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C’È VITA NELLA GALASSIA
SPT0418-47?
A individuare le molecole è stato un team di ricerca internazionale, guidato da scienziati di tutto il mondo
C’è vita nell’universo oltre la Terra? Una domanda ancestrale, che ogni essere umano del nostro Pianeta si è posto almeno una volta nella sua esistenza. Una domanda a cui, tuttora, nonostante gli sconfinati progressi della scienza, nessuno è in grado di rispondere con certezza.
Quello che si può senz’altro affermare è che la vita è un dono raro nell’universo. Ciononostante, considerando i miliardi di pianeti che compongono la nostra galassia, e le miliardi di galassie che compongono il cosmo, è improbabile che quello terrestre sia l’unico habitat in cui la vita si è sviluppata. Un piccolo passo in avanti nel rispondere a questo interrogativo atavico è stato mosso di recente. In una galassia distante ben 12 miliardi di anni luce dalla Terra sono stati rilevati composti organici complessi; molecole costituite, e quindi caratterizzate, dalla presenza di atomi di carbonio, cioè quelli che si possono definire i veri e propri “mattoni della vita”.
Le informazioni in nostro possesso risalgono a quando la galassia SPT041847, appartenente al cosiddetto Universo “bambino”, aveva meno di 1,5 miliardi di anni, circa il 10% della sua età attuale. La presenza di composti organici ai primordi di tale Universo suggerisce che questi elementi potrebbero essersi diffusi ovunque, e potrebbero aver innescato la vita su una moltitudine di pianeti. Ad individuare le molecole organiche complesse nella galassia SPT0418-47 è stato un team di ricerca internazionale, guidato da scienziati dell’Istituto di Fisica Fondamentale e Astronomia presso l’Università Texas A&M, in collaborazione con i colleghi del Dipartimento di Astronomia dell’Università dell’Illinois, del Cosmic Dawn Center dell’Università Tecnologica della Danimarca, dell’Università di Montreal e di numerosi altri istituti nel mondo. La scoperta è stata possibile solo grazie a una perfetta combinazione di due elementi: la straordinaria potenza del Telescopio Spaziale “James Webb” (lanciato nello spazio il giorno di Natale del 2021) e un fenomeno noto come lente gravitazionale. La galassia SPT0418-47 si trova infatti in perfetto allineamento con la Terra e con un’altra galassia posta nel mezzo, a circa 3 miliardi di anni luce da noi.
La gravità di quest’ultima causa un vero e proprio effetto lente, grazie al quale la luce della galassia sullo sfondo, l’oggetto dello studio, viene distorta fino a formare un “anello di Einstein” (fenomeno particolare previsto dalla relatività generale). La combinazione di questo fenomeno e il potere risolutivo del “James Webb” nell’infrarosso ha permesso di analizzare i diffusi granelli di polvere della galassia. I granelli, assorbendo parte dell’energia emessa dalle stelle e riemettendola proprio nell’infrarosso, hanno poi permesso all’occhio del telescopio di rilevare gli elementi presenti. Il risultato è di fondamentale importanza per la comprensione dei processi chimici che hanno permesso la formazione stellare nell’universo primordiale. Gli astronomi pensano infatti che molecole di questo tipo siano indicative della presenza di regioni di formazione stellare, anche se le nuove osservazioni del Webb stanno modificando tali ipotesi per quel che riguarda l’universo primordiale.
Nel “Parque Reptilandia” di Dominical, un particolare zoo della Costa Rica tutto dedicato ai rettili, una femmina di Crocodylus acutus (volgarmente noto come “coccodrillo americano”) si è riprodotta da sola. Il fenomeno in questione si chiama partenogenesi, ed è il primo caso osservato nei Crocodylia, il grande ordine di rettili che tra le sue file annovera diverse specie di coccodrilli, alligatori e caimani.

La partenogenesi, che letteralmente significa appunto “nascita vergine”, è un tipo di riproduzione sessuale caratterizzata dallo sviluppo in assenza di fecondazione della cellula-uovo, ed è un fenomeno abbastanza comune in varie specie di uccelli, pesci, serpenti e lucertole ma, appunto, mai osservato in questo ordine animale. Sulla rivista scientifica Biology Letters un gruppo di ricercatori statunitensi in collaborazione con i responsabili del “Parque Reptilandia” ha raccontato il singolare evento.
Gli studiosi, attraverso test del DNA e ad alcuni esami condotti su 7 delle 14 uova deposte dall’esemplare femmina nel 2018, hanno verificato la presenza di un feto di coccodrillo completamente formato (sebbene non vitale), che condivideva quasi per intero con la madre lo stesso materiale genetico (eccezion fatta per le estremità dei cromosomi del feto). Le analisi suggerivano poi che la cellula uovo prodotta dalla madre non si fosse unita con uno spermatozoo, come avviene normalmente nella fecondazione, ma con un globulo polare, una delle piccole sacche cellulari che si formano insieme alla cellula uovo vera e propria contenenti cromosomi molto simili a quelli materni. I globuli polari sono solitamente materiale di scarto e non sono coinvolti direttamente nella riproduzione, ma in alcuni casi si possono fondere con la cellula uovo a completamento del materiale genetico in assenza di uno spermatozoo, facen-