Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
Direttore: Renato De Fusco Redazione: Salita Casale di Posillipo 14 - Tel. 300.783 Amministrazione: Via dei Mille 61 - Tel. 231.692
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F.dizioni e Il centro >
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Editoriale
Gilio Dorfles
Le e Nuove leoni> e la e civiltĂ del C01181Lmo > 7 13
Architettura utopistica
Antonio Vitiello
La sociologia dell'arte dei
sociologi
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Esperienza della Biennale
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Tecnologia e poetiche contemporanee
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Nouveau roman e arti figurative
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n GaudĂŹ di Pane
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato; Vitaliano Corbi, Lilliana Defez, Renato De Fusco, Bruno Di Bello, Mirella Galdenzi, Lucio Tesauro, Lea Vergine, Antonio Vitiello.
Editoriale
Il programma di questa rivista è di offrire .u_na selezione della critica d'arte figurativa contempora nea. Intendiamo per selezione non una scelta esau stiva di tutto quanto si pubblica intorno alle arti vi sive - compito per il quale non siamo sufficiente mente attrezzati - . ma una e�osizione dell'attività critica, soprattutto- metodologica, ottenuta mediante l'esame di alC'l,l,ni temi di maggiore interesse . attuale. Ogni tema verrà svolto come una composizione di parti selezionate da saggi di estetica, di critica, di poetiche che, citate testualmente (donde il titolo del perio dico), verranno unificate in un discorso e corredate del maggior numero di annotazioni e indicazioni bibliografiche. Riteniamo con questa formula di fornire uno stru mento utilizzabile sia in senso divulgativo, sia al li vello della ricerca specialistica. Ma la selezione ope rata attraverso un certo numero di temi non risolve soltanto _una difficoltà tecnica, qual è quella di limi tare l'intera produzione critica entro pochi argomenti; oltre a ciò, l'elaborazione di ciascun tema, già scelto per un suo peculiare carattere, consente una esposi zione che, per quanto composita, referenziale ed informativa, non può, a sua volta, non essere critica.
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Accanto all'attività suddetta, svolta in modo col lettivo dall'intera -redazione, pubbliche-remo articoli a fi-rma individuale, per ospita-re autori esterni e pe-r pote-r svolge-re quelle rice-rche non riconducibili alla formula che ca-ratterizza la g-ran parte del periodico. In tal 1J1,odo la formula rimarrà uno st-rumento e non un vincolo limitativo. Pe-r definì-re in senso unitario le diverse posizioni ideologiche di quanti fino-ra hanno collabo-rato a que sta iniziativa e di quelli che invitiamo a pa-rteciparoi, possiamo afferma-re - senza igno-rarne l'indete-rmina zione - che la nost-ra visuale, sicu-ramente antiacca demica, tende ad essere il più possibile inclusiva; non nel senso di una totale e neut-rale accettazione, ma in quello di ritenere tutto considerabile e discutibile. Infine qualcosa va detto sulla cittadinanza na poletana della rivista, a-rgomento a noi sg-radito e sul quale eviteremo di torna-re in quanto, a torto o a -ragione, esso implica il concetto o preconcetto di «diverso>, che decisamente -respingiamo. Tuttavia non confondiamo le nost-re aspi-razioni con i Teali disagi del nost-ro ambiente; tenteTemo soltanto di t-rarre dalle nostTe difficoltà qualche vantaggio: le condizioni peT una più calma riflessione, ad esempio, o l'indipen denza dai gruppi di pote-re, fattori evidentemente fa vo-revoli allo svolgimento del nost-ro p-rog-ramma, con fidando per il resto nell' acco-rciamento delle distanze. In sostanza, accantonando le glorie t-radizionali unitamente alle attuali carenze, tendiamo a proporre la nost-ra opeTa pe-r quella che vale come contributo di pe-rsone. 6
RENATO DE FUSCO
Le "Nuove leoni" e la "civiltà del consumo" GILLO DORFLES
Si parla - e si è parlato sin troppo negli ultimi anni d'una e civiltà del consumo >; e, anche, d'una e civiltà delle immagini> perché, come spesso accade, non si sia finito per eccedere nel voler far rientrare tutti i più svariati aspetti della nostra cultura e della nostra società sotto una di queste allettanti etichette. Certo: il fenomeno del consumo è evidente e patente a chiunque: basta alzare lo sguardo ai palazzi appena ter minati di costruire e scorgere, accanto ad essi, altri edifici già in via di demolizione; basta considerare la mutevolezza della moda femminile, delle
mode
artistiche,
letterarie,
poetiche; basta contemplare i e cimiteri d'auto> che già si stendono alla periferia delle nostre città e non più sol tanto negli Stati Uniti e basta considerare la voga così accanita ed effimera delle canzonette degli urlatori o delle danze collettive destinate a durare mezza stagione. Il cons1Lmo - tanto inteso trasitivamente nel signi ficato del consumare alcunché del valersi, non solo del cibo, ma della cultura, dell'arte, della scienza, in maniera pressocché
e mangereccia > - quanto inteso intrasitiva
mente, nel senso del e consumarsi >, dell'usurarsi, del sot tostare all'entropia e all'obsolescenza di un dato fenomeno, è certo una delle costanti basilari della nostra età.
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Ma, codesta civiltà del consumo si mescola e inter. ferisce di continuo cori una e civiltà dell'immagine >, anche essa onnipresente, e determinante per tutto il nostro modo d'essere-nel-mondo e di essere-intersoggettivamente. Ed è su questo punto che vorrei dilungarmi un poco. Quan do, infatti, ho scelto come titolo di questa nota quello di e Nuove leoni > l'ho fatto considerando come, appunto, tutte le moltiformi immagini che ci circondano, che ci impartisco no ammonimenti, precetti, lusinghe, (le immagini della se gnaletica stradale, dei cartelloni cinematografici, dei mani festi politici, della pubblicità luminosa, ecc.;) costituiscano . davvero, per la nostra epoca, un nuovo panorama icono grafico,· ma rappresentino anche le nuove divinità mitiche che di continuo ci vigilano e ci assistono, quando non ci irretiscono e ci ipnotizzano. · Non intendo scagliarmi contro di esse: sono del tutto contrario a certi ammonimenti apocalittici alla Anders, o a certi sopraccigliosi inalberamenti alla Adorno; il mio con vincimento, anzi, è che molto ci sia da apprendere e da avvantaggiarsi. dalla presenza tra di noi di codeste e Nuove leoni >; tanto che proprio basandosi su di esse, si possa giungere ad una equilibrata strutturazione della nostra civiltà. Naturalmente le loro deficienze e i loro pericoli deb bono esserci noti, per poterli controllare e controbbattere e la loro ubiquitarietà non deve essere una ragione per il loro incontrastato dominio. Ma anche quest'ultimo pericolo mi sembra sia stato spesso esagerato ad arte. È un dato di fatto che la nostra esistenza cotidiana soggiace a certi .impulsi, a certe sollecitazioni, che ci pro vengono dalle stimolazioni visive cui siamo costantemente sottoposti e la cosa è stata vagliata attentamente da molti ricercatori che hanno cercato di stabilire gli influssi ne gativi e· positivi che hanno su di noi, ad es. le stimolazioni 8 provocate dal cinematografo, dalla televisione, sforzandosi .
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così di stabilire la possibilità di utilizzare questi mezzi positivamente per l'educazione delle masse, o valutandone il pericoloso effetto ipnotico e onirizzante. Non intendo compiere, qui, un'elencazione minuziosa delle immagini visuali cui siamo sottoposti; vorrei tutta via elencare almeno alcune di quelle che mi sembrano più importanti e determinanti. Ecco ad es. il caso della segna letica stradale: un aspetto nuovo e ancora trascurato del nostro panorama immaginifico; trascurato, intendo, da un punto di vista antropologico-estetico. L'intera popolazione cittadina - dunque la grande maggioranza della nostra po polazione nazionale - subisce, a partire dalla prima infan zia, gli effetti d'una serie di segni, segnali, simboli (la vecchia tripartizione langeriana!) che poi si risolvono in scritte, in emblemi, in grafici, ecc. Si tratta di effetti dai quali non è possibile prescindere. Non è solo questione di multe o ammonizioni, ma della propria sicurezza e integrità personale: non badare alle e zebre>, ai divieti di transito, ai sensi proibiti, alle frecce indicanti i percorsi, significhe rebbe esporsi a danni rilevanti. Ecco, dunque, come, prima ancora d'aver appreso a leggere e a scrivere, gli abitanti delle città si avvezzano ad immagazzinare un certo numero di e ideogrammi > quanto mai perentori, stimolanti, inalie nabili. Ma, alla pura e semplice segnaletica del traffico, dob biamo aggiungere tutti gli altri elementi figurati che co prono le pareti delle case, i muri delle strade, l'interno e l'esterno dei mezzi di trasporto: figure pubblicitarie, scritte, luci, al neon; nonché tutto il vasto panorama di quello che definirei « arredamento urbano > : le panchine, le cassette postali, le pensiline degli autobus, le ceste dell'immondi zia, ecc. Si potrà facihnente obiettare che anche per il passato esi stevano figurazioni applicate ai muri delle case; anzi, esi stevano affreschi e bassorilievi ben più importanti artisti camente delle figurazioni odierne; ed esistevano anche in-
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segne di taverne, di negozi, di botteghe artigiane. Ma la differenza coi nostri giorrù è immensa: oggi chi semplice mente passeggi per la strada è sottoposto a sua insaputa ad una serie di ·-15ollecitaziorù derivanti da scritte, segni, e vere e proprie e figure >, quali mai per l'innanzi si ebbero a verificare. Forse l'origine di questo enorme accrescimento delle figuraziorù pubbliche (che comprendono ovviamente anche i cartelloni cinematografici, gli ingrandimenti serigrafici e fotografici, le riproduziorù di pitture antiche e moderne) non è soltanto di carattere commerciale e pubblicitario: forse è ancora l'antico e horror vacui > che - dopo la pa rentesi puristica del razionalismo (l'epoca dei e muri bian chi > dell'assenza di decorazioni) ha ripreso a ossessionare l'uomo. L'iconoclastia che, periodicamente, è sopraggiunta a distruggere gli emblemi delle divinità e le figurazioni an tropomorfe, ha sempre avuto una breve durata: siamo nuovamente in un'era anti-iconoclastica, e le Nuove leoni che la popolano anziché essere come un tempo costruite a mano sono sfornate a macchina in migliaia d'esemplari iden tici. La serialità dell'immagine è un altro fenomeno di cui occorre tener conto se si vogliono comprendere molti aspetti della nostra civiltà. Se, in passato, tutto un complesso e spesso pregevole frasario ornamentale, fatto di fregi, bassorilievi, affreschi, si stendeva sopra gli edifici, sui templi, sui palazzi, e valeva, in certo senso, a soddisfare la e sete d'immagirù > dell'uomo, oggi qualcosa d'analogo accade, ma su scala infirùtamente più vasta e con caratteri del tutto diversi. Ecco, infatti, sorgere attorno a noi un nuovo universo di immagini arti ficiali, prodotte non più singolarmente, artigianalmente, ma in marùera industrializzata, fatte in serie, destinate ad una popolazione in continuo aumento, che ha peraltro bisogno del suo quotidiano pa.sto iconico.
Tutto questo immenso panorama visuale sta ora attor no a noi, ha invaso le pareti libere degli edifici, i cornicioni, i tetti, i marciapiedi, si è riversato lungo le strade, le auto strade. In un'epoca dove conta più l'effimero del perma nente, dove il transeunte ha più presa dell'eterno, era logico che questo fenomeno si verificasse. Troppo spesso, al giorno d'oggi, si tende a svalutare sistematicamente e per partito preso dei fenomeni para artistici come quelli, ad es. della grafica pubblicitaria (della grafica in genere), del disegno industriale, della pubblicità luminosa, cinetica, della cartellonistica stradale, cinemato grafica, dell'imballaggio, del e lettering >. A codesti settori s'attribuisce di solito, da parte di critici d'arte tradizionali sti, effetti deleteri e scarsissimo o nullo valore estetico. La situazione, per contro, è ben diversa: siamo immessi e partecipi, ormai, d'una società di massa che domina, volere o no, e dominerà sempre di più, l'intero pianeta. La pre senza d'un'arte d'élite - anche se continuerà ad essere necessaria ed efficace - non potrà avere che un valore subordinato alla presenza di forme artistiche capaci di ge neralizzarsi. Già oggi ce ne avvediamo: numerose forme d'arte d'élite si sono accaparrate e hanno fatto propri ele menti e moduli derivati totalmente da forme d'arte come quelle di cui stiamo ragionando. Poco conta che un segno del traffico venga considerato o meno e artistico > quando poi sarà proprio tale segno a mettere in moto certe associazioni formali, certe struttu razioni segniche che diventeranno il nocciolo d'una futura opera d'arte autentica. L'abbiamo potuto constatare ormai in più d'un caso, senza bisogno di ricorrere ai Rauschenberg o ai Jasper Johns, già considerando alcune ormai celebri opere di Klee, di Mondrian di Schwitters. Elementi che facevano parte del e panorama artificiale > che ci circonda furono dunque e sublimati > ad opere d'arte, non altrimenti di come
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accadeva ai tempi in cui spettava questo e onore > ai ·pae saggi, alle nature morte, ai fiori. È dunque tutto questo ampio dominio delle Nuove leoni ad essere il promotore delle immagini e dei segni espressivi da cui prendono il più delle volte l'avvio le opere d'arte della nostra età, siano esse pitture e sculture, siano architetture e oggetti dell'industria. E anche di questo si dovrà tener conto, poiché molto spesso saranno gli stessi oggetti. industriali ad essere, a loro volta, suscitatori di nuo ve immagini plastiche e cromatiche destinate a diventare le direttrici di autentiche espressioni dell'arte futura. GILLO DORFLES
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Architettura utopistica
La nozione d'avanguardia in quest'ultimi anni è stata al centro del dibattito d'ogni settore artistico ma quasi pun tualmente evitata dalla critica architettonica. Qui ragioni tecnologiche, sociali, politiche respingono ai margini della cultura architettonica ogni altro tipo d'interesse, spesso a scapito dell'autonomia della ricerca. Tuttavia l'esistenza di una imprecisabile avanguardia in architettura ci sem bra inconfutabile. Una indicazione utile per il suo sviluppo può aversi, fra l'altro, e oltre l'estensione spesso meccanica e nominale delle poetiche figurative all'architettura, da quel complesso fenomeno della cosiddetta architettura utopisti ca, fantastica, visionaria etc. Più che un elenco cronologico di architectes maudits - e ogni personalità significativa dell'architettura degli ultimi cento anni ha avuto una fase d'attività emergente apparsa appunto utopistica e visionaria - vogliamo raccogliere al cuni dati critici e bibliografici sull'argomento nella sua linea più generale. Arthur Drexler, direttore della sezione di e Architettura e Design> del Museo d'Arte Moderna di New York nell'in-,
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troduzione alla mostra Visionary Architecture, organizzata dallo stesso Museo nel 1960, cosl inquadra il nostro argo mento: La storia dell'architettura comprende molti grandi progetti non intesi per essere realizzati. Si tratta in effetti di un'architettura su • carta • svincolata dai dettagli tec nici, senza compromessi coi capricci dei committenti, e li bera dalle esigenze dell'economia, della politica, del co stume. Tali progetti visionari offrono all'architetto una opportunità di ricostruire il mondo come egli sa che do vrebbe essere, ed esso è il mondo che l'architetto - vi sionario o altro - realmente desidera cambiare. Poiché altre tendenze e progetti sono riconducibili alla condizione su esposta, Drexler definisce e limita l'argomento in esa me osservando: Il vero progetto visionario generalmente unisce una forte preferenza personale per alcune forme con un giudizio critico sull'ordine sociale stabilito. In passato tali progetti erano considerati inedificabili per una o entrambe queste ragioni: essi possono essere stati tecnologicamente impossibili da eseguire al tempo in cui furono disegnati; oppure la società non ha trovato né la giustificazione, né il denaro per la loro attuazione. Oggi quasi ogni cosa che un architetto può pensare è tecnicamente realizzabile. La funzione sociale che in clude gli aspetti economici determina ciò che è o non è visionario 1• Tale definizione, che non implica un giudizio di valore, risulta particolarmente efficace nel limitare prag maticamente un campo altrimenti ambiguo ed inafferma bile. Una definizione di architettura fantastica, non molto dis simile dalla precedente, ma allusiva di un diverso orien tamento ideologico è quella di Alexander Persitz. L'archi tetto raggiunge la • visione • allorquando si basa sulle possibilità tecniche per poi superarle e su una concezione filosofica che rompe con tutte le abitudini morali e ma14 teriali d'una epoca per prevedere le nuove forme del
mondo di domani. ::E: allora secondario che un tal progetto sia nella linea dell'evoluzione tecnica, che corrisponda o meno alle possibilità di oggi. Quel che conta è che un gran numero di individui affermi, ad un certo momento, la sua volontà di • rimettere tutto in discussione », che si formino delle correnti in opposizione alla sclerosi della epoca. ::E: questa volontà d'aprire nuove vie in tutte le direzioni comprese le più discoste dal nostro mondo attuale, quello che conta 2 • Tra le altre definizioni de scrittive dell'architettura fantastica va ricordata quella di Conrads e Sperlich: Nella storia dell'architettura, esiste accanto ad una linea artistica ormai affermata e basata sui ben noti aspetti del funzionale e del razionale, un secondo filone... quello fantastico. Esso si mostra oggi nelle sue forme più diverse: nell'architettura del possibile, una costruzione fatta di insoliti materiali per conseguire una visione di favola ; nell' architettura - armatura che mutua spazi interni ed esterni con l'abolizione degli ele menti di chiusura; nelle visioni luminose delle architet ture di vetro o nell'oscurità degli incavi montagnosi. C'è poi il gioco condotto con forme già date: il labirinto, la spirale, la sfera, la piramide, abbiamo così le cupole geodetiche, le cellule spaziali, ed infine le grosse archi tetture utopistiche... 8• L'architettura fantastica si distingue e ha senso in quan to totale opposizione agli schemi culturali correnti. La fe nomenologia dell'architettura utopistica è data proprio dal vario manifestarsi del suo radicalismo. Le molteplici com ponenti di esso, ossia fattori sociologici, linguistici, tecno gici e mitopoetici risultano intimamente intrecciati. Si pensi all'incrocio nell'opera di Sant'Elia di elementi tanto rivolu zionari in politica (libertari e socialisti) quanto in senso linguistico e tecnologico. Altrettanto è riscontrabile nel mo vimento che precede l'avanguardia russa, dove il dato tecnologico si carica di intenzioni sociali e simboliche.
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Ma prima di procedere oltre è ·necessario distinguere la nozione di architettura utopistica da quella di avanguardia. Senza voler dare una definizione dei due termini basta ricor dare il loro diverso atteggiamento rispetto alla storia. � fatto ormai indubitabile - osserva Renato Poggioli - che il termine e il concetto d'arte d'avanguardia non risalgono cronologicamente oltre l'ultimo quarto del secolo scorso; e che termini e ·concetti d'analogo contenuto o di simile significato non si ritrovano, neppure in potenza, al di là della cultura romantica... •. Notoriamente il fenomeno che studiamo, viceversa, è databile coi più antichi disegni e progetti conservati (anche se in questa sede ci occupiamo degli esempi più recenti). Lo stesso Autore afferma più avanti che Romanticismo è in gran parte storicismo; e storicismo significa non solo un allargamento e un appro fondimento della visione storica del mondo, o la capacità di comprendere le infinite metamorfosi dello Zeitgeist, ma anche idolatria dello storico, divinizzazione della storia non solo passata, ma perfino presente o futura 5• Questi aspetti dell'avanguardia sono quasi del tutto estranei alla architettura utopistica che sembra muoversi, se è possibile, in un tempo astorico e metastorico. L'unica dimensione del tempo che l'architettura utopistica sembra avere in co mune con l'avanguardia è quella del futuro. Ancora nel libro di Poggioli si legge: ... il momento futuristico è pro prio a tutte le avanguardie, e non esclusivo al movimento che assume quel nome: e nel generalizzare la formula non si commette dunque alcun arbitrio, anche visto e con siderato che Ortega y Gasset e Arnald Toynhee l'hanno già usata come termine storico e filosofico generico, a desi gnare tendenze psicologiche eterne, che appartengono a ogni tipo e a ogni fase della cultura. Il movimento concreto chiamato con quel nome non fu 16
dunque che sintomo significativo d'uno stato d'animo più
esteso e profondo, che il Futurismo italiano ebbe il gran merito di fissare e d'esprimere, coniando a propria eti chetta quella felicissima formula• 6• Il carattere d'anticipazione, ch'è indubbiamente pecu liare dell'architettura utopistica, non sempre, però, rende questa un fenomeno che precede l'avanguardia. Anche se recentemente smentita da Ragghianti, è opi nione diffusa che l'avanguardia architettonica degli ultimi cento anni abbia fatto seguito ai movimenti della pittura e scultura. A sua volta l'architettura utopistica molto spesso è nata nell'ambito di tendenza architettoniche già costituite. Il momento di maggiore coincidenza fra avanguardia archi tettonica e architettura utopistica s'ebbe con l'espressioni smo. Di architettura espressionista è giusto parlare - os serva Ungers - se ci si limita ai progetti più o meno visionari e utopistici; e ciò non significa che l'importanza di tali pure espressioni visive debba essere sottovalutata nell'evoluzione spirituale dell'architettura, poiché un'eco di questo mondo ideale sopravvive negli edifici poi costi tuiti. Ma lo studio di come si manifesta l'espressionismo nel campo dell'architettura va fatto unicamente sui pro getti ... sorti quando l'espressionismo si era già da tempo affermato nella pittura, nella musica e nella letteratura. Una diffusa, comune, tendenza espressionista fiorisce fra gli architetti solo al termine della prima guerra mondiale, e per pochi anni (1918-22)
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Pur condividendo parzialmente
detta identificazione, è innegabile che, essendo la cultura fi gurativa tedesca del primo dopoguerra il punto nodale del l'intero Movimento Moderno, essa abbia influenzato ogni filone della stessa architettura utopistica. I cento miti del l'architettura visionaria, dal '18 ad oggi, possono tutti ricon dursi ai progetti e alle idee dei Taut, Poelzig, Finsterlin e compagni. Fra questi miti era quello della tecnica, che suc cessivamente istituzionalizzato e razionalizzato nella tendenza funzionalistica, influenzerà un altro filone dell'architet-
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tura utopistica. Per quanto riguarda la dipendenza di que sta dall'avanguardia, se è vero che l'utopismo di Sant'Elia o di Malevic ha anticipato alcuni aspetti del funzionalismo, l'architettura visionaria che si basa sul radicalismo tecno logico deriva a sua volta dal razionalismo architettonico. Ne è tipico esempio la produzione di Buckminster Ful ler. Nel 1927 egli progettò una specie di macchina per abi tare che chiamò « Dymaxion • ( dinamica più massima effi cienza). Contrariamente alle poetiche espressioni che si manifestano frequentemente negli edifici degli anni Venti in Europa, e specialmente nella lirica Villa Savoje di Le Corbusier del 1929, l'opera di Fuller era una mac china per abitare non in senso metaforico ma nel vero significato della parola. La Dymaxion House di Fuller, a differenza di contemporanei capolavori del Purismo eu ropeo e dei movimenti affini non era essolutamente un oggetto di contemplazione estetica, ma andava considerata come un servizio meccanico in funzione di un predisposto spazio abitabile 8• Nella stessa linea di Fuller, ossia quella di una testuale interpretazione funzionalista, si muove la gran parte dell'architettura utopistica più recente. Il radi calismo tecnicistico si è sviluppato costantemente in un grande arco di tempo, variando forse unicamente per la sca la delle proposte; dagli elementi modulari e dalle cellule edilizie fino agli interventi urbanistici: la città galleggiante di Kikutake, la città realizzata con edifici fusiformi di Fitzgibbon, l'architettura chimica di Katavolos. Nel capitolo Utopie heute del loro libro, Conrads e Sperlich osservano che l'utopia d'oggi è più profonda, scet tica senza slanci della fantasia nel suo elevarsi sul mondo della realtà. Anche oggi vengono formulate immagini archi tettoniche, ispirate alle poderose conquiste della tecnica degli ultimi venti anni, che hanno le caratteristiche del l'utopia; ma le rischiose imprese dello spirito del 1919 18 non vengono più avvicinate 9•
Ma non è solo la cultura del razionalismo l'unica tendenza che precede e condiziona l'architettura utopistica. Nell'opera di Wright, oltre tutti gli altri noti attributi, non manca un carattere francamente visionario. Ciò non tanto nel senso d'emergente anticipazione, comune ad ogni artista precursore (senso che in questa sede non consideriamo) quanto per la presenza di un dato fantastico e individuali stico equivalente ad una fenomenologica esigenza di comin ciare ogni volta da capo, sia per gli aspetti sociologici, sia per quelli espressivi dell'architettura. La costanza di questo radicale atteggiamento che si incarnava in opere sempre più insolite ed eterodosse costituiva il motivo di fondo della sua continuità stilistica. Non a caso le sue ultime realizza zioni, e pensiamo particolarmente al Guggenheim, sono le più vicine all'avveniristica poetica dell'architettura visio naria; non a caso, nelle prime commemorazioni la critica ha posto l'accento sul lato utopistico dell'opera sua 10• Un esempio tipico d' architettura utopistica nata dal la cultura organica è offerto da Paolo Soleri. :E: invidia inconscia - egli afferma - quella che induce l'uomo alla distruzioni di ciò che non sa eguagliare. Di tutti i compiti dell'architettura quello di generare un ambiente che cooperi con la natura e che sia in armonia con l'uomo è certamente il più urgente n. I progetti di Soleri, le sue e case nella terra> del deserto dell'Arizona, il suo piano di Mesa city, sono l'interpretazione più lette rale e paradossale della poetica naturalistica cui derivano. Questa città - scrive Peter Blake - non è stata proget tata per essere costruita, e certo niente di simile potrà mai vedere la luce del giorno, sebbene Paolo Soleri speri un giorno di realizzare i suoi progetti. Ma, per il momento, ciò che Soleri sta cercando di comporre con le sue linee generose su rotoli di centinaia di piedi di carta da macellai è un manifesto poetico sul tipo di mondo in cui potremmo
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vivere, se solo scegliessimo di vivere in armonia con la natura 12• Le forme urbanistiche e strutturali-edilizie di Soleri si rifanno evidentemente alle strutture antropomorfiche e mu scolari, riproponendo per questa tendenza dell'architettura visionaria il legame alla nozione di empatia. Cosicché anche nell'ambito di progetti per ora irrealizzabili è possibile estendere la nota distinzione fra astrazione ed einfiihlung proposta dal W orringer, considerata da molti fondamentale per la comprensione del Movimento Moderno in architettura e nelle arti figurative. Altrettanto organica è la cultura che sostiene i progetti utopistici del gruppo giapponese Metabolism, anche se la loro ricerca nasce a differenza di Mesa city da una precisa e drammatica realtà sociologica, qual è quella della densità dell' area urbana giapponese e la necessità di ricavare nuove superfici di espansione urbanistica dal mare, basando si sulle più avanzate possibilità della tecnica contemporanea. La nostra concezione per la città del futuro - scrive Ka wazoe del gruppo Metabolism - deve essere tale da com prendere in sé il disordine, da ricavare in mezzo ad esso un nuovo ordine... Lasciateci nutrire innumerevoli nuove utopie, lasciate che si facciano proposte senza fine, così che ognuno possa essere stimolato a un progressivo arric chimento e chiarificazione... Lo sviluppo della città deve essere promosso in pieno accordo con il metabolismo della civiltà e della natura. O, piuttosto, lo sviluppo della città deve identificarsi e accelerare i precedenti verso una dire zione superiore e più alta 13• Da quanto precede risulta che l'architettura fantastica, con i suoi disegni e modelli, in alcuni casi anticipa l'avan guardia architettonica, ma molto spesso, come s'è detto, è la stessa poetica delle avanguardie a produrre lo sfondo culturale entro cui emerge l'attività dell'architettura uto20 pistica. In ogni caso, sia come anticipazione, sia in coinci-
denza, sia come fenomeno derivato l'architettura v1s10naria si distingue dai movimenti d'avanguardia essenzialmente per il suo carattere estemistico, paradossale, ipertrofico; per il suo accantonare e sospendere molte esigenze e limitazioni reali a vantaggio della unidirezionalità della ricerca, della esaltazione d'un particolare valore, sia esso espressivo, mi topoietico, tecnologico o altro. Sono evidenti, accanto al ri schio del disimpegno, dell'evasione, dell'inopportunità ana cronistica - limiti nei quali incorre la maggior parte della attività che studiano - anche i caratteri sempre vivi ed attuali di essa. Ciò che ad una prima considerazione - scrivono Con rads e Sperlich - può apparire ambiguo e strano, ad un esame più attento si trasforma in
ti
estremo •· E ciò è molto
diverso! L'estremo presuppone sempre il caso normale. Solo l'estremo rende chiari i motivi che nel
ti
caso normale •
a malapena possiamo distinguere H. Oltre a ciò, come dicevamo all'inizio, l'architettura fan tastica può offrire non poche indicazioni all'attuale ricerca, all'indefinita avanguardia contemporanea. Dal momento che gli architetti dividono con le altre persone la pienezza del mondo emozionale - osserva Drex ler - non sorprende che l'architettura visionaria corri sponde generalmente a tre tipi d'immagini da tutti intuiti vamente intese, così come il significato dei miti. La prima di queste tre categorie include tutte le costru zioni la cui forma rappresenta una destinazione, una meta al termine d'un viaggio. Tali edifici di solito derivano o hanno stretta relazione con l'immagine d'una montagna. La seconda categoria include costruzioni in qualche mo do correlate all'immagine d'un cammino. Più che una meta al termine d'un viaggio, esse esaltano il viaggio stesso. Variazioni di questo tema sono i ponti e altre strutture sospese o galleggianti... La terza categoria comprende gli edifici che non deriva-
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no né dalla immagine del viaggio, né da quella della meta, ma da forme che sembrano suggerire i magici oggetti con quistati dagli eroi della mitologia alla fine delle loro fa tiche... Le forme di queste costruzioni sono spesso tratte dalla geometria e la moderna tecnologia ne offre in ab bondanza. L'altra principale fonte d'ispirazione di questa categoria è la varietà delle forme trovate in natura ... I progetti visionari, come le forme ideali di Platone, gettano le loro ombre nel reale mondo dell'esperienza, dello spreco e della frustrazione. Se potessimo accettare quel che essi hanno da insegnarci potremmo cambiare transi torie nozioni di stile e irrilevanti realizzazioni tecniche con un'idea di architettura che accetta la componente emo zionale contenuta anche in questa rigorosissima disciplina. Visione e realtà potrebbero allora coincidere 15• Accettabile o meno la suddetta distinzione in tre catego rie (legittima come introduzione e guida per una mostra che raccoglieva le esperienze più eterogenee), il brano di Drexler interessa per l'interpretazione mitopoetica e semantica della architettura visionaria. Questi ultimi aspetti, nonostante la tendenza ed il clima demitizzante in cui viviamo, sono, a nostro avviso, le caratteristiche più attuali dell'architettura utopistica e le indicazioni fra le più utili per la vera e propria ricerca architettonica. Non credo - osserva Argan - che oggi possa stabilirsi il grado dell'attualità dell'arte dal suo grado di demitizza zione. Per quanto il mio punto di vista sia laico, ritengo che il mito sia ineliminabile dall'esistenza umana e che la maggior novità dell'arte odierna consista, in ultima analisi, nella surrogazione di miti artificiali ai miti natu rali 16• La ricerca di un nuovo linguaggio architettonico, una volta istituzionalizzati o consumati i residui espressivi che la moderna tecnologia offre, una volta definiti i temi pratici 22 e sociologici da assolvere (anche se da essi possono ancora
derivarsi indicazioni linguistiche) non' può non associare, fra l'altro, una componente mitopoetica all'immagine archi tettonica, non può dissociare dal mito una nuova semanticità. Mentre quasi ogni cosa sembra tecnologicamente possibile oggi, il problema di cosa costruire per la nostra società costituisce il maggior ostacolo, si legge nell'annunzio della mostra Visionary Architecture dato dalla rivista Progres sive Architecture nell'ottobre 1960. Immagine, dunque - scrive Dorfles - che • sta al po sto di ,., che viene a sostituire, a simbolizzare, a •mitizza re ", qualche aspetto della nostra situazione esistenziale, della nostra esperienza giornaliera. E allora perché discorrere di demitizzazione? Perché non affermare piuttosto il verificarsi d'un trasferimento mitologico dal campo dell'arte •pura• [...] a quello del l'arte (o pseudo-arte) destinata alla diffusione attraverso i mass-media? L'unica salvezza possibile per l'arte futura - e, ovviamente, per l'attuale - è nella sua capacità di ricostruire un suo mito, anzi, meglio di •fissarlo• ! L'architettura utopistica, questo epifenomeno della cul tura architettonica, ove si eccettui l'ovvio limite dell'evasio ne, può servire dunque alla ricerca d'avanguardia per le sue indicazioni sperimentali, mitopoietiche, linguistiche, seman tiche, per il suo carattere di autonomia.
1 A. DREXLER, Introduzione alla mostra Visionary Architecture svol tasi dal 29 settembre al 4 ottobre 1960 al Mu.seu.m of Modem Art di New York. All'esposizione, allestita successivamente in altre città americane, erano presenti opere di Poelzig, Taut, Finsterlin, El Lis sitzky, Kiesler, Le Corbusier, Wright, Fuller, Kahn, Entwistle, Mazet, Fitzgibbon, Sides, Katavolos, Webb, Soleri, Kikutake, Kurokawa. Pubblichiamo qui per intero, l'introduzione di Drexler.
«The history of architecture includes many great projects never intended to be built. There is indeed a «paper» architecture unham pered by technical details, uncompromised by the whims of patrons, and freed from the e:rigencies of finance, politics, and custom. Such visionary projects afford the architect an opportunity to rebuild the world as he knows it ought to be, and it is the world that the architect - visionary or otherwise - really wishes to change.
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Merely to be le� m\built does not qualify a pro;ect as visionar·y. Some pro;ects are more truly described as fantasies. They please us ;ust because they are superfluous, like the delightful, endless colonnades drawn by Piranesi, or the animated architectural scu.lp tu.res sketched by Eric Mendelsohn. And sometimes a design is visionary only in that it announces a development already under way, as did Mies van der Rohe's 1919 study for a glass skyscraper. The true visionary pro;est 'ILSuaiUy combines a strong persona! pre fe-rence for certain forms with a critical responce to the established social order. In the past such pro;ects were considered unbuildable for one or both of two reasons: they may have been technologically impossible to execute at the time they were designed; or society could find neither the ;ustification nor the money for their constru ction. Today almost anything an architect can think of is techni cally possible to bui!d. Social usage, with includes economics, deter mines what is visionary and what is not. Here is an instructive example from the recent past: When buildings for th.e United Nations we-re in the discussion stage, the architect Percival Goodman observed that New York City did not need more skyscrapers but could make goods use of a park. He offered two solutions: that all United Nations offices be grouped in a long low building bordering the East Rive-r and leaving most of the site unoccupied, with housing and hotel accommodations across the rive-r accessible by ferry service; or, that offices and assembly halls be accommodated in a single continuous building only a few stories high but covering the entire site. Its roof would be planted to make a park, and four residential and hotel towers for United Nations pe-rsonnel would rise above it. When the United Nations buildings were designed Goodman's ideas evidently seemed imprac tical, but events have since confirmed the precision and realism o/ his analysis. Quite often the architec's ideal is practical enough but does not inspire enthusiasm in others. Some visions strike us as painful 01· unhappy. Ludwig Hilbe-rseimer's depopulated city, in which million eyed buildings stare while furtive automobiles scurry along the bot tom of a chasm, is a vision that confirms Franz Kafkas's worst fears. Sometimes reality overtakes and indeed supasses such ideas, as Hilbe-rseimer's vision has been surpassed by New York's housing projects. The frequency which su.eh disturbing images occu.r is a clue to the emotional content of architecture, visionary or otherwise. Architects usually justify their work by citing practical reasons for it: economy, climate control, functionalism, the expression of struc ture - all manner of rationalizations ( some of them entirely con vincing) may be placed by the architect like a veil between the world and his priva.te vision. But the fact remains that good architects build what they want to see. And since architects share with other people the full complement of emotions, it is not suprising that visionary architectu.re corresponds gene-rally to three kinds of images everyone intu.itively understands, much as we understand the mea ning of myths. The first of these three categories includes ali buildings the forms of which represent a destination, a goal a.t the end of a ;ourney. Su.eh buildings usually derive from, or are related to, the image of a mountain. Logical variations are ca.ve-like interiors; the hollow mountain and the concealed underground city, difficu.lt of a.ccess, are characteristic visionary themes.
The second categO'Ty includes buildings which in some way ,-elate to the tmage of a ,-oad. Rather than the goal at the end of a journey, such building celebrate the journey itself. Variations on the theme include bridges and other suspended or floating structures. Some times mythical journies taNe place in mid-air, 1U1 they often do in our dreams, an.d modem technology hCl8 made levitation acceptable to the con.scious min.d. The third category comprises those builiding derived neither from the image of the journey its goal, but from forms which seem to suggest the magica! objects heroes of mythology win at the end of their labors. Such vision.ary a,-chitecture strives to make a buil ding intricate, precious an.d unrelated to any practical pu,-suit. The forms of such buildings are often drawn from geometry, an.d modem techn.ology offers them in abun.dance. The other chief source of in.spiration within this category is the variety of forms foud in nature; the study of the p,-ocesses by which life evolves has suggested a world of convoluted an.d vaguely organic structural forms. But few visio n,a,-y p,-ojects are derived exclusively from either organic or geome trie form; when vision.ary architecture becomes insistently one or the other it his left the .,-ealm of play to become a compulsive ·pat tern of Tepetitive activity, in which the « journey» is postponed an.d the « goal » avoided. Vision.aTy projects, like Plato's ideal forms, cCl8t theiT shadows into the Teal world of experience, expense and frustation. If we could accept what they have to teach we might exchange tran.sient notion.s of style, an.d irrelevant Tationalization of technique, for an idea of architecture that accep to the emotion.al content un.derlying even this most rigorous of disciplines. Vision and Teality might then coincide. 2 A. PERsITZ, ATchitectures fanwtiques in e L'Architecture d'Au jord'hui > n. 102 giugno-luglio 1962, dedicato all'architettura fan
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tastica.
• V. CoNlW>S e H. G. SPERLICH, Phantastische A,-chitektur, Hatje, Stuttgart - nel risvolto della sopraccoperta. • R. POGGIOU, Teoria dell'aTte d'avanguardia, il Mulino, Bologna, 1962, p. 'l:l. • R. POGGIOLI, Op. cit. p. 82. • R. POGGIOLI, Op. cit. p. 84. 1 O. M. UNCERS, Espressionismo e architettura, comunicazione al Convegno Internazionale di Studi sull' &pressionismo, Firenze, 18/23 maggio 1964. • J. M. JAcoeus, Jr. voce R. B. Fuller in Encyclopedia of modem architectuTe, Thames & Hudson, London, 1963, p. 111. • CoNlW>S e SPERLICH, Op. cit., pp. 25-26. 1 ° Cfr. B. ZEVI, Frank Lloyd Wright, Il Trionfo dell'utopista, in e l' &presso > 19 aprile 1959. 11 Cit. in P. BLAKE, The fanwtic world of Paolo Soleri, in e Archi tectural Forum>, febbraio 1961. 12 P. BLACKE, Paolo Soleri's vision.ary city, in e ATchitectural Form > marzo 1961. " N. KAWAZOE, The city of futuTe in e Zodiac > n. '9. " CONRADS e SPERLICH, Op. cit., nel risvolto della sopraccoperta. ,. A. DREXLER, Op. cit. " C. G. ARGAN, l'informale nella situazione odierna in Demitizza zione e immagine, Cedam, Padova 1962, p. 106. 11 G. DoRFLEs; Tendenze mitopoitiche e iconoclastiche, in Demitizzazione e immagine, cit. p. 116.
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La sociologia dell'arte dei sociologi ANTONIO VITIELLO
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La cultura italiana ha scoperto la sociologia e nutre per essa un entusiasmo sospetto, tanto è incontrollato ed aperto agli equivoci. Per alcuni la sociologia è un genere letterario ed, insieme, un'occasione per pasticciare sulla pa gina le proprie conoscenze enciclopediche; per altri, invece, è un modo di porsi in maniera non dilettantesca e cultu ralmente avvertita il problema dei rapporti tra arte e società; tuttavia è da notare che sia gli uni che gli altri ignorano, o sottovalutano, un dato importante dell'attuale situazione degli studi. In un altro punto del mondo della cultura c'è chi comincia a criticare i portatori di istanze sociologiche, non perché peccano di e sociologismo > ma perché, in un certo senso, ne difettano. È in gestazione la sociologia delle arti fatta dai sociologi. Si sta verificando quanto è già accaduto per altri cam pi di applicazione della sociologia, come il diritto o la educazione. In una prima fase di missione alcuni giuristi ed alcuni pedagogisti si fecero portatori di determinate istanze sociologiche, rimanendo comunque nell'ambito delle loro discipline per quanto riguarda le tecniche di ricerca, di tipo storiografico e descrittivo, e mutuando volta per volta dallo storicismo, dal marxismo, dal positivismo o dal pragma tismo una non troppo elaborata teoria della società, densa di equivoci e di inflessioni normative. Si ebbe così una sociologia del diritto fatta dai giuristi ed una sociologia dell'istruzione fatta dai pedagogisti. La seconda fase, quella attuale, è caratterizzata dagli
intenti puristi di una generazione di sociologi specializzati, che si impegnano ad applicare concetti e metodi di tipo sociologico nel campo del diritto e dell'istruzione, lasciando che i risultati del loro lavoro esprimano da soli la loro portata sui problemi giuridici e pedagogici. A nostro avviso questo percorso è esemplare anche per la sociologia delle arti. In dipendenza dal ritardo e dalla carenza di interesse scientifico da parte dei sociologi spe cializzati, si è sviluppata, infatti, una sociologia e supplen te > che, pur avendo spesso un elevato interesse culturale, appare assai discutibile se commisurata alle esigenze della metodologia sociologica propriamente intesa. Quali sono i tratti che distinguono la sociologia dei e supplenti > da quella dei e titolari > ? 1. - LA SOCIOLOGIA DEI FILOSOFI. I rapporti tra la sociologia e la filosofia sociale del l'arte si prospettano in maniera tutt'altro che pacifica, anche se bisogna distinguere le estetiche sociologiche descrittive da quelle normative: le prime, infatti, affermano l'in fluenza della società sull'arte o anche dell'arte sulla so cietà, in quanto è un fatto, una realtà controllata, non sta bilita in anticipo, le seconde, invece, propugnano l'influenza dell'arte sulla società come un fine, un dover essere, un rapporto a priori1• Orbene, l'estetica normativa è la più lontana dall'ideale metodologico della nuova sociologia, non solo perché formula proposizioni che sfuggono troppo spesso ad ogni possibilità di controllo intersoggettivo, non solo perché non ha interesse ad istituire o ad incoraggiare la ricerca sociale autonoma, ma anche e soprattutto perché la sociologia è scienza d'osservazione ed indaga il rapporto arte-società in quanto constatabile di fatto e non affermato o negato prima dell'indagine. La sociologia empirica tiene separato ciò che è da ciò che dovrebbe essere, il dato
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induttivamente accertato ed analizzato ed il valore: l'os servabile è considerato in quanto esistente e non parteci pato in quanto esiste. Per questi motivi la sociologia non pone precetti all'attività artistica o al giudizio, come fa ogni estetica normativa, i giudizi sull'opera d'arte in sé e sulla sua struttura non sono di competenza della socio logia dell'arte 2• L'estetica sociologica normativa rappresenta quindi la più buia e nebulosa preistoria della sociologia delle arti, modernamente intesa. Ben diversamente l'estetica descrittiva non solo tiene meglio separato il fatto ed il valore, l'esistente ed il desi derabile, non solo non ha in sé elementi di contestazione verso un lavoro di ricerca sociale autonomo - i cui risultati non siano aprioristicamente scontati ed i cui presupposti e metodi siano autocorregibili - ma, addirittura, sembra ri solversi, quasi per interna necessità, in una fenomenologia del sociale. Ma in tal modo l'estetica descrittiva, nota il Morpurgo-Tagliabue, rischia di diventare superflua 3• Il gruppo delle estetiche descrittive appare, quindi, come la fase mediana di un processo di scomposizione della filo sofia sociale dell'arte, che la sociologia può portare a ter mine e che rappresenta solo un momento della più gene rale crisi che investe attualmente l'estetica filosofica. Un'ultima importante differenza riguarda il diverso peso che l'analisi concettuale ha nel lavoro dei filosofi, dove è preminente, ed in quello dei sociologi, dove si riveste di particolari significati. Nella analisi concettuale (così come praticata · da tanta filosofia) i concetti valgono non già come strumenti per istituire, condurre avanti e con trollare indagini particolari in un campo determinato di ricerche, ma come realtà ultime che, una volta ricono
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sciute come tali, forniscono le premesse infallibili di di mostrazioni necessarie, che non hanno bisogno di essere messe alla prova dei fatti... Nella migliore delle ipotesi (l'analisi concettuale) non fa che effettuare generalizza.
zioni imperfette, a partire dall'esperienza sociale amorfa del filosofo che la istituisce o dalle esperienze sociali cri stallizzate nella tradizione di pensiero cui egli appartiene 4• Per questi motivi la sociologia delle arti, come specia lizzazione della sociologia scientifica, non può sottoscrivere l'affermazione, spesso ripetuta, che se la filosofia: produce alcune verità fondamentali concernenti i Tapporti dell'uo mo con altri uomini e degli uomini con l'universo, neces sariamente tali verità devono ritrovarsi alla base stessa delle scienze umane e, in particolare, nei loro metodi 5• In tal modo si può fare solo una sociologia ancillare, i cui risultati sono determinati in anticipo dalla parte generale o metafisica di un qualche sistema. La sociologia scientifica non ha bisogno di ottenere dalla filosofia la sua licenza d'esercizio. 2. - LA SOCIOLOGIA DEGLI STORICI.
I rapporti tra la sociologia e la storia sociale dell'arte appaiono a prima vista suscettibili di sviluppi fecondi, più di quanto non accada per la filosofia dell'arte. Sociologia e storia sociale dell'arte vanno coltivate senza antagonismi e polemiche inutili, dal momento che è impossibile la loro sintesi ed è impossibile la riduzione dell'una all'altra, sia nel senso che la storiografia, come forma di conoscenza pri vilegiata comprenda e inglobi la sociologia, sia nel senso che quest'ultima, ponendosi come superscienza, chieda alla storiografia di morire e trasfigurarsi. Senza perpetuare le improduttive risse intellettuali del passato, le due discipline devono riconoscere, accanto alle molte simiglianze che le uniscono, le profonde differenze che le separano. I settori più avanzati della sociologia contemporanea non coltivano più il pregiudizio scientistico secondo il quale il lavoro storiografico si riduce, al più, in una raccolta di materiali da passare al sociologo perché ne estragga le
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e leggi >; d'altra parte gli storici più avvertiti affermano l'autonomia della ricerca storica sulla base degli specifici problemi di metodo della loro disciplina, e non su quella di una metafisica storicistica, che sostenga l'identità di Realtà e Storia, o di una metafisica di tipo nominalistico che affermi il carattere individuale ed irripetibile dell'og getto proprio della storiografia. La prima autentica distinzione, che bisogna richiamare alla mente, è quella che si può porre tra il lavoro delle scienze storiche e quello delle scienze sociali analitiche. L'obbiettivo delle scienze del primo gruppo è di arrivare alla comprensione, il più possibile completa, di un com plesso di fenomeni storici concreti o di un fatto singolo. Questa distinzione è valida indipendentemente dall'essere il fenomeno storico in questione un oggetto naturale, od un evento, un individuo umano, un atto o un sistema di atti, un sistema di rapporti sociali o un tipo di gruppo sociale. In ciascun caso la spiegazione richiederà impli citamente, se non esplicitamente, che sia fatto riferimento alle categorie teoretiche di una o più scienza analitiche... Le scienze analitiche mirano invece a sviluppare un siste ma chiuso di teoria... Il ruolo dello schema di riferimento pone (allora) un problema: il suo uso richiede una distin zione, implicita o esplicita tra due classi di dati, quelli che sono problematici e quelli che non lo sono nei confronti del corrispondente sistema analitico, cioè rispettivamente i valori della variabili e quelli delle costanti 6• Ad esempio, l'economia politica è una scienza analitica e per ciò stesso si differenzia dalla storia economica, con la quale pertanto è in proficui rapporti di scambio: un rap porto analogo si può stabilire, con vantaggio di ambo le parti, tra la sociologia e la storia sociale. L'opportunità di questi scambi è riconosciuta da molti storici, i quali auspicano un più stretto contatto con le scienze sociali, al fine di esaminare gli strumenti concettuali che esse im-
piegano e le possibilità che tali strumenti possono apri re alla ricerca storiografica. Generalmente si tratta di au tori favorevoli ad una storia delle istituzioni, dell'econo mia, del mutamento sociale, la cui realizzazione comporta specifiche competenze in una o più scienze sociali 7• Ma se si ripercorrono, invece, le opere di storiografia artistica di ispirazione sociologica, dallo Hauser
(Storia
sociale dell'arte, Torino, 1964), allo Antal (La pittura fio rentina ed il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento, Torino, 1960), al Meiss (Painting in Florence and Siena after the Black Death, Princeton, 1951), allo Evans (Art in Medioeval France 981-1498, London, 1948) , non può non risultarne evidente l'insufficienza, se commi surate allo stato delle scienze sociali loro contemporanee. Si può rimproverare, infatti, agli autori citati l'adozione di schemi esplicativi presi a prestito, il più delle volte, dalla filosofia della storia e della società, o provenienti da un'in forme ed episodica intuizione personale, anziché dalle con temporanee teorie sociologiche. Se
è accettabile la metafora
secondo la quale la sociologia può fornire allo storico, inte ressato a tracciare la fisionomia dei fatti sociali, un'ana tomia ad una fisiologia della società, si potrebbe dire che gli autori citati si sono serviti di Vesalio e di Fabrizio d'Acquapendente. Un simile rilievo
è meno valido per Pierre Francaste!
il quale, più di ogni altro, mostra di conoscere la produ zione delle scienze sociali contemporanee. Ma nei volumi del Francaste! si trovano più spesso citati i Mauss, i Leenhardt, i Balandier, i Lévy-Strauss: etnografi ed antropologi cultu rali più che sociologi, e la sua scelta ci ·sembra significativa rispetto ad un particolare ed importante problema. La storia sociale dell'arte
è stata, almeno fino ad oggi,
generalmente ergocentrica 8, ha gravitato intorno alle opere d'arte sforzandosi di descriverle, analizzarle e valutarle. Francaste! stesso ha descritto di recente: Il fine di una so-
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ciologia dell'arte è... di descrivere, da una parte, serie di og getti figurativi, mostrando come gli elementi di cui sono co stituiti appartengono ad un certo ambito di civiltà e, d'al tra parte, definire le regole di rapporto secondo le quali le immagini virtuali sono comunicabili da individuo ad individuo, radici, ad un tempo, di leggi incluse negli oggetti figurativi, e di leggi dello spirito 9• Orbene, Francaste! non avrebbe mai trovato nella let teratura sociologica contemporanea un sostegno a queste sue affermazioni, in quanto la sociologia si presenta come scienza del comportamento, antropocentrica, e non come scienza degli artefatti, ergocentrica. Nei volumi di etno grafia e di antropologia culturale si trova, invece, l'analisi del patrimonio ergologico dei popoli studiati, patrimonio che comprende tra i vari manufatti anche gli e oggetti figu rativi> : su queste esperienze Francaste! ha modellato molte sue posizioni. La sociologia del brillante autore francese rimane nel l'ambito della sociologia dei supplenti, proprio per il fatto di non essere riuscita a spostare il proprio centro di gravi tazione dalle opere ai comportamenti umani, fino al punto di capovolgere la propria prospettiva: in ciò porta i segni della formazione professionale del suo cultore, il quale, d'altra parte, ha optato per una sociologia degli storici supplenti affermando che la sociologia è tanto più efficace quanto più si avvicina ai fatti della storia 10• Noi diremmo che, quanto più si avvicina alla storia, tanto più diventa un inutile doppione, comunque non si giustifica, al Fran caste!, il denominare e sociologia dell'arte> la sua ottima storiografia. 3. - LA SOCIOLOGIA DEI SOCIOLOGI. 32
La differenza più vistosa tra i metodi tradizionali di studio delle arti (e fra questi comprendiamo anche la storia
sociale) e la sociologia empl1'1ca dell'arte sta, come si è già accennato, nel fatto che mentre i primi sono centrati sulle opere d'arte, la seconda è centrata sul comportamento arti stico, e non potrebbe essere altrimenti. Le teorie sociologiche contemporanee sono essenzialmen te schemi per l'analisi del comportamento, quindi una so ciologia delle opere d'arte in quanto tali è impossibile come una sociologia delle macchine utensili o della natura. Opere d'arte, torni, alberi appartengono alla vasta classe degli oggetti, che rappresentano per la teoria sociologica dei da.ti non problematici, rappresentano delle costanti che rimangono in zona d'ombra perché, come si è detto, la so ciologia è una scienza analitica che isola solo certe va riabili rilevanti per un dato sistema di teoria. In una delle maggiori opere teoriche contemporanee11 gli oggetti, naturali e fatti dall'uomo, sono definiti negativa mente nei termini di quello che non sono, come categorie residue. Essi non interagiscono con altri agenti sociali, non costituiscono e non possono costituire gli altri di fronte ad un soggetto, essi non hanno atteggiamenti ed aspettazioni nei suoi confronti. In altre parole le opere d'arte costituiscono dati non problematici per le scienze del comportamento, per ché non sono e non possono essere soggetti attivi, e: attori sociali >, persone. Quindi, ogni studio ergocentrico che si presenti come sociologia meglio si definirebbe, per evitare confusioni, come storia sociale, filosofia sociale, estetica, semiotica od altro che non sia sociologia. Lo studio ergocentrico esula per defi nizione dall'ambito della scienza della società, i cui postu lati teorici portano ad ignorare le opere, se non in quanto riflesse in un atteggiamento o implicate in un rapporto di interazione tra esseri umani; altrimenti esse rimangono e: fuori campo >. Quali sono allora le nuove prospettive di ricerca, dal momento che per lo studio delle opere la sociologia non
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solo · è male equipaggiata rispetto ai metodi intrinseci di studio, ma esce addirittura fuori del suo campo? È stato scritto che l'arte e la società non si fronteg giano, l'arte è nella società 12, ed in verità è assai facile concordare con questa affermazione se si riflette un attimo su quelle professioni e quelle istituzioni che si interessano esplicitamente dell'arte. L'elenco potrebbe cominciare dagli istituti di istruzione artistica per continuare con le professio ni artistiche, dalle più nobili alle fabbrili, fino a comprende re gli ordini e le associazioni professionali. L'elenco dovreb be, inoltre, comprendere i committenti,· i collezionisti, i clienti occasionali, i mercanti d'arte, i mediatori, gli impresari edili, i patroni e, ancora, lo stuolo dei critici, dei conoscitori, degli studiosi a vario titolo di cose d'arte. Non vanno dimenticati, infine, gli enti espositori, le gallerie d'arte moderna, i premi, i. concorsi, i musei e tutte quelle istituzioni preposte alla conservazione, alla tutela ed alla mostra di opere d'arte. Si tratta quindi, di un vasto insieme nel quale il sociologo può progettare le sue . ricerche, ponendosi le stesse domande e cercando le risposte con gli stessi strumenti utilizzati in altre aree di studio. Ma, in un campo tanto vasto ed inesplorato, su quali unità d'indagine è opportuno concentrare le prime energie disponibili? La sociologia delle arti potrà e decollare > solo ponendo alla base delle proprie · ipotesi . di lavoro la teoria sociologica, ed evitando di fa:11e ricerche dipendenti esclu-. sivamente dalle possibilità tecniche a disposizione. Spes so, infatti, le tecniche di ricerca (interviste, questionari, osservazioni dirette, scale,· tests sociometrici ecc.) ven gono presentate come il contributo peculiare del socio logo, dimenticando che esse sono strumentali rispetto ai concetti ed alle formulazioni di una teoria. La ricerca non orientata porta solo alla inconsistente collezione dei dati, ad una sociografia più o meno statisticomane che non favorisce 34 il progresso della disciplina.
In una strategia della ricerca, a nostro avviso, la prio rità va data allo studio dell'attività di quanti praticano le arti come professione unica o principale. Studiare l'attività artistica come professione, significa, in un certo senso, at traversare in tutta la sua estensione il campo d'indagine· della sociologia delle arti; significa gettare luce, necessaria mente, su tutti i ruoli complementari, su tutta la com plessa rete di interazioni sociali nel quale l'artista, come ogni uomo, è quotidianamente impigliato. Si potrebbe studiare il percorso lavorativo dei profes sionisti delle arti cominciando dalla sede della loro forma zione, la scuola, dove operano i meccanismi per l'appren dimento del ruolo e l'interiorizzazione dei valori della pro fessione. Quali comportamenti gli istituti di educazione artistica
pretendono,
vietano
o
permettono agli allievi,
come ne modellano la figura professionale, che tipo di al lievi, a preferenza di altri, essi promuovono e selezionano? Come funzionano i meccanismi che determinano il suc cesso professionale degli artisti? Essi coincidono o no con quelle istituzioni e quei ruoli che hanno il potere di distri buire ricompense e privazioni, come le giurie, i critici in fluenti, le gallerie d'arte moderna? Sono domande alle quali la sociologia può dare risposte soddisfacenti, sempre che sia possibile istituire delle ricerche sul campo. Particolare interesse riveste, dal punto di vista socio logico, lo studio delle condizioni organizzative nelle quali si volge l'attività artistica. La professione può essere eserci� tata come lavoro indiviso e personale, artigianale, oppure come lavoro di gruppo e, quindi, diviso in funzioni · che si integrano in un risultato collettivo. Non è difficile ricono scere in queste due condizioni l'artefice in senso stretto ed il progettista, il pittore davanti alla sua tela ed il designer nel suo team work. II tipo di divisione del lavoro è collegato
alle poetiche? Incide sulle norme e sui valori che guidano il comportamento di artefici e_. progettisti?
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Interessanti contributi, a nostro avviso, la sociologia può dare nello studio del comportamento artistico innova tivo. La teoria della devianza ci dice che l'innovazione implica sempre uno scostamento da una linea di condotta istituzionalizzata, ed espone l'innovatore al rischio ed al peso della sanzione sociale. In quali condizioni gli artisti decidono di innovare? Quali sostegni e quali oppos1z1oni trovano nell'ambiente prossimo che li circonda ed in qual modo le deviazioni dagli standards accettati si istituziona lizzano a loro volta? Sotto il profilo formale il meccanismo della innovazione artistica, probabilmente, non è molto di verso dal meccanismo dell'innovazione economica, almeno com'è stato illustrato da Schumpeter, che ha avvicinato espli citamente l' imprenditore economico innovatore a quanti hanno preso decisioni creative nel campo della politica, della religione o della cultura 18• Ci siamo posti delle domande senza pretesa di com pletezza, solo per indicare alcune linee d'indagine, alcune prospettive nelle quali la sociologia delle arti può dare risposte soddisfacenti. Essa ci permette di storicizzare il presente, di considerare gli artisti nostri contemporanei im pegnati nel mondo, nella quotidianità dalla quale emergono le loro opere. La sociologia ci permette di fare sul vivente, con il rigore e l'attendibilità di una metodologia scientifica, quanto già si sta facendo per il passato con altri mezzi. È incredibile, ma noi sappiamo di più e meglio sui rapporti. tra il principe rinascimentale e gli artisti da lui protetti, di quanto non si sappia sui rapporti che intercor rono tra i professionisti delle arti e quello che Gramsci chiamava e il · moderno principe >, il partito politico. Ep pure tutta la problematica dell'engagement è un conflitto tra ruoli, una tensione tra i valori della professione e la ideologia politica integralista: un problema eminentemente sociologico. 36 Grazie a Rosario Assunto conosciamo la critica d'arte
quale veniva praticata nel Medioevo e non solo negli aspetti verbalizzati, ma anche in quelli comportamentistici 14• In verità l'Autore, estendendo il concetto di critica, fino a comprendere non solo il giudizio colto esplicito, ma anche i giudizi impliciti nella decisione di acquistare, distruggere, restaurare, rifare determinate opere, è sfociato in un campo propriamente sociologico, ha illustrato, cioè, i meccanismi del controllo sociale sulle arti di cui la critica, in senso stretto, è solo un momento. Quanto sappiamo sul controllo sociale nell'età nostra? In che modo si verifica e quali stra tegie d'indipendenza hanno gli artisti? 15• Non lo sappiamo e non cercheremo di saperlo fin quando non avremo un concreto interesse per l'oggi, perché, diversamente, la so ciologia non decolla, essa è scienza del presente. Il presente è... il momento storico nel quale vivono i contemporanei... è quell'arco di tempo, dai confini estremamente mobili, di cui gli storici di mestiere diffidano di scrivere già la storia, non solo perché mancano i documenti indispensabili, ma anche e soprattutto perché avvertono che si tratta di un processo ancora in pieno svolgimento e del quale essi stessi sono attori e partecipi 16• Se è vero, tuttavi!:I, che la sociologia delle arti non ha ancora effettuato il e decollo >, non si può ignorare che, almeno, ha e acceso i motori >; ma sono ancora molte le resistenze e le inerzie che deve vin cere 17• 4. - SOCIOLOGI E CENTRI DI DECISIONI CULTURALI. Nel processo di espansione e di sviluppo di una disci plina può capitare che le sue divisioni e specializzazioni ab biano un incremento differenziale, per cui mentre l'una appare, sotto il profilo teorico e sostantivo, saldamente costi tuita, l'altra è cronologicamente sfasata, impedita ancora da difficoltà spurie, avvilita da complessi, oggettivamente trascurata. Una simile considerazione vale per la sociologia
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che ha lasciato incolto ed abbandonato alle erbacce un cam po di studi come quello delle strutture e dei processi sociali connessi alle arti, mentre in altri campi si assisteva ad un fierire di ricerche lussureggiante. La bibliografia interna zionale in materia di sociologia delle arti è assai esigua: per quali motivi la disciplina ha accumulato un così mode sto patrimonio di conoscenze teoriche e di risultanze di ricerca? Il sottosviluppo della disciplina va riportato a due ordini di fattori: interni, quelli imputabili ai sociologi stessi; esterni, quelli che rimandano alla più vasta società. Fra i primi ricorderemo che i settori-guida delle scienze sociali sono piuttosto lontani dai problemi connessi alle arti, co sicché essi non rientrano generalmente nella formazione professionale dei sociologi e rimangono estranei agli inte ressi istituzionalizzati nella comunità scientifica, cosicché il loro studio non riceve una consistente promozione ac cademica. Fra i fattori esterni ricorderemo che non esiste ancora una « domanda > sociale da soddisfare, dal momento che i centri di decisione culturali, che potrebbero essere interessati al lavoro del sociologo, sono ispirati alla routine amministrativa e non ai criteri di un management moderna mente inteso, impegnato sul piano della vita civile e su di essa efficace ed incisivo. Questo discorso, valido in generale, vale ancor più nel nostro paese dove i fattori del sottosviluppo della sociologia delle arti risultano particolarmente enfatizzati. Da una par te, non esiste ancora una generazione di sociologi professio nisti, e la sociologia non ha ancora sufficienti ricono scimenti accademici, anche per via degli autorevoli anatemi neo-idealistici (certamente pertinenti se riferiti a quelle controfigure della sociologia bambina alle quali furono il più delle volte indirizzati); e delle ostilità di quei dottrinari che fanno il viso dell'armi alla e sociologia borghese> o predicano l'Uomo come ineffabile punto mistico sul quale slit38
tano, per ragioni ontologiche, gli strumenti ·dell'analisi so ciale. D'altra parte una domanda sociale non esiste. Fin quando i musei continueranno a concepire la loro funzione in termini di deposito delle opere e di edizione di bollettini, e non la riformuleranno in termini dinamici, riconoscendo la loro autentica funzione di educatori del gusto, di media tori tra artisti e pubblico, di operatori culturali integrati alla comunità, essi non avranno bisogno delle conoscenze socio logiche per la formulazione e la strumentazione delle pro prie politiche culturali. Fin quando i professionisti delle arti si limiteranno a perorare la loro metafisica libertà e non si impegneranno a conquistare e a difendere la loro ter restre autonomia dai committenti, dagli impresari edili, dalla speculazione commerciale, servendosi delle loro associazioni professionali, queste non supereranno lo stato infantile e non avranno bisogno delle conoscenze sociologiche. Fin quando la Pubblica Amministrazione continuerà a gestire
il
patri
monio artistico e le istituzioni culturali ed educative se� condo la tradizionale .routine autoconvalidantesi, essa non avrà bisogno delle conoscenze sociologiche. Solo quando i policy-makers culturali decideranno di vivere nella società presente, si renderanno conto del pau roso vuoto di conoscenze attendibili che ci affligge e chie deranno a qualcuno di colmarlo. Solo cosl può formarsi una domanda per l'offerta del sociologo, ma occorre una
radicale modernizzazione dei centri di decisione culturali che, altrimenti, saranno battuti in partenza dalle organizza zioni commerciali interessate a ricerche di marketing e studi sulla motivazione all'acquisto di opere d'arte, 5. - INCIDENZA SULLA CRITICA E SULLE POETICHE. È stato detto che l'intento della sociologia di studiare scientificamente la società comporta inevitabilmente delle
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conseguenze sociali, chiama in causa le istituzioni, diret tamente o indirettamente mette in discussione credenze, consuetudini e comportamenti tradizionalmente accetta ti 18 e, ciò, nonostante la sociologia sia scienza d'osserva zione intenzionalmente indifferente ai valori (Wertfrei). Infatti non si può e non si deve ignorare che la separa zione tra fatti e valori è più facile ad essere affacciata come esigenza che ad essere realizzata nella ricerca, dal momento che, diversamente da quanto accade in fisica, la separazione tra sistema osservato e sistema osservante non è facile da mantenere e l'oggetto specifico della ricerca del sociologo, il campo su cui si muove come scienziato è lo stesso su cui si muove come persona 19• Tuttavia l'ufficio del sociologo vuole che le conseguen ze normative deducibili dai suoi studi, conseguenze inevi tabili per il nesso che unisce teoresi e prassi, siano svilup pate dagli uomini pratici o da lui stesso, in quanto uomo pratico e non nell'esercizio delle sue funzioni. Per queste ultime, infatti, egli pretende l'autorità dell'esperto, ma al di fuori di esse non ha più titoli di altri e, in quanto scien ziato, non può trasformare la sua scienza in dottrina, for mulando precetti per la critica o per l'attività artistica. Rispetto alla critica che Dewey clùamava e giudiziaria > gli studi del sociologo stanno in un rapporto analogo a quello che, nel procedimento giudiziario sussiste tra la pe rizia del tecnico e la sentenza del giudice: il giudizio tec nico e quello giuridico non coincidono, l'uno è irriducibile all'altro, ed anche se il parere dell'esperto serve a stori cizzare il giudizio, quest'ultimo è orientato in primo luogo dalle norme del diritto positivo.
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A nostro avviso è difficile fare arte o giudicarla senza una concezione del suo dover essere; tuttavia· in questo la sociologia dell'arte non c'entra, essa non potrà mai fondare una norma estetica, allo stesso modo che la sociologia
della morale non può fondarne una etica e quella della conoscenza non può proporre un canone o criterio di verità.
è t<�tahnente altro da quello este è insostenibile, quindi, ogni candidatura della socio
Il giudizio sociologico tico, ed
logia empirica dell'arte al ruolo infausto di estetica scien tifica o sperimentale che dia un fondamento razionale al giudizio. La sociologia può incidere sulla valutazione solo in quanto modifica le conoscenze del critico, solo in quanto può giovare all'esegesi del significato dei fatti artistici. La sociologica dell'arte può solo integrare quell' attrezzatura culturale che C. B. Heyl ritiene indispensabile al critico per metterlo in grado di comprendere gli oggetti della sua critica
20•
Se l'influenza della sociologia dell'arte sul giudizio cri tico
è solo indiretta, lo stesso accade per le poetiche. La
scienza sociale non propugna un dover essere dell'attività artistica, non obbliga ad un impegno sociale, essa arriva a cose fatte. Ai pratici delle arti la sociologia può solo fornire una maggiore autocoscienza della loro posizione e della loro funzione nella società, ed i vantaggi che il punto di vista dello spettatore rappresenta per chi è impegnato, co me attore, in determinate situazioni sociali. Questi sono i limiti della nuova sociologia, libera. ormai dagli equivoci che si annidavano nella sociologia scientista e riduzionista, fiorita nell'età d'oro del positivismo, quando apparve come l'ultima erede delle metafisiche. È proprio nella consapevolezza dei propri limiti che la nuova sociologia ritiene di potersi porre come scienza autonoma, dotata di propri strumenti e di propri criteri di validità, che fornisce uno specifico contributo alla conoscenza del mondo umano, senza pretendere di rispondere a tutte le domande, cosa che non è nelle facoltà limitate della mente umana, ma solo nei poteri di una mitica superscienza. ANTONIO VITIELLO
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1 Cfr. G. MoRPURGO-TAGLIABUE, L'ésteti.que contemporaine, Mar zorati, Milan. 1960, pp. 324-325. • Cfr. A. SILBERMANN, e Arte>, in Sociologia, (a cura di R. Koe ning), Enciclopedia Feltrinelli-Fischer, Milano, 1964, p. 29. • Cfr. G. MoRPURGO-TAGLIABUÉ, L'éstetique contemporaine, cit., p. 341. • Cfr. N. ABBAGNANO, e Filosofia e· sociologia>, in Problemi di Sociologia, Torino, Taylor, 1959, p. 13. • Cfr. L. GoLDMANN, Scien-ze umane e filosofia, Milano, Feltrinelli, 1961, p. 5 - Corsivo nel testo. • Cfr. T. PARSONS, La struttura dall'azione sociale, Bologna, Il Mulino, 1962, pp. 932-933. 1 Cfr. The Social Sciences in Historical Study. A Report of tlie Committee on Historiography. Socia! Sciences Research Council, New York, 1954. Bullettin 64. Il lettore italiano può trovare un dettagliato resoconto in P. Rossi: « Su alcuni problemi di metodologia della storiografia>, sta in AA.VV. Il pensiero americano contemporaneo, filosofia, epistemologia, logica, Milano, F.dizioni di Comunità, 1957, pp. 121-129. • Cfr. R. WELLEK e A. WARREN, Teoria della letteratura e meto dologia dello studio letterario, Bologna, Il Mulino, 1956, p. 91 • Cfr. P. F'RANCASTEL, Arte e significazione umana, in e De Homi ne>, n 5-6 p. 25. Per una più completa esposizione delle idee del Francaste! vedi il suo: e Problémes de la sociologie de l'art>, in Traité de sociologie (a cura di G. Gurvitch), Paris, P.U.F. 1960, Tome ll. 10 Riferito da G. MoRPURGO-TAGLIABUE, L'estéti.que contemporaine, cit., p. 349. 11 Cfr. T. PARSONS e E. A. SHII.s, Toward a general theory of action, New York - Evanston, Harper and Row, 1962. 11 Cfr. F. FEIIRARDTn, Per una sociologia dell'arte, in e De Homine >, cit. p. 234. 11 Cfr. J. A. SCHUMPETER, La teoria dello sviluppo economico, Nuova collana degli Economisti, vol. V, e Dinamica economica :o, Torino UTET, 1932, cap. n, § ili. " Cfr. R. AssUN'IO, La critica d'arte nel pensiero medioevale, Milano, Il Saggiatore, 1960. "Cfr. N. ABBAGNANO, e Arte linguaggio e società> in Possibilità e libertà, Torino, Taylor, 1956. Vi si troveranno osservazioni assai pertinenti, proprio dal punto di vista sociologico, sul controllo so ciale e la libertà nell'arte contemporanea. •• Cfr. G. GAI.Asso, Sociologia e integrazione europea, in e Nord e Sud>, dicembre 1960, n. 11-12, nuova serie. 11 Fra le ultime cose pubblicate si veda la e Revue Française de Sociologie>, Avril-Juin, 1964, vol. II, che contiene di D. Schnapper:· Photographie et peinture, uno studio su di un club di fotografi dillettanti bolognesi, e di R. Moulin: Un type de collectionneur le spéculateur, un interessante studio pilota sul collezionismo di spe culazione in Francia, condotto con molto maggior rigore del prece dente e ricco di promesse. Si tratta, infatti, di una ricerca pre liminare ad una vasta inchiesta per sondaggio. 11 Cfr. F. FE!IRAR01TI, La sociologia, Torino, ERI, 1961, p. 34. 1 • Cfr. F. FERRAROTrI, La sociologia, cit., p. 112 . ., Cfr. C. B. HEYL, Nuovi orientamenti di esteti.ca e di critica d'arte, Milano, Longanesi, 1948, p. 143.
Esperienza della Biennale È necessario riconoscere che questa XXXII Biennale offre un'immagine abbastanza fedele della ricerca artistica at tuale. Più esattamente diremo che essa riproduce, pur con qualche approssimazione difficilmente evitabile, le direzioni fondamentali e le linee di forza della situazione artistica, senza mutilare o contrarre eccessivamente la varietà dei fenomeni entro ingenui schematismi critici né concedendo troppo agli episodi più noti e clamorosi di questi anni. La mostra veneziana conferma, grazie anche all'intelli gente iniziativa dell' « Arte di oggi nei musei >, che ad una ricognizione estensiva il fatto più tipico, per la pittura in Occidente, alla fine della seconda guerra, è lo sfaldamento, l'interpenetrarsi delle varie tendenze figurative 1• L'infor male e le più recenti tendenze artistiche operano in que sto clima, nel quale anche
la
crudezza
di certe riprese e
recuperi tematici delle prime avanguardie si stempera in un comune atteggiamento vivace e spregiudicato nei metodi e nelle operazioni minazione.
In
di ricerca sino ai limiti dell'indeter
rapporto di stretta continuità con l'infor
male si pone quella vasta area di indagine che comprende, tra l'altro, il new dada. La prima impressione è che si tratti di un fenomeno genericamente classificabile · come revival e, pertanto, di un ritorno a fatti artistici di lunga
data anteriori all'informale: quasi un sondaggio critico delle origini stesse dell'avanguardia ed una riscoperta delle pos sibilità formali ed espressive in essa implicite. Tra in formale e nuova oggettività - scrive Barilli - c'è sì differenza di accenti, sfasamento di punti di vista, ma non vera e propria frattura. Per il resto entrambi i climi si situano sotto la bandiera dell'esistenziale: può entrare nei loro interessi solo
ciò che
esiste, che ha vita precaria e ef�
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fimera, in quanto emanazione a corto o lungo raggio, di questo nostro mondo, che è l'unico di cui possiamo disporre. Esistenziale ovviamente, e al più alto grado, la Materia e la Natura degli informali; ma altrettanto esistenziali le forme chiuse, le nozioni pulite dei loro più giovani seguaci: forme e nozioni (bicchieri, divani, automobili, sedie... ) irri mediabilmente contingenti e legate a questo nostro mon do, tutt'altro che ideali 2• C'è anzi da osservare che più diretta e genuina è di certo la derivazione dagli informali dei neo dadaisti, che non quella di certi neo figurativi. In fatti mentre nei primi il prelievo dell'oggetto si accom pagna ad una violenta rottura degli schemi abituali della esperienza, ad una energica effrazione dei contesti percettivi più comuni e convenzionali, operata a tutto vantaggio di una inquietante riscoperta del modo di essere originario dell'oggetto (e l'indeterminazione semantica, che deriva al l'immagine da questa sorta di discesa al nucleo originario dell'esperienza, è anche essa tipica dell'informale), negli altri permane non di rado l'inautenticità del dato figurativo, oscillante tra le sponde oramai inaridite dell'espressionismo e del surrealismo. &emplare è la posizione di Rauschemberg, quando si consideri che in lui, specialmente nelle opere anteriori al '63, l'utilizzazione dell'oggetto non dà luogo ad un processo di reificazione degli elementi dell'immagine, non segna, cioè, una caduta per inerzia nel mondo delle cose, ma se mai, una riduzione di queste alla loro realtà originaria. Il cammino all'indietro dell'artista non si compie lungo una linea oriz zontale, dal presente al passato, ma, diremmo, in verticale, nel presente medesimo, sì che il passaggio non è, diretta mente, da cosa a cosa, dalla realtà fenomenica all'immagine sfocata di essa, recuperata attraverso la memoria, ma una sorta di epochè al cui termine gli oggetti opachi del pre sente ricompaiono con una insospettata evidenza apodittica. 44
E tuttavia la presenzialità dell'immagine, lungi dal degra-
darsi a mera immediatezza sensibile, si costituisce in un orizzonte temporale dove, dalla ritenzione e dalla proten
zione (per adoperare dei termini husserliani), dalla durata stessa della percezione, nasce un gioco sottile di vaghe
rimemorazioni e anticipazioni. A nostro avviso è proprio qui la novità e la superiorità dell'arte di Rauschemberg rispetto all'esperienza informale: l'aver ridato alla imma gine una dimensione e un ritmo temporali ben più vasti e complessi di quelli che erano impliciti nella violenza del gesto o nel grumo materico dell'informale, senza per questo rinnegare l'autenticità del dato percettivo o introdurre mec canicamente in esso simboli e segni convenzionali. Le opere più recenti di Rauschemberg indiziano, nell'u so quasi sistematico della fotografia, un'esigenza di chiarezza e di determinazione semantica ma, nello stesso tempo, de nunciano un prevalere dell'intento informativo a danno del processo di epochizzazione degli elementi dell'immagine. La notevole carica di suggestione di queste opere ci sembra troppo immediatamente legata alle reazioni emotive provo cate dal reperto fotografico, sì che nasce quasi il sospetto di un ricorso alla tecnica antichissima della e mozione degli affetti >. La continuità materiale della superficie o l'uni formità di tono che l'artista raggiunge con l'uso di proce dimenti serigrafici conferiscono all'immagine un'unità più apparente che reale. Diversa da quella di Rauschemberg è la posizione di Jaspers Johns, legata ad un pittoricismo tradizionale, nel quale anche l'inserzione dell'oggetto assume valore di nota zione cromatica. In Johns l'oggetto si libera di ogni significato• primordiale o aggiunto, per porsi nell'immagine come grade vole materia pittorica. Non ci pare, perciò, che si possa parlare di una posizione equivoca presentata dal quadro bandiera che pone il quesito senza risposta: è una bandiera o un quadro? 8• Al contrario qui vien meno anche il carattere di ambiguità della rappresentazione, la sua dialettica
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di presenza-assenza, inclinando piuttosto, il temperamento di Jasper Johns, ad una definizione meramente decorativa dal fatto visivo. Troppo ingenuo sarebbe pensare che la tridimensionalità di molte opere di Johns possa costituire nella sua fisicità una valida difesa contro il pericolo della pura decorazione, la quale assorbe in sé, invece, con la stessa facilità, il colore, non di rado persino tonahnente accordato, e il barattolo o il pennello, inseriti in una strut tura ritmica così forte che ne annulla l'individualità: in tal modo non fa gran differenza che gli elementi della composizione siano dei numeri, delle stelle o degli oggetti prelevati dalla realtà. Con Jim Dine e Claes Oldt!mburg siamo più propriamen te nell'area della pop art;. della quale sarebbe stato interes sante poter avere, in questa Biennale, una più ampia docu mentazione comprendente, perlomeno, Lichtenstein, Warhol, Wesselman e Segal. Rinviando ad altra occasione un esame, che non sia affrettato e parziale, di questo fenomeno, diremo brevemente di Chamberlain che è stato da taluni critici as sociato a Dine e a Oldemburg. Il superficiale edonismo che caratterizza il suo atteggia mento è tanto evidente che meraviglia sentir parlare, a proposito delle sue opere di espressiva rozzezza o di una ricerca di nuovi aspetti della bellezza in una zona volgare dell'esperienza 4• Chamberlain è veramente un in truso nella schiera degli artisti del new dada e della pop art; egli appare piuttosto un epigono della scultura di materia, anche se questa, invece di farsi bella degli effetti della •ruggine, si riveste del luccichio delle vernici per auto mobili. Non crediamo di esagerare dicendo che l'interesse mag giore della sezione italiana alla Biennale sta nel fatto di offri re una testimonianza abbastanza convincente della situazione artistica di oggi, caratterizzata dalla coesistenza, tutt'altro 46 che antagonistica, di personalità e di tendenze diversamente
orientate per un lieve o brusco variare di prospettiva. Se è vero che non di rado si tratta di un fenomeno di riecheg giamento di avvenimenti artistici nati altrove, resta, tut tavia, in generale la validità o, quanto meno, la utilità sintomatica dell'insieme delle opere presentate dall'Italia. Infatti, accanto ad Arnaldo Pomodoro, Ettore Colla, · Dino Basaldella e molti altri, che propongono con coerenza un discorso i cui termini culturali sono già sufficientemente noti, tanto da poter apparire attardati rispetto alle ultime vicende della vita artistica, c'è una folta schiera di artisti che si diffonde oltre gli incerti confini della pop art, del new dada, della neo figurazione e del neo costruttivismo Ricorderemo Rotella che - come afferma Restany - ci pone dinnanzi agli occhi la realtà pubblicitaria di oggi attraverso uno sguardo nuovo di cui si assume la piena responsabilità, lucido e cosciente delle ripercussioni del suo atto 5 e Vacchi il quale - come dice Barilli - riscrive a modo suo la metamorfosi kafkiana, intuisce anch'egli un corpo umano che è autre rispetto al corpo banale del senso comune 6• Rotella e Vacchi, in modi diversi, ripro pongono una medesima esigenza semantica; ricercata dal primo attraverso l'assunzione diretta di brani di immagini già dotate di una consistenza e certezza intersoggettiva, e perseguita dal secondo con una ostinata fiducia nelle possibilità espressive della figurazione, che è fondamental mente fiducia in una facoltà immaginativa che crei e modelli in proprio la materia della rappresentazione. Il ricordo della pittura metafisica indizia nelle opere di Del Pezzo un'elaborazione culturale meno ingenua ed equi voca di quella che, in un ambito diverso, acc�muna alcuni giovani artisti, nei quali l'uso della fotografia o il riferimen to ad essa e all'immagine pubblicitaria appare troppo diret tamente piegato a soluzioni formalistiche. Le eleganti costruzioni di Del Pezzo hanno una genesi tutta mentale e dichiarano apertamente la loro trascendenza
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rispetto alla realtà comune. Chi conosca le opere precedenti di Del Pezzo sa che queste esposte alla Biennale non na scono dal clima o dalla moda del new dada; se mai si voglia stabilire una derivazione o un'affinità ideale, questa va ricercata nell'arte della Nevelson per la quale gli elementi primi devono sempre soggiacere alla sua precisa volontà compositiva che li annulla e li amalgama non lasciando a nessuno di essi una vera autonomia 7• Le polemiche sull'arte di gruppo, che avevano raggiunto nel convegno di Verucchio il punto di maggiore intensità, provocando risentimenti e reazioni non prive di qualche discutibile eccesso, in occasione della XXXII Biennale, si sono ridimensionate. È prevalsa nella critica la tendenza, già da tempo enunziata, al riconoscimento di una situa zione dialettica, nella quale uno dei poli sarebbe costituito dalle correnti gestaltiche o neo costruttiviste. Ad essa s'è aggiunto il tentativo di configurare tale polarità come il rifiorire, da una parte, di esigenze razionalistiche e speri mentali e, dall'altra, di un'attitudine informativa, quasi re portagistica. Ciò indubbiamente è derivato dall'energia con cui la giovane arte americana s'è imposta all'attenzione di tutti. D'altra parte, una ricognizione più completa dell'arte gestaltica e una ricognizione più differenziata dei raggrup pamenti e delle personalità avrebbero aiutato ad intendere la realtà di una situazione generale, caratterizzata da nume rosi elementi di continuità e da sottili e complesse inter relazioni. Infatti le tele verniciate di E. Castellani più che accostarsi alle ricerche visuali di Alviani, di Mari e dei Gruppi padovano e milanese, discendono direttamente dalla nitida spazialità di Fontana. All'interno del Gruppo T e del Gruppo N si distinguono per singolarità di accenti e
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di inflessioni formali alcune opere, come la e Superficie magnetica > di Boriani, che per un'ambigua suggestione organicistica, generata dal faticoso movimento della limatura, si apparenta, sul piano della sensibilità e del gusto,
più al gioco sottihnente morboso delle costruzioni del belga Poi Bury, che non ai meccanismi degli altri Milanesi. Giova infine rilevare nel panorama dell'arte gestaltica, in realtà più vario e complesso di quanto non appaia alla Biennale, l'assenza della Spagna (Equipo 57), della Germania (Grup po Zero) e della Francia (Recherche d'art visuel). La Fran cia anzi, con i suoi Bissiére, Bro, Dufour e Jpoustéguy, ha veramente deluso ogni aspettativa, quando si consideri il silenzio dei responsabili della selezione anche sulle ten denze del Nouveau Réalisme. Com'è noto, uno dei punti programmatici della corrente gestaltica è il lavoro di gruppo. Tale spinta ad unirsi era generata, all'inizio, dalla tendenza di tutti alla epochizza zione di quegli aspetti dell'attività artistica e del costume ad essa legato, ormai usurati e privi di senso; e prima fra tutti la mitizzazione romantica dell'artista isolato, che agi sce in condizione solipsistica rinunziando quindi, al limite, ad ogni comunicazione. A tale condizione veniva a sostituirsi un tipo di relazione policentrica, il gruppo di lavoro, l'equipe 8• Era facile prevedere che su questo punto del programma dei gruppi ge staltici o, se si preferisce, neo costruttivisti o neo geometrici si sarebbe concentrata l'attenzione di larga parte della critica; in quanto la sua discussione consente di eludere, indu giando nell'intrico teoretico di certe questioni preliminari, . la responsabilità di un giudizio che tocchi direttamente il valore dell'attività e dei risultati di quei gruppi. Più op portuna, fra le tante, appare per questo la posizione as sunta da Gilio Dorfles, quando scrive: la scoperta indivi duale è lungi dall'esser rigettata; credo, anzi, che l'indi vidualismo tipico della nostra epoca culturale in ogni campo continuerà a dominare, anche nel prossimo futuro quello pittorico. Che, per contro, ( ...) la costituzione di gruppi artistici possa riuscire favorevole all'arte e alla cultura (,. ,) mi sembra indiscutibile; proprio perché, at- 49
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traverso la costituzione di particolari raggruppamenti è più facile dare la possibilità, anche ad aspetti eterodossi ed insoliti, di farsi strada senza venir considerati con troppo sospetto 9• Pure, c'è da chiedersi se, indipendentemente da ogni considerazione sulla consistenza scientifica delle ricerche dei gruppi gestaltici, l'assunzione dei metodi e delle tec niche sperimentali della psicologia della forma, tendenti a rilevare le qualità formali della percezione o, meglio, la struttura di determinati campi percettivi, offra davvero, come è stato affermato, una efficace possibilità di inter vento nei processi produttivi, nel senso di una restaurazione della e: qualità > o del e: valore > nel mondo quantitativo ed utilitaristico della produzione industriale. È ben vero che l'indagine gestaltica, superando il determinismo atomistico delle precedenti teorie associazionistiche della sensazione, accentua il valore unitario della percezione, la cui organiz zazione formale è appunto segno di un'interazione origina ria della realtà fisica e psichica; ma l'analisi delle qualità, la ricerca sperimentale delle strutture e delle direzioni dei campi percettivi rimangono pur sempre al livello di una descrizione naturalistica dell'oggetto percettivo, incapace, per se stessa, di aprirsi ad una descrizione propriamente fenomenologica, di progressiva ed infinita esplicitazione del senso dell'esperienza. Il fatto, poi, che le correnti gestaltiche abbiano come oggetto specifico della propria ricerca il tipo di morfolo gia e di organizzazione formale che non in astratto, ma nel momento storico presente, caratterizza il comportamento percettivo e costruttivo 10, se conferisce qualche concretezza alle intenzioni programmatiche, non può tuttavia, per la povertà e l'angustia dell'orizzonte teoretico e ideologico in cui si muovono, che tradursi nell'affermazione di una razionalità astrattamente formale. Ricondurre l'intenzionalità costruttiva al principio di ogni fare, fino a quella
prima presa di contatto col mondo che è la percezione, significa rimettere la forma o il valore estetico al primo posto nella scala dei valori, a livello dei concetti astratti;, e fare l'analisi del procedimento costruttivo, rivelandone in precisi termini formali tutti i passaggi significa affermare la necessità e dare l'esempio della chiarezza e fermezza dell'intenzionalità che apre e accompagna (o dovrebbe) lo svolgimento ciclico dell'operazione umana, dall'ideazione e progettazione al consumo ... 11• E ciò proprio perché, seb' bene si affermi che l'accento assiologico consiste evidente mente nel chiarire, di questi processi, non tanto la strut tura o il ritmo a priori, quanto l'intenzionalità 12 , la cor rente gestaltica non opera un sufficiente approfondimento del concetto di intenzionalità, che possa distinguere questo da quello di struttura o forma percettiva. Allo stato attuale il limite maggiore dell'arte gestaltica sta proprio nella contraddizione tra la volontà di operare un'integrazione estetica nella produzione industriale e l'in capacità di dare in qualche modo un senso e un'intenzio nalità effettiva alla proposta di intervento. La necessità di superare questa contraddizione è tanto più emergente in quanto la corrente gestaltica, diversamente dal disegno indu striale, non vuole avere come fine immediato delle sue opera zioni una utilizzazione funzionale degli oggetti prodotti. Infatti, come osserva Calvesi, le strutture di Mari po trebbero trovare applicazione e sviluppo sulla facciata di un grattacielo come in una pianificazione urbanistica, ma non si riferiscono a nulla di tutto ciò, e insistono soltanto su una sperimentazione di possibilità visuali, al livello di una elementare organizzazione percettiva 13• Questo problema è stato acutamente avvertito da Menna, anche se l'enunciazione sembra accennare ad un ritorno ambiguo sul concetto di forma: Le nuove ricerche speri mentali non possono più a lungo trascurare l'apporto assai complesso delle premonizioni e aspettazioni indivi- 51
duali che entrano a far parte di ogni nostro atto percettivo e quindi non possono non integrare i dati forniti dalla psicologia della forma con quelli, forse anche più com plessi e intricati, forniti dalle correnti transazioniste 14• È perlomeno dubitabile che le correnti gestaltiche, a mezza strada tra un empirismo svuotato di efficacia per l'assenza di un metodo e di un fine sufficientemente defi niti e un'attitudine formalistica, svolta con debole rigore costruttivo, siano capaci di orientare in una prospettiva significante il mondo della esperienza; rispetto al quale i modelli gestaltici, pur se abilmente manipolati e apparec chiati, appaiono fondamentalmente privi di capacità illu minante. Le opere del Gruppo T o del Gruppo N, di Mari o di Alviani possono interessare come momenti di un'inda gine che, saggiando le quali� strutturali di alcune forme ottiche, acquista talvolta una tenue eleganza di svolgimenti (l'eleganza, quasi, di alcuni procedimenti matematici). Non si può tuttavia negare che, mentre esse non sono neppure sfiorate dalla ritornante banalità di certa neo figurazione, non riescono poi ad evitare l'ovvietà ed i luoghi comuni di una ragione scientifica degradata ad apparenza mate matizzante. Il riferimento stesso alla psicologia della forma, in queste opere, che sfuggono da ogni definito contesto concettuale (le poetiche e le dichiarazioni programmatiche, per quanto le si analizzi, non offrono un criterio abbastanza sicuro ed univoco di interpretazione), appare più che svolto nella sua realtà di ricerca scientifica, ridotto ad arbitraria e generica analogia di schemi. Il riferimento particolarmente interessante alla psico logia transazionistica può essere accompagnato e reso più pregnante da quello alla fenomenologia· della percezione
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non tanto attraverso le analisi di Sartre o di Merleau Ponty, quanto attraverso quelle, a nostro avviso teorica mente ben altrimenti fondanti, di Husserl, donde emerge la continuità tra il momento percettivo dell'esperienza e quello
simbolico e concettuale. Inoltre il richiamo ad Husserl (e soprattutto all'Husserl della Crisi), quò offrire una prospet tiva, sia pure in senso problematico, che sembra mancare all'attuale ricerca sperimentale. La verità scientifica obiettiva è esclusivamente una constatazione di ciò che il mondo, sia il mondo psichico sia il mondo spirituale, di fatto è. Ma in realtà, il mondo e l'esistenza umana possono avere un senso se le scienze ammettono come valido e come vero soltanto ciò che è obiettivamente constatabile, se la storia non ha altro da insegnare se non che tutte le forme del mondo spirituale, tutti i legami rli vita, gli ideali, le norme che volta per volta hanno fornito una direzione agli uomini, si for mano e poi si dissolvono come onde fuggenti, che così è sempre stato e sempre sarà, che la ragione è destinata a trasformarsi sempre di nuovo in · non-senso, gli atti provvidi in flagelli? Possiamo accontentarci di ciò, pos siamo vivere in questo mondo in cui il divenire storico non è altro che una catena incessante di slanci illusori e di amare delusioni ? 15• 1 C. BRANDI, Burri, Editalia. Roma, 1963, p. 7. 0 R. BARILLI, Dall'assemblage allo spazio prospettico, in e Il Verri>, n. 12. • A. R. SALOMON, Catalogo della partecipazione U.S.A. alla XXXII Biennale. ' Ibidem • Catalogo della XXXII Biennale di Venezia, p. 109. • Ibidem, p. 121. • G. DoRFLES, Lou.ise Nevelson, in e Letteratura> n. 58-59. • Arte e Libertà (Dichiarazione presentata al Convegno di Veruc chio da E. Mari, dal Gruppo N e dal Gruppo T) in e Il Verri> n. 12. 0 G. DORFLES, Inchieste sulle problematiche di gruppo, in e Arteoggi>, n. 17, settembre 1963. 10 G. C. ARGAN, Forma e formazione, ne e Il Messaggero> del 10/9/63. 11 Ibidem " G. C. ARGAN, La ricerca gestaltica, ne e Il Messagero> del 24/8/63. 13 Catalogo della XXXII Biennale di Venezia, p. 138. " F. MENNA, in Sperimentale p., quaderno 1964, e il Bilico>, Gal leria d'Arte. 16 E. HussERL, La crisi della scienze europee, Il Saggiatore, Mila no, 1961, p. 36.
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Tecnologia e poetiche con temporanee Tutte le implicazioni estetiche e sociologiche connesse al rapporto arte-tecnica se da un lato affermano la pluralità e l'incrociarsi· degli interessi culturali contemporanei, dal l'altro avvertono contro le velleitarie panoramiche totali e le formule spiegatutto. Considerando noti gli aspetti alie nanti e massificanti della moderna tecnologia, strumento della civiltà capitalistica fondata· sul consumo, intendiamo raccogliere alcuni assunti critici sul tema tecnica-arti figu rative con l'intenzione di riferire il discorso, fin dove è possibile, ad un ambito assai prossimo all'esperienza della arte attuale. Pertanto senza negare il legame fra la tec nica dell'arte e il più vasto orizzonte contemporaneo, ma nell'evidente presenza di un diverso comportamento tecnico ideologico delle varie tendenze di fronte ad esso, studieremo il problema arte-tecnica dal punto di vista delle poetiche più recenti. . La parola tecnica è qui intesa nel senso di sistema ope rativo, estendibile al dominio dell'arte, ove si escluda la di stinzione idealistica fra tecnica interna e tecnica esterna. Co
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me osserva Banfi, commentando Fiedler, L'artista è sì il cen tro di una crisi dell'esperienza comune, ma questa ha la sua risoluzione e trasfigurazione artistica solo nelle forme di una sensibilità espressiva secondo la natura e le leggi di questa. Da ciò deriva la fondamentale importanza che il Fiedler attribuisce alla tecnica, d'accordo del resto in ciò con tutti gli artisti, e non come semplice lavoro, mestiere guidato dall'intelletto, ma come creazione operante. • La genialità, l'individualità artistica si manifesta proprio in ciò che la gente chiama tecnica. I veri artisti vedono nella
cosiddetta tecnica dell'arte il mezzo non estrinsecamente ap prendibile per strappare alla natura i suoi sempre nuovi segreti »; essa è la vera attività creatrice a cui risponde simpaticamente la condizione obbiettiva della creazione stessa, la materia dell'arte, che è per l'artista non solo pregnante di forme, ma ad esse dischiudentesi per una propria interna legge di concezione 1• Nel nostro caso com'è ovvio non si tratta cli considerare espressioni artistiche individuali, ma orientamenti di grup pi, né di verificare il comportamento cli questi rispetto alla natura, ma in relazione ad un mondo costruito artificial mente, già dato, autonomo ed in espansione. Terremo presente, prima cli passare alle principali mani festazioni delle tecniche artistiche più recenti, il fenomeno dell'informale. L'informale, è lo stesso termine ad indicarlo, vuol dire opposto ad ogni intento di formazione programmata, e com prende quelle forme di astrattismo dove non solo manchi ogni volontà ed ogni tentativo di figurazione, ma inanchi anche ogni volontà segnica e semantica 2• Per il carattere d'opposizione di questa tendenza verso la gran parte degli aspetti della moderna civiltà industriale vale, tra le nume rosissime, la testimonianza di Antonio Tapies: Viviamo in un mondo sommerso dalla tecnica, soffocato dai conforts. Viviamo continuamente distratti dimenticando le nostre più elementari radici e perfino i nostri istinti. Ciò che ci circonda è artificiale e per molti aspetti falso. Continuiamo a trascinarci dietro assurde superstizioni, inutili atavismi, che ci alienano e ci rendono schiavi. Ricordare all'uomo ciò che egli è in realtà, dargli un tema di meditazione, provocargli uno choc che lo strappi dalla frenesia dell'inautentico e gli permetta di scoprire se stesso e di riacquistare coscienza delle sue possibilità reali è il fine a cui tende la mia opera. E non in dispregio della tecnica, bensì nello sforzo di superarne quella con-
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dizione di dipendenza materiale e spirituale in cui essa ci tiene 8• Ancora sulla tecnica dell'informale e del significato ideologico di questa tendenza è stato affermato: Che la tecnica della pittura informale sia una tecnica tradi zionale, malgrado le apparenze, è provato dal fatto che la materia, quando pure non sia la solita pasta colorata, è ancora disposta o deposta sul supporto come
il colore
sulla tela (e ciò vale anche per gli oggetti degli assem blages) e
il gesto, anche se portato al parossismo, è ancora
il gesto del pittore - occidentale o orientale, non impor ta - che traccia segni, dipinge. Nello stesso saggio Argan osserva: La sola soluzione possibile della crisi dell'arte contemporanea, nell'ambito della situazione generale della società, è la soluzione dell'antitesi Informale-design: cioè
il
superamento del meccanismo tecnico e, quindi, dell'astrat tezza di immagine del design attraverso l'esperienza esi stenziale dell'Informale, o nel risolversi delle due opposte polarità astratte sul piano concreto della vita 4• Ma queste illuminanti distinzioni, assai indicative per la situazione degli anni Cinquanta risultano superate dalle più recenti esperienze artistiche. Se un interesse, infatti, è riscontrabile nell'insieme delle poetiche post-informali, è quello della pluralità delle tendenze, e dell'incrociarsi delle loro tecniche ed intenzioni. Se per il periodo precedente poteva' ancora dirsi (sul rapporto fra arte e società, nel nostro caso fra tecniche arti stiche e tecnologia generale): La ricerca di una relazione analogica è propria delle correnti che si chiamano costrut tiviste; la ricerca di una relazione per contraddizione è proprio delle correnti che si chiamano informali 5; attual• mente non è così netta la differenza fra relazione analo gica e relazione per contraddizione, perché non è più possi bile includere in una condizione dualistica il dibattito con56
temporaneo.
Accantonando ogni polarità - utile in senso didattico e per altre considerazioni (che svolgiamo del resto in questa stessa rivista) - riteniamo che per quanto concerne il rapporto arte-tecnica, il discorso debba riferirsi alla più complessa realtà delle poetiche visive attuali. Il passaggio dell'Informale al new-dada americano è me diato da quella ch'è stata definita la e Junk culture>, fe nomeno che dal punto di vista tecnologico-sociale conferisce un peculiare significato alla n,uova corrente americana ri spetto al dada storico. Nei nostri sforzi d'indurre i pensieri dell'uomo a vi brare con le cose, noi attualmente ci soffermiamo perplessi di fronte al trauma di una situazione nuova, in cui le stra de sono ingombre di vuote lattine di birra, e tanto hanno prodotto coloro che ci precedettero, e tanto hanno gettato via, che ora la natura comincia a rigurgitare il tutto. [...] i sentieri della mitologia americana, gli sconfinati, mai calpestati sentieri che furono invito agli avventurosi vagabondaggi di Whitmann, e insieme di Lawrence e di Franlc Lloyd Wright, hanno ceduto il posto alla Freeway, l'apoteosi della velocità predeterminata e lugubre, gigan tesca meraviglia di una mentalità settoriale, condizionata in modo esclusivo dalla legislazione e dalla tecnica ingegne resca. [ ...] ci troviamo di fronte alla necessità di trarre il massimo possibile da un ammasso di rifiuti. Quindi non ci rimane altra via d'uscita che costruire in mezzo ad essi, e su di essi, e con essi. Non è nostro desiderio. spazzarli via, quanto piu.ttosto estrarre un significato dallo strano loro connubio con il destino 6• Pertanto il dadaismo fornisce una tecnica ad una ricerca figurativa che assume un senso proprio in quanto è capace di esprimere o di formare nella condizione della moderna civiltà tecnologica, fondata sul consumo. Les ready-made - scrive Restany - deviennent les
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archétypes de la • junk culture•, de la civilisation de l'industrie et du terrain vague. La nature américaine est découverte sous son vrai jour. Ainsi sout apparues les premières • combine-paintings • de Rauschenberg (qui sont des collages d'objets dans un contexte pictural expression niste), les drapeau.x, les chiffres et les cibles de Jasper Johns, les sculptures d'assemblage métalliques de Stan kiewicz et de Chamberlain. En ayant recours à l'objet usuel comme élément ex pressif en soi ces • néo-dadaistes • traduisent bien un sens nouveau de la nature contemporaine, qui est urbaine, in dustrielle, publicitaire
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1•
Riconosciuto il rapporto fra il neodadaismo e la con temporanea realtà tecnologica, resta da definire se esso si effettua in linea analogica o in opposizione. Intanto, com' è stato esservato : La singolarità di un simile gesto (la tecnica neodadaista) postula infatti un mondo ante riore alla coscienza dell' uomo come ad ogni suo atto, il quale non ha alcun bisogno di venire costituito, bensì di essere semplicemente accolto, dal momento che si pre senta chiuso e come irrigidito entro una propria ed in quietante autonomia. [... ] E vale a dire il senso di essere chiamati oggi ad agire in un mondo già di per sé posto, autosufficiente, il quale precede di un buon tratto la consapevolezza e il movimento dell'uomo, così che l'unico problema ancora aperto sembra consistere nella capacità di cui ci si può riconoscere tuttora in possesso di attingere un simile mondo esterno, di assumerlo, o almeno di en trare in rapporto con esso... Di fronte ad un mondo • im posseduto •, il lavoro che si deve intraprendere non con cerne tanto l'interpretazione, la ricerca di significati, quanto prima di tutto la conoscenza, il possesso, l'assun zione 8• Se tale atteggiamento è attribuibile al new-dada (e secondo l'Autore citato condiziona la maggioranza delle ricerche attuali) questa tendenza supera il problema dell'ade-
sione o dell'opposizione alla civiltà tecnologica, almeno nei termini ch'esso ci poneva col binomio informale-costrutti vismo. Quel che conta dell'atteggiamento suddetto è l'am missione d'una realtà indipendente dalla vita dell'arte; e una indicazione non generica ma diretta specificamente alla cul tura artistica: il tentativo di assumere un mondo impos seduto. In tal senso il discorso ci sembra più realistico e cir constanziato, rivolgendosi alla pratica e alla riflessione arti stica, di quanto non sia quello che mira ad integrare una tecnicità dell'arte e un'artistictà della tecnica, precetto che nel suo formulismo filosofico, in realtà non si rivolge a nes suno. Un atteggiamento analogo al new-dada nei confronti della civiltà meccanica è riscontrabile nel nouveau realisme francese, corrente che tende ad includere diversi orienta menti e tecniche operative aventi in comune la tematica dell'oggetto seriale. Il neo-dadaismo francese, sostanzialmente estraneo alla problematica di un'arte • di reportage •, si distingue in fatti per una più cruda e testuale assunzione dell'oggetto. [...] Non c'è problema di concezione o mutazione tra im magine e oggetto. Fatalmente questo duro • realismo • de ve rimandare, per arricchirsi e colorirsi esteticamente, a qualcosa di altro da sé, ad un'aggiunta magica, cioè ad un sur-realismo 9• Con la pop-art il rapporto con la civiltà tecnologica dei consumi sembra farsi ancora più preciso, tal che si parla di « oggettivismo " sociologico " della pop-art >. Secondo Crispolti questa tendenza rappresenta l'opposto di quello che prevaleva nella grande mostra newyorkese del '61 The art of assemblage, dove la nuova corrente trova i suoi precedenti e il suo annunzio. [...] allora il senso di sfacelo, l'emblematizzazione del • rifiuto • come immagine di una desinenza inevitabile, della morte atomica; psicosi della • bomba •, per eccel-
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lenza, insomma; ora invece la gioia, quasi, per la scoperta di un ampio e tipico repertorio, non solo oggetto dei mass media - e perciò garanzia di discorso oggettivo -, ma
anche tipicamente locale, creato in una dimensione di ca ratteristico semplicismo inventivo pragmatico assolutamen te nordamericano sullo standard appunto della cultura popolare 10• Il rapporto della pop-art con la moderna tecnologia si esplicita nella misura della minore espressività di que sta tendenza rispetto a quella neodadaista; rinuncia espres siva per l'adozione di simboli e stilemi precostituiti. Se il new dada raccoglie una realtà preesistente in senso frammentario per ricostruirla nel contesto di opere ancora animate da intenti espressivi o addirittura espressionistici, la pop art raccoglie o ripete forme e stilemi del consumo e della comunicazione di massa nella loro totale integrità. Like Andy Warhol and James Rosenquist, Lichtenstein
ha& chosen the ugliest and most ubiquitous kind of com merciai imagery - comic strips, soapbox diagrams, cheap advertising illustrations - as a source
for
his reforma
tory art. In p'4ce of the aesthetic idealism of recent abstrat painting, he substitutes the most vulgar realism of a mass
culture' s clsual environment. The abstract expressionist' s veneration of personal brushstroke and private emotion is now opposed by a machine-produced style derived from an industrial, public domain 11• Tuttavia l'adesione alla civiltà dell'oggetto seriale non è così passiva come sembra, esistendo nella pop art una com ponente di ambigua ironia. Naturalmente - osserva - c'è nel termine un'ironia implicita verso quel che si intende di solito per arte popolare. Si può star sicuri che tutto il disprezzo del pubblico accompagna i prodotti della Pop Art, additati come risultati ultimi di uno sperimentalismo che gira a vuoto, che medita fughe esotiche, attentati alla tran60
quillità dell'uomo comune. Nessuna comprensione per il
fatto che la Pop Art vuol essere al contrario un riscatto integrale della scena moderna, una vasta operazione cono scitiva sull'ambiente che ci circonda, condotta con sguardo ora sartrianamente nauseato, ora candidamente puerile, ora ironico e divertito. :t questo comunque l'indirizzo che fa più radicale pro fessione di recupero delle reazioni banali e quotidiane che ci circondano. Più che un caotico ed arido assemblage, vale qui la tecnica dell'ingrandimento di oggetti rifatti con la cura meticolosa del trompe-l'oeil 12• Esiste ancora un'interpretazione della pop-art che attri buisce un'intenzione sociologica - a nostro avviso troppo sottile se si considera la grossolanità vitalistica di questa corrente - per cui l'impegno di quegli artisti consisterebbe nello spingere fino al limite di rottura la odierna condizione alienante, proprio esaltandone in modo ipertrofico le forme ed i termini. L'artista Pop ... giunge così alla conclusione che è meglio andare sino al fondo• dell'esperienza della massificazione, dell'anonimato, della passiva oggettività; andarci, lui ar tista, assieme a tutta la società della quale è parte, toc care il confine dell'assurdo, lasciare che le cose si demi stifichino da sé a forza di rendersi insopportabili; e ma gari, essere complici di un'accelerazione del processo, di un suo aggravamento: tanto peggio, tanto meglio 18• Particolarmente diffusa in Italia è la corrente della co siddetta nuova figurazione. Essa opera con intenti narrativi,· servendosi di materiali stralciati ed estratti dalla cronaca di quotidiani e rotocalchi, di ingrandimenti fotografici, me scolandoli a parti disegnate e dipinte in maniera tradizionale. Tale accostamento non è casuale ma voluto e l'angolazione ottica diviene inedita dal momento che gli elementi del di scorso vengono messi in relazione secondo un montaggio all'antitesi di quello ricorrente, ispirato cioè ad una specie di distorta oniricità. Si pensi all'opera di Vacchi, Recalcati, 61
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Romagnoni, Pozzati ecc. Si tratta certo di un'analisi che non sottace i suoi propositi sociologici; tuttavia, dato l'accento individuale dell'atteggiamento non è possibile - almeno in questa sede - definire un unitario orientamento di questo gruppo nei confronti della tecnologia generale. Nella pluralità delle tendenze contemporanee e nella particolare corrente esaltante la presenza dell'oggetto, oc cupa un posto a sé ciò che Barilli definisce l'assemblage squi sito: Abbiamo visto fin qui l'aspetto plebeo, whitmaniano della civiltà dell'oggetto; ( ...) prevalenza insomma di un criterio quantitativo che sacrifica la qualità delle singole presenze a un effetto d'insieme. Ma gli oggetti si possono apprezzare per ragioni opposte alla loro • democratività •; ovvero alla loro capacità di prestarsi a una utenza; si possono apprezzare perché rari, preziosi, esotici, perché chiusi in una particolare perfe zione e pregnanza di significato. Nasce allora il gusto del collezionismo, dall'assemblage • squisito •, ove il termine, al solito, è da prendere alla lettera; cernita severa, volta ad associare gli oggetti secondo sottili e segrete corrispon denze e non già a farli apparire con l'unico intento di testi moniare la purezza e la ricchezza della scena contempo ranea. Questo collezionismo, questo assemblage squisito con duce le sue pacate operazioni in luoghi che ovviamente suggeriranno un'idea di rinchiuso, di privato, di protetto; saranno allora gli • interni •, e soprattutto i mobili, gli armadi, le credenze, le mensole i.. Quest'ultimo settore della grande corrente oggettuale contemporanea è quello, a nostro avviso, più prossimo alle tendenze neocostruttive. Riferendoci all'opera della Nevel son, esiste anzitutto una intenzione di scelta qualitativa; un criterio di collezione e comporre con materiali omo genei, fatti a macchina, che tuttavia non negano un gusto artigianale; l'esigenza di collocare tali oggetti in un reticolo geometrico; quella infine di dare a queste composizioni
una dimensione oggettuale, a tutto tondo, assai pm pros sima ai prototipi dell'industriai design che alla pittura o alla scultura. La tecnica di questo tipo d'a.ssemblage, quest'atto che è al tempo stesso di raccolta omogenea e di conforma zione, implica un atteggiamento diverso da quello neodadai sta e indica la difficoltà di suddividere l'intera fenomenolo gia dell'arte attuale in tendenze neo-costruttive e tendenze di reportage. Se un quadro di Rauschenberg può assumersi come una pagina di giornale, le composizioni della Nevelson sono delle organizzazioni da assumersi con un processo di tipo gestaltico. Il rapporto arte-tecnica è al centro della tendenza gestaltica. Com'è noto, essa eredita dalla tradizione del co struttivismo il proposito di un inserimento nella produzione industriale per modificarne in senso quantitativo la illimitata espansione e, tramite questa, penetrare nell'intera sfera so ciale. Ma in che cosa si distingue questa tendenza nella con dizione attuale dai suoi precedenti razionalisti? Queste ricerche - avverte Argan - vengono chiamate da molti neo-geometriche o neo-costruttive, ma è un errore perché al loro principio non c'è il postulato del valore onto logico o metafisico della forma geometrica come forma spaziale ci priori e categoria della coscienza, chiave logica dell'universo. Muovono invece, queste correnti, dallo stu dio dei processi psicologici e, più precisamente, dai risul tati della psicologia della Gestalt .•• Non si può dire che la corrente • gesaltica • sia tecnici smo puro, anche se traduce o fenomenizza operativamente i processi mentali di organizzazione formale, riproducendone lo sviluppo cinetico. Il suo accento assiologico consiste evi dentemente nel chiarire, di questi processi, non tanto la struttura o il ritmo ci priori quanto l'intenzionalità ... Se, tuttavia, il • realismo d'oggetto • colpisce la produ zione industriale al termine del consumo e la corrente • ge-
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staltica • al principio della progettazione, bisogna riconosce re che la manovra a tenaglia dell'arte si sviluppa per ora solo gli estremi dell'arco produttivo della società di oggi. L'arte assiste alla nascita e alla morte, non partecipa della vita funzionale o dell'esistenza sociale dell'oggetto. La so cietà moderna insomma, esclude l'arte dalle fasi adulte del la propria esistenza 111• Per riassumere, aperture, dai
senza
la
pretesa di
offrire
nuove
soliti termini considerati in questa inda
gine - il rapporto arte-tecnica secondo le poetiche figu rative
attuali
-
possiamo
rilevare i
seguenti
punti :
L'intera fenomenologia dell'arte d'oggi non può ridursi, anche dal solo aspetto considerato, ad un dualismo accet tazione-rifiuto della condizione presente; non vi sono sol tanto tendenze costruttive e tendenze di reportage; avan guardie razionaliste ed avanguardie viscerali. Inoltre si può affermare che dalla visuale sin qui seguita hanno maggiore incidenza sociologica e non mancanza di senso quelle correnti
inclusive del maggior
numero
di
aspetti e problemi reali. Dalla constatazione dell'esistenza di un mondo in espan sione ed autosufficiente rispetto alla vita dell'arte, nasce il legame di tutte le correnti post-informali: una tendenza eteronoma, differenziata solo nei modi di incidere sulla realtà e nel grado di tale eteronomia. Il desiderio d'assumere il mondo contemporaneo nella sua totalità non significa ovviamente disponibilità assoluta, per cui l'atteggiamento inclusivo suddetto non prescinde dalle scelte etico-sociali e quindi ideologiche. Se questa spinta ideologica - scrive Argan - può esse re e di fatto è la sola forza che possa produrre un progresso tecnico • totale •, e cioè un progresso che sia evoluzione e sviluppo di tutta la società, è chiaro che l'arte, se voglia partecipare di quel generale processo, deve combinare la 64
componente ideologica alla componente tecnica (...). E
conclude affermando che: la doppia polarità dialettica dell'arte contemporanea non è, come spesso si dice, l'an titesi fra astrattismo e realismo: è invece l'antitesi (ch'è la stessa che dà alla situazione contemporanea il suo aspetto drammatico) di tecnologia e ideologia 16• D'altra parte la componente ideologica non va intesa in senso politico, o almeno totalmente politico, bensì come presa di coscienza che consente la conquista di una realtà fruitiva di più vasto respiro in opposizione alla tecnica alienante, a quella tecnica intenzionata soltanto di una crescita su se stessa. L'ideologia - avverte Ponente - non può essere a bi nario unico, non può consistere in uno schema imposto a priori e dato come norma. Ideologia e volontà d'azione politica non sono necessariamente la stessa cosa, tanto più che sappiamo per esperienza come la volontà di azione politica possa essere usata per costituire un alibi all'inca pacità dell'operare artistico 17• In relazione ad una più problematica ideologia e per i rapporti considerati, la tecnica dell'arte contemporanea può in definitiva identificarsi con quel modo di formare come impegno sulla realtà di cui parla Eco. L'artista che protesta sulle forme - egli osserva - ha compiuto una duplice operazione: ha rifiutato un sistema di forme, e tuttavia non lo ha annullato nel suo rifiuto, ma ha agito al di dentro di esso (...). Quindi di nuovo egli si è compromesso, col mondo in cui vive, parlando un linguaggio che egli artista crede di avere inventato ma che invece gli è suggerito dalla situazione in cui si tro va; e tuttavia questa era la sola scelta che gli rimaneva, poiché una delle tendenze negative della situazione in cui si trova è proprio quella di ignorare che la crisi esiste e tentare continuamente di ridefinirla secondo quei mo duli d'ordine dalla consunzione dei quali la crisi è nata. Se l'artista cercasse di dominare il disordine della situa-
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zione presente rifacendosi ai modelli compromessi con la situazione entrata in crisi, in tal caso egli sarebbe veramente un mistificatore. Infatti, nel momento stesso in cui parlasse della situazione presente, darebbe a cre dere che al di fuori di questa esiste una situazione ideale, dalla quale egli può giudicare la situazione reale; e con soliderebbe la fiducia in un mondo dell'ordine espresso da un linguaggio ordinato 18• Tuttavia, ideale o altro, la stessa esigenza d'una situazio ne diversa e l'intenzione di operare diversamente dimostrano la possibilità di modifiche e di recuperi, la spinta inne gabile in questo equilibrio del disordine a rimettere tutto in discussione, tanto il male quanto la terapia. 1
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• A. BoA'ITO, La presenza dell'oggetto, in e Il Verri II n. 12. • M. CALVESI, Ricognizione e reportage, in e Collage II n. 1 (7) 1963. 0 ' E. CRISPOL'I'I, Tredici pittori americani di oggi, in e Aspetti dell'arte contemporanea 11 (catalogo della mostra de l'Aquila 1963)) ed. dell'Ateneo, Roma, p. 134-135. u R. RosENBLUM, Roy Lichtenstein and the Realvt Revolt, e Metro 11 n. 8. u R. BIJULLI, Dall'c assemblage II allo spazio prospettico, in e Il Verri II n. 12. 11 A. DEL GUERCIO, La Pop Art passa ma i problemi rimangono, in e Rinascita II dell'll-7-1964. " R. BIJULLI, Op. cit. 11 G. C. ARcAN, La ricerca gestaltica, in e Il Messaggero II del 24-8-1963. 1• G. C. ARcAN, rapporto arte-società nella condizione storica attuale,
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cit.
n
11 N. PoNENTE, Ideologica e pseudo-ideologica, in e Collage II n. 2 (8) 1964. 11 U. Eco, Del modo di formare come impegno sv.lla realtà, in e Il Menabò II n. 5.
Nouveau roman e arti figu rative La relazione del nouveau roman con l'avanguardia figura tiva, frequentemente riproposta, sollecita il tentativo di ve rificare la legittimità di tale ipotesi e di definire i termini di questa convergenza. Il primo legame è, notoriamente, l'intenzione visiva del nuovo linguaggio letterario, la sua tendenza alla figurazione. Noi constatiamo - afferma Robbe-Grillet - di giorno in giorno la ripugnanza crescente dei più consapevoli davanti · alla parola a carattere viscerale, analogica e incantatoria. Mentre l'aggettivo ottico, descrittivo, quello che si con tenta di misurare, di situare, di limare, di definire, mo stra probabilmente il cammino difficile di una nuova arte del romanzo 1• Dal canto suo, alla domanda sul rapporto fra letteratura e pittura, Butor risponde:
Lea peintres
m'emeignent à voi,-, à lire, à compoaer, don.e à écrire, cì dispoaer dea Bigne, dana une page 2• E descrivendo, al trove, una esperienza di lavoro svolta in collaborazione con un gruppo di pittori, dichiara: Dana ka livrea que j'ai faits avec dea peintres l'initiative est toujoura venue des peintre,, ce aont dea image, que j'ai illuatrée, par dea poèmea, ce ne aont paa dea poèmes qui ont été illuatréa par des imagea s.
Prima di procedere ad un confronto diretto fra il nouveau roman e le tendenze figurative più attuali, è ne cessario accennare agli assunti più caratteristici della poe tica letteraria che studiamo. Se c'è la possibilità di identificare una linea comune nei narratori del nouveau roman, essa può ritrovarsi nel desi derio di scientificità delle loro costruzioni narrative, nel l'ambizione ad un'arte logicamente rigorosa, che rifiuti le
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formule evasive proposte dal romanticismo, per cui il nar rare può divenire di fatto strumento di riconoscimento della realtà, forma della forma, e forma stessa del mondo >. Nata da un'esigenza di rigore intellettualistico, l'école du TegaTd trova diverse soluzioni nei suoi teorici maggiori: Michel Butor, Nathalie Sarraute, Alain Robbe-Grillet, nuo vamente accomunabili nella paTs destTuens della loro poe tica, come nello sforzo d'esprimere una concezione della realtà, che identifichi il mondo come presenza, sì da deter minare i veri limiti della tragedia individuale, nel rapporto anonimo io-altro, io-realtà imposseduta. Il Nou:veu roman sta al romanzo come la pittura astrat ta sta all'arte figurativa... I volti, le forme umane sono spa rite dai quadri, aprendo la via, nel mondo del romanzo, ai personaggi privi di identità. Essi si muovono quasi come specchio in cui è riflesso l'universo materiale che li cir conda, al contrario del naturalismo, che utilizzava gli og getti come se questi riflettessero gli stati d'animo del l'uomo. Ci si è accorti che questo effetto ottico era dovuto alla nostra sensibilità. Allo stesso modo che l'assurdità o il significato del mondo non era che un riflesso del nostro • io •· In realtà, il mondo si accontenta di esistere •. Così scrive Gèrard Mourgue sollecitato in questa linea di interpretazione dai canoni della nuova tendenza: l'im personalità dei personaggi; l'interscambiabilità delle situa zioni, dei comportamenti, delle immagini; la presenza degli oggetti sottratti ai significati convenzionali; e in definitiva l'assoluta libertà della ricerca e la funzione demistificatoria, rivelatrice dell'arte per cui un'analogia tra ricerca artistica e scientifica cessa di essere una formula di comodo per diventare il segno d'un metodo d'apprensione, o meglio di assunzione obiettiva della realtà. Tutta l'avanguardia contemporanea nasce in larga misu ra da un medesimo disagio: la scoperta di un mondo estraneo all'arte, di una realtà imposseduta, una realtà che il
vecchio naturalismo riteneva di riportare ad una nozione domestica e familiare, di controllare e d'interpretare con canoni pseudo-umanistici. Ora il mondo - scrive Robbe-Grillet - non è né signi ficativo né assurdo, esso semplicemente è. Questo, in tutti i casi, è ciò che esso ha di più notevole. E a un tratto questa evidenza ci colpisce con una forza contro la quale non possiamo più niente. D'un sol colpo, tutta la bella costruzione crolla: aprendo gli occhi all'improvviso, ab biamo provato, una volta di troppo, lo choc di quella realtà testarda di cui facevamo finta di essere venuti a capo. Attorno a noi, sfidando la muta dei nostri aggettivi ani mistici o sistematori, la cose sono là. La loro superficie è netta e liscia, intatta, ma senza ambigui splendori e trasparenze 5 • All'artista spetta, pertanto, il compito di registrare la nuova realtà, assumendo questa funzione demistificatrice co me sua propria. Tale funzione, è stato osservato, avverrà na turalmente attraverso una sorta di epoché, di sospensione del giudizio, fenomenologicamente concepita come supera mento di ogni dato codificato, precostituito ed inautentico. Questo sforzo liberatorio si tradurrà naturalmente in un linguaggio che, com'è noto, tende al visivo, al descrittivo, all'oggettuale. Lo sguardo - scrive Robbe-Grillet - appare subito in questa prospettiva come il senso privilegiato, e particolarmente lo sguardo applicato ai contorni (più che ai colori, ai luccichii, o alle trasparenze). La descrizione ottica è in effetti quella che opera più agevolmente la fissazione delle distanze: lo sguardo, se vuole restare semplice sguar do, lascia le cose al loro posto rispettivo 8• Attraverso l'oggetto si realizza per Robbe-Grillet l'origi naria ambizione alla descrizione pura, alla registrazione dell'accrescimento, una volta constata l'impossibilità da par te dell'artista di spiegare il mondo, di offrirne in ogni caso una proposta d'interpretazione.
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Le e cose > sono l'altro da sé nella loro forma più evi denziata: l'uomo, e per lui l'artista, non può che tentarne la conoscenza e l'assunzione; formulare in termini non am bigui una esperienza della realtà ricondotta alla sua radice, alla e presenza >, istantanea e immediata, verifica hic et nu.nc · attraverso le inquietanti forme delle cose. Le e cose > sono interscambiabili; esse non hanno nessun significato di per se stesse· fuori del loro aspetto; qualsiasi sistema di riferimento che tenti di attribuire un significato che vada oltre la loro presenza è arbitrario e mistificante. È una posizione teorica che trova la sua fedele trascrizione in termine di romanzo ne La gelosia; si vedano le ossessio nanti sequenze per cui la stessa situazione è descritta più volte, da angolazioni minute e ripetute degli oggetti, dei personaggi, dei volti decomposti e analizzati nelle loro espressioni da un occhio spietato e attento. Impegnato in una sorta di « assemblage > narrativo lo scrittore adopera come naturali termini di riferimento del suo discorso gli oggetti, quelli che Butor chiama les os des temps. Nella contemporanea ricerca figurativa, la stessa tecnica dello
e assemblage >,
costituendo un ulteriore sforzo di
strappare nozioni e forme degli oggetti dai contesti abituali e accostarli a un tratto ad altre nozioni e forme solitamente distanti, verrebbe a riproporre il problema dell'intercam biabilità delle cose, dei personaggi, delle situazioni plurime e polivalenti a un tempo, nel tentativo di demistificare una realtà che attraverso l'oggetto istituzionalizzato si presenta falsamente significante. Come osserva Boatto: Spogliati gli uni e gli altri di ogni attributo, retrocessi alla loro con dizione di fenomeno, di cosa che• è là•, per impiegare una frase esemplare nella sua ellittica perentorietà di Robbe Grillet, ad un identico livello di base, una sorta di • grado zero •, vengono ad allinearsi sia le figure che gli oggetti, 70
le immagini e le non immagini 7•
Il legame tra la poetica letteraria che studiano e l'avan guardia
figurativa
nell'accostarsi
all'autonomo
e
chiuso
mondo esterno viene così ribadito dallo stesso Autore: Se consideriamo infine che questa connessione mondana· non sta dietro al new dada e al nouveau réalisme, ma ,in forme più o meno determinanti condiziona la maggioranza delle ricerche attuali e degli orientamenti, si arriva a mi surare assieme alla forza l'ampiezza della sua incidenza, fino al punto da potersene legittimamente servire come di uno strumento di base per sondare in diverse direzioni la problematica odierna 8• Tuttavia l'accostamento del nouveau roman alle tendenze figurative definibili per la loro tecnica di e assemblage> ha un suo limite. Ciò che dà maggiore senso alla pittura d'og getto è la carica vitalistica, democratica, popolare, la testimo nianza d'un'attiva partecipazione ad un mondo caotico e mec canico, di cui si accetta il giuoco e con cui, attraverso l'ironia o la simpatia, si tenta di stabilire un rapporto. Molte di queste intenzioni mancano al nouvea roman che notoria mente si muove in senso più selettivo e distaccato di fronte alla realtà oggettuale. Questa realtà - scrive la Sarraute appartiene al giornalista, è appannaggio del documento e del reportage. Non è il terreno sul quale tende lo sforzo creatore del romanziere. Per lui la realtà è l'ignoto, è l'invisibile, è qualcosa che non può essere espresso in forme già utilizzate e conosciute e che esige la creazione
di nuovi modi di espressione, di nuove forme 0• In definitiva la posizione di questa corrente letteraria può dirsi meno disponibile all'eterenomia che è, viceversa, caratte ristica peculiare della pittura d'oggi. Inoltre, com'è noto, la gran parte dell'arte figurativa di e assemblage>, eredi tando la tradizione espressionistica ed informale, costituisce ancora la linea e viscerale> dell'avanguardia. Il nouveau
roman, al contrario, sembra più avvicinabile alla linea e ra-
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zionalista >. Linea che, peculiare proprio alle arti figura tive, riconferma la tendenza visiva della nuova corrente letteraria. La linea • razionalista •, o della stilizzazione. riduttiva e matematico-geometrizzante, - scrive Italo Calvino - ha segnato una relativa vittoria nell'essere riuscita a imporre il gusto dei suoi designers e dei suoi architetti all'interno del mondo industriale, ma l'ha pagata con l'indebolimento della sua forza critica e combattiva... A ben vedere, anche la linea razionalista dell'avanguar dia, geometrizzante e riduttiva, nella sua esperienza lettera ria più recente ed estrema, quella di Robbe-Grillet, ripiega verso un'interiorizzazione, e lo fa proprio col suo massimo · sforzo di spersonalizzazione oggettiva: il processo di mi mesi delle forme del mondo tecnico-produttivo si fa inte riore, diventa sguardo, modo di mettersi in rapporto con la realtà esterna 10• L'ipotesi « razionalista > per il nouveau roman non è priva di fondamento; Robbe-Grillet nutre un'opposizione al « tragico > che risale, non importa qui per quali vie, fino a ·Mondrian. La tragedia - scrive il narratore francese - può essere qui definita come un tentativo di recupero della distanza tra l'uomo e le cose, in quanto nuovo valore: sarebbe in somma una prova, in cui la vittoria .consisterebbe nel l'esser vinto... Registrare la distanza tra oggetto e me, e le di stanze proprie dell' oggetto ( le sue distanze esteriori, vale a dire le sue misure), e le distanze degli oggetti fra di loro, e insistere ancora sul fatto che sono solamente delle distanze (e non delle lacerazioni), tutto ciò significa stabilire che le cose sono là e che non sono nient'altro che delle cose, ciascuna limitata a se stessa. Il problema non è più di scegliere tra un accordo felice e una solida72 rietà infelice. C'è ormai rifiuto di ogni complicità.
[•.. ] Un interrogativo permane: è possibile sfuggire alla tragedia ? [.•. ] Io assicuro che che questa infelicità è situata nel
lo spazio e nel tempo, come ogni infelicità, come ogni cosa
di questo mondo. Assicuro che l'uomo, un giorno, se ne libe rerà 11 • Analogamente, Mondrian, di cui non ignoriamo la di versa (in molti punti opposta) posizione ideologica, affermava sullo stesso tema del tragico: L'equilibrio tra l'individuo e l'universale crea il tragico e s'esprime in plastica tra gica. In quel che è, sia forma, sia corporeità, predomina il naturale ed è questo che crea il tragico. Il tragico della vita mena al creare tragico: l'arte, perché astratta ed in opposizione con il naturale concreto, può precedere la sparizione graduale del tragico. Più decresce il tragico e più l'arte acquista purezza 12• Ricordiamo che per Mondrian il naturale equivale all'in sieme dei dogmi, delle tradizioni, delle prerogative dell'in dividuo. Il confronto con la posizione di Robbe-Grillet di venta più palese quando Mondrian afferma: Il lirismo patetico è l'espressione artistica del tragico. Tenta di ri conciliare l'uomo con la natura, di neutralizzare lo squi librio esistenziale tra queste due polarità. E veramente ri veste la vita tragica di una sconosciuta bellezza. Ma crea tuttavia una bellezza fittizia: una illusione. Donde sarà soppresso dalla supenealtà dell'avvenire 18• Ma anche se inseribile nella linea e razionalistica> del l'avanguardia, l'école du. regard si differenzia dalle poetiche figurative che fanno capo a questa corrente. Lo stesso Robbe-Grillet avverte i limiti d'un'arte fun zionale: In luogo di questo universo dei • significati • (psi cologici, sociali, funzionali) occorrerebbe dunque tentare di costruire un mondo più solido, più immediato. Conviene che oggetti e gesti si impongano in primo luogo per la loro presenza, e che questa presenza continui in seguito a dominare, al di sopra di ogni teoria esplicativa che tenti
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di rinchiuderli in un qualche sistema di riferimento sen timentale, sociologico, freudiano, metafisico, o altro
14•
Si ripropone ancora di fronte alle tendenze neo-costrut
il nouveau roman presentava rispetto all'arte figurativa d'assemblage: l'intolleranza verso
tive la stessa divergenza che
ogni forma d'implicazione eteronoma che viceversa sembra accomunare tutte le correnti figurative attuali. Conviene dunque ora, - scrive Robbe-Grillet - una volta per tutte, cessare di prendere sul serio le accuse di .gratuità, cessare di temere l'arte-per-l'arte come re dei mali
il peggio
111•
E più recentemente rivendicando una totale autonomia di ricerca ha affermato: Il romanzo, per noi, non può essere che una ricerca, e una ricerca che non sa nemmeno quello che cerca... lo scrittore, per definizione, non sa dove va. E, se dovessi
assolutamente rispondere
alla domanda:
• Perché scrivete • ? risponderei soltanto: scrivo per cer care di capire perché ho voglia di scrivere• 10• Cosicché, mentre la gran parte della poetica robbe-gril lettiana si giustifica come lotta per l'autonomia dell'arte (po lemica che in altri settori artistici ha già una sua tradizio ne), nelle arti figurative, dopo l'autarchia incomunicabile dell'informale, si tende a stabilire, in senso inclusivo, un rapporto, quale che sia, con la realtà, attraverso la testi monianza, il reportage, il racconto figurativo, l'impegno tecnologico-costruttivo ecc. Pertanto si può affermare, in definitiva, che il legame tra i due termini del nostro tema è dato dall'andare del romanzo verso la pittura per quanto concerne l'intenzione visiva: mentre la divergenza è do vuta al programma d'indipendenza dell'uno contro la volon tà eteronoma dell'altra. Ancora, se l'analogia si riscontra sul piano gnoseologico, il divario si afferma per la questione dell'engagement. Una convergenza può nuovamente riaffermarsi, interpre74
tando l'aseità e il disimpegno di Robbe-Grillet oltre i
limiti
testuali delle sue affermazioni. Come scrive Barilli: quando egli (R. G.) si batte contro allegorismi e spettri metafisici e sbavature psicologiche, per una conoscenza netta, mon dana, materialistica, riesce difficile sostenere che lo faccia appunto per un'arte proiettata verso la nullificazione di sé per troppa gelosa tutela dei propri complessi giurisdi zionali. Pare indubbiamente più giusto affermare che in quel momento l'autore si sta battendo per l'istituzione di una cultura, di una visione del mondo non esclusivamente contenuta nell'ambito dell'arte, ma al contrario di gran lunga esorbitante, così da costituire la base di molte altre parallele o convergenti edificazioni... 17• Pur condividendo questo giudizio, riteniamo che, per il dibattito attuale, la poetica del nouveau. roman e l'opera teo rica in particolare di Robbe-Grillet vadano più utihnente assunti nel loro significato letterale, per quanto hanno di più esplicitamente polemico ed estremistico, considerandoli in tal modo, per quanto è possibile, dei precisi punti di ri ferimento. ' A. RoBBE-GRILLET, Una via. per il romanzo futuro, Rusconi e Pao lazzi, Milano 1961, p. 42. • M. BUTOR, Répons a e Tel quel> in Répertoire Il, Les éditions de Minuit, Paris 1964, p. 296. • M. BuTOR, Pour moi, l'important c'est de devenir contemporain, in e Les lettres françaises >, 9 - 7 - 1964. ' In Almanacco letterario Bompiani 1959, Le punte dell'avangaurdia in Francia, Le Nouveau Roman, p. 263. • A. RoBBE-GRILLET, Op. eit. p. 37. • A. RoBBE-GRILLET, Natura, Umanesimo, tragedia., in Op. cit. p. 88. ' A. BoArro, La presenza dell'oggetto, e Il Verri> n. 12. • Ibidem • N. SARRAUTE, Le due realtà, e L'Europa letteraria> n. 22/23/24. 0 ' I. CALVINO, La sfida al labirinto. e Il menabò > 5. 11 A. RoBBE-GRILLET, Op. cit. pp. 72-90. "' P. MoNDRJA."i, cit. in O. MoRisANI, L'astrattismo di Piet Mondrian, Neri Pozza, Venezia 1956, p. 49. ,. P. MONDRIAN, L'arte realistica e l'arte super-realista, in Op. cit. p. 126. " A. ROBBE-GRILLET, Op. cit., p. 39. 11 A. RoBBE-GRILLET, L'engagement dello scrittore e il realismo socia.lista, in Op. cit. p. 137. 1 • A. ROBBE-GRILLET, in e L' Europa letteraria > n. 22/23/24. 17 R. BARILLI, introduzione al voi. Una via. per il romanzo futuro cit. p. 27-28
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Il Gaudì di Pane
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Il libro sull'opera fil Gaudì è il primo significativo contri buto di Pane alla storiografia dell'architettura moderna. Non che la più recente produzione costruttiva fosse fuori dai suoi interessi, ma essa rientrava più nella nota azione polemica e moralistica, in cui Pane è da tempo impegnato, che nella sua attività di storico. Questa diversa consi derazione dell' architettura moderna rispetto a quella del passato va, però, attribuita a motivi contingenti, quali la possibilità di intervento, l' attività didattica, la de nunzia del danno al patrimonio artistico e naturale, piuttosto che ad una mancata visione unitaria e metodologica fra storia passata e presente; unità di cui, viceversa, Pane è convinto assertore. Possiamo e dobbiamo attenderci, dallo storico dell'architettura - egli afferma nell'introduzione al vo lume - la testimonianza di un'attitudine al più ampio accoglimento di diverse concezioni e tendenze figurative; è quindi legittimo, e direi auspicabile, che lo storico sia tentato di misurarsi anche con quei valori espressivi che gli si presentano come opposti ad ogni sua precedente esperienza.
Come si vede, a parte l'unità metodologica che non viene posta in discussione, l'Autore rivendica anche, e legittima mente, la coesistenza non solo teorica ma di concrete espe rienze, anche se figurativamente opposte, quali sono i suoi studi più recenti: la monografia di Palladio e l'incontro con Gaudì. Uso i termini esperienza e incontro con precisa intenzione perché la vasta raccolta di materiale, spesso inedito, l'impegno filologico, la stessa visuale critica che informa il libro sono subordinate ad una diretta e franca esperienza visiva. Questo incontro ispirato alla più disinte ressata fruizione estetica è documentato da quelle imma gini fotografiche, il cui consenso è il riconoscimento più gradito a Pane, è la chiave per intendere il suo libro, che ha come principale caratteristica quella di essere l'opposto di un'opera da tavolino. Cosicché la totale attitudine visiva, l'aver concentrato l'intero interesse nell'immagine archi tettonica, l'essere i problemi del linguaggio al centro del ripercorso processo creativo sono gli aspetti più vivi . ed attuali del libro di Pane. Il saggio si annunzia come proposito di una lettura anali tica delle opere di Gaudì; lettura che, considerando general mente trasfigurato nelle singole fabbriche l'intero orizzonte culturale del periodo esaminato, tende a mostrare lo sviluppo dell'attività gaudiana come un autonomo processo espres sivo. Ciò non impedisce all'Autore di riconoscere le influen ze subite da Gaudì nel periodo della formazione ed in par ticolare quella della tradizione mu.dé;ar, a cui si ispirano la casa Vicens, la villa El capricho e i padiglioni della finca Gtiell - e quella dell'opera di Viollet-le-Duc, argomenti ai quali sono dedicati due appositi capitoli. Alla visione autonoma, sia pure giustificata dai motivi polemici che ve dremo, sono, a mio avviso, subordinati i legami dell'opera più matura di Gaudì con la cultura dell'Art Nouveau., che Pane considera superficiali analogie che accomunano anche un grande artista al linguaggio del suo tempo. 77
Eppure le componenti dello stile di Gaudì nascono dalla stessa reazione anticlassica, dallo stesso spirito del gotico, dall'influsso orientale, dal linearismo e cromatismo che si ritrovano nell'Art
Nouveau belga e nella Secessione vien
nese; ma quel che più conta è l'assenza di ogni residuo eclettico proprio in quelle opere, dalla casa Batllò alla casa Milà al parco Giiell che precorrono o accompagnano la breve
Nouveau, tendenza il cui carattere espo è proprio l'affrancamento da ogni stilismo storicistico.
stagione dell'Art nente
La relazione dell'opera di Gaudì con l'Art Nouveau non serve naturalmente a spiegarne ogni aspetto, non trovando, ad esempio, in quella corrente mitteleuropea tutta laica ed immanente, nonché impegnata nel problema del rapporto dell'arte con la produzione industriale, l'ispirazione tra scendente, religiosa e fantastica che è a fondamento dell'ope ra del maestro catalano. Tuttavia, poiché, come
è stato
osservato, le poetiche sono e lo storicizzabile della poesia >, l'attività di Gaudi s'inquadra, emergendo, sfondo della poetica
Ma
proprio sullo
Art Nouveau.
Pane sa bene queste cose. Se egli non ha insistito
sulla puntualizzazione di tale rapporto, non è tanto per le crociane riserve contro le tendenze e le poetiche, quanto perché, dando per note queste relazioni, ha preferito indi care i limiti dell'abuso di schemi e classificazioni così tipico nella moderna storiografia. Nel confutare gli intellettualistici influssi indicati da Pevsner nell'opera gaudiana, Pane affer ma che nell'architetto spagnolo lo svolgersi della forma - in uno con la sua geometria - è il risultato di una maturazio ne interiore, nella quale non interviene alcuna scoperta esterna. Con lo stesso intento demistificatorio Pane osser va: Così a Pevsner, il quale candidamente scrive che Gaudì • imbarazza chi vuole assegnargli un posto storico •· Zevi risponde che • se una grande personalità poetica non trova posto in uno schema storico, la colpa non è della personali78
tà ma dello schema •· Più precisamente direi che la colpa
è
della rigida ed imprecisa conoscenza di un dato schema. In fatti ,dopo il recente riesame dell'Art Nouveau, più volte ri conosciuto ed apprezzato dallo stesso Pane, è stato smentito il disfavore della critica razionalista, e di Pevsner in particola re, per quella tendenza e l'ostracismo dei vari neoclassicismi nazionalisti contro quella corrente internazionale. Cosicché rivalutati i fondamenti estetico-sociologici di essa e distinta la sua prima ed autentica fase dal movimento degli epigoni, tanto duraturo quanto superficiale, Gaudì trova, come dicevo, la sua adatta e degna cornice storica. Un altro punto del libro fra i più significativi e critica mente stimolanti è quando l'Autore puntualizza sul valore semantico di alcuni aspetti dell'opera gaudiana. Nel capi tolo sul parco Giiell, dove l'eccezionalità del tema fornisce a Pane l'argomento per una delle letture più esemplari di un'opera architettonica-urbanistica, si parla lungamente sul l'uso del dorico. Dovendo comporre insieme una terrazza ed uno spazio coperto, Gaudì ha pensato dì svolgere una colonnata arcaica... le scanalature, il capitello fortemente espanso, i triglifi ecc. Tali manualistici particolari sono stati poi adattati ad un movimento che risulta come il più estraneo, anzi direi ripugnante, alle forme assunte come ispiratrici: la trabeazione si muove baroccamente... le co lonne perimetrali sono fortemente inclinate, come i rustici pilastri e le colonne dei viadotti. Insomma, al dorico è fatta ogni violenza, anche quella dì un pratico rivestimento di maiolica bianca nella parte inferiore del fusto; e pur troppo, esso continua a richiamare ostinatamente il ricordo di quelle antiche forme, malgrado - anzi a maggior ra gione - perché esse sono state equivocate nella loro fun zione strutturale, dato che nessuna cosa al mondo, più della scanalatura dì una colonna dorica, suggerisce il senso della verticalità. Una delle peculiarità che oggi definiscono in maniera specifica la moderna cultura figurativa è la nostra intol-
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leranza verso i compromessi stilistici; ora, nel caso pre sente l'esempio di estrinseca reminiscenza non sopravvive isolato ma nel bel mezzo di un'opera di straordinario valore espressivo. In altre parole, malgrado quella certa misura di opinabilità che è implicita in ogni giudizio di valore critico, non si può negare che qui non è da rim piangere l'assenza di unità figurativa, nel significato che noi usiamo attribuire a tale unità - forse più, come ho altrove accennato, per influsso della tradizione classicista che in base alla nostra autentica libertà di visione - quan to di una intollerabile sospensione del processo creativo mediante l'inserirsi di un intento del tutto estraneo a quel lo della fantasia... In altre parole, oso affermare che se egli avesse visitato Atene o Pesto, non avrebbe fatto le colonne doriche del parco Glieli, né avrebbe affermato che la Sagrado. Famiglia era grieca. Nel brano riportato esiste più di una considerazione che, oltre ad aderire al caso esaminato, suggerisce anche alcune indicazioni di metodo generale. Anzitutto si nega il luogo comune della capacità poetica di trasfigurare ogni cosa; di assimilare all'aspirazione origi naria ogni elemento tratto da qualsiasi contesto linguistico e culturale. Al dorico si riconosce un proprio valore semantico, lo si considera composto cioè di segni obiettivamente legati ad un dato significato, talché l'uso improprio di essi non è solo un errore stilistico-eclettico, ma anche quello della loro mancata corrispondenza ad alcuni precisi denotata. Alla affermazione di un'attitudine significante propria del dorico (significante, non espressiva in senso estetico, per non ripetere l'errore degli eclettici) si collega il dubbio che Pane esprime sul modo di intendere la nozione di unità figurativa. Quando egli osserva che tale unità è più dovuta all'influsso della tradizione classicista che alla nostra libera visione, allude non solo alla storiografia accademica, ma anche - come si rileva del resto in altre parti del saggio -
a quella più recente che deduce il giudizio di unità sempre dal confronto con dei parametri schematici. L'ipotesi: se Gaudì avesse visitato Atene e Pesto, sembra integrare le due esigenze suddette: l'interpretazione semantica alla ne cessità di una lettura critica priva di pregiudizi; integra zione soddisfatta da una diretta esperienza architettonica verificata nel suo irripetibile contesto storico. Queste considerazioni si legano alla particolare lettura dell'opera gaudiana. Il capitolo sul parco Gtiell, come del resto la gran parte del libro, dimostra la possibilità di poter articolare nuovamente un completo discorso sull'architettura. Infatti, generalmente, Pane non solo illustra i motivi pratici, il programma edilizio, il processo costruttivo, l'interpretazio ne spaziale (zona in cui prevalentemente s'arresta la gran parte della moderna letteratura critica), ma coglie anche tutti gli aspetti e i passaggi, accosta i temi strutturali ai particola ri minuti, accomuna elementi d'importanza e dimensione di versa in un discorso emozionale, asistematico di straordinaria efficacia visiva che rivela una lunga e consumata capacità di storico e di interprete. Non ritroviamo nel saggio in esame gli schemi caratteristici ed ormai logori della moderna let teratura critica: la pianta libera, la continuità spaziale, la compenetrazione esterno interno, la evidenza espressiva del la trama strutturale ecc. - tutti elementi riconducibili al l'opera del maestro catalano - eppure, senza ripetere que ste formule, è detto tutto quanto concerne la moderna visio ne architettonica. L'efficacia del discorso visivo nulla toglie al rigore filologico, al dato referenziale, all'informazione di prima mano sempre attentamente verificata. E veniamo all'attualità del tema. In seguito alla mostra di Gaudì a New York organizzata nel 1957, Edith Hoffmann, in nome dei pionieri del raziona lismo e citando A. Loos avvertiva del rischio di vedere città pianificate da spiriti tanto liberi· da restrizioni quanto quello di Gaudì -· al che Pane replica - Come dire: 81
perché ci fate vedere queste opere? Vorreste forse che il mondo fosse così? No, naturalmente, noi non abbiamo af fatto questa intenzione; solo vorremmo che coloro che si occupano di queste cose fossero un po' più intelligenti. Non si può negare che, se la critica dell'architettura con tinua a mantenersi ad un livello nettamente inferiore a quello delle altre arti e della poesia, è proprio per que sta sua diffusa e pertinace inettitudine ad disinteressatamente
accogliere
i valori espressivi. Indubbiamente la
concezione strumentale della cultura porta alla totale inca pacità di distinguere e godere l'emergente opera di espres sione artistica dagli standards che condizionano la nostra vita quotidiana; tuttavia, respinto
il puro funzionalismo,
l'interesse suscitato dall'attività artistica spesso supera l'am bito di una fruizione meramente estetica. L'influenza attua le di Gaudi conferma la nostra interessata visione della sua opera ed è chiaro inoltre che l'adesione di Pane alle forme del maestro catalano nasce anche dalla corrispondenza di quell'artista, sia pure in parte, alla sua visione del mondo. All'architetto contemporaneo - scrive Pane - (che) cerca di lottare per l'affermazione di quei valori qualitativi che la... moltiplicazione delle cose senza significato tende a sopprimere... un uomo come Gaudi sarà intimamente ca ro poiché ne intenderà il sublime disinteresse di artista e di uomo di fede, e similmente trarrà conforto da tutto ciò che ancora al mondo riesce a sottrarsi all'impero del l'economia per offrirsi agli uomini come dono gratuito, sotto specie di meditazione o di fantasia. Più avanti l'Au tore scagionando Gaudi dall'accusa di decadente, riafferma un altro aspetto sempre attuale in ogni atteggiamento anti conformistico ed in ogni fase di ricerca sperimentale. Nel l'architetto spagnolo possono riscontrarsi giganteschi er rori ma non quelli del decadentismo, dato che a questo termine si associa il senso del compiacimento formale, ad 82
uso di una società appunto decadente,• e non quello di una
intransigenza che giunge a negare fino all'assurdo le con dizioni poste dal programma sociale; e lo si chiami pure solipsismo, ma è un solipsismo eroico che arricchisce la nostra esperienza morale e perciò non può essere deca dente. Sono proprio queste, a mio avviso, unitamente ad altre ragioni, a rendere attuale l'opera di Gaudì, a ren dere la nostra considerazione di lui interessata; beninteso d'un interesse opposto al finalismo strumentale dei razio nalisti. Come afferma Collins Non è pura coincidenza se qui in America l'interesse manifestato per Gaudì, negli anni del dopoguerra abbia accompagnato il sorgere della nostra scuola di espressionismo astratto in pittura e scul tura. Ecco un'artista che praticava la collettiva affaristica e generalmente indocile arte dell'architettura, e che lo faceva con lo stesso sentimento di libertà e di individua lità apparentemente anarchica che caratterizza il loro stile in pittura. Nell'indicare il modo d'intendere l'attualità di Gaudì, Pa ne ammette la legittimità dell'influenza della sua opera ma avverte che tale influenza sarà da intendersi nel senso che è implicito ad ogni opera di poesia ossia come esortazione alla libertà e cioè come impulso morale. Ora, in Gaudì, attuandosi detto impulso essenzialmente quale impegno formativo - com'è ampiamente documen tato dall'esegesi di Pane - mentre il linguaggio di lui non è ovviamente imitabile, diventa invece esemplare ed attuale, per la contemporanea ricerca architettonica, nata dalla crisi del razionalismo, il dato fantastico e visionario dell'opera sua, il suo radicalismo sperimentale. R.D.F.
Direttore res ponsabile: Rl:KATO DI: Fusco Autorizzazione del Tribunale di Napoli n. 17:U del 13 ottobre 1964 Stampe ria Napoletana s.r.l. - Viale Maria Cristina di Savoia n. 5
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