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Combattere la Distrofia Muscolare di Duchenne cambiando punto di vista
Identificato un nuovo bersaglio per bloccare la degenerazione muscolare e l’accumulo cronico di adipociti nelle distrofie muscolari
di Giada Fedri
Le distrofie muscolari (DM) sono un gruppo di disordini clinicamente e geneticamente eterogenei, caratterizzati dalla degenerazione e perdita progressiva delle fibre muscolari scheletriche [1].
Sono state identificate più di 70 varianti di distrofia muscolare, tutte rare. Nonostante l’eziologia, le cause, l’età di insorgenza, la velocità di progressione e la prognosi siano differenti tra le diverse forme, tutte condividono caratteristiche istologiche comuni tra cui fibrosi, edemi e sostituzione del tessuto muscolare con cellule adipose, cause primarie della debolezza muscolare progressiva e della conseguente disabilità funzionale. La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è la forma più comune di distrofia [2], è una patologia legata all’X che colpisce 1 su 30006000 nascite [3] di sesso maschile. In questi ultimi, la malattia si manifesta pienamente: i primi sintomi compaiono già intorno al quarto anno di età, la rapida progressione li costringe sulla sedia a rotelle già tra gli 8 e il 13 anni e la morte raramente sopraggiunge dopo i 20 anni, quando la degradazione muscolare raggiunge gli organi vitali.
Le femmine invece, grazie all’eterozigosi dei cromosomi sessuali, manifestano una sintomatologia nettamente ridotta, grazie alla compensazione del gene sano sul secondo cromosoma X. Le donne vengono definite come “portatrici sane”, ovvero non sviluppano la patologia (o in forma molto lieve), anche se esistono rari casi in cui le donne con la mutazione hanno una riduzione della forza muscolare generica e vanno incontro a problemi cardiaci in età adulta. La DMD è una malattia incurabile, non esiste né una cura né una terapia riconosciuta per rallentare l'atrofia muscolare [4], [5], pertanto la maggior parte degli sforzi, sia nella ricerca che nella medicina pratica, si concentrano sulla sua prevenzione. Sfortunatamente non è possibile una diagnosi prenatale della malattia ma solo uno screening dei portatori e l’analisi del rischio con la consulenza genetica. Tra l’altro esistono rari casi in cui la mutazione si verifica autonomamente, in assenza quindi di familiarità.
Il gene in questione, espresso in Xp21 [6], codifica per la distrofina, una proteina espressa sulla faccia interna della membrana delle fibre muscolari, parte integrante del complesso glicoproteico strutturale che collega il citoscheletro delle fibre muscolari alla matrice extracellulare [7]. La distrofina ha un ruolo determinante per la stabilità meccanica della membrana durante la contrazione muscolare. L’assenza, o il malfunzionamento, della distrofina va ad intaccare l’integrità della membrana, creando fori che rendono la struttura instabile e permeabile a sostanze che normalmente non possono entrare nella cellula muscolare. L’aumentata permeabilità rompe l’equilibrio osmotico, il flusso anomalo di ioni (tra cui calcio e iodio) porta velocemente alla lisi e morte delle cellule muscolari, un processo che oltre alla distruzione delle fibre muscolari causa una fuoriuscita del contenuto cellulare che viene riconosciuto e attaccato come corpo estraneo dal sistema immunitario, che provoca così un danno ancor più grave di quello iniziale.
L’ aumento del sodio intracellulare porta anche alla deplezione di ATP per la ridotta funzionalità delle pompe Na +/K +, al disaccoppiamento mitocondriale e alla produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) come ioni ossigeno e perossidi. Gli effetti biochimici a valle sono l'accumulo di metaboliti acidi e l'amplificazione di sostanze infiammatorie come le citochine, che innescano le cascate immunitarie e i processi infiammatori.
Il muscolo scheletrico adulto è formato da fibre contrattili di forma allungata fusiforme composte da un sincizio cellulare multinucleato che, unite in modo controllato ed organizzato, danno vita a fasci o fascicoli muscolari. Ciascun fascicolo è circondato da tessuto connettivo, e l’unione di questi ultimi, avvolti anch’essi da ulteriori strati connettivali, danno vita al tessuto muscolare contrattile. E’ proprio questa struttura rigorosamente ordinata che permette la straordinaria capacità di contrazione e rilassamento, tipica del muscolo. Modifiche o danni a tale organizzazione generano importanti condizioni patologiche anche fatali. In condizioni fisiologiche e quindi in soggetti sani, le fibre muscolari hanno la capacità di “rigenerarsi” quando danneggiate o distrutte: l’attivazione di meccanismi riparativi e ricostruttivi specifici, “risveglia” popolazioni di precursori mononucleati, che altrimenti rimarrebbero in uno stato quiescente e non proliferativo [8], in grado di rigenerare il muscolo in breve tempo.
L'effettore cellulare primario della rigenerazione è la cellula satellite muscolare, una cellula staminale che risiede in stretta apposizione con la miofibra, appena sotto la lamina basale [9]. Le cellule satelliti rispondono al danno muscolare rientrando nel ciclo cellulare sia per auto-rinnovarsi che per generare mioblasti che alla fine subiranno una differenziazione terminale e si fonderanno con miofibre per riparare il danno [10] . Sebbene le cellule satelliti rappresentino la fonte primaria di cellule miogeniche per la rigenerazione, sono state identificate numerose ulteriori popolazioni di cellule che possono subire una differenziazione miogenica in seguito a lesioni muscolari [11]. Tra queste popolazioni vi sono cellule della popolazione laterale muscolare (SP): diversi esperimenti di trapianto di tali cellule hanno identificato proprio queste ultime come protagoniste nell’origine [12], [13] e nella ripopolazione nelle nicchie delle cellule satellite con il potenziale per la rigenerazione muscolare a lungo termine[14].
Precedenti studi hanno suggerito che anche le cellule staminali ematopoietiche possono contribuire alla rigenerazione muscolo-scheletrica [15], [16]. Le cellule staminali mesenchimali umane, provenienti dal midollo osseo e le cellule staminali circolanti AC133 +, quando coltivate in co-coltura con mioblasti scheletrici di topo, formano ex novo miotubi per fusione e si impegnano funzionalmente nell'ambiente miogenico [17], [18].
Esistono altre popolazioni cellulari a cui è riconosciuto un potere rigenerativo muscolare, tra cui i mesoangioblasti [19] e cellule del tessuto adiposo. Diversi gruppi hanno dimostrato che le cellule mesenchimali all'interno dell'SVF (frazione stromale-vascolare) del tessuto adiposo sottocutaneo sono in grado di differenziarsi lungo molteplici lignaggi, compresi i miociti, in presenza di specifici mezzi induttivi [20]–[22]. In particolari
© Freedom Studio/www.shutterstock.com
condizioni, esperimenti su modelli murini usati per lo studio della DMD hanno dimostrato come le cellule staminali del tessuto adiposo, sarebbero in grado sia di differenziarsi in cellule muscolari scheletriche, che addirittura ripristinare l'espressione della distrofina [23].
Più recentemente, una popolazione di cellule interstiziali mesenchimali, chiamata progenitori fibro/adipogenici (FAP) [24][16] sta suscitando notevole interesse. I FAP sono cellule interstiziali importanti nella coordinazione dell'attività delle SC in caso di lesione acuta fungendo da “nicchia funzionale” altamente dinamica per le SC, regolando le fasi della rigenerazione muscolare, dall’attivazione fino alla differenziazione in miofibre [25].
Tuttavia, la degenerazione muscolare continua e graduale nelle distrofie muscolari porta ad un esaurimento delle cellule staminali sopra descritte e delle cellule satelliti di cui, la forma matura rappresenta solo l'1-5% delle cellule muscolari totali e il loro potenziale di autorinnovamento diminuisce comunque con l'età [26], di conseguenza si perde progressivamente la capacità di ripristinare il muscolo scheletrico [27]. Tra l’altro, nei pazienti con DMD, l'intensa degenerazione che si verifica nelle fibre muscolari esaurisce la capacità delle cellule satellite di proliferare e sostituire le fibre danneggiate [27] in brevissimo tempo.
Un altro aspetto fondamentale della patologia distrofica come la DMD, oltre alla distruzione delle fibre muscolari, è la loro sostituzione con l’accumulo di tessuto fibrotico e adiposo inter e intramuscolare, processo reso rapido e incessante dai cicli prolungati di lesione muscolare e rigenerazione che accompagna la carenza di distrofina [28]. La mortalità nei pazienti con DMD è spesso infatti dovuta a problemi respiratori o cardiaci, dove i cambiamenti fibrotici e adiposi dei tessuti connettivi polmonari e pericardici influenzano fortemente l’attività muscolare [29], inibendo lentamente le funzioni vitali [30].
I processi che guidano l'accumulo di adipociti nel muscolo scheletrico (mio-steatosi) stanno diventando sempre più chiari [31] soprattutto quando legati all’invecchiamento e alla fragilità strutturale, ma restano per lo più incompresi nelle condizioni patologiche, dove entrano in gioco numerosi altri fattori. Le origini cellulari dell'accumulo di grasso nel muscolo derivano da
© Ralwell/www.shutterstock.com
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diversi percorsi: una via diretta è attraverso l'accumulo di lipidi all'interno delle miofibre stesse, noto come grasso intramuscolare o lipidi intramiocellulari (IMC) [32], [33]; un altro percorso è l’accumulo all'interno del muscolo scheletrico, noto come grasso intermuscolare.
Di particolare rilevanza e quasi paradossale è il fatto che le cellule staminali mesenchimali multipotenti, le cellule satelliti muscolari ( Pasut et al., 2016 ) e in generale i FAP, oltre che della rigenerazione muscolare, sono allo stesso tempo i principali colpevoli dell'adipogenesi del muscolo scheletrico [34] e della deposizione di tessuto fibrotico.
I FAP negli ultimi anni sono al centro di numerosi studi proprio per questo loro “lato oscuro”, vista la loro anormale presenza in condizioni patologiche di danno muscolare cronico, infiammazione persistente, formazione di cicatrici fibrotiche, deposito di grasso e ridotta rigenerazione muscolare [35], nonché per la loro capacità intrinseca di differenziarsi in cellule fibrotiche e adipociti [36]. Inoltre, i FAP possono adottare lignaggi alternativi, come il fenotipo osteogenico in risposta a proteine morfogenetiche dell'osso (come BMP) che sembra mediare addirittura l'ossificazione eterotopica muscolare [37].
L’attuale sfida è lo scioglimento dell’intricata matassa della caratterizzazione molecolare, la classificazione e l’analisi delle popolazioni cellulari staminali e non, coinvolte in questi processi. Un importante passo è stato possibile grazie alla collaborazione tra il gruppo di ricerca dell’Università di Leuven e il Laboratorio di Cellule Staminali del Centro Dino Ferrari, al Policlinico di Milano (Università degli Studi di Milano), che ha permesso l’individuazione di una popolazione cellulare finora mai caratterizzata, coinvolta direttamente nei meccanismi di accumulo adiposo nelle condizioni di distrofia muscolare.
La difficoltà di discernere le diverse sottopopolazioni cellulari e definirne le caratteristiche molecolari è una delle principali limitazioni in questa tipologia di studi, soprattutto se ci si concentra sull’analisi di marcatori di superficie o sull’espressione di un limitato numero di target. Il tutto ulteriormente complicato dalla forte eterogeneità e dalle molteplici funzioni biologiche di ognuna di loro. Per ovviare a questi limiti tecnici, i ricercatori hanno utilizzato tecnologie di trascrittomica specifiche per i diversi sottotipi, riuscendo a identificare i FAP e alcune delle popolazioni cellulari presenti nell’interstizio muscolare, in particolare le ISC (cellule stromali interstiziali). Tra queste, spicca la scoperta e la caratterizzazione di una sottopopolazione di cellule interstiziali positiva per SCA-1 e PDGFRA che sembrerebbe controllare direttamente l'adipogenesi nel muscolo scheletrico. Tra l’altro, ulteriori analisi hanno dimostrato che questa popolazione è presente anche nel muscolo scheletrico umano sano e che la sua presenza è drasticamente ridotta nel muscolo distrofico. Inoltre, il muscolo distrofico ha mostrato un numero ridotto di cellule CD142 + rispetto al muscolo sano, con conseguente aumento della differenziazione adipogenica delle cellule positive per SCA-1. I ricercatori identificano questa popolazione come la responsabile dell’inibizione dell’adipogenesi tramite la secrezione del fattore di crescita/differenziazione-10 (GDF10), un mediatore paracrino dell’azione di PPARγ, regolatore principale dell’adipogenesi. Inibire PPARγ infatti, si è rivelato essenziale per bloccare l'accumulo di adipociti nel muscolo scheletrico.
I ricercatori fanno luce su come la composizione cellulare interstiziale sia completamente alterata nella distrofia muscolare, con una quasi totale assenza di cellule CD142 positive. Inutile sottolineare quanto sia importante aver identificato una popolazione di cellule adipo-regolatorie presente unicamente nel muscolo scheletrico distrofico e aver dimostrato come sia la diretta responsabile del deposito aberrante di grasso, delle lesioni muscolari croniche e quindi del rimodellamento tissutale tipico delle patologie distrofiche.
Comprendere nel dettaglio i processi che si verificano a livello cellulare nei pazienti affetti da distrofia muscolare di Duchenne è l’unica strategia per fornire risposte ai malati, che al momento hanno possibilità minime di sopravvivenza. La straordinaria capacità dei ricercatori di estrapolare dal “mucchio” la popolazione di cellule presenti esclusivamente nel muscolo sano che impedisce l’accumulo patologico di grasso è un risultato che, oltre a incrementare la conoscenza di una patologia così grave, potrebbe aprire la strada a un nuovo possibile approccio e trattamento per le distrofie muscolari. Concentrare l’attenzione non solo sull’effetto principale delle mutazioni responsabili della degradazione muscolare, ma anche sulle conseguenze dirette, quindi sull’inibizione dell’accumulo di tessuto adiposo e fibrotico, processo centrale nel collasso muscolare degli organi vitali è la nuova arma per combattere la malattia.
La capacità dei FAP e in generale delle popolazioni staminali di adottare più lignaggi e svolgere diverse attività in risposta ai differenti stimoli è indicativa della loro eterogeneità fenotipica e funzionale, e l'identificazione di sottopopolazioni responsabili della crescita, della rigenerazione muscolare in risposta a segnali fisiologici e patologici dovrebbe essere un punto cruciale e di massima urgenza nella medicina rigenerativa e, in questo caso, il punto di partenza per lo sviluppo di approcci terapeutici che bloccano l'adipogenesi nel muscolo scheletrico e l’asso nella manica per prolungare la deambulazione, la funzionalità degli organi vitali, la qualità di vita e la sopravvivenza dei pazienti affetti da distrofia muscolare.
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