di contaminanti del siero che in genere possono compromettere le successive analisi dei marcatori tumorali. L’aspetto più innovativo? Poter identificare nuovi biomarcatori tumorali circolanti. Noi le abbiamo definite come “piccole biopsie cellulari circolanti”: con il loro contenuto molecolare e le loro caratteristiche proteiche, essendo rilasciate dalle cellule normali e neoplastiche, possono fornire nuove e utili informazioni. Il metodo è stato applicato finora al mieloma multiplo. Che impatto potrebbe avere sulla cura di altri tumori? Quanto dimostrato potrebbe essere ampliato a tutti i tipi di tumori, soprattutto a quelli solidi. La sostituzione della biopsia tissutale con la biopsia liquida rappresenta un importante obiettivo nella ricerca oncologica: la diagnosi può diventare meno invasiva. Sono però necessari ulteriori studi per utilizzare le vescicole extracellulari nella pratica clinica.

Fonte: www.crob.it

Chi è

Le vescicole extracellulari sono piccole particelle rilasciate da tutte le cellule e sono presenti in diversi fluidi biologici: sangue, saliva, urina, latte materno.

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Crob di Rionero in Vulture (Potenza).

Da chi è composto il team che ha condotto la ricerca? Dal gruppo di ricerca di oncoematologia del CROB: Antonella Caivano, Luciana De Luca, Daniela Lamorte e Stefania Trino; dal reparto di ematologia diretto prima dal prof. Pellegrino Musto e ora dal dott. Giuseppe Pietrantuono, dal laboratorio di analisi diretto dal dott. Antonio Traficante e dal nostro Direttore Scientifico prof. Alessandro Sgambato. Il lavoro è il risultato anche della collaborazione con altri istituti di ricerca nazionali quali l’Istituto di Struttura della Materia-CNR di Roma con il dott. Marco Girasole e l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante-CNR di Bari con il dott. Angelo De Stradis. Ci tengo a ringraziare particolarmente le colleghe Trino, Lamorte, Caivano e De Luca: il premio va a tutte noi e lo dedichiamo al nostro caro prof. Luigi Del Vecchio che ha lasciato un grande vuoto. Naturalmente, ringrazio infinitamente i pazienti per la loro disponibilità. (C. D. M.)

Ilaria Laurenzana.

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laria Laurenzana si è laureata in Chimica e tecnologia farmaceutiche all’Università di Siena, ha conseguito l’abilitazione alla professione di farmacista ma ha intrapreso subito la strada della ricerca scientifica. Lavora come ricercatore presso i laboratori di ricerca preclinica e traslazionale dell’IRCCS Centro di Riferimento Oncologico della Basilicata (CROB), riconosciuto a livello nazionale con Decreto del Ministro della Salute del 10 marzo 2008 nella specializzazione oncologica. Con sede nell’area Nord della regione, ai piedi del monte Vulture, ha finalità di ricerca clinica e traslazionale in campo biomedico, farmacologico e di organizzazione e gestione dei servizi sanitari unitamente a prestazioni di ricovero e cura di alta specialità.

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iagnosticare il morbo d’Alzheimer due anni prima che si manifesti: la chiave è nella dopamina. Questa la scoperta emersa dallo studio, pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, di Laura Serra, del Laboratorio di Neuroimmagini del Santa Lucia IRCCS di Roma, Marcello D’Amelio, responsabile del laboratorio di Neuroscienze Molecolari del Santa Lucia IRCCS e professore ordinario di Fisiologia Umana dell’Università Campus Bio-Medico, Marco Bozzali, professore associato di Neurologia dell’Università di Torino e Mara Cercignani dell’Università di Cardiff. Una svolta importante, potenzialmente decisiva, se si pensa che ad oggi l’Alzheimer è la prima causa di demenza nella popolazione

ALZHEIMER: PRIMI SEGNALI NELLA DOPAMINA

Un piccolo circuito nervoso è in grado di aiutare nella diagnosi precoce della malattia che ad oggi è la prima causa di demenza nella popolazione italiana di Domenico Esposito 14 GdB | Luglio/agosto 2021


Salute

italiana e oltre 600.000 persone convivono con questa condizione. Le poche terapie approvate per contrastare l’evoluzione di questa malattia neurodegenerativa sembrano sortire dei flebili risultati solamente nelle primissime fasi della malattia. Ne deriva che la ricerca in neuroscienze svolge un ruolo essenziale nell’individuazione dei meccanismi patologici sottostanti la malattia di Alzheimer. Questa premessa ha animato il team di studiosi che, all’interno della piattaforma integrata di ricerca tra IRCCS Santa Lucia e Università Campus Bio-Medico, coordinata dal professor D’Amelio, già nel 2017 aveva individuato nell’area tegmentale ventrale (VTA), legata alla produzione di dopamina, uno dei primi eventi nel corso di sviluppo di malattia, tramite l’uso di modelli sperimentali. D’Amelio, a questo riguardo, ha spiegato il legame tra i precedenti studi e quello fresco di pubblicazione: «La VTA è rappresentata da un’area molto piccola, che conta circa 600-700mila neuroni, piccolo numero rispetto agli oltre 80 miliardi di neuroni che compongono il cervello umano. Il nostro studio si è focalizzato sulle connessioni che si stabiliscono tra la VTA e il resto del cervello e come queste, a causa di un danno in VTA, si modificano nel corso di malattia. Il risultato, frutto di anni di ricerca, è stata la sorprendente capacità che lesioni della VTA hanno nel predire lo sviluppo della malattia di Alzheimer e l’obiettivo di quest’ultimo lavoro è stato di comprendere la finestra temporale che un’analisi della VTA è in grado di offrire prima che si sviluppino i sintomi della malattia». A spiegare in maniera dettagliata in cosa è consistito il lavoro delle ricercatrici e dei ricercatori che hanno preso parte al lavoro è stata la dottoressa Laura Serra: «Il setting sperimentale ha previsto l’utilizzo di neuroimmagini funzionali e test neuropsicologici, due tecniche indolori e non invasive con cui abbiamo analizzato l’attività della VTA in 35 pazienti con disturbo cognitivo lieve, un importante fattore di rischio per lo sviluppo della Malattia di Alzheimer e di altre forme di demenza». L’esperta ha proseguito: «Abbiamo quindi monitorato per 24 mesi l’evolvere della condizione dei pazienti, riscontrando che, nell’arco dei primi due anni di osservazione, in 16 dei 35 pazienti il disturbo cognitivo lieve è convertito in malattia di Alzheimer, e questa conversione è stata anticipata da una significativa riduzione

Una svolta importante, potenzialmente decisiva, se si pensa che ad oggi l’Alzheimer è la prima causa di demenza nella popolazione italiana e oltre 600.000 persone convivono con questa condizione. Le poche terapie approvate per contrastare l’evoluzione di questa malattia neurodegenerativa sembrano sortire dei flebili risultati solamente nelle primissime fasi della malattia. Ne deriva che la ricerca in neuroscienze svolge un ruolo essenziale nell’individuazione dei meccanismi patologici sottostanti la malattia di Alzheimer. © Mongkolchon Akesin /shutterstock.com

della connettività della VTA verso zone cerebrali critiche per i sintomi della malattia. Nei pazienti che non hanno sviluppato la malattia, invece, la VTA ha mantenuto inalterata la sua funzione». Da un’attenta analisi dei risultati i ricercatori sono stati in grado di confermare che la riduzione delle connessioni dell’area tegmentale ventrale anticipa di circa due anni i danni ad altre aree del cervello e la comparsa dei primi sintomi clinici caratteristici del morbo d’Alzheimer. Una scoperta che promette dunque di estendere la finestra temporale all’interno della quale è possibile somministrare dei farmaci finalizzati al contrasto dell’evoluzione della malattia, rallentandone la progressione. Il professor Carlo Caltagirone, neurologo, direttore scientifico del Santa Lucia IRCCS e coautore dello studio, ha spiegato: «La persona che si accorge di manifestare i primi sintomi di un disturbo cognitivo ha oggi molti strumenti che può utilizzare per prendersi cura della propria salute. Nella malattia di Alzheimer, secondo le evidenze scientifiche oggi disponibili, la scarsa efficacia dei farmaci sembra essere dovuta ad un uso eccessivamente tardivo delle terapie che non riescono ad interrompere la degenerazione in aree già compromesse o a migliorare il quadro clinico. Per questo è importante la prevenzione e la diagnosi precoce, in modo tale da poter affrontare la malattia con tutte le armi che la ricerca in neuroscienze mette a disposizione». Questo studio, spiegano dal Santa Lucia IRCCS di Roma, ha infine confermato la maggiore specificità di questa metodica nel diagnosticare con accuratezza la malattia di Alzheimer, distinguendola da altre forme di demenza con cui spesso e volentieri viene confusa. Infatti, i pazienti con atrofia dell’ippocampo, area del cervello deputata alla memoria, ma senza una riduzione dell’attività dell’area tegmentale ventrale, non hanno sviluppato il morbo d’Alzheimer. Hanno trovato dunque ennesimo riscontro i risultati emersi dai precedenti studi, che evidenziavano nella sinergica presenza di atrofia cerebrale e disconnessione di VTA eventi legati alla presentazione precoce dei sintomi clinici della malattia. La strada per arrivare ad una maggiore comprensione della malattia per sviluppare nuovi approcci terapeutici è da oggi un po’ più breve. GdB | Luglio/agosto 2021

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IL CERVELLO A RIPOSO PREPARA SUPER PRESTAZIONI Lo studio dei ricercatori italiani è stato pubblicato su Trends in Cognitive Sciences Quando non ha precisi compiti, la mente ottimizza le prestazioni future

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entre dormiamo oppure in assenza di compiti particolari, il nostro cervello genera una attività spontanea molto simile a quella registrata durante il comportamento attivo, ma il cui ruolo rimane ancora oggetto di discussione. Una verosimile descrizione di questa attività viene delineata da uno studio teorico a firma di Giovanni Pezzulo dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma, di Marco Zorzi del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova e Irccs Ospedale 16 GdB | Luglio/agosto 2021

San Camillo Venezia, e di Maurizio Corbetta del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova, Padova Neuroscience Center e Veneto Institute of Molecular Medicine. Nell’articolo titolato: “The secret life of predictive brains: what’s spontaneous activity for” i ricercatori ipotizzano, sintetizzando le risultanze di numerosi esperimenti comportamentali, neurofisiologici, e di neuroimmagini, che il cervello si comporti in maniera simile ad una particolare classe di algoritmi computazionali. «L’attività spontanea del cervello potrebbe riflettere il funzionamento di un modello generativo» hanno

spiegato Giovanni Pezzulo e Marco Zorzi. Inoltre: «I modelli generativi sono molto usati in Intelligenza Artificiale per la loro capacità di generare spontaneamente, in un senso allegorico “immaginare”, degli stimoli come immagini o video simili a quelli che hanno appreso. Allo stesso modo il “modello generativo” del cervello è utile per la risoluzione di compiti particolari come il riconoscimento di un volto o la pianificazione di un’azione da svegli, ma rimane attivo anche quando è a riposo. In questo stato, dunque in assenza di un preciso compito da svolgere e di forti stimoli esterni, l’attività spontanea potrebbe servire ad ottimizzarne le capacità di apprendimento e le prestazioni future del cervello». Maurizio Corbetta ha così concluso: «Quando sogniamo, l’attività spontanea genera impressioni, emozioni, comportamenti e, perfino, giudizi morali che sono indistinguibili da quelli che eseguiamo da svegli. Il cervello è l’organo del corpo che in assoluto consuma più energia, circa il 20- 25 % del budget metabolico totale contro solo il 2% della massa corporea, e questo fabbisogno elevato dipende in gran parte dall’attività spontanea. In analogia con l’universo, in cui la maggioranza della massa è invisibile, l’attività spontanea cerebrale è stata definita la “materia oscura” del cervello ma le sue funzioni rimangono misteriose. La nostra ipotesi fornisce una nuova chiave di lettura per comprendere più a fondo queste funzioni e ci proponiamo di testarla ulteriormente attraverso nuovi esperimenti e modelli computazionali». Questa linea di ricerca è finanziata dai progetti ThinkAhead (European Research Council), Human Brain Project, Dipartimenti di Eccellenza del MIUR ai Dipartimenti di Psicologia Generale e Neuroscienze, Fondazione Cariparo, Fondazione Bial, Flag-Era, Horizon 2020 European School of Network Neuroscience. (P. S.).


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alla collaborazione tra Irccs Neuromed e Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli è nata una ricerca che ha evidenziato come alcune varianti genetiche rare, se simultaneamente presenti, possano svolgere un ruolo importante nell’aumentare in modo significativo il rischio di ammalarsi di Parkinson. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Neurodegeneration, ha esaminato i dati genetici di due tipologie di pazienti: quelli appartenenti a famiglie nelle quali la malattia Parkinson è frequente e quelli in cui la patologia si era manifestata senza che ci fosse alcuna familiarità (cosiddetti casi “sporadici”). Gli studiosi hanno approfondito la ricerca esaminando, sia su tessuti umani che su modelli animali, l’espressione genica, cioè il processo di trascrizione dell’informazione genetica in proteine funzionali. Cinque dei geni osservati, sono risultati particolarmente espressi in neuroni dopaminergici della Substantia Nigra la cui degenerazione è la causa principale del morbo di Parkinson. È certamente lo studio genetico più ampio mai condotto su pazienti italiani affetti da questa patologia, avendo utilizzato metodiche di sequenziamento di ultima generazione. Alessandro Gialluisi, primo autore del lavoro e ricercatore del Dipartimento di epidemiologia e prevenzione del Neuromed, ha spiegato: «Abbiamo potuto identificare varianti correlate al rischio di Parkinson in ventisei geni, sedici dei quali non erano stati precedentemente associati alla malattia. Inoltre, abbiamo potuto riscontrare anche come la maggior parte di questi geni siano coinvolti in “pathways” importanti per la funzionalità del sistema dopaminergico la cui degenerazione porta allo sviluppo della patologia». Un dato rilevante della

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PARKINSON: PIÙ RISCHI CON LE VARIANTI GENETICHE RARE La simultanea presenza di alcune varianti potrebbe aumentare il rischio di ammalarsi Lo studio è pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Neurodegeneration

ricerca è rappresentato dalle varianti esaminate che possono avere una sorta di effetto cumulativo. Teresa Esposito, ricercatrice dell’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli, ultimo autore dello studio, ha inteso sottolineare: «La presenza contemporanea di due o più di queste varianti rare si è rivelata associata con un aumento della probabilità di sviluppare il Parkinson nel 20% dei pazienti. Possiamo parlare di un “carico” di mutazioni crescente che, in futuro, potrebbe portarci a valutare il rischio di malattia pro-

prio attraverso l’individuazione del numero di varianti dannose presenti nel DNA di una persona». «Questi risultati appaiono promettenti nella prospettiva di perfezionare le tecniche di diagnostica molecolare rivolte ad individuare precocemente le persone a rischio elevato. Saranno naturalmente necessari altri studi da un lato, per aumentare il numero di pazienti diagnosticabili e, dall’altro per comprendere e sviluppare potenziali approcci terapeutici, primi tra tutti quelli basati su sviluppi farmacologici e di medicina rigenerativa» ha così concluso Antonio Simeone, Direttore del Cnr- Igb. (P. S.). GdB | Luglio/agosto 2021

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GlicoRNA, UNA NUOVA CLASSE DI BIOMOLECOLE La scoperta, pubblicata da ricercatori statunitensi su Cell, potrebbe aprire un nuovo fronte di esplorazione sull’origine delle malattie

di Sara Bovio

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icercatori statunitensi hanno scoperto una nuova classe di biomolecole - chiamate RNA glicosilati o glicoRNA - sulla superficie delle cellule in una serie di animali e sugli umani. Bisogna ancora comprendere la funzione di queste molecole, ma che pensano potrebbero giocare un ruolo inesplorato in precedenza sul funzionamento del nostro corpo e sulle origini delle malattie. Le cellule del nostro corpo sono ricoperte di carboidrati complessi noti come glicani che le altre cellule possono riconoscere tramite recettori specializzati. I glicani di solito si trovano all’esterno delle cellule o sulle superfici cellulari e rego-

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lano molte funzioni, tra cui lo sviluppo embrionale e il riconoscimento dell’ospite-patogeno. Lo fanno attaccandosi e modificando proteine e lipidi attraverso un processo chiamato glicosilazione. Ma ora si scopre che i glicani interagiscono anche con l’RNA che può essere glicosilato. La scoperta è particolarmente sorprendente perché l’RNA è associato ai processi che si svolgono all’interno delle cellule. “Abbiamo scoperto che i glicoRNA sono sulla superficie cellulare, proprio come le proteine e i lipidi”, ha detto Ryan Flynn, primo autore dello studio. «I glicoRNA possono partecipare direttamente alla comunicazione tra le cellule. In precedenza, si pensava che

questo non fosse possibile per gli RNA che non si immaginava avessero un ruolo sulla superficie cellulare». I glicoRNA sono molecole sorprendentemente diffuse, eppure nessuno prima aveva fatto gli esperimenti giusti per trovarle. Flynn li ha scoperti mentre era alla Stanford University nel laboratorio di Carolyn Bertozzi. «All’epoca il mondo dell’RNA e quello dei glicani erano due aree separate della biologia», racconta Bertozzi. Flynn ha iniziato unendo sonde speciali a RNA e glicani. Con sua sorpresa, le sonde dei glicani continuavano a rivelare la presenza di RNA - anche se RNA molto piccoli, tra i più piccoli che esistono. Lui e Bertozzi hanno pensato all’inizio che ci doveva essere un artefatto o un contaminante nei loro campioni. Ma Flynn ha confermato la scoperta attraverso una serie di esperimenti. Nel nuovo studio, pubblicato su Cell, i ricercatori hanno rivelato che i glicoRNA consistono in piccoli RNA non codificanti - noti per svolgere ruoli di regolazione all’interno delle cellule - rivestiti con una classe di zuccheri noti come N-glicani. Ma cosa fanno i glicoRNA? E perché sono importanti? Durante le loro indagini, Flynn e il suo team hanno notato in alcuni degli N-glicani dei glicoRNA la presenza di uno zucchero chiamato acido sialico. Questo li ha portati a indagare se i glicoRNA interagissero con i Siglecs una famiglia di lectine selettive per i glicani contenenti acido sialico ed estremamente importanti per permettere al sistema immunitario di riconoscere il self da ciò che non lo è. Un’errata regolazione dell’asse Siglec-glicani sialilati è alla base di molte malattie autoimmuni e viene usata da batteri patogeni per aggirare il sistema immunitario. Le ricerche hanno confermato che alcuni membri della famiglia Siglec legavano le cellule in presenza di RNA. Nel suo nuovo laboratorio al Boston Children’s Hospital dell’Università di Harvard, Flynn studierà il ruolo potenziale dei glicoRNA nelle malattie autoimmuni e i meccanismi di regolazione dei glicoRNA che avranno implicazioni per le cellule staminali, il cancro e la rigenerazione.


DELEGAZIONE REGIONALE LAZIO E ABRUZZO

CORSO FAD

IL LABORATORIO E LA CLINICA NELLA LOTTA ALLA PANDEMIA DA SARS-COV-2 8 ottobre 2021

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ll’Università di Ferrara un team di scienziati ha corretto per la prima volta il gene che causa la forma di talassemia più grave e diffusa nell’area del Mediterraneo. Anemia, bisogno costante di fare ricorso a trasfusioni di sangue, scompensi che interessano diversi organi: la quotidianità di chi soffre delle forme gravi di talassemia è inficiata pesantemente dal fatto che i globuli rossi contenuti del sangue sono pochi e di dimensioni inferiori rispetto alla norma. A questo deficit può aggiungersi anche la quantità di emoglobina, molto scarsa, di cui il corpo dispone. Si tratta di una condizione provocata da una serie di mutazioni genetiche particolarmente diffuse nell’area del Mediterraneo, motivo per il quale ci si riferisce a questa patologia con la definizione di anemia mediterranea. Ad oggi il trapianto di midollo osseo rappresenta l’unica speranza di guarigione per queste persone. Ad aggravare le cose, però, c’è il fatto che le possibilità di trovare un donatore o una donatrice compatibile sono piuttosto rare. Ecco perché ogni passo compiuto verso la scoperta di una cura definitiva, alternativa al trapianto, è da accogliere come un risultato importante e incoraggiante. Un discorso che si adatta perfettamente al lavoro delle ricercatrici e dei ricercatori dell’Università di Ferrara, capaci di riparare per la prima volta la mutazione genica β0-39 responsabile della forma di β-talassemia più comune e grave del nostro territorio. A ottenere questo straordinario risultato è stato il gruppo coordinato dalla professoressa Alessia Finotti, della sezione di Biochimica e Biologia Molecolare del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie. Per riuscire nell’impresa il team si è avvalso di una tecnica innovativa di ingegneria genetica chiamata CRISPR-Cas9 che consente di correggere in maniera mirata una sequenza di DNA. Una sorta di taglia e cuci genetico oggetto del Nobel per la Chimica nel 2020. Al riguardo Finotti ha


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TALASSEMIA: CORRETTO IL GENE DELLA FORMA GRAVE spiegato: «Attraverso il protocollo CRISPR-Cas9 si effettua quello che viene definito editing del genoma. Si utilizzano delle specifiche proteine ingegnerizzate - le nucleasi Cas9 - che tagliano il gene bersaglio esattamente nel punto in cui è presente l’errore. Quest’ultimo viene quindi corretto grazie ai naturali meccanismi di riparazione della cellula e all’aggiunta di alcune molecole di DNA che forniscono la sequenza corretta». Gli esperimenti hanno portato ad un ottimo livello di correzione del DNA e non si sono verificate modificazioni non programmate in altre aree del genoma al di fuori della regione d’interesse. La dottoressa Lucia Carmela Cosenza, prima autrice dello studio e artefice principale degli esperimenti, ha chiarito: «Per valutare la bontà dei nostri risultati abbiamo analizzato il DNA corretto con due differenti tecniche di analisi: la droplet digital PCR e il sequenziamento NGS. Così abbiamo dimostrato la presenza del gene corretto nelle cellule ingegnerizzate, in grado di produrre una quantità normale di emoglobina». L’intervento, spiegano dall’ateneo ferrarese, è stato effettuato in provetta su campioni di cellule precursori dei globuli rossi ottenute da otto pazienti talassemici che hanno ereditato la mutazione genetica sia dal padre sia dalla madre, che presentano dunque la forma più grave della malattia. Le ricerche hanno anche tratto beneficio da una biobanca cellulare prodotta insieme al DHT Talassemia dell’Arcispedale Sant’Anna di Ferrara, in collaborazione con le dottoresse Maria Rita Gamberini e Monica Fortini. «Lo studio è un primo passo verso un’applicazione terapeutica che potrebbe essere ottenuta dalla combinazione di questo approccio con altre strategie che il gruppo sta validando, come la strategia read-through e la

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La scoperta è fatta dall’Università di Ferrara utilizzando il taglia e cuci genetico oggetto del Nobel per la Chimica del 2020

Anemia, bisogno costante di fare ricorso a trasfusioni di sangue, scompensi che interessano diversi organi: la quotidianità di chi soffre delle forme gravi di talassemia è inficiata pesantemente dal fatto che i globuli rossi contenuti del sangue sono pochi e di dimensioni inferiori rispetto alla norma.

riattivazione dell’emoglobina fetale – ha detto ancora Finotti -. Inoltre, sarà necessario lavorare sul protocollo per tradurre quello che è un risultato “in vitro” in un’applicazione di rilevanza clinica». Roberto Gambari, che per anni ha diretto il Laboratorio di Ricerca sulla Terapia Farmacologica e Farmacogenomica della Talassemia, e che è tra gli autori dello studio, ha aggiunto: «Stiamo cercando di ottenere i finanziamenti necessari per continuare lo studio e concretizzare le numerose idee che nel frattempo abbiamo maturato, consci del fatto che il momento che stiamo vivendo non è facile, ma che in assenza di congrui interventi di sostegno alla ricerca anche le migliori idee avranno difficoltà nell’essere tradotte in applicazioni cliniche». Gambari ha poi ricordato come «questo lavoro è uno dei traguardi di un percorso che nasce da lontano e che ha trovato la proficua collaborazione dei pazienti e delle loro associazioni, nello specifico l’associazione Rino Vullo per la Lotta alla Talassemia di Ferrara (ALT) e l’associazione Veneta per la Lotta alla Talassemia di Rovigo (AVLT)». Poi la chiosa: «Tutto il gruppo vorrebbe dedicare questa ricerca alla memoria di Chiara Gemmo, una brillante dottoranda del nostro laboratorio prematuramente scomparsa qualche anno fa, e di Elio Zago che ci ha recentemente lasciati ed era stato presidente dell’AVLT. L’associazione Tutti per Chiara ha tra l’altro finanziato la borsa di studio che ha consentito alla dottoressa Cosenza di iniziare questa ricerca. Elio Zago, d’altro canto, è stato decisivo nel consentire al nostro laboratorio di arrivare ad un elevato livello di competitività che ci ha permesso tra l’altro di coordinare il progetto europeo Thalamoss (Thalassemia Modular Stratification System for Personalized Therapy of Βeta-Thalassemia)». (D. E.). GdB | Luglio/agosto 2021

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I BENEFICI DELL’ANGURIA, LA REGINA DELL’ESTATE Le proprietà e le caratteristiche di quello che non è solo un frutto succoso e rinfrescante, ma fa anche molto bene alla salute

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hiamata a indicare un solo frutto come simbolo della stagione estiva ci sono pochi dubbi sul fatto che la maggioranza propenderebbe per l’anguria. Se appare difficile mettere tutti d’accordo sul nome corretto da attribuire al frutto in questione (c’è chi lo chiama anguria, chi cocomero e chi melone d’acqua), si ottiene invece l’unanimità nel ritenere perfetto per questo periodo contrassegnato dal caldo un alimento succoso e rinfrescante. Come se non bastasse, a decantare le lodi del Citrullus lanatus sono adesso anche gli esperti dell’Ameri22 GdB | Luglio/agosto 2021

can Heart Association. Gli studiosi dell’organizzazione statunitense che si occupa di ridurre le morti causate da problemi cardiaci e ictus hanno dedicato un approfondimento scientifico alla combinazione di nutrienti che rendono l’anguria così speciale. Se è vero che una dieta sana deve sempre prevedere al suo interno della frutta, il concetto è valido a maggior ragione quando si tratta di integrare il cocomero nella propria alimentazione. Questo frutto è infatti una ricca fonte di minerali come potassio e magnesio, ma anche di vitamine come C ed A (senza dimenticare i contenuti di beta

carotene, che stimola la produzione di vitamina A). L’anguria presenta anche quantità discrete di vitamine B1, B5 e B6. A questo fabbisogno di minerali e vitamine si associa un apporto calorico molto basso: una coppetta corrisponde infatti ad appena 46 calorie. C’è poi un motivo se il frutto viene definito anche melone d’acqua: è infatti costituito per il 92% di acqua, caratteristica che lo rende rinfrescante e idratante, soprattutto d’estate. Tra le peculiarità che rendono questo frutto preferibile rispetto ad altri vi è la sua concentrazione di alcuni antiossidanti noti per regolare i radicali liberi dannosi per le cellule nel corpo. Il licopene, ad esempio, che conferisce all’anguria il suo colore rossastro, è uno di questi insieme alle vitamine C e A. Esso svolge anche funzione di antinfiammatorio ed è stato associato ad un minor rischio di ictus. Questa sostanza risulta più abbondante nei prodotti a base di pomodoro cotto, ma i livelli presenti nell’anguria sono circa il 40% superiori a quelli dei pomodori crudi. L’anguria contiene anche glutatione: Tim Allerton, ricercatore del Pennington Biomedical Research Center della Louisiana State University a Baton Rouge lo ha definito un «antiossidante globale e versatile». È inoltre ricca di un amminoacido chiamato citrullina, che Allerton ha messo al centro di un suo studio, specificando che «l’anguria è piuttosto unica perché non molti alimenti ne sono ricchi». Questo amminoacido è legato ad esempio alla produzione di ossido nitrico, elemento molto importante per quanto concerne la salute dei vasi sanguigni. Anche se ha zucchero naturale e un alto indice glicemico, presenta però un basso carico glicemico. Questo vuol dire che il suo effettivo effetto sulla glicemia è molto basso. E riempirà più rapidamente di una ciotola di biscotti: la linea ringrazierà. (D. E.).


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a caffeina ha un evidente effetto protettivo contro la crescita delle cellule di melanoma umano. Ad arrivare a questa conclusione sono stati i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in collaborazione con i colleghi di due IRCCS (l’IDI di Roma e il Neuromed di Pozzilli) e di due università italiane (l’Università di Ferrara e l’Università di Roma “Tor Vergata”) grazie ad uno studio fresco di pubblicazione sulla rivista internazionale Molecules. Lo studio italiano è stato focalizzato sull’identificazione dei meccanismi per mezzo dei quali la caffeina svolge un importante ruolo protettivo contro alcuni tipi di tumori. Questa funzione benefica era stata già descritta in molti lavori in letteratura scientifica, ma ancora non era stata completamente caratterizzata a livello molecolare. Ad entrare nel dettaglio del lavoro svolto è stato il dottor Francesco Facchiano, coordinatore dello studio effettuato presso il Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare dell’ISS, che ha spiegato: «Utilizzando approcci in silico e in vitro, abbiamo identificato una proteina che probabilmente gioca un ruolo fondamentale in questa azione benefica della caffeina, cioè l’enzima tirosinasi che, come è noto, ha una funzione chiave nella sintesi della melanina e che svolgerebbe sia un’azione protettiva contro gli effetti del danno generato dai raggi UV, sia un’importante funzione di immunomodulazione. Infatti - ha proseguito Facchiano - la melanina prodotta da cellule di melanoma umano esposte alla caffeina è risultata significativamente aumentata». A fornire ulteriori elementi sulla ricerca targata Istituto Superiore di Sanità è stato anche Claudio Tabolacci, primo autore dell’articolo e ricercatore sostenuto dalla Fondazione Umberto Veronesi. Queste le sue parole: «Molto importante è sta-

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LA CAFFEINA PROTEGGE DAL MELANOMA Studio ISS: identificata proteina chiave. Con una terapia differenziativa si può evitare la comparsa di recidive

ta la scelta dei modelli cellulari, che in questo studio sono le ‘melanoma initiating cells’ che hanno interessanti caratteristiche di staminalità, tra le quali la capacità di conferire resistenza ai farmaci e la recidiva di un tumore: la caffeina ha significativamente ridotto la crescita di queste cellule. Abbiamo inoltre evidenziato - ha chiosato Tabolacci - il ruolo di molecole di segnale come IL-1β, IP-10, MIP-1α, MIP-1β e RANTES, la cui secrezione da parte di queste cellule in coltura è ridotta quando vengono esposte alla caffeina». Come per tutti i farmaci, anche la caffeina ha dei potenziali

effetti collaterali - per esempio può provocare tachicardia, ipertensione e aritmie così come stati d’ansia, insonnia e irrequietezza - ma i risultati dello studio appena pubblicato su Molecules aprono nuove ed interessanti prospettive per quanto concerne la terapia differenziativa, ovvero quella finalizzata a far differenziare le cellule per colpire soltanto quelle tumorali, evitando la comparsa di recidive dopo il trattamento chemioterapico. Una terapia che per tumori maligni come il melanoma cutaneo viene reputata un promettente campo di studio. (D. E.). GdB | Luglio/agosto 2021

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DIETRO LE QUINTE DI UN GIARDINO ZOOLOGICO: ATTIVITÀ QUOTIDIANE E PROGRAMMATE

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LA NUTRIZIONE APPLICATA ALLO SPORT Il corso si terrà in Fad sincrona e sarà suddiviso in due moduli da tre lezioni ciascuno

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CHEMOSENSATION DEL FOLLICOLO PILIFERO La capacità dei capelli di percepire ed elaborare i segnali ambientali

di Biancamaria Mancini

S Bibliografia - Andrei Mardaryev et al.: “ Hair Follicle Chemosensation: TRPM5 Signaling Is Required for Anagen Maintenance”J Invest Dermatol 2021 Mar 24;S0022202X(21)01012-5. - Cheret et al.: “Olfactory receptor OR2AT4 regulates human hair growth” Nature Communications, Vol. 9, No. 1, 3624, 2018.

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i parla di chemosensation quando ci si riferisce alla capacità di percepire ed elaborare i segnali ambientali tramite i nostri sensi, ed è un elemento di sopravvivenza fondamentale oltre ad essere alla base della comunicazione. La luce, gli odori, i sapori, il caldo o il freddo ci danno continuamente informazioni precise su cosa ci circonda, su dove sia meglio andare o da cosa sia meglio allontanarci. Tale meccanismo non è limitato solo alle cellule specializzate al gusto o all’olfatto a cui facciamo spesso riferimento, ovvero alle cellule della bocca e del naso, ma lo troviamo incredibilmente anche nei follicoli piliferi. Ebbene sì, la nostra chioma può comunicare e ricevere messaggi dall’ambiente esterno proprio tramite il meccanismo della chemosensation regolando così le fasi di crescita e caduta proprio in relazione agli stimoli esterni. Tale meccanismo è quanto scoperto da un team di scienziati del Monasterium Laboratory, dell’Università di Miami (USA) e dell’Università di Manchester (Regno Unito), infatti nel 2018 i loro studi dimostrarono che i nostri follicoli piliferi possono “annusare” segnali chimici tramite dei veri recettori olfattivi e in base a questo regolare la propria crescita. La natura di tale fenomeno è stata la base per studi di approfon-


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dimento successivi e attualmente, mediante una ricerca innovativa, il Monasterium Laboratory ha scoperto ulteriori recettori chemio sensoriali presenti nei nostri follicoli. Proprio a marzo 2021 infatti, è stato reso noto il risultato di tali ricerche mediante una pubblicazione sulla prestigiosa rivista Journal of Investigative Dermatology. L’articolo scientifico afferma che i follicoli del cuoio capelluto, ovvero proprio quelli da cui nascono i capelli, possono annusare i feromoni contenuti in alcuni profumi, ottenendone un forte stimolo di crescita e di mantenimento della fase di anagen. La fase di anagen è la fase in cui continuano le divisioni mitotiche e il capello riesce ad allungarsi e crescere, quindi l’anagen è la fase del ciclo vitale del capello che ne determina la durata della vita. Spesso nei casi in cui si osserva diradamento, e peggio ancora calvizie, l’innesco della fase degenerativa ha inizio proprio con

La nostra chioma può comunicare e ricevere messaggi dall’ambiente esterno proprio tramite il meccanismo della chemosensation regolando così le fasi di crescita e caduta proprio in relazione agli stimoli esterni. Tale meccanismo è quanto scoperto da un team di scienziati del Monasterium Laboratory, dell’Università di Miami (USA) e dell’Università di Manchester (Regno Unito), infatti nel 2018 i loro studi dimostrarono che i nostri follicoli piliferi possono “annusare” segnali chimici tramite dei veri recettori olfattivi e in base a questo regolare la propria crescita. © Cookie Studio/shutterstock.com

la diminuzione della durata della fase di anagen ed è per questo che sapere come comunicare ai follicoli di rimanere attivi, in anagen, attraverso dei profumi è una scoperta sensazionale che apre le porte a una nuova concezione di come combattere la calvizie. Gli sviluppi commerciali scaturenti da questo studio potrebbero dare l’avvio alla creazione di specifici cosmetici che esercitino un effetto di stimolazione sulla crescita dei capelli grazie alla sollecitazione del recettore chemio sensoriale responsabile della mediazione dell’effetto feromone-crescita. Due dei recettori in questione sono il TRPM5 un membro della famiglia dei canali ionici Transient Receptor Potential (TRP) che sappiamo essere in grado di percepire numerosi stimoli fisici e chimici e di tradurli in cambiamenti delle funzioni cellulari, e OR2AT4 che stimola la proliferazione dei cheratinociti nella pelle. In uno studio condotto da Cheret si dimostra che la guaina esterna della radice, esprime proprio OR2AT4 e che la sua stimolazione prolunga la crescita dei capelli umani ex vivo diminuendo l’apoptosi e aumentando la produzione del fattore di crescita che prolunga l’anagen. Per quanto riguarda i fenomeni di caduta non fisiologica, le ultime evidenze cliniche emerse durante la pandemia da Sars Cov2, riportano una caduta abbondante e repentina (effluvium) dei capelli nel post infezione, una caduta così abbondante che è capace di svuotale il volume dell’intera massa capillare. All’interno della discussione della chemosensation, viene avanzata l’ipotesi di un collegamento preciso tra la caduta dei capelli post Covid-19 e la perdita di stimoli sensoriali come quelli del gusto e dell’olfatto. Il danno sensoriale che l’infezione genera potrebbe ridurre anche l’espressione dei recettori olfattivi del cuoio capelluto inibendo la crescita a favore della caduta e danneggiando i capelli. Se queste ipotesi fossero confermate i recettori chemio sensoriali come TRPM5 e OR2AT4 potrebbero davvero essere un bersaglio utile per nuove strategie terapeutiche contro la caduta dei capelli e non solo. La formulazione di cosmetici (chiamati cosmetici chemio sensibili) capaci di sfruttare lo stimolo olfattivo dei recettori chemio sensoriali dei follicoli è la prossima frontiera. I cosmetici chemio sensibili permetterebbero di innescare reazioni di crescita sfruttando la biologia cellulare e molecolare propria dei follicoli senza cambiarne la natura e senza avere gli effetti collaterali attribuiti ai farmaci in tricologia. GdB | Luglio/agosto 2021

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FATTORI DI PROTEZIONE SOLARE E PELLE Come cambia la permeazione del filtro UV nell’epidermide a seconda delle formulazioni delle emulsioni di Carla Cimmino

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li agenti di protezione solare (es. filtri UV) sono incorporati nei prodotti per la pelle progettati e destinati all’uso quotidiano sotto forma di emulsioni, gel, oli, lipgloss ad alta sostantività. I filtri UV agiscono sulla superficie cutanea o sulla parte più alta dello strato corneo. È stato però dimostrato che: la penetrazione nella pelle, la permeazione attraverso la pelle e la ritenzione di filtri UV nella pelle dei prodotti topici, possono cambiare molto a seconda delle formulazioni utilizzate. Marginean Lazar et al. hanno dimostrato come cambia la penetrazione del filtro UV a seconda delle formulazioni di emulsioni. Jiang et al. hanno anche scoperto che la diffusione dei filtri UV attraverso l’epidermide varia significativamente con il tipo di formulazione. Nonostante l’ampio uso di prodotti per la protezione solare, fino ad oggi è stata data poca attenzione alla potenziale permeazione dei filtri UV attraverso la pelle e al possibile successivo effetto tossico. Hayden et al. hanno scoperto che negli esseri umani se viene utilizzato un prodotto, che contiene un dosaggio minimo di solo il 2% di benzofenone-3 e dei suoi metaboliti, questi sono escreti nelle urine in seguito all’applicazione topica. GdB | Luglio/agosto 2021

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I prodotti moderni destinati alla protezione solare contengono un’abbondante scelta di filtri UV per (a) ampliare la gamma di protezione solare, (b) aumentare il fattore di protezione solare e (c) ridurre la concentrazione di alcuni filtri UV, al fine di azzerare quasi il loro rischio tossicologico. Ad oggi, le indagini condotte in vitro, sui prodotti destinati alla protezione solare si pongono domande su: effetti del veicolo, assorbimento percutaneo, valutazione del rischio o ¬¬capacità di protezione solare. Avviato uno studio su una pelle umana, priva di grasso sottocutaneo e altri tessuti estranei, presa da 3 donne caucasiche, che si sono sottoposte a riduzione del seno o chirurgia addominale conservata in congelatore ad una temperatura di -18 ° C. Sono state preparate due formulazioni per la protezione solare contenenti 5% BPH, 7,5% EHM, 2% BMDM, 5% EHS e 5% H. La Formulazione 1: un’emulsione O/W – acqua (60%), etanolo, fosfolipidi, carbopol , sorbitolo, trietanolamina, alcool cetilico, anfisolo, silicone, tocoferolo e conservanti; e la formulazione 2: vaselina (albume di vaselina, PhHelv. VII). Sono stati quindi esaminati: la penetrazione nella pelle umana di cinque filtri UV contemporaneamente con due diversi veicoli in vitro e in vivo; e successivamente, seguendo le attuali linee guida è stato determinato in vivo il fattore di protezione solare dei due preparati. La penetrazione di questi filtri UV (BPH e EHM) è dipendente dal veicolo, ed entrambi i composti sono stati rilevati nel derma già dopo soli 30 minuti dall’applicazione del prodotto (BPH e in misura molto bassa EHM). Le proprietà polari dei filtri UV potrebbero essere responsabili di questi risultati, infatti le indagini in vitro e in vivo sull’BPH supportano i risultati ottenuti. I filtri UV sono assenti nel derma idrofilo, ma si accumulano nello strato corneo più lipofilo. Dai dati di penetrazione in vivo ottenuti si evidenza una dipendenza dalle proprietà del veicolo. La concentrazione dei filtri UV nella parte superiore dello strato corneo (strati 2-6) è molto più alta dopo l’applicazione della formulazione in gel/emulsione, che dopo l’applicazione della formulazione in vaselina. Nelle parti più profonde dello strato corneo (strati 7–11 e 12–16) le concentrazioni dei filtri UV fornite dalla formulazione in gel/ 30 GdB | Luglio/agosto 2021

Nonostante l’ampio uso di prodotti per la protezione solare, fino ad oggi è stata data poca attenzione alla potenziale permeazione dei filtri UV attraverso la pelle e al possibile successivo effetto tossico. Hayden et al. hanno scoperto che negli esseri umani se viene utilizzato un prodotto, che contiene un dosaggio minimo di solo il 2% di benzofenone-3 e dei suoi metaboliti, questi sono escreti nelle urine in seguito all’applicazione topica. © effective stock photos /shutterstock.com

emulsione, risultano inferiori ma comunque superiori a quelle ottenute con la formulazione in vaselina. Dopo l’applicazione della formulazione di vaselina, le concentrazioni del filtro UV in tutte le parti dello strato corneo (strati 2–6,7–11 e 12–16) sono basse e diminuiscono leggermente con l’aumentare della profondità. Non è ancora chiara quale proprietà del veicolo sia responsabile dei risultati attuali, però si può dire che: 1) gli ingredienti presenti nella formulazione in gel/emulsione, penetrati nello strato corneo, aumentano la solubilità dei filtri UV contenuti in esso; 2) la formulazione in gel/emulsione supporta un’importante partizione dei filtri UV nello strato corneo. Entrambi potrebbero essere responsabili dell’elevata quantità di filtri UV nella parte superiore dello strato corneo (strati 2–6), la formulazione in vaselina può ostacolare questi meccanismi. Alla domanda: “se i filtri UV agiscano sulla pelle” non è stata ancora data una risposta completa, se questa fosse data, servirebbe per migliorare le formulazioni dei prodotti per la protezione solare, ma molte pubblicazioni evitano accuratamente di affrontare la domanda. Treffel e Gabard hanno mostrato che gli agenti di protezione solare sono stati trattenuti meglio nello strato corneo, utilizzando una formulazione di tipo emulsione rispetto a quella in vaselina. È stato anche dimostrato, che la quantità di filtri UV erogati da due diverse formulazioni nella pelle, è correlata all’SPF determinato dopo la rimozione della formulazione di crema solare non penetrata. Dallo studio è emerso che la formulazione in gel/emulsione ha fornito una quantità maggiore di filtri UV per lo strato corneo rispetto alla formulazione vaselina, quindi l’SPF della formulazione in gel/emulsione è significativamente più alto. Confrontando i dati ottenuti dallo studio e quelli attualmente disponibili, si può dire che: l’SPF totale di un prodotto per la protezione solare è dato dalla somma delle proprietà di protezione offerte dalla formulazione sulla pelle e dalle proprietà di protezione dei filtri UV, che sono penetrati nello strato corneo, questo evidenzia quanto sia importante la presenza di filtri UV nelle formulazioni.

Tratto da “Skin Penetration and Sun Protection Factor of Five UV Filters: Effect of the Vehicle”, di Chatelain E., Gabard B., Surber C.


DELEGAZIONE REGIONALE SICILIA

Corso teorico-pratico

“Prelievi per finalità diagnostiche, acquisizione e gestione dei campioni biologici e delle attività preanalitiche” Attraverso l’effettuazione del corso in questione, i Biologi iscritti all’ordine potranno conseguire un’abilitazione al prelievo venoso da poter essere utile in tutti i casi di attività lavorativa presso una struttura di Medicina di Laboratorio. La normativa di riferimento, DIRP/III/BIQU/OU10014/2002 del 8/07/2002 del Ministero della Salute e della conseguente nota di prot. DIRS/3/4296 del 17/11/2004 dell’Assessorato della Salute della Regione Siciliana, esplicita chiaramente che il Biologo dopo la partecipazione e superamento di adeguati percorsi di tirocinio teorico-pratico acquisisce le competenze tecnico pratiche per svolgere l’attività del prelievo venoso.

Catania, 30 settembre e 1-2 ottobre 2021 Centro congressi – Azienda Ospedaliera Cannizzaro Via Messina, 829

http://sicilia.ordinebiologi.it GdB | Luglio/agosto 2021

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egambiente e l’Istituto atmosferico del Cnr hanno tracciato un bilancio sulle buone pratiche e sulle criticità nelle 27 isole minori italiane abitate, con un occhio alla transizione ecologica. Dal rapporto “Isole sostenibili” si desume che le criticità più rilevanti riguardano la depurazione e l’approvvigionamento idrico ed energetico. Mentre cresce la raccolta differenziata. L’approvvigionamento energetico rimane una delle principali sfide delle isole minori italiane abitate. Sono 20 su 27 quelle non interconnesse alla rete elettrica nazionale: Isole Pelagie, Isole Egadi, Isole Tremiti, Isole Eolie, Ponza, Ventotene, Ustica, Capraia, Isola del Giglio, Gorgona. Nonostante diverse presentino alcuni dei potenziali di soleggiamento e ventosità più promettenti in Italia, in queste isole larga parte dei fabbisogni viene garantito da vecchi e inquinanti impianti a gasolio portato via nave. I numeri delle installazioni di impianti da fonti rinnovabili sono, per contro, tra i più bassi a livello nazionale. Tra fotovoltaico ed eolico, complessivamente, al 31 dicembre 2020 le isole minori contavano 2014 impianti per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, per un totale di 15.764 kWe di potenza. Tra quelle non interconnesse la copertura del fabbisogno elettrico da fonti rinnovabili è molto bassa. Il migliore risultato si registra a Ustica, che ha raggiunto il 12%, seguita dalle isole Pelagie con il 6,22% e Ventotene con il 5%. Le altre isole non raggiun-

gono il 5% e i valori più bassi si riscontrano su Isola del Giglio, Isole Tremiti e Salina. Cresce, grazie agli incentivi introdotti dal Ministero per lo Sviluppo economico con D.M. 14 febbraio 2017, il solare fotovoltaico: sono 36 gli impianti installati dal 2018 a oggi nelle isole minori di Pantelleria, Ponza, Ustica e degli arcipelaghi di Pelagie, Egadi ed Eolie, per un totale di 531 kWe che vanno ad aggiungersi ai 2.700 kWe già installati nelle 20 isole minori non interconnesse. Purtroppo, i ritardi accumulati nell’emanazione dei decreti attuativi hanno portato al fallimento degli obiettivi previsti al 31 dicembre 2020, che puntavano a un’installazione complessiva di 11.820 kW. Ad oggi il fotovoltaico è presente in tutte le isole, anche se in alcuni casi con numeri molto bassi come nelle Isole Tremiti e a Salina, mentre le maggiori installazioni di impianti fotovoltaici si registrano nelle isole interconnesse di Ischia, Isola d’Elba e Sant’Antioco. L’altra fonte rinnovabile è il micro-eolico, presente solo a Pantelleria, Sant’Antioco e Ventotene. Per entrambe le fonti, il problema principale resta quello delle procedure di approvazione, complicatissime per i vincoli presenti e per l’atteggiamento contrario di diverse soprintendenze. Nel settore idrico, le isole minori si trovano ad af-

ISOLE SOSTENIBILI 2021 RAPPORTO LEGAMBIENTE-CNR 32 GdB | Luglio/agosto 2021


frontare da un lato il problema dell’approvvigionamento di acqua potabile, strettamente legato alla scarsità delle risorse presenti in loco, dall’altro quello della depurazione delle acque reflue, ancora oggi non garantita in tutte le isole. La carenza di acqua potabile costringe alcune di esse a dipendere (in certi casi anche durante tutto l’anno) dal trasporto attraverso navi cisterna o da impianti di desalinizzazione, con criticità che aumentano in estate. Mentre sul fronte depurazione, quasi il 40% delle isole analizzate non haun sistema di trattamento delle acque reflue: sono Isola del Giglio, Linosa, Favignana, Marettimo, Levanzo, Stromboli, Filicudi, Alicudi, Panarea e Salina. Riguardo ai rifiuti, una gestione integrata del loro ciclo che, per tutte le filiere possibili, non esca dal perimetro naturale delle isole è una sfida ambiziosa ma necessaria, specie in estate quando si assiste al quintuplicare del numero di presenze. Tra il 2010 e il 2019, la capacità di differenziare i rifiuti è cresciuta un po’ ovunque. Sei le isole che superano sia la media di RD del Centro Italia (58%) che quella del Sud (51%): Capri, Isola d’Elba, Maddalena, Pantelleria, Procida e Sant’Antioco. L’isola di Sant’Antioco risulta la più virtuosa raggiungendo l’80% di raccolta differenziata, seguita da Pantelleria e Maddalena, a parimerito con il 71%, e da Procida (70%). Ri-

Nel settore idrico, le isole minori si trovano ad affrontare da un lato il problema dell’approvvigionamento di acqua potabile, strettamente legato alla scarsità delle risorse presenti in loco

© Tommy Larey/shutterstock.com

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spetto al 2018, nel 2019 i maggiori incrementi nella percentuale di raccolta differenziata si sono osservati a Ustica (dal 5 al 20%), nelle Egadi (dal 15 al 38%), nelle Pelagie (dal 16 al 38%), nelle Tremiti (dal 21 al 38%) e a Salina (dal 39 al 51%). Con Ponza che guadagna qualche punto percentuale, ma resta ultima in classifica (9% di RD), e Ventotene dove si assiste invece a un peggioramento, con una differenziata scesa di 10 punti percentuali (dal 28% al 18%). Tra le voci che più pesano sul bilancio delle amministrazioni, troviamo proprio il trasporto via nave dei rifiuti indifferenziati verso gli impianti sulla terraferma: fondamentali, pertanto, da parte delle amministrazioni locali, politiche di prevenzione per ridurre la produzione di rifiuto alla fonte, accelerando in parallelo la differenziata tramite il servizio di raccolta porta a porta. «I risultati dell’analisi – dice Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – confermano la necessità di accelerare negli interventi in chiave sostenibile nelle isole minori italiane. Alcuni progetti si stanno muovendo, con risultati incoraggianti come nella raccolta differenziata dei rifiuti e nel fotovoltaico. Ma i ritardi sono ancora rilevanti, specie sul fronte depurazione delle acque e nella crescita delle rinnovabili».

Isola di Ponza.

di Felicia Frisi

Incoraggianti i dati sulla raccolta differenziata dei rifiuti e sul fotovoltaico Ma c’è molto da lavorare sulla depurazione delle acque GdB | Luglio/agosto 2021

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on ce n’è Coviddi». Ricordate la frase tormentone della scorsa estate? Devono sicuramente averci creduto tutti quelli che nel 2020 hanno portato avanti l’aggressione criminale alle coste e ai mari italiani. Non lascia spazio a dubbi, infatti, l’incremento delle denunce e dei sequestri effettuati da Capitanerie di porto e Forze dell’ordine, registrato nell’annuale rapporto di “Legambiente” dal titolo “Mare monstrum. Edizione 2021”. Sono stati 22.248 gli illeciti accertati (-5,8% rispetto al 2019), con una media di circa 61 reati al giorno, 2,5 ogni ora; 24.797, nell’insieme, le persone denunciate e arrestate, +24% guardando al 2019; i sequestri sono arrivati a 8.044 (+9,9%), per un valore di 826 milioni di euro (+54,9%). Il cemento illegale non ha interrotto la propria avanzata (9.544 reati, pari al 42,9% del totale, 10.561 denunciati) insieme alla pesca fuorilegge, che è riuscita addirittura ad “avvantaggiarsi” con la pandemia: ben 3.414 sequestri, si va dagli attrezzi usati illegittimamente in mare al pescato, contro i 547 nel 2019. Sulla cartina geografica degli illeciti è prima la Campania (4.206, il 18,9% del totale nazionale), seguita da Sicilia (3.207, 14,4%), Puglia (2.965, 13,3%), Lazio (2.034, 9,1%), Calabria (1.934, 8,7%) e Toscana (1.457, 6,5%). Sale nella classifica di due posizioni l’Abruzzo (960, 4,3%). All’ottavo posto c’è il Veneto, prima regione del Nord Italia, (923), 1.290 persone

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denunciate e arrestate, 226 sequestri. Sempre la Campania resta al primo posto, analizzando l’incidenza dei reati per chilometro di costa con nove, tre volte la media nazionale, ma divide il podio con il Molise (319), seguito dalla Basilicata (553), dall’Abruzzo (960) e dall’Emilia Romagna (805). Il monitoraggio delle ordinanze riguardanti la demolizione degli immobili abusivi emesse e non eseguite dai Comuni costieri ci fa sapere che gli abbattimenti sono andati avanti solo nel 24,3% dei casi (4.474 ordinanze realizzate su 18.407). Numeri che sono al di sotto della percentuale nazionale (32,9% di abbattimenti). L’associazione ambientalista chiede da tempo che dell’abusivismo storico si occupi in modo diretto lo Stato, attraverso i prefetti: «Chiediamo al premier Draghi e ai ministri competenti d’intervenire, perché non sia snaturato il senso della legge. - sostiene Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente -. Sono già centinaia le ordinanze di demolizione trasferite dai Comuni alle prefetture competenti che rischiano, altrimenti, di restare lettera morta». Altro capitolo imbarazzante è quello dedicato all’abbandono d’immondizia lungo le spiagge e in mare, il cosiddetto marine litter. I volontari dell’associazione hanno trovato, nelle 47 spiagge controllate in tredici regioni (Abruzzo, Basilicata, Toscana, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Veneto), una media di 783 rifiuti


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Ambiente

RETI E MATTONI SELVAGGI Cemento abusivo e pesca di frodo spadroneggiano per Legambiente lungo le coste italiane

ogni cento metri lineari di spiaggia, dei quali l’84% è di plastica. «Secondo il recente studio “The Mediterranean: Mare plasticum” (IUCN, 2020) la plastica totale accumulata nel Mar Mediterraneo - si racconta nel rapporto “Mare monstrum” - è stimata nell’ordine di grandezza di 1.178.000 tonnellate, con un possibile range che corre da 53.500 a 3.546.700 tonnellate. L’ampiezza di una così elevata incertezza di stima è dovuta al fatto che la maggior parte delle ricerche svolte finora si è concentrata principalmente sulla plastica accumulata sulla superficie del mare, che costituisce meno dello 0,1% della quantità totale. Lo studio stima che ogni anno mediamente 229.000 tonnellate (in un range da 150.000 a 610.000 tonnellate) di rifiuti plastici raggiungono le acque del mare. Di queste la percentuale maggiore, ossia il 94%, è costituita da macroplastiche, e il 6% è costituito da microplastiche, ossia frammenti e particelle con dimensione minore di 5mm». Nei cinque scali coinvolti dal progetto di riportare a terra quanto incautamente lasciamo finire in acqua (Porto Garibaldi, nel Comune di Comacchio in provincia di Ferrara; Centola, San Giovanni a Piro e Camerota, in provincia di Salerno, Manfredonia, in provincia di Foggia) sono stati raccolti da sessantatré pescherecci 2.896,35 kg di spazzatura. Riguardo ai reflui industriali, vengono citati due casi siciliani emblematici: quello di Priolo e la mancata bonifica della rada e del porto di Augusta entrambi nel siracusano.

Sono stati 22.248 gli illeciti accertati (-5,8% rispetto al 2019), con una media di circa 61 reati al giorno, 2,5 ogni ora; 24.797, nell’insieme, le persone denunciate e arrestate, +24% guardando al 2019; i sequestri sono arrivati a 8.044 (+9,9%), per un valore di 826 milioni di euro (+54,9%). © Richard Whitcombe /shutterstock.com

Un altro dei mali cronici che contraddistinguono il nostro Paese, come confermano i dati sulla copertura del servizio di collettamento e depurazione dell’Istat, è riscontrabile nei quaranta Comuni, circa 394mila abitanti, senza il servizio pubblico di fognatura e nei 339, con quasi 1,6 milioni di residenti, privi d’impianti per la depurazione, specialmente nel Mezzogiorno e nelle isole. Calabria, Sicilia e Campania, difatti, sono le regioni con le maggiori difficoltà, la prima con l’89% degli agglomerati in difetto verso le norme dettate dall’Unione Europea, la seconda con il 77% e la terza con il 75%. (G. P.).

Le campagne

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oletta Verde e dei Laghi, due storiche campagne di “Legambiente”, sono tornate dal tre luglio a controllare le acque italiane per accertarne lo stato di salute. I volontari della prima imbarcazione hanno portato in giro alcuni temi chiave come lotta alle fonti fossili, depurazione dei reflui, aree marine protette, bonifiche dei territori inquinati, erosione costiera, dissesto idrogeologico, beach e marine litter, porti ed eolico off-shore. La goletta lacustre, da Nord a Sud, ha dato la caccia alle microplastiche, grazie ad un protocollo di monitoraggio realizzato dagli esperti dell’associazione ambientalista e dell’Enea con momenti di confronto e studio insieme ai tecnici delle Arpa durante il passaggio sui laghi Maggiore, Garda, Como, Trasimeno e Bracciano. GdB | Luglio/agosto 2021

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I CONSIGLI DEL WWF PER UNA VITA PLASTIC FREE Dal 3 luglio 2021 nell’Unione Europea, gli oggetti di plastica usa e getta quali posate e piatti, cannucce, mescolatori per bevande, aste per palloncini, tazze e contenitori per alimenti o bevande in polistirene espanso non potranno più essere messi in commercio

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allo scorso tre luglio la Direttiva europea Sup sulla plastica monouso (Single Use Plastic), recepita con una legge nazionale, ha bandito alcuni oggetti usa e getta: cannucce, bastoncini cotonati e per palloncini, piatti e posate, palette da cocktail, contenitori per alimenti e bevande in polistirolo. È un primo passo, perché restano fuori tanti altri prodotti usa e getta: dalle bottiglie per acqua e bibite ai flaconi per detergenti e detersivi, dalle scatolette alle buste per i cibi. Il “Wwf” che da anni, insieme ad altre associazioni ambientaliste, si batte per ridurre radicalmente l’utilizzo del materiale plastico ha proposto una petizione per il Governo italiano al fine di evitare che ogni anno nelle acque del Mediterraneo finisca l’equivalente di 33.800 bottigliette di plastica abbandonate in mare ogni minuto. Ha stilato, quindi, un decalogo con le pratiche sostenibili, in favore del pianeta. Sulla pagina wwf.it/ecotips ognuno di noi può trovare numerosi spunti per cambiare il proprio rapporto con l’Ambiente e adottare un nuovo stile di vita. Al primo posto viene segnalata come opzione migliore la scelta di recarsi al mercato, lì dove tutto è sfuso ed è possibile portare con sé le borse. Al supermercato, invece, si devono preferire

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i prodotti non confezionati del banco formaggi, salumi e carne. Optiamo per le confezioni in carta se compriamo uova e pasta o quelle in vetro per salse o yogurt. In bagno per l’igiene orale, poiché usiamo in media circa trecento spazzolini da denti nella vita, possiamo passare a quelli con testina intercambiabile e vale anche per i rasoi. Semaforo verde per il filo interdentale biodegradabile, il pettine in legno, le eco ricariche per i saponi e guardiamo sempre le etichette, evitando il polyethylene, un polimero molto utilizzato. Accappatoio e asciugamani dovranno essere in spugna e non in microfibra, dato che il lavaggio dei tessuti sintetici libera tecnofibre di plastica. Nel capitolo detersivi, favoriamo quelli “alla spina” e incoraggiamo i negozianti a dotarsi del “refill”. Tra i prodotti per la pulizia della casa, pensiamo ad aceto, limone e bicarbonato. Nella lavanderia della eco-massaia non possono mancare guanti e panni riutilizzabili, spugnette in cellulosa e mollette di legno per stendere i vestiti. Una volta a tavola, apparecchiamo con tovagliette in cotone, dimenticando tazze, piattini, mestoli, taglieri, ciotole, coperchi e scolapasta in plastica; per i più piccini, biberon in vetro. Usiamo lo stesso materiale per conservare i cibi senza bustine o


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pellicole. Se amiamo la macchina del caffè, gustiamolo con cialde compostabili e occhio pure alle bustine del tè! Non scordiamo neanche gli accendini ricaricabili per i fornelli. La pappa dei nostri amici a quattro zampe dovrebbe essere lasciata dentro ciotole in ceramica o d’acciaio. I loro giocattoli vanno bene in corda o in altri materiali e per gli escrementi sacchetti in bioplastica. Provvedendo al loro riposo, selezioniamo una cuccia di legno o un cesto di vimini. Sul posto di lavoro evitiamo il bicchierino alla macchinetta e le stoviglie monouso: portando, magari, la tazzina o il piatto del servizio “spaiato”. Prendiamo appunti con penne ricaricabili e se la sete si fa sentire borraccia dell’acqua sulla propria scrivania, brocca e bicchieri di vetro sul tavolo delle riunioni. Ci piace preparare e offrire cocktail? La cannuccia e l’agitatore monouso non servono. Nel caso in cui i coperti siano troppi, bioplastica, carta o bambù rappresentano un buon compromesso. Niente palloncini, pollice in su per i festoni e la musica in streaming o digitale. Voglia di un buon gelato? Ogni anno ne mangiamo 6 kg a testa, magari badando poco a cucchiaini, coppette e imballaggi? Chiediamo, quindi, il cono in cialda. In palestra o a casa, per mantenersi in forma, il tappetino dello yoga

Al supermercato, invece, si devono preferire i prodotti non confezionati del banco formaggi, salumi e carne. Optiamo per le confezioni in carta se compriamo uova e pasta o quelle in vetro per salse o yogurt.

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o il tatami si trovano anche in fibra di bambù. Quelli in plastica una volta rovinati, non sono riciclabili e devono essere gettati nell’indifferenziata. Amiamo l’abbigliamento sportivo? Bene, allora indossiamo tute, canottiere, magliette in tessuti naturali e non sintetici. Il Wwf Italia nella propria relazione “La lotta al Covid frena quella all’inquinamento da plastica” approfondisce alcune questioni a oltre un anno dall’inizio della pandemia, tra cui quelle riguardanti le mascherine «La mala gestione, le perdite accidentali e la dispersione in natura, stanno acuendo il dramma dei rifiuti plastici che inquinano e soffocano oceani ed ecosistemi terrestri. Se disperse in mare, le mascherine tendono a galleggiare, ma ne esistono di più pesanti, che affondano o restano sospese a tutte le profondità. Sono stati già osservati pesci, tartarughe, mammiferi marini e uccelli che le hanno ingerite intere, mentre altri organismi sono spesso vittime degli elastici. Sebbene se non esista un rapporto ufficiale su quante mascherine vengano smaltite, si stima un uso mensile di 129 miliardi di mascherine (3 milioni al minuto) per proteggere i cittadini di tutto il mondo. 8 Studi più recenti 9 parlano di 7 miliardi di dispositivi al giorno a livello globale (con l’Asia che rappresenta il 54% del consumo totale giornaliero) ben 210 miliardi ogni mese. Il continente europeo, nel suo complesso, ne consuma quindi circa 900 milioni al giorno. In termini di peso (una mascherina pesa circa 3 grammi), nella sola Unione europea ogni giorno circa 2600 tonnellate di mascherine finiscono, quindi, tra i rifiuti (o disperse in natura)». (G. P.).

I consigli del Wwf

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l Wwf Italia suggerisce sei regole per le consegne a domicilio: ordinare consapevolmente, scegliendo ingredienti bio o di stagione e non trascurando una dieta sana e sostenibile; gustare intelligentemente, usando per la nostra tavolata estiva con gli amici, ad esempio, stoviglie e posate già presenti in casa; scegliere aziende attente alla sostenibilità negli alimenti, a come li imballano e consegnano; bere l’acqua dal rubinetto e non acquistare quella in bottiglia; evitare gli sprechi, prendendo dal menù solamente ciò che davvero sarà consumato e, in caso di avanzi, conservarli per il giorno successivo o per preparare nuovi piatti; smaltire senza errori, infine, gli imballaggi nella raccolta differenziata.

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lberi rosicchiati, legni accatastati, tracce strane. Nel cuore delle valli del vino e dei cipressi, della magnifica Toscana, da qualche anno sono apparsi segni particolari, inusuali. Li hanno notati i pescatori, e poi alcuni agenti della polizia provinciale impegnati a controllare il territorio di Siena e svariati tratti di fiume regionali: c’erano strani animali all’opera, decisamente sconosciuti in Toscana. Castori, è stata la prima idea, poi confermata anche grazie a biologi e scienziati. Dopo 500 anni, i castori sono infatti tornati in Toscana. Si tratta di un evento unico, per molto tempo impensabile: soltanto tre anni fa, nel 2018, i primi castori in Italia tornati dopo oltre quattro secoli e mezzo furono individuati in Friuli Venezia-Giulia, in territori non troppo distanti da quell’Austria dove dagli anni Settanta si svolgono azioni di ripopolamento e tutela di questi animali, fantastici ingegneri idrici e architetti della natura. Poi altri segnali in Trentino Alto-Adige,

sempre poco distanti da zone di confine. Mai però si sarebbe pensato che a cinquecento chilometri più a sud rispetto a dove sono stati avvistati quegli esemplari, ci fossero altre popolazioni di castori, quasi nel Centro Italia. Invece sì, eccoli, ci sono davvero: a confermarlo è una nuova ricerca scientifica pubblicata sulla rivista “Hystrix - The italian journal of Mammology” da Chiara Pucci e Davide Senserini, tecnici della fauna selvatica, Giuseppe Mazza del Consiglio per la ricerca in agricoltura (CREA) e Emiliano Mori dell’università di Siena e Cnr. «Sono tornati i castori europei» raccontano i ricercatori nello studio, anche se molto probabilmente la loro presenza è il frutto di qualche rilascio illegale lungo i corsi d’acqua della regione. Esemplari sono stati visti e immortalati dalle fototrappole nell’area del bacino dell’Ombrone e del Merse, fra i comuni di Civitella Paganico, Murlo, Montalcino e Monticiano. «Abbiamo notato lungo il corso del fiume, durante la vigilanza

IL RITORNO DEI CASTORI Dopo 500 anni tornano gli architetti della natura nelle valli del vino e dei cipressi Evento unico, che per i biologi va monitorato di Giacomo Talignani 38 GdB | Luglio/agosto 2021


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sui corsi d’acqua e negli ambiti naturalistici del territorio, alcuni segni inequivocabili. Negli alberi, in particolare salici e pioppi che prediligono, c’erano rosicchiature della vegetazione riconducibile a questa specie. Il pensiero è stato subito che si trattasse del castoro, ma sulle prime non sapevamo neppure se segnalarlo visto che tale specie manca dalle nostre zone da secoli» raccontano ai giornali locali, entusiasti, gli agenti che per primi hanno portato avanti le segnalazioni. Dalle loro “dritte”, e da quelle dei pescatori, ha preso corpo così la ricerca da poco pubblicata che conferma come questi animali, un tempo nel 1500 presenti nello Stivale, ma poi predati e scomparsi, stiano lentamente tornando. Quella Toscana, è una nuova piccola popolazione, probabilmente composta da una decina di esemplari, ed è fatta da due popolazioni presenti in differenti aree. La loro presenza, inoltre, è stata anche confermata grazie alle analisi genetiche portate avanti dai ricercatori che assicurano come si tratti di castori europei (Castor fiber), per la prima volta avvistati dopo centinaia di anni in provincia di Arezzo, in Valtiberina, lungo il corso del Tevere e ai confini tra le province di Siena e di Grosseto. Più precisamente una popolazione si troverebbe tra i boschi di Monticiano e Montalcino, l’altra nell’Aretino. Nello studio “Reappearance of the Eurasian beaver Castor fiber L. in Tuscany (Central Italy): the success of unauthorised releases?” gli autori raccontano che molto probabilmente la presenza di questi mammiferi è possibile grazie a una reintroduzione illegale, a differenza degli esemplari avvistati al Nord. «Come siano apparsi in Toscana, a 500 km di distanza, non si sa» ha detto il biologo Emiliano Mori. Accertata la presenza di questi ani-

«Sono tornati i castori europei» raccontano i ricercatori nello studio, anche se molto probabilmente la loro presenza è il frutto di qualche rilascio illegale lungo i corsi d’acqua della regione. Esemplari sono stati visti e immortalati dalle fototrappole nell’area del bacino dell’Ombrone e del Merse, fra i comuni di Civitella Paganico, Murlo, Montalcino e Monticiano. © Firn /shutterstock.com

mali, la sfida che si apre è al contempo quella di tutelarli, dato che sono specie di fatto autoctone e che necessitano di protezione, ma anche di comprendere il possibile impatto di questa specie sugli ecosistemi toscani. I castori, infatti, sono abili architetti dei fiumi, realizzano dighe, deviano i corsi d’acqua e la loro presenza può impattare - anche positivamente - sull’equilibrio degli habitat. Altrove, per esempio, come in Gran Bretagna, esistono diversi programmi ormai ventennali per il reinserimento in certe aree di questi animali un tempo scomparsi: esiste un vero e proprio piano per spingere sulla ripopolazione di questi “ingegneri dell’ecosistema”, capaci di mitigare con le loro opere gli effetti delle inondazioni e della crisi climatica. Grazie ai castori, che operano sul legname, si creano per esempio anche spazi dove filtra la luce favorendo la crescita di piante e di biodiversità. «Dove ci sono loro la trasformazione degli habitat è notevole» sostiene Ben Eardley, project manager del National Trust di Holnicote, piano per il ripopolamento di castori nel Regno Unito. «Fanno entrare la luce, l’acqua, aiutando i processi naturali e fornendo opportunità per una miriade di altri animali selvatici». Dopo la nuova scoperta della presenza di castori in Toscana, gli scienziati chiedono dunque azioni immediate di monitoraggio e sforzi per preservare questa popolazione «e/o limitare gli impatti sugli ecosistemi e i conflitti con le attività umane». Particolari attenzioni andranno dedicate anche ad alcuni esemplari che avrebbero dato vita alle prime famiglie di castori dato che, spiegano gli esperti, questi animali si starebbero ripopolando: «La presenza di almeno un giovane suggerisce che nel 2020 potrebbe essersi verificata la riproduzione in natura» sostengono entusiasti gli esperti che ora mirano a una rete di monitoraggio e protezione per studiare questi affascinanti mammiferi. GdB | Luglio/agosto 2021

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I PANDA MENO MINACCIATI DI ESTINZIONE L’animale iconico della perdita di biodiversità giova delle politiche di conservazione Dopo lo IUCN, anche Pechino conferma il miglioramento delle popolazioni giganti 40 GdB | Luglio/agosto 2021


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li orsi dall’occhio nero e le movenze buffe nel tempo sono diventati sinonimo di fragilità, di animali da proteggere, minacciati da estinzione. Il panda gigante per molti anni è stato oggetto di attenzione e di programmi di conservazione mirati, visto il rischio di perdere per sempre questa specie così delicata. Ora però le cose stanno cambiando: i panda giganti non sono più minacciati di estinzione. A stabilirlo sono le autorità cinesi che da decadi portano avanti i programmi di salvaguardia di questi animali: i panda in natura sono arrivati a 1800 esemplari. Già cinque anni fa, nel 2016, la IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) aveva rimosso i panda giganti dalla lista delle specie a rischio di estinzione, classificandoli come “vulnerabili”, ma ora la nuova classificazione viene confermata da chi si occupa quotidianamente del ripopolamento di questa specie. La nuova classificazione, infatti, «riflette le loro migliorate condizioni di vita grazie agli sforzi di lunga durata per la loro conservazione, inclusa l’espansione dell’habitat» ha spiegato per esempio Cui Shuhong, dirigente del ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente cinese. Quando la IUCN declassificò i panda, Pechino aveva contestato la decisione, affermando che poteva indurre ad attenuare gli sforzi per la conservazione di questi animali, ma ora il governo cinese conferma il miglioramento delle loro condizioni. Il declassamento testimonia i risultati degli sforzi profusi nella salvaguardia dei panda giganti e mostra il riconoscimento della comunità internazionale nei confronti dell’impegno della Cina in questo settore. Nel corso degli anni, la Cina ha intrapreso una serie di misure per rafforzare la protezione degli animali selvatici, soprattutto dei panda giganti. Finora ha istituito 67 riserve naturali per questi ultimi, proteggendo efficacemente il 53,8% dei loro habitat e il 66,8% della sua popolazione. Inoltre, si continueranno a fare sforzi per rafforzare ulteriormente la protezione dei panda giganti in conformità con i requisiti nazionali e internazionali» spiegano le autorità cinesi. Come ha ricordato Cui Shuhong «le condizioni di vita delle specie rare e minacciate in Cina hanno visto nel frattempo notevoli miglioramenti grazie all’impegno attivo del Paese nella protezione della biodiversità e nel ripopolamento degli ecosistemi. Il miglioramento delle condizioni di vita della fauna selvatica cinese è dovuto all’impegno del Paese nel creare un sistema piuttosto ampio di riserve naturali, con lo scopo di proteggere vaste aree di ecosistemi naturali in modo sistematico e completo. Tanto che

Già cinque anni fa, nel 2016, la IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) aveva rimosso i panda giganti dalla lista delle specie a rischio di estinzione, classificandoli come “vulnerabili”, ma ora la nuova classificazione viene confermata da chi si occupa quotidianamente del ripopolamento di questa specie. La nuova classificazione, infatti, «riflette le loro migliorate condizioni di vita grazie agli sforzi di lunga durata per la loro conservazione, inclusa l’espansione dell’habitat» ha spiegato per esempio Cui Shuhong, dirigente del ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente cinese. © PHOTO BY LOLA /shutterstock.com

alla fine del 2019 la Cina aveva 11.800 riserve naturali, che rappresentano il 18% della superficie del Paese. In Cina la popolazione di diverse specie rare e minacciate è gradualmente in ripresa. Infatti, il numero di tigri siberiane, elefanti asiatici e ibis crestati è cresciuto rapidamente». Chi del panda ha fatto il suo simbolo, proprio per raccontare la fragilità del nostro Pianeta e il problema della perdita di biodiversità che insieme alla crisi climatica minaccia il futuro della Terra, è il Wwf. Secondo l’ultimo censimento del Wwf, gli individui di panda gigante sono esattamente 1.864 e l’aiuto del Wwf stesso negli anni ha permesso di gestire sostenere e creare delle riserve in Cina, consentendo ai panda di spostarsi, nutrirsi e riprodursi in modo sicuro. Uno dei motivi che preoccupa però per il futuro degli animali è il disboscamento, che secondo l’associazione «aveva reso sempre più complicato per i panda trovare i germogli di bambù necessari per il loro sostentamento. La scarsità di cibo ha costretto questi animali negli anni a spostarsi di continuo, esponendoli al bracconaggio e ai mille pericoli dovuti alle infrastrutture costruite dall’uomo. Il Wwf, fin dalla sua fondazione, protegge questa specie iconica, protagonista del logo che identifica l’associazione». Grazie alla collaborazione con diversi centri di ricerca e riserve, come quella di Wolong in Cina dove operano veterinari e biologi specializzati nella conservazione dei panda, negli ultimi anni si sono messe a punto varie tecniche per sostenere il futuro di questi mammiferi, fra le quali sistemi per agevolare la riproduzione e anche l’uso di “camera traps”, telecamere ad alta tecnologia collegate via satellite che permettono di osservare in ogni momento il ciclo biologico di questi animali e comprendere eventuali pericoli per la loro sopravvivenza. Nel frattempo, altre buone notizie arrivano dal Giappone, sempre in tema di conservazione della specie. Poche settimane fa, a fine giugno, un panda gigante ribattezzato Shin Shin ha dato alla luce due gemelli nello Zoo di Ueno,a Tokyo: da quattro anni nello zoo non nasceva un panda e mai erano nati due gemelli. Subito i responsabili dello zoo si sono prodigati per permettere la corretta crescita dei fratellini. «Faremo in modo che la madre panda allatti uno dei due mentre teniamo l’altro nell’incubatrice» hanno spiegato dallo zoo, ricordando che fra le particolarità di questo straordinario animale, che oggi ci dà segnali di speranza per il suo futuro, c’è quella che i panda giganti di solito non riescono a prendersi cura di due cuccioli allo stesso tempo. (G. T.). GdB | Luglio/agosto 2021

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SCOPERTA UNA NUOVA FORMICA ARBORICOLA Le proprietà e le caratteristiche di quello che non è solo un frutto succoso e rinfrescante, ma fa anche molto bene alla salute

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a scoperta è opera di un team di ricercatori coordinato dal prof. Donato A. Grasso, docente dell’Università di Parma, che ha coinvolto lo stesso Ateneo (con Enrico Schifani, Daniele Giannetti, Cristina Castracani, Fiorenza A. Spotti e Alessandra Mori), il Centre for Ecological Research di Va’cra’to’t in Ungheria (con Sa’ndor Cssz) e l’Università di Bologna (con Andrea Luchetti e Filippo Castellucci). Lo studio multidisciplinare, molto complesso, è stato pubblicato sulla rivista di Zoologia Zoological Journal of the Linnean Society, famosa per aver ospitato nel 42 GdB | Luglio/agosto 2021

1858 la teoria dell’evoluzione mediante la selezione naturale di Charles R. Darwin e Alfred R. Wallace. La nuova specie detta Colobopis imitans è stata classificata grazie ad un approccio integrato che consente la classificazione molto precisa di organismi viventi. La tassonomia integrata permette di comprendere anche quelle che sono le relazioni con altre specie al fine di ricostruire tutta la storia evolutiva. Tramite l’etologia sono stati evidenziati e studiati nuovi comportamenti che hanno consentito di classificare questa nuova entità tassonomica. Alcune Caratteristi-

che hanno permesso di descrivere la Colobopis imitans finora confusa con la Colobopsis truncata. Il nome “imitans” le è stato attribuito per la particolarità che ha questa specie di imitare sia nel colore che nel comportamento un’altra specie di formica arboricola (Crematogaster scutellaris) per evitare l’attacco dei predatori. Queste due specie vivono nello stesso ambiente ma la Crematogaster scutellaris risulta essere più aggressiva. «Il mimetismo sembra aver giocato un ruolo importante nel guidare la diversificazione delle due specie di Colobopsis», ha sottolineato- Luchetti. «In questo senso, il caso di Colobopsis truncata e Colobopsis imitans può essere considerato l’unico esempio finora ben documentato tra le formiche che suggerisce una diversificazione tra due specie sorelle determinata da una forma di mimetismo». Sono stati analizzati e valutati, con quantificazioni morfometriche, sia i pattern cromatiche che le caratteristiche anatomiche che hanno aggiunto elementi importanti alla ricerca. Inoltre, grazie a campioni di Paesi europei e del bacino mediterraneo, è stata definita e individuata la distribuzione biogeografica che si concentra nel sud della Penisola Iberica, in Maghreb e Sicilia. «L’identificazione di questa nuova specie aggiunge un tassello importante allo studio della fauna e in particolare delle popolazioni di formiche in Italia, e mette in evidenza quanto ancora c’è da scoprire sulla biodiversità del nostro territorio», ha spiegato Andrea Luchetti, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. «Inoltre - ha concluso - questo e altri casi analoghi di mimetismo tra diverse specie di formiche offrono nuove importanti informazioni sui meccanismi evolutivi che sono alla base della diversificazione degli animali».


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olluschi, salmoni, organismi viventi di varie specie, perfino uccelli. Il caldo uccide, non solo gli esseri umani, ma anche miliardi di animali. L’ondata di calore che ha attraversato diverse latitudini del mondo, e che ha colpito durissimo soprattutto in Canada e nel Nord Ovest degli Stati Uniti fra fine giugno e inizio luglio, ha mostrato tutto l’impatto degli effetti devastanti della crisi climatica, provocando oltre cinquecento morti in Canada, vittime in tutti gli Stati Uniti, ma anche in Asia, Siberia e in diverse parti del mondo colpite da incendi e temperature elevatissime. Non solo umani però: sono oltre un miliardo, per esempio, gli animali che si crede siano morti lungo la costa del Pacifico. Secondo Christopher Harley, biologo marino dell’Università della British Columbia, l’ondata di calore che ha portato in diverse zone del Canada temperature ben superiori ai 40 gradi, e cittadine andate distrutte come Lytton dove si sono sfiorati i 50 gradi, ha ucciso miliardi di molluschi, soprattutto cozze. Le immagini di spiagge dell’area di Vancouver parlano da sole: una distesa di organismi morti e in decomposizione, dai molluschi sino ai crosta-

cei. «La riva solitamente non scricchiola quando ci cammini sopra, invece ora ci sono ci sono così tanti gusci di cozze vuoti sparsi ovunque, da non riuscire a camminare sugli animali morti» raccontano i biologi che hanno visitato le spiagge. Una distesa di morte che ha coinvolto anche ostriche, lumache, stelle marine, vongole e migliaia di altri animali. Proprio Harley attraverso le telecamere a infrarossi per misurare le temperature ha registrato lungo la costa rocciosa sino a 50 gradi centigradi, temperature che hanno fatto letteralmente “cuocere” molte creature. «Quando le temperature superano certe soglie le condizioni diventano insostenibili» dice il biologo, uccidendo così miriadi di cozze e vongole fondamentali, per esempio, nel loro ruolo di filtraggio dell’acqua e per mantenere gli equilibri degli habitat, dato che «un metro quadrato di letto di cozze potrebbe ospitare diverse dozzine o addirittura un centinaio di specie» precisa l’esperto sostenendo che «molte specie non saranno in grado di tenere il passo con il ritmo del cambiamento. Gli ecosistemi cambieranno in modi che sono davvero difficili da prevedere. Non sappiamo qual è il punto di non ritorno». Il desolante spettacolo delle spiagge ricoperte di animali morti va di pari passo con un’altra tragedia ecologica che ha riguardato diverse specie di uccelli in sofferenza per l’ondata di calore.

CALDO KILLER: COSÌ NE DI CALORE UCCIDONO

Dal Canada alla Turchia, dal Nord Amer e tantissimi altri animali in sofferenz 44 GdB | Luglio/agosto 2021


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Fra queste i falchi: nel centro di riabilitazione della fauna selvatica Blue Mountain Wildlife, per esempio, si sono accorti che qualcosa non andava quando sono giunte sempre più segnalazioni di piccoli di falco in difficoltà. Il centro ha preso in cura, infatti, più di 50 piccoli falchi troppo giovani per volare che secondo l’ipotesi dei ricercatori si sono lanciati giù dai nidi per sfuggire al caldo estremo. Alcuni di questi erano in condizioni drammatiche e sono stati soppressi. Scene simili si sono viste perfino in Italia, dove a Foggia la Lipu ha denunciato come decine e decine di Rondoni (comuni e pallidi) siano morti e stati ritrovati ovunque proprio durante i periodi di caldo intenso, oltre i 40 gradi. Altrove, Turchia, migliaia di fenicotteri sono stati ritrovati senza vita: si tratta di giovani esemplari uccisi dal caldo estremo e dalla siccità che ha colpito il Paese nelle ultime settimane, come testimoniano le drammatiche immagini raccolte da TEMA Vafki, associazione ambientalista di Istanbul. Una condizione simile, di morte ed estrema difficoltà, vale anche per i salmoni. Le autorità della California, per esempio, hanno lanciato l’allarme per i giovani esemplari di salmone Chinook che vivono nel fiume Sacramento: secondo quanto affermato stanno morendo a causa dell’acqua estremamente calda per via delle ondate di calore. Quella dei salmoni Chinook è una specie già a rischio estinzione che secondo gli esperti è oggi in grande sofferenza per temperature che superano i livelli che garantiscono la loro sopravvivenza. «Questa persistente cupola di calore sulla costa occidentale probabilmente comporterà una per-

dita della capacità di fornire acqua fresca e, di conseguenza, è possibile che quasi tutti i giovani nel fiume non sopravvivono in questa stagione» spiegano dal California Department of Fish and Wildlife (CDFW). Caldo che ha messo in difficoltà persino i predatori dei salmoni, come gli orsi: dal Nord America arrivano infatti sempre più immagini di orsi stremati dalle ondate di calore che si rifugiano in acqua, dai laghi alle piscine private, insieme ai loro cuccioli. In molti casi e in diverse zone oltretutto le uova dei salmoni muoiono prima ancora di schiudersi quando la temperatura dell’acqua supera i 20 gradi, tant’è che alcune organizzazioni della Central Valley per la tutela dei pesci hanno provato a salvare la popolazione dei salmoni trasferendoli alle baie di San Pablo e di San Francisco. Secondo la California Department of Fish and Wildlife circa 1,1 milioni di giovani salmoni provenienti dal fiume Klamath sono infatti stati ricollocati con successo in aree con condizioni più accettabili. L’intervento dell’uomo però poco potrà fare se le ondate di calore e gli effetti del surriscaldamento continueranno e intere popolazioni di salmoni, così come quelle di altre specie, rischiano di scomparire per sempre se l’uomo non riuscirà a mettere un freno alla sovra pesca o troverà rimedi per mitigare davvero gli effetti di una crisi climatica che avanza ed è sempre più impattante per moltissimi animali del Pianeta, noi compresi. (G. T.).

EL MONDO LE ONDATE MILIARDI DI ANIMALI

rica all’Italia: molluschi, salmoni, uccelli za per gli effetti della crisi climatica GdB | Luglio/agosto 2021

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IMPARARE DAL BOSCO Saranno formati 90 nuovi istruttori forestali, un lavoro fondamentale nella salvaguardia della foresta

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gni albero ha caratteristiche uniche. Abbatterlo in modo sicuro e professionale, pur essendo solo una delle tante operazioni svolte dall’operatore forestale, richiede tante competenze pratiche. Quest’ultime possono essere acquisite con la formazione professionale, ma sono rafforzate dall’attività lavorativa e dalla continua valutazione critica del proprio operato. Il progetto “For.Italy”, che vede coinvolte le Regioni Piemonte (capofila), Basilicata, Calabria, Liguria, Lombardia, Sardegna, Sicilia, Toscana e Veneto ed è stato condiviso da tutte le altre, vuole presentare le migliori e più valide iniziative da mettere in campo quando si lavora all’aria aperta e a stretto contatto con gli ambienti naturali. Da quest’anno sono previsti sei cantieri dimostrativi e informativi (Nord, Centro Nord, Centro, Sardegna, Sud e Sicilia) sulla formazione forestale e sette corsi per istruttori forestali di abbattimento e allestimento (Nord, Centro Nord, Centro, Sardegna, Sud 1,

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Sud 2 e Sicilia). Obiettivo? Addestrare novanta nuovi istruttori che potranno portare la propria esperienza su tutto il territorio nazionale partecipando, da protagonisti, ad altri percorsi promossi dalle Regioni e dalle Province Autonome. Durante i primi due incontri nella foresta regionale “Fossa Cupa“ di Abriola (PZ) e in quella demaniale di Pian Cansiglio ad Alpago (BL) sono state predisposte e animate diverse piazzole con dimostrazioni pratiche riguardanti alcune operazioni come abbattimento, allestimento, esbosco aereo e sicurezza. I partecipanti, inoltre, hanno potuto ripassare insieme le novità previste dal Testo unico (d.lgs. 34/2018) su foreste e filiere forestali per la qualificazione delle imprese e in materia di formazione degli operatori. Quando, ad esempio, si tiene un sopralluogo preliminare per ogni cantiere è bene prendere in esame: l’accesso, a piedi e con i mezzi; i principali pericoli dell’area (ambientali: rocciosità, piante morte, pendenza, insetti e animali pericolosi;


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infrastrutture: elettrodotti, acquedotti, viabilità, sentieri, manufatti; altri pericoli); le direzioni di abbattimento, concentramento ed esbosco; quali macchine, attrezzature e dispositivi di protezione avere; le aree di parcheggio, deposito attrezzature e accatastamento; la copertura di una rete di telefonia mobile o, in alternativa, il punto più vicino per allertare i soccorsi; la raggiungibilità da parte di autoambulanza o elicottero, quale sia l’ospedale più vicino; le coordinate del luogo di lavoro o di un punto facilmente riconoscibile. Prima di tagliare un tronco, poi, occorre valutare il metodo più sicuro. La scelta avviene attraverso il cosiddetto “esame dell’albero”. Bisogna, difatti, stabilire specie, diametro, stato di salute e presenza di legno gelato. Secondo passo, analizzare contrafforti radicali, segni di marciume o possibili alterazioni interne e deformazioni. In seguito va osservata la forma del fusto, considerando inclinazione, cavità, biforcazioni, tensioni, presenza di cretti da gelo. Riguardo alla chioma, devono essere esaminati la ripartizione del peso, le dimensioni e lo stato di salute. Tra i pericoli, occhio ai rami secchi o a parti della chioma impigliate; conviene considerare i rischi per colleghi, strade e case, la zona di caduta e pericolo, non dimenticando alberi vicini, spazi disponibili per atterramento, trascinamento o rottura di altre piante. È utile, infine, indicare e preparare il percorso lungo il quale è necessario allontanarsi quando inizia la caduta. Il controllo finale della ceppaia serve, poi, come aiuto per perfezionarsi, capire come sia andato il taglio, se la stima di di-

Chi lavora nei boschi può infortunarsi ed è utile ricordare sempre alcune regole: 1) non eseguire mai da solo i lavori in bosco; 2) controllare l’albero da abbattere; 3) sorvegliare la zona di pericolo e quella di caduta; 4) raggiungere per tempo il luogo di ritirata deciso, appena l’albero inizia la caduta; 5) non sostare nella zona di pericolo dove si trovano tronchi non assicurati o carichi sospesi; 6) proteggersi contro le cadute; 7) utilizzare solo attrezzature di lavoro in perfetto stato; 8) lavorare soltanto se sono garantiti i soccorsi in caso di emergenza; 9) assistere gli apprendisti; 10) servirsi dei dispositivi di protezione individuale. © Krasula /shutterstock.com

mensioni e tensioni sia stata esatta e, soprattutto, che cosa si poteva fare in modo migliore. Sull’uso della motosega, i futuri formatori hanno ristudiato quali siano le operazioni da evitare: tagliare alberi senza una preparazione specifica sui macchinari; iniziare il lavoro se non si è sicuri di utilizzare la tecnica di taglio e le procedure corrette; tagliare utilizzando la punta della spranga per non provocare l’effetto “kickback” (contraccolpo della motosega nelle fasi di taglio e depezzatura, che può causare lesioni mortali per l’operatore); utilizzare la motosega sopra la linea delle spalle o con una mano sola; lavorare in quota se non con piattaforme aeree o attraverso l’accesso al luogo di lavoro per mezzo di funi, utilizzando attrezzature e procedure di cui l’operatore deve possedere le adeguate competenze e abilitazioni previste dalla normativa; tagliare legno in tensione qualora non si conoscano le adeguate tecniche o rimuovere le protezioni della macchina. Sembrano consigli, scontati, ma è meglio non derogare sulla sicurezza, perché ogni nuovo istruttore dovrà portare gli allievi a conoscersi meglio nei propri punti di forza e debolezza, dando prospettive di miglioramento e potenziandone l’autostima attraverso compiti in autonomia. Anche in questo campo è necessario operare per mete: far riflettere su analogie e coerenze logiche, stimolare il ragionamento e trasmettere valori positivi quali il rispetto per l’incolumità propria e altrui, condividendo esperienze di lavoro positive alla luce del proverbio honoratur arbor ob umbram, bisogna rispettare l’albero per la sua ombra. (G. P.). GdB | Luglio/agosto 2021

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L’ENEA E IL PROGETTO “SENSIBILE” Nuovi sensori smart biodegradabili e a basso livello di inquinamento per gli impianti di climatizzazione e depurazione dell’aria negli edifici

di MIchelangelo Ottaviano

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el contesto della sostenibilità ambientale, tra i propositi più interessanti dell’ultimo periodo spicca il progetto SENSIBILE lanciato dall’importante agenzia italiana per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, l’ENEA. SENSIBILE (come suggerisce anche lo scioglimento del suo acronimo, “SENSori autonomI e Biodegradabili per il monItoraggio ambientaLe negli Edifici”) è un innovativo sistema di sensori che si colloca nell’ambito del programma Proof of Concept del-

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la stessa agenzia in partnership con l’azienda PROMETE. L’obiettivo del progetto coordinato dal ricercatore dell’ENEA Giovanni Landi del Centro Ricerche di Portici (Napoli) è quello di promuovere un ambiente di vita salubre, sicuro e confortevole per le persone attraverso l’utilizzo di dispositivi intelligenti, biodegradabili, efficienti ed ecosostenibili. La loro importanza, oltre ovviamente alla capacità di coesistere senza avere un forte impatto inquinante con ciò che li circonda, sta nella precisa misurazione e nell’analisi dei parametri ambientali per attuare il

controllo e l’ottimizzazione degli impianti di climatizzazione e di depurazione dell’aria. I sensori sviluppati sono autonomi, ossia energeticamente autosufficienti, e il loro utilizzo consentirà un risparmio energetico sui consumi ed una riduzione dei costi di esercizio. Tali sistemi saranno distribuiti e connessi tra loro, ma la loro biodegradabilità permetterà di ridurre l’impatto ambientale dello smaltimento della mole di rifiuti elettronici che si producono nelle nostre case. I dispositivi sono realizzati con biomateriali ottenuti da risorse rinnovabili, come ad esempio la gelatina e la cellulosa. Tali materiali sono intrinsecamente ecosostenibili, biodegradabili, abbondanti (essendo possibile ricavarli da materiali di scarto industriale), rinnovabili e caratterizzati da proprietà non facili da riprodurre nei prodotti commerciali di sintesi. In una prima fase i ricercatori ENEA hanno voluto realizzare un prototipo biodegradabile, integrante un generatore di corrente che alimenti almeno un tipo di sensore, al fine di dimostrarne la fattibilità tecnologica. Successivamente hanno proceduto all’installazione dei sensori al caso concreto di una casa intelligente, dove il prodotto si è integrato monitorando i parametri ambientali attraverso una rete di sensori autonomi distribuiti in tutta la casa. Essi sono progettati al fine di funzionare per un tempo di vita pre-programmato e poi degradarsi in maniera sicura, senza incappare nella troppo frequente negligenza degli utenti nello smaltimento finale del prodotto. Temperatura, umidità e inquinamento dell’aria influiscono significativamente sulla qualità degli ambienti in cui si vive e lavora. In merito, i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che il 92% della popolazione mondiale trascorre la maggior parte del tempo in ambienti chiusi e che circa 3 milioni di decessi ogni anno sono riconducibili all’inquinamento indoor. Per tutti questi motivi, SENSIBILE ha suscitato grande interesse anche in campo europeo.


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lcune recenti ricerche hanno ipotizzato l’esistenza di una nuova specie imparentata con l’uomo chiamata dai paleoantropologi Homo longis o “Uomo drago”. Il fossile preso in analisi fu rinvenuto in Cina nel 1933 da un operaio nei pressi del cosiddetto “Fiume del drago nero” (da qui il nome Uomo drago), e risalirebbe ad almeno 140mila anni fa. Se dovesse effettivamente appartenere ad una specie umana sconosciuta condurrebbe ad una revisione della storia evolutiva dell’Homo sapiens. Le nuove ipotesi sull’albero genealogico del genere Homo sono state esposte in tre ricerche scientifiche pubblicate sulla rivista Innovation. Secondo gli studiosi, sono gli Homo longi e non i Neanderthal ad essere la specie più vicina alla nostra. Gli autori della ricerca sostengono che l’esemplare di Homo longi fosse alto e con diverse fattezze del viso paragonabili a quelle della nostra specie, mentre il cervello doveva avere un volume del 7% più grande rispetto alla media dell’encefalo degli attuali esseri umani. Un’analisi ha permesso di datare il teschio tra i 146mila e i 309mila anni fa, in un periodo in cui coesistevano diversi tipi di ominini (una sottofamiglia che comprende l’uomo e le specie a lui più vicine). Tra gli ominini vi sono degli appartenenti ad un’altra possibile specie identificata negli ultimi tempi, quella dei misteriosi denisoviani (Homo denisova). Questi ultimi e i Neanderthal sono considerati i nostri parenti più stretti. Diverse ricerche hanno evidenziato come nel periodo di convivenza con l’Homo sapiens ci furono diversi incroci, tanto che parte del materiale genetico degli umani moderni risale ai Neanderthal. L’inserimento dell’Homos longi nel quadro evolutivo potrebbe mettere ordine nei rapporti genealogici. Confrontando il suo cranio con le caratteristiche anatomiche di decine di altri fossili di ominini sono

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UOMO DRAGO, SCOPERTA UNA NUOVA SPECIE UMANA Il fossile preso in analisi fu rinvenuto in Cina nel 1933 da un operaio nei pressi del “Fiume del drago nero” e risalirebbe ad almeno 140mila anni fa

state evidenziate similitudini con il fossile di denisoviano, ma anche con un altro teschio risalente ad almeno 200mila anni fa sul quale è ancora in corso un confronto sull’appartenenza o meno alla nostra specie. Nelle nuove ricerche si legge che i tre fossili potrebbero appartenere alla stessa linea evolutiva, la più vicina a quella dell’Homo sapiens. Ciò significherebbe che l’Homo longi è più strettamente imparentato con la nostra specie rispetto ai Neanderthal. Non tutti sono però convinti dalle conclusioni dei ricercatori cinesi, considerato che non ci sono altre prove

che rendono più solida l’ipotesi. Se poi quello che tuttora è stato chiamato Homo longi si rivelasse un denisoviano i ricercatori dovrebbero fare i conti con altre stranezze. Le analisi genetiche hanno finora mostrato che i parenti più stretti dei denisoviani sono i Neanderthal, mentre le nuove ricerche sui fossili suggeriscono un forte legame tra l’Homo longi e l’Homo sapiens. I ricercatori confidano di ottenere qualche risposta in più dall’analisi del DNA del fossile di H. longi, anche se non sempre si riescono a ottenere dati affidabili da reperti così antichi. (M. O.). GdB | Luglio/agosto 2021

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Ambiente

U

n team multidisciplinare di ricercatori Enea, Ispra, Cnr e Iuss ha condotto una ricerca su un tratto del litorale del Parco Nazionale del Circeo tra Latina e Sabaudia, sperimentando la possibilità di studiare spiagge e fondali marini grazie ad innovative tecnologie di osservazione da remoto. L’obiettivo è quello di seguire gli effetti dell’erosione costiera e, di conseguenza, migliorare la ricettività turistica. Gli studi sono sati pubblicati sulla rivista internazionale Remote Sensing e si basano su una nuova metodologia dove interagiscono tecniche di telerilevamento con sensori aerei ad alta risoluzione (LIDAR- Light Detection and Ranging) e misure in situ per la calibrazione e la verifica dei dati acquisiti. Sergio Cappucci, ricercatore Enea del laboratorio Tecnologie per la dinamica delle strutture e la prevenzione del rischio sismico e idrogeologico, ha spiegato: «Il Lidar ci ha consentito di guardare il fondale fino a 18 metri di profondità e di individuare i tratti in cui sono presenti le barre di sabbia che possono alimentare la spiaggia emersa e mitigare gli effetti dell’erosione costiera, con una significativa ricaduta applicativa per l’economia del mare. Inoltre, grazie a queste tecnologie, possono essere valutate e monitorate l’efficacia e la sostenibilità di queste strategie di intervento». Le barre di sabbia sono accumuli di origine naturale che si formano soprattutto nei bassi fondali sabbiosi in virtù delle correnti e del moto ondoso e finora, studi di grande rilevanza, hanno permesso di individuare otto tipologie diverse, per forma e dimensioni, localizzate nell’area di ricerca. Per studiare le spiagge e queste formazioni naturali, i ricercatori hanno elaborato una grande quantità di dati rilevati da sensori montati su aereo e a terra, utilizzando un metodo implemen-

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NUOVE METODOLOGIE PER MAPPARE I FONDALI MARINI Osservazione da remoto per spiagge e fondali marini per mitigare gli effetti dell’erosione costiera

di Pasquale Santilio tato dallo stesso team. È denominato FHyL ed ottimizza l’integrazione delle conoscenze geofisiche ed ecologiche con quelle legate alle tecnologie di automatizzazione e di intelligenza artificiale. Dall’applicazione del metodo FHyL è stata ottenuta una “fotografia ad alta risoluzione” della costa, che ha permesso di individuare i tratti più a rischio su cui intervenire per definire la salvaguardia delle spiagge e la protezione delle infrastrutture. Cappucci ha aggiunto: «In Italia, solo negli ultimi 50 anni, sono andati persi circa 23 metri di profondità di arenile su 1750 km di litorale, per un

totale di circa 40 milioni di chilometri quadrati». Lorenzo Rossi e Iolanda Lisi di Ispra hanno sottolineato: «Le analisi di dati geospaziali, eseguite grazie all’utilizzo di software G.I.S., permettono di caratterizzare e studiare tratti di litorale più estesi, consentendo di confrontare la variazione delle forme di fondo rilevate, indotta da diverse condizioni meteo marine e idrodinamiche. In questo modo, riusciamo a ridurre tempi e costi rispetto ai rilievi condotti con metodi tradizionali». Emiliana Valentini del Cnr ha esaltato la valenza rappresentata da questi studi da remoto. GdB | Luglio/agosto 2021

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Innovazione

UNIVERSITÀ LA CLASSIFICA DEL CENSIS Diverse le categorie del ranking. La valutazione in base ai servizi erogati e all’occupabilità

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ual è lo stato di salute degli atenei nel nostro Paese? Ce lo dice la nuova Classifica delle Università italiane fatta dal Censis, giunta alla ventunesima edizione. Si tratta di un’articolata analisi del sistema universitario basata sulla valutazione degli atenei (statali e non statali, divisi in categorie omogenee per dimensioni) relativamente a: strutture disponibili, servizi erogati, borse di studio e altri interventi in favore degli studenti, livello di internazionalizzazione, comunicazione e servizi digitali, occupabilità. Complessivamente si tratta di 64 classifiche, che possono aiutare i giovani e le loro famiglie a individuare con consapevolezza il percorso di formazione. Sul sito internet del Censis è possibile scaricare il rapporto 2021, di cui facciamo una breve sintesi. Anzitutto, non c’è stato il crollo delle immatricolazioni temuto a causa della pandemia. Al contrario, la crescita del 4,4% degli immatricolati consolida l’andamento positivo che si ripete ormai da sette anni. Calcolato sulla popolazione diciannovenne, il tasso di immatricolazione ha raggiunto quota 56,8%. La scelta universitaria è sempre più femminile, con un tasso di immatricolazioni pari

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al 65,7%, rispetto al 48,5% delle iscrizioni maschili. Con il 77,7% di studentesse immatricolate, l’area disciplinare Artistica-Letteraria-Insegnamento è quella con il tasso di femminilizzazione più elevato. All’opposto, nell’area Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) l’universo femminile è rappresentato da una quota che, pur crescendo di anno in anno, resta ancora minoritaria (il 39,4%). Veniamo alle classifiche delle università. Tra i mega atenei statali (quelli con oltre 40.000 iscritti) nelle prime due posizioni si mantengono stabili, rispettivamente, l’Università di Bologna, prima con un punteggio complessivo pari a 91,8, inseguita dall’Università di Padova (88,7). Seguono, scambiandosi le posizioni della precedente annualità, La Sapienza di Roma, che con un punteggio di 85,5 sale dal quarto al terzo posto, e l’Università di Firenze, che retrocede dal terzo al quarto, riportando il valore complessivo di 85,0. Stabile in quinta posizione l’Università di Pisa, con 84,8 punti, cui segue Università di Torino, che si riprende una posizione in graduatoria (82,8). Ultima tra i mega atenei statali è l’Università di Napoli Federico II (73,5), preceduta dall’Università di


Innovazione

Bari in penultima posizione (79,5). I grandi atenei statali. L’Università di Perugia mantiene la posizione di vertice tra i grandi atenei statali (da 20.000 a 40.000 iscritti), ottenendo un punteggio complessivo di 93,3. Sale di sei posizioni l’Università di Salerno (91,8), che passa dall’ottavo al secondo posto, mentre arretra di una posizione l’Università di Pavia (91,2), che scende in terza posizione. Stabile al quarto posto l’Università della Calabria (90,2), cui segue al quinto posto con un punteggio di 89,7 l’Università di Venezia Ca’ Foscari, che quest’anno compie il salto dimensionale dai medi ai grandi atenei statali. Chiudono la classifica l’Università di Messina (76,5), di Chieti e Pescara (78,3) e di Catania (78,5). I piccoli atenei statali. Nella classifica dei piccoli atenei statali (fino a 10.000 iscritti) difende la prima posizione l’Università di Camerino, con un punteggio complessivo pari a 98,2, seguita da un altro ateneo marchigiano, l’Università di Macerata, che totalizza 86,5 punti e che per classe dimensionale non si colloca più tra i medi atenei statali. Scalano la classifica due atenei laziali, l’Università di Cassino (84,7) e l’Università della Tuscia (84,3), e un ateneo campano, l’Università del Sannio (84,0), che

Tra i mega atenei statali (quelli con oltre 40.000 iscritti) nelle prime due posizioni si mantengono stabili, rispettivamente, l’Università di Bologna, prima con un punteggio complessivo pari a 91,8, inseguita dall’Università di Padova (88,7).

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grazie alle posizioni guadagnate si collocano al terzo, quarto e quinto posto della classifica, riportando un incremento trasversale in tutte le famiglie di indicatori. Chiude la classifica dei piccoli atenei statali l’Università del Molise (75,5). I medi atenei statali. Anche quest’anno l’Università di Trento è pima nella classifica dei medi atenei statali (da 10.000 a 20.000 iscritti), con un punteggio pari a 97,3. L’incremento di 16 punti dell’indicatore internazionalizzazione garantisce all’ateneo il mantenimento della posizione di vertice. L’Università di Siena (94,0) scala una posizione e si colloca al secondo posto, scavalcando l’Università di Sassari (92,8), che retrocede in terza, a pari merito con l’Università di Udine, che avanza di tre posizioni, grazie ai 18 punti guadagnati per l’indicatore comunicazione e servizi digitali. La quarta posizione è mantenuta dall’altro ateneo friulano, l’Università di Trieste (92,0). Stabile, in quinta posizione, l’Università Politecnica delle Marche (91,3). Sale invece di tre posizioni l’Università del Salento (87,7), che grazie alla crescita degli indicatori servizi, internazionalizzazione e occupabilità è sesta in graduatoria. Chiudono il ranking, all’ultimo, penultimo e terzultimo posto, l’Università di Napoli L’Orientale (77,8), l’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro (78,7) e l’Università dell’Aquila (80,7). I politecnici. La classifica dei politecnici è guidata anche quest’anno dal Politecnico di Milano (con 93,3 punti) e vede al secondo posto lo Iuav di Venezia (90,3) e al terzo (ma quasi a pari merito) il Politecnico di Torino (90,2), seguito dal Politecnico di Bari (86,0), che chiude la classifica. Gli atenei non statali. Tra i grandi atenei non statali (oltre 10.000 iscritti) è in prima posizione anche quest’anno l’Università Bocconi (96,2), seguita dall’Università Cattolica (80,2). Tra i medi (da 5.000 a 10.000 iscritti) è la Luiss a collocarsi in prima posizione, con un punteggio pari a 94,2, seguita dalla Lumsa (85,8). Tra i piccoli (fino a 5.000 iscritti) la Libera Università di Bolzano continua a occupare il vertice della classifica (con un punteggio di 101,0), seguita in seconda posizione dall’Università di Roma Europea (91,2). Chiude la graduatoria l’Università Lum Jean Monnet (75,0), in ultima posizione, preceduta dall’Università di Enna Kore (76,2). (F. F.) GdB | Luglio/agosto 2021

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Innovazione

LE NUOVE FRONTIERE DELLA CHIMICA VERDE La premio Nobel Frances Arnold ha parlato, all’Accademia dei Lincei a Roma, di una disciplina completamente inedita per “mettere a punto nuove risorse imitando i processi naturali”

“I

nnovation by Evolution: Bringing new Chemistry to Life” è questo il titolo che il premio Nobel per la chimica del 2018 Frances Arnold ha scelto per la sua conferenza tenutasi a Roma presso l’Accademia dei Lincei lo scorso 5 luglio. Frances Arnold è stata vincitrice del Nobel per la Chimica nel 2018 per «l’evoluzione direzionata degli enzimi» con cui ha gettato le basi scientifiche e tecnologiche della chimica verde ma le sue ricerche continuano in un evolversi di scoperte scientifiche e applicazioni. Attualmente è a capo del suo gruppo di ricerca al California Institute of Technology (Caltech) ed è co-presidente del Consiglio scientifico del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Durante il meeting, la dottoressa Arnold ha illustrato alcune delle strade appena aperte dalla chimica verde e che si preparano a prendere forma nei prossimi anni. Una chimica innovativa che fornisce soluzioni a problemi dell’umanità di grande rilevanza, dall’inquinamento ai cambiamenti climatici, alla creazione di fabbriche di microrganismi che producono metalli preziosi come il platino, ai carburanti puliti per gli aerei. La «signora della chimica verde», come è stata definita, ha spiegato che quella di cui si occupa è una chimica completamente inedita e, come per la biologia, il filo rosso è l’evoluzione. La chimica verde affonda le radici nella conoscenza dei processi naturali, «ma sappiamo che i meccanismi utilizzati dalla natura sono in numero finito» ed è per questo, ha osservato, che è il momento di «mettere a punto nuove risorse imi-

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tando i processi naturali», considerando la possibilità di ottenere «biomolecole che non hanno una controparte nella natura». Un progetto che ha molti punti in comune con la biologia sintetica e che punta a fare degli enzimi, che Arnold definisce «proteine fantastiche e complesse», gli strumenti per ottenere “risorse, utili alla nostra vita”, da biocarburanti amici dell’ambiente a nuovi strumenti al servizio dell’agricoltura per combattere gli insetti nocivi senza danneggiare le colture e senza rischi per l’uomo. «Vogliamo ottenere - ha detto - proteine migliori per applicazioni importanti per l’uomo e la società». La strada parte dalla natura e in questo momento la ricerca sta attraversando una zona di confine fra gli enzimi naturali che promuovono la catalisi ed enzimi che promuovono reazioni mai viste finora, come quelle che un giorno porteranno a trasformare i microrganismi in fabbriche di metalli preziosi. L’ingegneria enzimatica è un campo in rapido sviluppo, con un grande potenziale per la tecnologia verde. La dottoressa Arnold sta lavorando cercando di sviluppare nuovi strumenti per l’ingegneria delle proteine e per il loro utilizzo, al fine di creare nuovi e migliori catalizzatori per le reazioni di fissazione del carbonio, per il rilascio di zucchero da polimeri rinnovabili come la cellulosa, e per la biosintesi di carburanti e prodotti chimici. La cellulosa è un prodotto abbondante, ma poco utilizzato come fonte di combustibili e prodotti chimici rinnovabili. Le cellulasi decompongono la cellulosa nelle sue molecole di


Innovazione

zucchero componenti, che a loro volta possono essere convertite dai microbi in prodotti di valore. Il problema è il costo; gli enzimi naturali sono lenti e quindi troppo costosi per prodotti di basso valore come i carburanti e i prodotti chimici di base. Il gruppo della dottoressa Arnold lavora per creare cellulasi migliori usando una serie di approcci, tra cui la ricombinazione e la mutagenesi casuale. Un problema peculiare su cui il laboratorio si è concentrato è l’uso del cofattore nicotinammide. Le cellule usano due distinti cofattori di nicotinammide, NADH e NADPH, per donare e accettare elettroni per la chimica ossidativa e riduttiva. La maggior parte degli enzimi mostra una elevata specificità verso uno dei due cofattori permettendo alla cellula di regolare intere serie di percorsi. Tuttavia, questa regolazione spesso ostacola gli obiettivi degli ingegneri enzimatici e quindi la capacità di poter interconvertire gli enzimi da una specificità all’altra in modo semplice e rapido rappresenterebbe un potente strumento che il team sta cercando di sviluppare. Un altro progetto ai cui sta lavorando la dottoressa Arnold è diretto all’utilizzo di enzimi termostabili per la produzione di combustibili e prodotti chimici in organismi termofili. Gli organismi termofili hanno molti vantaggi poten-

Il problema è il costo; gli enzimi naturali sono lenti e quindi troppo costosi per prodotti di basso valore come i carburanti e i prodotti chimici di base.

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ziali come ospiti per le produzioni di carburanti e prodotti chimici: possono integrarsi bene con schemi di separazione dei prodotti, non sono suscettibili di contaminazione da parte di comuni organismi mesofili, e possiedono il potenziale per attività catalitiche più elevate e quindi maggiori tassi di produzione. Adesso allo studio ci sono i percorsi termofili per produrre isobutanolo. I ricercatori stanno esplorando i genomi di diversi ceppi di batteri termofili e stanno usando l’evoluzione proteica diretta per termostabilizzare gli enzimi meno stabili e ottimizzare le loro attività negli ospiti termofili. La difficoltà di questi nuovi approcci di “biologia sintetica” o di ingegneria metabolica per produrre combustibili e prodotti chimici da risorse rinnovabili è che richiedono il trasferimento degli enzimi in contesti biochimici molto diversi da quelli nativi. E ciò che è ottimale per la produzione di carburante è difficilmente ottimale per la sopravvivenza e la fitness dell’organismo in cui gli enzimi si sono evoluti in natura. Per questo motivo molte caratteristiche degli enzimi (per esempio la stabilità, l’attività specifica, l’uso di cofattori, l’inibizione o la regolazione) devono essere specificamente adattate per ottimizzare il flusso metabolico verso il carburante o la sostanza chimica desiderata. (S. B.) GdB | Luglio/agosto 2021

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Innovazione

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IL “CUORE” ULTRAVELOCE DELLE CELLE SOLARI Pubblicati sulla rivista Small i risultati di una ricerca per celle solari più efficaci grazie a materiali innovativi con l’impiego di nanotecnologie

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a ricerca condotta dall’Istituto superconduttori, materiali innovativi e dispositivi, Istituto officina dei materiali, Istituto nanoscienze, Istituto di struttura della materia del Consiglio nazionale delle ricerche assieme a Università di Genova, Politecnico di Milano e Università di Milano, ha avuto l’obiettivo di costruire celle solari più efficaci grazie a materiali innovativi con l’impiego di nanotecnologie. Lo studio concerne fenomeni di fisica di base, processi quantistici su scale di tempi e di dimensioni ridottissime, con possibili ripercussioni nell’ambito delle 56 GdB | Luglio/agosto 2021

energie rinnovabili. Al fine di rendere più efficienti la fotocatalisi e la conversione dell’energia solare, è fondamentale la sostanziale comprensione del principale meccanismo che sta alla loro base, vale a dire l’eccitazione degli elettroni di un materiale da parte della luce. Nello specifico, è stata analizzata l’interazione di luce laser con nanoparticelle, che rispetto ad un materiale solido generano una maggiore efficienza nell’assorbimento della luce. Gian Marco Pierantozzi del CnrIom, ha così argomentato: «Abbiamo osservato il comportamento delle nanoparticelle d’oro, oggetti delle di-

mensioni di qualche decina di nanometri (un nanometro equivale ad un miliardesimo di metro) che, quando sono colpite dalla radiazione, producono un effetto chiamato plasmone di superficie. Questo fenomeno implica una maggiore efficienza di assorbimento della radiazione elettromagnetica. Abbiamo studiato come gli elettroni eccitati dalla luce laser trasmettono energia agli altri elettroni nel materiale, prima che questa energia venga dissipata nel reticolo cristallino del materiale». L’indagine su tali processi è stata avviata su una scala temporale ultrabreve, quella delle centinaia di femtosecondi (un femtosecondo equivale ad un milionesimo di miliardesimo di secondo). Per fare questo, i ricercatori hanno adoperato la tecnica nota come fotoemissione “pump and probe”, accessibile grazie alla strumentazione Sprint ospitata dal NFFA Trieste, l’infrastruttura open access coordinata dal Cnr- Iom. Francesco Bisio, ricercatore del Cnr- Spin, ha spiegato: «Tutti i processi che coinvolgono interazione tra luce e materia, anche quelli nella vita di ogni giorno, avvengono su scale temporali dei femtosecondi, ma le tecniche di indagine convenzionali ci permettono di osservare solo gli effetti finali dei processi e non il loro svolgersi in tempo reale. È come se guardando una partita di calcio non potessimo seguire le azioni di gioco, ma solo conoscere il risultato finale. Grazie a Sprint abbiamo potuto acquisire “fotogrammi” di ogni istante del processo, osservando proprio il comportamento degli elettroni eccitati, veri protagonisti di questi meccanismi». Stefania Benedetti del Cnr- Nano ha concluso dichiarando: «Abbiamo così dimostrato che è possibile studiare la dinamica ultraveloce con una tecnica come la fotoemissione, che è in grado di determinare direttamente l’energia degli elettroni». (P. S.).


DELEGAZIONE REGIONALE LAZIO E ABRUZZO

PATOLOGIA E RIPRODUZIONE: LE RISPOSTE DELLA CLINICA E DELLA RICERCA SCIENTIFICA 19 ottobre 2021

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http://lazioabruzzo.ordinebiologi.it

Introduzione

Dott. Aberto Spanò Consigliere ONB – Delegato ONB Lazio e Abruzzo

Prof.ssa Donatella Paoli “La preservazione della fertilità: l'Oncofertilità, la Banca del Seme e le questioni emergenti”

Dott.ssa Lucia De Santis “Come il Covid-19 ha modificato le attività del laboratorio di PMA”

Prof.ssa Sandra Moreno “Cellule staminali pluripotenti umane: proprietà ed applicazioni allo studio di malattie genetiche rare”

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Beni culturali

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n ciclo unico di affreschi tardo gotici, saloni da sogno e un parco dall’anima mediterranea: la fortezza piemontese dominata dal Monviso è uno dei tesori ritrovati grazie all’opera del Fai È un gioiello incastonato tra le colline del Piemonte, a due passi dalle Alpi e dai paesaggi viti-vinicoli di Langhe-Roero e Monferrato, sito Unesco. La sagoma del Monviso si staglia alle sue spalle come un’ombra protettiva che sembra voler custodire i tesori e i segreti racchiusi tra le sue possenti mura, dall’aspetto severo ma dall’anima gentile. Il Castello della Manta è una fortezza medievale che sorge a una quarantina di chilometri da Torino, tra Saluzzo e Cuneo, e che il Fai dal 1985 ha preso in cura restituendola agli antichi splendori. Quelli vissuti ai tempi del Marchesato di Saluzzo, quando il maniero – costruito nel XIII secolo – divenne centro d’arte e di cultura di spessore europeo. Un castello che, dall’alto, domina una pianura che in primavera regala spettacoli di colore emozionanti, col rosa e il bianco degli alberi in fiore che si fondono con il verde circostante. Fu la famiglia Del Vasto, regnante sul piccolo stato che, grazie all’amicizia con la Francia, riuscì a mantenere la sua indipendenza fino al 1548, a costruire la fortezza nella prima metà del 1200. Un paio di secoli dopo, grazie all’opera di Tommaso III e di suo figlio Valerano, il maniero si trasformò in un autentico scrigno contenente - tra gli altri - il più importante ciclo di affreschi paga-

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ni tardo gotici dell’intero mondo occidentale. Sono racchiusi nella Sala Baronale, il salone più bello della fortezza, la cui nascita rappresenta una storia nella storia. A raccontarla è il vicepresidente del Fai, Marco Magnifico. Si parte dalle vicende di Tommaso III: «Un personaggio più interessato alla storia, alle arti e alla bellezza che a reggere il Marchesato di Saluzzo. Nel 1394 finì prigioniero dei Savoia, a Torino, e nei due anni di galera scrisse un poema cavalleresco in francese: Le Chevalier Errant». Proprio da questo testo, che riprendeva motivi legati al ciclo bretone e carolingio e agli stessi romanzi cavallereschi francesi, trasse ispirazione suo figlio Valerano per la realizzazione del ciclo di affreschi della Sala Baronale. Valerano era il primogenito di Tommaso III, uno dei tre figli avuti dalla relazione con una ragazza di Carmagnola. Poi Tommaso III avrebbe sposato una nobile, Margherita di Roucy, che gli avrebbe donato un erede legittimo, Ludovico I. Quando Tommaso morì, nel 1416, Ludovico aveva appena undici anni e come reggente fu designato proprio il fratellastro Valerano. «Il suo desiderio era quello di sentirsi legittimato, di essere considerato pari ai nobili riconosciuti», prosegue Magnifico. E per questo motivo negli affreschi sono ritratti diciotto personaggi storici e mitici del mondo pagano baciati dalla fortuna e poi caduti in disgrazia, ma con i volti dello stesso Valerano e di altri


Beni culturali

IL CASTELLO AFFRESCATO DELLA MANTA

Gioiello gotico ai piedi del Monviso, recuperato dal Fai che lo gestisce dagli anni Ottanta

di Rino Dazzo

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Oggi il castello è aperto al pubblico ed è teatro di eventi culturali e di valorizzazione del territorio come i picnic dedicati alle degustazioni dei prodotti del posto, oltre che di progetti virtuosi rivolti ai giovani e integrati con le altre bellezze del circondario.

metà del XVI secolo fece costruire uno scalone sostenuto da colonne in marmo e un altro salone dall’aspetto elegante, la Sala delle Grottesche, dai soffitti voltati e decorati con stucchi e dipinti di stampo cinquecentesco. Sempre al marchese Michele Antonio si deve la realizzazione del bellissimo giardino ricco di palme e ulivi. Poi, dopo la caduta del Marchesato, per il Castello della Manta sono iniziati secoli bui: durante il periodo napoleonico finì per essere utilizzato come ospedale militare. Nel 1860 fu acquistato dai conti Radicati di Marmorito, mentre nel 1985 è stato donato al Fai che, tra i primi interventi, ha provveduto al restauro della Sala degli Alberi e delle pareti della galleria al pianterreno. Oggi il castello, sempre grazie alle cure del Fai, è aperto al pubblico ed è teatro di eventi culturali e di valorizzazione del territorio come i picnic dedicati alle degustazioni dei prodotti del posto, oltre che di progetti virtuosi rivolti ai giovani e integrati con le altre bellezze del circondario. Raggiungere il Castello della Manta è semplicissimo. Per chi arriva in auto occorre uscire a Marene (autostrada A6), proseguire per Savigliano-Saluzzo e seguire le indicazioni per Manta. Per chi arriva in treno, la stazione più vicina è quella di Saluzzo da cui partono autobus di linea per il maniero. Fino al 31 agosto il castello è visitabile dalle 10 alle 18 dal mercoledì al venerdì e dalle 11 alle 19.30 il sabato, la domenica e nei festivi. Dal primo settembre al 19 dicembre dalle 10 alle 18 dal mercoledì alla domenica e nei festivi. L’ingresso è gratuito per gli iscritti al Fai, un biglietto intero costa 9 euro, ridotto (6-18 anni) 4 euro, gratuito per i bimbi fino a 5 anni. Sconti e promozioni speciali per studenti e famiglie. © s74/shutterstock.com

personaggi della casata Del Vasto: «Valerano è Ettore di Troia, suo padre Tommaso III è Alessandro Magno, mentre Giulio Cesare ha il volto del nonno Federico II», spiega il vicepresidente del Fai. «Anche le eroine di questo magnifico ciclo hanno le fattezze delle donne della dinastia regnante». Tra queste anche Clemenzia Provana, moglie dello stesso Valerano e volto di Pentesilea. «Straordinari sono pure gli affreschi ambientati nella reggia d’Amore, un passaggio del testo di Tommaso III fatto riprendere dal figlio Valerano, in particolare quello dedicato alla fontana della giovinezza». Non si conosce l’identità dell’autore delle raffigurazioni, che ricordano molto da vicino gli affreschi di un’altra costruzione voluta da Valerano, la Chiesa di Santa Maria del Castello, attigua alla fortezza e che nel coro presenta un ciclo dedicato alla Passione di Cristo. Il castello, invece, è stato oggetto di successivi restauri e abbellimenti, come quello voluto da Michele Antonio di Saluzzo che nella seconda

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Beni culturali

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Beni culturali

L’

Italia continua a essere il Paese leader dei siti patrimonio dell’Unesco. Nell’ultima settimana di luglio, il World Heritage Committee, che decreta periodicamente le “promozioni”, si è riunito virtualmente a Fuzhou in Cina, annunciando 33 nuovi luoghi protetti nel mondo. Tra questi, tre sono italiani: gli affreschi trecenteschi di Padova, Montecatini Terme (come parte di un sito transnazionale) e i portici di Bologna. Il “sito seriale” Urbs Picta comprende tutti i preziosi grandi cicli affrescati del Trecento conservati in otto edifici e complessi monumentali di Padova: la Cappella degli Scrovegni, la Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo agli Eremitani, il Palazzo della Ragione, la Cappella della Reggia Carrarese, il Battistero della Cattedrale, la Basilica e il Convento di Sant’Antonio l’Oratorio di San Giorgio e l’Oratorio di San Michele. Ad affrescare le pareti di questi luoghi, nel corso del 14° secolo, alcuni dei più straordinari artisti dell’epoca: Giotto, che con gli affreschi della Cappella degli Scrovegni realizza il suo capolavoro assoluto, Guariento di Arpo, Giusto de’ Menabuoi, Altichiero da Zevio, Jacopo Avanzi e Jacopo da Verona. Montecatini Terme va a integrarsi nel sito transnazionale Grandi città termali d’Europa che, come spiega il Ministero della Cultura, rappresentano un importante interscambio di idee innovative che hanno dato impulso a progressi nel campo della medicina e della balneologia e all’incremento delle attività ricreative attraverso la valorizzazione delle sorgenti naturali e lo sviluppo di città, quartieri, parchi, architetture e infrastrutture dedicati alla salute e al tempo libero, influenzando lo sviluppo e la popolarità delle città termali in tutta Europa e in altre parti del mondo. Quanto ai portici di Bologna, è stato riconosciuto Consigliere tesoriere dell’Onb, delegato nazionale per le regioni Emilia Romagna-Marche e Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta.

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Padova, Cappella degli Scrovegni.

© spatuletail/shutterstock.com

TRE NUOVI SITI ITALIANI PATRIMONIO DELL’UNESCO Gli affreschi di Padova, Montecatini Terme e i portici di Bologna portano a 58 i luoghi protetti italiani a cui si sommano 14 iscrizioni al patrimonio immateriale

di Pietro Sapia

il valore mondiale eccezionale di questo sito quale straordinario esempio di spazio privato ad uso pubblico, rappresentativo del sistema urbano di percorsi coperti che definisce l’identità urbana della città di Bologna, contribuendo al senso del luogo e alle dinamiche sociali. Attraverso una selezione delle più rappresentative aree cittadine porticate, con la candidatura si è inteso offrire una sintesi di questa particolarissima forma di spazio pubblico e privato ad un tempo che, a partire dall’obbligo per la sua costruzione definito dagli Statuti Comunali del 1288, nel corso dei secoli e fino ai giorni nostri si sviluppato in

numerose varianti ed esteso fino coprire 62 chilometri di portici. I 58 siti italiani “insieme ai 14 iscritti nella lista rappresentativa del patrimonio immateriale dell’umanità, diventano così 71 i riconoscimenti Unesco riguardanti l’Italia. Padova diventa poi, insieme a Tivoli, una delle poche città al mondo a custodirne due: un primato che rafforza la leadership culturale dell’Italia, ribadisce la vastità del patrimonio culturale nazionale e riconosce il ruolo delle comunità nella tutela e promozione dei propri beni”, ha dichiarato il ministro della Cultura, Dario Franceschini. GdB | Luglio/agosto 2021

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Sport - Olimpiadi

PIÙ VELOCI DI TUTTI PIÙ IN ALTO DI TUTTI Lamon Marcell Jacobs nei 100 metri e “Gimbo” Tamberi nel salto in alto portano l’Italia nell’Olimpo dell’atletica con due ori inediti di Antonino Palumbo

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Sport - Olimpiadi

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Jacobs (a sinistra) e Tamberi. Immagine tratta dal sito internet del CONI.

ra il primo agosto del 2021, il giorno più bello dello sport italiano». La racconteremo così, a figli e nipoti, quella domenica da favola, che ci ha regalato due imprese storiche nel giro di undici minuti alle Olimpiadi di Tokyo: oro per Gianmarco Tamberi nel salto in alto, oro per Marcell Jacobs nei 100m piani. La racconteremo così, ricordandoci dove eravamo (chi a casa sul divano e chi in vacanza a lottare con una wi-fi ballerina), cosa facevamo (caffè, gelato, briscolina) e con chi eravamo, magari strabuzzando gli occhi per l’inattesa passione della mamma o della nonna per l’atletica leggera. Del resto, nell’estate che ci ha visto trionfare dopo 53 anni in un campionato europeo di calcio, non immaginavamo certo che l’Italia dello sport avrebbe potuto sfatare altri due grandi tabù. Nessun azzurro aveva mai vinto un oro olimpico nei 100m piani, la gara dei marziani, degli Usain Bolt e dei Carl Lewis, dei Donovan Bailey e dei Justin Gatlin. La Luna. E tra uomini e donne l’unico trionfo italiano nel salto in alto ai Giochi era stato quella di Sara Simeoni a Mosca 1980. Racconteremo l’abbraccio fra Gianmarco e Marcell, i baci sotto il tricolore e tutti i siparietti che si sono susseguiti dalle 14.53 di domenica primo agosto, in un dopopranzo che ha scritto la storia olimpica dello sport italiano. Il primo a commuoversi e commuovere è stato Gianmarco Tamberi, il talento del salto in alto che cinque anni fa si era infortunato poco prima dei Giochi di Rio de Janeiro, dove avrebbe saltato da favorito. In finale, ha tirato fuori il gesso con la scritta “Road to Tokyo” e l’ha adagiato sulla pista. Accanto a quel gesso ha pianto reggendosi il cuore che palpitava dall’emozione, dopo l’inatteso e insolito esito della sua gara. Insolito, certo: perché dopo che tutti - Gimbo compreso - hanno toppato la misura di due metri e 39 centimetri, i giudici di gara hanno certificato l’ex-aequo fra Tamberi e il suo amico qatariota Mutaz Essa Barshim. Un autentico fenomeno che, come Tamberi, sa cosa vuol dire risalire lassù dopo un duro infortunio. Il favorito della gara olimpica, cui Tamberi ha risposto saltando al primo tentativo sette misure fra i 2,19 e i 2,37 metri. Per proclamare il campione, c’erano due opportunità. La prima era il jump-off, ovvero tornare all’ultima misura superata da GdB | Luglio/agosto 2021

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entrambi per un vero e proprio spareggio. La seconda, quella sollevata dall’atleta qatariota al giudice: «Possiamo avere due ori?». La risposta: «Dipende, se decidete siete entrambi campioni». A Barshim e Tamberi è bastata un’occhiata, poi i due si sono abbracciati e hanno festeggiato, ognuno in base alla propria indole: sobrio e sorridente Mussaz, teatrale e melodrammatico Gianmarco. D’altronde, il destino gli aveva tolto la grande chance cinque anni fa e la sua impresa è di quelle che giustificano le più plateali delle gioie. Mentre Gimbo festeggiava, abbracciando gente a caso fra cui le tripliste reduci da una gara pazzesca, in pista sono scesi gli otto finalisti dei 100m piani. Fra questi anche Marcell Jacobs, madre italiana, padre statunitense, nato nel 1994 a El Paso, in quello che un tempo era il “lontano ovest”, che i cineasti conoscono per l’ambientazione di pellicole come “Per qualche dollaro in più”, “Kill Bill” (vol.

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1 e 2) e “Non è un paese per vecchi”. Cresciuto a Desenzano su Garda, fino al 2017 ha praticato salto in lungo, migliorando un primato juniores che resisteva da 37 anni e volando fino alla super prestazione di 8,48 metri, non omologata perché ottenuta con vento oltre il limite consentito dal regolamento. Come Tamberi, anche Marcell ha dovuto saltare Rio 2016 per un infortunio, una lesione muscolare alla coscia sinistra. Poi è tornato al primissimo amore, lo sprint. Centesimo dopo centesimo, centimetro dopo centimetro, quest’anno è Mutaz Essa Barshim. maturata la sua esplosione. A maggio, a SavoNel salto in alto, Tamberi na, ha ritoccato il primato italiano portandolo ha vinto la medaglia a 9 secondi e 95 centesimi. A Montecarlo è d’oro ex-aequo con il giunto terzo, accorgendosi che l’Olimpiade qatariota Barshim. avrebbe potuto regalargli qualcosa di speciale. Più di qualcosa. In batteria Jacobs è partito bene, in corsia 4, andando a stabilire il nuovo record nazionale in 9”94: «Siamo riusciti a trovare un buon feeling con la pista, domani spero di trovarlo ancora meglio e raggiungere questa ambita finale che da tanto sto sognando» il suo commento. Nella terza semifinale, Jacobs è stato battuto dal cinese Su e dallo statunitense Baker, ma è stato ripescato per la finale grazie al crono di 9”84, miglior prestazione europea della storia. Lì non ce n’è stato per nessuno, né per Baker né per il canadese De Grasse, mentre Su è scivolato giù dal podio, passando da sorprendente a sorpreso. Oltre il traguardo, ad aspettare Marcell Jacobs c’era Gianmarco Tamberi, con un tricolore indossato Vanessa Ferrari. a mo’ di sciarpa. Per citare il Maestro Faber, “FuroFerrari d’argento, concetrato di eleganza no baci e furono sorrisi” nel centro della pista, nel a Storia, anche in pedana. A 93 anni dalla prima e unica medaglia, nella prova a squadre di cuore delle interviste, sui Amsterdam 1928, l’Italia è tornata sul podio femminile della ginnastica alle Olimpiadi di Tokyo con social. E noiricorderemo Vanessa Ferrari. La 30enne bresciana ha superato la maledizione del quarto posto (l’ultimo dei quali per sempre quell’infuocata nella gara a squadre delle Olimpiadi), vincendo l’argento nella finale del corpo libero femminile con il punteggio di 14.200, alle spalle della statunitense Jade Carey. Un concentrato di eleganza, forza e domenica d’agosto e i due gestualità da pelle d’oca. (A. P.) principi azzurri che hanno scritto una favola unica.

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Federica Pellegrini.

A TOKYO L’ULTIMO “BALLO” DELLA DIVINA Federica Pellegrini chiude la sua straordinaria carriera diventando la prima donna della storia a qualificarsi per cinque finali consecutive alle Olimpiadi

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e qualche rimpianto ci può essere, nella straordinaria carriera di un’atleta sublime come Federica Pellegrini è quello legato al “raccolto” olimpico. Due medaglie totali, argento ad Atene 2004 e oro a Pechino 2008, che sembrano un errore di battitura rispetto agli 11 podi mondiali (con 6 titoli iridati) e ai 20 europei (7 volte campionessa), più altri 25 nelle relative rassegne internazionali in vasca corta. I podi sfiorati o mancati a Londra 2012 e Rio 2016, però, tolgono poco o pochissimo alla storia sportiva della nuotatrice italiana, che ai recenti Giochi di Tokyo ha dato l’addio alle competizioni, segnando l’ultimo di

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una serie di record. È stata, infatti, la prima donna a conquistare la quinta finale consecutiva ai Giochi olimpici in una singola disciplina, i 200m stile libero. In assoluto, c’era riuscito solo Michael Phelps, l’atleta più vincente nella storia delle Olimpiadi con 23 ori e 28 podi totali. Federica ha chiuso settima, senza rimpianti, prima di dare il suo importante contributo alle staffette italiane. Non a caso, parliamo di una sportiva capace di vincere per due edizioni consecutive (2009 e 2011) le gare dei 200m e dei 400m stile libero ai Campionati del Mondo, prima a imporsi consecutivamente in entrambe le distanze in due edizioni della manifestazione. Ai Mon-

diali è anche l’atleta più vincente in una stessa gara con 4 ori, 3 argenti e 1 bronzo conquistati in otto diverse edizioni: tra Montréal 2005 e Gwangju 2019, infatti, è sempre salita sul podio nei 200 m stile libero. A Melbourne 2007, Federica ha stabilito l primo degli undici record del mondo ritoccati in carriera, 1’56”47, battuto ventiquattro ore dopo in finale dalla rivale Laurea Manadou. Poco male, visto l’anno successivo, alle Olimpiadi di Pechino, Federica ha dominato la finale della “sua” gara preferita, regalando all’Italia il primo successo olimpico femminile nella storia del nuoto, con il record del mondo in 1’54”82. Pellegrini “caput mundi” anche ai Campionati mondiali di Roma 2009, dove ha arpionato al ritmo di sontuose bracciate i primi due titoli iridati con altrettanti primati mondiali, divenendo la prima e unica donna capace di scendere sotto il minuto e 53 secondi nei 200m sl. Dopo la morte del suo mentore Alberto Castagnetti, Federica d’oro ha bissato le medaglie d’oro a Shanghai 2011, sotto la guida di Philippe Lucas, ex allenatore della Manadou. Da almanacco anche l’oro nei 200 agli Europei Berlino 2014: nessuno era riuscito a conquistare tre titoli di fila sulla distanza, prima di allora. Una striscia portata a quota quattro due anni dopo, a Londra. Nello stesso anno, il 2016, dopo la delusione per il podio nuovamente mancato alle Olimpiadi, la Divina si è riscattata vincendo la sua prima medaglia d’oro ai Mondiali in vasca corta, a Windsor in Canada. Con Matto Giunta come nuovo allenatore (e poi compagno di vita), la Pellegrini ha costruito l’ultimo meraviglioso lustro di carriera. Altri due ori mondiali, a Budapest 2017 e Gwangju 2019, con tanto di record di edizioni consecutive a medaglia: come lei nessuno mai. E infine, rimanendo ai podi, l’argento per soli due centesimi negli amati 200m stile libero e il bronzo nella staffetta 4x100 misti agli Europei in Ungheria. Le cinque finali olimpiche consecutive sono state la ciliegina sulla torta, per un’atleta che ha segnato un’epoca del nuoto mondiale. Grazie, Divina. (A. P.)


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na medaglia olimpica è sempre speciale. Ci sono alcune imprese che, però, hanno l’unicità della prima volta. Lo sa bene Hidilyn Diaz, che ha regalato alle Filippine il primo oro alle Olimpiadi, vincendo la gara di sollevamento pesi femminile, categoria 55 kg. E lo sa la triatleta Flora Duffy, prima portacolori di Bermuda a conquistare un successo ai Giochi, al quarto tentativo. Non meno importante è stato, a Tokyo 2020, il bronzo centrato nel Trap femminile dalla tiratrice Alessandra Perilli, che ha regalato a San Marino un brivido mai provato nella sua storia. E poi c’è la prima volta sperimentata da Uta e Hifumi Abe, fratello e sorella di 20 e 23 anni, che a poche ore di distanza hanno vinto la medaglia d’oro nel Judo alle Olimpiadi. In casa, a Tokyo, sul tatami di un Nippon Budokan che per l’occasione avrebbe meritato – dannato Covid – ben altra cornice di pubblico e ben altra atmosfera. “La felicità è reale solo se condivisa” rifletteva amareggiato Chris McCandless, protagonista della storia raccontata da Jon Krakauer nel libro “Nelle terre estreme” e da Sean Penn nel film “Into the Wild”. Nel caso dei fratelli Abe, la felicità è più grande se condivisa. Vincere il titolo a poche ore di distanza era riuscito loro già ai Mondiali di Baku, nel 2018. Vuoi mettere, però, essere i primi a farlo in un’Olimpiade, tornate dopo 53 anni a far visita ai giapponesi e per di più in un’arte marziale inventata dai figli del Sol Levante? «Abbiamo scritto i nostri nomi nella storia e siamo stati capaci di cambiarla», ha detto Hifumi con la medaglia di Tokyo 2020 al collo. E dagli torto. Consanguinei di successo, come le sorelle Venus e Serena Williams nel tennis, i fratelli Charles e Arthur Leclerc nella Formula Uno, Giuseppe, Carmine e Agostino Abbagnale nel canottaggio, le estoni Leila, Liina e Lily Luik che corsero la maratona a Rio nel 2016. Non sapremmo tradurre in giapponese “Per aspera ad astra”, ma di sicuro la storia sportiva di Uta e Hifumi è stata improntata su

Uta e Hifumi Abe.

UTA E HIFUMI ABE NELLA STORIA: DUE ORI IN FAMIGLIA Lei ha 20 anni, lui 23: ai Giochi di Tokyo sono stati i primi fratelli o sorelle a vincere due titoli olimpici nella stessa edizione in discipline diverse

questa filosofia: per arrivare al successo, bisogna guadagnarselo. «Il lavoro duro può battere anche il genio» è il motto di Hifumi. «Senza sofferenza, non c’è guadagno» il mantra della sorella. No pain, no gain insomma, come raccomandava Jane Fonda nelle sue videolezioni di aerobica, negli anni Ottanta. La prima medaglia di famiglia a Tokyo se l’è presa, Uta, nella categoria -52 chili. Sul tatami del Nippon Budokan ha battuto in finale la temibile francese Amandine Buchard, dopo brillante percorso che l’ha vista eliminare, in semifinale, anche l’italiana Odette Giuffrida. Poi è arrivato lui, Hifumi, 23 anni, tre più della sorella. Finale della categoria -66 chili

con il georgiano Vazha Margvelashvili. Che, con un paragone calcistico, partiva già da 0-1 viste le ulteriori motivazioni di carattere familiare di Abe. E pensare che, per andare alle Olimpiadi, Hifumi ha dovuto vincere una specie di “spareggio” con Joshiro Maruyama, organizzato dalla Federazione judo nipponica. L’ennesima riprova che nella vita, in genere, nessuno ti regala nulla. Allenamento, fatica, disciplina: la strada per l’ippon d’oro è lastricata solo di virtù. Quelle di due fratelli che, l’uno imitando i campioni della tv e l’altra imitando il fratello, sono diventati i nuovi eroi nazionali di un Paese che di un’Olimpiade in pandemia avrebbe volentieri fatto a meno. (A. P.) GdB | Luglio/agosto 2021

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L’IMPRESA DI BERRETTINI A WIMBLEDON

Il 25enne romano è stato il primo italiano a raggiungere la finale nel prestigioso torneo tennistico londinese dopo 144 edizioni, nello stesso giorno in cui a Londra gli azzurri del calcio hanno vinto gli Europei

Matteo Berrettini.

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a bambino pensava di essere scarso a tennis, parole sue. Per fortuna, poi, ha cambiato idea. Perché Matteo Berrettini, 25 anni, romano, ha regalato al mondo della racchetta italiana traguardi storici e grandi emozioni, apice di un movimento al maschile che quest’anno ha portato - per la prima volta nella storia - dieci giocatori nella Top 100 mondiale. Tra veterani ambiziosi (Fabio Fognini su tutti) e giovanissimi che stanno esplorando, fra alti e bassi, le proprie potenzialità per “esplodere” davvero (vedi Jannik Sinner e Lorenzo Musetti), Berrettini fa parte con Lorenzo Sonego e Gianluca Mager del terzetto di giovani dalle grandi capacità, più o meno espresse. Nato nella Capitale, cresciuto con Raoul Pietrangeli al Circolo della Corte dei conti prima di passare nel 2010 al Circolo Canottieri Aniene, Matteo è guidato ancora oggi dall’ex azzurro Vincenzo Santopadre ed è considerato fra i tennisti italiani più forti di sempre, sia per risultati ottenuti sia per la qualità del gioco espresso. Unico atleta del nostro Paese ad aver raggiunto almeno gli ottavi di finale nel singolare maschile di tutti i quattro tornei del Grande Slam - Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open - Berrettini ha strappato applausi nel 2019 raggiungendo le semifinali nello slam statunitense. L’ultima impresa, perché di impresa si tratta anche se è mancata la ciliegina sulla torta, è stata la finale del torneo Wimbledon, lo scorso 11 luglio, contro il numero uno del mondo Novak Djokovic. Una giornata assai intensa per lo sport italiano, in quel di Londra, che quella domenica ha ospitato allo Stadio di Wembley anche il match decisivo del Campionato europeo di calcio tra Italia e Inghilterra. Aspettando gli azzurri del pallone, gli italiani hanno iniziato a tifare presto, per spingere Berrettini a un successo storico, che è sembrato possibile dopo la vittoria del primo set (7-4 nel tie-break) da parte del tennista romano. Poi, però, il fuoriclasse serbo, da molti ritenuto il giocatore più forte della storia, ha dato fondo a tutti i suoi colpi migliori per aggiudicarsi il terzo slam del 2021 dopo Australian Open e Roland Garros e inseguire il sogno di completare il Gran Slam negli Stati Uniti a settembre. Testa di serie numero 7, Berrettini aveva iniziato il torneo di Wimbledon battendo in quattro set l’argentino Guido Pella, cedendo il

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secondo ma chiudendo al quarto con un parputo onorare la sconfitta, il tennista romano si ziale di sei game a zero. Poi i successi secchi è preso pure i complimenti del presidente della contro l’olandese Botic van de Zandschulp, che Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, che l’ha l’ha portato al tie-break nel terzo set, lo sloveno premiato al Quirinale assieme agli azzurri del Aljaz Bedene (con un triplo 6-4) e il bielorusso calcio: «Arrivare alla finale di Wimbledon è un Ilya Ivashka. Nei quarti, poi, il 25enne tennista grande traguardo, ma rimontare e vincere il priromano, ha ritrovato l’amico Felix Auger-Aliasmo set vale già come una vittoria». sime, canadese, con cui ha passato la quaranteSull’onda dell’entusiasmo e della popolarità, na in Australia prima degli Open. La differenza Matteo Berrettini sarebbe stato uno degli italial’hanno fatta il servizio - 91 punti contro 70 sulla ni più seguiti e attesi anche al torneo di tennis battuta - e la consapevolezza dei propri mezzi. delle Olimpiadi di Tokyo. Un infortunio muAltro osso duro sulla strada di Berrettini in semiscolare, però, lo ha costretto al forfait, a pochi finale, il polacco Hubert Hurkacz, capace di far giorni dalla scelta - assai discussa - dell’altro Il capolavoro di Berrettini secco agli ottavi il numero 2 del seeding Daniil talento nostrano Jannik Sinner di rinunciare ai si è fermato al primo set quando, dopo essere Medvedev, dopo cinque combattuti set, e poi di Giochi per ritrovare la miglior condizione e il andato sotto per 5 game rispedire a casa, ai quarti, nientepopodimeno suo miglior tennis. «Rappresentare l’Italia è un a 2, ha trovato colpi che l’ex re del tennis mondiale Roger Federer. onore immenso e sono devastato all’idea di non importanti cogliendo Per di più, con un “irrispettoso” 6-0 nel terzo poter giocare le Olimpiadi» ha scritto Matteo su di sorpresa il serbo e e decisivo set. Nulla che potesse impressionare Instagram, annunciando il forfait. Poi, in un’inchiudendo il parziale al tie-break per 7-4. Berrettini, che è entrato nella storia battendo il tervista a La Stampa: «Aspettavo questo appunpolacco in quattro set (6-0 nel secondo) grazie a tamento da due anni. Fino all’ultimo ho pensato percentuali sublimi al servizio: 22 ace contro 5, di andare a Tokyo anche rotto, ma non avrebbe 86 per cento di punti sulla prima di servizio e 63 avuto senso, non sarei riuscito a fare quello che sulla seconda, neppure un break subìto. volevo, cioè lottare per una medaglia. E avrei riIn finale serviva un numero epocale per batschiato di peggiorare l’infortunio». Parigi 2024 tere un Djokovic in grande spolvero. Il capolalo sta già aspettando. (A. P.) voro di Berrettini si è fermato al primo set quando, dopo essere andato sotto per 5 game a 2, ha trovato colpi importanti cogliendo di sorpresa il serbo e chiudendo il parziale al tie-break per 7-4. Poi Djokovic ha iniziato a fare il Djokovic, ovvero il giocatore “ingiocabile” per chiunque e per Matteo, stoppato da colpi marziani dell’illustre antagonista nei momenti clou del match, non c’è stato altro da fare che lottare come un leone fino alla fine e onorare la sua argentea impresa fino all’ultimo punto. Dopo aver conquistato il pubblico di Wimbledon, che ha intonato di continuo il coro “Matte-o, Mat-te-o” e l’ha applaudito per come ha sa- Novak Djokovic, numero uno al mondo. ha vinto nella finale di Wimbledon contro Berrettini.


DELEGAZIONE REGIONALE SICILIA

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Messina, 20, 21, 24 settembre 2021

Policlinico Universitario - via Consolare Valeria, 1 Aula Metchnicoff pad. G, ”Torre Biologica” 2° piano

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IL CALCIO TORNA AZZURRO: 10 COSE BELLE DI EURO2020 Campioni d’Europa, 53 anni dopo la prima volta. La Nazionale italiana di calcio è tornata a unire il Paese con un percorso entusiasmante, battendo nella finale di Wembley un’incredula Inghilterra. Abbiamo provato a sintetizzarli in dieci “Cose Belle”

1. L’ITALIA CAMPIONE D’EUROPA

L’importante è partecipare, va bene. Ma chi vince gioisce e chi gioisce festeggia. Gli invincibili ragazzi di Roberto Mancini hanno superato tutti gli ostacoli – Turchia, Svizzera, Galles, Austria, Belgio, Spagna – verso la finale e una volta a Wembley hanno ammutolito l’Inghilterra, dai reali all’ultimo dei sudditi. Gol di Shaw dopo due minuti, pareggio di Bonucci, poi i rigori “thrilling” con un gigantesco Donnarumma. Per la gioia dei 7mila italiani presenti, per la delusione di 58mila inglesi che sentivano già l’eurocoppa in tasca.

2. L’ABBRACCIO TRA VIALLI E MANCINI Ventinove anni fa, a Wembley sfumava il sogno della Sampdoria di Roberto Mancini e Gianluca Vialli, battuti per 1-0 dal Barcellona nella finale di Champions League. Lo scorso 11 giugno, il commissario tecnico e il capo delegazione della Nazionale azzurra si sono abbracciati a lungo e hanno pianto di gioia, dopo il rigore parato da Gianluigi Donnarumma che ha deciso la finale con l’Inghilterra. Ora Londra ha un sapore più dolce, per i Gemelli del Gol. 72 GdB | Luglio/agosto 2021

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3. CIAO MAMMA, GUARDA COME MI DIVERTO Italiani “mammoni”? Assolutamente si. Basta riguardare le immagini dei festeggiamenti sul prato di Wembley, con Federico Chiesa che chiede al suo telefono “Chiama mamma” e Alessandro Florenzi che, appena ricevuta la medaglia, la mostra alla telecamera e dice “Guarda mamma, guarda qua!”. Alla premiazione, in stampelle, c’era anche Leonardo Spinazzola, che alla madre deve i suoi successi: fu lei a convincerlo a non mollare, quando a 14 anni iniziò la sua via Crucis di infortuni.

4. IL FAIR PLAY DI LUIS ENRIQUE Se tifosi e calciatori inglesi hanno dimostrato quant’è difficile saper perdere, una vera e propria lezione di fair play è arrivata da Luis Enrique, allenatore della Spagna, dopo la partita dell’Italia. Riconosciuto l’impegno dei suoi e i meriti avversari, l’ex romanista ha mandato un messaggio ai più giovani: “Sono stanco di vedere le lacrime nei tornei di ragazzi o bambini, non so perché piangano. Devi iniziare a gestire la sconfitta, a congratularti


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Schmeichel, a consolare la moglie di Christian, in lacrime a bordo campo.

7. IL GRAN CUORE DI THIERRY HENRY Thierry Henry ha scelto infatti di lasciare l’incarico di assiste del ct belga Roberto Martinez, dopo la sconfitta dei Diavoli Rossi ai quarti di finale di Euro 2020 con l’Italia. L’ex fuoriclasse francese lo farà in grande stile, devolvendo in beneficenza tutti i soldi guadagnati in questo periodo, da maggio a luglio, data dell’uscita dal torneo della squadra.

8. LA COMMOZIONE DEL CT UNGHERESE MARCO ROSSI

Il commissario tecnico della nazionale italiana campione d’Europa, Roberto Mancini.

con il tuo avversario e insegnare ai bambini a non piangere. Devi alzarti e congratularti con il vincitore”.

9. I RECORD DI CRISTIANO RONALDO

5. ITALIA-SPAGNA E L’OMAGGIO ALLA CARRÀ

“Sono i record che inseguono me” ama dire Cristiano Ronaldo, l’asso portoghese della Juventus che non pecca né in classe, né in autostima. CR7 è diventato il miglior marcatore nelle fasi finali degli Europei (14 totali) e assoluto (45, qualificazioni comprese), quello con più presenze, minuti giocati e vittorie nelle Finals, oltre a primati “accessori” come i match disputati come capitano e i rigori segnati.

Prima della semifinale di Euro2020, i giocatori di Italia e Spagna, si sono riscaldati sull’erba di Wembley sulle note di “A far l’amore comincia tu”. È stato un omaggio a Raffaella Carrà, regina della TV italiana, scomparsa alla vigilia del match. Italia e Spagna, del resto, sono i due Paesi in cui la showgirl è stata più amata.

6. SIMON KJAER, FREDDEZZA E CARISMA

Carisma, freddezza, leadership: le doti che descrivono un vero capitano. Il milanista Simon Kjaer, difensore della Danimarca, ha dimostrato di incarnarle tutte, in occasione dell’arresto cardiaco a Christian Eriksen nel corso della sfida con la Finlandia. Dopo aver prestato il primo soccorso al compagno, ha chiesto agli altri giocatori danesi di creare un cordone umano attorno a Eriksen. Quindi è corso, assieme al portiere

Non solo azzurri: tra le sorprese di Euro2020 c’è stato un altro italiano, il tecnico ungherese Marco Rossi. Che dopo il pareggio per 1-1 con la Francia, si è commosso in conferenza stampa dopo aver speso parole di grande umiltà: “Un palcoscenico del genere l’ho sempre visto solo in TV. Mi ritrovo qua e mi sembra di essere a 56 un bambino che va al luna park. Però una volta che sei al luna park vuoi giocare, con le varie giostre e con i vari giochi. Siamo qua e vogliamo fare bella figura”.

Roberto Mancini e Gianluca Vialli si sono abbracciati, commossi, alla fine dei rigori che hanno proclamato l’Italia campione d’Europa.

10. GLI OCCHIALI HI-TECH DELLO SVIZZERO YANN SOMMER

Tra le sliding door degli Europei c’è stato il rigore parato da Yann Sommer a Kylian Mbappé, che ha sancito la qualificazione della Svizzera ai danni della Francia. Il segreto? Doti naturali, senz’altro, ma anche degli speciali occhiali hi-tech utilizzati per gli allenamenti, che aumentano la reattività del cervello e migliorano le prestazioni visive, aiutando gli occhi a percepire meglio la traiettoria del pallone. (A. P.) GdB | Luglio/agosto 2021

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l doping, oltre a falsare le competizioni, lede lo spirito sportivo e crea danni alla salute degli atleti. «Consiste nell’assunzione di sostanze o nell’adozione di pratiche mediche, come trasfusioni, che alterano le prestazioni agonistiche o ingannano i controlli» spiega il medico sportivo, Walter Della Frera, della Commissione Antidoping della Federcalcio. In passato i Greci assumevano decotti di piante e funghi per aumentare la resistenza, i Romani combinavano carni con sostanze stimolanti come l’idromele. In Cina si usavano estratti di esedra, ricchi di efedrina. Nell’800 compaiono cocaina, eroina, stricnina, arsenico e le anfetamine. Alle Olimpiadi del 1896, ci fu il primo decesso sospetto: il ciclista gallese Arthur Linton, morto a 27 anni ufficialmente di tifo. Destò sospetto una bottiglietta che usava per “rianimarsi” nelle gare. Il primo caso accertato di doping risale però alle Olimpiadi del 1904, con il maratoneta statunitense Thomas Hicks, che vinse l’oro usando stricnina. Il primo decesso si registra alle Olimpiadi di Roma 1960, quando il ciclista danese Knud Enemark cadde dalla bici, fratturandosi il cranio. L’autopsia rivelò un’intossicazione dovuta all’assunzione per endovena di una dose troppo forte di stimolanti. Il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) istituì una commissione medica che nel 1967 stilò la prima lista di sostanze vietate e iniziò i controlli antidoping. Nel 1968, a Città del Messico, ci fu la prima squalifica: tra gli svedesi del pentathlon, vincitori del bronzo, risultò un tasso alcolemico eccessivo all’atleta Hans-Gunnar Liljenwall. «Gli anni 50 e 60 sono quelli degli stimolanti, i 70 quelli del doping ormonale, dei corticosteroidi e anabolizzanti,


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DOPING: IL PRIMO CASO ALLE OLIMPIADI DEL 1904 Quando il miglioramento della prestazione sportiva passa per sostanze che hanno risvolti negativi per la salute dell’atleta

di Marco Modugno

gli anni 80 e 90 delle autoemotrasfusioni e delle emoglobine sintetiche, il 2000 dell’eritropoietina e derivati - spiega Della Frera -. Ultimamente si assumono le “designer drugs”, sostanze esclusivamente dopanti non rilevabili ai controlli, dagli effetti collaterali sconosciuti». Annualmente, la Wada, l’Agenzia mondiale antidoping, aggiorna la lista di sostanze e metodi proibiti. Si punisce l’uso, il tentato uso e il possesso di sostanze dopanti, oltre al rifiuto di sottoporsi ai controlli. Una sostanza è dopante se soddisfa almeno 2 dei 3 criteri imposti dalla Wada: la potenziale capacità di migliorare le prestazioni atletiche; il rischio per la salute; la violazione dello spirito sportivo. Vi rientrano farmaci necessari per curare malattie croniche e medicine salvavita, come insulina e antiasmatici. «Si possono assumere previa richiesta di esenzione a fini terapeutici, dimostrando la malattia e la necessità. La legittimità è subordinata al dosaggio, che deve rimanere entro i limiti previsti», prosegue Della Frera. La caffeina è una sostanza stimolante. Prima proibita, è stata rimossa dalla lista, ma è sempre sotto osservazione: «Se dalle analisi di un atleta dovesse emergere l’equivalente di un consumo di 12 tazzine al giorno probabilmente qualcosa non va», chiarisce il medico sportivo. Il doping coinvolge qualsiasi disciplina. Dove è richiesta precisione si ricorre ai beta-bloccanti, che riducono la frequenza cardiaca e hanno effetto calmante. Nel 2019 il norvegese Geir

Il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) istituì una commissione medica che nel 1967 stilò la prima lista di sostanze vietate e iniziò i controlli antidoping. nnualmente, la Wada, l’Agenzia mondiale antidoping, aggiorna la lista di sostanze e metodi proibiti. Si punisce l’uso, il tentato uso e il possesso di sostanze dopanti, oltre al rifiuto di sottoporsi ai controlli. Una sostanza è dopante se soddisfa almeno 2 dei 3 criteri imposti dalla Wada: la potenziale capacità di migliorare le prestazioni atletiche; il rischio per la salute; la violazione dello spirito sportivo. © Love Solutions /shutterstock.com

Helgemo, campione di Bridge, fu squalificato per uso di anabolizzanti. Gli effetti più ricercati sono l’aumento della resistenza e della potenza. La prima si ottiene con iniezioni di eritropoietina, che favorisce l’ossigenazione dei tessuti. Nel secondo caso si ricorre a steroidi e GH o somatotropina, l’ormone della crescita. «Il doping moderno si basa più sull’assunzione di microdosi spalmate su lunghi periodi. Ma le conseguenze sulla salute ci sono comunque», avvisa Della Frera. L’eritropoietina rende il sangue molto denso, favorendo trombi e il rischio di ictus e infarti, oltre ad aumentare le possibilità di sviluppare una leucemia. Più numerosi gli effetti collaterali degli anabolizzanti: «Irsutismo nella donna, impotenza o perdita dei caratteri sessuali secondari nell’uomo, tossicità epatica, aumentato rischio di sviluppare tumori, danni cardio vascolari e alterazioni neurologiche». A preoccupare sono i dilettanti e gli amatori. «L’acquisto di sostanze stimolanti o di stupefacenti è facilissimo, non solo tramite internet - nota Della Frera -. Il professionista è seguito regolarmente, è abituato ad uno stile di vita salutare ed è consapevole dei rischi per la salute, oltre ad essere intimorito dalle squalifiche. Amatori e dilettanti possono esserlo meno. Spesso dimentichiamo che qualsiasi manifestazione sportiva, prima di un business, è una competizione agonistica. Il rispetto di valori etici come la lealtà non è un optional». GdB | Luglio/agosto 2021

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LA BIOLOGIA IN BREVE Novità e anticipazioni dal mondo scientifico

a cura di Rino Dazzo

RICERCA Il 7% del DNA distingue i primitivi dagli uomini d’oggi

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a differenza tra l’uomo di oggi e i suoi antenati primitivi è in una percentuale compresa tra l’1,5 e il 7% del DNA. Lo assicurano i ricercatori dell’Università di San Francisco, che sostengono come nei 350mila anni di esistenza dell’uomo i suoi geni si siano sviluppati relativamente poco. Gli studiosi californiani hanno creato uno strumento capace di confrontare il DNA dei primitivi con quello degli uomini contemporanei, il SARGE. Mettendo in relazione il DNA estratto dai fossili di due Neanderthal, di un Homo Denisovan e di 279 persone viventi attualmente, i ricercatori hanno scoperto che solo una piccola percentuale del genoma dell’uomo moderno è esclusiva, quella che ha a che vedere con lo sviluppo neurale e le funzioni del cervello.

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SALUTE L’overconnessione comporta gravi rischi per la salute

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rascorrere troppo tempo sul web, fenomeno conosciuto come overconnessione, può portare a gravi conseguenze per la salute. Lo certifica uno studio dell’University of South Australia che ha riguardato 2.220 dipendenti e ricercatori di 40 università. Almeno il 21% dei partecipanti allo studio ha ammesso di ricevere pressioni dai superiori relativamente alle risposte a messaggi, chiamate ed e-mail oltre l’orario di lavoro. Il 55% ha ammesso di inviare comunicazioni ai colleghi in forma digitale la sera, il 30% nel fine settimana. I dipendenti con capi che esigono risposte in giornata sono risultati quelli coi livelli di stress più elevati (70,4%), i più esausti a livello emotivo (63,5%), nonché i più afflitti da mal di schiena o di testa. Anche le pressioni dei colleghi influiscono negativamente, rendendo le persone più esposte a infezioni, depressione, infarti e ictus.


Brevi

INNOVAZIONE Il nuovo gel anticoncezionale che paralizza gli spermatozoi

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n gel che potrebbe rivoluzionare i futuri sistemi di contraccezione. Lo hanno creato i ricercatori della School of Medicine della Boston University. L’anticoncezionale in questione è basato su un anticorpo specifico (HCA) utilizzato per paralizzare gli spermatozoi e prevenire gravidanze non desiderate ed è stato testato in vitro su alcuni volontari i cui spermatozoi, a contatto col gel, si sono inattivati entro 15 secondi. La sostanza è somministrabile per via vaginale.

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NEUROLOGIA Perché vediamo volti umani ovunque?

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la tendenza a vedere volti umani dove non ci sono e ha un nome specifico: pareidolia. Secondo i neuroscienziati dell’Università di Sidney, si tratta di un fenomeno basato sugli stessi meccanismi che portano il cervello ad analizzare e identificare le informazioni sulle facce vere e proprie; questo perché il cervello sembra programmato per riconoscere la presenza di volti nelle superfici e negli oggetti più disparati. Il gruppo di ricerca ha sottoposto ai partecipanti una sequenza di volti chiedendo loro di valutare l’espressione di ognuno in una scala dall’ira alla felicità. Hanno accertato che in ottica evolutiva è vantaggioso riconoscere con rapidità i volti nella realtà circostante. Anche quando ci rendiamo conto che gli oggetti non sono volti reali, i finti volti rimangono in memoria perché aiutano a interpretare meglio l’ambiente.

ANIMALI Il cervello dei cani si è evoluto per i contatti con l’uomo

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l cervello dei cani si è evoluto al punto da riuscire a dedurre e interpretare quello che gli uomini sentono o provano in determinate situazioni, cosa che i lupi non riescono a fare. Lo dice una ricerca della Duke University e pubblicata sulla rivista Current Biology, che ha preso in esame e confrontato 44 cuccioli di cane e 37 di lupo per analizzare le loro capacità di interagire con gli umani. I piccoli lupi sono stati allevati dai responsabili del Wildlife Science Center del Minnesota, i cagnolini dalle madri. L’esperimento è consistito nel nascondere un bocconcino in una ciotola e nell’indirizzare i cuccioli attraverso sguardi e indicazioni. I piccoli cani hanno trovato il bocconcino nel doppio dei casi rispetto ai lupetti, che procedevano per tentativi, e questo dimostra l’adattamento del cervello dei cani in 14mila anni di addomesticamento.

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Lavoro

CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI AZIENDA SANITARIA LOCALE AL – ALESSANDRIACONCORSO Scadenza, 8 agosto 2021 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di due posti di dirigente biologo a tempo indeterminato. Gazzetta Ufficiale n. 54 del 09-07-2021 AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE DI PARMA Scadenza, 8 agosto 2021 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo a tempo indeterminato, disciplina di epidemiologia. Gazzetta Ufficiale n. 54 del 09-07-2021. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER L’ENDOCRINOLOGIA E L’ONCOLOGIA “GAETANO SALVATORE” DI NAPOLI Scadenza, 9 agosto 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze Biomediche” da usufruirsi presso l’Istituto per l’Endocrinologia e l’Oncologia Sperimentale del CNR di Napoli, nell’ambito del Progetto di Ricerca: “SerGenCOVID-19 (Serum Genetic Covid-19) Indagine sierologica e genetica sull’immunità e la suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2 e creazione di una biobanca”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI FARMACOLOGIA TRASLAZIONALE DI ROMA Scadenza, 10 agosto 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 “Assegni Professionalizzanti Tipologia A assegni per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Biomediche” da svolgersi

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presso l’Istituto di Farmacologia Traslazionale del CNR e parte dell’attività presso l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata IDI-IRCCS Roma nell’ambito del programma di ricerca : POR-FESR Progetti di Gruppi di Ricerca 2020, Area di Specializzazione “Scienze della Vita” “Esche Molecolari contro la TOssicità CUTanea indotta da cetuximab e panitutumab per la seguente tematica: utilizzo di molecole in vitro in grado di inibire la tossicità indotta da farmaci antitumorali in cheratinociti umani. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZE MARINE DI TRIESTE Scadenza, 10 agosto 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Tipologia A) “Assegno Professionalizzante” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze del sistema Terra e tecnologie per l’ambiente” da svolgersi presso l’Istituto di Scienze Marine del CNR, sede di Trieste (TS), che effettua ricerca nel campo delle Scienze Marine, sulla seguente tematica di ricerca: “Flussi aria-mare di CO2 e biogeochimica del sistema carbonatico in ambiente marino costiero”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA DI MODENA Scadenza, 19 agosto 2021 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di due posti di dirigente biologo, disciplina di patologia clinica, di cui un posto per l’Azienda ospedaliero-universitaria di Modena e un posto per l’Azienda USL di Modena. Gazzetta Ufficiale n. 57 del 20-07-2021. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCA SULLE

ACQUE DI ROMA Scadenza, 20 agosto 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente” da svolgersi presso l’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR – Sede di Montelibretti, che effettua ricerca nell’ambito del programma di ricerca AUTOSTRADEGALLERIA S. LUCIA 2, AUTOSTRADE VERDE, Italferr Hirpinia_Orsara, Italferr ORSARABOVINO per la seguente tematica: “Valutazione della compatibilità ambientale e della ecotossicità di diverse matrici ambientali”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE PAPA GIOVANNI XXIII DI BERGAMO Scadenza, 22 agosto 2021 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, disciplina di patologia clinica, laboratorio analisi chimico-cliniche e microbiologia, a tempo indeterminato. Gazzetta Ufficiale n. 58 del 2307-2021. AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE PAPA GIOVANNI XXIII DI BERGAMO Scadenza, 22 agosto 2021 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, disciplina di microbiologia e virologia, a tempo indeterminato. Gazzetta Ufficiale n. 58 del 2307-2021. AZIENDA UNITÀ LOCALE SOCIO SANITARIA N. 9 SCALIGERA – VERONA Scadenza, 22 agosto 2021 Conferimento dell’incarico di dirigente sani-


Lavoro

tario biologo, disciplina di igiene degli alimenti e della nutrizione, direttore dell’U.O.C. Servizio di igiene degli alimenti e della nutrizione del Dipartimento di prevenzione. Gazzetta Ufficiale n. 58 del 23-07-2021. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LE RISORSE BIOLOGICHE E LE BIOTECNOLOGIE MARINE DI ANCONA Scadenza, 23 agosto 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti all’Area scientifica Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente da usufruirsi presso l’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del CNR – sede di Ancona, nell’ambito dei programmi di ricerca “Convenzione tra ISPRA e CNR-IRBIM per realizzare attività condivise, finalizzate a dare attuazione alle previsioni del d. lgs 13 ottobre 2010 n. 190, nell’ambito della Strategia Marina nel triennio 2021-2023” e “Gestione sostenibile delle risorse marine e crescita blu”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” DI ROMA Scadenza, 26 agosto 2021 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 05/A1, per il Dipartimento di biologia ambientale. Gazzetta Ufficiale n. 59 del 27-07-2021. UNIVERSITÀ DI PERUGIA Scadenza, 26 agosto 2021 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato per un periodo di tre anni e pieno, settore concorsuale 05/D1 - Fisiologia, per il Dipartimento di chimica, biologia e biotecnologie. Gazzetta Ufficiale n. 59 del 27-07-2021. UNIVERSITÀ DI PERUGIA Scadenza, 26 agosto 2021 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato per un periodo di tre anni e pieno, settore concorsuale 05/A1 - Botanica, per il Dipartimento di chimica, biologia e biotecnologie. Gazzetta Uf-

ficiale n. 59 del 27-07-2021. OSPEDALE POLICLINICO SAN MARTINO – GENOVA Scadenza, 26 agosto 2021 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di due posti di dirigente biologo, area della medicina diagnostica e dei servizi, disciplina di microbiologia e virologia, a tempo indeterminato e con rapporto esclusivo, di cui un posto per la U.O. Microbiologia ed un posto per la S.S.D. Medicina legale e coordinamento trapianti. Gazzetta Ufficiale n. 59 del 27-07-2021. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZE MARINE DI ROMA Scadenza, 27 agosto 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Tipologia B) “Assegno Post Dottorale” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze del sistema Terra e tecnologie per l’ambiente” da svolgersi presso l’Istituto di Scienze Marine del CNR, sede di Roma (RM), che effettua ricerca nel campo delle Scienze Marine, nell’ambito dei progetti di Ricerca: H2020-HYPERNETS” CUPB56C18001560005, “H2020- DOORS” CUPB51I1800092005, “CMEMS-OCTAC”, per la seguente tematica “Oceanografia da satellite, osservazione della terra, o oceanografia ottica”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOSCIENZE E BIORISORSE DI NAPOLI Scadenza, 28 agosto 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 (uno) Assegno di ricerca “Professionalizzante” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze biologiche” da svolgersi presso l’Istituto di Bioscienze e BioRisorse UOS NA del CNR che effettua ricerca di base di biologia nell’ambito del programma di ricerca BIOGENIC ORGANOTROPIC WETSUITS (BOW) 2020-2024, CUP B79C20000590006, (G.A. n. 952183), per la seguente tematica: “In vivo evBOW products characterization in C. elegans”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZE DELL’ATMOSFERA E DEL CLIMA DI LECCE Scadenza, 30 agosto 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 assegno professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Terra e Ambiente” da svolgersi presso la Sede Secondaria di Lecce dell’ISAC sulla seguente tematica di ricerca: “Partecipazione alle attività tecnico-scientifiche relative al potenziamento della rete ACTRIS ed all’analisi dei dati delle stazioni di misura ISAC”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI CHIMICA BIOMOLECOLARE DI NAPOLI Scadenza, 31 agosto 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 (uno) assegno tipologia A) “Assegno Professionalizzante” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Chimica e materiali per la salute e scienze della vita” da svolgersi presso l’Istituto di Chimica Biomolecolare Sede di Pozzuoli (NA) del CNR che effettua ricerca scientifica nell’ambito del Progetto di Ricerca finanziato “Antitumor Drugs and Vaccines from the Sea (ADViSE)” finanziato dal POR 2014 2020 della Regione Campania (D.D n. 403 del 12 11 2018 e D.D. n. 411 del 16.11.2018) 16.11.2018), per la seguente tematica “ Caratterizzazione e studio del meccanismo di azione di nuove molecole naturali e/o di ispirazione naturale con attività immunomodulante, nell’ambito dell’immunoterapia per il cancro, a partire dagli effetti che tali molecole determinano in modelli APC in vitro”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA “ALMA MATER STUDIORUM” Scadenza, 31 agosto 2021 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato della durata di trentasei mesi e definito, settore concorsuale 07/I1 - Microbiologia agraria, per il Dipartimento di scienze e tecnologie agro-alimentari. Gazzetta Ufficiale n. 59 del 27-072021. GdB | Luglio/agosto 2021

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Scienze

I percorsi storici sul sequenziamento del DNA: da F. Sanger all’avvio del Progetto Genoma (parte I) Il sequenziamento del Dna e i primi passi verso l’anilisi degli acidi nucleici Come si arriva alla genomica moderna

di S. Barocci*, I. Paolucci**, P. D. Antonelli***, A. F. Cristallo****

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egli anni ’60, dopo la scoperta della struttura del DNA da parte di J. Watson e F. Crick (1953), (1), grazie ai dati formulati da R. Franklin attraverso immagini da diffrazione a raggi X, vi fu un notevole incremento delle conoscenze che riguardavano il codice genetico e il genoma umano. Da questo momento, si incominciò a manifestare la necessità di decifrare quest’ultimo; questo fu possibile solo dopo l’introduzione di nuove strumentazioni: i sequenziatori di DNA.

Cosa vuol dire sequenziare Nel DNA sono presenti 4 tipi di nucleotidi, contenenti ciascuno una delle basi azotate: A (adenina), o G (guanina), o C (citosina), o T (timina). A e G sono delle purine, C e T delle pirimidine. Se si dispone di un frammento di DNA di 300 nucleotidi e se ne voglia determinare la sequenza, significa che si desidera comprendere, nell’ordine esatto, quali sono i 300 nucleotidi. Alla fine del sequenziamento si ottiene un insieme di lettere, es. AGTGTGTCTGTCAGTTCTAGAACC…, apparentemente in comprensive; in realtà, a seconda dello studio che si sta effettuando, avranno un proprio significato. Infatti, è stato proprio il progetto “Genoma Umano”, durato più di 10 anni con investimenti considerevoli, a consentire il sequenziamento dell’intero DNA umano. Grazie ad una collaborazione scientifica mondiale sono state prodotte le sequenze complete di DNA di molti genomi animali, vegetali e microbici.

Università di Genova per la terza età, UNITE e UNITRE. Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, Ospedale Castelli di Verbania. *** ADMO Regione Toscana. **** Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, Ospedale Santa Chiara di Trento. *

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I primi passi verso l’evoluzione del sequenziamento degli acidi nucleici Tra la scoperta della doppia elica del DNA e la prima determinazione sperimentale di una sequenza di DNA trascorsero diversi anni. Questo ritardo era causato da diversi fattori: 1. Le proprietà chimiche delle diverse molecole di DNA sono simili e difficili da separare. 2. La lunghezza della catena delle molecole di DNA, presenti in “natura”, è maggiore rispetto alle proteine; ciò rendeva il sequenziamento completo quasi inaccessibile. 3. Rispetto ai 20 residui di aminoacidi identificati nelle proteine, risultati di grande utilità nella separazione dei peptidi per le loro diverse proprietà, l’esistenza delle sole quattro basi nel DNA sembrava, invece, rendere il sequenziamento del DNA più problematico. 4. Non erano ancora conosciute le DNAsi base specifica a differenza del sequenziamento proteico che dipendeva, invece, da delle proteasi in grado di separare alcuni aminoacidi. Si era anche notato che alcune molecole di RNA non presentavano tutti quegli inconvenienti riscontrati con il DNA. In particolare, le molecole di RNA di trasporto o RNA transfer (tRNA) erano piccole e si potevano purificare. Infatti, erano note le RNAasi base specifica e quindi si potevano sviluppare dei metodi analoghi a quelli usati nel sequenziamento proteico. L’tRNA di alanina di Escherichia coli fu la prima molecola di acido nucleico ad essere sequenziata da R. Holley et al, nel 1965 (2). A differenza delle sequenze degli amminoacidi che compongono le proteine, interpretabili solo dopo l’uso della cristallografia a raggi X che ne evidenziava la struttura proteica tridimensionale, i modelli per la struttura degli RNA potevano essere dedotti solo da quanto trovato nella doppia elica del DNA. Un altro evento importante per il sequenziamento del DNA fu la scoperta degli enzimi di restrizione di tipo II da parte di H. Smith e coll. nel 1970 (3). Questi enzimi riconoscono e scindono il DNA in corrispondenza di specifiche sequenze palindromiche, ossia sequenze simmetriche di 4 – 6


Scienze

bp (base pair), lette sulle due emieliche di DNA in direzione 5’ - 3’ e viceversa. Gli enzimi di restrizione hanno fornito un metodo generale per tagliare una grande molecola di DNA in un numero di frammenti più piccoli, che potevano essere separati per dimensione attraverso elettroforesi su gel. Questi frammenti hanno rappresentato il punto di partenza per lo sviluppo di metodi di sequenziamento successivi. In realtà, la storia del sequenziamento del DNA ebbe inizio con Ray Jui Wu presso la Cornell University agli inizi degli anni ’70. Egli sviluppò una strategia di estensione del primer specifico (filamento di acido nucleico utilizzato come punto di innesco per la replicazione del DNA) che poteva essere impiegata per determinare qualsiasi sequenza di DNA utilizzando primer specifici sintetici. Fu proprio in quegli anni che si incominciarono a definire diverse strategie finalizzate al sequenziamento del DNA. Prime tecniche di sequenziamento del DNA Nel 1975, F. Sanger introdusse un innovativo metodo di sequenziamento del DNA noto come plus and minus (4) che risultò fondamentale per la transizione verso metodiche di sequenziamento più moderne. Il metodo plus and minus permetteva di ottenere in maniera accurata sequenze di 50 bp di lunghezza per ogni corsa elettroforetica. Tuttavia, nel

caso di lunghe successioni di basi uguali si ottenevano sequenze iniziali e finali, ma non intermedie. Questo inconveniente fu risolto nel 1977 dallo stesso Sanger quando pubblicò una versione migliorata nel metodo dei dideossi (5), noto come metodo Sanger (sequenziamento del DNA per mezzo dell’interruzione controllata della replicazione o dei terminatori di catena); più efficiente, con meno prodotti chimici tossici e minori quantità di radioattività. Nello stesso anno 1977 A. Maxam e W. Gilbert svilupparono un altro metodo di sequenziamento del DNA detto “chimico” (6). Prevedeva la marcatura delle estremità 3′ del DNA con 32P. Il campione di DNA veniva poi denaturato in presenza di dimetilsulfossido (DMSO) e diviso in quattro aliquote uguali, ciascuna delle quali veniva trattata con dei reagenti chimici che ne causavano la metilazione o la rottura in corrispondenza di basi specifiche (G, A+G, C, C+T). L’utilizzo di reagenti a basse concentrazioni faceva in modo che i tagli non avvenissero per ognuna delle basi, ma più raramente: veniva così generata una serie di frammenti marcati (dalla fine della molecola al primo sito di taglio della stessa) che, sottoposti ad elettroforesi su gel denaturante di poliacrilammide – urea, venivano separati in base alla loro dimensione. A fine corsa elettroforetica, il gel veniva posto a contatto con una pellicola radiografica (autoradiografia) sulla quale era impressa la disposizione delle bande

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dei frammenti generati tramite i quali era possibile determinare l’ordine dei nucleotidi e quindi la sequenza di partenza. Questo metodo divenne immediatamente popolare e molto impiegato in quanto il DNA purificato poteva essere utilizzato direttamente senza passare per un intermedio a singolo filamento. Venne, a poco a poco, accantonato a causa del successivo miglioramento del metodo di Sanger che non impiegava composti chimici dannosi alla salute. Il metodo di Sanger o dei terminatori a catena Il principio chiave del metodo dei dideossi o metodo Sanger del 1977 consisteva nell’utilizzo di nucleotidi modificati o dideossinucleotidi trifosfati o ddNTPs, (presentano lo zucchero desossiribosio mancante del gruppo ossidrilico OH in posizione 3´) come terminatori della reazione di sintesi in posizioni specifiche; impediscono,cioè, che un altro nucleotide si possa legare ad esse in quanto non possono formare dei legami fosfodiesterici. . Il protocollo classico richiedeva un DNA templato a singolo filamento, un primer per iniziare la reazione di polimerizzazione, una DNA polimerasi, deossinucleotidi (dNTPs) e dideossinucleotidi (ddNTPs) per terminare la reazione di polimerizzazione. I nucleotidi modificati (ddNTPs) o il primer dovevano essere marcati con il radioattivo 35 S in modo che le bande dei frammenti di DNA neosintetizzato potevano essere visualizzate dopo l’effettuazione dell’elettroforesi. Il campione di DNA da sequenziare veniva diviso in quattro reazioni separate, ognuna delle quali conteneva la DNA polimerasi e tutti e 4 i deossinucleotidi (dATP, dCTP, dGTP, dTTP). Ad ognuna di queste reazioni veniva poi aggiunto solo uno dei quattro nucleotidi dideossi (ddATP, ddCTP, ddGTP, ddTTP) in quantità stechiometricamente inferiore per permettere una elongazione del filamento sufficiente per l’analisi. L’incorporazione di un dideossinucleotide lungo il filamento di DNA in estensione ne causava la terminazione prima del raggiungimento della fine della sequenza di DNA stampo; tutto ciò dava origine ad una serie di frammenti di DNA di lunghezza diversa, interrotti in corrispondenza dell’incorporazione del dideossinucleotide, che avveniva casualmente quando esso era utilizzato dalla polimerasi in luogo di un deossinucleotide. I frammenti di DNA generati da queste reazioni venivano poi fatti correre su un gel di poliacrilammide - urea che permetteva la loro separazione (con una risoluzione di un nucleotide) in cui ciascuna delle quattro reazioni avveniva in una delle quattro singole corsie (corsie A , T, G, C). Le bande di DNA venivano quindi visualizzate mediante autoradiografia o attraverso luce UV e la sequenza letta direttamente sulla lastra o sul gel a seconda del tipo di marcatura dei dideossinucleotidi. Le bande scure corrispondevano ai frammenti di DNA di diverse lunghezze. In una corsia una banda stava ad indicare un frammento di DNA che era il risultato del termine della catena dopo l’incorporazione di un dideossinucleotide (ddATP, ddGTP, ddCTP o ddTTP). Le posizioni re82 GdB | Luglio/agosto 2021

lative delle diverse bande tra le quattro corsie erano utilizzate per leggere la sequenza del DNA. La lunghezza della sequenza ottenibile era, in genere, di circa 100 nucleotidi. Il Metodo Sanger si rivelò fin da subito molto efficiente, tanto che valse al suo creatore il secondo Premio Nobel per la chimica nel 1980, dopo quello ottenuto nel 1958 per aver sequenziato tutti gli aminoacidi dell’ormone insulina. F Sanger et coll. furono, anche, i primi a sequenziare con questo metodo, l’intero genoma di un virus che infetta i batteri, il batteriofago ΦX174. Il genoma di questo microrganismo si componeva di circa 5.000 basi (svariate volte più piccolo del più semplice protozoo). Si trattava del primo genoma sequenziato completamente manualmente senza alcuna automazione. Questa impresa fu di notevole importanza in quanto portò alla creazione, nel 1982, del progetto Gen Bank, un database open access, istituito da una sezione del National Institute of Health (N.I.H) e dal National Center for Biotechnology Information (NCBI) allo scopo di raccogliere e mettere a disposizione di tutti le sequenze di nucleotidi e le relative proteine ottenute dopo la loro traduzione. Dopo questo successo, il team di Sanger (1984) decifrò anche la sequenza completa del DNA del virus EBV, scoprendo che conteneva 172.282 nucleotidi. Il metodo di Sanger, nonostante si dimostrasse efficiente era, però, ancora manuale, molto lento ed estremamente laborioso, soggetto spesso anche all’errore umano e legato all’uso di sostanze radioattive dannose per la salute. Quindi, era indispensabile apportare dei miglioramenti, anche nell’eventualità di sequenziare genomi di organismi molto più grandi di un virus, come i protozoi, gli animali e gli umani. Il superamento di queste problematiche avvenne, dopo alcuni anni, con l’uso della rivoluzionaria tecnica dell’elettroforesi capillare dove i frammenti separati erano marcati con fluorofori o fluorocromi (molecole che dopo aver assorbito fotoni o quanti di energia elettromagnetica di una certa lunghezza d’onda emettono fluorescenza) al posto di elementi radioattivi. Questa consentì un notevole sviluppo tecnologico che supportato dall’uso della tecnologia PCR (polymerase chain reaction) (K. Mullis, 1983) (7), consentì l’implementazione di sequenziatori automatici che impiegarono questi sistemi di rilevazione della fluorescenza incrementando notevolmente le capacità di analisi. Nel 1986, il laboratorio di L. E. Hood, presso il California Institute of Technology in collaborazione con Applied Biosystems (ABI), pubblicava il primo rapporto sul sequenziamento automatizzato del DNA (8) che introduceva una variante, cioè una colorazione fluorescente al posto della marcatura radioattiva per ciascuno dei quattro terminatori a catena dideossinucleotidi permettendo il sequenziamento in una singola


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reazione anziché in quattro. In aggiunta, questo iniziale rapporto mostrava che i risultati del sequenziamento potevano essere raccolti direttamente su un computer. Il sequenziamento di Sanger con i coloranti fluorescenti divenne la tecnica di sequenziamento dominante sino all’introduzione della tecnologia di nuova generazione (NGS) a partire dal 2005. La lunghezza della sequenza ottenibile era ora di circa 1000 nucleotidi. Nel 1987 venne annunciata la commercializzazione, da parte della ditta Applied Biosystems, della prima macchina di sequenziamento completamente automatizzata, l’ABI 310. Questa utilizzava un processo di ricarica automatica di capillari con una matrice polimerica, in sostituzione del lungo e dispendioso lavoro di versare il gel nelle piastre come avveniva in precedenza. L’ABI 310 effettuava il sequenziamento mediante separazione elettroforetica dei frammenti fluorescenti in un capillare del diametro di 50 mm contenente un polimero di corsa. Il sistema caricava automaticamente il capillare prelevando direttamente da una provetta o da una micropiastra la soluzione contenente l’amplificato. I frammenti di DNA marcati correvano lungo il capillare, con differenti velocità, fino a raggiungere una zona detta “finestra del capillare” con maggiore trasparenza, dove un raggio laser eccitava i quattro fluorocromi con emissione di lunghezze d’onda diverse. Queste venivano rilevate da una cella fotoelettrica in sequenze genomiche colorate con diverse intensità luminose e registrate in forma grafica. La sequenza dei picchi corrispondeva alla sequenza dei nucleotidi e il colore del picco al tipo di base azotata (aerogramma). L’ABI 310 Genetic Analyzer possedeva un unico capillare a cui ben presto seguirono macchine a 4, 16 e infine a 48 o 96 capillari come l’ABI 3730 che permise il sequenziamento di interi genomi. Questi sequenziatori sono ancora in produzione. Infatti, il sequenziamento Sanger viene ancora utilizzato per l’analisi di geni di piccole dimensioni, per il carrier testing o test del portatore, per alcuni test particolari come l’analisi di espansione di triplette o fragment lenght analysis e l’MLPA o Multiplex ligation-dependent probe amplification e come supporto alla Next Generation Sequencing o NGS nella conferma delle varianti identificate. Con questi dispositivi automatizzati si potevano sequenziare frammenti di circa 500.000 bp al giorno, con una lunghezza massima per frammento di circa 600 basi e riducevano significativamente le possibilità di errori. I progressi nel sequenziamento del DNA vennero soprattutto aiutati anche dallo sviluppo concomitante della tecnologia del “DNA ricombinante “che permise ai campioni

di DNA di poter essere isolati da fonti diverse dai virus. La messa in commercio di kit per il sequenziamento automatico pronti all’uso, rese per molto tempo il metodo di Sanger il “gold standard” per il sequenziamento. Questa procedura, oltre ad un risparmio in termini di tempo, permise l’analisi simultanea di più campioni. Nel corso degli anni ’80 si mise anche a punto un metodo di clonazione non selettivo chiamato “shotgun”; con esso si potevano produrre vari frammenti di DNA a caso che venivano clonati per la produzione di librerie in Escheria coli. I cloni erano poi sequenziati casualmente e i risultati assemblati per ottenere la sequenza genomica, poi completata da un software che confrontava tutte le lettere della sequenza e allineava le sequenze corrispondenti. Lo shotgun diventò, in quel periodo, il metodo di elezione per l’analisi del genoma. Tale metodo, venne successivamente esteso con l’utilizzazione di vettori di clonazione BAC “Bacterial Artificial Chromosome” (vettori artificiali di DNA basati sul plasmide F isolato da Escherichia coli), YAC “Yeast Artificial Chromosome” (cromosomi artificiali di lievito utilizzati nella tecnologia del DNA ricombinante) in cui si potevano inserire frammenti di DNA sempre più grandi. Nel 1991, C. Venter diede inizio al sequenziamento di sequenze di cDNA chiamate EST “Expressed Sequence Tag” utilizzate per identificare i trascritti genici nel tentativo di catturare la frazione codificante del genoma umano. Queste due ultime innovazioni insieme allo shotgun sequencing, fornirono una spinta fondamentale per l’avvio del Progetto Genoma iniziato nel 1990 e terminato nel 2003.

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La connessione ecologica per la biodiversità e la longevità Le precondizioni per una rete ecologica integrata e sostenibile nella regione Calabria

di Giovanni Misasi*, Domenico Passarelli**, Carlo de Giacomo***

L’

obiettivo generale del presente lavoro di ricerca è quello di fornire un contributo allo sviluppo economico e sociale dei Borghi del Benessere presenti nella Regione Calabria, tutelando e valorizzando la rete ecologica provinciale e regionale. La Calabria, nella sua evoluzione millenaria, ha costituito un modello paesaggistico di grande originalità dove le popolazioni, sulla base dei dati naturali, hanno costruito una notevole varietà di habitat originari, offerti, oltre che dalla specifica configurazione orografica, dal profilo longitudinale che percorre così diversi contesti territoriali. Un paesaggio multiforme dominato dagli alberi da frutto, dai fichi, dagli ulivi, dalla vite, alternato dalla campagna, dalle «macchie», di varie dimensioni, dai seminativi nudi, dalle aree adibite a pascolo, dalle superfici a bosco. Alla classica definizione di rete ecologica, costituita dai quattro punti fondamentali interconnessi tra loro (core areas, buffer zone, corridoi ecologici, stepping zones) va aggiunta una considerazione relativamente alle potenzialità in termini di fruibilità della rete per le popolazioni umane locali: la rete ecologica infatti, una volta definito come suo obiettivo prioritario quello della conservazione della biodiversità, si presta ad andare a costituire un sistema paesistico capace di supportare funzioni di tipo ricreativo e percettivo. La rete ecologica va ad interessare porzioni di territorio variamente localizzate andando così ad interagire con più scale, e con diversi strumenti amministrativi di pianificazione territoriale. Da questo punto di vista, l’integrazione orizzontale tra le politiche territoriali * Presidente Associazione Scientifica Biologi Senza Frontiere. ** Prof. Università Mediterranea di Reggio Calabria, Presidente INU sezione Calabria. *** Presidente Italia Nostra Cosenza.

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ad ogni livello amministrativo (municipale, regionale, nazionale), la cooperazione e l’attuazione di collaborazioni tra diversi settori amministrativi, divengono elementi essenziali per giungere alla progettazione di linee di azione orientate alla conservazione della biodiversità ed alla gestione sostenibile degli ecosistemi in una prospettiva di integrazione reticolare. Occorre in altre parole tenere presente che la rete può esistere e svilupparsi solo a condizione che i soggetti amministrativi e sociali coinvolti cooperino strettamente. Occorre quindi, per gettare le basi di tale cooperazione, determinare ed utilizzare concetti e norme comuni, e quindi selezionare gli spazi per poi gestire la rete in modo coerente. I soggetti che potenzialmente possono essere coinvolti in questo processo sono moltissimi: Unione Europea, Stato Centrale, Autorità di Bacino, Regioni, Province e Comuni, Comunità Montane, Enti Gestori delle Aree Protette, ma anche Associazioni ambientaliste, culturali e sportive, Associazioni di categoria (agricoltori). Partendo dai SIC (Siti di Interesse Comunitario) dai Parchi e dalle altre Aree Protette sarà così possibile iniziare un processo di riequilibrio ecologico e territoriale attraverso il concorso di molteplici soggetti politici, culturali e operativi che si pongano come obiettivo comune una maggiore sicurezza ambientale e di conseguenza una migliore qualità della vita. Il miglioramento del paesaggio infatti diventa occasione per la creazione, ad esempio, di percorsi a basso impatto ambientale (sentieri e piste ciclabili) che consentono alle persone di attraversare il territorio e di fruire delle risorse paesaggistiche (boschi, siepi, filari, ecc.) ed eventualmente di quelle territoriali (luoghi della memoria, posti di ristoro, ecc.). Pare opportuno se non si vuole che i meritori principi enunciati nella Convenzione Europea del Paesaggio e le obbligazioni assunte dall’Italia in tale contesto rimangano lettera morta, proporre la creazione di Corridoi Ecologici in sinergia con un Osservatorio del Paesaggio, struttura leggera ma qua-


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lificata e soprattutto specializzata, che possa far sì che le minacce che incombono su questo delicato insieme unico al mondo vengano limitate nel loro impatto affinché lo sviluppo economico si faccia non in spregio al paesaggio ma con esso e in armonia con l’esistente. Il contesto normativo di riferimento Il tema delle reti ecologiche si è affermato in Europa nell’ultimo decennio come tema centrale delle politiche ambientali. Ciò ha comportato un radicale cambiamento di ottica, passando dall’idea di conservare specifiche aree protette a quella di conservare l’intera struttura degli ecosistemi presenti sul territorio. Tale cambiamento di prospettiva, nasce dalla considerazione che le politiche per le aree protette finalizzate a conservare unità territoriali (Parchi e Riserve) tra loro scollegate non sono sufficienti a contrastare le crescenti pressioni ambientali e a garantire processi di conservazione della natura e dell’ambiente. Il maggiore responsabile dell’impoverimento della diversità biologica è il processo di frammentazione degli ambienti naturali. La frammentazione può essere definita come il processo che genera una progressiva riduzione della superficie degli ambienti naturali e un aumento del loro isolamento: le superfici naturali vengono, così, a costituire frammenti spazialmente segregati e progressivamente isolati inseriti in una matrice territoriale fortemente caratterizzata dagli insediamenti umani. Il ruolo delle Regioni, in materia di conservazione della natura nonché degli habitat di specie di flora e fauna di rilevanza europea, è sempre più incisivo, alla luce anche delle direttive europee e leggi nazionali. Espressione di ciò sono le Reti Ecologiche Regionali che concorrono alla

definizione della Rete Ecologica Nazionale. Tali reti sono principalmente tese a realizzare interventi finalizzati a limitare il degrado prodotto dall’abbandono dei territori collinari e montani e a creare le condizioni favorevoli per lo sviluppo di nuove, alternative e complementari iniziative economiche a basso impatto ambientale. Il Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria sta svolgendo un’intensa attività di tutela e salvaguardia del patrimonio ambientale della Regione, con azioni mirate ed interventi specifici di risanamento, ponendo un forte accento sul ruolo dell’educazione ambientale e della formazione orientata allo sviluppo sostenibile, con particolare riguardo al puntuale utilizzo degli strumenti e delle risorse comunitarie. Riguardo le esigenze di conservazione, tutela e valorizzazione delle risorse naturali, tra le attività del Dipartimento, di rilievo sono gli interventi riconducibili alla Rete Ecologica Regionale, che si configura come un’infrastruttura naturale e ambientale la cui finalità è quella di interrelazionare e di connettere ambiti territoriali che, a vario titolo e grado, presentano o dimostrano di avere una suscettibilità ambientale più alta di altre e modellabile in funzione di una gamma di pressioni antropiche, avviando forme di sviluppo sostenibile in aree di elevato valore ambientale. Verso una rete ecologica regionale La Rete Ecologica Regionale, in quest’ottica è dunque intesa come un vero e proprio strumento territoriale che risponde alla necessità di creare dei collegamenti tra le aree naturali esistenti (Parchi, riserve, SIC e corridoi tematici di connessione). Identiche finalità presenta l’Accordo di programma Quadro sulla biodiversità, che GdB | Luglio/agosto 2021

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promuove l’ecoturismo, il recupero e la valorizzazione del patrimonio delle aree naturali protette e delle aree di eccellenza naturalistica in un sistema di interazione che pone in funzionalità logistica gli enti di gestione e sia da traino alla crescita delle economie locali. Di seguito vengo evidenziati le prime criticità e i punti di forza da rilevare all’avvio di una sperimentazione progettuale: • Stato di efficienza di ponti di collegamento; • Marginalità dei territori e rischi da eventi atmosferici; • Presenza e stato delle condutture di acque; • Necessità di costruire processi di coinvolgimento e di accettazione sociale; opportunità di costruire occasioni di progettazione e condivisione con i Borghi del Benessere nell’ottica anche di sviluppare in una fase successiva alcune collaborazioni partenariali; • Presenza di habitat ecologici spontanei; • Condivisione del disegno di intervento elaborato con le macro realtà esistenti nei borghi (concessionari di aree agricole, coltivazioni di flore speciali, aree di accoglienza, etc etc.) • Opportunità di condividere conoscenze e competenze nella attuazione dei lavori agroforestali; • Presenza di agricoltori o allevatori attivi; • Presenze faunistiche rilevate interessanti; • Processo di definizione di strategie per la manutenzione del verde; • Attivazione di risorse umane e sociali. Di seguito si riportano le azioni necessarie per progettare una rete ecologica ambientalmente sostenibile. Comunicazione e coinvolgimento Una prima azione da considerare è sicuramente quella del coinvolgimento inteso come processo di partecipazione continua e creazione dell’identità dei Borghi del Benessere. Ciò preclude l’organizzazione di incontri informativi e di partecipazione legati ai Borghi del Be86 GdB | Luglio/agosto 2021

nessere a ai corridoi ecologici, eventi di animazione sullo svolgimento del progetto e realizzazione degli interventi, la proiezione di documentari conoscitivi sugli usi e costumi dei luoghi e sui punti di forza e debolezza degli ambienti calabresi; il riconoscimento ed individuazione dei prodotti stagionali locali tipici del territorio, ed altro ancora. Nel percorso di coinvolgimento generale dovrà essere data particolare attenzione al rapporto con le realtà attive del territorio (associazioni, aziende e attività produttive e cooperative), con l’intento di creare una forte sinergia in funzione di un presidio continuo del territorio. L’obiettivo sarà quello di sviluppare un percorso di coinvolgimento di tutte le realtà territoriali in attività di miglioramento e di cura del territorio per aumentare la consapevolezza sull’importanza delle reti ecologiche e della biodiversità locale. Il percorso di comunicazione sarà a supporto delle azioni e in particolare dell’azione di partecipazione e progettazione integrata. Sarà necessario anche coinvolgere la popolazione per confermare il riconoscimento di tali identificazioni territoriali e coadiuvare le Amministrazioni locali nel percorso di riconoscimento a Denominazione Comunale (De.Co). A tale scopo risulta implicito realizzare materiale informativo del progetto (locandine eventi, aggiornamenti e ristampe guide locali), Aggiornare i siti di riferimento del progetto, creare una piattaforma interattiva dedicata al progetto e per ultimo comunicare ufficialmente il progetto e lle attività ad esso collegate mediante comunicati stampa. Studio Fattibilità e partecipazione integrata La seconda azione è relativa allo studio di fattibilità, che comporterà tre differenti livelli di steps ciascuno orientato all’integrazione progettuale e alla responsabilizzazione nella gestione: Il primo livello di coinvolgimento necessario riguarderà le strutture amministrative dei diversi enti coinvolti. Nello studio di fattibilità le condizioni di informazione e di coerenza delle azioni amministrative non sempre permettono una buona gestione del territorio e tantomeno la realizzazione di un obiettivo apparentemente “debole” come la rete ecologica. Finalizzare le azioni non a obiettivi settoriali ma a progetti territoriali è il primo obiettivo del processo operativo di partecipazione in coerenza con lo studio di fattibiltà. L’azione di progettazione partecipata prevederà il coinvolgimento del Comune Borgo del Benessere nell’azione di riqualificazione delle aree e dei cittadini e di tutti i portatori di interesse. Un secondo livello strettamente connesso con il precedente consiste


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nel portare a coerenza le azioni di autonomie funzionali e agenzie di progetto che operano di fatto sullo stesso territorio allocando importanti risorse materiali e immateriali. Collaborazione nell’individuazione delle risorse economiche necessarie allo svolgimento delle attività. Il terzo livello di partecipazione è quello più consueto e locale. La redazione di una comune visione richiede sia il coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni direttamente attive nel territorio, nell’ipotesi di costruire un “corridoio ecologico e urbanistico virtuoso tra i Borghi del Benessere” in coerenza sia con gli obiettivi comunitari e sia Regionali. Attraverso la piattaforma interattiva si produrrà un’applicazione (URBAN APP) disponibile a tutti i cittadini al fine di interagire sui vari momenti di richiesta di collaborazione. In questa chiave il progetto di attuazione della rete intende allargare il quadro dei soggetti locali coinvolgendoli sia nella realizzazione degli elementi di supporto della rete sia nella sua successiva manutenzione e gestione, in particolare gli attori territoriali beneficiari diretti o indiretti del progetto. Rigenerazione urbana e sostenibilità ambientale La terza azione riguarda il recupero delle aree degradate, comprese le case abbandonate, con ampliamento degli spazi naturali del corridoio ecologico. Si coinvolgeranno i cittadini che vorranno partecipare attivamente ad una rigenerazione urbana, generando nuove forme di coesione sociale attraverso percorsi di sensibilizzazione e azioni mirate: • Allo smaltimento dei i materiali ritrovati che verranno accatastati in cumuli differenziati per tipologie, e correttamente smaltiti in discarica; la separazione manuale dei materiali inoltre permetterà di non contaminare i rifiuti con materiali pericolosi, come ad esempio l’eternit. • Alla creazione di cartelloni informativi sulle aree di recupero con l’ausilio dei portatori di interesse locali. • Alla riduzione dello stato di degrado delle aree: rafforzamento e riqualificazione dell’ara umida che permette di tutelare un habitat a rischio di scomparsa.

La quarta azione riguarda il monitoraggio faunistico, vegetazionale e delle matrici ambientali pre e post intervento nonché il riuso del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente comprendente la risistemazione degli spazi pubblici e privati. • Monitoraggio degli interventi di potenziamento della connessione ecologica attraverso l’utilizzo di indicatori ambientali. Per il monitoraggio degli interventi volti a potenziare la rete ecologica e la sua funzionalità si individuerà un set di indicatori che risultino efficaci nella doppia funzione di bioindicatore e di grado di inquinamento ambientale. • Valutazione dei parametri chimici e biologici associati ad inquinamento ambientale, nelle matrici aria, acqua e suolo, per conoscere le condizioni che potrebbero favorire lo sviluppo di patogeni e inquinanti ambientali • Analisi di correlazione tra i dati chimico-biologici rilevati e fattori di rischio di contaminazione territoriale individuati dallo studio preliminare sui bioindicatori; • Tutela e salvaguardia dei beni storico-architettonici e valorizzazione dell’identità immateriale. Istituzione di un Osservatorio sul Paesaggio L’Osservatorio, per la cui definizione statutaria ed operativa occorrerà ovviamente una adeguata riflessione Lago di Cecita (Sila).

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congiunta tra coloro che saranno in futuro chiamati a farne parte (tra gli organismi ed Enti interessati, le Università e l’associazionismo, etc.), potrebbe svolgere numerose funzioni di coordinamento e di studio, senza peraltro pregiudicare le responsabilità degli uni e degli altri in materia di indirizzo, pianificazione e programmazione, e di gestione quotidiana del paesaggio. A titolo esemplificativo, potremmo citare le funzioni seguenti: • Funzione documentaria: Collazione e diffusione delle immagini caratteristiche del paesaggio calabro, creazione e mantenimento di una banca dati ad hoc accessibile gratuitamente on-line e apertura di spazi informatici di dibattito sul territorio; • Funzione di monitoraggio: messa a disposizione di una “antenna” focalizzata sul territorio, pronta a raccogliere le informazioni, istanze e segnalazioni provenienti dai cittadini, sempre più attenti al territorio quale involucro essenziale ad una buona qualità della vita; • Funzione educativa: Organizzazione in collaborazione con le istituzioni didattiche (scuole, università, etc) di incontri, convegni, seminari incentrati sul territorio, la sua storia e significato, e sul ruolo passato e futuro del territorio stesso nella crescita economica e nel progresso sociale; • Funzione consultiva: Collegamento con strutture esperte in grado di fornire supporto agli Enti Locali nell’elaborazione di Piani Paesistici e Programmi di Salvaguardia dell’integrità del territorio, ad integrazione delle attività delle Soprintendenze; • Funzione progettuale: assistenza specializzata alla formulazione di progetti destinati alla protezione del paesaggio e banca dati specializzata sulle possibilità di finanziamento di tali progetti, così da stimolare l’imprenditoria specie giovanile legata ai temi del paesaggio, del territorio e dell’ambiente. • L’Osservatorio, operando in collaborazione con le associazioni ambientaliste e culturali presenti, beneficerebbe sin dalla sua creazione di una “rete” estremamente capillare e potrebbe sviluppare capacità di comunicazione (focalizzate sulle opportunità offerte dall’informatica) come promotore e gestore di pagine Web, Blog, banche dati documentarie e fotografiche, capacità di analisi tecnico-finanziaria di progetti da proporre agli organi di finanziamento regionali, nazionali ed internazionali, capacità di intrattenere relazioni e rapporti anche con l’estero per effettuare scambi di esperienze e progetti transnazionali. Rete ecologia e rigenerazione dei borghi Un progetto di valorizzazione volto a riqualificare spazi pubblici urbani situati nei centri storici necessita una attenta pianificazione che consideri non soltanto gli 88 GdB | Luglio/agosto 2021

aspetti fisici ma che tenga in considerazione la dimensione storico-ambientale del centro stesso. Slarghi, piazze e cortili sono sempre stati luoghi di incontro dove le collettività trovavano modo di dialogare, commercializzare, dibattere senza limiti di età in una dimensione che trascendeva lo spazio e il tempo. Ogni centro storico custodisce un patrimonio culturale unico che ha una identità costruita dalla collettività ed è nell’acquisizione di tale consapevolezza che diventa possibile liberare la creatività di interventi finalizzati alla sua valorizzazione. A partire dai segni della storia naturale ed umana si possono impostare sistemi di valorizzazione del patrimonio culturale che diventa quindi risorsa qualificata capace di originare attività creative col fine di generare crescita economica e culturale. La pianificazione del progetto di valorizzazione permette quindi di gestire la complessità dei parametri coinvolti esaltandone le peculiarità e le propensioni. Le principali fasi del processo di valorizzazione si propone di far scoprire i borghi nella natura e la natura nei borghi. A tal proposito occorre considerare il seguente iter analitico: • contestualizzazione storico-architettonica e urbanistica dei borghi; • predisposizione di un itinerario di collegamento tra gli esempi rappresentativi individuati; • riconoscimento delle specie biologiche tramite l’utilizzo delle chiave analitiche; • predisposizione di un catalogo contente schede de-


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scrittive complete di immagini; • valutazione dello stato di conservazione; • analisi e caratterizzazione dei materiali costituivi. Effettuata l’analisi ed elaborate le informazioni in termini di messa in evidenza di connessioni, similitudini, differenze e peculiarità, diventa possibile dare rilievo ai monumenti aumentando l’identità degli spazi annessi attraverso la riproposizione di elementi decorativi. Ne deriva la possibilità di organizzare scenari e quinte stradali fortemente connotate e connotanti dai valori cromatici variabili anche con le stagioni. Sarà quindi necessario elaborare: • una ricerca sullo stato di fatto, che documenta i vincoli e i valori storici, le presenze naturali, i tipi di colture, le attività presenti, l’esistenza di luoghi d’incontro, in altri termini il riconoscimento delle grandi risorse primarie e dei siti; • uno schema progettuale, che descriva il risultato figurativo al quale si tende e si può arrivare (senso dei diversi paesaggi), dopo attenta analisi preliminare; • individuazione di modelli possibili di spazio aperto urbano; • uno schema di normativa, graficizzato attraverso una planimetria e delle sezioni tipiche, che indica gli elementi di cui si deve tener conto nello sviluppo del “sistema verde”. Occorre poi unitamente gestire il tutto pensando ad una estensione della logica e quindi prevedere ed organiz-

zare un insieme di ulteriori azioni che permetteranno ai poli individuati di diventare una rete ad elevata fruibilità. Obiettivo primario è restituire, agli abitanti, la possibilità di andare a piedi o in bicicletta - con diversi ritmi, diverse possibilità di “vedere”. Un secondo obiettivo è creare una rete per ragazzi ed anziani- con meno rumore, meno aria inquinata che colleghi - tra loro e alle zone residenziali - scuole, luoghi verdi, luoghi di vita associata. I “luoghi verdi” dovranno essere correlati sia ad attività e modi d’uso più vari che a particolari tipi di siti, di trame agricole, di paesaggi urbani e naturali. I tipi proposti comprendono: • giardini storici - tipico quello “calabrese” con viti, fichi, gelsi e allori, che richiamano alle condizioni agricole dell’antichità mediterranea; • prati-gioco, delimitati da filari di alberi (agrumi, peri, meli) inseriti nella geometria dei borghi e collegati con in sistema degli itinerari; • cortili verdi - cortili per “rinverdire” lo spazio residenziale privato, stimolando il lavoro comune, la solidarietà e la partecipazione tra vicini di diversa estrazione, mentalità etnia. I singoli spazi aperti, oltre ad aree del paesaggio urbano nel suo complesso, sono importanti veicoli di significati e valori e favoriscono la creazione e il rafforzamento di identità individuali e comunitarie.

Bibliografia • •

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La tassonomia: una scienza “vintage” o “moderna” per valutare la biodiversità? La moderna tassonomia zoologica si occupa di studiare la diversità degli organismi animali in molte delle sue sfaccettature (morfologia, ecologia, zoogeografia)

di Cinzia Gravili*

L’

articolo 2 della Convenzione sulla Diversità Biologica (Convention on Biological Diversity - CBD) del 1992 definisce la biodiversità come: “la variabilità tra organismi viventi di qualsiasi tipo compresi, tra gli altri, quelli terrestri, marini e di altri ecosistemi acquatici ed i complessi ecologici dei quali questi sono parte; questo include la diversità all’interno delle specie, tra le specie e degli ecosistemi”. Ma cosa si intende per ‘Biodiversità’? Tale parola ha significati diversi in diverse discipline: si spazia da un approccio inclusivo di ‘’tutte le specie” (tassonomia), alle sole ‘specie carismatiche’ (socio-economia), alle “unità funzionali” (modellistica ecologica). Classicamente si fa riferimento a tre diversi livelli di diversità, secondo una scala spaziale via via crescente, passando dalla biodiversità subspecifica a quella specifica e, infine, sopraspecifica coinvolgendo, rispettivamente, approcci genetici, organismici, di populazione ed ecologici. Anche se la questione della biodiversità rimane legata alla domanda ‘senza risposta’: quante specie si sono sulla Terra? [1]. Negli ultimi decenni stiamo assistendo ad una crisi della biodiversità che viene percepita in termini di progressiva riduzione del numero delle specie a livello mondiale con conseguenti modificazioni che stanno influenzando il funzionamento degli ecosistemi [2]. La biodiversità ha, pertanto, un notevole valore intrinseco perché il primo passo per proteggere qualcosa è sapere cosa dobbiamo proteggere! Una disciplina che ci avvicina alla diversità dei viventi è la zoologia sistematica che, però, passa per essere tra le più ‘polverose e noiose’ discipline biologiche trattando insiemi di categorie come classi, ordini, famiglie, generi, specie (apparentemente difficili da ricordare) il tutto per mettere ordine tra gli organiBiologa zoologa presso il Laboratorio di Zoologia Marina Applicata del DiSTeBA, Università del Salento. Membro dell’Assemblea Nazionale del CNBA.

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smi animali viventi. In realtà, la tassonomia non si deve limitare a dare un nome alle specie (un’etichetta). La moderna tassonomia zoologica, in realtà, si occupa di studiare la diversità degli organismi animali in molte delle sue sfaccettature (morfologia, ecologia, zoogeografia). Per di più, lo stato della biodiversità e l’impatto delle specie non indigene (NIS) sul funzionamento dell’ecosistema sono, rispettivamente, il primo e il secondo degli 11 descrittori di GES (Good Environmental Status) della Direttiva Quadro sulla Strategia Marina Europea. Tutto ciò comporta che per avere una completa valutazione delle specie presenti in una certa area geografica è necessaria l’integrazione dei vecchi elenchi di specie con le nuove segnalazioni, quasi sempre rappresentate da specie non indigene (NIS) e, spesso senza considerare, la scomparsa delle specie nel corso del tempo [3]. Negli ultimi decenni, il riscaldamento globale sta portando il Mar Mediterraneo in uno stato caratterizzato dall’ingresso di un gran numero di NIS tropicali che si spostano in aree più temperate. Dopo l’apertura del Canale di Suez nel 1869, nel Mediterraneo orientale si è verificato, ad esempio, l’ingresso di numerose specie di meduse dal Mar Rosso. Numerose NIS si sono stabilite, di recente, anche nelle acque del Mediterraneo nordoccidentale formando popolazioni stabili. La scomparsa di specie endemiche con affinità fredde e il rapido afflusso di NIS stanno influenzando pesantemente il ricco ma delicato ecosistema mediterraneo. La medusa tropicale Phyllorhiza punctata (Fig. 1a), già registrata in passato nel Mediterraneo orientale, insieme all’espansione delle specie Cassiopea andromeda (Fig. 1b) e Rhopilema nomadica (Fig. 1c), dimostrano che la biodiversità del Mar Mediterraneo è caratterizzata dall’insediamento di NIS del plancton gelatinoso che causano perdite elevate alla pesca nelle zone invase. Gli effetti di molte meduse NIS non sono stati valutati fino ad oggi e le loro conseguenze ecologiche e sociali potrebbero causare enormi impatti cumulativi che, solo di recente, sono stati inclusi nei modelli di pesca. Da quanto detto risulta chiaro che, per comprendere la complessità ecologica, è necessaria la


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Figura 1. a) Phyllorhiza punctata, b) Cassiopea andromeda, c) Rhopilema nomadica. (disegni realizzati da Alberto Gennari).

cooperazione tra tassonomi ed ecologi che colleghino la biodiversità alla funzione dei sistemi ecologici per concatenare le misurazioni della biodiversità a diversi livelli (dal livello di specie a quello di habitat). La descrizione delle NIS richiede competenze tassonomiche che, in molti casi, sono incomplete principalmente a causa della carenza di tassonomi. Tra i motivi di questa crisi della tassonomia sono senz’altro da annoverare il basso Impact Factor (IF) della maggior parte delle riviste che pubblicano descrizioni di specie e revisioni tassonomiche [4]. L’IF è un parametro ampiamente utilizzato per valutare la performance di ricercatori, permettendo opportunità e progressi nell’ambito della carriera accademica. Un altro aspetto della crisi della tassonomia è che la descrizione morfologica delle specie è considerato una modalità antiquata di fare ricerca. Il risultato finale è che gli esperti in tassonomia vanno in pensione senza essere sostituiti e i nuovi ricercatori nella biodiversità si dedicano preferenzialmente al campo della biologia molecolare o dell’ecologia. Nel tentativo di fornire alla tassonomia elenchi di specie aggiornati, studiosi del Laboratorio di Zoologia Marina dell’Università del Salento, in collaborazione con altri esperti a livello mondiale, hanno stilato monografie tematiche sul gruppo zoologico marino Hydrozoa (Cnidaria) sia su scala globale [5], annoverando più di 3.700 specie, che nell’area mediterranea [6], [7]. Si tratta di un significativo passo in avanti nella conoscenza della biodiversità e nella promozione della disciplina tassonomica, contribuendo alla documentazione del patrimonio naturalistico-ambientale. Tali monografie assemblano, infatti, le più rilevanti conoscenze del gruppo: dalla loro classificazione alla variabilità morfologica, il loro ciclo vitale, e l’habitat occupato. Queste guide forniscono informazioni riguardanti gli aspetti

tassonomici, ecologici e zoogeografici utilizzabili sia a fini della ricerca scientifica che come strumento per la valutazione della qualità ambientale, dell’impatto antropico e dell’introduzione di specie non indigene. Qualsiasi intervento antropico che abbia effetti su ambienti in condizioni di naturalità e che presenti conseguenze sul patrimonio faunistico non può prescindere da un inventario di base delle specie presenti nell’area geografica oggetto di studio. Come previsto dal descrittore numero uno del buono stato ecologico dell’ambiente marino della Direttiva dell’Unione Europea (http://ec.europa.eu/environment/marine/good-environmental-status/) relativo al mantenimento della biodiversità, lo studio dettagliato delle faune locali e il monitoraggio della loro composizione sul lungo termine sono fondamentali per valutare lo stato della biodiversità e per una migliore comprensione delle cause e degli effetti del cambiamento negli ecosistemi. La Direttiva Quadro sulla Strategia Marina Europea ha cambiato l’approccio per quanto riguarda lo stato dell’ambiente attraverso 11 descrittori di GES (Good Ecological Status) e, invece di considerare le cause di impatto ambientali, considera i loro effetti sulle componenti biotiche [8]. Di conseguenza, i programmi multidisciplinari diventano un approccio di ricerca preferenziale aumentando la nostra consapevolezza etica all’interno dell’ecologia: questo obiettivo può essere raggiunto solo se esperti in diversi settori della biodiversità uniscono i loro sforzi. Solo lavorando insieme, infatti, potremmo capire come le specie si riuniscono tra di loro per fare comunità e permettano il funzionamento degli ecosistemi, come reagiscono agli impatti antropici e come possiamo preservarle. La tassonomia tradizionale è eccessivamente trascurata ed è in serio pericolo in tutto il mondo. Sia le metodologie ‘nuove’ e quelle ‘tradizionali’ per studiare la biodiversità sono essenziali e la scomparsa della tassonomia tradizionale (basata sui fenotipi) nell’era della biodiversità è un controsenso che la comunità scientifica deve affrontare e a cui porre rimedio. Prospettive future In questo contesto, caratterizzato dal ritiro degli esperti in tassonomia sostituiti da ricercatori in biologia molecolare o ecologia [4], il problema della “perdita delle competenze tassonomiche” è evidente e deve essere affrontato. Per fermare questa tendenza, Hutichings e Berents [8] in un lavoro scientifico intitolato “An obituary to marine taxonomy” (Un necrologio alla tassonomia marina), hanno proposto lo sviluppo di collaborazioni tra università e musei affiancate da attività come indagini portuali e monitoraggio ambientale per scongiurare la ‘morte definitiva’ della tassonomia e incoraggiare la prossima generazione di biologi a intraprendere la ricerca nel campo della sistematica. Per raggiungere questo traguardo, la tassonomia moderna non dovrebbe limitarsi alla sola descrizione delle specie, ma fornire informazioni sui loro fenotipi, genotipi, ecologia, cicli vitali, popolazioni, comunità e zoogeografia. Sarà necessario, pertanto, proporre strategie più ampie per utilizzare GdB | Luglio/agosto 2021

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al meglio le risorse assegnate per attuare la ricerca sulla biodiversità. Pertanto, sarebbe auspicabile la produzione di nuove monografie su tutti i gruppi marini [10], [11]. Una valutazione della biodiversità a livello di specie, infatti, è necessaria, e il Mar Mediterraneo, come sopra evidenziato, rappresenta per le sue peculiarità un “bacino modello” per tutti gli oceani. È un “esempio ammonitore” delle conseguenze del cambiamento climatico e delle condizioni idrografiche dell’ecosistema marino, espressione di un’elevata pressione ecologica sulle specie native esercitata dalla propagazione di specie aliene. Gli organismi del plancton gelatinoso possono, inoltre, fungere da ‘specie chiave’ per monitorare la salute dei mari, ma il problema principale è che sono disponibili pochi e discontinui dati sui loro cicli di vita e sulle loro risposte ai cicli oceanici intesi quali oscillazioni di origine naturale che coinvolgono la dinamica di questi ecosistemi [12], [13], [14], [15]. Tali ricerche hanno evidenziato che un problema da affrontare con urgenza (dai moderni tassonomi in collaborazione con gli ecologi) è quello generato dalle specie esotiche invasive che hanno invaso e colpito il biota nativo. Il costo ambientale che non possiamo più permetterci è la perdita di specie ed ecosistemi autoctoni. Il cambiamento climatico che ha avuto come conseguenza l’aumento delle temperature avvantaggia la riproduzione e distribuzione di alcune specie tropicali nel Mar Mediterraneo a scapito delle specie endemiche [16]. I prossimi studi sull’ecologia delle specie aliene e sui cambiamenti climatici dovrebbero, pertanto, mirare a comprendere le relazioni di causa/effetto e non perdere di vista aspetti come l’influenza dei cambiamenti fenologici e le interazioni tra specie [17], [18], 92 GdB | Luglio/agosto 2021

[19]. Galil [20], scienziata che ha condotto numerosi studi sulle specie aliene, ha invitato gli esperti nel campo dell’ecologia e della biologia della conservazione ad agire insieme identificando criticità nella raccolta dati, disseminazione, monitoraggio di protocolli, impatto di specie aliene e identificazione di vettori nelle aree di conservazione marina. È stato stimato che in Mediterraneo 53 specie di organismi marini appartenenti al taxon Hydrozoa (Cnidaria) non sono stati più segnalati da più di 40 anni facendo sospettare ad una loro possibile estinzione. Tra queste sicuramente va citata la specie Tricyclusa singularis (Schulze, 1876) (Fig. 2) che dopo l’originale descrizione di Schulze [21] nel Golfo di Trieste non è stata mai più segnalata nel Mar Mediterraneo: la sua scomparsa rappresenta quella di una intera famiglia-monotipo (Tricyclusidae Kramp, 1949). Sfortunatamente, molti dei progetti dedicati all’esplorazione della biodiversità sono orientati all’esclusiva ‘informatizzazione delle informazioni sulla biodiversità’ (Census of Marine Life, European Network of Biodiversity Information, Lifewatch, European Register of Marine Species), scoraggiando il finanziamento di studi dedicati a diversi taxa marini. Solo poche aree della biodiversità continuano ad essere esplorate in modo strategico (ad esempio, Artico, Antartico, acque profonde) per ragioni spesso legate ad accordi politici e commerciali [10]. Le serie di dati a lungo termine nelle acque europee, in altri mari e oceani devono, quindi, essere collegate in rete per facilitare la formazione dei ‘nodi’ (osservatori globali) e per promuovere una migliore e piena comprensione delle cause e degli effetti del cambiamento negli ecosistemi [22]. Come suggerito da Corriero et al. [23], è essenziale monitorare le specie aliene in


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diversi habitat, da quelli sottoposti a pressione antropica, che sono spesso determinanti per l’introduzione di specie aliene, agli habitat marini biologicamente più intatti. I programmi di monitoraggio della conservazione dovrebbero sviluppare strategie che consentano la mitigazione delle invasioni biologiche. È quindi necessario migliorare la qualità ambientale per stimolare la capacità degli ecosistemi di contrastare le invasioni biologiche e prevenirne di ulteriori. La tendenza attuale è quella di attuare le politiche europee per aumentare i partenariati, la creazione di reti [24] e i programmi multidisciplinari che diventano un approccio di ricerca privilegiato che spesso coinvolge iniziative di scienza dei cittadini [25]. Un’iniziativa di questo tipo, denominata ‘Watch for Jellies’ è stata ideata dal Laboratorio di Zoologia e Biologia Marina (Università del Salento) e ha portato alla creazione di un dataset (progetto METEOMEDUSE) promosso dalla rivista scientifica FOCUS (http://meteomeduse.focus.it /), consentendo di monitorare la presenza di tali organismi su vaste scale temporali (2009-2014) e spaziali (coste italiane). In conclusione, appare chiaro che settori dell’ecologia sperimentale e della storia naturale devono cooperare per comprendere appieno la complessità ecologica che collega la biodiversità alla funzione dei sistemi ecologici.

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nomy”. Australian Marine Sciences Association 2014, Vol. 195, pp. 16-22. [10] F. Boero. “The study of species in the Era of Biodiversity: a tale of stupidity”. Diversity 2010, Vol. 2, pp. 115-126. [11] C. Gravili. “Esplorando il mare del Salento. La guida illustrata degli Hydrozoa (Cnidaria) del Salento”. Il Bollettino 2015, Vol. 1/2, pp. 38-41. Università del Salento. [12] M. Schrope. “Attack of the blobs”. Nature 2012, Vol. 482, pp. 20-21. [13] F. Boero. “Review of jellyfish blooms in the Mediterranean and Black Sea”. General Fisheries Commission for the Mediterranean - Studies and Reviews 2013, Vol. 92, pp. i-vii, 1-53. [14] F. Boero, J. Carlton, F. Briand, W. Kiessling, A. Chenuil, E. Voultsiadou, R. Twitchett, A. Soldo, S. Panigada, M.J. Juan-Jorda, C.J. Melian, P. Cury, P. Moschella. “Marine extinctions. Pattern Process”. Executive Summary. CIESM Work Monograph 2013, Vol. 45, pp. 5-19. [15] C. Gravili, S. Bevilacqua, A. Terlizzi, F. Boero. “Missing species among Mediterranean non-Siphonophoran Hydrozoa”. Biodiversity and Conservation 2015, Vol. 24, Issue 6, pp. 1329-1357. [16] A. Occhipinti-Ambrogi, B. Galil. “Marine alien species as an aspect of global change”. Advances in Oceanography and Limnology 2010, Vol. 1, pp. 199-218. [17] M. Edwards, A.J. Richardson. “Impact of climate change on marine pelagic phenology and trophic mismatch”. Nature 2004, Vol. 430, pp. 881-884. [18] P. Koeller, C. Fuentes-Yaco, T. Platt, S. Sathyendranath, A. Richards, P. Oullet, D. Orr, U. Skuladottir, K. Wieland, L. Savard, M. Aschan. “Basin-scale coherence in phenology of shrimps and phytoplankton in the North Atlantic”. Science 2009, Vol. 324, pp. 791-793. [19] L.H. Yang, V.H.W. Rudolf. “Phenology, ontogeny and the effects of climate change on the timing of species interactions”. Ecology Letters 2010, Vol. 13, pp. 1-10. [20] B.S. Galil. “The expansion of the Suez Canal and marine bioinvasions in the Mediterranean Sea”. In: M. Zapparoli, M.C. Belardinelli, editors. Proceedings of the 76° Congresso Nazionale dell’Unione Zoologica Italiana, Viterbo, 15-18 Settembre 2015. Università degli Studi della Tuscia: Quaderni del Centro Studi Alpino 2015, Vol. IV, p. 115. [21] F.E. Schulze. “Tiarella singularis, ein neuer Hydroidpolyp”. Zeitschrift Wissenschaftliche Zoologie 1876, Vol. 27, pp. 403-416. [22] F. Boero, A.C. Kraberg, G. Krause, K.H. Wiltshire. “Time is an affliction: Why ecology cannot be as predictive as physics and why it needs time series”. Journal of Sea Research 2015, Vol. 101, pp. 12-18. [23] G. Corriero, C. Pierri, S. Accoroni, G. Alabiso, G. Bavestrello, E. Barbone, et al. “Ecosystem vulnerability to alien and invasive species: a case study on marine habitats along the Italian coast. Aquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystems” 2015, Vol. 26, pp. 392–409. [24] S. Katsanevakis, P. Genovesi, S. Gaiji, H. Nyegaard Hvid, H. Roy, A.L. Nunes. “Implementing the European policies for alien species – networking, science, and partnership in a complex environment”. Management of Biological Invasions 2013, Vol. 4, pp. 3-6. [25] J. Silvertown. “A new dawn for citizen science”. Trends in Ecology & Evolution 2009, Vol. 24, pp. 467-471.

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Ecm Questo articolo dà la possibilità agli iscritti all’Ordine di acquisire 3 crediti ECM FAD attraverso l’area riservata del sito internet www.onb.it.

La Meningite meningococcica: caratteristiche, diagnosi e vaccini Di seguito pubblichiamo un breve abstract di sintesi del corso Fad “Acido Urico e Malattie Cardiovascolari. Malattie e risvolti clinico terapeutici”. Il corso è disponibile all’interno dell’area riservata “MyOnb”

di Elena Scaglione*,**, Luca Fanasca**, Valeria Caturano**, Ciro Rauch**, Saveria Alfè**, Anna Fioretti**, Giuseppina Montanile**, Simona Trimarco**, Giuseppe Mantova*, Chiara Pagliuca*, Roberta Colicchio*,**, Mariateresa Vitiello*,**, Paola Salvatore*,**

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e malattie invasive batteriche, ovvero meningiti, sepsi, polmoniti e altri quadri clinici con isolamento di batteri da siti normalmente sterili, rappresentano una importante causa di morbosità, e sono caratterizzate da una elevata frequenza di gravi complicanze. Dal punto di vista clinico, queste malattie presentano una sintomatologia scarsamente specifica per singolo agente eziologico. L’accertamento della loro eziologia è quindi di estrema importanza, non solo ai fini terapeutici e per la eventuale profilassi dei contatti, ma anche per quanto concerne la loro prevenzione primaria poiché alcune di esse sono prevenibili mediante vaccinazione [1]. Nell’ambito delle meningiti ad eziologia batterica, la meningite meningococcica è ancora oggi motivo di grande interesse a causa del suo decorso fulminante ed un quadro clinico con un’alta frequenza di gravi sequele.

Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli; ** U.O.C. di Microbiologia clinica, D.A.I. di Medicina di Laboratorio e Trasfusionale, A.O.U. Federico II, Napoli. *

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Aspetti Epidemiologici In Italia dal 1994 ad oggi è attivo un sistema di sorveglianza dedicato alle meningiti batteriche, che dal 2007 si è ampliato includendo tutte le malattie invasive causate da Neisseria meningitidis (meningococco), Streptococcus pneumoniae (pneumococco) ed Haemophilus influenzae (emofilo), i principali agenti eziologici di meningite batterica. La sorveglianza, coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), riguarda tutto il territorio nazionale ed è finalizzata a guidare strategie di sanità pubblica, inclusa la immunoprofilassi mediante vaccinazione. In particolare, l’ISS in collaborazione con il Ministero della Salute e le Regioni per i casi di infezione da meningococco, pneumococco ed H. influenzae effettua la ca-


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ratterizzazione del microorganismo sia a livello fenotipico che genotipico, un prerequisito indispensabile per valutare i casi prevenibili tramite vaccinazione così da individuare e gestire i cluster epidemici. Inoltre, il sistema di sorveglianza attivo nel nostro Paese contribuisce alla Rete di sorveglianza Europea mediante l’invio dei dati relativi a ciascun episodio al Centro Europeo per la sorveglianza e il controllo delle malattie infettive (ECDC) [1]. L’epicentro dell’ISS nel 2019 ha segnalato 189 casi di malattia invasiva da meningococco in linea con i casi registrati nel 2018 e nel 2017 pari a 170 e 197, rispettivamente (Tabella 1). Nel periodo 2017-2019, l’incidenza delle malattie invasive da meningococco in Italia è oscillata tra 0.33 casi/100.000 abitanti nel 2017, 0.28 casi/100.000 abitanti nel 2018 e 0.31 casi/100.000 abitanti nel 2019 (Tabella 1) ed è in ogni caso inferiore alla media europea pari a 0.6 casi/100.000 abitanti riportati nel 2017 (dato più recente disponibile). Nel 2019 l’incidenza (x 100.000 abitanti) della malattia invasiva da meningococco è risultata maggiore nei neonati con età inferiore ad 1 anno (2.97) e nei bambini di 1-4 anni (0.88), anche se in leggera diminuzione rispetto agli anni precedenti; mentre l’incidenza nella classe di età dei giovani adulti (15-24 anni) si è mantenuta stabile (0.58) [1]. Inoltre, è noto che i meningococchi presentano una capsula di natura polisaccaridica e, sulla base delle differenze antigeniche del polisaccaride capsulare, vengono suddivisi in almeno 13 sierogruppi; sebbene i meningococchi capsulati appartenenti a tutti i sierogruppi possono potenzialmente

causare malattia meningococcica, più del 90% delle infezioni sono causate da ceppi appartenenti ai sierogruppi A, B, C, W, X e Y (Figura 1) [2]. Le infezioni meningococciche possono verificarsi sia come casi sporadici che in forma di focolai epidemici, talvolta anche estesi, che si verificano più frequentemente nei settori più poveri della popolazione dove sono comuni l’affollamento o sono presenti strutture sanitarie inadeguate. Secondo la World Health Organization (WHO) nelle regioni più povere del mondo come l’Africa nella cintura sub-sahriana (“Meningitis belt”) l’infezione epidemica rappresenta una delle principali cause di mortalità. Più del 50% dei casi si verifica fra i bambini di età inferiore ai 5 anni, con il massimo di incidenza nel primo anno di vita. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) americani nei Paesi in cui la malattia meningococcica è endemica, il tasso di infezione varia tra 1-3 per 100.000 persone. La mortalità della malattia è significativa (14% dei casi), soprattutto nella forma fulminante e, tra i pazienti che guariscono, un altro 10-15% subisce danni permanenti [3]. Neisseria meningitidis: caratteristiche generali In realtà, il genere Neisseria comprende un’ampia varietà di specie non patogene, le quali si localizzano come commensali nelle prime vie respiratorie. L’importanza clinica di questo gruppo di cocchi Gram-negativi è però legata a due specie altamente patogene, N. gonorrhoeae (gonococco) e N. meningitidis, microrganismi strettamente correlati ad un

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solo habitat poiché l’uomo rappresenta l’unico serbatoio naturale. N. meningitidis è un batterio che colonizza la mucosa naso- ed oro-faringea di circa il 10-20% degli individui sani e come tale si comporta da innocuo commensale delle alte vie respiratorie [4,5]. Tuttavia, occasionalmente, a seguito di cambiamenti che si possono verificare nell’ospite, nel batterio o nell’ambiente circostante si ha una transizione dalla forma commensale a quella patogena; il batterio acquisisce capacità invasive e può causare meningiti sporadiche o epidemiche e, in taluni casi, sepsi [6]. Solitamente la trasmissione interumana avviene tramite l’inalazione di piccole gocce di secrezioni nasofaringee infette e la principale sorgente d’infezione è rappresentata dai portatori asintomatici; raramente la malattia è infatti trasmessa da un soggetto malato. L’infezione causata da N. meningitidis è un processo multifattoriale che coinvolge una serie d’interazioni tra i batteri e le principali cellule epiteliali bersaglio mediate da specifici recettori. I batteri sono capaci di aderire alla superficie dell’epitelio naso- e oro-faringeo e occasionalmente possono penetrare nelle cellule epiteliali e, contenuti all’interno di vacuoli fagosomali, possono passare mediante un processo di Transcitosi nei tessuti sub-epiteliali (Figura 2); sono inoltre in grado di interagire fortemente con le cellule fagocitiche, come macrofagi, i quali sembrano fornire loro un naturale habitat intracellulare. Il meccanismo che determina la tipica malattia meningococcica è infatti molto complesso, coinvolge 96 GdB | Luglio/agosto 2021

la maggior parte dei fattori di virulenza di superficie del batterio e comprende diverse fasi: adesione ed invasione dell’epitelio delle alte vie respiratorie, invasione del torrente circolatorio, danno alle cellule endoteliali e resistenza alla fagocitosi (Figura 2). Nelle forme più severe il meningococco attraversa la barriera emato-encefalica (BEE), invade il sistema nervoso centrale ed induce una forte reazione infiammatoria [4]. Ad oggi, tuttavia, i meccanismi che determinano la capacità dei meningococchi di invadere le meningi non sono ancora del tutto chiari, i batteri aderiscono all’endotelio cerebrovascolare e penetrano attraverso la parete dei vasi sanguigni. Una volta nello spazio sub-aracnoideo replicano in modo incontrollato e la liberazione di endotossina determina il rilascio di citochine pro-infiammatorie che aumentano la permeabilità della BEE promuovendo l’influsso di neutrofili che contribuiscono allo sviluppo delle tipiche caratteristiche cliniche della meningite fino a provocare un danno irreversibile della stessa BEE. Sono, dunque, necessarie almeno tre condizioni affinché si possa stabilire una malattia meningococcica invasiva (Figura 2): i. l’esposizione a un ceppo patogeno; ii. l’adesione e la colonizzazione della mucosa oro-faringea; e iii. l’invasione batterica che comprende la penetrazione della mucosa, seguita dall’invasione del circolo ematico e, infine, dall’invasione delle meningi e dello spazio sub-aracnoideo. Fondamentali, nella fase di colonizzazione, sono le interazioni tra i pili e il recettore umano CD46 (cluster of differentiation 46). Similmente ad altri batteri Gram-negativi, il meningococco produce infatti pili di tipo IV, filamenti di diversi μm di lunghezza, che protrudono sulla superficie della cellula batterica (Figura 3). Essi sono indispensabili nelle fasi iniziali del processo infettivo, in quanto permettono l’adesione dei batteri alle cellule epiteliali. Non sono solo fibre adesive passive, ma strutture dinamiche che partecipano a un sorprendente numero di funzioni: i. il trasferimento genetico orizzontale, mediato da trasformazione e coniugazione, ii. l’adesione, iii. la colonizzazione e iv. la motilità batterica [7]. All’iniziale fase di adesione mediata dai pili segue una seconda fase caratterizzata da proteine della membrana esterna del batterio (outer membrane proteins), le proteine dell’opacità Opa ed Opc, responsabili di un attacco più diretto ed esteso del meningococco alla cellula epiteliale (Figura 3). Il legame delle Opa ai loro specifici recettori innesca una serie di segnali che conducono all’invasione dei batteri


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attraverso diversi pathway e sono determinanti nel tropismo cellulare [7]. In tale stadio del processo infettivo giocano un ruolo critico le più abbondanti proteine della membrana esterna dei meningococchi, le porine PorA e PorB. Queste proteine sono capaci di traslocare nelle membrane delle cellule ospiti, dove funzionano da canali ionici voltaggio-dipendenti determinando una transitoria variazione del potenziale di membrana, con conseguente alterazione dei segnali cellulari. Sono, inoltre, capaci di “nucleare” le molecole di actina favorendo la traslocazione citoplasmatica dei batteri. Nella fase di colonizzazione un ruolo chiave è svolto da un altro importante determinante di virulenza prodotto dal meningococco: le IgA-proteasi, le quali neutralizzano le IgA secretorie, prodotte dalle cellule mucosali svolgendo una importante funzione nel processo patogenetico. La membrana esterna dei meningococchi è, inoltre, caratterizzata dalla presenza di lipopolisaccaridi (LPS), che in questa specie batterica sono però privi di alcune catene ripetitive

dell’antigene O, e perciò definiti lipooligosaccaridi (LOS). Tale struttura lega diverse molecole dell’ospite come: le proteine leganti l’LPS (LBP), il recettore CD14 e il complesso TLR-4/MD2 (Toll-like receptor 4/proteina di membrana 2), presente sulla superficie di monociti/macrofagi, cellule dendritiche e altre cellule della linea fagocitaria [7]. Infine, la maggior parte dei meningococchi che causa malattia, come su menzionato, possiede una capsula polisaccaridica che rappresenta uno dei determinanti chiave della virulenza di questo batterio. La presenza di questa struttura infatti impedisce la fagocitosi, la lisi complemento-mediata e, maschera i suoi principali antigeni di superficie [7]. Tuttavia, i diversi fattori di patogenicità del meningococco non sono sempre espressi durante tutte le fasi del processo infettivo, tale batterio infatti mediante complessi cambiamenti genetici è in grado di modulare il proprio tropismo ed adattamento ai diversi microambienti dell’ospite. Oltre alla capacità di trasformazione naturale (cioè la capacità naturale GdB | Luglio/agosto 2021

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di acquisire DNA dall’ambiente esterno) il meningococco ha evoluto sofisticati meccanismi che gli consentono di adattarsi ai continui cambiamenti ambientali cui va incontro durante il suo ciclo infettivo ed eludere in tal modo le difese immunitarie dell’ospite. Tali meccanismi adattativi comprendono: i. la variazione antigenica che consente di ottimizzare i processi di adesione ed invasione del batterio mediante la selezione di varianti biologicamente più attive dei principali determinanti di superficie nell’interazione con la cellula ospite (BOX 1) e ii. la variazione di fase un processo che altera casualmente l’espressione di oltre 30 componenti associati alla superficie cellulare (BOX 2). Caratteristiche colturali e metodi diagnostici Il meningococco è un batterio dalla morfologia leggermente reniforme e dalla tipica forma coccoide, nei campioni biologici tale microrganismo si ritrova spesso in coppia sotto forma di diplococchi appaiati a “chicco di caffè”. E’ un batterio che ha esigenze colturali complesse: si moltiplica infatti in modo ottimale a temperature comprese tra i 35 - 37 °C in ambiente aerobio, umido e povero di ossigeno, contenente il 5-10% di CO2 (Tabella 2). I terreni di coltura di elezione sono terreni arricchiti non selettivi come: il Gonococcal agar, l’Agar sangue o il terreno agar cioccolato con il 5% di sangue lisato al calore (Figura 4). Il terreno raccomandato per l’isolamento primario dei meningococchi da campioni clinici è, tuttavia, il terreno Thayer-Martin modificato: un terreno agar cioccolato selettivo con l’aggiunta di antibiotici, quali vancomicina, nistatina, colistina e trimethoprim, utili per inibire la crescita di altri batteri Gram-negativi, miceti e specie Gram-positive eventualmente presenti nel campione biologico (Figura 4 e Tabella 2). Su terreno Agar sangue e Gonococcal agar le colonie appaiono di color grigio o non pigmentate, dalla forma rotonda ed il contorno ben definito, appaiono inoltre lisce convesse e traslucide e dalla consistenza cremosa; mentre su terreno agar cioccolato le colonie appaiono grandi, opache tra l’incolore ed il grigio (Figura 4). Dopo circa 18-24 ore di incubazione, le colonie batteriche appaiano di circa 1-2 mm di grandezza [8]. Le Neisserie patogene sono particolarmente sensibili a condizioni ambientali sfavorevoli per la crescita. Tra i diversi test che permettono l’identificazione del meningococco, quelli più utilizzati sono il test della Catalasi e il test dell’Ossidasi per cui il meningococco è positivo (Tabella 2). Inoltre esso è in grado di metabolizzare diversi zuccheri come il glucosio e il maltosio [9, 10]. Per confermare l’identificazione di un ceppo di N. meningitidis è possibile sfruttare tali caratteristiche effettuando un test di utilizzo dei carboidrati. Inoltre, in commercio sono disponibili saggi di Agglutinazione su latex con antisieri specifici per ciascun dei sierogruppi maggiormente responsabili di malattia meningococcica invasiva, oppure antisieri polivalenti contenenti combinazioni per diversi sierogruppi che permettono rapidamen98 GdB | Luglio/agosto 2021

te l’identificazione dei diversi isolati di meningococco. Accanto ai metodi tradizionali, oggi si utilizzano per l’identificazione dei casi di malattia meningococcica invasiva anche delle tecniche innovative basate su metodi di amplificazione degli acidi nucleici (Nucleic Acid Amplification Test, NAAT), che comprendono metodiche come la: Polymerase chain reaction (PCR), Nested-PCR, Multiplex-PCR, Real-Time PCR, Single step PCR assay, Multilocus sequence typing (MLST) e Ligase Chain Reaction (LCR) che rappresentano oggi tecnologie dalle grandi potenzialità nella diagnostica delle meningiti batteriche poiché consentono contemporaneamente di identificare diversi patogeni (tra cui N. meningitidis, H. influenzae e S. pneumoniae) nello stesso campione clinico (liquor, plasma, siero, sangue intero), utilizzando coppie di primer specifici per due o più sequenze target nella stessa reazione [11, 12]. Si tratta di tecniche estremamente utili non solo per la notevole accuratezza diagnostica (elevata sensibilità e specificità >90%) ma anche poiché consentono di discriminare all’interno di ciascuna specie differenti sierogruppi, sierotipi e sub-sierotipi [11]. È importante conoscere la predominanza o l’assenza di specifici sierogruppi e/o sierotipi nell’ambito di una specifica regione geografica anche per procedere rapidamente con l’opportuno iter diagnostico testando innanzitutto i tipi più comuni in una specifica popolazione. È, inoltre, essenziale che laboratori di riferimento abbiano la capacità non solo di isolare ed identificare ma anche di caratterizzare il sierogruppo a cui appartengono gli isolati di N. meningitidis. Questi dati preziosi forniscono a laboratori e alle autorità sanitarie pubbliche, gli strumenti necessari per identificare i focolai controllabili mediante campagne vaccinali, riconoscere i sierogruppi che causano malattia sporadica, e rilevare la comparsa di nuovi cloni epidemici. Prevenzione, Profilassi e Vaccinazione Dunque il meningococco continua a rappresentare ancora oggi a livello mondiale una delle principali cause di meningite batterica e sepsi. Per questo, l’intervento di sanità pubblica deve prevedere tutte le possibili azioni efficaci per prevenire la diffusione del patogeno ed eventuali casi secondari di malattia, a tal proposito il piano sanitario nazionale prevede: i. profilassi antibiotica o ii. opportuna immunoprofilassi con vaccini specifici. Il trattamento della meningite batterica si basa soprattutto sulla terapia antibiotica. Per quanto riguarda la terapia per la meningite meningococcica, le linee guida suggeriscono di proseguire la terapia iniziata empiricamente con ceftriaxone (cefalosporina di III generazione), e successivamente si raccomanda di passare alla somministrazione di penicillina. In caso di meningite da meningococco, i contatti stretti hanno un maggior rischio di ammalarsi rispetto alla popolazione generale. La contagiosità è comunque bassa, ed i casi secondari sono rari, tuttavia il meningococco può dare origine a focolai epidemici. Per questo è indicata per i contatti stretti la profilassi antibiotica e la sorveglianza. In molti Paesi


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Europei, la chemioprofilassi con rifampicina è uno delle principali misure preventive nella gestione dei contatti stretti per evitare l’ulteriore diffusione del patogeno, e casi di meningite meningococcica secondaria, e possibili epidemie. Per quanto riguarda l’immunoprofilassi l’Impatto delle vaccinazioni sulle meningiti batteriche nell’ultimo decennio è stato molto significativo in Italia come nel resto del mondo: - L’introduzione del vaccino anti-H. influenzae tipo b (Hib) ha determinato negli U.S.A. una riduzione dei casi di meningite da Hib del 99%, analogamente in Italia, come riportato dal sistema di sorveglianza dell’ISS, si è registrata un’incidenza di 0.31/100.000 abitanti nel 2019 [1]. - Anche per lo pneumococco, grazie a un’efficace campagna di vaccinazione prima con il vaccino coniugato eptavalente e successivamente con il 13-valente, si è registrata una diminuzione di oltre il 97% dei casi di malattia invasiva dovuti ai sierotipi vaccinali [13, 14]. Nel 2019 l’incidenza è stata pari a 2.77/100.000 abitanti, dato inferiore alla media europea riportata nel 2018 che risulta di 6.4 /100.000 abitanti (dato più recente disponibile) [1]. Ancora oggi N. meningitidis continua a rappresentare a livello mondiale una delle principali cause di meningite batterica e sepsi, tuttavia grazie ad un’efficace campagna di prevenzione con il vaccino monovalente anti-meningococco C l’incidenza in Italia così come in Europa e negli U.S.A., si è drasticamente ridotta. Attualmente i calendari vaccinali per la prevenzione della diffusione della malattia meningococcica prevedono l’utilizzo di un vaccino coniugato contro il sierogruppo C, impiegato nei calendari vaccinali in Italia in bambini di età compresa tra 13 e 15 mesi, che rappresenta il più utilizzato e conferisce protezione solo da ceppi appartenenti al sierogruppo C [15]. L’introduzione in diversi Paesi del mondo del vaccino tetravalente coniugato (A, C, W-135, Y) [16] e la commercializzazione del più recente vaccino anti-meningococco B ha permesso di allargare ulteriormente la protezione nei confronti della meningite meningococcica. Attualmente sono infatti utilizzati: 1. un vaccino polisaccaridico tetravalente contro i sierogruppi A, C, Y e W135, che tuttavia fornisce una protezione di breve durata solo in soggetti di età superiore ai 2 anni. I vaccini polisaccaridici sono disponibili anche in formulazioni bivalenti (A, C), trivalenti (A, C, W135); 2. il vaccino coniugato tetravalente, che protegge dai sierogruppi A, C, Y e W135, somministrato in particolare a chi si reca in Paesi dove tali sierogruppi sono endemici (ad es. l’Africa) [15, 16]. Questi vaccini sono in grado di generare una memoria immunologica a lungo termine e di indurre titoli anticorpali protettivi anche nei soggetti con meno di 2 anni di età; e 3. il vaccino multicomponente contro il sierogruppo B. Dal 2013 la Comunità Europea ne ha autorizzato l’immissione in commercio ed è indicato per l’immunizzazione attiva di soggetti di età pari o superiore ai 2 mesi contro la malattia meningococcica invasiva causata da N. meningitidis di gruppo B [17].

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Anno IV - N. 7-8 luglio/agosto 2021 Edizione mensile di AgONB (Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi) Testata registrata al n. 52/2016 del Tribunale di Roma Diffusione: www.onb.it

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Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

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SALGONO I CONTAGI CON LA VARIANTE DELTA

I numeri del Covid tornano a crescere. Ministero della Salute: “Vaccini argine contro il virus e i sintomi gravi”

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INAUGURAZIONE DELLA SEDE REGIONALE DELLA SARDEGNA 10 settembre 2021 Cagliari, via Mameli 88

Interventi: Sen. dott. Vincenzo D’Anna

Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi

Dott. Duilio Lamberti

Segretario dell’Onb e delegato regionale della Sardegna

Dott. Enrico Tinti

Commissario della delegazione della Sardegna

www.onb.it


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