
11 minute read
I MARKER BIOLOGICI PER LA DIAGNOSI DEI DISTURBI PSICHIATRICI
Nell’era della psichiatria evidence-based, gli endo-fenotipi misurabili oggettivamente e in modo univoco potrebbero essere di ausilio nella valutazione clinica dei pazienti psichiatrici
Carlo (nome di fantasia) ha 21 anni. Si presenta dal medico di base riferendo frequenti mal di pancia, talvolta mal di testa che lo costringono a casa. Il medico gli misura la pressione, che risulta piuttosto alta, e gli prescrive una serie di esami dai quali purtroppo non emerge nulla di significativo. Così Carlo prosegue la sua vita finché il giorno del suo ventiduesimo compleanno viene spronato a organizzare una grande festa nonostante il suo malessere generale. Avrebbe evitato volentieri, ma la circostanza questa volta glielo impediva. A un certo punto della festa, un suo caro amico, pensando di fare cosa gradita, inizia a cantargli Tanti auguri.
Gli altri ragazzi del locale non impiegano molto a unirsi al coro. Carlo si sente in imbarazzo, ma può gestirlo. Terminata l’ovazione, la folla del bar urla: «Discorso!». La voce non è neppure familiare, probabile che qualche bontempone volesse fare il simpatico. Si innesca una reazione a catena per la quale tutte le persone della stanza, amici e sconosciuti, chiedono a gran voce un discorso. Carlo inizia a sentirsi accaldato, così accaldato da sudare. Il sudore però non è tiepido, ma freddo. Il fiato gli si spezza, il respiro fatica a uscire, sente la bocca molto asciutta, al punto che la lingua gli si attacca al palato. Il petto gli stringe e i pensieri affollano la sua testa: «Che faccio? Non posso parlare a tutta questa gente. Non ne conosco neppure la metà». Inizia a tremare, i suoi amici lo spronano fino a quando non prende in mano il microfono del karaoke
* Psicologo Clinico, assistente di studio medico Collaboratore di BioPills e… sviene. Nei giorni successivi Carlo è così imbarazzato da non uscire di casa. Decide di farlo solo per tornare dal medico quando il bruciore di stomaco è così forte da impedirgli anche di mangiare. L’empatico dottore si insospettisce quando, oltre al mal di pancia, Carlo riferisce rigidità muscolare e vertigini. La pressione alta permane. Nella pletora di possibili diagnosi, una in particolare cattura la sua attenzione, così chiede al paziente se è successo qualcosa nei giorni passati.
A quel punto Carlo, nonostante l’imbarazzo, descrive l’accaduto nei particolari, mantenendosi sempre un po’ distaccato e freddo nei confronti della vicenda, come se in realtà non lo avesse turbato così tanto. Il clinico ha un’intuizione: ricorda che da recenti studi è emersa un’associazione tra i valori pressori elevati e disturbi di natura ansiosa [1]. Unendo gli altri pezzi del puzzle, suggerisce a Carlo una visita psichiatrica. Lui, un po’ scettico, accetta il suggerimento e pochi giorni dopo si reca dallo specialista. Finalmente il colloquio con lo psichiatra porta ad una diagnosi: pare che Carlo abbia un disturbo d’ansia. Una fobia sociale, nello specifico. Il nuovo dottore gli prescrive dei farmaci e lo indirizza da un terapeuta con il quale inizia un lungo ma soddisfacente percorso. Con la giusta guida, Carlo ci racconta che tutto iniziò al liceo, o forse alle medie; fin dai primi anni faceva fatica ad andare a scuola, non perché non volesse studiare o perché non gli piacessero le materie, ma perché da un lato era spaventato dagli insegnanti, dall’altro dai compagni di classe. Le interrogazioni erano una tortura, preferiva di gran lunga gli esami scritti, meglio se a risposta chiusa, dove non era necessario produrre nulla di personale.
Neurologia e psichiatria, diverse ma non molto
Il caso clinico riportato non è reale, anche se prende spun- to da situazioni di vita realistiche. «Carlo» non esiste, ma tanti pazienti come lui affollano gli studi di medicina generale, cercando dal dottore vicinanza e supporto psicologico più che terapie farmacologiche. Nel caso, ideale, di Carlo un medico trae delle conclusioni brillanti a partire da pochi elementi clinici. Il paziente a sua volta si rivela molto collaborativo e accetta i consigli del dottore senza riserve. Purtroppo, però, nella vita reale vicende di questo tipo non hanno sempre un lieto fine. I pazienti non sono sempre disposti ad ammettere disturbi di natura psicologica, o magari non li riconoscono. Nell’imbarazzo o nel timore che il paziente si offenda, talvolta gli stessi medici esitano nel suggerirgli un professionista della salute mentale, che sia uno psichiatra, uno psicologo o un neuropsichiatra. Al contempo, i pazienti tendono a rifiutare le diagnosi psichiatriche, oppure le tengono nascoste come se ci fosse qualcosa di sbagliato in loro e nel loro disturbo. Fa eccezione (ma non troppo) la neurologia grazie agli anni di evidenze scientifiche dalla sua parte che «giustificano» la follia del paziente con cause di natura anatomo-patologica concreta, strettamente biologica-cerebrale.
Il paziente afasico che straparla e condisce i suoi discorsi con neologismi e frasi senza senso sembra un po’ matto, ma è giustificato dal fatto che le sue aree cerebrali sono state danneggiate da un trauma o da un ictus. Un altro paziente che sproloquia come il precedente, i cui discorsi deragliano, è del tutto matto, e anche un po’ strano, fino a quando uno psichiatra non comunica alla famiglia che il poveretto è schizofrenico, oppure ha un disturbo bipolare. A quel punto resta comunque matto, quantomeno per la maggior parte delle persone. Ovviamente questo paragrafo va ad estremizzare una situazione che per fortuna non è così estrema. Al contrario, l’interesse per il disturbo mentale è sempre maggiore negli ultimi anni e continua a crescere di giorno in giorno. Tuttavia, è vero che a oggi si tendono ancora a vedere di sbieco i disordini psichiatrici/psicologici, probabilmente perché a lungo la mente è stata vista come un’entità astratta e distinta dal corpo, con un carattere quasi spirituale, e il più delle volte alla patologia venivano date interpretazioni legate alla superstizione e al sovrannaturale; la si spiegava ad esempio come manifestazione del demonio. Comprensibile, quindi, che il disturbo mentale mantenga una certa accezione negativa. In futuro, però, verrà posto sullo stesso piano di quello organico, come attesta la gran quantità di marker biologici, molecolari, genetici e neuroanatomici che negli ultimi anni stanno arricchendo la conoscenza dei disturbi psichiatrici e che testimoniano il fatto che il disordine mentale non è astratto ma presenta una base organica, seppur complessa e multifattoriale.
Biomarker: anatomia e molecole
I «marker biologici» (biomarker) sono elementi fisiologici misurabili in modo affidabile e che consentono di identificare e caratterizzare lo stato di salute del paziente, sia in condizioni fisiologiche, sia patologiche. Un buon esempio sono le analisi del sangue di routine, che misurano appunto alcuni biomarker i cui valori nei pazienti in salute rimangono all’interno dei rispettivi range fisiologici. In caso di malattia, invece, si potranno osservare significativi discostamenti dei valori dei biomarker, che siano in termini di alterazioni biochimiche, molecolari, microstrutturali (sinapsi, microcircuiti) o macrostrutturali (connettività tra aree cerebrali). Ad esempio, secondo la teoria metacognitiva di Adrian Wells, rimuginìo e pensieri negativi, tipicamente presenti in disturbi psichiatrici quali ansia e depressione, sarebbero causati da un’alterata connettività tra la corteccia prefrontale dorsolaterale e l’amigdala. La corteccia avrebbe meno controllo sull’amigdala, che sarebbe libera di attivarsi. Una ricerca del 2014 ha verificato questa ipotesi lungo l’arco di vita, osservando un’effettiva alterazione di connettività tra queste aree [2]. Un altro studio ha mostrato un particolare pattern elettroencefalografico tipicamente presente nei disturbi d’ansia [3].
Ciò detto, in futuro sarà sufficiente effettuare una risonanza o un EEG per diagnosticare un disturbo d’ansia? Probabilmente no, poiché alterazioni di questo tipo non sono patognomoniche, né sono presenti in tutti i pazienti. Andrebbero valutati tanti altri elementi. Il più noto è il fattore neurotrofico cerebrale, dall’inglese brain-derived neurotrophic factor (BDNF). Crescenti evidenze mostrano che lo stress diminuisce l’espressione del gene BDNF nelle strutture limbiche che controllano l’umore e che il trattamento antidepressivo inverte o blocca gli effetti dello stress. Livelli ridotti di BDNF, così come altri fattori neurotrofici, potrebbero contribuire all’atrofia di alcune strutture cerebrali, tra cui l’ippocampo e la corteccia prefrontale, rilevata in soggetti depressi. Al contrario, l’azione neurotrofica degli antidepressivi potrebbe invertire l’atrofia neuronale e la perdita cellulare [4]. Il BDNF è riscontrabile nel sangue periferico: dosandolo potremmo dedurre che disturbo affligge il paziente? In caso di depressione ci si potrebbe aspettare livelli sottosoglia di BDNF ematico, ma la ricerca suggerisce di porre attenzione. Siccome i risultati delle più recenti analisi cliniche sono contrastanti, Arosio e colleghi in un articolo del 2021 concludono: «In general, blood BDNF cannot be recommended for use as a biomarker in clinical practice» [5]. Probabilmente sono necessari altri elementi per tracciare un quadro più definito. Anche nel caso delle patologie organiche non è sufficiente un solo valore ematochimico per la diagnosi; nei disturbi mentali la situazione è altrettanto complessa per via delle frequenti comorbilità e per la natura multifattoriale delle condizioni cliniche. Disturbi psichiatrici: esami di laboratorio per la diagnosi Prendiamo d’esempio i disturbi d’ansia. Sono condizioni complesse, con meccanismi eziologici non del tutto definiti. Si pensa che numerosi fattori siano coinvolti nella loro genesi: psicologici, genetici, biologici e chimici. Sebbene la diagnosi dei disturbi d’ansia sia in continua evoluzione, i manuali diagnostici a oggi tendono a basarsi su elenchi di sintomi a dispetto di biomarcatori oggettivi.
I fattori biologici sottostanti potrebbero essere importanti per il progresso della medicina personalizzata. Per questo, lo studio dei metaboliti e delle molecole ematiche ha di recente preso piede nella diagnosi della malattia, nel monitoraggio dell’efficacia terapeutica, nella progressione del disturbo e nella definizione di obiettivi terapeutici [6]. Un altro esempio è quello dell’Hikikomori, grave forma di sindrome da ritiro sociale, un problema in crescita nel Paese del Sol Levante e a livello internazionale. La sua fisiopatologia non è stata ancora chiarita e resta da stabilire un trattamento efficace. Recentemente, è emerso che il disturbo evitante di personalità è la comorbidità più comune dell’Hikikomori ed è stata analizzata la relazione tra questo disturbo e gli squilibri biochimici dei pazienti per una diagnosi il più obiettiva possibile. I tratti di personalità evitanti sono stati associati negativamente con colesterolo lipoproteico ad alta densità (HDL-C) e acido urico (UA) negli uomini, e positivamente ai prodotti della degenerazione della fibrina (FDP) e alla proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hsCRP) nelle donne. Successivamente, sono stati reclutati individui reali con Hikikomori e sono stati confrontati tratti di personalità evitanti, biomarcatori del sangue, caratteristiche psicologiche tra individui con Hikikomori e controlli sani di pari età. Gli individui con Hikikomori avevano punteggi di personalità evitante più alti in entrambi i sessi e mostravano livelli sierici di UA più bassi negli uomini e livelli di HDL-C più bassi nelle donne rispetto ai controlli sani [7]. Uno studio più recente ha proseguito la ricerca dei metaboliti nell’Hikikomori e nella depressione per rendere ancor più precisa la diagnosi sulla base degli elementi ematochimici. I livelli di acilcarnitina a catena lunga risultano notevolmente più alti nei pazienti; bilirubina, arginina, ornitina e arginasi sierica erano significativamente differenti nei pazienti maschi.

L’acido urico sierico e gli esteri del colesterolo plasmatico hanno contribuito alla definizione della diagnosi [8]. Per quanto il modello definito da Setoyama e colleghi risulti essere molto promettente, è limitato all’Hikikomori. È vero che questo disturbo condivide con ansia e depressione una notevole quantità di sintomi, ma proprio per via dell’elevata comorbilità è necessario identificare ulteriori marcatori, possibilmente più precisi, per ciascun disturbo. In generale, i disturbi da stress (tra cui ansia e depressione) condividono l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), che si traduce in sintomi simili e condivisi. Tali patologie sono strettamente correlate tra loro: si verificano simultaneamente o si susseguono, per cui la diagnosi non è una procedura perfetta. Non vi sono esami di laboratorio che possano dissipare i dubbi del clinico che diagnostica e che possano consentire di at- tuare quanto prima il trattamento più appropriato. Pertanto, uno studio del 2021 [9] ha esaminato alcune componenti della saliva che potrebbero essere utili per uno screening rapido e univoco. Tali potenziali marcatori potrebbero rivelarsi utili anche nel monitoraggio dell’efficacia terapeutica. Sono stati dosati cortisolo, immunoglobulina A (sIgA), lisozima, melatonina, α-amilasi (sAA), cromogranina A (CgA) e il fattore di crescita dei fibroblasti 2 (FGF-2). Tra i migliori marcatori dello stress, cortisolo, lisozima, sAA e CgA si sono rivelati promettenti. Per differenziare la depressione dallo stress, il cortisolo salivare e la melatonina.
Verso la medicina di precisione
Se il medico di Carlo avesse prescritto subito degli esami di laboratorio per il dosaggio delle succitate molecole, il paziente non sarebbe svenuto, il suo disturbo sarebbe stato identificato in anticipo e probabilmente Carlo avrebbe fatto scelte diverse nella vita. Senza la costrizione dell’ansia avrebbe vissuto appieno le esperienze adolescenziali, le uscite di gruppo, sarebbe andato meglio a scuola e questo avrebbe dato un meritato boost alla sua autostima. Nessun medico si sentirebbe in imbarazzo nel prescrivere una TAC o una visita dal neurologo in seguito a un trauma cranico; ma tanti clinici sarebbero restii nel suggerire un colloquio psicologico a un paziente che manifesta ansia, anche perché spesso e volentieri è il paziente stesso a non riferire la difficoltà perché non desidera la diagnosi o perché non ritiene necessario un supporto. Gli esami di laboratorio contribuirebbero a normalizzare una situazione che purtroppo oggi non è ancora tale. Le diagnosi precoci sarebbero anche un notevole investimento per il Sistema Sanitario Nazionale perché sul lungo termine andrebbero a ridurre il numero di ospedalizzazioni, ricoveri e riabilitazioni dei pazienti più gravi (che lo diventerebbero senza una terapia tempestiva). È vero che si potrebbe trovare lo stesso squilibrio in diversi disturbi vista l’elevata comorbilità tra le patologie psichiatriche, il punto però è che ciascuno ha degli elementi caratterizzanti differenti e unici che lo distinguono dagli altri, che si tratti di dosaggi differenti oppure di compresenza di varie molecole. Identificare queste regolarità spiana la strada alla medicina di precisione (di conseguenza alle terapie patient-tailored). Tuttavia, quando si parla di disturbi psichiatrici, le variabili in gioco sono davvero tante ed è difficile tenerle tutte a mente per trarre la giusta conclusione diagnostica. Per giunta, le variazioni nei dosaggi biochimici tra un disturbo e l’altro potrebbero essere minime, quasi impercettibili; dunque, la diagnosi differenziale potrebbe non essere così immediata. Per questo motivo sono nati progetti come RDoc (Research Domain Criteria) che desiderano definire una serie di criteri diagnostici basati su quanti più possibili elementi del «sistema uomo»: variabili genetiche, epigenetiche, biochimiche, cliniche, anatomiche… Altri gruppi di ricerca si stanno occupando di raccogliere e catalogare questi marcatori, provenienti da più fronti, per poi darli in pasto a si- stemi di machine learning che siano in grado di effettuare delle analisi certosine sui dati. Prove crescenti suggeriscono che gli esiti del trattamento sono meglio prevedibili in sottogruppi di pazienti psichiatrici identificati dagli algoritmi rispetto alle diagnosi DSM/ICD.
Nell’era della psichiatria evidence-based, gli endo-fenotipi misurabili oggettivamente e in modo univoco potrebbero consentire il rilevamento precoce della malattia, la selezione del trattamento individualizzato e l’aggiustamento dei dosaggi per ridurre il carico della malattia [10]. In futuro sarà, quindi, sufficiente analizzare un adeguato set di biomarker per diagnosticare un disturbo mentale? Probabilmente no, ma con ogni probabilità sarà un valido ausilio alla valutazione clinica operata dagli psichiatri.
Verosimilmente la strada della psichiatria sarà ancora lunga; ci vorrà altro tempo affinché i disturbi mentali si affermino tra le patologie organiche, ma le premesse del secolo corrente lasciano spazio alla speranza.
Bibliografia
[1] Cai L, Liu Y, He L (2022). Investigating genetic causal relationships between blood pressure and anxiety, depressive symptoms, neuroticism and subjective well-being. General Psychiatry 2022;35:e100877
[2] Birn RM et Al. (2014). Extreme early-life anxiety is associated with an evolutionarily conserved reduction in the strength of intrinsic functional connectivity between the dorsolateral prefrontal cortex and the central nucleus of the amygdala. Molecular psychiatry, 19(8), 853-853.
[3] Shadli SM et Al. (2021). Right frontal anxiolytic-sensitive eeg ‘theta’rhythm in the stop-signal task is a theory-based anxiety disorder biomarker. Scientific reports, 11(1), 1-12.
[4] Duman RS & Monteggia LM (2006). A neurotrophic model for stress-related mood disorders. Biological psychiatry, 59(12), 1116-1127.
[5] Arosio B et Al. (2021). Blood brain-derived neurotrophic factor (BDNF) and major depression: do we have a translational perspective? Frontiers in behavioral neuroscience, 15, 626906.
[6] Humer E, Pieh C, Probst T (2020). Metabolomic biomarkers in anxiety disorders. International Journal of Molecular Sciences, 21(13), 4784.
[7] Hayakawa K et Al. (2018). Blood biomarkers of Hikikomori, a severe social withdrawal syndrome. Scientific reports, 8(1), 1-9.
[8] Setoyama D et Al. (2021). Blood metabolic signatures of hikikomori, pathological social withdrawal. Dialogues in Clinical Neuroscience, 23(1), 14-28.
[9] Chojnowska S et Al. (2021). Salivary biomarkers of stress, anxiety and depression. Journal of clinical medicine, 10(3), 517.
[10] Bzdok D & Meyer-Lindenberg A (2018). Machine learning for precision psychiatry: opportunities and challenges. Biological Psychiatry: Cognitive Neuroscience and Neuroimaging, 3(3), 223-230.