Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
Direttore: Renato De Fusco Redazione: Napoli, Salita Casale di Posillipo 14 - Tel. 300.783 Amministrazione: Napoli, Via dei Mille 61 - Tel. 321.692
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Edizioni e Il centro >
Una nuova T11.brica
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Architettura e cultura di massa
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E. Crispolti
Alcuni temi dell'Informale
A. Masullo
Kunstwollen e intenzionalitĂ in E. Panofsky 46
V. Corbi
Dal pragmatismo alla fenomenologia
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Libri, riviste e mostre
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Simonetta Adamo,
Eliana Calvanese, Vitaliano Corbi, Teresa De Angeli, Lilliana Defez, Renato De Fusco, Enzo Del Bono, Daniela Del Pesco, Giacomo Falo mo, Simona Ricciardelli, Lucio Tesauro.
Una nuova rubrica
È stato osservato che il compito di assimilare idee, le quali quotidianamente prodotte superano la capacità ricettiva di qualunque individuo, va deter minando lo sviluppo di una vera e propria tecnologia dell'informazione. Riconosciuta tale esigenza, nei limiti della nostra organizzazione e nell'ambito della nostra tematica critico-estetica-poetiche figurative, intendia mo partecipare a questo programma ormai al centro di ogni interesse di cultura. Sul modo d'assolvere detto compito si pongono numerosi interrogativi : la possibilità di diffondere i temi critico-estetici, ossia quelli che inglobano nume rosi altri aspetti di cultura, oltre la cerchia degli spe cialisti; la necessità di semplificare e ridurre la comu nicazione entro schemi più accessibili anche se inevi tabilmente più poveri; la legittimità o meno di una funzione sostitutiva della informazione culturale sin tetica di fronte alla costatazione della impossibilità di attingere direttamente alle fonti, etc. Inoltre, asso dato che la forma pubblicistica più aderente al tempo presente è la selezione, il condensato, la rassegna, rimane, a chi opera criticamente in questo settore, l'obbligo di un'azione che non perda in profondità quello che guadagna in estensione. Poiché i problemi suddetti non si risolvono che
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sperimentalmente, da questo terzo numero « Op. Cit. » si amplia con una nuova rubrica riguardante libri, riviste e mostre. Nell'editoriale del primo numero dicevamo che la nostra formula di raggruppare la selezione della critica entro pochi temi ci era in parte suggerita dalla difficoltà di reperire tutto quanto veniva incessante mente prodotto nei vari centri internazionali. Dopo un anno, grazie al consenso degli studiosi, delle case editrici e delle gallerie d'arte, tale difficoltà va dimi nuendo; disponiamo, infatti, di una maggiore quantità di materiale informativo adatto ad un periodico qua drimestrale , ossia non riguardante la cronaca imme diata di un avvenimento, ma le prime riflessioni cri tiche su di esso. Pertanto, alla selezione della critica d'arte, operata attraverso dei saggi composti in gran parte di citazioni testuali, si affianca una Tassegna di notizie che, ancora insufficienti quantitativamente per i nostri articoli-selezione, interessano per il loro carat tere di attualità. Tuttavia la pubblicazione del nuovo materiale non doveva creare una discontinuità nella formula della rivista, si doveva differenziare dai con sueti schedari bibliografici degli altri periodici, doveva essere di consultazione più agevole rispetto ai nostri articoli, conservando però quel carattere di informa zione orientata cui s'ispira il nostro lavoro. Nella nuova rubrica, per le considerazioni espo ste, le schede librarie, la selezione delle riviste e delle mostre (prevalentemente estere per una maggiore evi dente utilità informativa) sono presentate in modo unitario, senza cioè tener conto della loro diversa pro venienza; la distinzione viene effettuata per argo mento. Un libro, ad esempio, un articolo, il catalogo di una mostra, la recensione di questa su un quoti6 diano, purché ·abbiano un legame tematico, vengono
accostati con il chiaro vantaggio di offrire la biblio grafia più recente su un argomento nonché la sua interpretazione da più angoli visuali. La raccolta delle schede e dei cataloghi per tema ci orienta anche nel l'includere questo saggio o quella mostra in una sele zione che rifiuta le personali scelte aprioristiche. Inoltre le nostre schede conterranno il maggior nu mero possibile di citazioni testuali per dare, nei limiti di un condensato, l'idea di una informazione di prima mano. Come si vede la nuova rubrica si differenzia dalla formula strutturale del nostro periodico solo in senso quantitativo. Infatti più schede riguardanti uno stesso argomento possono essere il primo nucleo di annota zioni bibliografiche adatte a costituire la base di uno dei nostri consueti articoli-selezione da redigere nel numero successivo della rivista. È possibile così forse ottenere attualità e continuità.
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Architettura e cultura di massa
L'ipotesi che intendiamo avanzare, quella di conside rare la contemporanea produzione architettonica nel no vero dei mass media, non vuole riproporre vecchi proble mi con una nuova e spesso abusata terminologia, ma ser vire come elemento di indagine e di orientamento nella situazione presente. L'attuale attività architettonica (considerata per il mo mento globalmente senza eccezioni qualitative) e le sue ben note negatività richiedono dalla critica nuovi stru menti, non bastando più le denuncie estetiche o morali stiche, né le artificiose polemiche tra avanguardia e tra dizione, specie in un settore dove il livellamento del lin guaggio rende difficili tali distinzioni. Nel corso del presente articolo-selezione tenteremo di verificare la nostra ipotesi e successivamente la sua uti lità, una volta definito il particolare tipo di mass medium �he è, o sembra essere, l'architettura. Consideriamo la cultura di massa. una definizione di ordine antropologico (dello stesso tipo di definizioni come • cultura alorese • • cultura bantu • ), valida ad indicare un preciso contesto storico (quello in cui viviamo) in cui 8
tutti i fenomeni comunicativi - dalle proposte di divertimento evasivo agli appelli all'interiorità - appaiono
dialetticamente connessi, ricevendo ciascuno dal con testo una qualificazione che non permette più di ridurli a fenomeni analoghi apparsi in altri periodi storici1. Data l'ampiezza del campo comunicativo indicato da tale defini zione, l'architettura è senz'altro appartenente a questo tipo di cultura. Inoltre va precisato il termine e fenomeno co municativo > proprio della cultura di massa. Per • comuni cazione di massa ,, possiamo intendere sia i cosiddetti • mezzi • di comunicazione di massa ( cinema, radio, te levisione, oltre alla stampa, alla pubblicità, ecc.) e cioè i • canali ,, attraverso cui si comunica alla massa, con relativa rapidità, come pure le reali constatabili comuni cazioni che vi si attuano (e così i film, i programmi ra diotelevisi, i giornali nelle loro reali concrete attuali rea lizzazioni): e cioè quelli che sono stati chiamati mass media 2• L'ipotesi di architettura come mass medium va intesa prevalentemente in questo secondo aspetto. Infatti mentre l'architettura è servita come e canale > di comuni cazione anche di altri tipi di cultura, la gran parte degli attuali mass media si servono o sono addirittura sorti in relazione alla istituzione di nuovi canali. Ma su questa differenza tra il mass medium !irchitettonico e gli altri ritorneremo più avanti. Abbiamo accennato alla distin zione fra mezzo di comunicazione e comunicazione vera e propria per riaffermare che, com'è noto, la cultura di massa coinvolge anche attività di diversa estrazione. D'altro canto, la differenza tra canali di comunicazione e e messaggi > della cultura di massa viene da alcuni deci samente negata. I cosiddetti mezzi di comunicazione di massa - scrive Zolla - sono tutt'altro che meri mezzi ( donde la stolidità di coloro che insistono a volerne fare un uso buono invece che malvagio), essi sono per la loro struttura stessa già dei messaggi, dei modi di configu rare la realtà 3• Iniziamo una serie di relazioni analogiche che rite-
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niamo convalidare la nostra ipotesi di architettura come mass medium.
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All'indomani della seconda guerra mondiale - scri ve Morin - la sociologia americana scopre la Terza Cul tura, la riconosce e la nomina: mass culture. Cultura di massa, vale a dire prodotta secondo le norme della fabbricazione di massa industriale: divulgata mediante tecniche di divulgazione di massa. Questa ter za cultura compare e si sviluppa disponendosi accanto alle culture classiche - religiose o umanistiche - e na zionali 4• Non può non includersi in questo ruolo terzia rio, rispetto all'architettura religiosa o umanistica e nazio nale, l'architettura attuale laica, antiumanistica e interna zionale. Cultura di massa e architettura moderna trovano la loro comune origine nell'urbanesimo prodotto dalla rivo luzione industriale. Il sorgere di nuove forme di organiz zazione sociale - scrive Leonardi - è connesso ai pro cessi di produzione industriale di massa. Il conseguente accentuarsi dell'inurbanamento e le nuove forme di strati ficazione sociale hanno modificato gli elementi struttu rali del contesto sociale e hanno reso il pubblico più facil mènte aggredibile dal flusso della comunicazione 5• Lo stesso processo viene· descritto, sia pure in termini di dissenso, da Greenberg che considera il kitsch (termine tedesco· equivalente a cultura di massa in senso peggiora tivo) come un pròdotto della rivoluzione industriale che urbanizzò le masse dell'Europa occidentale e dell'Ame rica e stabilì quella. che si chiamò letteratura universale... le nuove masse urbane fecero pressioni affinché la so cietà fornisse loro una specie di cultura adatta alle loro peculiari esigenze di consumo. Per soddisfare la doman da del nuovo mercato fu escogitata una nuova merce: il surrogato di cultura, il kitsch, destinato a quelli che, insensibili ai valori di una cultura genuina, erano tutta-
via desiderosi di quegli agi che soltanto una cultura di tale genere poteva offrire 6• Fuori dall'assunto polemico dell'autore citato, va ancora osservato che la capillarità nella diffusione delle comunicazioni di massa gradual mente tende ad accorciare le differenze tra l'area urbana e quella rurale 7• Non è chi non veda il legame diretto tra questa nuova cultura cittadina e la moderna urba nistica, tra la cultura di massa e le moderne tipologie edi lizie. Anzi in tal senso si può dire che, in fatto di mezzi della cultura di massa, l'architettura preceda molti altri . mass media; e ciò non solo in quanto a progresso tecnolo gico
perché,
poniamo,
le
moderne
strutture
e
schemi
edilizi precedano l'invenzione della radio, · della televisione, o del rotocalco, ma soprattutto perché l'architettura-urba nistica è una delle attività più direttamente connesse nlla cultura della rivoluzione industriale e alla formazione del moderno
proletariato.
Negli
scritti dello stesso Morris,
nella sua estensiva definizione di architettura, nel suo ap pello alle partecipazioni di tutti al fenomeno architettoni co può trovarsi, in un certo senso, l'inizio di una archi tettura considerata come comunicazione di massa. La cultura di massa, com'è noto, dipende dallo sviluppo tecnologico. Come scrive Bernard Rosemberg se si può avanzare una formulazione (in forma di ipotesi) questa potrebbe essere che la moderna tecnologia è la causa ne cessaria e sufficiente della cultura di massa. Né il carat tere nazionale, né le condizioni economiche, né il sistema
politico hanno un valore determinante in questo feno meno 7• Ogni prodotto della cultura di massa è comunque legato ad una complessa organizzazione tecnico-p�oduttiva. Analogamente in architettura ogni forma nasce dalla mo derna tecnologia, tende ad essa o almeno finge di deri varvi; tutto ciò che non rientra in tale sistema appare un intollerabile errore economico-produttivo. La cultura di massa è stata definita una cultura di
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loisir, i suoi mezzi producono comodità, agi, tempo libero. Gli stessi caratteri non possono essere estranei ad una produzione architettonica nata dal razionalismo che isti tuiva la funzione pratica come simbolica di nuovi valori. Non verificati i presupposti socio-politici di detta cul tura, la funzione pratica ha perduto il suo valore simbo lico, cedendo al mero edonismo della attività costruttiva più recente. Inoltre se può sembrare forzato il parallelo tra il ruolo
di leisure
assunto dai mass media ed il servi
zio sociale che è proprio dell'architettura, basti pensare alla connessione tra la funzione di svago e quella di indicazione
di
comportamento prodotte
dalle
comunica
zioni di massa. Com'è stato osservato, la funzione di svago è complementare a quella di fonte di informazioni: le comunicazioni di massa forniscono una grande quantità di informazioni e in questo senso sono un veicolo fonda mentale dei processi di diffusione e trasmissione, - an che intergenerazionali - delle forme culturali 0• Gli aspetti di svago, comodità e tempo libero comuni alla cultura di massa implicano il problema delle scelte, del costume e in definitiva dell'arte popolare. Ritorneremo più avanti sulla discussa questione riguardante la libertà di tali scelte; per ora, continuando il nostro esame analo gico, accenneremo ad aspetti del gusto popolare ritrovabili tanto nei mass media quanto in architettura. Nel descri vere un oggetto rispondente al gusto di una nuova arte popolare, Banham osserva:
Se studiamo le qualità che
danno alla Buick il suo carattere eccitante e inconfon dibile, troviamo lucentezza, senso di massiccio, senso di tridimensionalità, esposizione voluta di mezzi tecnici, che si assommano in una retorica di potenza destinata a col pire in modo immediato e durevole chiunque la veda ... Ma se queste caratteristiche della Buick non sono quelle che caratterizzano l'arte pura, sono invece proprio quelle 12
che caratterizzano l'arte popolare. Le parole • arte po-
polare • non vogliono significare in questo testo l'arte ingenua e grossolana dei primitivi e dei contadini... L'arte popolare dell'automobilismo, in una società mecca nizzata, è una manifestazione culturale come lo sono il cinema, le riviste in rotocalco, i romanzi pseudo-scienti fici, le comic strips, la radio, la televisione, la musica da ballo, lo sport 10• Cosicché, con buona approssimazio ne, l'arte popolare contemporanea, l'arte che corrisponde al gusto del proletariato urbano si può identificare coi mass media. Questo gusto popolare applicato alla produ zione industriale, la funzione dello styling, considerato come una risemantizzazione dal basso del design 11, trova no una perfetta corrispondenza in architettura, specie in quelle opere che consentono l'intervento degli abitanti. Si pensi alle nuove attintature, alle sistemazioni di spazi ester ni, all'arredo di terrazzi e simili. Ma da dove nasce questo nuovo gusto popolare? A tal proposito Eco scrive: queste masse sovente hanno ho posto un proprio ethos... hanno messo in circolazione un proprio linguaggio, hanno elaborato cioè proposte che salgono dal basso. Viceversa, attualmente le comunicazioni di massa seguono il codice della classe egemone. Abbiamo così la situazione singolare di una cultura di massa nel cui ambito un proletariato consuma modelli culturali bor ghesi ritenendoli una propria espressione autonoma. Dal canto proprio una cultura borghese - nel senso in cui la cultura « superiore • è ancora la cultura della società borghese degli ultimi tre secoli - identifica nella cultura di massa una • sotto-cultura • che non le appartiene, senza avvedersi che le matrici della cultura di massa sono ancora quelle della cultura • superiore •· 12• Analoga mente in architettura, l'ideale, più o meno consapevole, di chi fruisce dell'edilizia popolare, è ancora il prodotto, in molti casi obiettivamente più scadente, offerto al ceto borghese dalla iniziativa privata. Ai quartieri residenziali
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con una bassa densità edilizia, ai tipi edilizi studiati per le esigenze economiche e di gestione del ceto meno ab biente, questo preferisce una squallida periferia urbana purché allusiva di modi borghesi, predilige l'appartamen to e pentacamere con doppio servizio> nell'edificio tutto fare multipiano. Un'altra notevole affinità tra architettura e mass media si avverte nei loro rapporti con la tradizione e la storia. I mass media incoraggiano una immensa informa zione circa
il presente (riducono nei limiti di una cro
naca attuale sul presente anche le eventuali riesumazioni sul passato) e intorpidiscono perciò ogni coscienza sto rica 18• Infatti la cultura di massa (e l'architettura), livel lando ad un grado basso le esigenze e i comportamenti, rendendoli il più possibile omogenei, reificando ogni espe rienza col tradurre le forme contemplative in immagini consumabili, sembrano voler distruggere ogni emergenza, ogni peculiarità propria dei fatti storici, nel nostro caso, dell'ambiente antico. Inoltre, com'è stato osservato, l'indi viduo privato che vuole consumare la propria vita tende
il presente. Del resto il passato gli è sempre più estraneo; il passato non gli fornisce più saggezza e a valorizzare
regola di vita: gli antichi valori e le grandi trascenden denze sono polverizzati da un divenire in accelerazione 14• Quanto s'è detto per l'ambiente antico vale ovvia mente anche per l'inserimento della contemporanea archi tettura nel paesaggio. Qui le nuove esigenze architettonico urbanistiche condizionano e sono reciprocamente condizio nate dagli altri
mass media. Pensiamo... quali e quanti
mutamenti si stiano verificando nella nostra vita asso ciata; la distruzione del paesaggio delle coste e dei lito rali è certo dovuta ad una speculazione abbandonata a sé stessa, ma è innegabile che la spinta è venuta dal dif14
fondersi di un certo tipo di svaghi di massa che fa sì
che molti pretendano di ritrovare in ogni condizione la varietà dei contatti e di scelte che la città offre 15. Una quantità di analogie è ancora possibile stabilire tra l'architettura e le comunicazioni di massa secondo una delle tante definizioni di queste offerte dalla sociologia e dalla critica impegnate in tale settore. Nella citata anto logia Mass Culture, G. Seldes fornisce una serie di attri- · buti dei mass media che egli chiama e arti pubbliche > particolarmente pertinente alla nostra ipotesi: Le arti pub bliche sono tanto popolari da essere universalmente accet tate. Esse tendono ad essere praticate sempre più in senso professionale, sempre meno ad essere coltivate privata mente. Sono spesso prodotte da gruppi e raramente da individui isolati. Sono commissionate su un modello for nito dall'imprenditore-organizzatore-amministratore. Sono volutamente effimere, ricche inizialmente, ma senza un incremento di valore col passare del tempo... Esse rag giungono un gran numero di persone simultaneamente, e il loro effetto non è limitato a quelle persone che toc cano in modo diretto. Esse sono connesse e si sostengono l'un l'altra, così da produrre una sorta di riverbero. Esse, in estensione, determinano nuove abitudini e il loro effetto è contagioso 16• Le considerazioni finora svolte, le numerose analogie che facilmente potrebbero ancora stabilirsi tra architettura e mass media., non sarebbero di utilità alla critica se non tentassimo di definire e valutare il tipo di mass medium in cui si incarna l'architettura. Pertanto da una linea di comprensione 17 è necessario passare ad un'altra di più definita e circostanziata scelta e giudizio. Va notato anzitutto che mentre molti elementi della cultura che studiamo sono nati come mezzi di informazione di massa, l'architettura, a parte l'iniziale impulso demo cratico e socialista (però diversamente intenzionato), è diventata. un mass medium 18 e questa diversa estrazione 15
non è priva di significato. Infatti, mentre i mezzi di cul tura di massa vivono del solo presente, l'architettura deve, o dovrebbe, sempre tener conto di un passato, di una preesistenza in cui inserirsi; di una funzione attuale e pragmatica e infine d'un futuro ch'essa inevitabilmente condiziona. Del resto, è comune esperienza che la piani ficazione vive, appunto, nelle tre dimensioni del tempo. Inoltre l'architettura perde, cedendo alla legge del con sumo, insieme a questi aspetti temporali, ogni riferimento indicativo di valore. Non potendosi, infatti, giudicare se condo un dato storico-ambientale o nel senso teleologico di una funzione futura, l'architettura si valuta solo per la sua aderenza al presente; non un presente responsabile, nel quale gran parte della cultura moderna affronta consape volmente i suoi limiti immanenti. e mondani, ma un pre sente irresponsabile inteso solo in senso edonistico. Nell'identificarsi col tipo di cultura che studiamo l'architettura perde un altro suo attributo, quello di co stituire sempre una emergenza. Se è vero, infatti, che essa debba seguire o anticipare le esigenze pratiche ed espres sive di una realtà in tutto il suo dinamismo, l'architettura dovrebbe subire una incessante modificazione, una continua variazione, presentarsi sempre, appunto, come emergenza. Viceversa, la costanza tipologica, la pura rispondenza ad un unico aspetto della realtà - sia pure il più cospicuo, come la domanda quantitativa - dimostrano che le attuali forme architettoniche, risultando ferme nel tempo, richia mano ancora una volta gli altri mezzi di cultura di massa. Secondo l'ipotesi di Lazarsferld, infatti, le persone non cer cano nelle mass media esperienze nuove, quanto invece una ripetizione ed una el�borazione delle loro anteriori esperienze nelle quali esse possano • proiettarsi • più fa cilmente 111• Anche le altre arti figurative si avvicinano alla cul16
tura di massa, ne utilizzano o ne assumono -i prodotti, ma
- e non importa in questa sede con quale intenzione sempre trasferendoli nel contesto del quadro, della scul tura o dell'oggetto spaziale. C'è ancora qualcosa di « ebrai co • nel cinema, cioè qualcosa di non conforme, di non completamente adattato e integrato. In generale, tutto ciò che sopravvive nell'antico settore della società industriale, tutto ciò che si manifesta nella concorrenza, favorisce sempre qualche apertura originale e inventiva 20• L'archi tettura, al contrario, appena in contatto con la cultura di massa, diventa essa stessa e cosa >, reificazione di quella cultura oscillante tra il midcu.lt di una produzione forma listica e velleitaria ed il kitsch delle aree più depresse. L'architettura attuale, addirittura, può dirsi incapace anche di un compromesso con l'industria culturale. Questa riesce ad includere ed assimilare molta arte d'avanguar dia, molte opere sperimentali, la stessa letteratura mora listica che sembra muoverle le accuse più accese, ma non riesce a produrre - ad eccezione di quegli edifici con trop pa esplicita funzione pubblicitaria - un'architettura che non sia massificata. Pertanto mentre nel suo insieme la cultura di massa è oggetto d'un discorso critico quanto mai aperto, per il quale non ci sentiamo d'assumere una delle posizioni estre me di consenso o di rifiuto, la presenza dell'architettura tra i -mass media, almeno allo stato attuale, risponde certa mente ad una sua caduta. Nel contesto del presente articolo abbiamo spesso, e intenzionalmente, usato per l'architettura il termine comu
nicazione di massa. Perché parliamo di comunicazione e non di servizio sociale, di utilità collettiva, di patrimonio im mobiliare rispondente ai bisogni di una società di massa? Indubbiamente l'architettura è tutte queste cose; ma ab biamo preferito il termine comunicazione perché proprio nel significato di trasmettere ad altri un messaggio, una
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indicazione di comportamento può, forse, trovarsi un sug gerimento utile per l'attuale dibattito architettonico. È stato osservato che in generale la comunicazione di massa da una parte ... ci presenta indubbiamente dei si gnificati, sia pure elementari, poveri, manipolati con tec niche rozze o raffinate, ma con precise intuizioni simbo liche volte a determinare certi comportamenti ( ed è per ciò una • comunicazione •), d'altra parte, però, essa ap pare come un prodotto patologico, quasi mostruoso, dove non c'è vero rapporto, ma una specie di condizionamento, e dove non si lascia posto alle risposte, ma si esige solo una ripetizione ossessiva e coatta di determinati modelli ( e perciò non può dirsi vera • comunicazione •) 21• Ancora una volta quanto si dice per i mass media vale anche per l'architettura. In analogia al brano citato, pos siamo dire che l'architettura da un lato è una comunicazione in quanto composta di segni che determinano un comporta mento - ed un comportamento di notevole e durevole peso sociale - mentre dall'altro, coi suoi modelli ripetuti e infla zionati, non consente un vero rapporto comunicativo, costi tuisce un linguaggio il cui senso è totalmente scontato. Data questa doppia condizione; potenziale la prima, effettiva e constatabile la seconda, è possibile forse ricavare una indi cazione per gli eventuali interventi capaci di modificare gli attuali scompensi. Il primo è d'ordine politico, di una politica della cul tura e di una cultura senza aggettivi. Infatti il primo punto da superare è la strumentalizzazione dei mezzi della cul tura di massa da parte di una élite sia essa economica o par titica. A tal proposito è stato osservato che la gestione del l'industria culturale è sempre nelle mani di una minoranza egemone. La differenza rispetto all'altra cultura, quella che non si serve dei mezzi di comunicazione di massa, sta nel l'uditorio_: la prima è una cultura di pochi per pochi; la
seconda di pochi per molti, o moltissimi 22•
Ancora più radicale è l'atteggiamento di H. Rosemberg che vede nell'azione politica l'unico modo per combattere la cultura di massa. Contro il kitsch non c'è un'antitesi, né un'idea opposta, ma solo la realtà. Per farla finita con esso bisogna mutare il paesaggio, così come è necessario cam biare il paesaggio sardo se si vuole debellare la zanzara malarica. L'azione sul paesaggio è la sola legittima ragione per studiare a fondo il processo della pop-art. In altre parole la sola legittima ragione è la politica 23 • Ovviamente, non si tratta di combattere la cultura di massa, né di « farla finita> con essa, ma di intervenire cri ticamente a modificarla. La stessa azione politica è ancora da definire non esistendo schemi politici attuali idonei, e soprattutto interessati, ad ostacolarla. Più seria appare la posizione di Morin sul problema della minoranza e maggioranza nell'industria culturale e in definitiva sul carattere politico della questione. Impossibile porre l'alternativa semplicistica... t: la cultura di massa che si impone dall'esterno al pubblico (e gli fabbrica pseu do-bisogni, pseudo-interessi) o riflette i bisogni del pub blico ? :t evidente che il vero problema è quello della dia lettica tra il sistema di produzione culturale e i bisogni culturali dei consumatori... La cultura di massa è dunque il prodotto di una dialettica produzione-consumo, nell'ambi to di una dialettica globale che è quella della socialità nella sua totalità 24• Accanto all'azione politica, per integrare ad essa un più specifico impegno di cultura, per intervenire nel sud detto processo dialettico, l'architettura ha bisogno di recu perare i suoi significati linguistici. t: importante - osserva Dorfles - addirittura decisivo, per una sana evoluzione dell'architettura moderna che essa • si semantizzi • ossia che giustifichi ogni sua nuova creazione attraverso l'adozione di forme che siano seman-
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ticamente palesi, e capaci di portare a una chiara comuni cabilità 25• Pertanto, se è assodato che l'architettura partecipa all'attuale cultura di massa, se i problemi sociologici e tec nologici di questa sono irreversibili, il linguaggio architet tonico, recuperando il suo valore semantico, potrà svolgere una sua funzione di adesione o di contrasto, comunque avere un ruolo dialettico. Il compito di ridare significato ai termini dell'architet tura, quale che sia il grado ed il livello dell'intervento, consentirebbe a tutti di dare un reale attivo contributo, concomitante ad un'azione di politica della cultura, ma al tempo stesso operante dal basso, nella normale attività pro fessionale, senza affidare tutto alle attese delle riforme di regime o al perfezionamento della legislazione urbanistica. Intanto, hic et nunc è forse possibile svolgere una critica fatta d'azione.
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1 U. Eco, Apocalittici e integrati, Bompiani Milano 1964, p. 13. 2 La e Comunicazione di massa>: situazione e progetti, in e Criteri>, nn. 9-10, 1959-60. S E. ZoLLA, Eclissi dell'intellettuale, Bompiani, Milano 1964, p. 185. • E. MoRIN, L'industria culturale, Il Mulino, Bologna 1963, p. 6. li F. LEoNARDI, Elementi di sociologia, voi. lil Forme e processi culturali, Franco Angeli Editore, Milano 1961, pp. 209-210. o C. GREENBERG, Avan.t-Garde and Kitsch nell'antologia Mass Cul ture, the Popular Arts in. America, a cura di B. Rosemberg e D. Manning White, Glencoe, 1963, 8• ed., p. 102. 7 F. LEONARDI, Op. cit., p. 237. s B. RosEMBERG, Mass Culture in America, in Mass Culture etc. cit. p. 12. 9 F. LEONARDI, Op. cit., p. 230. 10 R. BANHAM, Industria! design e arte popolare, in e Civiltà delle macchine> nov.-dic. 1955. 11 Cfr. l'intervento di F. Ml:NNA al dibattito Design e mass media pubblicato nel fascicolo II di e Op. Cit. > e dello stesso Autore Design, comunicazione estetica e mass media, in e Edilizia Moderna > n. 85. 12 U. Eco, Op. cit., p. 21. 1s U. Eco, Op. Cit., p. 39. u E. MoRIN, Op. Cit., p. 178. 15 G. PiccINATO, V. Qun.ICI, M. TAFURI, La città territorio, verso una nuova dimensione, in e Casabella > n. 270. 10 G. SELDES, The Public Arts, in Mass Culture, etc. cit. pp. 557-558.
17 Opportunamente, uno dei saggi della citata antologia è prece duto da un aforisma di Spinoza che afferma: e Non ridere, non lugere, neque destestari; sed intelligere >. 18 Lo stesso disegno industriale si differenzia in ciò dalla archi tettura, per cui non è legittimo associare la problematica dell'uno e dell'altra rispetto ai mass media. 10 Cit. in F. LEONARDI, Elementi di sociologia, cit. p. 211. 20 E. MoRIN, Op. Cit., p. 43. 21 La e Comunicazione di massa> etc. cit. 22 P. FACCHI, Cultura di massa e industria culturale, in e Comu rùtà > n. 116. 23 H. RosEMBERC, Pop culture: critica e Kitsch> in La. tradizione del nuovo, Feltrinelli, Milano 1964, p. 217. 2� E. MoRIN, Op. Cit., pp. 40-41. 25 G. DoRFLES, Simbolo comunicazione consumo, Einaudi, Torino, 1962, pp. 188-189.
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Alcuni temi dell' Informale ENRICO CRISPOLTI
n
presente saggio costituisce una anticipazione del libro Storia e di prossima pubblicazione presso Lerici Editori, Milano. L'articolo che presentiamo è un capitolo del libro ridotto ed adattato alla nostTa rivista.
poetica dell'Informale
L' ESISTENZIALITÀ
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Nel breve e Prologo> a El Arte Otro, pubblicato nel 1957, Cirlot scrive: « La tendencia a la estructuraci6n rit mica, al analisis visual del espacio sensibilizado en su tota lidad correspondia a Tobey, Pollock, Riopelle; también a Serpan, Damian en algunas obras. La lucha entre los restos de la figuraci6n y el poder desencadenante de la materia concede particular dramatismo a Dubuffet y a Appel. La experimentaci6n con nuevos medios técnicos o la entegra absoluta a la expresion de la pasta pict6rica, a Fautrier, Burri, Tapies. Pero en todos estos artistas, como en los que aqui no citamos y constituyen el objeto de nuestra atenci6n, hay una situaci6n existencial, una voluntad crea tora de parecido temple. [ ... ] El resultado de esa empresa, el informalismo o iniormismo, puede concebirse metafisi camente corno una transformaci6n en e materia prima> de las formas fenoménicas de la creaci6n, pero este impulso no debe confundirse con un deseo titanista, satanico, de negar el mundo real y exterior, el mundo concreto y existencial>.
Ed io stesso nel corso del '57, in articoli in I 4 Soli e in Civiltà delle Macchine, e nella prefazione alla mostra, espressamente, di « poetica >, Burri, Morlotti, Vedova, a Roma, ho creduto di poter individuare nella stretta perti nenza esistenziale il denominatore comune di ricerche che andavano dai tre ora citati a Pollock, a Kline; come mi è sembrato corretto fare anche in seguito, convincendomene come di un concetto basilare dell'intera poetica informale in tutti i suoi complessi aspetti. « Il valore del segno nel dipinto di Vedova [scrivevo] non è in ciò che realizza, nella sua astratta ed individua natura e magari ideale perfezione, bensì in ciò che è capace di suscitare emotivamente, di significare ideologicamente nelle sue relazioni ed interfe renze con altri innumeri segni del dipinto, nella sua verità esistenziale. [ ...] La straordinaria intensità del dipinto di Vedova è in questa certezza che ogni segno, ogni macchia è impronta umana, attesta di un gesto, e come tale traccia il percorso, segna l'impronta appunto di una vicenda vis suta, segna la presenza dell'uomo. [ ...J Ad una esisten zialità del gesto, dell'impronta umana, corrisponde necessa riamente l'esistenzialità della materia che lo accoglie, ove s'imprime e trasmette >. « Come la moralità contemporanea è protesa alla conquista di un'assoluta possibilità di disposizio ne e direzionalità, ed è avvertibile quindi soltanto in· una di mensione da riferire interamente di volta in volta alle singo le condizioni esistenziali, a questo ed irripetibile fatto hic et nunc [ ... J la pittura di Kline invita a questa spoglia zione di intralcianti nozioni, a questo esame di coscienza della propria capacità di umana, civile e sociale compren sione fuori appunto di ogni nozione, regola o tradizione; fuori del fittizio e sovrapposto, in un rapporto umano di assoluta esistenzialità >. Dunque nel momento di presa di coscienza da parte della critica europea della poetica informale, nella sua
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Nel '53 Clarac-Sérou parla per Matta dell'essere e in situazione> e per Serpan, del nuovo rapporto esistenza estetica. [ ... ] Matta del resto ha intitolato un suo impor tante dipinto appunto Being with, e la sua pittura aspira a rappresentare l'evento nella sua interezza: e Il s'agit de faire bien voir la simultaneité des événements. La simulta neité des espaces participant à un événement. De faire lire, par une morphologie efficace, chaque instant du tout>. Ed i riferimenti al mondo dell'esperienza quotidiana, dell'esistenza si moltiplicano. Burri si serve di e materie quotidiane >, e la tela le bende gli avanzi di favolosi imbal laggi le fodere e tendine e scatolame e il vinavil e le vernici per le case di tutti e per gli utensili e i veli e gli infiniti bianchi e i neri intensificati e i rammendi e i rattoppi conquistano un pregio solenne, un sentimento com piuto, una illuminazione>, sottolinea Villa, presentandolo alla Fondazione Origine, a Roma, nel '53. E Burri stesso due anni dopo dichiara del proprio lavoro: e esistere come dipingere. La mia pittura è una realtà che è parte di me. stesso, una realtà che non posso svelare a parole >. Ed ecco, nel '53 stesso, che Marchiori annota, di Vedova: e si sente più vero nella confessione immediata, nella dichiarazione del suo disagio esistenziale>. Nel '55 Berne-Joffroy scrive degli Objets di Fautrier: e Les dernières peintures de Fautrier nous suggèrent que l'existence précède l'essence non pas seulement chez l'homme, mais meme chez les petits objets >; e Testori, un anno dopo, che Morlotti, e lenta mente, ma con fermezza, è andato spogliando la sua vi sione naturale delle rimanenze astratte e intellettuali, per amarla di pienezza fisica, di disp erata coscienza delle verità elementari, fino ad affondare nella materia, come dentro
il
grembo della sua esistenza, e solo allora trovando la radice vera e il vero battito della sua poesia >. Ed, ancora, nel '58, Serpan riferendosi, retrospettivamente, all'avventura infor male, sottolinea:
e Automatisme généralisé, spasmes du
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signe ou des écritures, tachisme, etc., - autant de retours aux sources profondes de la psyché. Jamais effort plus radical n'avait été fourni par le peintre pour transcrire sur la toile la sincérité primordial de l'existent>. In Italia credo d'essermi battuto più insistentemente di altri sulla natura di questo fondamentale denominatore delle nuove ricerche: dal '57 appunto; ed in breve infatti la incipiente storiografia informale vi ha fatto continuo rife rimento: da Barilli, a Calvesi, ad Argan. Per esempio scri ve Calvesi, nel '59, che e l'enucleazione del gusto informale subentra a determinare la risoluzione storica di un'antinomia profondamente segnata nell'unità spirituale e linguistica (di cui Klee può essere un simbolo) dell'arte contemporanea del primo mezzo secolo: da un lato il razionalismo di Mondrian della Bauhaus, dall' altro l' irrazionalismo dei surrealisti. L'art autre è altro anche proprio da quell'antinomia, oggi assurda perché presuppone una scelta (ed una fiducia di quella scelta) che non si è più in grado di operare. La .coscienza di e essere nel mondo> (e, vorrei interpolare forse banahnente, in un mondo e quale il nostro è>), di esistere e di e dover> esistere, è troppo in noi stessi determinata e ;mperiosa, perché ce ne si possa e purificare> nell'atto creativo, o se ne arrivi · interamente ad evadere; ed è, ovviamente, troppo disancorata da qualsiasi appiglio (ed ormai più persino bisogno?) di fede, perché possa essa stessa tramutarsi in sostanza di certezza, o comunque in ultimo e rassegnato rifugio della nostra inquietudine. Men tre ogni anelito di evasione è intimamente contraddetto dal sentimento di un quotidiano destino cui siamo, più o meno drammaticamente ma certo insuperabihnente, vincolati. [... ] Da un simile condizionamento, intuizione ed attuazione derivano un'impronta di simultaneità, di risoluzione im prevedibile ed imprevista, che è poi anche il senso di una provvisorietà dell'atto, e come di continuo differimento ad un atto successivo non solo nel contesto della singola opera,
ma anche da opera ad opera. [ ...] L'opera non rappresenta una tranche de vie, ma è essa stessa una tranche de vie, qualcosa che implica un continuo passaggio, non tanto un superamento, quanto un avvicendamento continuo. Per que sto, anche i quadri oggi invecchiano presto, o meglio sem brano invecchiare, come noi invecchiamo e ci tramutiamo. Essi profondamente s'identificano con la nostra vita; sono anche l'espressione (od anzi tutt'uno con essa) di una «relatività> del nostro esistere, che non ha punti di rife rimento assoluto in un e essere>. L'opera d'arte e è> il vivere e «serve> a vivere, è forse una nostra possibile terapia>. La convergenza avviene dunque nella definizione d'una continuità spazio-temporale dalla dimensione esistenziale a quella dell'opera d'arte, non più alibi questa rispetto a quella, come nella misura ideale e concettuale dell'estetica classica, che intende l'opera appunto nella sua natura me ramente ideale. Come ha scritto Rosario Assunto nel fascicolo dedicato nel '61 da Il Verri appunto ali' Informale: «Soggetto di giudizio estetico, l'opera informale può esserlo non di versamente da come possono esserlo le cose naturali: la " bellezza " di un quadro non sarà nulla di diverso dalla bellezza di un sasso o di un tronco d'albero. Del sasso e del tronco d'albero come si danno alla nostra esperienza per cettiva, unità indivisibili di materia e immagine e forma (dove l'immagine e la forma fanno tutta una cosa con la materia e non sono isolabili da questa) e non immagini che si possano astrarre dalla loro materia e restituire in idea, fuori da ogni materia, salvo quella che, nell'opera d'arte immaginativa, è semplice supporto e veicolo alla immagine come solo in sé .dell'opera stessa>. Ed è condizione di base della poetica informale. Scrive Barilli, nella stessa sede: «la pittura informale, per sua costituzione, insiste, sporge, si affaccia sul mondo. [ ...] Mondo [...] come. prin-
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rapporto creativo con la materia; e Rosenberg, nel '52, nell'articolo già ricordato, spiega:
e Ciò che si realizza
sulla tela non è un quadro, bensì un evento. Il pittore non inizia con un'immagine, ma va verso la tela con la materia in mano, per fare qualcosa, su un'altra materia (la tela) >; ed, ancora, Alloway scrive nel '54:
e I quadri di Davie
sono a macchie, con materia a corpo, schizzanti, a getto: egli dipinge rapidamente, facendo parecchi quadri in poche ore d'attività frenetica. Lavora senza premeditazione o con trollo formale: la sua arte vive- soltanto nell'atto del fare. È l'incontro fisico di una personalità angosciata con la ma teria>. Ed appena un anno prima César affermava: e j'im provise sur la matière, je touche la matière... espérant... >; mentre nel '54 lo stesso Restany parlava di ritmo puro nato dalla stessa materia. Il pittore deve fare anzitutto i conti con il mondo, nel quale è e cacciato>, con la situazione che lo condiziona, con le dimensioni stesse della propria esistenza. Ed altrettan to deve fare anzitutto i conti, fisicamente, con la materia stessa espressiva. Esprimersi è agire sulla materia, sotto linea, fra gli altri, Restany nel '55. Agisce su di essa, come vuole agire nel mondo. La materia dunque diviene uno stnunento
ipotetico, svela una
condizione,
chiarisce, in
certo modo, un destino. È il segno d'un raggiunto tra guardo estremo, ove quasi si tocca con mano la sostanza stessa della condizione dell'esistere. La materia è l'emblema della realtà, ed una macchia di colore è allora come un grido; di fronte al formalismo, e una buona grossa macchia di colore assume tutto il suo valore. È come un grido della mano del pittore, che il formalismo vuole asservire allo spirito, e quale spirito, lo spirito del salon e del piano >, scrive Christian Dotremont, l'animatore di Cobra. È appunto la materia empirica che può esibire una continuità che assimili tutte le cose, come sottolinea Du32
buffet, nel '53, in un testo per la sua serie di dipinti
Corps de dames. Del resto la materia bruta che Dubuffet ha esibito fin dal '45, come ha notato allora Limbour, è la materia stessa del cosmo, il fango: « Assenza totale di ele menti spirituali: il "Trionfo della materia". Non intendo soltanto la materia pittorica, ciò che comunemente si chia ma la pasta, con i suoi diversi lieviti magici, ma la materia universale, il fango, la pietra e il fuoco, il magma in effer vescenza>. La materia è dunque anche l'emblema di un nuovo primordio, il primordio rappresentato dalla raggiunta percezione dell'esistenza nel suo carattere originario, più schietto e svelato. La riduzione alla sfera dell'esistenza è come una volontà di porsi all'inizio del mondo, sottolinea Sartre per Giacometti, nel '48. Per Guilly il problema af frontato da Wols, nel '47, è di ritrovare la pittura allo stato nascente: « voir l'acte de peindre dans sa simplicité, de retrouver la peinture à l'état naissant>. Ed in termini ana loghi si esprime, nel '55, Berne-Joffroy: « Fautrier, nous offrant des objets à l'état naissant, nous les offre par le biais de quelque chose comme la peinture réinventée, elle aussi, à l'état naissant >. E nel '56, sempre in Esthétique en devenir, Tapié stesso parla di « stato nativo>. All'emblematica della materia corrisponde naturalmente un'emblematica della sensazione, o meglio della percettività pura e anomala. Nel Manifiesto Blanco fontaniano, del '46, si parla di una preminenza della sensazione, come nella condizione originaria dell'uomo, e della volontà di riattua lizzare e svolgere questo primordio. Ma sottolineiamo ancora il significato di questa materia, che subito sta per la materia prima, originaria. Read, nel '52, scrive di Paolozzi: « è andato da scheletriche navi smantellate a cieche larve incrostate,. amorfe nella massa, pezzi di legname che sem brano venuti alla deriva dal plasma originario>; mentre, per esempio, nel '57, Arcangeli parla di prime germinazioni. Ma una materia primordiale, originaria, è naturalmente una materia unitaria, indistinta, proprio perché, come scrive
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Berne-Joffroy per Fautrier, precedente ogni distinzione, preoggettuale: e Fautrier, lui, nous peint une boite, comme si le concept de boite n'existait pas encore; et, plutot qu'un objet, un débat entre reve et matière, un tatonnement vers " la boite " dans la zone d'incertitude où se frolent le pos sible et le réel >. Ed ecco che la natura emblematica della nuova designazione di materia (e qui s'intende nel suo significato più estensivo, cioè non solo come accumulo a corpo, empiricamente tattile, bensì come pieno dibattito, espressivamente determinante, con il mezzo, con la materia anzitutto pittorica - direi, in senso tradizionale --, ma ora in effetti empirico-pittorica) si aggettiva precisamente co me emblema di una profonda corrispondenza ed immedesi mazione fra uomo e mondo, fra noi, con il nostro corpo, anzitutto, e l'unità mondana primordiale. [...] E d'altra parte l'orizzonte esistenziale in cui l'ar tista informale, alla ricerca della verità più prossimamente accertabile, si è circoscritto, affida al corpo umano un ruolo emblematico di primissimo piano (posso ricordare, per analogia, lo svolgimento del tema, essenziale, in Artaud, soprattutto). Schultze, per esempio, dichiara esplicitamente, nel '53: cJ'essaie d'insuffler dans ma peinture le rythme corporel>. Ed ecco il nuovo motivo emblematico della stessa carne umana. Ponge, o Chevalet insistono, nel '45, sull'aspetto di decomposizione, di spappolamento del corpo umano, su questa primarietà indistinta del corpo come e carne>, negli Otages di Fautrier. Per Sweeney, dieci anni dopo, la materia esistenziale di Burri assume concretezza metaforica proprio nel riferimento alla e carne viva> : Burri muta gli stracci in una metafora di carne umana, sangui nante, rianima i materiali morti con i quali lavora, li fa vivere e sanguinare, e diventa un organismo vivente: carne e sangue>, e ci ricorda il sentimento della carne viva>. e Certe volte l'intreccio delle sue linee cucite accanto a ferite aperte e graffiature ci fa pensare a suture. Il quadro
è carne viva; l'artista è il chirurgo. Altre volte invece queste linee a cucitura prendono il carattere dei contorni di un paesaggio, accentati di rosso, oro e chiazze di bianco, ma sempre un paesaggio che è vivo, che ha qualità di carne. La terra di Burri non è un leggero strato di polvere su di un fondo di dura pietra. È vivente di vita umana. È un terreno profondo che racchiude una vita, pulsante. È Gea, la terra vibrante, il frutto del Caos; la stessa carne, lo stesso senso di vita e di ordine che giace sotto la superficie dei suoi logori tessuti e dei suoi stracci e che conferisce loro la qualità vitale >. Tuttavia questa totalità mondana, che si fa emblema proprio nella più assoluta particolarizzazione tissulare di materia, include, proprio per questo, componenti di natura fluttuante, e non individuabili con tutta chiarezza, bensì intuibili nella loro effettiva natura, che è una sorta di circolazione infrastrutturale, avvertibile appunto soprat tutto nelle cellulari o diaframmatiche ispezioni tissulari: « infrastrutture >, e infra realtà >, « infraumano > (che è poi anche l' e: abumanismo > di Bryen). Ed ecco che già nei paesaggi dubuffetiani del '44 Parrot può notare: e: Ad ogni istante le cellule dipinte si raddoppiano, proliferano. Queste macchie verde liquido, rossastre o rugginose, infrangono i fragili confini che le circondano, e irrompono nella macchia vicina, a meno che non si raggruppino attorno a un piccolo punto osseo e nero, ovale come il nocciolo di una oliva. In questo paesaggio che ci sembra fissato per sempre, si compie così un interminabile lavoro, e un polipaio di colori si moltiplica sulla superficie senza sforzo, asensibilizzata, dalle tinte neutre e a volte spiacevoli. Dubuffet annota con cura minuziosa questa lenta e segreta germinazione che si attua nella infrarealtà dei suoi quadri >. E nel '51 Clarac Sérou e Serpan parlano di spazio infrastrutturale per Matta, Zaiiartu e Kujawsky. L'infrastrutturalità di natura tissu-
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lare è infatti un altro aspetto emblematico della materia ori ginaria. Questa materia è d'altra parte, come emblema totale, di natura cosmica, cosmologica. e La peinture est l'expres sion de la vie profonde et s'organise comme une fonction cosmique>, scrive Bryen, nel '48. Nel rapporto diretto uomo cosmo, nella sottile e vincolante trama delle corrispondenze, la materia è il tramite condizionante, e perciò se ne fa subito appunto l'emblema. Di forza elementare, di energia cosmogonica, parlano a più riprese gli informali, per esem pio Jaguer, nel '51, o, nel '58, Saura e Millares. L'energia cosmogonica muove la totalità dell'universo, e il gesto espressivo dell'uomo in un'unica, primaria, circolazione vi tale, partecipando delle medesime potenze cosmiche della metamorfosi. Afferma Atlan nel '53: e Les formes qui me paraissent les plus valables [...] participent précisément de ces puissances cosmiques de la métamorphose, où se situe la véritable aventure. La création d'une ceuvre d'art [...] est une aventure où s'engage un homme aux prises avec les forces fondamentales de la nature>. Ed ecco allora un altro aspetto di questa materia emblematica: il metamor fismo, la sua vitale trasformazione: Clarac-Sérou e Serpan stessi parlano di e métamorphoses vivifiantes >, nel '51, e sul tema, fondamentale della metamorfosi, ritornano, per esempio, in temi diversi, Dubuffet, la Richier, Sweeney, Paolozzi. Ma una materia mondana, primaria, per sua essenza metamorfica, è poi il caos stesso, come virtualità onnigermi nativa originaria. E s'è visto come Sweeney vi si riferisse, per la materia-carne-terra di Burri. La mitizzazione del Caos ha un ruolo molto importante nell'emblematica della materia della parte poetica informale. Scrive, per esempio, Arcangeli, nel '57, riferendosi ai e nucleari>: e Gli astrattisti e aformali> si tuffano [...] nell'oscuro per l'oscuro, nel ·3s
caos per
il
caos, nel rumore per il rumore. nell'atto per
l'atto >. E di e caos > parlano, nello stesso anno, per esem pio, Schultze, anche per la propria pittura, e André Verdet per Fautrier, mentre un anno dopo Saura dichiara della propria ricerca: e Interamente in una basilare e primor diale contraddizione (la mia irrazionale fatalità espressiva ed il mio caos, la mia angosciosa ansia d'amore, di cono scenza, ordine e azione) verso una pittura drammatica e libera che sia l'espressione d'una realtà totale>. IL DATO PERCETTIVO
All'assunzione emblematica di una materialità prima ria, prenozionale ed universale, corrisponde l'assunzione emblematica del momento di rapporto strettamente connesso con quella materialità mondana, e cioè appunto del mo mento percettivo originario. La dimensione percettiva è assunta dall'artista informale, emblematicamente, a vera e propria visione del mondo. Scrive Sartre, nel >46, di Gia cometti: e Telle est, je crois, l'espèce de révolution coper nicienne que Giacometti a tenté d'introduir dans la sculp ture. Avant lui on croyait sculpter de l'étre et cet absolu s' effondrait de sculpter
en
une
infinité
l' apparence
par elle on atteignait à
d' apparences.
situ.ée
et il
s' est
Il a révélé
choisi que
l' absolu. Il nous livre des hom
mes et des femmes déjà. vus. Mais non pas déjà vus par lui seul. Ces figures sont déjà vues comme la langue étrangère que nous tentons d'apprendre est déjà parlée. Chacune d'elles nous découvre l'homme tel qu'on le voit tel qu'il est pour d'autres hommes, tel qu'il surgit dans un milieu interhumain >. Naturalmente appunto il e visua le >, nella sua immediatezza percettiva, è un elemento mol to importante di questa nuova mitologia emblematica. A questa riduzione al e visuale > accenna Tapié nel suo testo per
il catalogo-manifesto di Véhémences confrontées, nel '51.
[... ] Sartre stesso ribadisce nel '54, sempre per Giacometti,
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ma questa volta per la pittura, che egli e veut peindre ce qu'il voit, tout juste comme il le voit; il veut que ses figures, au cceur de leur vide originel, sur sa toile immobile, passent et repassent sans cesse du continu au discontinu. La tete, il veut à la fois qu'elle s'isole, puisqu'elle est sou veraine, et que le corps la reprenne, qu'elle ne soit plus qu'un périscope du ventre au sens où l'on dit de l'Europe qu'elle est un presqu'tle de l'Asie. Les yeux, le nez, la bouche, il veut en fare des feuilles dans un feuillage, sé parées et fondues tout ensemble. Il y parvient: c'est là sa réussite majeure. Comment? En refusant d'etre plus précis que la perception. Il ne s'agit pas de peindre vague; tout au contraire, il suggérera une parfaite précision de l'etre sous l'imprécision du connaitre >. D'altra parte, s'è visto, come Berne-Joffroy potesse parlare, nel '55, a proposito degli Objets di Fautrier, della loro natura preconcettuale:
e Ce sont, en quelque sorte,
des images pré-réalistes d'objets pré-conceptuels >. L'indi stinzione primaria del processo percettivo è emblematizzata appunto nella sua pienezza e complessità: Dubuffet stesso, fa riferimento esplicito, nel '57, al e principio della comples sità che regge ogni nostra percezione delle cose >. E nello stesso anno Barilli sottolinea nel riferimento al plenum delle esperienze percettive il denominatore delle ricerche informali; e parla di e livello percettivo >, e per Riopelle e Moreni di e una estroversione su un plenum di esperienze percettive >.
L'AMBIGUITÀ
Da questa stessa pienezza, da questa complessità, si mo tiva, nella poetica informale, il gran tema emblematico del l'ambiguità, dell'interdeterminazione: un tema chiave! Ri cordiamo ancora che, per esempio, Duthuit dice, nel '53, che 38
Bram Van Velde e s'efforce d'opérer une sorte de résomp-
Trost, nel '45 stesso, che Guilly, sempre per Wols, nel '47, parlano di indecifrabilità visiva; e, nel '53, Dubuffet di forma imprecisata. Ma
il riferimento all'ambiguità, all'indeterminazione non
è soltanto implicito: anzi è esplicito, con un ricco repertorio di attestazioni di poetica. Nel '45 gli
Otages di Fautrier sol
lecitano le prime affermazioni in questo senso, soprattutto di Ponge. Anche Paulhan parla di ambiguità per Fautrier, e Raufast, quasi contemporaneamente, per Dubuffet. Se non d'ambiguità, certo di gioco analogico parla lo stesso Breton per Gorky, sempre nel '45. e Le débat s'est élevé, l'ambi guité a remplacé l'exiguité>, annuncia Mathieu, nel '48, nel suo testo per
H.W.P.S.M.T.B. e La
peinture est l'expres
sion de la vie profonde et s'organise comme une fonction cosmique>, afferma, s'è visto, nello stesso anno, Bryen; e subito precisa: e Loin d'etre ressortissante de la seule émo tion sensorielle, elle se doit d'agir comme une reuvre ma gique abordant la voyance paroptique: non seulement la dimension des formes et des couleurs, mais celle des absences, des dédoublements, des souvenirs, des ambiva lences psychiques et physiques>. Più chiaramente Tapié in
Un art autre, nel '52, afferma:
e au rythme infernal de l'épopée actuelle où les séries
l'ambiguité seule peut sauver l'art des pièges académiques>. e Le problème d'aujourd'hui est de
s'épuisent vite,
construire un riche "multi-expressivisme ", un art impur>,
Premier Bilon de l'Art Actuel, Regina! Butler. [ ... ] Mentre, nel '54, David
sostiene, in un'inchiesta del '53, per Sylvester scrive di Bacon:
e Da questi scenari chiusi a
tendaggi, dall'atmosfera claustrofobica, si protendono verso di noi esseri, la cui presenza spettrale, ambigua e inaspettata, domina qualsiasi sfondo in cui essi si presentino, facendo parere ombre gli esseri reali>. Naturalmente se
il concetto
d'ambiguità è come un punto di convergenza, tanto da co40
stituire, nelle più diverse determinazioni, un denominatore
Véhémences confrontées. e Siamo impegnati ormai ad un
gesto assoluto, che non illustra miti del passato o alibi del presente. Qualunque cosa si esegua, bisogna accettarne la responsabilità totale; la misura della propria grandezza dovrà trovarsi, soltanto, nella profondità dell'intuizione e nell'audacia a realizzare la propria visione interiore >, af ferma Clifford Stil, nel '52. Una situazione d'emergenza dunque quella dell'artista informale, essenzialmente precaria e rischiosa. Di e stato d'urgenza > parla Armitage, nel '55; mentre Jaguer ha potuto intitolare un testo di poetica, del '59, appunto État d'urgence. ENRICO CRISPOLTI
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una esperienza che, in quanto la viviamo, la comprendiamo già, sia pure pre-riflessivamente (la quale definizione con cettuale non dico che non sia pure utile, ma di troppo poca e generica utilità per chi voglia invece trovare strumenti per un più critico avvicinamento alle effettive produzioni artistiche). L'estetica può diventare un validissimo strumento di arricchimento culturale e in definitiva critico solo se non si riduce a concettualizzare secondo un certo linguaggio costi tuito più o meno ad arbitrio del filosofo ciò che abbiamo già compreso, ma ci aiuta a comprendere più profondamente ed a vivere quindi più intensamente l'emozione artistica, soprattutto quella di e contemplatori >, ed a comprendere più efficacemente l'altrui comprensione, cioè l'arte stessa in una sua determinata effettuazione storica. L'estetica può allora diventar capace di alimentare la critica d'arte, la quale non è tanto un'astratta valutazione dell' e artisticità > o meno, della e bellezza > o meno di una opera, quanto una sua lettura, un'analisi cioè del suo di scorso per accertare se, dato UD certo linguaggio adottato e le sue regole sintattiche e semantiche, essa dica qualcosa, abbia un senso. Si tratta dunque non di riflettere sull'atto artistico, bensì di saperne ritrovare la concreta individua tezza nell'opera prodotta. L'estetica, salvo che non voglia. essere oziosità meta fisica, aspira sempre ad essere un'ermeneutica (si badi, ho detto e oziosità metafisica >, e non e metafisica > semplice mente, poiché ogni autentica metafisica è stata sempre, nel suo mondo culturale proprio, UD dispositivo ermeneutico). La riconduzione dell'estetica ad ermeneutica artistica comporta la presa di coscienza della situazione linguistica propria di ogni approccio ad una produzione artistica. Ci si trova qui dinanzi all'intersezione di almeno tre linguaggi: a) il linguaggio proprio del documento artistico; b) il linguaggio estetico capace di fornire certi strumenti erme-
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do la nozione di e volere artistico>, comporta, analogamente a quanto fa la fenomenologia nell'analisi degli Erlebnisse in generale, l'applicazione dell'operazione epochizzatrice al1' Erlebnis artistico qual esso si manifesta nell'opera d'arte. Il fenomeno artistico viene cioè depurato di ogni sua com ponente effettuale (la storia individuale dell'artista e la sua intenzione psicologico-empirica, la storia collettiva con le tendenze, conscie o inconscie, dell'epoca, le reazioni sog gettive degli spettatori, ecc.), e se ne lascia così affiorare la portata estetica, quel senso ultimo e autentico che ne costi tuisce l'originaria oggettività, quel che appunto si può chia mare il e volere artistico>: e se quest'espressione non deve designare una realtà psicologica né un concetto specifico attinto per via astrattiva - il volere artistico non può essere altro che ciò che " sta" (non per noi, bensì obietti vamente) come un senso ultimo e definitivo del fenomeno artistico> 12• In altri termini, come la portata gnoseologica di un giudizio non sta nel suo contenuto in quanto tale, né nel suo confronto con situazioni esterne, ma nel modo con cui io penso il rapporto oggetto del giudizio (per es., secondo il concetto di causa), così la portata artistica di un'opera d'arte può essere reperita a priori come suo senso imma nente, prescindendosi da ogni suo legame con la fattualità storico-empirica e quindi da ogni elemento rilevabile a posteriori.
Una scienza dell'arte dev'essere allora in grado di per venire ad enunciare dei concetti fondamentali a priori, i quali non pretendono di essere concetti generali sussuntivi del fenomeno artistico ·nella sua effettività, bensì di cogliere e le condizioni della sua esistenza e del suo essere-così-e cosl> e sono quindi e categorie che non dovrebbero desi gnare la forma del pensiero che produce l'esperienza, bensì la forma dell'intuizione artistica> 18• 54
In
qual senso si può parlare di concetti fondamentali
soluzioni singolari che l'artista ne dà. Questa rilevazione mediata Panofsky considera il compito proprio della scienza dell'interpretazione, che è per lui la vera e propria scienza trascendentale dell'arte. Da queste rapide note risulta chiaramente come in Panofsky convergano e si fecondino a vicenda in sede este tica due filoni filosofici già per proprio conto, in una ben più ampia e complessa cornice culturale, intimamente connessi anche se con legami a volte controversi e a volte tutt'altro che scoperti: il trascendentalismo kantiano e la fenomenologia husserliana. Del primo, Panofsky ritiene con rigore la nozione di a-priori formale: e se i concetti fondamentali della scienza dell'arte sono indubbiamente fondati a priori e se perciò valgono indipendentemente da tutta l'esperienza, ciò non significa naturalmente che essi potessero venire scoperti a prescindere da qualsiasi espe rienza, cioè per vie puramente intellettuali> 22• Del secondo, Panofsky echeggia l'aspirazione a istituire una scienza dei fenomeni, i cui concetti servano non a fornire risposte sulla loro consistenza, ma a porre semmai ad essi correttamente le domande, sì che essi finalmente possano e parlare>, mo strare il loro autentico senso: e I concetti fondamentali del la scienza dell'arte riducono sotto una formula la posizione, ma non la soluzione dei problemi artistici e perciò deter minano solo le domande che noi dobbiamo rivolgere agli oggetti, ma non le risposte individuali, e sempre impreve dibili, che questi oggetti ci possono dare>. Essi servono a e far parlare> i fenomeni 23• Il tentativo di Panofsky mostra esemplarmente come, senza negare la legittimità di un'esteti1;a filosofica, e la quale si proponga di stabilire le premesse e le condizioni che rendono l'opera d'arte possibile a priori> 2\ e aspiri quindi a elucidare le condizioni di pensabilità di un operare umano artisticamente qualificabile, possano utilizzarsi in sede estetica concetti filosofici con funzioni operative, anzi-
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ché speculative, e come, nella specie, i principi dell'analisi trascendentale e il metodo fenomenologico possano servire a costruire una scienza interpretativa, un'ermeneutica ri gorosa per ogni settore artistico, cioè il lessico e la sintassi di un linguaggio adeguato ad operare la lettura corretta di un'opera d'arte. Probabilmente lo sviluppo di un siffatto piano ermeneu tico, colmando il vuoto esistente tra l'estetica filosofica e la critica d'arte, contribuirebbe a mediare e rendere final mente comunicabili questi due ult!mi piani e insieme a ri solvere la crisi interna di ciascuno di essi. ALDO MASULLO
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1 E. PANOFSKY, La prospettiva come «forma simbolica> e altri scrit ti, tr. a cura di Guido D. Neri e con una nota a cura di Marisa Dalai, Milano, 1961. Le citazioni di passi di Panofsky nel presente saggio sono eseguite sulla base di questo testo, che nelle note verrà riferito con l'abbreviazione: Prosp. 2 Prosp., p. 150. 3 Prosp., p. 155. 4 Prosp., p. 158. 5 Prosp., p. 159. 6 Ivi. 7LIPPS, Gnmdzilge der Logik, 1893, § 3, cit. da HussERL, Logische Unters-uchungen (ed. la prima volta nel 1900-1 e ried. mod. nel 1913), 4• ed. ripr. la 2' imm., Halle, 1928, I vol., § 18, pag. 52, nota 2. s e Un'evidenza non è nient'altro che l'esperienza vissuta (Erleb nis) della verità>, purché naturalmente s'intenda che « diciamo esser la verità vissuta in noi solo nel senso in cui si dice in generale che un ideale può essere una esperienza vissuta in un atto reale >. In altri termini, e la verità è un'idea di cui un caso particolare, nel giudizio evidente, è un'esperienza vissuta attuale (aktuel!es Erleb nis)>: infatti e l'evidenza è l'esperienza vissuta. della co1icordanza tra il pensiero ed il presente ch'esso pensa, tra il senso attuale del l'enunciato e lo stato di cose dato; e la verità. è l'idea di questa con cordanza> (HussERL, Log. Unters., I, cit., p. 190). D Si veda: HussERL, Cartesianische Medita.tioncm, Haag, 1950, § 11, p. 65 (tr. it., Milano, 1960, pp. 70-71). 10 BRENTANO, Psychologie vom empirischen Standpunkt, rist., Hamburg, 1955, pp. 124-125. 11 HussERL, Log. Unters., cit., Il, 1, p. 37. 12 Prosp., p. 166. 13 Prosp., p. 169. H e Per concetti fondamentali della scienza dell'arte intendiamo coppie di concetti nella cui stn1ttura antitetica si esprimono i pro blemi fondamentali a priori dell'operare artistico. Questi problemi si
presentano sempre nella forma di un'opposizione. L'opera d'arte deve creare in una forma qualsiasi un incontro tra i poli di questa oppo sizione> (Prosp., p. 179). rn lvi. 10 Prosp., p. 191. 17 Ivi. 18 Prosp., p. 185. 10 CLETO CARBONARA, Del Be!lo e dell'Arte, 2' ed., Napoli , 1953, pp. 235-237. 20 e I concetti fondamentali designano esclusivamente la polarità di due regioni di valori che stanno l'una di fronte all'altra ma al di là del mondo dei fenomeni artistici, due regioni che nelle opere d'arte possono incontrarsi nei modi più diversi> (Prosp., p. 188). 21 Prosp., p. 207. 22 Prosp., p. 190. 23 Prosp., p. 188. 2 � Prosp., p. 211.
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Dal pragmatismo alla fenomenologia VITALIANO CORBI
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Con il volume Per un'estetica mondana, edito recente mente da Il Mulino, R. Barilli ha voluto offrire, attra verso una vasta impresa di economizzazione e di compen dio dei temi più vitali del pensiero contemporaneo (p. 17), i lineamenti di una estetica di ampio respiro teoretico: non un'ipotesi parziale, settoriale di interpretazione di alcuni fatti artistici, ma una concezione dell'arte generale e siste matica (nel senso, che l'Autore dà a questo termine, di una funzionalità unitaria dei vari momenti della conoscenza umana) e tuttavia non mai definitiva, al contrario, anzi, criticamente consapevole della propria removibilità e con testabilità (pp. 12-13). Da qui nasce la necessità di allargare il discorso oltre i confini dell'estetica, toccando un nodo complesso di questioni filosofiche ed estendendo l'indagine ai campi della psicologia, della epistemologia, della logica. L'esame di questi problemi, e di quelli più propriamente estetici, viene condotto da Barilli nel confronto di alcuni momenti convergenti del pensiero filosofico. Il loro punto di incontro è visto nel riconoscimento di una dimensione mondana dell'esperienza umana, nell'insistere, di questa, su un fondo di materialità ineliminabile ed irriducibile. Non si tratta, però, di restaurare una nozione ingenua di oggettività che si appropri i risultati dell'attività umana,
ignorando il carattere trascendentale dell'esperienza e della conoscenza. Il concetto di trascendentale svolge in tutta l'opera di Barilli, come egli stesso riconosce, un ruolo fon damentale, tanto che egli cerca di estenderlo anche al pen siero di Dewey (p. 215). Afferma infatti Barilli che per Dewey •.• il comportamento umano, nell'aggredire il mon do, ha già i suoi stampi, le sue forme... non perviene mai spoglio e arreso, a quell'incontro, ma possiede già stru menti, principi ordinatori, così da poter essere parte attiva, da avere voce in capitolo... (p. 42). L'a priori che così viene introdotto non è, però, assoluto, come quello della tradizione razionalistica, ma operativo e cronologico, poiché consiste nell'insieme di abitudini stratificate che regolano il comportamento umano. Nel sistema deweyano, l'a priori, in senso assoluto, è piuttosto la natura che precede l'espe rienza umana e in qualche modo la condiziona 1• Che non abbia senso chiedersi che cosa sarebbe il mondo senza di noi, non attenua la portata metafisica, proprio rispetto all'esperienza, dell'affermazione che l'esperienza umana com pare solo ad un certo momento della vita della natura. Ciò vuol dire, per noi, che le istanze naturalistiche rimangono forti e determinanti nel sistema del filosofo americano, anche quando egli rifiuta l'antitesi di soggetto e oggetto, e riconosce nell'esperienza come nella natura un principio di interazione e di transazione. La riduzione dell'a priori a prodotto dell'esperienza è tipica dell'empirismo ed im plica non già una modificazione del concetto kantiano di trascendentale, ma la sua negazione, dal momento che que sto viene privato del carattere di universalità e di necessità che gli è essenziale 2• · La partenza ontologica di Dewey non consente un agevole passaggio alla fenomenologia esistenzialistica di Sartre e di Merleau-Ponty, il primo dei quali riprende espressa mente il concetto di trascendentale nel suo innestarsi sulla linea fenomenologica, dove esso illumina sì l'attività forma-
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trice ed unificante del comportamento umano, ma si arric chisce anche di un valore più radicalmente fondante e co stitutivo dell'esperienza umana. Il trascendentale segna l'in contro tra l'uomo e la realtà, senza che le sue strutture, le sue forme unitarie si ribaltino sull'uno o sull'altro momento. La tensione dialettica che è sottesa a questa rischiosa posi zione di equilibrio, nel tentativo di superare l'antico dua lismo gnoseologico di soggetto e oggetto, trapassa non di rado dalle pagine degli autori esaminati in quelle di Barilli. Tuttavia non possiamo tacere l'impressione che l'esigenza fenomenologica e trascendentale, comune a tanta parte del pensiero contemporaneo, sia presente in questo studio non tanto come un problema aperto, di cui si tenti la solu.. zione, muovendo dalla piena coscienza delle difficoltà e delle aporie che esso comporta, quanto come un indiscutibile dato culturale. Il postulato fondamentale del discorso estetico che Ba rilli compie attraverso un'intelligente ricognizione del pen siero di Dewey, Sartre, Merleau-Ponty, Dufrenne e della Langer è che tra l'esperienza comune e quella artistica non vi sia frattura, ma una sostanziale continuità di svolgimenti. Così, se Dewey concepisce l'esperienza come un'impresa a due (p. 119) tra soggetto e oggetto, tra uomo e mondo, se per Sartre l'essere significa farsi fenomeno a una coscien za e la coscienza è sempre coscienza di qualcosa di fuori da sé (p. 135), se, infine, per Merleau-Ponty il rapporto tra l'uomo e il mondo si configura come distinzione nell'unità (p. 206), ciò vuol dire che l'arte, mentre rifiuterà una cala mitazione esclusiva verso il polo dell'oggettività e la sua riduzione ad inerte fenomeno speculare, presenterà una ineliminabile referenzialità verso il mondo, implicherà, cioè, necessariamente un orizzonte mondano. Si pone, però, a questo punto, affermato il rapporto di continuità e di emergenza dell'arte rispetto all'esperienza comune, la necessità di distinguere, nell'ambito della co-
scienza riflessiva, l'arte dalla conoscenza scientifica. L'Au tore fa propria la tesi della intransività. e della totalità. del1' esperienza artistica. In altre parole l'arte e la scienza of frono modalità diverse di riferimento al mondo. Restano dunque assodate alcune grandi divergenze della via este tica rispetto alla via logica: la prima, a differenza della seconda, è sempre riferimento totale, intransitivo, non strumentale, non utililitario al mondo, all'esperienza co mune; donde viene che i significati che essa attinge, do vendo appunto essere intransitivi, sono incarnati nei loro mezzi, non si danno mai astrattamente (p. 129). Così in Sartre l'analogon, che è il sostrato materiale dell'atto imma ginativo, è dotato di una tipica intransitività, poiché esso non trasporta sull'immagine, ma ce la presenta (p. 174), e rientra nella linea del pensiero di Merleau-Ponty l'affer mazione che l'opera d'arte è essa stessa il mondo, offerto in compendio, laddove il messaggio fornisce solo uno stru mento di intervento su di esso, che dunque, come ogni strumento, potrà essere abbandonato non appena abbia esaurito la sua funzione, o se ne trovino altri più adatti (p. 260). La totalità dell'esperienza artistica, va detto con chia rezza, non può essere confusa, come fa grossolanamente e sbrigativamente V. Saltini, con la crociana coincidenza di individuale e universale 3• La totalità di cui parla Barilli è piuttosto da intendere come unità di una certa pluralità, non assoluta, quindi, e solo relativamente sufficiente. È quella che proprio Dewey chiamava whole by courtesy: una totalità empirica ben diversa da quella della tradizione idealistica. Si veda, infatti, come il carattere di totalità dell'espe rienza artistica, sia fatto affiorare progressivamente attra verso l'esame del sostrato percettivo dell'opera d'arte e del l'immagine, alla quale viene riconosciuta una funzione generalizzante. L'immagine insomma ci porge sempre delle
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generalità, delle essenze, ma ricavate a partire dai fatti più concreti e tangibili. E viceversa ognuno di questi può sollevarsi al cielo delle formazioni eidetiche mediante la funzione immaginante. Certo è comunque che la natura specifica dell'immagine, anche quando voglia riferirsi a un singolare e coglierlo in tutta la sua esistenzialità, non può fare a meno di funzionare per quello che è, non può evitare di farsi sentire appunto come generalità (p. 167). Il riferimento al singolare avviene sempre con una certa ambiguità nella quale si manifesta la tendenza della immagine ad intenzionare delle classi o pluralità di indivi dui che non sono quelle del senso comune né della scienza. Un altro dei caratteri dell'esperienza artistica sul quale si sofferma a lungo l'attenzione di Barilli è quello della novitd, concepita come intensificazione e concentrazione di quegli aspetti dell'esperienza comune che sono in questa impliciti, potenziali, non ancora tematizzati: ... è fatto obbli go a chiunque voglia avere un'autentica esperienza este tica d'aprirsi una rotta in proprio, di non limitarsi a ri calcare le rotte già aperte dagli altri. Merleau-Ponty ci appare largamente consapevole della necessità di assegnare all'ambito estetico la categoria del nuovo. Si tratta pur sempre di un vedere e di un far vedere aspetti ogget tivi, realmente sussistenti, benché spesso • invisibili •; ma perché si tratti di un vedere o di un far vedere genuina mente estetico occorre che, del nostro mondo comune, pa trimonio di tutti, si mettano in luce di volta in volta nuovi aspetti, nuovi profili (p. 270). Questo studio per un'estetica mondana., proprio per la sua dichiarata ambizione sistematica, offre il fianco a nu merose considerazioni, che toccano, prima ancora che i problemi particolari dell'estetica, questioni di fondo riguar:. danti le scelte teoretiche operate dall'Autore. Diremo, per esempio, che non condividiamo l'eccessivo ottimismo di 66 Barilli nel ritenere sufficientemente definita e coerente-
mente fondata, nell'attuale situazione culturale, una con cezione mondana dell'esistenza. Una testimonianza viva ed altamente significativa di più complesse esigenze del pen siero contemporaneo è offerta dalla ricerca husserliana, del la quale l'Autore dichiaratamente non tiene conto: come se fosse possibile per un problema di inediti trascurare la complessità inquietante - nei confronti appunto di una concezione rigidamente mondana - del pensiero, edito, di Husserl, nel quale, ancora, non ci par facile distinguere, come fa sbrigativamente Barilli, il lato mondano da quello spiritualistico. Rimane tuttavia a merito indiscutibile del l'Autore la generosità del tentativo e l'interesse per la linea di interpretazione proposta. Va pure sottolineato che, contrariamente a quello che accade di solito a chi mostra di avere un peculiare interesse filosofico per i problemi dell'arte, Barilli nel suo studio non solo non perde mai di vista il mondo concreto dell'arte, ma anzi ha continua mente presente
n valore funzionale di certe ipotesi generali,
la loro capacità di funzionare come strumento efficace di valutazione critica. In un certo senso si può dire che in Barilli la formulazione teorica dei problemi artistici sia proceduta
di
pari
passo
con
l'esercizio
critico
diretto,
intervenendo come elemento di chiarezza e di coerenza metodologica. Già negli studi sull'Informale l'esperienza ar tistica si andava configurando nei suoi caratteri di mon
danità, di totalità e di novità 4; si che il passaggio all'opera più recente avviene per linee interne, muovendo dalla costa tazione che l'Informale si fonda su una gnoseologia total mente rinnovata, posta al di là del realismo come dell'idea lismo, una gnoseologia che è quella stessa delle più accre ditate correnti speculative contemporanee, della fenomeno logia, particolarmente nei suoi svolgimenti francesi, del l'esistenzialismo, del pragmatismo americano G, Ed è proprio qui il limite ed il pregio maggiore della ricerca di Barilli : il suo legame con l'esperienza dell'Informale (così chiaro
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e stringente da rappresentare molto di più che un'occasione critica o un felice incontro tra una teoria estetica e un momento emergente dell'arte contemporanea) mentre le assicura concretezza e pregnanza di riferimenti, fa avver tire anche l'esigenza di una verifica a più largo raggio nel campo dell'arte non solo contemporanea. VITALIANO CORBI
1 Ci rendiamo ben conto che questa affermazione coinvolge il problema controverso del materialismo e dell'idealismo di Dewey. Potremmo opporre a questo proposito citazioni di senso contrastante: è forse qui il carattere trascendentale del pensiero deweyiano? Fran camente non riteniamo che la nozione di trascendentale debba tra dursi nel moto pendolare tra l'affermazione della priorità cronologica e ontologica della natura rispetto alla conoscenza e all'esperienza umana, e quella dell'impossibilità per l'uomo di uscire dal cerchio dell'esperienza. 2 Riteniamo che ciò sia sostenibile anche fuori della teoria psi cologica dell'associazionismo, cui è storicamente connessa la gnoseo logia empirista. Il modo in cui si compie la stratificazione delle abi tudini e il modo in cui queste operano a priori rispetto alle espe rienze successive non ci sembra determinante ai fini del problema cui accenniamo. s V. SALTINI, Spiritualisti in. vena di mondanità, in e l'Espresso> 28 marzo 965. 4 R. BARILLI, L'Informale e altri studi di a-rte contempo-ranea, Scheiwiller, Milano 1964. 11 Ibidem, p. 40.
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