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TRATTAMENTO DELLA MASTITE PUERPERALE DURANTE
L’ALLATTAMENTO AL SENO
L’allattamento favorisce il processo di guarigione e le terapie farmacologiche previste per i casi più gravi non rappresentano un rischio per il neonato
Quello dell’allattamento è un periodo importantissimo della vita perché contribuisce a rafforzare il prezioso legame tra madre e figlio/a che si crea già durante la gravidanza. Tuttavia, il verificarsi di alcuni eventi possono turbare questi preziosi momenti con conseguenze per entrambi. Tra questi, la mastite è un’infiammazione del seno che si verifica frequentemente e può essere dovuta a una serie di cause, anche infettive. Secondo l’Academy of Breastfeeding Medicine, una mamma su cinque soffre di almeno un episodio di mastite nel corso dell’ allattamento ed è possibile che insorga più di una volta nella vita e più volte durante lo stesso periodo di allattamento [1]. Purtroppo, sono ancora molto frequenti i casi in cui le donne interrompono prematuramente l’allattamento al seno a causa del dolore, del timore che la terapia antibiotica possa compromettere la qualità del latte oppure a seguito di consigli errati degli operatori sanitari [2]. L’area del seno interessata si presenta rigida, gonfia e arrossata. Questa sintomatologia può essere aggravata da febbre superiore ai 38°C, brividi e malessere generale simile all’influenza. Spesso, il principale fattore scatenante della mastite non infettiva è la stasi del latte causata dal blocco dei dotti mammari, da un ingorgo e da lesioni al seno. A influire sono una serie di fattori come il prolungamento del tempo che trascorre tra una poppata e l’altra oppure una ridotta durata dell’allattamento, l’errata posizione di attaccamento del neonato al capezzolo, la mancata suzione, eventuali malattie infantili o malformazioni congenite, la sovrapproduzione di latte, lo svezzamento rapido e non graduale, la pressione esercitata dal reggiseno, oppure da una ferita del capezzolo che causa dolore e quindi ritarda la poppata successiva.
Durante l’allattamento, inoltre, può succedere che i capezzoli subiscano delle screpolature oppure altre lesioni traumatiche attraverso cui i batteri fanno il loro ingresso nel seno innescando una mastite infettiva, con successiva comparsa di una macchia bianca di circa 1 mm sul capezzolo dolorante. I microrganismi responsabili della mastite possono essere quelli presenti sulla pelle e nella bocca del lattante oppure sulla pelle della madre. Ma possono raggiungere il seno anche attraverso il flusso retrogrado del latte che dalle ghiandole acinose, dove viene prodotto, è poi trasportato al capezzolo dai dotti mammari [3]. Infatti, il latte umano è colonizzato da un’ampia varietà di batteri, alcuni dei quali potrebbero provenire dall’intestino materno seguendo pathway endogeni. La stessa mastite, poi, porta a un processo di disbiosi che sbilancia la composizione del microbiota presente nella ghiandola mammaria e di conseguenza nel latte materno si verificherà una crescita sproporzionata di alcune specie batteriche a dispetto di altre. Grazie alle tecniche di sequenziamento di nuova generazione è stato possibile rilevare una ridotta diversità del microbiota nel latte delle donne con mastite, con la crescita di patogeni opportunistici e la riduzione dei commensali.
Spesso, la mastite puerperale è clinicamente descritta come “autolimitante” poiché solitamente segue un decorso blando e benigno che tende a risolversi spontaneamente senza alcun intervento medico. Inoltre, le neomamme si prendono cura del loro seno massaggiando le zone del seno interessate dall’infiammazione, allattando o spremendo frequentemente il capezzolo in modo da svuotare il seno. Nei casi più seri di mastite infettiva è necessario, però, ricorrere a terapie antibiotiche per curare l’infezione. Infatti, se non trattata, la mastite infettiva può causare un ascesso del seno con formazione di pus che richiede il ricovero in ospedale e, talvolta, un intervento chirurgico [2].
La mastite granulomatosa idiopatica
La mastite granulomatosa idiopatica merita un’attenzione particolare perché, seppur benigna, è una condizione infiammatoria molto rara della ghiandola mammaria le cui cause non sono ancora del tutto note. Tuttavia, risulta confermata l’associazione dell’infiammazione a traumi, processi metabolici e ormonali, reazioni autoimmunitarie e all’infezione da Corynebacterium kroppenstedtii, un patogeno opportunista frequentemente isolato da infezioni mammarie. Può verificarsi a qualsiasi età ma la maggior frequenza è osservata tra i 30 e i 40 anni.
La sua rilevanza clinica è dovuta al fatto che spesso presenta caratteri molto simili a quelli di una mastite infettiva ma soprattutto del tumore al seno. Oltre all’infiammazione e al dolore, infatti, la sintomatologia include aumento di massa e ipereremia (aumento della quantità di sangue localizzato in corrispondenza della zona del seno interessata), i classici sintomi del tumore al seno.
Nella valutazione della clinica, la risonanza magnetica con mezzo di contrasto è fortemente raccomandata per migliorare la specificità della diagnosi rispetto alla tradizionale mammografia e il livello dei globuli bianchi fornisce informazioni utili per differenziarla dagli ascessi mammari comuni alle altre tipologie di mastiti. Tuttavia, è l’esame istopatologico della lesione il metodo considerato gold standard per la diagnosi. Solitamente, a livello macroscopico si riconosce una massa solida, dura e debolmente nodulare mentre microscopicamente emerge una formazione granulomatosa combinata con un’infiltrazione localizzata di cellule giganti multinucleate, istiociti epitelioidi e plasmacellule [4].
Il complesso quadro clinico e la scarsità di dati raccolti su questa patologia contribuiscono a renderne controversa il trattamento. Il regime terapeutico maggiormente adottato si basa su antibiotici e corticosteroidi, seguiti dalla sola terapia steroidea e da intervento chirurgico nelle pazienti dove i sintomi sono persistenti. Purtroppo, la rarità della malattia non consente di avviare studi con un elevato numero di pazienti da arruolare ma viene fortemente raccomandata l’implementazione di un registro o di uno studio multicentrico che possa aiutare a raccogliere più dati [5].
Il trattamento della mastite
Il trattamento della mastite puerperale può essere di supporto oppure farmacologico nei casi di mastite infettiva. L’ottimizzazione della tecnica di allattamento e la rimozione del latte per evitare la stasi rappresenta senza dubbio il metodo preventivo più efficace. Il corretto posizionamento del lattante e il suo attaccamento al seno gli consentono di poppare bene e ricevere la giusta quantità di latte ma contribuiscono anche a evitare l’insorgenza di eventuali lesioni del capezzolo. La posizione del bambino può variare a seconda delle varie esigenze del momento ma si raccomanda di tenere il bambino con il volto di fronte al seno con testa, spalle e corpo allineati e il naso o il labbro superiore devono trovarsi di fronte al capezzolo. Questo gli consente di raggiungere facilmente il seno senza bisogno di allungarsi o girarsi. Se si allatta da seduta, assicurarsi di avere la schiena diritta e sostenuta, con i piedi ben appoggiati per sostenere il peso della schiena e delle braccia e l’utilizzo di cuscini può essere d’aiuto per tenere il bambino all’altezza del seno. Allattare da sdraiate è utile dopo un taglio cesareo o nei primi giorni successivi al parto [6]. Massaggiare il seno per favorire la fuoriuscita del latte è sempre una buona abitudine perché il calore generato dal movimento della mano può attivare l’ossitocina e promuovere il flusso del latte materno. Al contrario, l’applicazione di impacchi freddi dopo la fuoriuscita del latte aiuta a lenire l’infiammazione [3]. Infine, se utilizzato correttamente, il tiralatte aumenta il drenaggio del seno ed è quindi considerato uno strumento prezioso nel trattamento della mastite.
Si ricorre, invece, al trattamento farmacologico, di fronte a una mastite infettiva oppure in tutti quei casi che non si risolvono con delle terapie di supporto. La terapia empirica maggiormente impiegata prevede la somministrazione di amoxicillina-clavulanato, dicloxacillina e flucloxacillina, cefalexina (in caso di allergia alla penicillina) o la claritromicina (in caso di allergia ai beta-lattamici). Tuttavia, a causa della crescente resistenza agli antibiotici queste terapie potrebbero perdere di efficacia così, negli ultimi anni, l’integrazione con probiotici sia durante la gravidanza che l’allattamento è stata testata come alternativa e si è osservata una riduzione del rischio di sviluppare mastite [7]. Inoltre, già il normale microbiota del latte materno contiene probiotici potenzialmente in grado di aiutare a stabilire la flora ga- strointestinale del bambino e prevenire la colonizzazione dei dotti mammari da parte dei patogeni [8]. Nel complesso, i microrganismi commensali trasmessi tramite il latte materno sembrano svolgere un ruolo chiave nello sviluppo del microbiota intestinale infantile. Durante la gravidanza e l’allattamento, sia l’intestino che le ghiandole mammarie subiscono cambiamenti a livello del microbiota. I commensali di origine intestinale possono essere trasportati al seno durante l’allattamento attraverso via cellulari endogene. Ad esempio, le cellule dendritiche possono penetrare direttamente le cellule che compongono il monostrato epiteliale dell’intestino e catturare la flora presente senza danneggiare la mucosa. I cambiamenti fisiologici e ormonali che si verificano nel terzo trimestre di gravidanza aumentano la permeabilità dell’epitelio intestinale favorendo così il trasferimento dei batteri intestinali al seno. Pertanto l’assunzione di probiotici da parte della madre può rappresentare un valido supporto nel potenziamento della risposta immunitaria del neonato mediata dal latte materno [8,9].
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Staphylococcus aureus come principale agente eziologico
Il principale agente patogeno responsabile dell’insorgenza della mastite infettiva è lo Staphylococcus aureus (S. aureus) a causa della sua capacità di colonizzare la cute umana. Infatti, circa il 20% della popolazione mondiale è portatore nasale persistente, il 30% portatore intermittente (non sempre ne risulta colonizzato) mentre il rimanente 50% non ne risulta colonizzato. La condizione di carriage in individui sani, che quindi diventano un vero e proprio “serbatoio” del patogeno, rappresenta un importante fattore di rischio per l’aumento delle mastiti infettive. Infatti, il rischio di acquisire il patogeno da parte del neonato durante l’allattamento è molto alto considerando lo stretto contatto con il seno materno, soprattutto nelle fasi iniziali dell’infezione quando le madri sono del tutto inconsapevoli di essere infette. La trasmissione può essere diretta perché mediata da una stretta interazione con i familiari in visita e operatori sanitari oppure indiretta attraverso il contatto con apparecchiature mediche non sterili che favoriscono prima la colonizzazione e poi l’instaurarsi dell’infezione. I ceppi più pericolosi sono gli MRSA (methicillin-resistant S. aureus) perché resistono agli antibiotici beta-lattamici, come la penicillina, ampiamente utilizzati per curare le infezioni. La circolazione degli MRSA in ambiente ospedaliero, soprattutto nei reparti a rischio come quelli delle terapie intensive neonatali, è un importante problema di sanità pubblica. Infatti, il sistema immunitario dei neonati non è ancora ben sviluppato e questo li rende maggiormente suscettibili a infezioni causate dallo S. aureus, soprattutto durante l’attraversamento del canale del parto e l’ allattamento al seno [10]. Inoltre, dopo le dimissioni sia le madri che i neonati colonizzati contribuiscono alla diffusione dei ceppi MRSA nella comunità trasmettendo il patogeno agli altri membri della famiglia. Attualmente non c’è traccia di studi di sorveglianza condotti nelle terapie intensive neonatali italiane e ancora più scarsi sono i dati riguardanti la sorveglianza della colonizzazione cutanea nelle madri. Uno screening precoce delle madri durante la gravidanza sarebbe utile per determinarne lo stato di portatrici sane mentre subito dopo il parto fornirebbe informazioni sulla possibile colonizzazione della cute mammaria.
A causa dell’elevato grado di resistenza, il trattamento prevede una terapia antibiotica combinata, generalmente amoxicillina e clavulanato, per una durata di circa 10-14 giorni. Se la mastite si sviluppa in un ascesso, alla terapia antibiotica è necessario affiancare il drenaggio per velocizzare il processo di guarigione. In questi casi, l’allattamento al seno può continuare assumendo una postura che eviti il contatto diretto tra la bocca del bambino e la ferita. Nel caso in cui questo non fosse possibile l’alternativa è l’utilizzo del tiralatte. Da non sottovalutare la ricorrenza di mastite nella stessa zona del seno perché potrebbe essere il campanello di allarme per patologie più gravi e una valutazione clinica più approfondita sarà utile a escludere eventuali forme tumorali o altre anomalie [3].
Conclusioni
La gravidanza e l’allattamento sono due fasi fondamentali da cui dipendono la salute sia della madre che del bambino. Supportare la donna durante questi mesi rendendola consapevole dei fattori che possono causare la stasi del latte è il punto di partenza per evitare casi di mastite oppure per im- parare a gestirli. Continuare ad allattare, e quindi a svuotare il seno, nel modo corretto non solo favorisce la guarigione della mastite ma offre anche la possibilità ai piccoli di beneficiare delle proprietà del latte materno. L’allattamento, infatti, protegge i neonati dal rischio di infezioni premature anche gravi e da quello di sviluppare altre patologie in futuro, come l’obesità e le malattie metaboliche. Pertanto, la corretta gestione della mastite, infettiva e non, apporta benefici alla salute della madre e a quella del bambino.
Bibliografia
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2. Wilson, E.; Woodd, S.L.; Benova, L. Incidence of and Risk Factors for Lactational Mastitis: A Systematic Review. J. Hum. Lact. 2020, 36, 673–686, doi:10.1177/0890334420907898.
3. Pevzner, M.; Dahan, A. Mastitis While Breastfeeding: Prevention, the Importance of Proper Treatment, and Potential Complications. J. Clin. Med. 2020, 9, 1–6, doi:10.3390/jcm9082328.
4. Aydin, I.; Kesicioglu, T.; Vural, S.; Sengul, I.; Yilmaz, K.; Sengul, D. Idiopathic Granulomatous Lobular Mastitis: An Imitation of Breast Carcinoma. Cureus 2021, 13, 10–13, doi:10.7759/cureus.15206.
5. Wolfrum, A.; Kümmel, S.; Reinisch, M.; Theuerkauf, I.; Pelz, E. Granulomatous Mastitis: A Therapeutic and Diagnostic Challenge. Breast Care 2018, 13, 413–418, doi:10.1159/000495146.
6. Direzione Generale della Comunicazione e dei Rapporti Europei e Internazionali; Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione Allattare Al Seno. Un Investimento per La Vita. Minist. della Salut. 2019, 56.
7. Jiménez, E.; Manzano, S.; Schlembach, D.; Arciszewski, K.; Martin, R.; Ben Amor, K.; Roelofs, M.; Knol, J.; Rodríguez, J.M.; Abou-Dakn, M. Ligilactobacillus Salivarius Ps2 Supplementation during Pregnancy and Lactation Prevents Mastitis: A Randomised Controlled Trial. Microorganisms 2021, 9, doi:10.3390/microorganisms9091933.
8. Yu, Q.; Xu, C.; Wang, M.; Zhu, J.; Yu, L.; Yang, Z.; Liu, S.; Gao, X. The Preventive and Therapeutic Effects of Probiotics on Mastitis: A Systematic Review and Meta-Analysis. PLoS One 2022, 17, 1–13, doi:10.1371/journal.pone.0274467.
9. Guo, Q.; Goldenberg, J.Z.; Humphrey, C.; El Dib, R.; Johnston, B.C. Probiotics for the Prevention of Pediatric Antibiotic-Associated Diarrhea. Cochrane Database Syst. Rev. 2019, 2019, doi:10.1002/14651858. CD004827.pub5.
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