Il Giornale dei Biologi - N. 10 - Ottobre 2020

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SCIENZE

Combattere la Distrofia Muscolare di Duchenne cambiando punto di vista Identificato un nuovo bersaglio per bloccare la degenerazione muscolare e l’accumulo cronico di adipociti nelle distrofie muscolari

di Giada Fedri

L

e distrofie muscolari (DM) sono un gruppo di disordini clinicamente e geneticamente eterogenei, caratterizzati dalla degenerazione e perdita progressiva delle fibre muscolari scheletriche [1]. Sono state identificate più di 70 varianti di distrofia muscolare, tutte rare. Nonostante l’eziologia, le cause, l’età di insorgenza, la velocità di progressione e la prognosi siano differenti tra le diverse forme, tutte condividono caratteristiche istologiche comuni tra cui fibrosi, edemi e sostituzione del tessuto muscolare con cellule adipose, cause primarie della debolezza muscolare progressiva e della conseguente disabilità funzionale. La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è la forma più comune di distrofia [2], è una patologia legata all’X che colpisce 1 su 30006000 nascite [3] di sesso maschile. In questi ultimi, la malattia si manifesta pienamente: i primi sintomi compaiono già intorno al quarto anno di età, la rapida progressione li costringe sulla sedia a rotelle già tra gli 8 e il 13 anni e la morte raramente sopraggiunge dopo i 20 anni, quando la degradazione muscolare raggiunge gli organi vitali. Le femmine invece, grazie all’eterozigosi dei cromosomi sessuali, manifestano una sintomatologia nettamente ridotta, grazie alla compensazione del gene sano sul secondo cromosoma X. Le donne vengono definite come “portatrici sane”, ovvero non sviluppano la patologia (o in forma molto lieve), anche se esistono rari casi in cui le donne con la mutazione hanno una riduzione della forza muscolare generica e vanno incontro a problemi

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Il Giornale dei Biologi | Ottobre 2020

cardiaci in età adulta. La DMD è una malattia incurabile, non esiste né una cura né una terapia riconosciuta per rallentare l'atrofia muscolare [4], [5], pertanto la maggior parte degli sforzi, sia nella ricerca che nella medicina pratica, si concentrano sulla sua prevenzione. Sfortunatamente non è possibile una diagnosi prenatale della malattia ma solo uno screening dei portatori e l’analisi del rischio con la consulenza genetica. Tra l’altro esistono rari casi in cui la mutazione si verifica autonomamente, in assenza quindi di familiarità. Il gene in questione, espresso in Xp21 [6], codifica per la distrofina, una proteina espressa sulla faccia interna della membrana delle fibre muscolari, parte integrante del complesso glicoproteico strutturale che collega il citoscheletro delle fibre muscolari alla matrice extracellulare [7]. La distrofina ha un ruolo determinante per la stabilità meccanica della membrana durante la contrazione muscolare. L’assenza, o il malfunzionamento, della distrofina va ad intaccare l’integrità della membrana, creando fori che rendono la struttura instabile e permeabile a sostanze che normalmente non possono entrare nella cellula muscolare. L’aumentata permeabilità rompe l’equilibrio osmotico, il flusso anomalo di ioni (tra cui calcio e iodio) porta velocemente alla lisi e morte delle cellule muscolari, un processo che oltre alla distruzione delle fibre muscolari causa una fuoriuscita del contenuto cellulare che viene riconosciuto e attaccato come corpo estraneo dal sistema immunitario, che provoca così un danno ancor più grave di quello iniziale.


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