Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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Renato De Fusco
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Edizioni e Il centro >
Argan, Assunto, Menna, Munari,
Editoriale
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Design e mass media
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Gestalt prima e dopo G. De Crescenzo
L'estetica neo-natuTalistica di Romanell
Oreste Ferrari
Della Pop ATt e di una mostTa a Vienna La poetica uTbanistica di Lynch
Vitaliano Corbi
Semanticita. dell'aTte
R.D.F.
ATchitettuTa come linguaggio
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Alla Tedazione di questo numeTo hanno collaborato: Vitaliano Corbi, Lilliana Defez, Renato De Fusco, Luciana De Rosa, Uberto Siola, Lea Vergine, Antonio Vitiello.
Editoriale
Nel secondo numero di una nuova rivista si è tentati di riassumere e rispondere alle varie note di consenso, di indifferenza o di biasimo suscitate dalla pubblicazione del primo numero. Poiché tendiamo alla continuità, alla costanza programmatica e a una regolare periodicità, avremo modo di tornare su tali argomenti escludendo per ora un primo, sia pure sommario ed emozionale, bilancio. Tuttavia almeno due suggerimenti vanno discussi perché toccano i problemi di fondo della nostra ini ziativa e possono condizionare il nostro lavoro. Il primo è quello della chiarezza del linguaggio. Una rivista che vuole essere utile - e non solo nel l'enunciato - tanto agli specialisti quanto al pub blico deve anzitutto saper comunicare chiaramente anche se tratta di critica d'arte, esperienza che certa mente non è tra le più accessibili. Ma la chiarezza non è sempre sinonimo di semplicità di linguaggio;
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ed è
proprio di un linguaggio più semplice che si av
verte oggi il bisogno, nulla perdendo in precisione e rigore. Il problema è notoriamente assai complesso. Un tentativo di semplificare il nostro linguaggio può considerarsi, ad esempio, l'articolo redazionale riguar dante la Gestalt, dove s'è tentato di evitare una termi nologia sia iniziatica che didascalica e soprattutto non sono state date per note molte nozioni prelimi nari. Ciò nonostante esso ha ancora una intonazione specialistica.
Il nostro problema è quello di diffondere i temi della critica oltre i critici, specie presso gli artisti, i
più interessati e al tempo stesso esclusi da ta!e attività. Posta in questi termini la nostra questione di servire chierici e laici rientra nella più vasta esigenza di conciliare la quantità e la qualità della diffusione culturale. Intanto, senza rimandare a quando
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se
avverrà - che idee più chiare saranno trasmesse da più semplici parole, ci poniamo il compito di riferire le difficili, confuse ed ambigue idee del nostro tempo, intenzionati a riproporci volta a volta nuovi modi co municativi, a sperimentare continuamente nuovi stru menti nella fiducia che, nonostante i malintesi vo lontari o involontari, è possibile ed indispensabile comprendersi. Il secondo rilievo critico ricevuto è quello per
cui il nostro intento referenziale sarebbe una sorta di disimpegno, un rifiuto a prendere partito per questa
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o· quella tendenza dell'arte, cui, com'è noto, corri sp onde questa o quella tendenza della critica. Ora, a parte il diffuso schematismo sospettoso di ogni azione non inquadrata e strumentalizzata, rite-
niamo di non eludere alcun impegno perché avver tiamo l'esigenza sia di una informazione obiettiva, sia di un orientamento che, implicando delle scelte, è necessariamente partigiano. Anche qui il nostro problema particolare rientra in una delle fondamen tali questioni della critica d'arte contemporanea: la coesistenza del procedimento fenomenologico con quel lo assiologico. Intanto continuiamo il nostro lavoro informativo inquadrato in una direzione, secondo una scelta che sia il più possibile inclusiva. Se a qualcuno una scelta che non sia esclusiva può sembrare una contraddizione in termini, indicheremo una conside razione sull'esperienza dell'arte moderna. Ci sem bra utile constatare che le varie tendenze dell'arte contemporanea contraddistinte dal prefisso « neo » non siano tanto, come si crede, dei ritorni, delle ri prese, quanto la continuazione di un discorso inter rotto da false scelte della critica, del gusto, del mer cato ecc. Più che consumarsi nel giro di qualche de cennio le correnti dell'arte moderna, che singolarmente non bastano ad esprimere il nostro tempo, si ripro pongono, sia pure evolvendosi, nella loro continuità e molteplicità. La loro pluralità è probabilmente lo stile del nostro tempo. La critica che non coglie il senso di questa pluralità ci sembra sacrificare al par ticolare una totalità che è proprio nella realtà delle cose. RENATO DE FUSCO
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Design e mass media
A cura della galleria « Il Centro > è stata organizzata a Napoli il 5 dicembre nel Museo di Villa Pignatelli una tavola rotonda sul tema: Design e mass media, cui hanno partecipato Giulio Carlo Argan, Rosario Assunto, Bruno Munari, Filiberto Menna. Nel presente resoconto riportiamo testualmente i punti più significativi del dibattito tratti dalla registrazione. GTIJLIO CARLO ARGAN Argan apre il dibattito impostando i temi dei rapporti estetici e sociologici tra disegno industriale e cultura di massa; dando per noto che il problema della cultura di massa non si presenta come un problema di diffusione o divulgazione di una cultura data, ma come il problema di una nuova strutturazione della cultura. Passa a conside rare quali sono gli strumenti che caratterizzano il nuovo tipo di cultura. Molti di questi si presentano con una fenomenologia varia, complessa, quasi inclassificabile, e con aspetti che giustificano il sospetto che questi mass media costituiscano una degradazione della cultura stessa. Ci chiediamo se l'avvento di una cultura di massa possa veramente essere l'avvento di una cultura o soltanto la distruzione di una cultura. Il design, come metodologia della produzione con valore qualitativo, è uno dei feno meni che debbono essere presi in esame, e poiché il design 8
mira alla diffusione di oggetti aventi carattere di modello
di valore, dobbiamo chiederci quale sia il rapporto del design come mass medium con la fenomenologia della cul tura di massa... II design sembra essere in contraddizione con il caos delle immagini visive e sonore a cui siamo sottoposti con lo scopo di determinare le nostre decisioni attraverso impulsi inconsci, invece che attraverso giudizi e la contraddizione appare verificabile nelle due punte estreme dell'attuale situazione delle poetiche artistiche. Da una parte abbiamo il design, a cui si collega l'arte detta gestaltica, e dall'altra alcune correnti neo figurative e so prattutto la pop art americana. A proposito di tale con traddizione Argan precisa che l'arte detta gestaltica e la pop art si presentano come il risultato di due processi com pletamente diversi. La gestaltica, cioè l'arte di ricerca sui valori costrut tivi della percezione, sulla cinetica della visione, è il risul tato evidente di un processo di sublimazione; tanto è vero che l'oggetto scompare, si volatilizza e di esso rimane sol- · tanto una strutturazione quasi inafferrabile come concre tezza formale, ma riconoscibile come rappresentazione dia grammatica del processo che l'ha prodotta. La pop art ap pare invece come un processo di precipitazione, tanto è vero che restituisce l'oggetto nella sua testualità, sia pure eccependolo dai contesti spaziali abituali nei quali questo oggetto ci si presenta. Ciò che si volatilizza in questo processo è il procedimento costruttivo, sicché l'oggetto, più che costruito o prodotto, appare prelevato od estratto da un contesto empirico. In realtà, questi due processi di sublimazione e di precipitazione, operano nell'ambito di una medesima realtà: il mondo storico contemporaneo nella pluralità e varietà dei suoi fenomeni. Il problema che si pone è di verificare se la situazione storica del mondo contemporaneo, coi suoi modi di produzione e di vita, abbia o non abbia esiti estetici e, in un ambito più 9 largo, culturali.
Dopo aver osservato che sia l'arte gestaltica che la pop art insistono in un medesimo ambito economico-cultu turale, Argan afferma: f: chiaro che essendo il mondo contemporaneo caratterizzato dal problema della produzio ne e del consumo, è facile ridurre la ricerca gestaltica o costruttiva alla metodologia della produzione e la ricerca documentaria e testimoniale della pop art al problema del consumo. [....]. Approfondendo l'esame, ci accorgiamo che questi due aspetti della produzione e del consumo, anche considerati dal punto di vista estetico, non si sottraggono a quella che è la legge fondamentale della vita economica, cioè alla relazione tra produzione e consumo, al condizionamento del consumo attraverso la produzione, al condizionamento della produzione attraverso il consumo. Quindi, non sol tanto nel campo della produzione corrente la ricerca di mercato condiziona la produzione, ma anche nella ricerca dei valori di qualità. A questo punto Argan cita alcuni esempi: la pubbli cità, il problema dell'involucro degli oggetti, l'automobile in cui evidentemente il problema della funzionalità mec canica e della corrispondenza della forma alla funzionalità meccanica è oltrepassato e deviato nell'adeguamento della forma alla funzione dell'automobile come simbolo sociale per rilevare che: f: chiaramente percepibile che l'influenza della ricerca motivazionale - cioè la ricerca dei motivi profondi delle scelte - alle quali s'ispira oggi la pro duzione economica, soprattutto per l'influenza dei gruppi di potere che la guidano, interferisce sul design al punto che esso ha in molti casi perduto la propria facoltà di decidere il tipo, la forma, la qualità della produzione. Un altro aspetto da sottolineare è che il design tende a non differenziare l'oggetto dotato di qualità estetica da tutti gli oggetti di uso comune; tende cioè o ad una qualifi10 cazione estetica o ad una squalificazione estetica di tutto
il mondo della produzione. Evidentemente il dilemma sta nel decidere se si giunga ad una qualificazione generale, ad una qualificazione estetica o ad una squalificazione este tica di tutta la produzione ... Ma esiste veramente una differenza così profonda nei confronti di quel passato che noi temiamo o desideriamo di vedere inabissarsi con il determinarsi di una cultura di massa, cioè con una cul tura strutturalmente diversa dalla precedente? ... Il fatto che il design, seguitando e non distruggendo la tradizione del rapporto arte-produzione quale si è avuto nel passato, giunga ad una ricerca di simboli sociali, non è nuovo. Ciò che mi sembra poi, anche meno strano, è che, nella condizione attuale del mondo, si cerchi di rispon dere con un'arte indifferenziata ad una società indifferen ziata. Che cosa è, in pratica, la società indiffenziata? :t una• società borghese che si viene disgregando fino ad una configurazione puntiforme, in cui i suoi componenti non siano più riconoscibili per delle qualità individuali? O è, al contrario, una nuova classe? O è una nuova strut tura della società che si sovrappone ed elimina in sé la società borghese? Indubbiamente il momento attuale è un momento in cui i designer& e, per estensione, gli artisti sono ancora esponenti di una borghesia, scontenti di esserlo, de siderosi di accelerare la crisi della società di cui fanno parte, ma che non possono pretendere che i lineamenti di questa crisi della società borghese e i processi della sua disgregazione diventino i lineamenti costruttivi della nuova classe, della nuova società e i processi costruttivi del suo avverarsi. Noi oggi parliamo di una crisi del design e - in senso più esteso - della crisi dell'arte, che potrebbe es sere proprio esemplificata nel fatto che nessuna delle due correnti figurative più attuali si proponga come capace di realizzare un fatto artistico nella sua totalità ma soltanto di realizzarlo in un modo che è in antitesi ad un altro modo. Ebbene il momento attuale è, per quanto
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possa sembrare assurdo, un momento molto simile a quello del principio del Novecento, a quello di quell'arte floreale, a cui per uno sbaglio di obiettivo, molti si ri chiamano... Perché, nel momento in cui tanto si parla della necessità di interessare le masse alla produzione artistica, raramente se ne tien conto, raramente si ha il coraggio di dare a queste masse il nome che esse hanno, cioè il nome di proletariato? Non ci interessa più l'élite che fa l'arte per il proletariato: molto ci interesserebbe sapere quale sia o sia per essere l'arte del proletariato... di una classe politica per eccellenza, nel senso che è la classe dei nulla tenenti e quindi dei non interessati. L'arte del proletariato ha, in questo senso, la possi bilità di risolvere il rapporto tra un'arte che tenga conto degli aspetti del mondo ed un'arte che invece si proponga come ipotesi di riforma in astratto. L'arte che oggi si pro pone non vuole più essere un'arte d'élite, non vuole più essere arte come oggetto di capitalizzazione, come bene, come ricchezza che viene accantonata per un tempo suc cessivo, o addirittura per l'eternità. Che cosa può sostitui re la fine di questa identità: arte-tesoro? Soltanto, io credo, una nuova identità: arte-funzione. Arte-funzione non solo in un senso meccanico, ma arte-funzione nel senso edu cativo più ampio, per cui il problema ritorna ancora una volta a quello della funzione dell'arte come mezzo di edu cazione estetica. ROSARIO ASSUNTO
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Assunto, riconoscendo al discorso di Argan ricchezza di spunti e complessità di argomentazioni, dichiara di voler solo sottolinea,e alcuni aspetti trattati, aggiungere delle postille e delle' esemplificazioni soprattutto sul piano della storia delle idee che è la mia specializzazione professionale.
Egli propone, allora, di allargare il discorso sull'arte come strumento di educazione e di educazione estetica che, se vale nei termini esposti da Argan per le arti visive, vale anche per tutte le arti, naturalmente per ogni arte nella sua modalità diversa. Arte come educazione estetica, cioè come educazione dell'uomo per eccellenza: perché direi, quello che rende l'uomo civile e lo distingue dai barbari è appunto il riconoscimento dei valori estetici. Ma questo riconoscimento, aggiunge Assunto, è quanto mai raro e molti • barbari • detengono il potere politico ed economico; come esempio egli ricorda quel noto uomo po litico che ebbe ad asserire, a proposito di un problema di conservazione dei valori ambientali delle città antiche e, quindi, di limitazioni del traffico, che il traffico è una realtà e l'estetica è materia soggettiva ed opinabile. L'educazione estetica è principio di civiltà ed al suo servizio vanno posti gli strumenti che la cultura di massa mette a nostra disposizione. Alcuni anni fa - con tinua Assunto - ebbi a manifestare il mio pensiero in tema di industrial design. In disaccordo con certi esca tologi della cultura di massa e con tanti amici avanguardisti a tutti i costi, cercavo le premesse di quella visione che speriamo di raggiungere servendoci dell'industrial design e della cultura di massa e trovai fonte d'ispirazione nelle Lettere sull'educazione estetica di Federico Schiller. La educazione estetica antepone alla realtà l'apparenza; in fatti, per quanto noi si voglia, e giustamente, eliminare ogni apparenza mistificatoria e menzognera, se vogliamo dare una qualificazione estetica a tutto il nostro am biente, dobbiamo preoccuparci dell'apparenza come di un fine ed un valore in sé, anche se ciò può sembrare scan daloso. La radice del problema estetico è appunto que sta: considerare l'apparenza non come la veste inganne vole e mistificatrice, ma come una realtà che ha valore per noi in quanto non ci limitiamo ad usare le cose, ma
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vogliamo goderne le immagini, la forma, l'apparenza: la bella apparenza delle cose •· Il problema odierno - prosegue Assunto - è quello di individuare schemi adeguati ad una nuova struttura zione estetica, di criteri orientativi che permettono un uso proprio ed esatto degli strumenti che il progresso tecno logico mette al servizio degli uomini, e non un uso falsi ficatore. t: indispensabile, cioè, che le nuove forme indu striali non sostituiscano un estetismo ad un altro este tismo, ma si giustifichino in quanto sono le più adatte ad essere prodotte servendosi di certi mezzi e non in quanto soddisfino esigenze artificiali di ostentazione sociale. t: necessario, altresì, che la qualità estetica dei prodotti sia adeguata al maggior numero possibile di persone, ipoteti camente alla totalità degli individui, e che ogni atto di consumo sia anche atto di fruizione estetica ed ogni atto di produzione sia anche atto di qualificazione del mondo. A proposito dei mass media, Assunto dichiara di non condividere il terrore con cui si guarda ai nuovi mezzi di diffusione della cultura ma di guardarli con una certa soddisfazione, anche se, il bombardamento d'im magini al quale i mezzi di comunicazione di massa ci sot topongono ha un aspetto notturno, nel senso che sollecita in noi la passione dell.a notte, non sempre positiva. Con par ticolare riguardo ai fumetti, Assunto pone in rilievo la funzione di promozione culturale che essi realizzano per gli strati più incolti della popolazione ed affaccia il problema del produttore di immagizù per i fumetti: anche qui si pone il problema della qualificazione estetica di immagini che non sono fine a se stesse, ma strumentali. Sotto questo profilo, il fumetto non è altro che una trasposi zione laica e mondana di quella funzione di comunicazione che avevano gli affreschi delle chiese, l'iconografia sacra e, in un certo senso, l'araldica. Quest'ultima era molto spesso la trasformazione di certe idee in schemi percettivi facil-
mente accessibili. L'araldica stabiliva un rapporto con convenzionale tra il momento percettivo e quello concet tuale attraverso un simbolo grafico. Concludendo Assunto richiama quei passi di Marx nei quali il filosofo tedesco auspicava un tempo nel quale non ci saranno più pittori, ma uomini che, oltre al resto, sapranno anche dipingere e quell'altro nel quale rammen tava l'arte greca che vale per noi come modello inimitabile. Ma le idee estetiche di Marx, e in particolare quelle sul l'arte greca, hanno le loro radici in Hegel, e attraverso Hegel, risaliamo a Schiller e Holderlin. Perché questi riferimenti a lontani autori? Perché - sostiene Assunto - il nostro problema è ancora questo: proiettare nel futuro, non solo come sogno, ma come scopo raggiungibile - servendoci proprio dei mezzi offertici dalla situazione presente, ed attraverso una spietata e lucida analisi della stessa - quel passato che Hegel nella introduzione alle Lezioni di estetica rimpiangeva dicen do: • I giorni, giorni belli della Grecia antica, l'età del l'oro del tardo Medioevo sono ormai lontani•· Il nostro problema, quando ci occupiamo di design e di mass media è quello di far sì che - attraverso lo studio per chi teo rizza, attraverso la ricerca pratica per chi opera - que sti mezzi, che alcuni reputano diabolici, possano diventare il modo per recuperare nella presente situazione quella centralità del valore estetico nella costituzione dell'espe rienza umana che Hegel, rifacendosi all'ellenismo di Winckelmann, celebrava nel mondo antico come • una bellezza di cui non ci sarà mai l'eguale•·
BRUNO MUNARI Munari inizia dichiarando che il suo intervento non avrà un carattere teorico ma servirà a comunicare l'esperienza di lavoro di un designer.
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A differenza del pittore o dell'artista tradizionale il quale, attraverso i mezzi consueti, compone la sua opera e attende che questa parli agli altri, il designer si pone di fronte ad un problema richiesto dalla società operando attraverso i nuovi mezzi che volta a volta, a seconda dei temi, gli vengono offerti dalla tecnica. Egli affronta il suo lavoro senza alcun preconcetto né di forma, né di stile, né di astrazione o non astrazione, aderendo essen zialmente ai mezzi tecnologici disponibili per risolvere ciascun problema. Il designer si differenzia oltre che dal l'artista, anche dall'ingegnere progettista di oggetti indu striali....Il metodo di lavoro del designer è invece diverso. Il designer dà la giusta importanza a ogni componente dell'oggetto da progettare e sa che anche la forma defi nitiva dell'oggetto progettato ha un valore psicologico de terminante al momento della decisione di acquisto da parte del compratore. Egli cerca quindi di dare una forma il più possibile coerente alla funzione dell'oggetto, forma che nasce direi quasi spontaneamente, suggerita dalla funzione, dalla parte meccanica (quando c'è), dal ma teriale più adatto, dalle tecniche di produzione più mo derne, da un esame dei costi, e da altri fattori di carat tere psicologico ed estetico. Ogni argomento ha già in sé le sue forme e le sue immagini che aspettano soltanto di essere rivelate con mezzi moderni; quindi l'artista di oggi non soltanto ha i mezzi della pittura, della scultura per esprimersi ma anche un'infinità di altri mezzi. Inoltre il designer non può avere opinioni personali di fronte al problema, ma deve tenersi rigorosamente ai dati statistici. Per esempio è stata fatta una prova su un certo numero di persone per vedere come venivano accettati i colori di un imballaggio per un detersivo.In tre scatole decorate, una in giallo, una in blu e l'altra in giallo e blu venne posto lo stesso detersivo. Dall'indagine statistica risultò che il detersivo giallo
era corrosivo, quello blu era inefficace e quello giallo e blu era perfetto. Il motivo di tale preferenza è stato spiegato col fatto che il giallo e il blu essendo dei colori comple mentari danno una soddisfazione ed un equilibrio psico logico alla persona. Infatti se il nostro occhio è colpito da una luce rossa quando chiudiamo gli occhi noi vedia mo verde e questo colore che è complementare del rosso lentamente sfuma verso il nero e si stabilisce un equilibrio; quindi un oggetto o un imballaggio fatto con dei colori complementari ha sempre un effetto sicuro. In conformità alla sua premessa di voler comunicare solo un'esperienza, Munari non esprime alcun giudizio su questo tipo di sollecitazione, di persuasione mistificatoria esercitata a volte dal designe-r. In quest'incontro - egli prosegue - si è parlato di bello, di bellezza e di estetica; io questo argomento lo lascerei un po' da parte perché non c'è un bello in assoluto, ci sono tanti tipi di bellezza secondo le epoche e secondo la cultura; quindi direi piut tosto che il compito del designer è quello di produrre degli oggetti esatti, perché quando un oggetto è esatto non c'è più problema di gusto. Infatti gli strumenti, per esempio gli strumenti chirurgici, o tutti i ferri del mestiere che non hanno problemi di estetica, sono però accettati da tutti, perché sono strumenti esatti. Tutt'al più, invece che di bellezza, si può parlare di qualificazione nel senso di coerenza formale, cioè ogni componente, ogni elemento dell'oggetto o della ricerca visiva deve essere collegato o coerente con tutto il resto. Questo aspetto della coerenza formale, secondo Mu nari, da un lato supera il concetto della bellezza intesa come attributo dell'arte e dall'altro il primo razionalismo che conferiva valore estetico a tutti gli oggetti purché aderenti alla funzione. Un altro aspetto qualificante il lavoro del designer è un ritorno all'autenticità del mestiere, ad una attività con-
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sapevole e competente che reinserisca l'artista nel vivo dell'intera attività produttiva contemporanea. Il designer è quindi l'artista della nostra epoca. Non perché sia un genio ma perché con il suo metodo di lavoro riallaccia i contatti tra arte e pubblico; perché affronta con umiltà e competenza qualunque domanda gli venga rivolto dalla società in cui vive, perché conosce il suo mestiere, le tecniche e i mezzi più adatti a risolvere ogni problema di comunicazione e di informazione visiva. Perché risponde alle necessità umane della gente della sua epoca, li aiuta a risolvere certi problemi indipendentemente da preconcetti stilistici e da false dignità artistiche derivate dalla divisione tra le arti.
FILIBERTO MENNA
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Menna ha esordito affermando che il rapporto fra de sign e mass media si pone per la prima volta tra il '30 e il '35 negli Stati Uniti con il fenomeno dello styling. Lo styling, com'è noto, è un processo di stilizzazione della forma, perseguito per rendere l'oggetto di uso comu ne più appetibile e più facilmente vendibile. Naturalmente, trattandosi di un processo di stilizzazione della forma, il procedimento dello styling opera all'esterno dell'oggetto, lasciando intatto il problema tecnico sul quale l'oggetto è impostato. Lo styling è legato a una determinata situazio ne economica che Menna indica nella politica roosveltiana del New Deal ricorrendo allo schema del Rostow sugli stadi dello sviluppo economico delle nazioni più evolute. Ed è appunto in quest'ambito che si verifica l'incontro tra il design e i mass media: Il campione dello styling americano Raymond Loewy diceva che le cose brutte si vendono male, però aggiun geva che il più bell'oggetto non si vende se non si convince il pubblico che si tratta veramente dell'oggetto più
bello; questo vuol dire che ad un certo momento, inter viene nel rapporto designers-pubblico, industria-pubblico, produttore-consumatore, un terzo elemento che è estra neo al rapporto forma-consumo, un elemento di carattere psicologico anzi psicacogico: interviene cioè la pubblicità. :E: a questo punto, cioè nel momento in cui il designer e l'industria devono ricorrere massicciamente al fattore psicologico della pubblicità per convincere il consumatore a comprare quel prodotto e quel prodotto soltanto, che il design comincia a fare i conti con i mass media, allonta nandosi in un certo senso dal design storico. Anche negli U.S.A. si verifica così, secondo Menna, una frattura tra il più recente design e il design storico: Una frattura che è però meno drammatica, meno lacerante di quella che si è verificata in Germania o in Russia dove le avanguardie furono liquidate violentemente o burocra ticamente. Ma è una rottura non meno profonda e irre versibile. :E: vero: lo styling produce degli standards for mali da riprodurre in serie come il funzionalismo sto rico, ma la differenza consiste essenzialmente in questo, che la forma perseguita dal design storico, dal Bauhaus, come giustamente ha detto anni fa Argan, era una forma assoluta, studiata in _laboratorio, cioè, in un ambito in cui la richiesta del consumatore era in un certo senso lontana, meno pressante di quanto lo sia stata in seguito e sia soprattutto oggi. La forma invece dello styling è una forma relativa alle esigenze del mercato. Un'altra differenza fondamentale è da rintracciare in questo, che sia De Stjil che il Bauhaus avevano una fiducia assoluta nella forma e pertanto ritenevano che, una volta raggiunto l'equilibrio forma-funzione, la forma si sarebbe imposta da sé sul pubblico; ora lo styling, il design degli anni '30'35, dice ancora che la bellezza è necessaria per vendere i prodotti, ma aggiunge che la bellezza da sola non basta se non è accompagnata dalla pubblicità. 19
Ricordando che si deve a Dorfles la recente parziale rivalutazione dello styUng, Menna aggiunge altre favore voli considerazioni al riguardo. Lo Btyling americano ha avuto quasi una funzione di verità, cioè di denunciare con la sua stessa esistenza la inadeguatezza, la non incidenza storica di certe ipotesi originarie del design rispetto ad una certa situazione eco nomica americana dapprima negli anni '30-'35 e poi alla situazione di molti paesi europei soprattutto nel dopo guerra. Un secondo lato positivo dello styLing (e su questo vorrei conoscere il parere di quelli che partecipano a questo dibattito) mi sembra che consista in questo, che, se è vero che lo styLing cerca di agire psicologicamente, esercitando cioè una coercizione psicologica sul consuma tore, è anche vero, però, che cerca di indagarne gli umori, le aspirazioni, i desideri anche inconsci attraverso un sistema di indagini sempe più affinato. In un certo senso lo Btyling produce una risemantizzazione dal basso, che non è più risemantizzazione a livello della forma assoluta, ma è una riqualificazione a livello di certe convenzioni iconologiche, simboliche, nelle quali una certa comunità si riconosce. Successivamente Menna si riferisce ad un intervento di Tòmas Maldonado, direttore della Hochschul.e fiir GestaZ tu-ng di Ulm, per riproporre nei termini generali il pro blema estetico del design. Maldonado si chiede: il design è arte? E poi distingue tre posizioni: ci sono coloro che credono che il design è arte; vi sono coloro che credono che il design è la forma di arte di oggi destinata a sostituire l'arte tradizionale, poi c'è la terza posizione, ed è questa che egli accetta, per cui il design non è arte; è semplice mente un problema tecnico-scientifico da impostare e da risolvere in un certo modo. In questa conferenza, cioè, egli ribadisce la posizione di positivismo scientifico che 20
aveva espresso nel suo intervento nel '58 all'Expo di
Bruxelles. Egli ritiene, in un certo senso, che gli interro gativi, i problemi della coscienza dell'uomo contempora neo non possono trovare una risposta in un bene di con sumo. La risposta a questi interrogativi ce la può dare soltanto e ancora l'arte. Arte che Maldonato, se non ho frainteso
il suo pensiero, considera ancora in maniera
tradizionale: la pittura, la scultura, la musica, la poesia, la letteratura. Ora è una posizione che io non mi sento di accettare, però è una posizione estremamente interes sante, direi quasi appassionata e dolorosa. Non possiamo accettare questa tesi di Maldonato perché, mi sembra, essa ripropone la distinzione tra le arti del sublime e le arti funzionali, per cui ci sarebbero delle arti maggiori e delle arti minori con tutti i grossi problemi di carattere este tico ed anche pratico che ne derivano. Ma è chiaro, che una volta impostato in questo modo, il problema del design rispetto alla società contemporanea,
è un problema note
volmente semplificato. Per coloro i quali invece sosten gono che
il design è ancora arte, o perlomeno è ancora un
fatto fondamentalmente estetico, i problemi non sono altrettanto semplici. A questo punto Menna ricorda l'intervento di Etienne Souriau ad una tavola rotonda tenuta anni
fa in Francia
da alcuni cultori di estetica industriale. Il Souriau soste neva che bisognava dare all'oggetto d'uso comune qual che cosa i n più, oltre il dato meramente funzionale, qualche cosa di simbolico e parlava quasi di un barocco industriale. Ma naturalmente una riqualificazione estetica del de sign non può essere ottenuta, non può essere realizzata se non attraverso i mezzi tecnici del design, cioè sempre tenendo come punto di riferimento, il consumo, e quindi il consumo di massa. Cioè proporre un oggetto singolo che abbia delle capacità fabulatorie, che susciti l'imagerie ecc., non risolve il problema del design, non è un • con tropiede • al de aigfl; è ansi una posizione reazionaria e
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ritardataria. Quindi il problema della riqualificazione esi ste, deve essere affrontato sul piano della progettazione, sul piano della pianificazione. Recentemente ci sono state, soprattutto qui da noi, ma non solo da noi, delle proposte riguardanti un'arte, l'arte programmata (conosciuta anche con altri termini) che si è posta appunto il problema di riqualificare esteticamente una progettazione destinata ad un uso generale. Richiamandosi esplicitamente alle ipotesi di Umberto Eco, Menna indica nella situazione della cultura contem poranea, caratterizzata appunto dai mass media., una serie di stratificazioni: Vi sono delle ricerche di avanguardia che lavorano ad un livello di punta; accanto a queste si situa un'attività caratterizzata da un'artisticità diffusa, un'arte di trattenimento, di divulgazione che ha una funzione fondamentale e utilissima nell'economia della odierna cultura; ed infine c'è il cattivo gusto, il Kitsch ecc. Ora io credo, che questa diagnosi sia esatta, corri sponda alla situazione attuale non solo nelle arti figura tive, nell'architettura, nel design, ma anche in letteratura, poesia, musica ecc. Qual è la posizione, mi sono chiesto, che il design ha in questa situazione antropologica così caratterizzata? � probabile che, giunti a questo punto, dob biamo in · un certo· senso ridimensionare il valore del design così com'era sostenuto dai teorici del Bauhaus e di De Stjil e situarlo proprio in questa zona intermedia, dove si verifica lo scambio, l'osmosi, tra le ricerche di avanguardia e il consumo generale. Il Design coincidereb be quindi con una sorta di moderna arte popolare, così come era stato suggerito· dal Banham. · Arte popolare non nel senso tradizionale, ma nel sen so, che questo termine assume in esperienze affini come la pop art; cioè nel senso di un'arte che si rivolge ai mezzi popolari, ai mezzi propri dei mass media. Naturalmente, 22 accettata questa posizione del Banham, noi dobbiamo in un
certo senso, ridimensionare, (ma ridimensionare è una brutta parola perché implica un giudizio di valore che io escludo) anche l'estetica nell'ambito della quale opera il design.
Ritorna allora l'esigenza manifestata da Assunto della formulazione di nuovi schemi per il problema estetico del design. Una indicazione può aversi dallo stesso Banham. Banham parlava di un'estetica del consumabile in con trapposto ad una estetica del permanente ed affidava an che egli all'estetica del permanente, certe manifestazioni artistiche di punta, mentre affidava all'estetica del consu mabile, cioè destinata in un certo senso a esaurire in un giro più rapido il proprio messaggio, messaggio anche di carattere estetico, l'oggetto di uso comune, cioè il design. GIULIO CARLO ARGAN Dopo gli interventi di Assunto, Munari e Menna, Argan riprende la parola, associando innanzitutto la posi zione di Munari, che accantona il problema del bello, a quello di Assunto, che proprio ad esso specificamente si richiama. Tuttavia, osserva Argan, a proposito delle lettere di Schiller sull'educazione estetica, che quel tipo di uomo ideale, la cui educazione deve essere estetica, se condo Schiller, è il tipo dell'uomo completamente libero da ogni stato di necessità. Proprio in questa libertà da ogni stato di necessità, l'uomo consegue quella capacità di giu dizio immediata, non raggiunta attraverso un'elaborazione di tipo critico, ma intuitiva, quella cioè che lo può portare a cogliere il valore delle cose visibili. La contraddizione dunque è più apparente che reale, perché quando Munari accantona l'idea del bello, non intende accantonarla come concetto estetico, ma come idea di un bello dato a priori in uno schema o in un modello e non come l'idea di un bello in fieri, che si avvera e si attua nell'atto in cui l'og-
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getto viene riconosciuto bello, cioè nel momento in cui, da colui che lo impiega, si compie nello stesso tempo un atto di giudizio e un atto affettivo, cioè un atto di confe rimento di valore. :t indubbio che noi non possiamo non valutare da un punto di vista estetico la congerie di im magini che sono ogni giorno sottoposte e date alla nostra esperienza. Ciò che si dibatte è questo: costringendoci, richiamandoci ad una esperienza la cui natura è inconte stabilmente estetica, o che comunque si attua attraverso normali mezzi di comunicazione estetica, si vuole, si cerca di sollecitare in noi un atto di giudizio estetico oppure una sorta di esteticità inconsapevole? Riprendendo l'esempio di Munari sul diverso com portamento del pubblico rispetto alla confezione di un de tersivo, Argan prosegue: Il guaio però è che si giudica del detersivo non dal detersivo, ma dalla scatola del deter sivo. Applicato agli uomini: dalla uniforme che vestono. E questo mi pare che sia un indurre un'attitudine psicolo gica, che se portata dal campo del mero consumo al campo della vita etica e delle decisioni nell'ordine sociale e poli tico, potrebbe essere indubbiamente molto dannoso. :t chiaro che il processo al quale assistiamo è, come ha detto giustamente Menna, un processo irreversibile. Non solo non possiamo illuderci di ritornare alla produ zione di tipo artigianale, come si auguravano Ruskin e Morris, ma non possiamo neanche illuderci - di fronte alla complessità del mondo economico, complessità che del resto risponde alla complessità dei nostri bisogni - che ognuna delle infinite scelte che ogni giorno dobbiamo com piere, sia una scelta razionale, cioè sia un giudizio fon dato su un processo analitico. La complessità di questo mondo è tale, del resto, che questo processo analitico, richiederebbe una quantità tale di conoscenze scientifiche da paralizzare ogni altro tipo di attività... Il problema si 24 concreta nel sapere quale tipo di messaggio, quale tipo di
comunicazione viene affidato, viene trasmesso dai singoli oggetti. Certo, ha ragione Assunto quando, riprendendo e sviluppando alcune analisi critiche di Eco a proposito della letteratura a fumetti, indica che anche in questa c'è un aspetto positivo, cioè un passaggio da un analfa betismo ad un alfabetismo. Questo è indubbio, anche se si potrebbe chiedere se questo processo sia il più giusto per passare da uno stadio di ignoranza totale ad uno stadio di incipiente cultura. lo non so fino a che punto si possa paragonare il tipo di messaggio che viene comu. nicato attraverso i fumetti con il tipo di messaggio che si voleva comunicare con la pittura quando, a questa pittura si riconosceva una funzione didattica. A tal proposito Argan osserva che mentre le pitture medioevali (che visualizzavano una cultura letteraria, altri menti riservata a pochi) erano dei messaggi compiuti in se stessi, le moderne immagini sono incomplete senza le didascalie o il sussidio di altre immagini e l'aspetto che per me è più tipico di tutta la imagerie contemporanea è proprio che ogni immagine si dà non come un'immagine, ma come un brandello di immagine che rimanda ad una im mediata, successiva immagine; tanto è vero che è tecnica normale nell'applicazione dei cartelli pubblicitari al muro, di metterne quattro, cinque, sei, uno di seguito all'altro, già pensando che il messaggio non venga ricevuto attra verso un'attenzione razionalmente data al messaggio, ma attraverso una ripetizione ossessiva che stampa il messaggio stesso nella memoria senza l'autorizzazione della coscienza... i messaggi che ci vengono trasmessi sono sempre messaggi frammentari, che rimandano ad altri messaggi; da una cosa detta ad una cosa taciuta, da una cosa detta in un modo ad una cosa detta in un altro; per cui si sollecita nella persona che riceve questi messaggi un con tinuo stato di incompiutezza, un continuo non poter fer mare il proprio pensiero, un continuo non essere se stesso.
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Ed è quello che il più delle volte si vuole. Questo aspetto della simbologia, mi pare, è collegato con le deviazioni, che qui sono state indicate, del design: soprattutto quella che ha indicato Menna della direzione di un barocco indu striale. Argan prosegue rilevando la ·diversa intenzione socio logica del design attuale da quello degli anni 1920-30. Secondo l'ideologia della Bauhaus l'oggetto funzionale co stituiva lo stimolo all'integrazione dell'individuo in una società funzionale. Ma in questo caso si postulava una funzionalità del l'individuo, che implicava non la sua assimilazione alla massa e la sua accettazione di una eterodirezione, ma la accettazione di una condizione sociale già riformata ( an che se eravamo in piena utopia) e quindi il funzionamento nell'ambito di una situazione sociale prescelta, voluta, ac cettata, costruita, mentre ciò che emerge dall'indirizzo attuale del design è proprio quello di attivare al massimo la relazione produzione-consumo impedendo che questa ponga i problemi di ordine sociale superiore, cioè i pro blemi fondamentali della struttura della società. Posto in questi termini il problema del design va in gran parte risolto in sede ideologica. A tal fine Argan ela bora e propone la relazione tra le nozioni di arte popolare e di progetto. · :t indubbio che proprio questo del design, cioè della progettazione come arte popolare, è il punto cruciale di tutta la questione. Dove bisogna cercare veramente l'arte popolare? Non là dove quest'arte è a priori condizionata da uno schema sovrapposto, come nel caso, per esempio, di tutti gli ex voto, o di certi canti popolari che sempli cemente trasmettono delle tradizioni rese autoritarie dal tempo, ma bisogna cercarla soprattutto nella strumenta zione, nella configurazione estetica data dagli strumenti 26 del lavoro affinché garantiscano col proprio · valore, il va-
lore dell'oggetto che nasce dalla loro funzionalità. Questo tipo d'arte popolare è però rimasto legato ad una civiltà contadina ed artigiana senza trasmettersi al proletariato in dustriale. Noi dobbiamo riconoscere che questa classe ope raia non ha un'arte propria, non ha dato manifestazioni estetiche; e perché non le ha date? Perché a questa classe, a cui si chiede di lavorare, di eseguire un'opera, di parte cipare al processo produttivo, non si è dato ancora alcuna facoltà di controllo sulla propria strumentazione. Non è che si debba chiedere all'operaio come debba essere fatta l'automobile; si deve dare all'operaio l'esperienza concreta e costruttiva del proprio tipo di operazione. :t indubbio che nell'ambito di questa cultura della nuova classe, classe che tende a generalizzarsi, non potrà mancare la com ponente estetica. Questa componente estetica dobbiamo cercarla in un tipo di azione che venga colto o di cui possa partecipare questo complesso operativo, questa classe di operatori della produzione. E qui veramente entriamo nell'ordine della progettazione. La nuova opera d'arte che si propone al giudizio non è un quadro, non è una scul tura, non è nemmeno un'architettura monumentale, è il progetto. Non il progetto in quanto progetto di qualche cosa, cioè non il progetto come possibilità di anticipare il giudizio su una forma prefigurata ma non ancora realiz zata; ma il progetto come attività tipica dell'individuo, che non potendo raggiungere, realizzare quella integrità eco nomica e sociale che era propria dell'artigiano, vuole per lomeno non realizzarsi come frammento, come brandello di società, ma come punto, come momento, come ingra naggio della società. Il carattere peculiare, la guida ideologica di questa nuova forma di progettazione è, secondo Argan, l'intenzio nalità, nel senso husserliano, o non soltanto husserliano poiché qui siamo in un ordine piuttosto etico che cogni tivo. Il progetto come espressione e come forma visibile
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della intenzionalità non può essere più eterodiretto. Tutti quegli elementi di informazione che giustamente Munari ha chiamato statistici, saranno il frutto non solo di un rilevamento statistico, ma di una critica della società. Questo è il carattere della progettazione, carattere dal quale è impossibile eliminare i moventi ideologici che sono i soli che possano garantire all'opera d'arte quella pienezza di valore presente, nella situazione attuale, affin ché l'esaurimento immediato del messaggio, di cui ha parlato Menna, non sia già un modo di dichiarare scaduto, obsoleted il valore, ma sia il modo di assumerlo in una dimensione storica. A conclusione del dibattito, quale intervento del pub blico a chiarimento dei temi trattati, De Fusco doman da ad Argan: Poiché l'intenzionalità sembra essere il fattore risolutivo del problema esaminato e dato il rap porto tra design e ricerca gestaltica, Le chiedo d'indicar mi il segno dell'intenzionalità in questo tipo di ricerca. Nei suoi articoli del Messaggero, infatti, Ella mette in rela zione la psicologia della Gestalt con il tema dell'intenziona lità. Ora, notoriamente, la psicologia della forma, sembra escludere ogni intenzionalità, ogni direzionalità, puntando proprio sulla struttura autonoma ed obbiettiva della forma, sul valore • logico • della forma in sé indipendentemente dalle varie interpretazioni, donde la polemica con la scuo la transazionale. Viceversa Lei parla di componente inten zionale dell'attuale ricerca gestaltica, dando evidentemen te una nuova interpretazione del rapporto fra i due termini. Le chiedo pertanto un chiarimento circa l'in tenzionalità della ricerca gestaltica. Della ricerca gestaltica - risponde Argan � ho indi cato io stesso certi limiti, che dipendono soprattutto dal l'ipotizzare una processualità, una metodologia di processo, indipendente da ogni finalità, cioè reintegrando all'esperienza percettiva strutturata della GedaltpB11chologie un
processo di comportamento. Consci di questi limiti, coloro che fanno ricerca gestaltica, hanno formato dei gruppi. Ora, nel gruppo si cerca proprio di determinare una linea di intenzionalità attraverso la sperimentazione e la critica della sperimentazione, poiché non è concepibile una inte11zionalità che non nasca da una precedente critica. Inten zionalità è sempre intenzionalità di superamento, e quin di implica la critica, il giudizo su un passato. Il gruppo implica inoltre la coscienza di quella apparente, reale disin tegrazione dell'unità dell'individuo. Nel gruppo l'individuo prende atto e coscienza di questa uscita dall'integrità attri buita all'individuo dallo storicismo romantico, riconosce di non potersi attuare se non in un campo di relazionalità, e ponendosi come centro di relazione cerca di dare nella compagine del gruppo un indirizzo a questo insieme di relazioni. Dopo aver rilevato, tra gli altri limiti della ricerca ge staltica, quelli nei quali per carenza ideologica essa viene a coincidere, a volte, con la pop art, Argan prosegue: Io non credo che si possa oggi ancora parlare della ricerca gestaltica come di quella che conduce a risultati di valore, dico soltanto che nella ricerca gestaltica c'è un'intenzio nalità di orientamento, anche se per insufficiente cono scenza d'orizzonte, questo orientamento può variare, come in realtà varia, tanto è vero che più volte ho indicato la carenza ideologica dell'arte gestaltica. Carenza ideolo gica che ritroviamo naturalmente là dove l'orizzonte si dà come una realtà di fatto, vietandoci a priori ogni direzionalità di scelta in quell'ambito fenomenico. A que sto punto Lei ha diritto di dirmi: ma allora perché Lei giudica migliore l'arte gestaltica, che la pop art? Perché Lei dice bene delle ricerche gestaltiche e dice male della pop art? Perché considera le ricerche gestaltiche come delle ricerche che si potrebbero paragonare a certe terze forze nel campo politico, e perché giudica la pop art come espres-
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sione facilmente paragonabile all'anarchismo reazionario, l'anarchismo di estrema destra? Ebbene Le rispondo che presentandosi queste due situazioni, come due situazioni in dubbiamente carenti tanto che tendono ad integrarsi pole micamente l'una con l'altra, io non giudico migliore la ricerca gestaltica rispetto alla non ricerca della pop art, simpatizzo con la ricerca gestaltica, e assumendo delibe ratamente, riducendo l'atto critico, di cui credo di avere ormai una più che trentennale esperienza, a questo simpa tizzare, mi pongo anch'io in una linea di intenzionalità. Quindi credo di compiere così quel gesto di umiltà che deve compiere chiunque voglia vivere in una funzione sapendo di non dovere e non potere uscire da quella funzione stessa. Rinunzio volontariamente a quell'atto di giudizio perché credo di vivere in una situazione in cui è necessario passare dall'atto esterno o a posteriori del giudizio ad un intervento sul piano pratico. Nella seconda giornata del convegno Munari ha pre sentato al Cine Club, oltre ad un documentario sulle opere del Gruppo T di Milano, alcuni films sperimentali realiz zati in collaborazione con Piccardo al Centro di Monte Olimpino. Essi si basano su fenomeni percettivi riproduci bili su vasta scala, qual è quella dove le nuove ricerche visive possono essere impiegate appunto come mass media.
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Gestalt prima e dopo
L'approccio psicologico all'arte e alla critica presenta ormai una tale letteratura, specie tedesca ed americana, da rendere perplessi chi voglia riproporlo in un breve studio, inevitabihnente lacunoso e incapace di sintetizzare la gran de quantità di contributi sull'argomento, sia pure al più modesto livello nozionale. Tuttavia da noi s'avverte la esigenza di ordinare e di innestare le proposte della psico logia riguardanti il fenomeno artistico a quelle della critica d'arte, che erroneamente dà per noti i principali assunti della psicologia stessa. Ci proponiamo pertanto in questo articolo di trattare il contributo della psicologia all'arte e alla critica dal punto di vista di quest'ultima (evitando cioè improvvisazioni pseudo-scientifiche) nel tentativo di chiarire - non importa se ripetendo cose note ed acqui site - questo complesso e ricorrente rapporto interdisci plinare. Al centro del nostro esame sta la Gestaltpsychologie, la psicologia della forma, ma essa risulta incomprensibile sen za il riferimento alla psicologia classica ottocentesca. L'avvio dell'estetica psicologica si ebbe con Theodor Fechner che H. Read considera il padre dell'estetica mo derna 1• In reazione all'estetica romantica e idealista, Fech ner, positivista, intendeva formulare una estetica basata su principi scientifici e sperimentali. Questi venivano of ferti dalla psicologia detta atomistica o associazionistica fondata sugli studi di J. Milller, H. Helmholtz, E. H. Weber. Secondo la psicologia classica la percezione consisteva in una sensazione associata ad una idea. Così il Fechner tentò
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di instaurare un sistema scientifico di esperimenti psico logici miranti ad individuare il più nettamente possibile le caratteristiche del sentimento estetico. Il risultato più noto a cui giunse sulla base di questi esperimenti fu il cosiddetto principio associativo (Assoziationsprinzip) come criterio discriminante tra il piacere estetico e il piacere non estetico. Secondo il Fechner, cioè, un piacere è este tico se è preceduto dalla contemplazione immediata di un oggetto, non è estetico se invece è associato ad altri senti menti 2• Dal Fechner discende la scuola d'estetica psicologica tedesca basata prevalentemente sulla teoria dell'Einfiihhmg. La componente psicologica di tale teoria continua ed espli cita la tendenza associativa. Dal punto di vista della psico logia classica esiste un rapporto associativo tra le nostre impressioni e le manifestazioni dell'oggetto. Noi uniamo le nostre tendenze emotive sotto certe forme o più esat tamente, come vuole la Einfilhlung, le trasportiamo in esse, grazie ad un procedimento analogico 8• Ma la cultura del l'Einfiihlung (notoriamente di notevole influenza sull'este
tica contemporanea e fondamento ideologico di varie poeti che dall'Art Nouveau, al Futurismo e all'Espressionismo) in teressa solo parzialmente il nostro esame. Dell'Einfiihlung l'approccio psicologico è solo una componente. In quella teoria, a nostro avviso, prevalse sull'aspetto induttivo del metodo fechneriano la eredità, assai più feconda, della tra dizione idealistica o comunque d'un'estetica sistematica. Come osserva Plebe, l'empatia è, sì, un fenomeno psico
logico, però non è soltanto psicologico. Il fatto cioè che l'uomo possa infondere la propria anima nelle cose na turali è un fatto che investe tutta la concezione dell'uomo. Significa che l'uomo può dominare la natura con la forza del proprio io, che l'uomo è in grado d'imprimere nel mondo che lo circonda l'impronta della propria soggetti32
vità 4• In altri termini mentre Fechner studiava il fenomeno
artistico come attività prevalentemente ricettiva, per Io Einfilhlung, sia pure con un rapporto analogico,
il processo
artistico va dall'individuo all'oggetto percepito. Operando specificamente sulla psicologia della perce zione ed in opposizione alle precedenti teorie dette atomi stiche, perché basate sulla specificità degli stimoli e delle sensazioni nervose trasmesse al cervello, la GestaLtpsycho Logie affermò che ogni percezione ha carattere totale e cioè formale; e che non può quindi spiegarsi con i vecchi schemi additivo-associativi della psicologia tradizionale, ma è invece governata da leggi strutturali interne 6• Gli og getti e i percetti sono concepiti come strutture formali aventi in sé una loro autonoma, omogenea e globale orga nizzazione. Come afferma
il Koffka. La scuola della forma
riconosce agli oggetti in sé di avere una struttura, una forma fisica ... e afferma che la corrispondenza fra gli aspetti fenomenali delle cose e quelli reali non è prima riamente un fatto d'esperienza ... ma piuttosto il risultato diretto dell'organizzazione 6• Definito
il carattere totale delle strutture formali degli
oggetti e dei percetti, secondo
il
principio base per cui il
tutto è più della somma delle singole parti, la psicologia della Gestalt ha elaborato una serie di leggi che governano dette strutture.
Le prime due leggi furono formulate da
Ehrenfels nel 1890: 1) I fatti psichici sono delle •forme•, cioè delle strutture totali articolate organicamente in
un
campo spaziale o temporale; 2) queste totalità consistono in sintesi di rapporti, in qualità formali, ma tuttavia tra sportabili, cioè conservano le loro proprietà fondamentali, anche cambiando fino ad un certo punto la natura dei fattori 7• La terza legge detta della pregnanza viene, a se conda degli autori, attribuita a Wertheimer, a Kohler, a Koffka, trinomio cui si deve, dopo le anticipazioni di von Ehrenfels,
lo sviluppo della vera e propria Gestalpsycholo-
gie. Nella formulazione del Koffka la legge della pre-
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gnanza afferma: L' organizzazione psicologica è sempre tanto • buona • quanto le condizioni date lo permettono 8• Più esplicitamente ogni fenomeno (della natura inorganica, organica, percettiva, mentale, emotiva...) tende alla mi gliore organizzazione consentita dalle condizioni date. Per • migliore organizzazione • o • forma buona • o a forma privilegiata • o • pregnanza della forma • s'intende quel la corrispondente ai criteri di regolarità, omogeneità, di simmetria, di semplicità 9• A queste leggi fondamentali si accompagnano una serie di enunciati derivanti da altrettanti test sperimentali quali la legge della vicinanza, dell'egua glianza, della forma chiusa, della curva buona, del movi mento comune 10 e numerose altre relative alla percezione visiva fino alle illusioni ottiche. L'insieme di questi prin cipi viene integrato da altre leggi che svincolano spesso la visione gestaltica da un rigido schematismo come ad esem pio la legge dell'esperienza e quella dell'isomorfismo di cui diremo più avanti. Nell'esaminare le relazioni degli assunti gestaltici con l'arte, desideriamo precisare che, difficoltà a parte, non riteniamo utile definire a quale campo dell'interesse arti stico si debba rapportare tale approccio psicologico, ossia riferiremo il contributo della Gestaltpsychologie al feno meno artistico nella sua globalità: il fare dell'arte, l'inda gine critica, la fruizione artistica e la speculazione estetica. Come osserva Arnheim sin dai suoi inizi, e lungo tutto quanto il suo sviluppo durante l'ultimo mezzo secolo, la psicologia della Gestalt ha mostrato sempre una paren tela con l'arte. Gli scritti di Max Wertheimer, di Wolfang Kohler, di Kurt Koffka, ne sono pervasi. Qua e là in questi scritti è fatta esplicita menzione delle arti, ma ciò che più conta, lo spirito sotteso ai ragionamenti di questi autori fa si che l'artista li senta vicini. In effetti, si richiedeva una sorta di • sguardo artistico • verso la realtà per ricordare agli scienziati che la maggior · parte
dei fenomeni naturali non verranno mai descritti in ma niera adeguata se saranno analizzati pezzo per pezzo. Il convincimento che un • intero
»
non si può ottenere som
mando singole parti isolate, non era cosa nuova per l'ar tista 11• Oltre questa congenialità con gli aspetti dell'arte nel suo farsi, la Gestaltpsychologie presenta non poche relazioni con la Sichtbarkeit, la teoria della pura visibilità, fonda mento della critica formalistica. L'accento posto da Fiedler sulla autonomia della struttura formale dell'opera d'arte, il compito dell'arte come chiarificazione, obiettivazione e ordinamento della visione naturale, il suo appello ad una tecnica quale processo attivo di conformazione, ricordano direttamente i posteriori assunti della Gestalt. In particolare gli stessi termini obiettivazione, necessità, chiarezza, fun zione produttiva si ritrovano, se pure diversamente inten zionati, nelle caratteristiche della pregnanza indicate dalla scuola psicologica di cui ci occupiamo. La differenza tra questa e il pensiero di Fiedler sta essenzialmente nella componente idealistica e gnoseologica su cui si basa la
Sichtbarkeit, componente, però,
che
al
passaggio dalla
formulazione estetica ai principi della critica militante, non ha impedito il contatto con esperienze di diversa natura, tra cui l'approccio psicologico. Infatti tra l'opera del Fiedler e quella dello Hildebrand già si riscontra un diverso intento. Mentre per il primo la visibilità non va confusa con il mero vedere e i fatti ottici sono generalmente metafore o accenti polemici contro le interpretazioni eteronome delle arti figu rative, lo Hildebrand, anche conservando l'indirizzo ideali stico, muove proprio dalle fisiche leggi della visione 12• In realtà - osserva Dorfles - già la visione artistica • visibilista » è un tipo di visione • pregnante » e specia lizzata; eppure, attraverso le diverse tappe del pensiero estetico formalista (Riegl, Schmarsow, poi Wolfflin, Wundt ecc.) continua a persistere l'antitesi tra una partecipazione
3!
fisio-psicologica e un'intuizione gnoseologica che si presta sempre ad equivoche interpretazioni estetiche 18•
Ma, a parte le discordanze ideologiche, del resto ovvie, tra due esperienze originate in campi diversi e a di stanza di tempo, la relazione tra Sichtbarkeit e Gestalttheo rie si attua soprattutto storicamente nella loro comune in fluenza su alcuni settori dell'arte moderna. I legami della pura visibilità con le poetiche cubista e geometrico-costrut tiva sono ormai accertati ed acquisiti, mentre quegli intenti di pregnanza, obiettività, essenzialità e chiarezza, comuni tanto alla psicologia della Gestalt quanto alla pura visibilità, saranno i caratteri peculiari della Sachlichkeit, informeranno le tendenze del proto-razionalismo e del razionalismo, diven teranno programma didattico del Bauhaus. Pertanto come è possibile stabilire un legame tra psi cologia associazionistica, Einfiihlung e Art Nouveau, altret tanto dicasi per la pura visibilità, la Gestalttheorie, le poe tiche geometrico-costruttive. Non è trascurabile inoltre, che tali poetiche e la scuola gestaltica ebbero la loro massima espansione nel periodo postbellico e nello stesso paese, ri spettivamente presso il Bauhaus e l'Istituto di psicologia dell'Università di Berlino, subendo ovviamente lo stesso ostracismo nazista. Un'altra interferenza fra correnti del gusto figurativo e psicologia della Gestalt si ebbe con la fenomenologia anzi è solo supponendo tacitamente una riduzione fenomenolo gica che le constatazioni dei gestaltisti acquistano un valore
di scienza rigorosa, e le loro tesi si separano radicalmente da quelle del criticismo, dell'idealismo, dello spiritualismo, per una natura metodologica differente a. Infatti, com'è noto, per riduzione fenomenologica s'in tende, tra l'altro, trasformazione di ciò che è coperto dai pregiudizi in ciò che è autenticamente vissuto. Tale atto, presupponendo la sospensione del giudizio, nel caso della 36
percezione, induce ad accantonare, a veder oltre il dato me-
ramente sensoriale, a superare alcuni errori percettivi. Fra i più tipici lo stimulus error consistente nel confondere le nostre cognizioni sulle cause fisiche delle percezioni con le percezioni stesse. Il metodo fenomenologico, come afferma David Katz ha avuto una forte influenza sulla psicologia della forma, specialmente su Koehler, e anzi oso soste nere che la critica avanzata dalla psicologia della forma contro la psicologia tradizionale, così come la stessa strut tura positiva della psicologia della forma, vivono e muo iono con il metodo fenomenologico
1li,
D'altra parte, a smen
tire la concomitanza tra gestaltismo e fenomenologia, Hus serl scriveva nel 1930 - e la data segna anche una svolta nella vicenda delle arti figurative poiché segna la crisi di alcuni movimenti d'avanguardia e del movimento per l'ar chitettura razionale - che sia la psicologia atomistica che quella gestaltica permangono nello stesso • naturalismo• pisicologico
in quanto entrambe descrivono • esperienze
interiori• (innere Erfahrungen) fatti di coscienza non intenzionante... senza giungere alla soggettività trascen dentale (che è appunto intenzionale e significativa dello oggetto stesso)
16
•
Recentemente si è proposto una interpretazione della teoria gestaltica, almeno per quel che concerne l'arte, che recuperi l'intenzionalità fenomenologica. Ma prima di ac cennare a tale argomento, esaminiamo le ragioni ed il senso per cui ora si fa appello alla Gestalt quale sostegno delle tendenze neo-costruttive. Nel programma di uno dei gruppi gestaltici si afferma: La ricerca, concretata attraver so tutte le possibilità della comunicazione visiva (oggetti, films, opere grafiche ecc.) deve essere proposta attraverso
i mezzi specifici (percezione visiva) usati con la massima economia (regole gestaltpsicologiche) per stabilire con lo spettatore un contatto, che sia
il meno possibile affidato
ad ambiguità interpretative individuali ( cultura, umore, contingenze geografiche, gusti ecc.)
17
•
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Un altro gruppo di ricerca gestaltica cita un giudizio di Ugo Spirito per cui il fine da raggiungere è quello di un colloquio unico che consenta la comunicazione de gli individui indipendentemente dal grado di cultura al quale essi sono pervenuti. Si tratta perciò, di concepire l'opera d'arte in modo che essa possa essere compresa a qualsiasi livello spirituale ed avere valore universale anche dal punto di vista quantitativo 18• In una terza di clùarazione di poetica si legge: Il fine che con la nostra ricerca ci proponiamo è di costruire un linguaggio vera mente intersoggettivo. Occorre perciò reperire o costituire degli elementi di linguaggio validi intersoggettivamente o, più precisamente, le condizioni di validità intersoggettiva degli elementi visivi 19• Come si vede il riferimento ad alcu ne leggi gestaltiche vale anzitutto come tentativo d'incontro fra produzione e fruizione artistica; un terreno comune tanto alla tradizione ed evoluzione dell'arte moderna quanto alle leggi della percezione, le quali - ed è controverso sarebbero· indipendenti dal grado di informazione culturale del pubblico. Nella crisi comunicativa del linguaggio arti stico, estremamente specializzato, le obiettive qualità che la forma possiede in sé, garantirebbero questo recupero se mantico. A ciò possono giovare le leggi dell' e esperienza > e dell' « isomorfismo > con le quali la psicologia della Ge stalt sembra modificare i suoi più rigidi principi e pre venire le obiezioni delle altre scuole psicologiche. La psico logia della forma, pur non attribuendo all'esperienza quel la fondamentale importanza per l'organizzazione percettiva degli oggetti che era sostenuta dalla psicologia del pas sato, non esita tuttavia a riconoscerle un'azione concomi tante accanto ai fattori summenzionati (ossia le altre leggi gestaltiche) 20• Difatti nel suo libro Arte e percezione visiva, ispirato in gran parte alla Gestaltpsychologie, Arnheim ammette che la forma d'un oggetto è determinata da qual38 cosa di più di ciò che colpisce l'occhio al momento dell'os-
servazione. L'esperienza del momento presente non è mai isolata; essa non è che la più recente in mezzo a un nu mero infinito di esperienze sensoriali che hanno avuto luogo lungo tutta la vita passata dell'individuo: in questo modo la nuova immagine viene a contatto con le tracce mnestiche di forme che sono state percepite nel passato 21• La legge dell'isomorfismo di Kohler indica una corrispon denza tra le forme fenomenologicamente constatabili e le forme psicofisiche. L'ipotesi di Kohler è che l'ordine con creto di date sensazioni è la riproduzione fedele d'un ordine dinamico-funzionale dei processi cerebrali fisiologici corrispondenti 22• Se non erriamo, il principio dell'isomor fismo ripropone, su basi psicologicamente più rigorose, e implicanti anche il campo fisico e fisiologico, il problema della comunicazione tra individuo ed oggetto; quel rapporto di simpatia, di comune consenso che l'Einfilhlung poneva solo in parte, e non a torto, su basi fisio-psicologiche. Co munque il principio dell'isomorfismo agevola, nel campo della ricerca artistica, quelle poetiche tendenti ad un rin novato rapporto semantico. A tal proposito Dorfles cita Arnheim: La visione non è una registrazione meccanica di elementi, ma l'affermare strutture significanti; il ma teriale dell'esperienza non è un agglomerato amorfo di stimolazioni. L'elemento oggettivo di ogni esperienza giu stifica invece i tentativi di distinguere tra concezione ade guata e inadeguata della realtà; oltre a ciò ci si può aspettare che ogni correzione adeguata comporti un co mune nocciolo di verità; il che potrebbe rendere l'arte di tutti i tempi e luoghi significativa per tutti gli uomini. Dorfles sottolinea l'importanza di una tale affermazione in un'epoca come quella attuale dove il dilagare di espe rienze artistiche sempre più eccezionali e soggettive... ri schia di far considerare inesistente ogni regola e ogni possibilità di giudizio, è salutare poter credere che - al di là delle differenze stilistiche e modali, e persino da
3!
I'
talune rilevanti differenze percettive istauratesi col tem po - esista tuttavia un principio formativo, comune al l'uomo e alla natura, che si presenta a costituire la base significante di ogni opera d'arte 28• Quali possono considerarsi i limiti dell'approccio ge staltico al mondo dell'arte? Poco o nulla è da dire riguardo ai principi di Ehrenfels, comuni del resto ad altre conce zioni ed interpretazioni dell'arte, se non addirittura fondati sull'esperienza stessa dell'arte. Indubbiamente positivo è il giudizio del critico d'arte sullo stesso rinnovato concetto di percezione, inteso appunto come atto formativo. Vice versa, per quanto concerne la legge della pregnanza, che dovrebbe avere più pratico ed immediato riscontro nell'espe rienza figurativa, e del visti.al design in particolare, non può darsi un totale consenso. Le nozioni di equilibrio, regolarità, simmetria, omogeneità, semplicità e simili, che per la scuola della forma costituirebbero le obiettive qualità della forma pregnante, sono invece troppo legate alle variazioni del gusto, ai programmi delle poetiche, alle interpretazioni individuali: sono elementi troppo storici per essere collo cati nel novero delle leggi della scienza naturale. La ri cerca gestaltica - osserva Morpurgo-Tagliabue - è con dannata al formalismo della sua stessa ambizione scien tifica: questa non le consente d'uscire da un piano gram maticale elementare... questa ricerca deve sempre dedicarsi ad analizzare delle esperienze semplici, cioè dei modelli elementari, delle articolazioni parziali e dei loro effetti nell'insieme; essa non potrà mai partire dall'insieme... Partire da una esperienza totale - sebbene già selezio nata, isolata, come un quadro, una sinfonia - significherà partire da una esperienza singolare storica, non tipica, non generica, non verificabile scientificamente per con fronto secondo un metodo sperimentale. Per i suoi legami a questa base scientifica la ricerca gestaltica è destinata 40 a non superare i limiti d'una funzione propedentica, ossia
lo studio grammaticale o sintattico di alcune strutture, senza arrivare a una funzione ermeneutica, a un livello stilistico 24 • Abbiamo prima accennato a quella mancanza d'inten zionalità che caratterizzerebbe la scuola gestaltica. A tal proposito Dorfles osserva: crediamo che proprio in questa assenza di intenzionalità sia la differenza più sostanziale tra le due dottrine (fenomenologia e gestaltismo); non solo, ma crediamo che solo mediante una • aggiunta • di essa ai dettami della teoria della Gestalt sia possibile giungere a precisazioni di ordine psicologico che possano avere, in futuro, dei compiuti sviluppi anche nel territorio della fi losofia e quindi dell'estetica 215• Argan connette diretta mente alla ricerca gestaltica questa carica intenzionale, ossia attribuisce, se non erriamo, alla ricerca gestaltica, attuata nelle poetiche dei gruppi, questa componente inten zionale prima mancante. Ma come va intesa detta intenzio nalità? In senso estetico-sociologico. Posto che l'inflazione dell'immagine nella odierna civiltà industriale annulli il valore della forma, lo scopo delle ricerche gestaltiche con dotte da alcuni gruppi d'artisti non è, afferma Argan, nep pure di utilizzare la forza dell'immagine per un sano fine ideologico invece che per bassi scopi di potenza politica o economica, ma di stabilire quale sia il funzionamento dell'immagine come mezzo d'esperienza e di accertare se un valore di forma non si conservi, per avventura, nel meccanismo dei processi d'immagine... Non si può dire che la corrente • gestaltica • sia tecnicismo puro, anche se traduce o fenomenizza operativamente i processi mentali di organizzazione formale, riproducendone lo sviluppo ci netico. Il suo accento assiologico consiste evidentemente nel chiarire, di quei processi, non tanto la struttura o il ritmo a priori quanto l'intenzionalità. L'accento assiolo gico, in altri termini, è una precisa volontà formativa. Come si vede, passando dall'ambito meramente psicologico 41
a quello delle poetiche figurative, la ricerca gestaltica acqui sterebbe un valore intenzionante, e come dicevamo, d'ordine sociologico. Mirando, infine, a inserirsi nel vivo delle me todologie produttive, la corrente « gestaltica » aspira a cor reggere il brutale prammatismo quantitativo con l'esempio di una metodologia critica e sperimentale, capace perfino di rinunciare al proprio fine per perfezionare i propri modi 26• In un altro saggio Argan riafferma sullo stesso tema che ricondurre l'intenzionalità costruttiva al prin cipio di ogni fare, fino a quella prima presa di contatto col mondo che è la percezione, significa rimettere la forma o il valore estetico al primo posto nella scala dei valori, al livello dei concetti astratti; e fare l'analisi del procedi mento costruttivo, rivelandone in precisi termini formali tutti i passaggi, significa affermare la necessità e dare l'esempio della chiarezza e fermezza dell'intenzionalità che apre o accompagna (o dovrebbe) lo svolgimento ci clico dell' operazione umana dall' ideazione, e progetta zione al consumo 27• Sarebbe in altri termini, quello del la ricerca gestaltica, il modo di formare come impegno sulla realtà di cui parla anche Eco. Ma in tale programma fino a che punto - oltre il già citato recupero comuni cativo e semantico - è realmente implicata la scuola psi cologica cui ci si richiama? Quella intenzionalità estetico sociologica di cui parla Argan soddisfa la carenza della Gestalttheorie indicata da Husserl? 28• Un chiarimento ed approfondimento in tal senso gioverebbe certamente alla risoluzione d'un problema come quello in parola in cui convergono varie esperienze della cultura contemporanea. Rimane, tuttavia, un dubbio - scrive Dorfles - e cioè che più spesso di quanto non si creda, oltre alle proprietà oggettive presentate dalle opere, abbiano il sopravvento le proprietà soggettive· del creatore e del fruitore, nel senso che queste dipendono più di quanto non si pensi dalle 42 esperienze, illazioni, premonizioni, aspettazioni di costoro.
Ed è qui che interviene la nota disputa tra gestaltisti e transazionisti... Quanto cioè nel verificarsi del processo percettivo deve essere concesso al bagaglio esperienzale, ai giudizi inconsapevoli, alle aspettazioni più o meno in conscie? 20 • Come s'è detto anche la scuola gestaltica tiene conto della memoria e delle esperienze precedenti l'atto percettivo, ma il suo carattere peculiare è, ripetiamo, la considerazione obiettiva della realtà, la credenza di una strutturazione proprio della forma, di una sua e logica >. Il concetto di transazione nasce nell'ambito del natu ralismo critico americano di indirizzo scientifico e tecnico pragmatico; per primi a formularlo furono Dewey e Bent ley. Per naturalismo critico si deve intendere un atteggia mento che se accetta pienamente il metodo scientifico al posto della dialettica idealistica, rifiuta lo scientismo dei positivisti. Tanto il senso comune quanto la scienza - scri ve Dewey - devono venir considerati transazioni. L'uso di questo termine ha implicazioni positive e negative. Esso indica, negativamente, che né il senso comune, né la scienza devono venir riguardate come entità - come qualcosa di collocato a parte, completo e circoscritto ( ... ) Positivamente, ci indica che ambedue sono trattati come contrassegnati dalle caratteristiche e dalle proprietà che si riscontrano in qualsiasi cosa sia riconosciuta come tran sazione: per esempio, un affare, o transazione commer ciale. Non esistono compratori-venditori che in transazioni ed a causa di transazioni in cui siano impegnati. E questo non è tutto; cose specifiche diventano beni o servizi perché esse sono impegnate in transazioni 80• Questo atteggiamento antisostanzialista e relazionista veniva confermato dalla scuola di psicologia di Princeton (Ames, Cantril, lttelson) e in particolare dagli esperimenti di laboratorio noti come Ames Demostrations 31• Queste mostrano chiaramente il carattere • prognostico • del feno meno percettivo, che anziché rispecchiamento di una real-
4i
tà oggettiva esterna, è sempre una forma straordinaria mente complicata di aggiustamento dell'organismo all'am biente, basata su fattori molteplici, dei quali soltanto una parte corrisponde ai cosiddetti stimoli sensoriali, mentre un'altra parte è costituita dalle nostre abitudini, dalle nostre aspettazioni e assunzioni, che operano a livello sub conscio 32• A caratterizzare la differenza tra le scuole gestaltica e transazionale vale il seguente giudizio di Contril: mentre l'accento posto dalla Gestaltpsychologie sull'interdipenden za delle varie parti di una situazione stimolatrice rappre senta ovviamente un giusto orientamente, essa non for nisce ancora una spiegazione di fondo del perché la • de terminazione relazionale " funzioni come funziona... Il per ché di tali relazioni può essere compreso solo quando le funzioni che tali relazioni paiono adempiere, sono esa minate nel quadro delle effettive transazioni del vivere. Ogni esperienza che ha luogo • adesso • non può essere spiegata senza rendersi conto che l' • adesso ,. è solo un punto di transizione che porta il passato nel futuro 88• Cosicché alla e logica e scientifica > oggettività della scuola gestaltica si oppone un'altrettanto e scientifica > sog gettività della scuola transazionale. Questo aspetto della situazione è ora radicalmente cambiato concludeva Dewey, indicando nella psicologia transazionale una base veramente scientifica per inten dere il • distintamente umano • in modo sostanzialmente diverso da quello offertoci da psicologie più parziali e più meccaniche a.. Fra le sue numerose applicazioni, la psicologia transa zionale riguarda anche l'estetica e la didattica artistica. Parlando del Visua.l Demonstrantion Center · della School of Fine and Applied Arts dell'Università di Ohio, condotto da Hoyt L. Scherman, dove le dimostrazioni di Ames ser44 vono a studiare alcuni aspetti dell'arte moder�, il Visal-
berghi osserva: A nessuno può sfuggire quanto la psicolo gia transazionale, con la sua critica radicale al comune ideale del • vedere
il mondo com'è " sia atta a togliere di
mezzo proprio quei pregiudizi che fanno velo all'intendi mento delle espressioni più avanzate delle arti figurative 85 • Più specificamente, in una comunicazione al III Congresso internazionale di estetica la Massucco Costa tratta del con tributo della psicologia e transazionale >
dell' estetica. In
essa, tra l'altro, si afferma: In questo commercio, o • tran sazione "•
il percepire struttura a suo modo gli oggetti nei
quali innestare l'espandersi proprio di ogni esperienza (...) Se
il percepire è così ricco e dinamico, e se le strutture
in cui si esprime sono deformazioni relativamente libere della realtà oggettiva attingibile da altri modi di operare, per esempio dalla misura fisica, esso ha già in sé qual cosa che caratterizza anche l'esperienza del fare e del go dere arte. Secondo la Massucco Costa ciò che distingue il contributo della scuola transazionale dall'originaria conce zione estetica di John Dewey è l'aver posto l'accento sul mo mento percettivo proprio di qualsiasi esperienza umana. I transazionisti ci han dato, inoltre, brillanti dimostrazioni sperimentali della costruttività e creatività propria del percepire. Questo carattere dimostrativo-sperimentale è, a giudizio dell'autrice, un altro peculiare merito della scuola che studiamo, perché l'analisi dell'esperienza è condizione dialettica del suo stesso espandersi ed arricchirsi vitale e spirituale 36• Come si vede anche nella scuola di psicologia più re cente, fondata sulla complessità delle relazioni, dei fattori e momenti che accompagnano la nostra conoscenza percet tiva - scuola per molti aspetti legata alla filosofia del naturalismo critico - è ancora presente il metodo della dimostrazione sperimentale che trovammo nelle prime ru dimentali esperienze di un approccio psicologico all'arte. In altri termini, ferma restante l'esigenza d'una scientifica
45
verificabilità, la visuale psicologica applicata al mondo del l'arte è venuta superando il primo positivismo, le limita zioni inerenti alla concezione gestaltica per diventare più ampia ed inclusiva di un maggior numero di fattori inerenti la percezione ed il comportamento. Ritornando al nostro parallelo con le poetiche artistiche, mentre sembra dimostrato il diretto rapporto tra gestaltismo e costruttivismo, si è tentati di riferire gli assunti transa zionali a quelle tendenze figurative operanti in un ambito diverso da quello geometrico-razionalista. Indubbiamente l'aver posto l'accento sull'individualità, sul valore progno stico della percezione, sull'inconscio, sulla relazione indi viduo-ambiente, sulla percezione come capacità di strut turare il materiale d'esperienza nell'atto in cui punta sul l'avvenire, la scuola di psicologia transazionale richiama direttamente i motivi dell'informale, della poetica dell'opera aperta, dell'arte di reportage. Specie quest'ultima, autentica esemplificazione di una transazione tra l'uomo contempo raneo ed il suo eterodiretto paesaggio urbano. Ma, rifiutando questi paralleli, ormai meccanicamente ripetuti nella letteratura critica, o almeno, accantonandoli in questa sede, riteniamo che i vari indirizzi psicologici _ non si possano collegare univocamente a ciascuna poetica. Pur avendo legato ai diversi momenti del gusto l'associazio nismo, la psicologia della forma e la scuola transazionale, oggi queste correnti psicologiche, per quanto hanno ancora di vivo e valido, possono essere utilizzate da ciascuna ten denza dell'arte moderna e non in maniera esclusiva. In fatti se è vero che il gestaltismo è l'approccio psicologico proprio alle tendenze costruttive e alla ricerca architetto
46
nica, queste a loro volta non potranno ignorare la più ampia e complessa visuale introdotta dai transazionisti. Inol tre le diverse scuole psicologiche, aventi ognuna ancora dei seguaci (l'atomismo delle sensazioni si ritrova in B. Russell e nei positivisti logici) vanno considerate, almeno
per
quanto
concerne
il loro rapporto con l'arte, non
in antitesi fra loro, ma nella loro continuità. Abbiamo
precedentemente
riconosciuto
nella
ricerca
gestaltica delle arti figurative un valore di recupero se mantico. Ora, nella più complessa nozione percettiva pro posta dai transazionisti è probabile che esso vada perduto od offuscato. D'altra parte, come osserva Dorfles è oppor tuno riconoscere altresì come la nuda esperienza senso ria - in quel processo che siam soliti definire percezione sia quasi sempre accompagnata da una componente signi ficante. E, tale componente significante (tale meaning) è appunto quella che deriva dalla continuità nel tempo delle nostre sensazioni... :t per questo che non si dovrebbe mai usare la parola •percezione• se non nel senso più com pleto di consapevolezza d'una sensazione significante per cui sia inimmaginabile ammettere una dicotomia tra atto del percepire e significanza di tale atto 37• Cosicché se la corrente gestaltica tende ad una estesa comunicazione, questa com'è stato sopra notato, si attua ad un livello percettivo elementare 38• Sempre in campo arti stico, viceversa, la tendenza transazionale tende ad una co municazione attuabile simbolicamente ad un livello percet tivo e significante più complesso e necessariamente meno esteso. Il percepire - scrive la Massucco Costa - è, per
i transazionisti, come ogni comportamento e anzi in modo
tipico, un implicito simbolizzare. Perché un'esperienza sia umana, e raggiunga il livello psicologico del comporta mento, occorre che essa sia in qualche modo enunciabile, comunicabile, esprimibile; e per questo è necessario che nasca col simbolo e nel simbolo, ossia con una intrinseca capacità di connotare che è anche, virtualmente, un ren dere disponibile, per futuri segni esterni,
il proprio mondo
vissuto 311
•
L'apporto della psicologia all'arte vale, a nostro avviso, in definitiva, come quello d'uno strumento col quale meglio
47·
valutare l'aspetto percettivo del fenomeno artistico e me diante il quale tendere a soddisfare quell'esigenza di veri ficabilità che, volendo o non, continua a riproporsi anche in campo artistico. Approfondire la componente percettiva e tendere alla verificabilità sono temi cui è lecito associare ogni
altro contributo, scientifico o
sociologico
che sia,
perché da essi dipende il più urgente dei problemi dell'arte attuale, la risematizzazione del linguaggio artistico con temporaneo.
1
p. 21.
H. REAJ>, Educa.Te con l'a.rle, F.dizioni di Comunita, Milano 1954,
2 A. PLEBE, L'estetica. tedesca. del 900, in Momenti e J)T'oblemi di storia dell'estetica., Marzorati, Milano, 1961, p. 1187. s MORPURCO-TAGLIABUE, L'esthétique contemp<>Ta.ine, Marzorati, Mi
lano 1960, p. 435.
48
• A. PLEBE, Op. cit., p. 1189. 6 C. L. MusATTI, prefazione al vol. di D. KATZ, La psicologia del la. fOTma., Einaudi, Torino 1950, p. 11. 6 Cit. in C. FABBRO, La fenomenologia. della. peTcezione, ed. Vita e Pensiero, Milano 1941, p. 407. 1 G. MoRPURCO-TAGLIABUE, Op. cit., p. 426. L'esempio classico di questo principio della trasportabilità delle qualità formali è dato dalla trascrizione di una melodia su un'altra altezza tonale; le nuove note sono diverse dalle precedenti pur conservando la stessa melodia. 8 D. KATZ, Op. cit., p. 62. 9 G. MoRPURCO-TAGLIABUE, Op. cit., p. 427. 10 Cfr. TTa.ttato di Psicologia., Boringhieri, Torino, pp. 88-90. 11 R. .AlumEI:M, Arte e peTcezione visiva, Feltrinelli, Milano 1962, pp. XIX-XX. 12 I nfatti sull'opera dello Hildebrand ebbero non poca influenza le esperienze fisiopsicologiche del contemporaneo Helmholtz (Cfr. S. SAMEX LoDOVICI, prefazione al vol. di A. liILDEBRAND, Il J)T'Oblema della. f=, F.dizione G. D'Anna, Messina-Firenze 1949, p. 23). 13 G. DoRFLES, prefazione al vol. di .Aluaw::M, Arte e peTcezione visiva, cit. 14 G. MoRPURCO-TACLIABUE, Op. cit., p. 435. 15 D. KATZ, Op. cit., p. 34. 16 Cit. in E. BECCHI, Fenomenologia e e Gestalttheorie > in e Aut Aut> n. 50, 1959. 17 ATte e liberlà ne e n Verri> n. 12. 18 M. MAsSIRoNI, comunicazione al Congresso di Verucchio 1963. 19 SPERIMENTALE P., in Quaderno 1964, F.dizione il Bilico, Roma. 20 Cfr. TTa.ttato di psicologia., cit. p. 90. 21 R. .AlumEI:M, Op. cit., p. 31. 22 Cit. in D. KATZ, Op. cit., p. 81. 28 G. DoRFLES, PeTcezione e illusione, Ra.ppo,-ti tTa. a.rie e psico logia in e Rivista di Estetica>, marzo-agosto 1960, Com'è noto quello unitario processo formativo comune a tutti i processi naturali, alla
scienza e all'arte deriva da Goethe (Cfr. G. DoRFLES, Discorso tecnico delle arti, Nistri-Lischi, Pisa 1952, p. 25 n). 24 G. MORPURCO-TACLIABUE, Op. cit., p. 432. 2G G. DORFLES, Op. cit. 2o G. C. ARcAN, La ricerca gestaltica ne e Il Messaggero> del 10 -9-1963. 27 G. C. ARcAN, Forma e formazione, ne e Il Messaggero> del 109-1963. 28 Parlando di un'opera del Kéihler (lo spirito piu e filosofico> della scuola gestalti ca e al quale principalmente si deve la traduzione della e Gestaltpsychologie> in e Gestalttheorie >) la Becchi osserva: e viene in tal modo completamente trascurato l'aspetto di e inten zionalità>, intrinseco ili' e intuizione> e che appunto come e andare oltre> come e dare senso>, distingue la intuizione dalla percezione comunemente intesa>. e Fra gestaltismo e fenomenologia husserliana c'è una notevole differenza; la prima dottrina è naturalistica ed organicistica, la se conda è intenzionale e trascendentale>. (Cfr. E. BECCHI, Op. cit.). 20 G. DORFLES, Op. cit. 30 J. DEWEY, Common Sense and Science, in Knowing and the Known cit. in A. VISALBERGHI Il concetto di transazione in Il Pen siero americano contemporaneo, Edizioni di Comunità, Milano 1953, pp. 280-281. 31 Cfr. W. H. l'lTELSON, The Ames Demonstrations, Princeton Uni versity Press, 1952. Per altre notize biblografiche rimandiamo al sag gio cit. di Visalberghi. 32 A. VISALBERCHI, Op. cit., p. 296. 33 H. CANTRIL, The e Way> of man's expeTience trad. it. Le motivazioni dell'esperienza, la Nuova Italia, Firenze 1958, p. 18. 3-1 A. VISALBERCHI, Op. cit., p. 302. Sti A. VISALBERCHI, Op. cit., p. 305. so A. MAsucco COSTA, contributo della psicologia e transazio nale>. all'estetica, in Atti del III Congresso internazionale di estetica, Edizione della Rivista di &tetica, Torino 1957, pp. 465 e sgg. 37 G. DoRFLES, Percezione, significato e transazione, in e Aut Aut> n. 36, 1956. 38 Va tuttavia ricordato che all'interno della scuola gestaltica vie ne sottolineata la presenza di fattori che superando il dato senso riale comportano, accanto alla produzione, anche un tipo di fruizione e specializzato>. e Gli stati d'animo legati alla percezione sono stati frequentemente definiti dai psicologi della Gestalt come qualità ter ziarie. Solitamente molto più singolari e importanti delle dimensioni spaziali, queste qualità della percezione sono descritte meglio con le parole che si usano anche per gli stati d'animo... !È più probabile che si ricordi la cordialità di un viso piuttosto che la grandezza del naso, la distanza tra gli occ.�i, la scriminatura dei capelli, la misura delle orecchie o perfino il colore degli occhi Le qualità terziarie sono l'essenza stessa dell'arte e possono essere considerate, non importa con quale nome siano chiamate, come i fat tori principali per la tenace presa che l'arte ha avuto in tutto i tempi e luoghi, perché esse impersonano in permanenti forme iconi�e i più intimi stati d'animo del genere umano. &se sono l'oggettiva zione del soggettivo>. (Cfr. C. C. PRATT, The Pttception of Art, in e The journal of Aesthetics and Art criticism> vol. XXIII, N. I, 1964). so A. MAssucco CosTA, Op. cit., pp. 466-67.
n
49
L'estetica neo-naturalistica di Romanell GIOVANNI DE CRESCENZO
Per comprendere esattamente l'estetica naturalistica del Romanell, o meglio quelli che sono semplicemente i suoi e prolegomeni > ad e ogni > estetica naturalistica, è neces sario, evidentemente, spendere qualche parola, in via in troduttiva, intorno ai tratti specifici del naturalismo del Romanell stesso. Il naturalismo romanelliano si caratterizza anzitutto per il fatto che esso presuppone il lavoro variamente scien tifico e si pone come sviluppo e integrazione di questo, per il fatto, insomma, che esso raccomanda la sua medesima vali dità razionale al suo fondamento autenticamente scientifico 1• Onde tale naturalismo, in questa sua opposizione, continua 50
quello di W. P. Montague 2 e di M. R. Cohen 8 e si oppone
implicitamente a quello di F. J. E. Woodbridge, secondo cui la metafisica naturalistica precede, e non segue, le scienze particolari pur condividendone il carattere ipotetico e non assoluto 4• Tuttavia
per Romanell, che
respinge decisa
mente, sempre sulle orme del Montague e del Cohen, la liquidazione neopositivistica della metafisica, la a poste riori metaphysics mantiene i suoi titoli specifici rispetto alle scienze.
Infatti detta
metafisica,
pur
presupponendo
le
scienze, svolge oltre di queste la ricerca razionale e con sidera la natura come totalità onniinclusiva, anche se nei termini di quella mera e possibilità> che è, teoreticamente, meno garantita della e probabilità> delle ipotesi delle scien ze empiriche G. La metafisica, dice Romanell, discorre del tutto e le scienze discorrono, invece, delle parti. Senonché la meta fisica, pur così intesa, non implica affatto, sempre per lo stesso Autore, un discorso che trascenda il terreno pura mente logico-metodologico; ed è anzitutto per questa circo stanza che la dottrina di Romanell si discosta da quella di Montague e di Cohen. Infatti il filosofo americano afferma esplicitamente che la metafisica naturalistica non si separa dalla semplice logica e dalla semplice criteriologia, ma è soltanto il suo compimento antiscientistico giacché essa in tegra l'enunciazione del criterio della e coerenza>, propria della logica formale, e quella del criterio della e confor mità>, propria della logica delle scienze empiriche, con la enunciazione del criterio della e comprensività> e della mera e possibilità>, propria dello stesso discorso metafisico 6• Il che significa, tra l'altro, che la metafisica naturalistica a) si risolve in una semplice e apertissima criteriologia che concerne tutta quanta la cultura; b) fa sì che la medesima affermazione della onninaturalità del reale e della profonda unità-continuità tra l'uomo e la natura abbia un significato puramente metodologico, anche scientifico 7•
se non
più meramnete
51
Il carattere, almeno tendenzialmente, metodologico del naturalismo romanelliano risulta confermato dal fatto che la sua stessa direttiva e dialettica", rivolta a cogliere gli aspetti molteplici e anche opposti della natura e a stabilirne
la pur relativa unità e compresenza, ha lo scopo essenziale di evitare la interpretazione domrnatica, sostanzialistica e ipostatizzatrice della natura e dei suoi eventi (interpreta zione ricorrente nel medesimo Montague) e di rendere pos sibile una interpretazione rigorosamente relazionistica degli aspetti dell'universo 8• Ed è indispensabile osservare che la
concezione puramente metodologica del principio dialettico, ossia
e
di polarità", distingue nettamente la posizione del
Romanell da quella del fondatore stesso del
e
naturalismo
dialettico" americano, e cioè di M. R. Cohen che intende tale principio anche e soprattutto come ontologico 9• Senonché l'interpretazione metodologica della metafi sica naturalistica non impedisce al Nostro di trascendere quel terreno assiologicamente neutrale che pur sembre rebbe inseparabile da un discorso, comunque, rigorosa
52
mente logico - metodologico. Infatti il Romanell afferma esplicitamente, in polemica con lo scientismo deweyano applicato all'etica, che la metafisica, essendo - in quanto discorso intorno al tutto - e ricerca della saggezza >, è coinvolta nella stessa fondazione dell'etica autenticamente normativa che, proprio in quanto tale, non può essere esaurientemente trattata dall'analisi semplicemente empi rico-descrittiva 10• In definitiva, nel Romanell, la filosofia, nonostante la sua tentata identificazione con un discorso meramente lo gico-metodologico, si configura ancora (ed è qui, a mio avviso, la contraddizione di fondo del filosofo americano) come una inchiesta, metafisico-realistica, antropocentrica ed eticamente precostituita, sulla collocazione effettiva dell'uomo nella natura e sul suo destino come e figlio peculiare >
di questa. Si configura ancora, cioè, nei termini tradizional mente speculativi già ricorsi nel Wçiodbridge, nel Montague e nel Cohen, anche se attinge conclusioni diverse. E que sta importantissima circostanza trova
la sua illuminante
conferma nello stesso discorso romanelliano intorno alla «possibilità> naturale ed umana; discorso comunque sug gestivo ed estremamente interessante poiché implica, come ora vedremo, una apertura del neo-naturalismo americano nei confronti dell'esistenzialismo europeo e, anzitutto, nei confronti di quello laicamente «positivo > di Nicola Ab bagnano. Infatti Romanell, avendo ricordato che tutto il na turalismo americano, sulle orme di Dewey e di Woodbridge, riconosce che la natura è il dominio di molteplici «possi bilità>, osserva che, in ogni caso, tale naturalismo ha sem pre inteso la «possibilità> riferendola alla realizzazione positiva della «possibilità> stessa e ha quindi trascurato l'aspetto negativo, nullificante e tragico di questa. In altri termini si tratta, per Romanell, di superare la stessa con cezione negativa e tragica della e possibilità>, propria di gran parte dell'esistenzialismo europeo, e di tener presente invece che, unitamente all'intera natura, l'esistenza umana si fonda sulla «possibilità> in quanto questa è aperta e al
al tragico 11• Ed è pro il naturalismo « dialettico > del Romanell si
positivo e al negativo, e all'epico e prio qui che
incontra con l'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano12• L'istanza fondamentale della posizione estetica del Ro manell - quella relazionistico-funzionalistica - trova la sua prima e perspicace testimonianza nello scritto A Com
ment on Croce's and Dewey's Aesthetics ui, nel quale l'Au tore, esaminando la ben nota risposta del Dewey al Croce a, prende posizione rispetto all'estetica del Dewey stesso. Il Romanell afferma che l'estetica del Dewey è infi ciata dalla confusione di due principi estetici ben diversi tra loro, e cioè di quello che porta al riconoscimento irre-
53
lazionistico della e aesthetic experience>, ipostatizzata come tale, e dell'altro che induce invece al riconoscimento fun zionalistico-relazionistico
della
e aesthetic
phase
of
life
experience> 111 • Infatti il primo principio implica una e plu ralistic conception of experience>, che considera l'esperien za estetica come qualcosa che sussiste nella sua particola rità e specificità rispetto alle altre forme di esperienza, come qualcosa che e is in experience >. Detto principio comporta una disamina e substantival> dell'arte, laddove il secondo principio importa una e monistic view of expe rience>. Questa considerando l'arte come uno degli aspetti dell'esperienza, interagente intimamente
con gli altri, e
cioè come tale che e is a phase of experience>, importa, in definitiva, una disamina rigorosamente e adjectival> del l'arte stessa 16• Per cui mentre l'analisi e substantival> è e perpendicolare> e distingue le e things in experience>, al contrario l'analisi e adjectival> è e trasversale> e di stingue le e qualities of experience> 17• In effetti Romanell ritiene che Dewey offra una con cezione rigorosamente funzionalistica e relazionistica della esperienza non tanto in Art as Experience
A Common
Faith 19,
18
quanto in
giacché in quest'ultima opera si con
sidera l'esperienza religiosa non più come e a separate kind of
thing>
dell'esperienza,
ma
bensì soltanto come
ea
quality of experience> che può appartenere a qualsiasi esperienza 20• E ciò significa
che
e There Dewey is
a
functionalist throughout and thus is faithful to his empi rical method of philosophizing in general> 21• Senonché, se le cose stanno davvero così, allora è chiaro che
la
contraddizione del Dewey risiede proprio
nel fatto che egli· non estende all'estetica l'analisi univoca mente e rigorosamente e adjectival> operata nel suo di scorso sull'esperienza religiosa 22• Onde il Dewey, anche quando si apre all'interpretazione relazionistica e funzio54
nalistica dell'arte e as the artistic>, contamina ancora tale
interpretazione con quella e substantival > dell'arte e as aesthetic experience,. 28• Romanell conclude il suo breve discorso sull'estetica deweyana osservando che, se è ben vero che proprio il Dewey ha in messo in luce la e fallacy > dell'estetica filo sofica tradizionale, diretta a distinguere irrelazionisticamente e antifunzionalisticamente l'arte dalla restante esperienza, è anche vero però che l'insegnamento del Dewey va svolto oltre lo stesso Dewey, che riproduce, in qualche modo, questa medesima e fallacy > allorquando considera l'arte come una particolare esperienza e allorquando, nel titolo stesso dell'opera sua, ipotizza la Art as Experience e non già la e Experience as Art> 24• In Dewey, insomma, convivono ecletticamente e the idea of art as a special type of experience and the idea of art as a special phase of it > 2G. La più esplicita e limpida espressione del pensiero estetico del Romanell è offerta dai Prolegomeni a ogni este tica naturalistica 26• Egli esordisce notando che vi sono, nella storia del pensiero occidentale, numerose forme di naturalismo - da Talete a Dewey - e che in ciascuna di tali forme sus siste, esplicita o implicita, una determinata concezione dell'arte 27• Per cui si tratta di vedere quale estetica si possa cavare dall'odierno naturalismo americano, in quanto quest'ultimo assume, proprio con Romanell, una peculiare direzione di ricerca 28• Il filoso americano afferma che il naturalismo, criti camente inteso, implica da un lato il principio della pro fonda unità-continuità. e della piena omogeneità dell'uomo con la natura di cui l'uomo stesso fa parte e dall'altro il principio antiriduzionistico affermante la realtà specifica che l'uomo costituisce nel seno medesimo della natura 29• In altri termini l'uomo è una parte e speciale > della natura, dotata di e specifiche possibilità d'azione >, essendo però ben chiaro che ogni e possibilità> umana è sempre proble-
55
matica e non-garantita nella sua realizzazione effettiva e positiva 80 • Insomma la e inserzione> dell'uomo nella na tura umanizza quest'ultima e intanto la natura umanizzata è la stessa cultura 31• L'uomo, dice Romanell, è si un animale, e precisamente e un animale appartenente allo stesso ordine zoologico delle scimmie >, ma in quanto si tratta di un animale sui generis, di un animale culturale 82• In effetto Romanell intende superare non solo
il dua
lismo tradizionale di natura e spirito, ma anche quello di natura e cultura, e riconoscere che la stessa e natura > uma na è culturale 83 • Solo così, infatti, si può impostare in guisa coerentemente naturalistica
il problema estetico e cioè
rendersi conto che e ... l'arte è una espressione della cul tura umana, e la cultura umana a sua volta è la espressione della natura personificata nell'uomo > 84• L'Autore prosegue affermando che i filosofi naturalisti sono soliti dimenticare il valore dell'arte (delle e arti bel le>) per far leva unicamente su qualcosa che è ritenuto più e utile> e che è, in definitiva, la conoscenza scienti fica aG. E, intanto, è proprio da siffatta arbitraria e scien tistica posizione che l'estetica neo-naturalistica deve libe rarsi, giacché, se sono indiscutibili e ... i vantaggi metodo logici delle scienze rispetto all'arte in faccende di cono scenza rigorosa>, è anche vero però che, metafisicamente parlando, l'arte, molto più della scienza, può risultare e ... col tempo... rivelatrice di ciò che è in ultima analisi la na tura...> 88• Infatti il fare artistico è particolarmente affine
al
fare della natura, giacché l'artista, così come la natura
energia, tende a e ... creare qualcosa da qualcos'altro, tal volta con successo, talvolta con insuccesso>, anche se è pur vero che le e opere> della natura sono, ben diversa mente da quelle dell'artista, e tentativi o esperimenti> in consapevoli 87• L'arte, dice Romanell, e ... è pochissimo di scosta dalla realtà, anziché esserlo tre volte, come si con56
elude... nella Repubblica, di Platone > 88•
Successivamente, rifacendosi implicitamente al suo arti colo precedentemente esaminato, Romanell, afferma che la estetica naturalistica deve respingere decisamente l'analisi e sostantivistica > dell'arte e far sua soltanto quella e ag gettivistica > 80• Infatti solo quest'ultima
analisi
è davvero
il naturalismo contemporaneo e per il suo
congeniale per
costitutivo impegno antidualistico; essa, applicata appunto in sede estetica, consel).te di svolgere e perfezionare
il prin
cipio della unità-continuità uomo-natura con quello della unità-continuità
arte-esperienza 40 •
Giacché
l'analisi
e so
stantivistica> dell'arte è la stessa e ... contropartita nell'este tica del dualismo nella metafisica> e impedisce che e ... l'uo mo possa sentirsi a casa propria
anche
nel mondo del
l'arte>, così come il dualismo antinaturalistico impedisce che l'uomo e ... possa sentirsi del tutto a casa propria nel l'universo in cui vive e muore> 41• Romanell conclude la sua ricerca affermando che l'ana lisi e aggettivistica > dell'arte ci consente, tra l'altro, di ren derci conto del fatto che la distinzione funzionalistica tra una vera e propria opera d'arte e lo e artistico > in quanto tale a) vuol dire soltanto che questa non è altro che e un
raffinato prodotto> di quella più generale e diffusa e qua lità estetica> dell'esperienza che e ... ha le sue radici nella vita naturale>
42,
b) ci rammenta che la e qualità estetica>
non appartiene alla esperienza estetica ipostatizzata in una sua specifica e autonoma consistenza ma è invece e ... qual cosa che potrebbe e dovrebbe pervadere la' nostra vita quo tidiana . se noi avessimo abbastanza discernimento per fare della stessa arte del vivere la più bella tra le arti> .a.
La precedente disamina della posizione estetica del Ro manell ci consente di inquadrarla storicamente, pur nella sua struttura ancora programmatica, nell'ambito dell'estetica contemporanea. Osserviamo anzitutto che
il Romanell fa sua, con una
personale accentuazione metafisica . e quasi ontologistica,
57
una fondamentale direzione di ricerca dell'estetica odierna, secondo cui il fatto estetico non è assolutizzabile e iposta tizzabile nella sua specificità ma è viceversa una dimen sione e trasversale> dell'esperienza, dimensione che è pos sibile e doveroso incrementare in vista di una sempre più piena unificazione e armonizzazione dell'esperienza stessa. Anche se è pur vero che il filosofo americano a) svolge la sua concezione funzionalistico-relazionistica dell'arte anzi tutto a partire dall'estetica del Dewey o almeno dal ripen samento e approfondimento di questa nel contesto più generale del pensiero del Dewey stesso H; b) non vede an cora, unitamente al Dewey, la crisi stessa dell'estetica filo sofica in quella dell'estetica della e autonomia> dell'arte 45 • Tuttavia bisogna subito aggiungere che Romanell, coe rentemente all'apertura del suo naturalismo nei confronti dell'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano, insiste, oltre Dewey e oltre tutto quanto il neo-naturalismo ameri cano, sulla e possibilità> che costituisce l'arte stessa e che è e possibilità> aperta e al positivo e al negativo. Per cui mentre Dewey vede nell'esperienza estetica lo stesso ap prodo positivo, armonioso e e appagante> dell'esperienza e
58
cioè ritiene che la medesima esperienza estetica è, in quanto tale, necessariamente positiva e necessariamente identifi cantesi con il e culmine> della natura 46, al contrario Ro manell riconosce la problematicità dell'arte stessa pur come e dimensione trasversale> dell'esperienza e sfugge defini tivamente a quello atteggiamento unilateralmente e epico> e positivo che, se è già ravvisabile nello strumentalismo deweyano, è poi addirittura clamorosamente evidente nella estetica del grande filosofo americano 47 • Ché, anzi, il pro gramma estetico del Romanell sembra più consonante con l'estetica del medesimo esistenzialismo e positivo>, appunto perché tale estetica da un lato insiste, memore dello stesso Dewey, sull'intimo rapporto arte-natura affermando che l'arte è la natura stessa che diviene in noi coscienza, espe-
rienza profondamente unificata e armonizzata, apertura in tersoggettiva ed etica e dall'altro non dimentica che l'arte medesima è valore solo in quanto è e possibilità > 48• GIOVANNI DE CRESCENZO
1 Cfr. spec. P. RoMANELL, Verso un naturalismo critico, Torino, 1953 pp. 35 sg. (2" ediz. accrescitua e rivista: Toward a. Critica.l Na. turalism, New York, 1958). Del Romaneli si tengano presenti anche i contributi speculativi in: LE.\KE and RoMANELL Ca.n we agree? Austin, 1950, pp. 31 sg., pp. 69 sg., pp. 79 sg. 2 Cfr. spec. W. P. MoNTAGUE, The Ways of Things, New York, 1940, p. 11 e passim. 3 Cfr. spec. M. R. CoHEN, Reason and Natu.re, New York, 1931, passim. 4 Cfr. F. J. E. WoODBRmGE The No.ture of Ma.n in e Columbia University Quarterly>, voi. 25° , 1931, p. 414, e Saggio sulla. Na.tu.ra, tr. it. Milano, 1955, p. 75 e passim (1" ed. New York, 1940). G RoMANELL, Verso un natura.lismo critico, cit. pp. 35 sg. 6 Ibidem
1 Ibidem
8 Ibidem 9 Cfr. M. R. CoHEN, Op. cit. p. 166. 10 RoMANELL, Op. cit. pp. 69 sg. li ROMANELL, Op. cit. pp. 29-30. 12 RoMANELL tiene presente la posizione filosofica di Abbagnano, in quanto questa si esprime in: La. mia. prospettiva. filosofica., Padova 1950 pp. 9 sg. 13 In: The Journal of Aesthetics a.nd Art Criticism, dicembre, 1949, (voi. VII, n. 2), pp. 125 sg. H Cfr. lo scritto del Dewey nel Journal cit., marzo 1948 (voi. VI, n. 3), pp. 203 sg. 15 ROMANELL, Op. cit., p. 125. 16 Op. cit., pp. 125-126. I corsivi sono nel testo. 17 Op. cit., p. 126. I corsivi sono nel testo. 18 Cfr. J. DEWEY, Art a.s E:rperience, New York 1934. 10 Cfr. J. DEWEY, A Common Faith, New Haven, 1934. 20 RoMANELL, Op. cit., p. 126. 21 Ibidem. 22 Op. cit., p. 126-127. 23 Op. cit., p. 127. I corsivi sono nel testo. 2 4 Op. cit., pp. 127-128. 25 Op. cit., p. 128. I corsivi sono nel testo. 20 In: e Rivista di filosofia>, 4 ottobre, 1960 (vol. LI, n. 4), pp. 391 sg. 21 Op. cit. p. 392. 28 Ibidem. 29 Op. cit. pp. 392-393. so Op. cit. p. 393. 31 Op. cit. pp. 393-394. 32 Op. cit. p. 394.
�Ib�-
�
s4 Ibidem. I cors1v1 sono nel testo. 35 Op. cit. p. 395. 80 Ibidem. 87 Ibidem.
38 Op. cit. pp. 395-396. Il corsivo è nel testo. ao Op. cit. pp. 396-397. 40 Op. cit. p. 397. 41 Ibidem. 42 Op. cit. p. 398. Il corsivo è nel testo. 48 Ibidem. 44 A proposito della polemica romanelliana contro il parziale ir relazionismo e e sostantivismo> dell'estetica deweyana, si può osser vare che il Nostro non tiene presente che Dewey, almeno a par tire dalla Logica e sino alle sue ultime ricerche, ha superato il suo stesso concetto di e interazione> in vista di quello ancor più decisa mente relazionistico-funzionalistico di e transazione> e ha inteso, sulla base di quest'ultimo concetto, non solo l'esperienza umana in quanto tale, ma tutta quanta la realtà naturale. Cfr. spec. lo scritto del Dewey Common Sense and Science in: JoHN DEWEY and ARTUR F. BENTLEY Knowing and the Known, Boston 1949, pp. 270 sg. Sulla prospettiva transazionistica del Dewey e sul transazionalismo ameri cano in genere cfr. spec. A. V1sALBERGHI, Il concetto di transazione nel voi. miscell. Il pensiero americano contemporaneo, Milano, 1958, pp. 273 sg. 45 La suddetta circostanza è invece chiaramente riconosciuta da Uao SPIRITO; cfr. spec. Relaz. al XVII Congr. Naz. di Filosofia, in I vol. degli Atti, Napoli, 1955, pp. 77 sg. Su tutto ciò cfr. anche il mio Dise gno di estetica, Napoli, 1958, pp. 15 sg. 40 Per siffatta concezione dell'arte in Dewey, cfr. spec. Arte co me esperienza, cit., pp. 67 sg. e passim. Per la celebrazione deweyana dell'arte come e culmine> della natura, cfr. Experience and Nature, Chicago, 1926, pp. 357 sg. 47 A proposito di quella che è addirittura la direttiva metafisica mente e armonistica> e e organicistica> dell'estetica deweyana, cfr. S. C. PEPPER Some questions in Dewey's aesthetics in The Philosophy of John Dewey, Evanston and Chicago, 1939, pp. 371 sg. 46 Cfr. spec., di NICOLA ABBAGNANO, L'arte e il ritorno alla natura nel e symposium> La vita dello spirito e il problema dell'arte, 1942, pp. 19 sg. e passim; Arte e Natura in e Galleria>, I, Torino, 1953; Possibilità e Libertà, Torino, 1957, passim. Per la tempestiva adesione di Enzo Paci all'estetica abbagnaniana cfr. art. in e Primato>, 1-1 1943.
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Della Pop Art e di una mostra a Vienna ORESTE FERRAR!
Oggi, a qualche mese di distanza dalla XXXII Bien nale di Venezia che, tra i non pochi suoi meriti, può porre in prima linea quello di aver gettato sul tappeto la que stione della Pop Art, è abbastanza agevole constatare come nei confronti d'un fenomeno così complesso, e che tanto scandalo ha provocato anche in ambienti tra i meno sprov veduti, la critica si sia sentita obbligata a reagire con impe gno assai vivace: ed invero chi scorre l'arco delle diverse prese di posizione assunte, in tale circostanza, dai vari critici d'arte non può non riscontrare, di primissimo acchito, il tono accalorato, esplicito, radicale (e talvolta perfino settario) di queste stesse prese di posizione. E, notiamolo subito, questa decisione nel dichiararsi, questa mancanza di reti cenze, questo rifiutarsi finalmente a qualsiasi sospensione di giudizio costituiscono, comunque, uno dei sintomi più confortanti d'una riassodata maturità e di un attenuato conformismo della critica stessa.
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Non ci sembra tuttavia ancor giunto il momento di stendere un bilancio delle opinioni e dei giudizi finora espressi sulla Pop Art, soprattutto perché riteniamo giu sto e corretto attendere gli ulteriori sviluppi d'un dibattito che è evidentemente tuttora in atto e per un compiuto svol gimento del quale occorrono peraltro ancora alcuni ele menti essenziali. Non si può in effetti non tener conto del fatto che la stragrande maggioranza degli scritti sulla Pop Art in base ai quali dovrebbe redigersi quel bilancio è costituita ap punto da recensioni della Biennale o da interventi in e inchieste > che sono state promosse, sempre in relazione alla Biennale, da alcune riviste, particolarmente italiane (Arte Oggi, Il Ponte, L'Europa letteraria, Il Marcatré). Orbene, se è vero che la Biennale ha contribuito a porre, nel modo più perentorio, la questione della Pop Art, è anche più vero che di questa era data una documentazione estremamente ristretta (pur se, come vedremo, sufficiente a segnare almeno per sommi capi i termini essenziali del fenomeno, anche di un certo suo sviluppo storico); e per tanto molti degli scritti di cui s'è detto sopra facevano riferimento pressoché esclusivo a quanto, di Pop Art, era visibile a Venezia, limitandosi quindi, salvo qualche ecce zione, ad accenni abbastanza generici ad altri aspetti propri, o collaterali, del fenomeno. E neanche possiamo trascurare del tutto il fatto che, nella speciale circostanza, in parecchi di quegli scritti la radicalizzazione dei giudizi sulla Pop Art si è data in ragione di una polemica istituzione di confronto, o di anti
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tesi, tra quella e altre esperienze artistiche attuali: le -ricerche ghestaltiche, specialmente, e quelle anche dei di versi filoni di proposte di e superamento dell' Informale >, della cosiddetta e nuova figurazione > ecc. Rinviamo quindi ad altro momento una dettagliata disamina della e storia critica > della Pop Art, limitandoci
qui a riprendere alcuni motivi fondamentali che meglio ci aiutino a formulare qualche considerazione di carattere generale, stimolata da una visita alla mostra POP ETC. ETC. ETC... che Werner Hofmann ha organizzato, nel settembre-ottobre dello scorso anno, al Museum des 20. Jahrhunderts di Vienna. Su di un punto almeno la quasi totalità degli autori degli scritti a cui abbiamo fatto sopra sommario riferimento si è trovata d'accordo: nel distinguere le esperienze di
R. Rauschenberg e di J. Johns da quelle di C. Oldenburg e di J. Dine. Ed è distinzione, questa, sulla quale non si può non convenire, fondamentalmente, dovendosi invero ri conoscere nelle opere dei primi due artisti citati caratte ristiche morfologiche e operative di tipo e assemblagista> - o anche definibili
come
e new-dada >
- e in cui
persistono istanze tipicamente e informali> (ed a propo sito di Rauschenberg sono stati più volte ed opportuna mente menzionati Burri e De Kooning), mentre nelle opere di Oldenburg e di Dine si manifestano le modalità costi tutive che più propriamente vengono considerate, in ge nere, come tipica grammatica della Pop Art. A sostegno di tale distinzione si sono anche portati, sovente, criteri di natura eminentemente qualitativa. Ed anche su questo punto è abbastanza ovvio il consenso, apparendo di lampante evidenza il e peso > qualitativo delle opere di Rauschenberg e di Johns esser soverchiante quel lo delle opere degli altri due artisti, a proposito dei quali s'è pure parlato
di e rozzezza>, di e elementarità> e così il dubbio che l'apprez
via. Non ci si può nascondere però
zamento, da parte di molti, delle opere di Rauschenberg e
di Johns calchi precipuamente sulla coté informale di
queste, e cioè su quegli aspetti di esse che la critica ha oggi più sperimentati strumenti per valutare, anzi che sul l'intero complesso
di mozioni espressive e di sistemi lingui-
stici che sono in esse opere. Sì che questo giudizio posi-
63
tivo, per quanto pienamente azzeccato, sarebbe, in defi nitiva, ancora un giudizio parziale che in quei due artisti vede quasi solo dei brillanti risolutori del!' Informale in chiave e new-dada >. Inversamente resta pure il sospetto che il giudizio spic ciamente negativo sulle opere di Oldenburg e di Dine sia almeno in parte conseguente al fatto che la critica s'è tro vata, di fronte ad esse, pressoché priva di strumenti di va lutazione,
essendo
quelli
finora
disponibili
palesemente
inadeguati. Resterà anzi da vedere poi quanta parte della opposizione generale alla Pop Art consegua precisamente da questa carenza di strumenti critici appropriati. Il problema è comunque, a nostro avviso, alquanto più complesso e necessita, innanzi tutto, di una più minuta conoscenza dei momenti interni del fenomeno. Fino a che punto, intanto, vale l'affermazione di Argan che con
la
Pop Art non va confusa, neppure col pretesto
delle origini, la pittura autentica di un Rauschenberg o di un Johns, artisti che rientrano ancora, con una forza di spinta tutt'altro che declinante, nell'area storica del1' Informale e che non debbono dunque esser ingiustamente indicati come i padri e i responsabili della Pop Art? 1. Ed è proprio inesatto quanto invece afferma Restany, che une· charnière neo-dada (Ruschenberg, Jaspers Johns, Stankiewicz) assure la transition entre l'Action Painting et le Pop Art? 2• A quanto ci risulta sono stati in pochi, e tra questi principalmente A. Boatto, ad essersi posta la questione di un probabile percorso che, sia pure schematizzato sui ter mini Rauschenberg..Johns-Dine-Oldenburg collegherebbe in qualche modo le esperienze di questi artisti ed anzi delinee rebbe origini e sviluppi della Pop Art: ci limiteremo a se gnare i termini opposti, la partenza e l'arrivo, dove alla mo bilità consapevole di Rauschenberg e di Johns fa riscontro 64
il mondo cristallizzato di Oldenburg, in cui degli immobili
oggetti-simbolo della più trista domesticità stanno a rap presentare tutto il comfort e le voglie dell'americaft way of life... Nei due termini opposti è dato raccogliere
l'itine
rario della giovane pittura americana, dal • new-dada • alla Pop Art, da un dialogo che l'io intrattiene ancora col mondo alla presenza unica del mondo, dal momento che il r.ammino si snoda da un intervento soggettivo ad una massima prevaricazione delle cose stesse, fino a sfio rare quasi il loro primato. Dietro questo itinerario si profila anche il pericolo (e il sospetto) di un'eccessiva semplificazione, di cui con evidenza i soli Rauschenberg e Johns evitano il tranello, fino a doppiare la stessa ri cerca dei più giovani, e non solo a riassumere ma anche a trascendere col loro lavoro i termini troppo grammaticali del • new dada • e della Pop Art, aggiungendo poi subito, significativamente: tuttavia l'intero orientamento converge sul proposito di assumere nel dominio dell'arte tutto il materiale preesistente, al fine di ottenere la massima compromissione possibile fra l'arte e la realtà 3• Dal passo qui sopra riportato appare chiaro che il problema avvertito da Boatto non si limita a suggerire una operazione di carattere filologico, ma investe invece le mo zioni basilari tutte della Pop Art, il senso e le intenzioni che muovono i suoi procedimenti operativi, la finalità e la legittimità perfino di questi procedimenti sul piano este tico.
In
una parola, questo problema concerne
il
valore
che, nella Pop Art, ha la utilizzazione o il rifacimento degli oggetti più consueti ed il significato di tale utilizzazione o di tale rifacimento tanto nei confronti degli oggetti stessi pregiudizialmente assunti come e realtà >, quanto nei con fronti del potenziale fruitore dell' e opera d'arte>. 1: - come si sa - particolarmente sulla valutazione (e legittimazione estetica) di questa utilizzazione degli og getti e del e comportamento > che essa denota che si sono avuti i pareri più diversi, e contrastanti.
65
66
Da una parte Argan nega che gli artisti pop tentino, magari in modo maldestro, il recupero dell'oggetto, a meno che per oggetto si intenda, semplicemente, • cosa • o • ro ba • e nella riduzione dell'oggetto a cosa da parte di questi artisti ravvisa un atto non intenzionato, banalmente ripe titivo della produzione dell'oggetto stesso: mimesi, ma... senza l'interesse conoscitivo, il piacere della mimesi. In ciò quindi la piena sopraffazione dell'oggetto-cosa sull'in dividuo artista, del quale si avrebbe la supina accettazione di un condizionamento sociale qual'è negli intenti dei grup pi di potere capitalistici, interessati alla produzione e al commercio, ossia al e consumo > degli oggetti-cose. Anzi, continua Argan, la Pop Art, presentandosi come immagine pubblicitaria aub specie aeternitati.t degli oggetti-cose stes si agevola la sopraffazione di questi sull'individuo e con sumatore > e pertanto costituisce un elemento, probabil mente secondario ma non trascurabile, di questo com plesso sistema di condizionamento. Complicità dunque della Pop Art con le intenzioni di sopraffazione, da parte del ceto capitalista, d'ogni possibilità di scelta e di giudizio (e di comportamento), finora indipendenti da condizionamento, e complicità cieca , che conduce al suicidio, perché non si avvede che non potendo la qualità dell'arte sussistere in un sistema di valori puramente quantitativi come quello ca pitalista, si mira alla distruzione del valore artistico dal l'interno, cioè si chiede all'arte di autodistruggersi 4• Non v'è dubbio che Argan individui acutamente il li mite ideologico della Pop Art e la barriera della sua più probabile impasse. Ma basta ciò a spiegare il fenomeno nella sua attuale complessità nelle sue diramate istanze? D'altra parte, invece, Boatto sostiene che a questo recupero della realtà si accompagna sempre la concreta pressione sull'uomo americano (occidentale) affinché ri veda il suo comportamento di ben disciplinato consumatore. Si cerca d'inceppare l'automatismo che lo guida in
modo che nella stasi prodottasi possa affiorare di nuovo la coscienza, una ripugnanza o un'avidità questa volta personali. Con la stessa operazione si intende demistifi care insomma prodotto e acquirente 5•
di una posizione in notevole misura analoga sono altri giovani critici, come ad es. il Menna, per il quale Su
l'artista pop accetta il confronto con l'ambiente in cui vive, cercando di sottoporre ad un processo di demisti ficazione e di reificazione i prodotti terminali del procedi mento tecnologico, ossia opera al livello del consumo di massa, ma cercando, direi, di prendere per mano il con sumatore di beni e di indicargli la via per demistificare
il prodotto e se stesso. Si tratta di una posizione ideologi camente individualista, se non anarchica addirittura, in quanto pone la possibilità del riscatto al livello atomistico del consumo e non al livello pianificante della produzione: una posizione,
comunque, per
la quale l'atteggiamento
pessimistico che sta alla base della Pop Art si trasforma, capovolgendosi nel suo contrario, in una volontà di star dentro le cose e di implicarsi intimamente in esse 6• Al limite, questa impostazione critica del problema può condurre
alla affermazione di Vivaldi, secondo il quale la
Pop Art è nata come satira violenta, allegra, feroce della civiltà di massa... ma... anche come una manifestazione di vitalità e di attivismo contro la compiaciuta, rettorica •disperazione• del manierismo informale 7• Ma,
(e, se lo il fenomeno nella sua attuale com
occorre chiederci ancora, ciò spìega
spiega, fino a che punto)
plessità e nelle sue diramate istanze? Più propriamente, è esatto vedere nella Pop Art un movimento
di opposizione puntuale, di rivolta. contro uno
di cose, spinto da precise motivazioni di lotta ideolo il rischio di vedervi così quasi solo una ri sorgente ipotesi di realismo, non certo nel senso del e rea stato
gica? . Non c'è
lismo storico>
(a proposito del quale si veda l'eccellente
67
trattazione di D. Durbè nella Enciclopedia Universale del,.
l'Arte, vol XI, ad vocem), ma comunque in quello di una corresponsione ad esigenze di implicazione e di engagement, di finalità sociale dell'arte attuata però, appunto come dice Menna, sotto il segno di un esacerbato individualismo ten denzialmente anarchico? E neanche, infine, una proposta di sola, radicale negazione - come nella tradizione dada - ma invece di un porsi da soli (e, tutto sommato, ancora roman ticamente) in una posizione di realismo e privato>. Per tentare una via mediana tra codeste opposte posi zioni e, ci sembra, più sottilmente comprensiva del feno meno in questione, non sarà intanto inutile rileggere quanto aveva scritto lo stesso responsabile della sezione americana alla Biennale, Alan R. Solomon, nella prefazione al Cata logo della mostra e The Popular Image>, tenuta nell'estate di due anni fa alla Gallery of Modem Art di Washington: For wathever historical reasons the new artists are de tached politically ( they have not shared the
politica!
experience of the older generation), and indeed they are disengaged from ali institutional associations. At the same time that they are withdrawn from causes (social mani festations), they are deeply committed to the individuai experience and ones identity with the environment (by contrast with the Dada group, whose sense of estrangement led them away from participation). This involvement has an unquestionably optimistic and affirmative basis
as
well as a distincly existential cast, and it has a good deal to do with the tone set in their work, as we shall see. At the same time, the .new artists are not intellectuals, by and large, and they bave no interest in enunciated philo sophical or esthetic tendencies 8• Ora, si prenda pure con le dovute cautele questo testo, particolarmente per quanto in esso può apparire come un voler mettere le .mani avanti nei riguardi di una compro68
missione .,...... che può appunto essere anche una sorta di com-
plicità, come ritiene Argan - con ciò che in America, più o meno correntemente, si intende per e politici > e per e intellettuali> (e taluno potrà anche farsi venire sulla punta della lingua il noto detto: excusatio non petita, ac cusatio manifesta): resta tuttavia l'indizio di un modo di porsi di fronte alle cose del mondo con un atteggiamento di e partecipazione> che lo stesso Salomon, limitando al quanto quella sensazione di e ottimismo > che vuol lasciar trasparire dalle frasi su riferite, precisa subito dopo che può esser considerato both as a product of modern scien tific skepticism and at the same time as a reaction to the modem scientific habit of precise determination of phe nomena. Partecipazione dunque che non è né un'adesione spen sierata, né uno scintillante gioco dell'ironia, né infine un votarsi ad un conflitto totale con le cose: ma piuttosto un prender atto di queste, collocandosi in una posizione, per così dire, equidistante tra l'implicazione in esse ed il loro rifiuto (magari per contestarle riassumendole sub spe cie artis, come sarebbe appunto in una formulazione crea tiva di tipo espressionistico-realista). L'esatta definizione di tale posizione - che è a nostro avviso il nodo cruciale della Pop Art - è stata peraltro a suo tempo enunciata proprio da Rauschenberg, il quale aveva · affermato che Painting relates to both art and life. Neither can be made (I try to act in the gap between the two). In questo porsi dell'artista in un certo punto, in questo suo non compromettersi totalmente né con l'arte trasfigu rante né con la realtà puramente oggettiva delle cose, c'è dunque una fondamentale istanza di scetticismo. Di scetti cismo, si badi bene, che non è evasivo, né rassegnato - come invece sembrano ritenere alcuni, tra i quali C. Brandi 11 -, non pessimista né ottimista, ovviamente, bensì ope rativo, speculativo, che tende a verificare puntualmente gli aspetti della realtà stessa con un metodo che è, si può
69
dire, a suo modo e sperimentale >. Questa verifica, che vuole esser priva di pregiudizi ideologici (accettando però solo l'ideologia di sé stessa, lo scrupolo di obiettività), si rivolge: a) a quel che della realtà come
è già dentro l'individuo,
è propriamente nel caso di Rauschenberg, la cui opera
potrebbe definirsi un reportage della memoria inteso a regi strare come in questa si siano venuti disponendo o si evi denzino brani di realtà, evocati appunto nella loro compre senza con un procedimento che, in letteratura, aveva già avuto, proprio in America, qualche cospicuo precedente (il Dos Passos del 42 ° Parallelo, ad esempio); b) a quel che la realtà
è in sé, come e oggetto >, ma su cui bisogna inter
venire per appropriarsene, rifacendola o ricombinandola. Questa analisi, disincantata e spietata, condotta su di una realtà che è come in vitro, sorpassa ovviamente la fase di mera e impassibile constatazione della realtà stessa per il solo fatto che indagandola globalmente, ne svela anche gli aspetti che alla ottimistica accettazione della nozione comune sono sfuggiti: scopre cioè il rovescio della medaglia, il lato negativo. Ben a ragione, quindi, si è parlato, a proposito della Pop Art, di una specie di discesa agli inferi: perché, come dice Assunto, il nulla e le tenebre di cui la Pop Art, almeno nei suoi esempi meno discutibili, formula un posi tivo giudizio di esigenza, sono il nulla e le tenebre di quella che si suole chiamare la • civiltà del consumo •: il nulla e le tenebre, dunque, della nostra civiltà che sembra godere di questo suo definirsi come una civiltà della di struzione, anziché della creazione 10• Ora, questa analisi (che, al limite, è anche una denun cia, ma non nel senso furente, romanticamente eversivo, ge neroso e - diciamo pure - talvolta perfino quarantottesco dell'espressionismo-realismo o in quello ironico e negativo di Dada), questa analisi del volto notturno... della presente 70
civiltà e · condizione dell'uomo è veramente tale, come af-
ferma altrove lo stesso Assunto, da esaurirsi nel mostrare l'aspetto negativo della situazione senza proporre alcun ri scatto da tale negatività? 11• Assunto sottolinea giustamente che il processo che ha condotto alla civiltà del consumo è un processo irreversi bile, e l'unica maniera di sottrarsi alle sue conseguenze infernali, denunciate dalla Pop Art, è quella di servirsi dei suoi mezzi e delle sue tecniche capovolgendone le fina lità: come mezzi e tecniche con cui negare il consumo negare cioè la negazione dell'essere, negare il non-es sere 12• La via della salvezza, dopo la caduta (ossia dopo la discesa agli inferi) sarebbe, per lo stesso Assunto, quella tracciata dalle ricerche ghestaltiche che appunto si servono di· mezzi e tecniche della civiltà del consumo capovolgendo ne le finalità. Ma fin troppo facile è qui l'obiezione che le ricerche ghestaltiche in quanto di fatto prescindono dalla discesa agli inferi (da un preliminare rapporto con la realtà), anzi che capovolgere le finalità di quei mezzi e di quelle tecniche che appunto una esperienza critica della realtà stessa
dimostra esser convogliati in direzione sbagliata,
istituiscono piuttosto altri mezzi e tecniche, di natura astrat tamente utopistica, affatto avulsi da qualsiasi relazione con creta, esistenziale con la realtà: teoremi, semmai, e non esperienze. All'esigenza di capovolgere le finalità dei mezzi e delle tecniche che sono propri e nefandi strumenti della civiltà del consumo ci sembra corrispondere invece ben più diret tamente proprio la Pop Art, quando riproduce gli oggetti di consumo (la realtà di quella civiltà) privandoli però delle loro qualificazioni pratiche, e cioè della loro primaria ragion d'essere, ed assumendoli altrimenti, sia pure su.b specie
aeternitatis o come simboli. L'asse direzionale dell'intenzionalità produttiva si sposta così dal senso che è proprio della civiltà del consumo
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ad un senso che
è esattamente all'opposto e che anche
dimostra la possibilità di una non consumabilità degli og getti reali nella maniera imposta dal sistema capitalistico, e però una loro pur effettiva, diversa consumabilità. In altri termini, l'artista pop, riproducendo un oggetto di consumo ma in modo che a questo vengano sottratti tutti - o quasi tutti - gli attributi per i quali
è specificamente
oggetto di consumo, non erige affatto un monumento cele brativo dell'oggetto stesso, ma dà di questo un'immagine pra ticamente e inutile >, e quindi innocua; ossia, lo esorcizza. Sotto questo aspetto cioè
la
Pop Art sarebbe ad un
livello di formulazione d'immagine pre-mitico, di valore rituale, paragonabile alla formulazione d'immagine dell'uomo delle caverne che, con un procedimento assai simile a quello dei riti risolutori del tabu (che non
è ancora mito), raffi
gurando (nominando) la bestia feroce o il nemico, li esorciz za e se ne garantisce; metaforicamente ma con indubbia efficacia psicologica, il personale dominio. La finalità dell'arte non
è dunque quella di trasfigurare
le realtà (e, se l'arte dovesse proprio essere trasfigurante, l'artista pop è pronto ad accettare consapevolmente l'even tualità di una ku:nstlosigkheit: Rauschenberg appunto af ferma che, come la vita, anche l'arte e non può esser fatta >)
è neppure quella di darne, ovviamente, un astratto surrogato; questa finalità è bensì quella di prendere atto e non
della realtà e di porsi come tecnica liberatoria dai valori negativi di questa. Questa funzione, per cosl dire, terapeutica della Pop Art
è stata percepita con notevole chiarezza da alcuni
intervenuti all'inchiesta de
n P011.te:
tenzionalità del pop-artist s'appunta
L'oggetto ... su cui l'in
è proprio la mancanza
d'intenzionalità... l'artista si costituisce come oggetto i prodotti dei processi tecnologici, diagnosticandoli e rie stemandoli come documenti disaminati: non formula cioè 72
un'immagine che
li
abbia come contenuto conoscitivo e
non li. pone come realtà pura, ma, se può dirsi, ne dà un'antimmagine, compiendo un anti-atto. La funzione so ciale di queste opere è dunque notevole e benefica: ci pre servano, facendocene coscienti, dal male che possono farci gli oggetti e gli utensili •insensati• (P. E. Carapezza) 18; e ancora: la Pop Art ha questo ruolo demistificatorio, que sto rito di folla, quasi uno psicodramma sociale in cui le masse si trovano in presenza del loro malore, proiettato al livello di coscienza e placato (E. Miccini) 14• Peraltro, anche ai fini di una ancora probabile legitti mazione estetica della Pop Art, avrà pure una certa im portanza constatare che questo intento di registrare la realtà sociologica senza alcuna intenzione polemica (Restany) ma invece prendendone atto e con quieta determinazione in ventariandone gli aspetti negativi e illusori (gli idola. del nostro tempo) e cosi implicitamente liberandosi dalla even tuale sopraffazione di essi, questo intento, dicevamo, si è venuto manifestando proprio in zone di cultura anglosas sone, dove la tradizione dell'empirismo baconiano è più radicata e sta alla base di un prammatismo di comporta mento - quello di cui hanno parlato i Dewey e i Morris che sostanzia in modo vero e costante il modem. scientific skepticism. Della estrema varietà di atteggiamenti critici nei con fronti della Pop Art è stato certo ben consapevole W. Hof mann il quale, organizzando la già citata mostra viennese, ha inteso dare un deciso contributo ad una auspicabile chiarificazione proponendo intanto la più ampia base docu mentaria possibile per una approfondita discussione sul fe nomeno. Al Museum des 20. Jahrhunderts il gruppo dei pop a.rtists americani era presente quasi al completo. (J. Dine, J. Johns, R. Rauschenberg, L. Rivers, A. d'Arcangelo, B. Copley, R. Lichtenstein, E. Marisol, C. Oldenburg, J. Rosen quist, P. Saul, G. Segal, W. Thiebaud, A. Warhol, J. Wesley,
73
T. Wassehnann, H. C. Westermann), ed insieme erano i più significativi rappresentanti inglesi della tendenza (P. Blake, R. Hamilton, A. Jones, Ph. King, P. Phillips ecc.), il franco brasiliano Fahlstrom, il nostro Pistoletto ecc. Era inoltre presente, pure quasi al completo, il gruppo del Nouveau Réalisme di Restany (Arman, Christo, Y. Klein, Rotella, Spoerri, Tinguely ecc.); ed il confronto che lì era finalmente possibile istituire sul vivo tra i due gruppi - o meglio, filoni - di ricerca artistica giovava a dirimere la ridicola questione, recentemente sollevata, delle rispettive priorità, ed anzi mentre rilevava in modo assai netto le molteplici diversificazioni che si manifestano - an che nell'ambito di ciascun gruppo, naturalmente - in rela zione a distinti presupposti culturali, a distinti modi di comportamento e di reazione nei confronti della realtà (perfino a distinte inflessioni emotive), contribuiva pure a porre in evidenza alcune · sostanziali affinità. Affinità di procedimento, intanto, potendosi molte tra le diverse modalità riassumere come tecnica dell'inventario reportage della realtà sociologica, che negli americani si
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prospetta tanto, come s'è già detto, sotto il segno di evoca zione alla memoria (Rauschenberg, Johns, Rivers e altri menti Saul), quanto come ri-produzione dell'oggetto (Warhol, Dine, Oldenburg, Thiebaud e altrimenti Wesselman o Se gai) e che nei novo-realisti si manifesta invece attraverso l'iterazione dell'oggetto stesso sottilmente ricalcata secondo modi che s'apparentano alla prestigiosa descrittività del Nouveau Roman (Armàn), o la sua presenza. immediata e fissata (Spoerri) o la sua ironizzazione (Tinguely). Ma affi nità soprattutto di intenti ultimi, ancorché talvolta confu samente espressi, per quel porsi di fronte alla realtà scruti nandola e respingendone sempre la troppo diretta, spesso anche morbidamente allettante, intrusione nell'individuo. Proprio sul rilevamento di questo tipo di atteggiamento, peraltro, la mostra viennese riusciva a proporre persuasi-
vamente (ed in ciò consisteva, a nostro avviso, il suo pre gio preminente) un filo conduttore che rilega appunto le ricerche di artisti tanto disparati, come quelli appena citati, prospettando cioè i termini di una larga convergenza di ricerche singole, tra le quali vanno comprese pure nume rose altre, a Vienna ben documentate: da quelle più prossime agli esempi americani (van Eck, van Amen) ad altre invece più originalmente formulate (A. Cavaliere, Vie Gentils, Baj, Henderickse, l'ultimo, straordinario Appel). La visuale critica veniva cosi ampliata, al di là delle troppo particolari accezioni (sulle quali sarà pur necessario tornare presto, per un vaglio degli interessi e delle mozioni individuali), sulla constatazione testuale appunto di istanze basilari, scaturite da una condizione esistenziale comune tanto agli americani, quanto agli europei, ai giapponesi ecc. Non, s'intenda bene, per voler metter tutto sullo stesso piano, restando anzi, ripetiamo, quelle particolari accezioni legate a strutture sociali, culturali, economiche e psicolo giche del tutto differenziate, bensì per ricercare la trama di un discorso che è comune proprio perché così variamente articolato e così prepotentemente interferente. Sul presupposto di una larga convergenza di espe rienze diverse (e poco importa, in sostanza, se a Vienna mancavano alcune di queste che pur consideriamo di no tevole importanza e che ben rientrano in quella prospettiva proposta: da quelle e neo-metafisiche> di Del Pezzo a quel le di riabilitazione mnemonica della realtà d'una Maselli o d'una Fioroni), su quel presupposto, dunque, si giustifi cava anche l'enunciazione, da parte di Hofmann, di una larga rosa di componenti (ché di componenti, si tratta, anzi che di e precedenti> in senso strettamente filologico) cul turali del fenomeno attuale. Queste componenti erano indi viduate, ovviamente, nel Dada storico (da Duchamp a Schwitters, a Man Ray, all'americano Cornell), ma anche in quello che veniva definito Traditioneller Realismm (da 75
Guttuso - che, com'è noto, ha personalmente rivendicato un certo ascendente sulle ricerche nuove - a Rivera, a Ben Shahn, alla Richler, a Pignon); né mancava un accenno al e realismo > o alla e oggettività ottica > della pittura ame ricana verso il Trenta, la cui importanza per la fase attuale di esperienze era stata già ben rilevata da Crispolti 115 nel Catalogo della Mostra
Aspetti deU'Arte Contemporanea al
l'Aquila (1963): accenno qui limitato ad una citazione di Hopper, mentre più opportune sarebbero state quelle di Sheeler e di Demuth. Altre componenti infine erano indi viduate nella tradizione informale (Dubuffet, De Kooning, Saura: ma allora, perché non Burri?) ed in altre esperienze come quelle di Bacon, di Davie, di César, di Recalcati (ma allora, perché non Matta?). La semplice elencazione di questi nomi, qui (e tra i quali avremmo visto opportunamente compreso, a Vienna, pure quello della Nevelson), può sembrare indicativo di una dilatazione così eccessiva della problematica posta dalle più recenti ricerche artistiche (confessiamo di averne avuto pure noi l'impressione, in un primo momento), sl da risul tare filologicamente e criticamente inammissibile. E però essa valeva, in definitiva, come proficua pro posta di riconsiderare i fenomeni attuali anche come punto di confluenza e di riproposta di istanze che erano state pur presenti - ma, ovviamente, altrimenti risolte - nella maggior parte dei movimenti artistici degli ultimi decenni, delineando cosi una probabile consequenzialità storica di quei fenomeni stessi almeno in relazione ad una persistenza di problemi-base che la cultura moderna si trova a dover affrontare. Nei quali fenomeni, .concludendo, una ulteriore prospezione critica dovrà ravvisare non già un'ennesima insorgenza
di
anarchismo, di rottura - in una parola: di
avanguardia - ma piuttosto (e proprio in considerazione della comune piattaforma a cui si possono collegare fatti 76
tanto diversi) come una modalità nuova e pure storicamente
accreditata di procedere ad una ricognizione e ad una presa di coscienza della condizione dell'uomo moderno: senza pes simismo, in fondo, ma anche senza troppo ottimismo. ORESTE FERRARI
1 G. C. AllcAN, Il banchetto della nawea, in e La botte e il violi no>, I, n. 2, settembre 1964, pagg. 3 e 8. 2 P. RESTANY, in e Il Ponte>, XX, nn. 8-9, agosto-settembre 1964, pagg. 1141. 8 A. BoATTO, USA: new-dada e Pop Art, in e L'Europa letteraria>, V, nn. 30-32, giugno-settembre 1964, pag. 154. 4 G. C. AllcAN, art. cit., pagg. 5 e 7. 5 A. BoATTO, in e Il Ponte> cit., pag. 1095. 6 F. MENNA, in e Arte Oggi>, VI, n. 21, settembre 1964, pag. 36. 7 C. VIVALDI, in e Il Ponte> cit., pag. 1152. 8 A. R. SoLOMON, The New Art, ripubblicato in cArt International>, VII, n. 7, settembre 1963, pag. 37. 9 C. BRANDI, in e Il Ponte> cit., pag. 1099. 10 R. AssuNTO, in e Il Ponte>, cit., pag. 1080. Il R. AssuNTo, in e Arte Oggi>, cit., pag. 16. 12 R. AssUNTo, in e Il Ponte>, cit., pag. 1082. 13 P. E. CARAPEZZA, in e Il Ponte>, cit., pag. 1107. 14 E. MICCINI, in e Il Ponte>, cit., pag. 1126. 15 E. CRISPOLTI, in Catalogo della Mostra e Aapetti dell'Arte Con temporanea>, L'Aquila, 1963, pag. 133 e segg.
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La poetica urbanistica di Lynch
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Noi tendiamo a realizzare un paesaggio tecnicamente organizzato in modo 'che le sue parti siano strettamente interdipendenti ma, nello stesso tempo, coerenti figurati vamente; un paesaggio cioè, la cui immagine visiva sia congruente con i processi di vita che vi interagiscono. Questo concetto di paesaggio, come sintesi equilibrata di forma e funzione, è relativamente recente nella cultura occidentale. In natura, tale sintesi è espressa da un organismo in fase di avanzato sviluppo, la cui forma è il risultato di forze in equilibrio. In arte, essa deriva dalla completa realizzazione di un obiettivo di vasta portata. In un pae saggio creato dall'uomo, la validità visiva e formale è condizionata dalla chiarezza e dalla risolutezza delle in tenzioni più di quanto non lo sia la sua validità funzio nale 1• Un rinnovato interesse degli urbanisti per i problemi del linguaggio figurativo ed una rilevanza nuova attribuita alla componente formale ed espressiva nel processo di sistema zione del territorio rappresentano oggi l'elemento nuovo del dibattito culturale nel campo architettonico-urbanistico. Nuovo, infatti, perché mentre la forma architettonica è ancora giustamente riferita ad un parametro dimensionale umano, la scala dei fenomeni che interessano l'urbanistica e la nuova dimensione delle nostre città implicano un con cetto di forma svincolata dalla idea rinascimentale di visua lizzazione statica di figura. La forma, in arte, è l'affermazione di un modo di comprendere il contenuto della vita. La vita non è arte,
è il contenuto dell'arte. Una città non è arte, è vita. La sua forma è il tracciato multidimensionale del contenuto della vita di un individuo e della società 2• Alla nozione di nuova dimensione della forma si ag giunge l'esigenza di considerarne alcuni nuovi problemi che ne derivano: - la necessità di un'interpretazione figurativa e simbolica dello spazio urbano. - il ruolo che la morfologia del territorio assume nella con figurazione spaziale delle nostre città. - le nuove condizioni di fruizione dello spazio. - il riflesso che, sui problemi della forma urbana, hanno fenomeni quali la rapida obsolescenza o il decadimento funzionale delle strutture, o l'esigenza di flessibilità fun zionale di esse nello spazio e nel tempo. - le modificazioni che la forma urbana subisce sotto la spinta della dinamica socio-economica. Il salto dimensionale, in termini spazio-temporali, sem bra essere la causa prima del nuovo discorso sulla forma e sembra rimettere ulteriormente in crisi il principio razio nalista dell'unità metodologica che informerebbe l'intero campo di ricerca, dall'urbanistica all'industrial design. Nell'ambito della nuova dimensione, quindi, l'interro gativo riguarda non solo l'interpretazione da dare al con cetto di forma, ma anche la definizione di nuovi strumenti critici per la valutazione di essa. Questi problemi costituiscono alcuni dei temi di ricerca della contemporanea scuola americana di planning e di urban design. Moltissimo è stato scritto a proposito dell'estetica della città. La bibliogl'.afia è, infatti, molto ampia. Tuttavia sono stati fatti pochissimi tentativi per analizzare sistematica mente la natura e le caratteristiche dei valori formali delle nostre città. Fino ad oggi l'analisi più completa dell'argo mento ci è stata fornita da C. Tunnard nel suo eccellente
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libro • La città dell'uomo• 8• S. Williams ci ha dato im portanti contributi per la conoscenza diretta della città del presente 9• Contributi in questa direzione ci sono stati dati da P. Zucker 10 • Il più intenso lavoro, in questa dire zione, è stato compiuto recentemente da G. Kepes e K. Lynch 11• Fagin e Weinberg hanno fatto uno studio com pleto per un programma operativo tendente a migliorare l'aspetto della città 12• Altri (troppo numerosi per citarli tutti) da Sitte a Giedion, a Zevi a Grady Clay, hanno con tribuito alla conoscenza dell'aspetto visivo delle città 13• Escludendo la possibilità di offrire una rassegna pa noramica di tutta la produzione americana nel campo, ci limiteremo, in questa sede, ad analizzare l'opera di Kevin Lynch, in quanto riteniamo che essa, per la sua originalità, rappresenti un contributo, valido di per se stesso, e ricco di spunti e di aperture per maggiori approfondimenti e per nuovi studi. All'opera di quest'ultimo dedichiamo il presente arti colo. Pur ammettendo, come scrive Gutheim l'esistenza di una continuità fra i problemi dell'estetica architettonica e quelli della forma della città, Lynch ha compiuto un passo fondamentale nella definizione di questi ultimi, rivendi cando una loro problematica autonoma •. La ricerca di Lynch, infatti, focalizza il proprio inte resse sulla città e, per i problemi che questa pone, tenta un approccio sistematico mediante la costruzione
di
una
teoria che individua un sistema di analisi e di valuta zione delle forme urbane. Nel saggio scritto con Rodwin su A theory of Urba.n Form, egli pone l'accento sull'influenza che, sulla vita e l'attività della città, ha la forma fisica della città stessa: La comprensione dei diversi effetti di diverse forme
fi.
siche e della localizzazione delle attività umane in re-
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!azione alle forme fisiche è, o dovrebbe essere, . il mag-
gior impegno, in fase di indagine, del pianificatore spa ziale ij e sottolinea l'esigenza che tale forma fisica sia congruente, cioè realizzi, gli obiettivi estetici, sociali ed economici che il pianificatore, interpretando le esigenze della società, si propone. Infatti, il compito principale del pianificatore spaziale è di capire l'ambiente fisico e di cercare di dargli una forma che assecondi gli obiettivi della comunità 6• Egli individua quindi il vertice teorico del lavoro di pianificazione nello studio sistematico delle interrelazioni fra le forme urbane e gli obiettivi umani; tuttavia, non può non rivelare come, allo stato attuale dei fatti, la scelta della forma si basa il più delle volte su elementi tradizio nali o di intuizione o sulla superficiale attrazione della semplicità 7• Egli rileva inoltre che, una volta costruite, le forme vengono di rado ulteriormente analizzate nella loro effettiva capacità di raggiungere gli obiettivi originaria mente posti. Ed ancora che, lo studio del disegno urbano, avviene essenzialmente a livello delle singole parti della città, non nel suo insieme. Le vedute prevalenti sono statiche e frammentarie 8• La determinazione quindi della forma urbana in fun zione degli obiettivi generali del processo di sistemazione del territorio, nell'ambito di una visione attuale del mo mento storico in cui si è chiamati ad operare, sembra essere il campo di azione, proprio del disegno urbano, inteso, questo, come quella parte dell'urbanistica che si occupa dell'aspetto visivo e che definisce l'ordine e la forma della città 9• Il punto cruciale del problema che egli pone emerge, tuttavia, nel momento in cui, dalle definizioni teoriche si passa alla proposta di termini operativi. In tal senso la e teoria > di Lynch e Rodwin, che appare, in se stessa, un po' semplicistica, acquista un suo
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valore in quanto rappresenta il primo tentativo di tradurre in pratica l'esigenza di sistemare scientificamente una di sciplina, basata, finora, soltanto su metodi intuitivi ed empirici. Tuttavia al di là dell'eleganza o della logica di una formulazione teorica, questo sistema analitico, per il suo carattere essenzialmente normativo, può trovare la sua mag giore utilità in sede operativa 10, come strumento sistema tico e logico di analisi della forma della città. Infatti, come gli autori stessi affermano nell'esprimere un giudizio con clusivo sul proprio lavoro, la loro teoria si riferisce a qual cosa che, almeno in parte, deve restare una complessa forma d'arte, un'arte ancora estranea al rigore della cono scenza scientifica. Infatti le complesse relazioni sembrano eludere una teoria rigorosa e dipendere, invece, da un giudizio personale, ed il • metodo » può soltanto verificare soluzioni alternative precedentemente proposte. Nonostante il fascino che, in questo lavoro, può avere l'applicazione di un metodo scientifico, il compito creativo di inventare nuove soluzioni e nuove forme, come in tutti i campi del l'arte e della scienza, è al � sopra di qualsiasi teoria scientifica 11• Clùariti i limiti concettuali ed operativi del loro con tributo, Lynch e Rodwin individuano due tipi di elementi fondamentali, a,do,pted spaces per lo svolgimento delle atti vità umane, e flow sistems per il movimento degli uomini, delle merci, delle notizie, dell'energia; elementi fisici che, indipendentemente dalle attività e dal movimento, costitui scono la città e ne definiscono la forma. Per analizzare e valutare tale forma, essi propongono poi sei categorie analitiche: elementi, quantità, densità, gra na, organizzazione dei punti focali, distribuzione spaziale, alle quali essi ritengono sia sempre possibile riferire qual siasi configurazione spaziale urbana. 82 Con tali categorie successivamente gli autori riten-
gono di poter analizzare anche quegli aspetti della forma urbana definiti nel tempo dai fattori socio-economici. Da quanto precede risulta che A theory of Urban Form è un saggio che non propone un sistema basato su principi generali, ma tende ad offrire uno strumento logico atto a valutare, caso per caso, diverse configurazioni spa ziali in rapporto agli obiettivi umani che esse realizzano. A dimostrare il carattere positivamente strumentale di questo studio Lynch e Rodwin mostrano una costante esigenza di verificare sperimentalmente i loro principi teo rici, esigenza che emergerà ancora più chiaramente negli studi di Lynch sulla forma percettiva della città. Nel suo libro fondamentale, The Image of the city, scritto nel 1959, a conclusione di una serie di ricerche compiute in Italia ed in America 12, Lynch restringe e spe cializza l'ambito del proprio interesse. Ferma restando la sua esigenza di sistemazione empi rico-scientifica della disciplina urbanistica, Lynch giunge alla formulazione di cinque categorie di elementi fisici (strade, creste, distretti, nodi, punti focali) ai quali riferire qualsiasi configurazione spaziale urbana. Il suo studio, partendo da matrici psicologiche, tende a valutare la forma della città, ponendola in costante rapporto con l'immagine che essa genera. Con evidente riferimento al concetto di transazione (ri ferimento che unitamente a numerosi altri viene da Lynch taciuto) egli afferma: L'immagine di un ambiente è il risultato di un processo di interazione fra osservatore e ambiente: l'ambiente suggerisce distinzioni e relazioni e l'osservatore, con grande capacità di adattamento, ed in funzione dei propri interessi, seleziona, organizza e riempie di significato ciò che vede: l'immagine, costruita in tal modo, limita o accentua i caratteri dell'oggetto percepito, mentre viene, essa stessa verificata nelle sue capacità di essere percepita, in un costante rapporto di interazione 18•
83
L'immagine di un ambiente è quindi qualcosa di estre mamente soggettivo e, in quanto tale, poco o nulla sotto ponibile ad uno studio e ad una classificazione in termini oggettivi, analitici o scientifici. Esiste, tuttavia, la possibilità di superare questa im
passe per giungere alla formulazione di un sistema ana litico di classificazione degli elementi dello spazio urbano. Ogni individuo crea e sostiene la propria immagine; tuttavia, sembra esistere una sostanziale analogia fra i membri dello stesso gruppo 14• Sono queste public images quelle che interessano i progettisti che aspirano a model lare un ambiente fruibile da più persone 15 . In tal modo, partendo da un approccio sperimentale, dallo studio della forma di alcune grandi città americane (Boston, Los Angeles e Jersey City) in base alla immagine di esse, quale viene ritenuta dagli abitanti, Lynch giunge alla definizione di un sistema di analisi e di classificazione della forma della città, convinto che è oggettivo e reale ciò che appare,
al di là delle interpretazione soggettive del sin
golo. L'oggetto del suo studio è quindi la città visuale, la città, cioè, che, al
di là delle sue numerose funzioni, deve
essere vista, ricordata e goduta dagli uomini 16• Infatti,
egli continua, noi abbiamo oggi l'opportunità di configura
re il mondo delle nostre città in un paesaggio di cui riu
sciamo a formarci un'immagine visibile, coerente, chiara. Essa richiederà una nuova capacità percettiva
da
parte dei cittadini, ,e nuove forme fisiche, che si orga nizzano di livello in livello nel tempo e nello spazio, che possano rappresentare dei simboli per la vita umana e che siano, esse stesse, simboli della vita umana 17 Più avanti Lynch afferma: dare una forma visiva alla
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città è un problema di progettazione di tipo particolare, attualmente abbastanza nuovo... che deve essere riferito
alla percezione della città nel suo insieme: non può, cioè, limitarsi allo studio delle singole parti della città, a scala architettonica. L'unità della città, la sua forma, è qualcosa che non deve essere assolutamente valutato in termini di • colpo d'occhio», ossia di « intera area compresa nel giro dello orizzonte », ma piuttosto come esperienza completa, che può estendersi per molti chilometri per molti giorni 18• Con un assunto che risale alla totalità della teoria gestaltica, per Lynch la forma visiva della città non è la somma delle singole parti di essa, ma piuttosto il mo do in cui queste si aggregano e si integrano nell'immagine mentale, quale viene ritenuta dai suoi abitanti; qualità visiva fondamentale è la • leggibilità • del paesaggio ur bano... ossia la facilità con la quale le diverse parti possono essere individuate ed organizzate in uno schema coerente... Una città « leggibile " è quella in cui zone, punti nodali, strade sono facilmente identificabili e facilmente raggrup pabili in un modello generale 19• Una città è leggibile quindi, quando l' immagine che di essa viene percepita riflette in modo chiaro e coe rente la sua organizzazione spaziale ed il modo di aggreg gazione delle sue parti. L'immagine può essere analizzata secondo tre com ponenti: identità, struttura, significato... :t utile fare questa distinzione per rendere chiaro il discorso, anche se in realtà le tre componenti appaiono sempre insieme. Una immagine richiede prima di tutto la identifica zione di un oggetto, il che implica la sua distinzione da altri oggetti, la sua riconoscibilità, come un'entità indi pendente. :t detta identità, non nel senso di uguaglianza con qualche altro elemento, ma per significare la propria individualità. Secondo, l'immagine deve evidenziare il legame, spaziale o schematico, dell'oggetto rispetto all'os servatore e rispetto agli altri oggetti. Infine, questo og-
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getto deve avere un significato per l'osservatore, signi ficato funzionale, emozionale o simbolico. Il significato è esso stesso un legame, ma del tutto diverso da quello spaziale o schematico 20• La valutazione del valore simbolico della città, valore riferibile e rintracciabile sia nelle diverse parti della città, sia nella sua forma globale è, tuttavia, un problema estre mamente complesso, in quanto immagini di gruppo, .riguar danti il significato, sembrano essere meno consistenti, a questo livello, di quanto non lo siano le percezioni di entità e di relazione. Inoltre, il significato simbolico di un ambiente o di un paesaggio non è così facilmente in fluenzato dalle trasformazioni fisiche, come la sua strut tura e la sua identità 21• Non sono, infatti, le singole strutture che esprimono i e rapporti di interazione > di una società - se è vero che le stesse strutture (residenziali, produttive, ricreative, dire zionali) sono presenti in società organizzate su basi ideo logiche completamente diverse - ma il valore che le di verse società attribuiscono alle diverse strutture, e che si riflette sul modo in cui ciascuna struttura si affianca alle altre, e nel rapporto reciproco che tale modo defi nisce. Come è stato stabilito da Lukashok e da Lynch, un aspetto della città che viene ritenuto nella memoria più vividamente sia dai giovani che dagli adulti è quello sim bolico - quell'aspetto della città che ha un importante significato espressivo 22• Ciò porta alla definizione di ciò che chiameremo « ima geability •: la qualità di un oggetto fisico, di avere una alta probabilità di evocare una immagine forte, in un osservatore qualsiasi 28• Anche questa nuova qualità, riferita ai valori dell'im magine che l'ambiente genera, più che all'ambiente stesso, 86 deve essere valutata rispetto all'ambiente globale, ad una
scala significativa. Una riorganizzazione cosciente di un ambiente fisico a grande scala è stato possibile solo recen temente. Noi stiamo rapidamente costruendo una nuova unità funzionale, la regione metropolitana: dobbiamo tener con to che questa unità, proprio perché tale, deve avere la sua immagine. Susanne Langer pone il problema, nella sua breve definizione di architettura: • "E: l'ambiente globale reso vi sibile» 24• In sintesi, quindi, l'interesse dello studio di Lynch è focalizzato sul rapporto che, in generale, esiste fra l'am biente e i suoi caratteri fisici, e l'immagine mentale di esso: a quest'ultima, e non all'ambiente fisico che la genera egli attribuisce un ruolo sociale, psicologico, estetico, pra tico, emozionale, simbolico nella vita dell'uomo 2G. Lo studio dell'immagine della città, - non come model lo di dimensioni ridotte, ma come schematizzazione creata per un fine preciso, - rappresenta, secondo Leynch, da una parte uno strumento utile in sede di analisi, dall'altra la base di un piano per la progettazione della nuova for ma visiva delle città 26• Nell'esporre il suo metodo - che peraltro egli stesso non ritiene giunto ad un soddisfacente grado di definizio ne - Lyn ch si riferisce continuamente ad esempi concreti, cercando di evidenziare, potremmo dire, la fenomenologia del processo. Ed è proprio questa, a nostro giudizio, la parte più affascinante, più ricca di spunti, per chi affronta questa disciplina in sede teorica col fine preciso di verificare i ri sultati in sede operativa. 1 K. LYNCH, Site Planning, M.I.T. Press, Cambridge, Massachusetts, 1962, pag. 55. 2 A questa citazione di J. RErcm:ra si riferisce Quaroni, nella relazione sulla e Dimensione e forma della città.regione>, Stresa, 1962.
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S B. Jom:s, Prolegomena ad uno studio sull'effetto estetico delle citta in The Jou.rnal of Aesthetics and Art Criticism, Giugno 1960, pag. 421. Riportiamo qui le note relative al brano citato: 8. - C. Scribner's Sons, New York, 1953. 9. - e An approach to the study of aesthetic charatteristic of cities > ciclostile, Berkeley, 1952. 10 - Entwicklung des stadtbildes, Munchen, 1929 11. - Cfr. il loro importante progetto di ricerche su e The perceptual form of the city>, i risultati del quale sono pubblicati solo parzialmente. Una monografia di Lynch è pronta. Cfr. anche e Some childhood memories of the city,. in The Journal of the Amerìcan fostitute of Planners, XXII, 3, 142-162; in aggiunta vi sono stati una serie di rapporti ciclostilati. 12 - Rapporto della Commissione Mista di Controllo della proget tazione del e New York Chapter >, American lnstitute of Architects, and the New York Regional Chapter, American lnstitute of Plan ners, Planning and Community Appearance, ed H. Fagin e R. C. Weinberg, Regional Plan Association; Inc., New York, Maggio, 1958. 13. - Sitte, Der Stadtebau, Wien, Ul22; Giedien, Space, Time and Architecture, Cambridge, Mass., 1947; Zevi, Architecture and Space, trad. M. Gendel, New York, 1957; molti articoli di Clay in Landscape Architecture. 4 F. GUTHEIM, Urban Space and Urban Design, in Cities and Space: the future me of urban land ad. L. Wingo Jr., Johns Hopkins Press, Baltimore, 1963, pag. 130. 5 K. LYNCB e L. RonWIN, A theory of U,-ban Fonn, in e The Journal of Amerìcan Institute of Planners > XXVI, Novembre 1958, pag. 201-214. 6 K. LYNCB e L. Ronwm, Op. cit., pag. 203. 7 K. LYNCH e L. RonWIN, Op. cit., pag. 204. 8 Ibidem D F. GuTHEIM, Op. cit., pag. 106. 10 K. LYNCH e L. Ronwm, Op. cit., pag. 213. 11 K. LYNCH e L. RonWIN, Op. cit., pag. 214. 12 Delle ricerche cui si fa cenno non è stato ancora pubblicato il rapporto completo. Un primo gruppo di indagini, comunque, è stato condotto in Italia, e precisamente a Roma ed a Firenze, da Lynch e dai suoi assistenti; esse sono brevemente citate in La Casa: Quaderni di Architettu.Ta e di Critica n. 3 ed. De Luca. Un secondo gruppo di indagini, condotte in America, nelle città di Boston, Los Angeles e Jersey City, è pubblicato quasi per intero in The Image of the City di K. LYNCH. 13K. LYNCH, The Image of the City, Ml.T. Press, Cambridge, 1960, pag. 6. 14 K. LYNCB, Op. cit. pag. 7. 15 K. LYNCH, Op. cit. pag. 46. 16 K. LYNCB, Op. cit. pag. V 17 K. LYNCH, Op. cit. pag. 91 18 K. LYNCB, Op. cit. pag. 8. 10 K. LYNcH, Op. cit. pag. 9 20 K. LYNCB, Op. cit. pag. 8. 21 22
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Ibidem
B. JoNES, Op. cit., pag. 421. 23 K. LYNCB, Op. cit. pag. 9. 2 4 K. LYNCB, Op. cit. pag. 13. 25 K. LYNCH, Op. cit. pag. 123 20 K. LYNCB, Op. cit. pag. 155.
Semanticità dell'arte Chi volesse giudicare il valore dell'opera di E. Gar roni dalla possibilità di ricavarne una nozione classifica toria ed esaustiva del fenomeno artistico, finirebbe col fraintenderne il senso e le intenzioni; non tanto perché l'Au tore non proponga una sua definizione dell'arte (p. 172), quanto perché egli appare ben consapevole dei limiti della definizione avanzata, del suo carattere problematico ed aper to, al punto da riconoscere, in sede di conclusioni, di aver tentato di offrire una nozione plastica d'arte (le arti), tale che permettesse alla nostra coscienza estetica, storica mente data, di dilatarsi metodologicamente e intenzional mente sul vasto terreno della storia, fin quasi a ricoprire (paradossalmente) l'intera area delle opere umane, e quin di a negarsi (p. 293). Suona strana, perciò, l'accusa di chi, estraendo dal contesto dell'opera la definizume allargata di arte, avanza delle riserve e rivela dei limiti (nel senso appunto di una scarsa caratterizzazione del fenomeno artistico rispetto alle altre attività umane) che sono in realtà interni al discorso dell'Autore e dei quali egli mostra di avere chiara coscienza metodologica. Scrive anzi E. Garroni che per il carattere analitico e problematico del suo lavoro sarebbe imprudente e precipitoso voler tirare delle conclusioni teoretiche in forma sistematica. Se una estetica semantica è possibile in funzione di una siffatta impostazione critica (... ), tale estetica potrà forse essere costruita in un secondo tempo, in un momento ulteriore della ricerca rispetto a questa sorta di introduzione analitica generale (p. 289). Caratteristico della Crisi semantica delle arti è il modo con cui l'Autore accompagna, quasi puntualmente, ogni analisi storico-teoretica con .un riesame critico delle ipotesi
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che da quelle analisi via via emergono. Ciò indubbiamente conferisce una certa lentezza alla scrittura, che talvolta può riuscire anche sgradita, ma che consente al lettore at tento ed interessato di orientarsi agevolmente nell'intrico delle questioni e di evitare giudizi frettolosi e inadeguati . Si veda, ad esempio, come la nozione di semanticità dell'ar te, (che, essendo connessa con quella di intenzionalità, già implica un superamento dei limiti che tale concetto ha nelle ricerche dell'empirismo neo-positivistico e in parte nello empirismo marxista di G. Della Volpe) non si esaurisca in una schematica elucidazione dei caratteri del segno (ogget tualità, trasparenza, istituzionalità), ma sia progressiva mente chiarita e precisata nella discussione del pensiero di alcuni studiosi dai quali la nozione di semanticità, viene non propriamente esclusa..., ma piuttosto subordinata ad altre nozioni, ritenute dominanti (espressività, immagine, informatività) (p. 263) e di quello, per alcuni aspetti più vicino alla posizione di Garroni, di G. Della Volpe. Attra verso questo confronto duplice (perché attuato sui due opposti versanti di chi restringe la semanticità dell'arte, fin quasi a negarla, e di chi invece, come G. Della Volpe, tende ad assimilare la semanticità del linguaggio artistico a quella, per così dire, pura o assoluta dei linguaggi logico-matematici), l'Autore mette a fuoco la propria in terpretazione dell'esperienza artistica, che rifugge ugual mente dall'intellettualismo implicito nell'identificazione dei concetti di convenzionalità e di arbitrarietà e dalla troppo facile distinzione di espressività artistica e di semanticità propria del linguaggio comune e scientifico. Particolare rilievo assume poi, in questo· contesto ge nerale, l'esame dell'estetica di C. Brandi, dalla quale l'Au tore sembra ricevere più di uno stimolo per sviluppare la sua ipotesi sul carattere di trasparenza del segno (che è insieme segno di altro da sé e di se stesso). Riteniamq 90 infatti che l'affermazione di una semanticità non . concepita
solamente come relazione esterna di significante e signifi cato, ma come relazione interna al segno medesimo, con servi qualcosa del concetto brandiano di immagine, dotata, diversamente dal segno puramente convenzionale, di una significatività in proprio. L'importanza di una simile posi zione, che consiste nel riassorbire in parte l'immagine nel segno, nell'estendere a questo alcuni caratteri che solita mente vengono attribuiti in esclusiva alla prima, emerge ancor più chiaramente nella parte dedicata al pensiero estetico di G. Della Volpe e, soprattutto, nella discussione sulla corporeità e incorporeità del segno. In polemica con le tesi strutturalistiche del de Sausurre (da cui muove G. Della Volpe) l'Autore rileva il peso di quella che si può dire la natura percettiva del segno, non solo per la sua ri conoscibilità, ma ai fini della sua stessa funzione semantica. Nel far ciò egli è indubbiamente sollecitato dall'aver sotto occhi i fatti delle arti figurative, mentre G. Della Volpe solo in un secondo momento ha tentato di estendere anche a questo campo le ipotesi elaborate sulla scorta di espe rienze filosofiche e letterarie. Derivano da qui· alcune inte ressanti considerazioni sul problema della traducibilità del linguaggio artistico, sostenuta tout court da G. Della Volpe, limitata invece da E. Garroni, in ragione della riafferma ta pregnanza semantica del veicolo segnico (materiale linguistico) nell'arte come in ogni linguaggio, tranne quelli scientifici altamente formalizzati. Infatti, proprio qui e soltanto qui, vige la regola della sostituibilità - per la ragione che tali linguaggi sono stati concepiti secondo un criterio d'altissima disponibilità segnica (si pensi, come a caso limite, alla simbologia del discorso matematico). Ma, altrove, assoluta disponibilità segnica non esiste, e la sostituzione è possibile sempre e solo al prezzo di una qualche differenza semantica, talvolta lievissima e tal volta, invece, gravosa. (p. 225). Ciò in tanto può essere affermato dall'Autore, e giu- 91
stamente, in quanto egli rifiuta una limitazione della refe renzialità del segno in senso puramente cosale. D'altra parte, se il campo dei significati non deve essere ristretto al mondo delle cose, ma va invece allargato a quello di qualsiasi oggetto intenzionabile, non solo cade ogni ragione di distinguere semanticità ed espressività, ma (quel che più conta) diventa possibile una interpretazione semantica anche di quelle manifestazioni artistiche che sembrano a prima vista sottrarvisi, come d'architettura o la musica. In questo senso, per esempio, rientra nell'ordine della se manticità anche l'aspetto utilitario e funzwnal.e dell'archi tettura (...) e, ancora, l'aspetto di stimolazione emozionale (non conoscitiva, non • significativa •) o di • psychago ghìa • (... ) che alla musica fu attribuita dalla tradizione pitagorica-sofistica (p. 217). Ma ritornando sull'importanza del concetto brandiano di immagine, maggiore certamente di quanto non appaia ad una superficiale lettura dell'opera di E. Garroni, diremo che questi, mentre respinge
il riconoscimento del carattere
di eccezionalità dell'esperienza artistica (il suo eccettuarsi, cioè, al termine del processo formativo, dalla quotidianità dell'esistenza, per porsi come realtà pura ed assoluta), si serve appunto del criterio di distinzione di immagine e segno, per introdurre una possibilità di discriminazione al l'interno del fenomeno linguistico (sia pure alla periferia). Infatti, quel che Brandi dice del segno in generale vale per Garroni per i segni o i sistemi segnici altamente for malizzati, e, d'altra parte,
il carattere fondamentale dell'im
magine rispetto al segno (il non essere segno di qualcosa altro, ma l'avere in sé la propria significatività) viene at tribuito ad una vasta area linguistica e fatto valere nei confronti delle teorie convenzionalistiche.
In altre parole
il rapporto segno-intenzionalità-semanticità, di cui parla Gar roni, appare come una contaminazione del rapporto mor92
rissiano segno-significato e di quello immagine-sostanza cono-
scitiva. Né è determinante, per confutare questa afferma zione, osservare che la sostanza conoscitiva viene esibita non come componente essenziale dell'opera d'arte o del l'immagine, ma come momento (superabile, trasformabile e quindi suscettibile di divenire irriconoscibile) del pro cesso stesso che dal dato percettivo immediato porta via via, attraverso mediazioni complesse, all'immagine pura dell'arte. (p. 231) Infatti l'arresto del processo costitutivo dell'immagine, deviato nel senso della comunicazione inter soggettiva (che è la stessa cosa del rifiuto dell'eccezio nalità del fatto artistico, di cui si diceva prima) è conse guenza dell'operazione di trasferimento o di estensione dei caratteri dell'immagine al segno e della loro conciliazione con quelli ineliminabili del segno medesimo. Sia ben chiaro che queste brevi considerazioni non esauriscono affatto, né in estensione, né nell'interna varietà e ricchezza di svolgimenti, il contenuto del volume di E. Garroni, che movendo dall'esame, non astratto ma sto ricamente circostanziato, della nozione di crisi può essere considerato come un profilo critico (... ) dell'estetica ita liana post-CTociana (p. 15). Tra le molte pagine interessanti e d'attualità della Crisi semantica deile arti ricorderemo quelle nelle quali ]'Autore, discutendo dell'impossibilità di un'estetica scien tifica o filosofica, sostenuta ultimamente e con notevole successo in Italia da A. Plebe, afferma che una simile tesi discende da un'idea ancora arcaica di scienza, di filosofia, e perfino di metafisica (p. 153) e quelle, informate e insieme vivacemente polemiche, dedicate ai rapporti tra l'arte e la teoria dell'informazione. Qui noi abbiamo voluto semplicemente fermare l'attenzione su un momento cen trale dell'opera, per il quale forse non sarebbe inutile, da parte dell'Autore, una ulteriore e più sistematica tratta zione. VITALIANO CORBI
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Architettura come linguaggio
Il libro di Giovanni Klaus Koenig Analisi del lin guaggio architettonico
(parte prima), edito recentemente
dalla Libreria Editrice Fiorentina, è il risultato d'un corso di lezioni svolto presso la Facoltà d'Architettura di Fi renze. Esso sviluppa ed estende gli assunti del precedente saggio Prolegomeni all'analisi del linguaggio architettonico, pubblicato sotto forma di dispense insieme ad altri scritti 1• Nell'introduzione Koenig denuncia il carattere accade mico che, suo malgrado, il testo ha conservato nella pre sente stesura. Indubbiamente ciò costituisce un limite del libro, tuttavia, pur con la prudenza necessaria a chi discorre con esperti di linguistica, oserei affermare che lo stesso ar gomento, con tutto l'indispensabile bagaglio di definizioni - definizioni che vanno assunte tutte in una volta - è di per se stesso inevitabilmente didascalico. Inoltre, nel diffuso radicalismo spesso · anarcoide e velleitario dei pro positi intorno alla Facoltà di Architettura, il discorso di Koenig, positivamente didattico, risulta almeno antiretori94
co ed insolito.
Questo studio - scrive l'Autore - vuol dimostrare tre cose: anzitutto, che l'architettura è un linguaggio; indi, come si articola il linguaggio architettonico; infine, come si può studiare scientificamente questo linguaggio così articolato. Le prime due tesi sono propedeutiche alla terza che costituisce lo scopo principale della ricerca. Nell'articolare il suo discorso sulla linguistica archltet tonica, l'Autore estende a questo campo le definizioni di Morris richlamandosi esplicitamente al volume Signs, Lan, guage and Behaviour 2• La condizione primaria per l'esi stenza di un linguaggio è che un dato segno promuove un dato comportamento 3• Non è forse l'architettura - scrive Koenig - composta dai veicoli segnici che promuovono dei comportamenti? Per eccellenza, siamo pronti a dire, poiché in questo senso niente è così comportamentistica mente vincolante quanto l'architettura. Ogni segno, come è noto, designa qualcosa, che Morris chiama denotatum. Parallelamente, nel linguaggio architettonico esistono dei denotata che Koenig definisce come segue: i denotata... non sono cose, ma classi di persone: famiglie, soldati, amma lati, scolari, mercanti, sportivi, spettatori, impiegati e così via. Possiamo dire che i denotata del segno architettonico sono esistenziali... si tratta sempre di rispondere ad una utilitu da soddisfare. Di fronte ad un flOdo di 1'elazioni umane, che chiamiamo • funzione •··· noi risolviamo questo nodo nella creazione di spazi a1'chitettonici, i quali sono rivelati dalle forme architettoniche, che sono appunto i segni di questo linguaggio. In un'altra parte del libro si legge più esplicitamente che i denotata del linguaggio archi tettonico sono i vari svolgimenti delle funzioni inerenti al l'aspetto sociale della vita umana. Dopo aver proposta l'immagine architettonica come un completto di segni, aver definito i denotata. dei segni archl tettonici, riconosciuti iconici i segni dell'archltettura perché mostrano direttamente alcune proprietà dei denotata., il
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libro esamina la possibilità di articolazione del complesso segnico dell'architettura, condizione indispensabile per de finirla un linguaggio. A tal fine l'Autore rivaluta dapprima la nozione di genere letterario concordando con la condanna della critica idealistica, quando ad essi si attribuiva un valore normativo, ma rivendicando ad essi una utilità nella classificazione e comunicazione dei tipi linguistici. Analogamente, il genere architettonico non è oggi, come avveniva un tempo e come forse si ostinano a cre dere gli idealisti, una elencazione di canoni normativi nei casi specifici - canoni estetici e norme funzionali -, bensì il riconoscimento della esistenza di particolari « uni versi del discorso architettonico • che raggruppano parti colari classi di segni ognuno dei quali corrisponde a parti colari denotata. Altrove si legge: Il genere architettonico, il quale si riflette nella classe di nomi comuni sotto i quali si usa connotare un'opera di architettura (casa, villa scuola, chiesa, ospedale, stadio, ecc.), è un genere tipolo gwo; il che vuol dire che il nome con il quale si caratte rizza un particolare organismo denota la sua appartenenza ad un particolare genere, detto • tipo • architettonico. Corrispondendo alle diverse tipologie una diversa ar ticolazione di spazi, a loro volta segni di altrettanti de notata, non può non riconoscersi alle tipologie un valore semantico che riconferma l'ipotesi per cui il complesso dei segni architettonici sia un linguaggio. Detto linguaggio non riflette - secondo Koenig - i piccoli fatti individuali ma gli eventi macroscopici della vita associata per cui può dirsi che il linguaggio architettonico è lo specchio dei fatti sociali. Successivamente l'Autore nel capitolo e I segni costitu tivi del!' « architettura> si chiede se è possibile trovare in architettura qualcosa che sia paragonabile alla parola. Se lo spazio - osserva Koenig - è in qualche modo legato al volume interno, ed il volume all'involucro, sa-
ranno quindi le parti di questo involucro
i
segni costitu
tivi dello spazio, cioè i segni che l'architetto usa per de notare lo spazio architettonico. Cosicché le parole in archi tettura, ovvero i segni costitutivi, le matrici dello spazio interno sarebbero gli elementi che formano il volume ar chitettonico. Viene pertanto proposto uno schema che clas sifica tali elementi costitutivi del linguaggio dell'architet tura•. Queste classi di segni elementari sono: 1) Elementi di determinazione planimetrica dello spazio architettonico. 2) Segni di contenimento laterale, ovvero superfici vertica li. 3) Segni di copertura. 4) Segni autonomi di sostegno. 5) Elementi di collegamento fra piani a quota diversa. 6) Ele menti di comunicazione fra spazi di natura diversa. 7) Ele menti di accentuazione qualificativa dello spazio. Quali sono le conseguenze pratiche di questo schema che copre tutto il campo del linguaggio architettonico, o più in generale, dell'aver considerato l'architettura come un linguaggio? Per rispondere a queste domande e anche per indi care il modo di studiare e insegnare il linguaggio archi tettonico Koenig riprende le suddivisioni della Semiotica di Morris. Questa, com'è noto, è la scienza dei segni e si divide in Semantica, Sintattica e Pragmatica. Lo studio semantico del linguaggio architettonico che abbiamo visto spinto sino al parallelo fra parola ed elemento di architettura dovrebbe svolgersi nel corso di e Caratteri distributivi >, opportunamente ristrutturato in senso teorico proprio da questo indirizzo linguistico. Lo studio sin tattico dovrebbe assimilarsi alla e Scienza delle costruzioni > che, non avendo intenti semantici, guarda all'architettura in modo logico-formale. La Pragmatica del discorso archi tettonico è tutto ciò che nella realtà sociale condiziona il pensiero e l'opera dell'architetto come le leggi, i regola menti, i costi, i capitolati, l'esercizio professionale. Questi
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problemi sono oggetto dell'attuale corso di e Estimo ed esercizio professionale> ed in gran parte del corso di e Urbanistica>. Inoltre, poiché il rapporto tra segni ed in terpreti (rapporto tipicamente pragmatico) avviene preven tivamente, cioè prima della costruzione vera e propria del complesso segnico, attraverso il disegno architettonico ( che è la notazione grafica del linguaggio architettonico); cre diamo che lo studio e l'insegnamento di questa materia - il • disegno • - debba rientrare principalmente nella dimensione pragmatica del linguaggio. Gli insegnamenti di e Storia dell'architettura> e di e Composizione architetto nica> dovrebbero infine studiare in modo globale i tre aspetti della Semiotica, considerando ancora che l'architet tura, proprio perché linguaggio artistico, emergenza, è sempre qualcosa di più della somma dei tre fattori se mantici, sintattici e pragmatici. Non possiamo in questa sede esaminare la legittimità della corrispondenza tra i fattori della Semiotica e le ma terie d'insegnamento dell'architettura. Andremmo ben oltre. i limiti di una recensione. Tali relazioni, se ho ben inteso il pensiero di Koenig, valgono essenzialmente a mostrare il valore pratico ai fini didattici dell'aver considerato l'ar chitettura come un linguaggio. Tuttavia, l'utilità delle pro poste, a mio avviso, è valutabile a livello della metodo logia critica piuttosto che a quello delle piccole riforme di dattiche. Se la semantica architettonica avrà, come credo, un peso nell'auspicata riforma della Facoltà di Architettura, questo deriverà non tanto dall'aver paragonato gli elementi costruttivi alle parole, quanto dal rigore metodologico del sistema e dal suo contributo a risemantizzare l'attuale lin guaggio, in cui tutto è possibile perché tutto è indifferente ed insignificante. In altri termini, l'estensione della lin guistica morrissiana all'architettura, questo significativo ed inedito contributo di Koenig, se intende ristrutturare in senso metodologico l'attuale didattica architettonica e non
essere da questa condizionato, va posto, senza immediati fini utilitaristici, anzitutto come esigenza teorica e critica. Ciò, del resto, ha inteso lo stesso Autore quando si propone nella seconda parte del suo studio, di prossima pubblicazione, di mostrare alcune opere di architettura sulle quali tentere mo una indagine critica semiotica completa. R.D.F.
1 G. K. KoENIG , Lezioni del corso di Plastica, Editrice Universita ria, Firenze 1961. 2 Trad. it. Segni, linguaggio e compOTtamento, Longanesi, Mila no 1963. 3 La proposizione è imprecisa, ma per i limiti ed il carattere di questa recensione credo piu utile una terminologia, che, se pure im propria od erronea , risponda alle comuni accezioni e sia più adatta a rendere sinteticamente il pensiero di Koenig. 4 Tale classificazione fu proposta da I. GAMBEIUNI nel libro Intro duzione al primo corso di Elementi di architettura (Gli elementi del l'architettura come e parole> del linguaggio architettonico) Coppi ni, Firenze Hl59. A questa classificazione si richiama testualmente Koenig che dichiara il suo libro: e Un tentativo di approfondire e consolidare le premesse teoriche dell'opera del Gamberini >.
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