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Riparare lesioni spinali con le cellule del midollo
© Giovanni Cancemi/www.shutterstock.com
Riparare lesioni spinali con le cellule del midollo Svolta svedese nella ricerca sulla riprogrammazione delle staminali
di Michelangelo Ottaviano
La nuova conquista della medicina rigenerativa arriva dalla Svezia: i ricercatori del Karolinska Institutet sono riusciti a dimostrare che non è necessario iniettare nuove cellule staminali per riparare le lesioni spinali. Lo studio, pubblicato su Science, spiega come sia possibile utilizzare le cellule staminali del midollo stesso per curare questo tipo di lesioni. Finora sono stati condotti solo esperimenti sui topi, ma c'è ottimismo per i risultati che si potrebbero ottenere sul sistema nervoso umano. La grande novità è la presenza di un “interruttore molecolare” in grado di far emergere il potenziale latente delle staminali. Al centro dello studio ci sono gli ependimociti, cellule epiteliali quiescenti che si attivano in caso di lesione e producono nuove cellule, gli astrociti, che hanno funzione cicatrizzante sui danni al tessuto nervoso. Il loro limite è quello di non riuscire a svolgere il lavoro degli oligodendrociti, altra categoria di cellule che riveste e isola i prolungamenti dei neuroni favorendo la trasmissione degli impulsi nervosi. Analizzando il Dna degli ependimociti nel topo, i ricercatori hanno scoperto che questo programma genetico non è l'unico possibile. C’è un'altra via che può essere percorsa innescando questo “interruttore”, un gene particolare chiamato Olig2. Sollecitandolo, le staminali iniziano a produrre grandi quantità di oligodendrociti, che ripristineranno la funzione del tessuto lesionato, anziché cicatrizzarlo. Dunque le staminali non sono costrette a formare solo il tessuto cicatriziale, ma possono essere spinte a formare cellule che contribuiscono alla riparazione. È quindi possibile condizionare le staminali del sistema nervoso in modo che contribuiscano al recupero funzionale. Gli studi sul topo non sono trasferibili in maniera diretta sugli umani, ma indicano una strategia concettualmente nuova per stimolare la riparazione dopo un danno al sistema nervoso. Il prossimo passo sarà verificare l’esistenza di cellule simili in numero sufficiente vicino al canale centrale del midollo spinale.
Marte, una rete di laghi salati “vive” sotto i ghiacciai del pianeta rosso
Il Pianeta rosso torna a far parlare di sé con a una scoperta che potrebbe riscrivere la sua storia climatica. Un team di scienziati italiani ha individuato una rete di laghi salati sotto i ghiacci del Polo Sud. Lo studio, pubblicato su Nature Astronomy, è stato condotto dal team italiano già protagonista della sensazionale scoperta del primo lago marziano nel 2018. A coordinare dell’équipe Elena Pettinelli e Sebastian Emanuel Lauro, dell’Università di Roma Tre, con Roberto Orosei, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), a cui si aggiungono i ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e italiani che lavorano in atenei australiani e tedeschi. Il risultato è stato possibile grazie all’utilizzo della tecnologia radar Marsis, supportata dall’applicazione di un metodo di analisi già collaudato sul nostro pianeta per rilevare la presenza di laghi subglaciali nelle aree antartiche. Questi tre nuovi laghi sono stati identificati attorno allo specchio d’acqua rinvenuto due anni prima, ma rispetto alle ricerche del 2018 è stata allargata l’area circostante, passando da una superficie di analisi di 20 chilometri quadrati ad una di 250 per 300. Non si può ancora stabilire se vi sia un’interconnessione tra questi, ma l’esistenza di un singolo lago subglaciale poteva essere attribuita a condizioni eccezionali, come la presenza di un vulcano sotto la coltre di ghiaccio, la scoperta di un intero sistema di laghi implica che il loro processo di formazione sia relativamente semplice e comune, e che questi laghi probabilmente siano esistiti per gran parte della storia di Marte. Perché è così importante la ricostruzione della storia climatica di Marte? Nel loro cuore di ghiaccio questi laghi potrebbero conservare ancora le tracce di eventuali forme di vita, che probabilmente si sono evolute quando Marte aveva un’atmosfera densa, un clima più mite e la presenza di acqua liquida in superficie, similmente alla Terra dei primordi. (M. O.).