Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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E.dizioni e Il centro >
I criteri di valutazione dell'arte contemporanea
A. Boatto E. Crispolti M. Fagiolo O. Ferrari E. Garroni G. Gatt C. Maltese G. Marchiori F. Menna
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Una politica culturale per i socialisti
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Il visual design
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Pareri sulla IX Quadriennale
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Libri, riviste e mostre
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Urbano Cardarelli, Renato De Fusco, Luciana De Rosa, Cesare De Seta, Niclo Palmieri, Gino Palomba, Italo Proz.zillo, Maria Luisa Scalvini, Renata Schisano, Lucio Tesauro.
I criteri di valutazione dell'arte contemporanea
Il problema del valore e delle valutazioni, la loro traduzione in criteri di giudizio per l'arte contemporanea, sono temi assai ricorrenti nell'attuale dibattito critico. Del valore e delle valutazioni si sono occupati gli studiosi di estetica, ma purtroppo con esiti che non hanno raggiunto ed influenzato la critica militante,· il settore cioè dov'è maggiormente viva l'esigenza di definire dei criteri di giudizio. Pertanto, pur riconoscendo al campo dell'estetica il compito di proporre e formulare nuovi principi di valore, è necessario che questi non abbiano carattere ontologico ma metodologico per la critica, e, riconosciuto il legame di questa con le poetiche e con la vita stessa dell'arte, per l'intera sfera dell'interesse artistico. Si parla di formulare nuovi schemi per il giudizio, ade renti ad un'arte problematica come quella attuale; di nuovi modi di valutazione; di arte come modello di valore, di arte come sinonimo stesso di valore, etc. Ora, poiché la gran parte degli studiosi di estetica impegnati in tale ricerca concorda nel giudicare valori e valutazioni jn senso non sistematico ma empirico, ci sembra legittimo da parte della critica d'arte affrontare questi problemi partendo proprio dai criteri di giudizio. La relazione tra criteri e valori, l'indicazione e l'ordinamento di tali criteri, la loro sto-
5
ricità
costituiscono gli argomenti della presente rassegna
che, è inutile dirlo, non pretende di essere una sistema zione, né un'esauriente documento informativo, ma di porre il problema al livello della critica in modo almeno quanti tativamente più consistente di quanto avviene altrove con i ricorrenti e semplici enunciati. Quali sono dunque i criteri di valutazione, o meglio di
approccio,
della
critica
all'arte contemporanea?
Co
minciamo col considerare quelli che sono criteri totalmente o parzialmente scaduti. Il legato illuministico, la traspo sizione dell'arte dal piano della trascendenza a quello della contingenza, l'assegnazione all'arte di una funzione socia le, implicano molte rinunce : si esigeva il divorzio del l'arte dal genio, l'abbandono del • capolavoro • che impone d'autorità una concezione del mondo e afferma categori camente un principio o un sistema. Quando si nega l'esi stenza di un valore comune all'arte e al cosmo (il bello), il capolavoro di portata universale diventa assurdo, ana• cronistico; quando si afferma il valore della qualità (ch'è soltanto dell'arte e non della natura) e lo si ripone tutto nel fare dell'artista, il destino del genio, come creatore di
concezioni o di sistemi universali, è segnato 1• Cosicché, secondo questa diffusa concezione dell'arte moderna, in essa viene messa in crisi l'idea della natura come valore, e viene negato il e bello > come criterio di giudizio este tico, anche nel senso di bello come sinonimo di espres sione, peraltro non facilmente verificabile. Quali criteri hanno di fatto sostituito tutti quelli - la mimèsi, l'armonia, l'ordine, etc. - che si riferivano alla natura e al e bello > come valori? Dalla crisi dei grandi valori, l'arte ha perseguito dei fini di tipo sociologico, nel l'accezione più vasta del termine, ossia con delle compo nenti di ordine pragmatico, psicologico, scientifico, tecno logico, informativo-comunicativo, etc.; 6
fini che presso la
critica sono diventati altrettanti criteri di giudizio.
Il sostegno metodologico di questo atteggiamento im manente dell'arte (o meglio della gran parte delle poe tiche contemporanee, il cui riferimento è forse il più usato criterio per giudicare un'opera singola) e della critica, si trova nella più recente estetica americana. Il fondo co mune dell'estetica americana, scrive Morpurgo-Tagliabue, si avverte più palese che altrove presso gli scrittori natu.1 ralisti (Santayana, Dewey, Whitehead), e sta nel concetto di valore, e quindi di funzione dell'arte, come accordo di interessi, conciliazione di impulsi, integrazione unitaria di esperienze; ossia in un ideale di moralità antirestrit tiva... :t il problema del valore, e quindi in sostanza del perché dell'arte, quello che sta al fondo di tutta questa indagine: la natura di questo empirismo è assiologica. Tutto il contrario di ciò che si può riscontrare nelle più diffuse correnti dell'estetica europea. Ciò non vale sol tanto per la corrente naturalistica, empirica o organica, che abbiamo considerato finora, ma anche per quella se mantica più recente, la quale opera con diverso metodo · ma con non diversa mentalità 2• In particolare il pensiero di Dewey, pur senza appor tare un tangibile contributo alla formulazione di nuovi criteri, pone il problema delle valutazioni sia in senso estetico che etico. In Art as Experience, che è del 1934, egli scrive: Si dice che l'apprezzamento si eserciti sui va lori e si suppone che la critica sia un processo di valu tazione. Naturalmente in questa concezione c'è del vero... tuttavia, se la ricerca è sincera e documentata, quando viene intrapresa non si occupa di valori, ma delle pro prietà oggettive dell'oggetto in esame,.. Si tratta di una ispezione. Ma le ispezioni, anche se puramente descrittive, necessitano di adeguati criteri. Se non esistono termini di confronto (nel senso di unità di misura) per le opere. d'arte e perciò nemmeno per la critica, esistono nondimeno criteri di giudizio, tali che la critica non cada nel campo 7
del puro impressionismo... Ma tali criteri non sono regole o prescrizioni. Sono il risultato di uno sforzo per indivi duare ciò che un'opera d'arte è in quanto esperienza: il genere di esperienza che la costituisce 3• La questione sem bra chiarirsi nel saggio Theory of Valuation, scritto nel 1939 per la International Encyclopedia of Unified Science, nel quale il problema del valore è visto essenzialmente nei suoi aspetti morali. In esso ritroviamo, per quanto ci compete, l'affermazione del carattere immanente dei valori e delle valutazioni. La nozione che le valutazioni non esi stono nella realtà empirica e che perciò le concezioni del valore debbono venir desunte da una sorgente posta fuori dell'esperienza, è una delle più strane credenze che la mente dell'uomo abbia mai accolto. Gli esseri umani sono continuamente impegnati nelle valutazioni, che a loro volta forniscono il materiale principale per le operazioni di ulteriore valutazione e per la teoria generale della va lutazione. Passando ai criteri di valutazione, pur senza · definirli - in coerenza con la sua impostazione filosofica Dewey afferma il riconoscimento che l'esperienza passata, quando sia dovutamente analizzata ed ordinata, è la sola guida che si abbia nell'esperienza futura. E più oltre: in base alla continuità delle attività umane personali ed ac cessorie, la portata delle valutazioni presenti non può essere validamente stabilita fino a che esse non sono inserite e viste nella prospettiva dei passati eventi di va lutazione con i quali sono continue. Senza di ciò, la. pro spettiva futura, cioè le conseguenze delle presenti e nuo ve valutazioni, è indefinita t. Certamente quello della continuità storica e di uno storico relativismo è un criterio di giudizio utile, lega la valutazione al concreto dell'esperienza umana liberata da posizioni aprioristiche; tuttavia da solo non basta in vista di esperienze, com'è quella dell'arte moderna, che for8 mulano inedite questioni di principio, mostrano nuove fun-
zioni, si esauriscono, almeno nei loro aspetti culturali, in tempi assai brevi. Oltre quello storico-pragmatico, un criterio di giudi zio tra i più ricorrenti nella critica militante è il confron to di ciascuna opera o gruppo di opere alle rispettive poe tiche. La poetica - scrive Anceschi - rappresenta la ri flessione che gli artisti e i poeti esercitano sul loro fare indicandone i sistemi tecnici, le norme operative, le mo ralità, gli ideali. Come quella delle filosofie dogmatiche, anche tale riflessione pretende di presentarsi sempre come universale, assoluta, esclusiva, ma siffatto modo di sentire corrisponde al tono di necessaria assolutezza ed esclusi vità proprie all'azione, al gesto di scelta, ogni volta che si fa 5• Come si vede il formulare o l'aderire ad una poetica offre numerose indicazioni di comportamento per l'attività artistica; la maggiore o minore fedeltà a queste norme fornisce a sua volta materiale per il giudizio critico. Sulla relatività dei criteri di giudizio, I. A. Richards ha scritto che la poesia può essere di diverse specie, e che le specie diverse debbono essere giudicate secondo prin cipi diversi. V'è una specie di poesia nel giudizio della quale entrano direttamente ed essenzialmente certi fini ulteriori; una . specie di poesia il cui valore è in parte derivabile direttamente dal valore dei fini ad essa con nessi. Vi sono altre specie, con le quali i fini ulteriori non hanno niente a che vedere, e vi sono ancora altre specie il cui valore può essere diminuito dall'intrusione di fini il cui valore è relativamente misero 6• D'altra parte le poetiche, che sono state definite e lo storicizzabile della poesia >, hanno avuto il merito; na scendo o sviluppandosi da apporti di più persone, di as sorbire e filtrare idee ed esperienze di altri campi (come avremo modo di notare a proposito dei criteri di giudizio ricavabili dalla scienza, dalla tecnologia e dalla sociologia) per cui,• superata la fase formativa di ciascuna poetica, que- 9
ste diventano permeabili alla gran parte delle idee del nostro tempo, e giungono quindi a confondersi tra loro, co stringendo nuovamente il critico a cambiare i suoi criteri. Senza voler specificare i criteri corrispondenti ad ogni poetica, è necessario accennare almeno a quelli che pre siedono alla corrente che dall'astrattismo-costruttivismo si è svolta in continuità fino ad oggi con le ricerche ottico cinetiche. Com'è noto, il sostegno metodologico di questo settore artistico è quello del formalismo critico, della visi bilità, con relative estensioni ed applicazioni didattiche, del gestaltismo, etc. Uno dei criteri fondamentali del pensiero formalista è quello del valore, della bellezza, come rapporto di elementi; elementi liberi da significanze eteronome e rivolti essenzialmente alla loro funzione di parti costitu tive della forma. Questa,. svincolata dalla funzione rap presentativa, dal significare un altro da sé, rimanda il suo valore e significato alla sua interna struttura, al suo co stitutivo rapporto di elementi che, quali criterio di giu dizio, conferiranno alla forma numerosi attributi: forma gradevole, chiara, significante, ordinatrice, pregnante e si mili. Nonostante questi attributi, più o meno precisi, ri chiesti dalla forma, il problema del giudizio rimane aperto, almeno nella prima versione della critica visibilistica. Fied ler infatti scriveva: il giudizio deve assolutamente evitare di costituirsi un codice di leggi prefisse aile quali i fe nomeni artistici debbano assoggettarsi. La comprensione segue sempre e mai può precedere l'opera dell'artista e non può sapere in anticipo quale sarà il compito che le imporrà la futura attività artistica degli uomini. Ogni ri sultato raggiunto diventa un limite all'ulteriore compren sione, quando assume un carattere di definitività e si cristallizza in una norma o in una sentenza 7• Donde la esigenza di formulare sì dei criteri - di necessità, di chia rezza, di produttività, etc. - ma al tempo stesso di consi10
derarli tanto inclusivi, dilatabili e persino ambigui, da
evitare una normatività smentita poi dal divenire della fenomenologia artistica. Cosicché se i criteri della scuola visibilistica, per la loro liberalità, hanno sgombrato il cam po da residui contenutistici, letterari, in una parola ete ronomi all'immagine visiva, al tempo stesso mostrando�i alieni da ogni normativa non offrono un sufficiente margine di verificabilità. Si ricorre allora, per sostenere la stessa poetica co struttivo-concretista,
ai
principi
e
criteri
dedotti
dalla
scienza, in particolare dalla psicologia, contro la quale si appuntavano le critiche dei filosofi da Husserl a Cassirer fino a Panofsky In
f alla
particolare,
la
Langer. psicologia
della
Gestalt - della
quale ci siamo occupati nelle sue relazioni con le poetiche figurative nel n. 2 della nostra rivista - sembra fornire alcuni principi tra i più adatti alla comprensione e al giu dizio di un vasto settore della moderna arte figurativa. Essi sono ormai ampiamente noti: ogni percezione ha carattere formale, questa forma ha una sua· strutturazione globale ed è governata da proprie leggi interne; essa inoltre pos siede una pregnanza, ossia tende alla migliore organizza zione consentita dalle condizioni date. Da questi assunti fondamentali si deducono una serie di corollari: la legge dell'eguaglianza, della vicinanza, della forma chiusa, della curva buona, del movimento comune etc., che in sostan za producono, come criteri di approccio estetico, la rego larità, l'omogeneità, la chiarezza visiva, la semplicità, etc. L'importanza della Gestaltpsychologie in campo cri tico-estetico e la congenialità delle sue formule con la ri cerca formativa dell'arte contemporanea sono fuori discus sione. Come pure è indiscussa l'utilità di alcune sue leggi adoperate come criteri di approccio e di valutazione del l'arte contemporanea. Tuttavia quel rigore, quel senso di obiettività, quella funzione di verifica che era legittimo ri chiedere ad una esperienza scie�tifica, non sempre, a no-
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stro avviso, risolvono i problemi di valutazione di cui ci occupiamo. Infatti al primitivo rigore, al primitivo ca rattere oggettivo della forma, a quel suo strutturalismo ap prezzabile da tutti indipendentemente dalle condizioni con tingenti e dai livelli dì cultura, sono stati sostituiti all'in terno della stessa teoria principi - come quello dell'isomor fismo e dell'esperienza - che, sia pure sviluppandola, le dono il carattere schematico che sembrava essere parti colarmente utile alla formulazione dei nostri criteri. Per non parlare delle più complesse implicazioni prodotte dalla formulazione di una Gestalttheorie dalla Gestaltpsycholo gie. In effetti anche il ricorso alla scienza non risolve suf ficientemente il problema dei criteri per i giudizi di valore. In tal senso, poche testimonianze potrebbero essere più significative dì quella fornita da Einstein, quando afferma che i principi decisivi e necessari alle nostre azioni e ai nostri giudizi di valore non possono essere dedotti se guendo la sola via scientifica. Il metodo scientifico non può insegnarci altro che l'intelligenza concettuale delle reciproche relazioni tra i fatti... è chiaro che nessun cam mino porta dalla conoscenza di ciò che è alla conoscenza di ciò che dovrebbe essere. Qualunque sia la chiarezza, la perfezione, delle nostre cognizioni sull'esistenza pre sente, non potrebbe esserne dedotto nessun fine per le nostre aspirazioni umane... La ragione ci insegna l'inter dipendenza tra i fini e i valori. Quello che il pensiero non può dare da solo sono i fini ultimi, i più essenziali, secondo cui si orientano i secondari... I principi essen ziali delle nostre aspirazioni e del nitro apprezzamento dei valori ci sono dati dalla _ tradizion:è- ieligiosa del giu deo-cristianesimo 8• Ritornando alla psicologia della Gestalt, questa nella sua edizione più recente si guarda bene dal formulare leg12 gi, anzi si preoccupa di rendere le vecchie più duttili ed
inclusive. Ancora una volta lo spettro, legittimo, del dog matismo impone di lasciare ogni porta bene aperta, consi glia un possibilismo liberistico che non giova certo alla formulazione di nuovi criteri, magari provvisori e stru mentali, ma certo non ulteriormente dilazionabili. Tuttavia gli aspetti più radicali dell'arte d'oggi, men tre non consentono alcuna stabilizzazione di valori, al tem po stesso impongono l'urgenza, per sopravvivere, del giu dizio. Parlando dell' esperienza dell' arte contemporanea, Morpurgo-Tagliabue scrive: Non vi è bisogno di segna lare il fatto che ormai, bene o male che sia, il problema dell'arte non è più il problema dell'artista, come era stato negli ultimi due secoli. Non è più il problema dell'espn mere né psicologico né trascendentale (esprimere sé, le proprie emozioni, le proprie impressioni, i propri pen sieri, o la propria capacità conoscitiva, la propria strut tura, a priori). Non è più il problema del significare, ma del fornire cose significative. Tanta fortuna ha avuto quin di la formula un po' vuota di significant form. Cose si gnificative per il pubblico; l'artista è fuori causa. Offrire (non necessariamente comunicaTe) modelli che possano non tanto incontrare I' • adesione • del pubblico quanto ottenere la • adozione • dal pubblico, e che possano ve nire « adoperati » dal pubblico... anche la pittura, la scul tura, la musica d'avanguardia, ripetono oggi, ad un estre mo opposto, lo stesso atteggiamento sano e neutro delle . arti di massa. Per le quali non esiste il problema dell'ar tista (sono arti che circolano per lo più anonime, e spesso sono arti collettive), ma esiste quello del pubblico; quello appunto del giudizio... In questione non è più l'emozione e nemmeno l'operazione dell'artista, ma semplicemente la reazione del pubblico. Non che cosa ha inteso, provato e voluto l'artista, ma che cosa un pezzo artistico fa pen sare al pubblico. II problema ritorna ad essere quello del conoscere o subire, quello della fruizione estetica, cioè
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del giudizio 9• Pur consentendo con la gran parte delle sud dette constatazioni, ci sembra necessario distinguere una parte della produzione artistica che opera in conformità dei modi sopra descritti, ed un'altra che sembra opporsi a questa funzione di mero servizio sociologico; ma senza vo ler riproporre la solita polarità tra tendenza costruttivista e tendenza espressionista prendendo partito per questa o per quella, di fatto la crisi del rapporto arte-società sta proprio nella contraddizione dei mezzi coi fini, nel troppo rapido consumo dei criteri di giudizio, nell'indeterminazione stessa dei valori. È vero che il filone più cospicuo ha mi rato, e ancora tende - dal cubismo alla Bauhaus, fino alle più recenti tendenze necostruttiviste - ad un fine sociologico, al fornire forme che andavano utilizzate più che contemplate; ma di fatto i mezzi per attuare tale pro gramma sono stati inefficaci al confronto di quelli ela borati spontaneamente dall'industria e dal gusto di mas sa. Quel sottile valore pedagogico, proveniente dall'este tica formalista, quel gusto calvinista tendente ad esaltare una visione chiara, ordinata e produttiva (tutti criteri di giudizio, come s'è detto, per le opere di questa tendenza), non hanno ancora conquistato la maggioranza, attratta da ben più tangibili e grossolani valori. Difetto di comunica zione dunque, allo stesso modo delle altre tendenze espres sionistiche che affidano il loro messaggio di contestazione, di protesta, o di attonita sospensione della realtà, ad un · linguaggio incomprensibile alla maggioranza nonostante i prelievi materiali e la reificazione delle immagini. Crisi semantica in quanto crisi dei valori e viceversa. Secondo Richards non si può attribuire un valore estetico ad una poesia se non s'è riconosciuta anzitutto la sua qualità semantica, a differenza di quelli che so stengono il carattere ermetico, non significante della poe sia, che non deve dire niente o avere altro impegno che 14
il nascondere
10•
Ma la sede di una tale semanticità è da
ritrovare nella sfera emozionale e non in quella intellet tiva. Infatti per Richards un'esperienza dotata di valore è. tale in quanto soddisfa le appetizioni nate da impulsi, senza tuttavia frustrare impulsi più importanti. Il compito del l'artista è di registrare e perpetuare le esperienze che gli appaiono più desiderabili e degne... Le sue esperienze, o almeno quelle che conferiscono valore al suo lavoro, rap presentano conciliazioni di impulsi che nella maggioranza delle altre menti sono ancora confusi, intricati e in con flitto. Il suo lavoro consiste nell'ordinare ciò che nella maggior parte delle altre menti è disordinato... quando egli riesce nel suo intento, il valore dei risultati ottenuti consiste sempre in una organizzazione più perfetta, che gli consente di sfruttare al massimo le possibilità di ri spondere alle sollecitazioni dell'esperienza. Non si capirà mai cosa sia il valore, e in quali esperienze esso mag giormente risieda, finché si continua a pensare nei ter mini di quelle grandi astrazioni che sono le virtù e i vizi 11• Pertanto, a parte ogni valutazione moralistica, Richards in sede artistica fa coincidere buono e bello poiché - per dirla con Morpurgo-Tagliabue - e Bellezza» è la capa cità di produrre... armonia tra opposti impulsi: attitudine che Richards definisce synaesthesis. Questo equilibrio di impulsi contrari provoca una loro neutralizzazione che costituisce il cosidetto «disinteresse» estetico 12• L'inte resse dell'opera di Richards nell'ambito del nostro tema sta quindi non solo nelle formulazioni qui ricordate, ma nel suo ruolo di fondatore dell'estetica semantica. In Morris, come in Richards, l'arte è considerata di scorso non referenziale, cioè non costitutivo di relazioni tra segni e oggetti denotati, com'è al contrario il discorso scientifico. Perfezionandosi in un rapporto segno-significato, il discorso estetico si differenzia anche dal discorso co siddetto e tecnologico >, che prescrive un determinato com- 15
portamento volto ad un fine. Com'è noto, Morris fa corri spondere al discorso scientifico la dimensione semantica, al discorso artistico la dimensione sintattica, al discorso tec nologico la dimensione pragmatica; ma più tardi introdurrà una quarta dimensione, quella formativa propria del di scorso logico-matematico, cosicché il discorso estetico rien trerà in un'altra dimensione, quella apprezzativa. In Aesthetics a.nd the Theory of Signs, del 1939, l'opera d'arte è vista come un segno risultante da una struttura di segni, che ha in se stessa le proprietà degli oggetti de notati. Perciò Morris la fa rientrare nella famiglia dei segni iconici, o e iconi > • Infatti, egli dice, un segno caratterizzante caratterizza ciò che può denotare. Ma quando ciò avviene per il fatto che il segno mostra in se stesso le proprietà che un og getto deve avere per essere denotato, chiamiamo il segno • icone •; altrimenti lo chiameremo • simbolo ». Una foto grafia, un modello, un diagramma chimico sono iconi, mentre la parola "' fotografia •, i nomi degli elementi chimici sono simboli. La regola semantica, aggiunge Mor ris, per l'impiego di un'icone è che questa denota un og getto avente le caratteristiche possedute dall'icone stessa 13• La differenza specifica dell'icone artistica consiste nel de signare un valore. Il segno estetico è un segno iconico la cui designazione è un valore... Il valore che designa è in globato nell'opera stessa... Nelle opere d'arte uomini e donne hanno incorporato la loro esperienza del valore, e queste esperienze sono comunicabili a_ quelli che per cepiscono il medium formato 14• L'idea della significatività come proprietà oggettiva dell'opera d'arte nasce proprio dal fatto che questa non media i designati in modo convenzionale, ma in certo modo è segno di se stessa. L'opera si presenta quindi dinanzi all'interprete come una struttura segnica complessa, un 16
intenso tessuto di riferimenti (per la presenza anche di
segni non-iconici). L'interprete percorrerà un cammino, per
così dire, da alcune parti dell'opera ad altre, assumendone qualcuna come segno cli un'altra, per giungere così ad una risposta globale, corrispondente a quella che Morris defi nisce icone totale. Per Morris, osserva Morpurgo-Tagliabue, l'arte non mira a presentare le cose, ma i valori delle cose, o, meglio ancora, una risultante di valore 15- Esatta ci sembra quin di la considerazione di Rossi-Lancli 16, che nel quadro di una concezione comportamentistica, i termini che indicano valori (bello, buono) non possono essere spiegati in fun zione del solo oggetto (teoria oggettivistica) o del solo soggetto (teoria soggettivistica), ma debbono essere con siderati in funzione sia dell'uno che dell'altro, nel modo che Morris chiama • oggettivamente relativistico •· Cosic ché la tesi di Morris è che i suddetti termini significano oggetti in quanto capaci di soddisfare i bisogni dei loro in terpreti; dove bisogno va inteso, genericamente, come ten denza o prontezza verso un comportamento preferenziale 11• Ma una volta determinato il discorso artistico come presentativo di valori, ciò che resta indeterminata è proprio la natura degli specifici valori, secondo l'auto-limitazione che Morris stesso impone alla semiotica. La semiotica non è una « teoria sul valore •; e se si occupa dei • giudizi di valore • è soltanto per analizzare i tipi di segni che in tervengono in questi giudizi... Ai fini della semiotica im porta solo determinare se un termine come • buono • sia apprezzativo, designativo o prescrittivo 18• Circa l'opera d'arte è -quindi al critico che Morris demanda la responsabilità del giudizio estetico, ma ciò che al critico non dà è proprio un criterio unico per il rilievo dei valori. Egli lo abbandona alle soglie del problema di cendogli in sostanza che è valore ciò che è preferito e apprezzato come tale, limitandosi così di fatto ad una casistica pragmatica di scelte preferenziali. Di tale limite
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è peraltro consapevole lo stesso Morris, quando afferma: anche senza pretendere che preferenze e valori siano la stessa cosa, è possibile sostenere che l'assiologia, conce pita come studio del comportamento preferenziale, è uno studio di valori. Non sono personalmente informato di al tre vie per studiare i valori19• Nel sèttore delle arti figurative, seguendo il nostro schema che fa corrispondere alcuni criteri di giudizio este tico · ad altrettante poetiche e quindi alla reale esperienza del fare artistico, riteniamo che l'aver avvertito la stessa esigenza di un ricupero semantico sia tra gli aspetti più significativi e tuttora validi del realismo, e delle tendenze più recenti che ad esso si richiamano. In analogia alla scuola semantica americana, ma in contrapposizione al carattere emozionale in essa prevalen temente attribuito al discorso poetico (in particolare da Richards), Galvano della Volpe afferma il carattere intel lettivo del discorso poetico stesso. Egli infatti critica i con cetti di e intuizione > e di e immagine >, quali li ha tra mandati l'eredità romantica e _del misticismo estetico; e in particolare sottolinea i! primo carattere permanente, reale, obiettivo, posseduto dalle • immagini •: cioè che esse sono inseparabili da quei loro veicoli che sono in sieme - in quanto strumenti semantici - veicoli di con cetti: le parole 20• In questa comune dimensione concettuale, discorso scientifico e discorso poetico trovano la loro specifica • dif ferenziazione nella organizzazione tecnica dei rispettivi linguaggi: omùcontestuale il primo, contestuale organico il secondo. Mentre quindi nel campo scientifico il criterio di valore coincide con la eteroverificabilità, nel · campo arti stico tale criterio si lega al carattere e organico > di quella semanticità; semantici� che per Della Volpe si differenzia in tecniche specifiche per ogni singola arte. Per quest'ul18 •
timo punto in particolare, della Volpe si differenzia dagli
altri esponenti dell'estetica marxista. Per della Volpe in fatti non è ammissibile una iscrizione, uniforme e però astratta, dell'arte nella sovrastruttura come quella finora concepita dal marxismo corrente, che crede di non vedere e quindi di poter trascurare la diversità delle tecniche artistiche, dovuta alla diversità strutturale dei segni 21 , I criteri di valutazione che Lukàcs propone sono quel li del rispecchiamento della realtà e della tipicità. L'opera di creazione artistica - egli dice - in quanto costituisce una forma del rispecchi;imento del mondo esterno nella coscienza umana, fa parte della teoria generale della �o noscenza, professata dal materialismo dialettico 22, Come la realtà presenta diversi gradi, con elementi marginali e tendenze più profonde, così la vera arte aspira allo scavo in profondità e alla massima comprensione. Aspira a co gliere la vita nella sua totalità onnicomprensiva, non isola i momenti essenziali da quelli fenomenici, ma li rappre senta nella loro costante e reciproca interazione. L'arte vera pertanto fornisce sempre un quadro d'insieme, totale, della vita umana, rappresentandola nel suo movimento e nel suo dispiegarsi- (pp. 228-229). Una delle più importanti categorie di questa sintesi artistica, secondo Lukàcs, è quella del « tipo >, inteso però né nel senso astratto della tragedia classica, né in quello veristico della letteratura zoliana (la media). Il tipo, af ferma appunto Lukàcs, viene caratterizzato dal fatto che in esso co6vergono nella loro contraddittoria unità tutti i tratti salienti di quella unità dinamica, in cui la vera letteratura .rispecchia la vita; dal fatto che in esso tutte queste contraddizioni, le più 'importanti contraddizioni sociali, morali e psicologiche di un'epoca, si intrecciano in vivente unità (p. 229). Cosicché, i criteri di rispec chiamento e di tipicità, tra loro connessi, non· compor tano che l'opera d'arte abbia valore in quanto riprodu-. zione meccanica della vita quotidiana. Anche il più stra-
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vagante giuoco della fantasia poetica, la fantasticheria più spinta, sono pienamente conciliabili con la concezione marxista del realismo, purché l'essenza della realtà indi viduata dall'artista non sia rappresentata astrattamente, ma come essenza di fenomeni della vita ognora fervida. (p. 230). La critica alla concezione idealistica dell'arte come e atto intuitivo puro>, ed ai relativi criteri di valuta zione, costituisce un comune punto di partenza di con cezioni estetiche anche tra loro dissimili, quali sono ad esempio il citato storicismo marxista e i più recenti svi luppi dell'estetica spiritualista. Rappresentativa di questa tendenza, e di particolare importanza per il nostro discorso sulle valutazioni della critica, è l'opera di Felice Battaglia,
n
valore estetico. In
essa la trascendenza caratterizza l'inesauribilità del valore rispetto all'opera, e quindi alla vita e al mondo che vi concorrono nell'apprestata materia; l'eccedenza del valore che rimanda ad altro oltre ciò che si definisce è il se greto ontologico di questo come di ogni altro spirituale processo 23• La non esauribilità del valore è l'aspetto peculiare del l'opera d'arte, destinata per ci6 ad essere « incompiuta>, ed è anche alla radice di una poss�bilita di esercizio della critica. L'arte infatti, secondo Battaglia, costituisce un tentativo e so lo un tentativo, come tentativi sono tutte le operazioni uma ne, se incontrano un limite e lasciano un residuo, se sempre sono superate da un valore... Condizionata dunque nelle più varie situazioni umane, l'arte tenta di emanciparsene formalmente, in quanto reca in atto un valore; ma in feriore rispetto al Valore, in definitiva ne dipende per quanto di spirituale e di bello può dire al mondo (p. 81). È appunto sulla presenza di tale e residuo>, che si fonda la possibilità di una valutazione; la critica nasce proprio 20
dall'avvertimento di un difetto, avvertimento che diviene
giudizio in un interveniente concetto, ma il difetto esclude appunto il capolavoro unico, il tono ineffabile. Occorre rinunciare all'estetica dell'atto intuitivo puro, della sin tesi chiusa, quale finora c'è stata presentata dell'ideali smo, e nel cui ambito, secondo l'A., il discorso critico è impossibile. (p. 76).
Nell'estetica di Battaglia, due temi fondamentali ca ratterizzano l'opera d'arte e possono quindi, ci sembra, essere assunti come criteri di valore: il primo è il citato
tema dei «residui>, il secondo - come nota anche F. Pie montese 2'
-
è quello della « tensione " implicita in ogni
opera d'arte verso il Valore che l'avvalora e insieme la supera. Altre teorie ed altri criteri di valutazione sono di rettamente legati all'esperienza della più recente arte mo derna nel suo farsi. All'esigenza di una maggiore chiarezza semantica sem bra affiancarsi uno tra i più diffusi . criteri di giudizio dell'arte
contemporanea:
quello dell'inedito
assoluto.
Il
«nuovo> come valore sembra essere confermato dall'espe rienza di tutta l'arte moderna, fornisce un criterio di giu dizio abbastanza accessibile all'occhio esperto, trova non pochi sostegni d'ordine estetico, scientifico e sociologico. Il limite di un criterio basato su questa nozione di valore sta nella difficoltà di prevederne la durata. Il più attuale sostegno
metodologico del
e nuovo>
come valore estetico è dato dalla teoria dell'informazione. Questa, scrive Dorfles, si basa essenzialmente sulla ricerca della « quantità d'informazione » presentata da un mes saggio;
informazione
che sarà tanto maggiore quanto
maggiore sarà l'improbabilità del contenuto di tale mes saggio... Secondo A. Moles, che ha dato quella che sinora è la più chiara e circostanziata descrizione della teoria informativa applicata · all'arte, l'informazione è considerata come direttamente proporzionale all'imprevedibilità,
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e quindi all'entropia; e perciò col tendere ad un'impreve dibilità massima si tende ad una situazione in cui è massima l'informazione del messaggio- Pertanto maggiore sarà l'originalità di un messaggio estetico, maggiore sarà la sua informazione, quindi maggiore sarà la sua efficacia e il suo valore, sempre che, beninteso, si ammetta l'esi stenza di un codice comune tanto all'artista quanto al fruitore, codice determinato dal quadro sociale e cultu rale comune ad entrambi. Tuttavia, nonostante l'evidenza del « nuovo> come criterio di valutazione nella gran parte della nostra letteratura critica, lo stesso Dorfles avverte l'esigenza di un fattore di valore distinto dal rapporto meccanico fra « novità > e « banalità >. Noi riteniamo cioè che, accanto all'elemento di inaspettatezza e novità che giustifica la fruizione estetica, e accanto alla spiegazione di un desiderio di • épuisement de l'oeuvre », di esau rimento dell'opera, in seguito alla ripetuta presentazione della stessa, esista in realtà un segmento dovuto essen zialmente al valore intrinseco di essa; e più avanti con clude: potremo affermare, in definitiva, come lo studio dell'elemento informativo nell'opera d'arte sia indiscuti bilmente importante ma come lo stesso elemento infor mativo non coincida necessariamente con là validità as soluta dell'opera; e come, perciò, si debba tener presente l'esistenza di due categorie artistiche distinte, a seconda della maggiore o minore importanza che in esse viene ad assumere la presenza d'una precipua capacità informa tiva 25• Il criterio del «nuovo> deriva a sua volta da un altro attributo, quello di «unicità>. Il carattere unico del l'oggetto estetico - scrive Morpurgo-Tagliabue - può es sere il risultato di una lunga serie di tentativi, il cam- ' pione perfetto di una teoria di .esemplari, che emerge dall'insieme e scredita gli esemplari somiglianti e costi22 tuisce una classe a sé. Più avanti lo stesso Autore pro-
segue: Il concetto del • nuovo», del diverso, è implicito infatti analiticamente nel concetto dell'unico: così pure la « forma », l'unità, la compiutezza, sulla quale insiste molta critica visibilistica, fenomenologica, Gestaltica. L'alterità che isola l'oggetto unico dall'ambiente, lo fa unitario, lo costituisce come forma autonoma, e insieme come • no vità», meraviglia, «incanto» 26• Ovviamente, non ogni forma unica è artistica. Lo è quando può essere precisata non in una dimensione strut turale ma solo in una dimensione modale: è il senso obbligante, è l'anankàion, è la paradigmaticità, il privi legio assiologico che distingue quell'oggetto (p. 31). La nozione di paradigma, ossia di matrice per altri esemplari, è quella che qualifica l'unicità artistica. Quando Burri inserisce sulla superficie colorata pezze di sacco, conta non tanto di dare una trovata nuova e strana, contingente, quanto di produrre un effetto che possa aprire un nuovo apprezzamento necessario del rap porto disarmonico vernice-tessitura, cioè la regola di un nuovo valore pittorico. Al termine stesso " trovata » è . legato di solito non solo il senso di inedito, di nuovo e opportuno, ma di ciò che • fa epoca», di un espediente che apre una possibilità e diventa norma: di fattore • pa radigma »... L'unico e il nuovo puramente di fatto, · con tingenti, non fanno né unico né nuovo: ciò che è tale, lo è soltanto se normativo. Rilevato che istintivamente questa nozione è nota e sentita dagli artisti, e che la ipertrofia di modelli paradigmatici porta al rapido con sumo dei loro valori, Morpurgo-Tagliabue osserva: il gusto odierno, infastidito di ogni resa realistica e di ogni finito, inclina allo schizzo e alla macchia; chiede all'artista sol tanto • un'indicazione, un suggerimento, una norma . del vedere. Gli artisti forniscono non opere per le quali abbia ancora un senso effettivo la nozione di forma, di com piutezza, di riuscita (se non nel senso traslato in cui è
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riuscito un gesto efficace), ma tests pittorici che sono comandi e istruzioni. La funzione paradigmatica dell'arte è così portata al limite. A conferire questo carattere paradigmatico all'opera è, però, il gusto. Solo in questo caso un'opera d'arte, ogni opera d'arte, è una matrice di ripetizioni, di interpreta zioni, di evocazioni, di memorie, di combinazioni, di tutta un'esperienza futura segnata dalla sua impronta. La scel ta, l'apprezzamento del lettore è questa investitura. :t artistico ciò che viene scelto, in quanto viene scelto come paradigma, come un • preferibile obbligatorio "· Poiché come ogni valore la paradigmaticità è un atto soggettivo, una funzione della scelta, ma anche un indi viduo norma a se stesso, compito della critica è, secondo Morpurgo-Tagliabue, giudicare un'opera o un suo epi sodio con il criterio singolare che essa propone... Quel meta-confronto eccezionale in cui consiste l'operazione del giudizio critico, è il riferimento dell'opera alla vi sione paradigmatica che essa stessa propone. Inoltre, se abbiamo ben compreso questo denso pas saggio, per il rapporto tra il gusto che presiede alla scelta e conferisce valore, senso di necessità a quell'attributo paradigmatico, e il giudizio critico che si distingue dal gusto in quanto è un'analisi, un verificare se l'opera d'arte corrisponde o meno al suo proprio criterio, non si dà proposizione (critica) senza modalità, e ogni modalità im plica un valore, la soddisfazione di una esigenza; neces sità, possibilità, certezza, 'sono valori, disposizioni affetti ve; non vi è enunciato senza modalità, e non vi è quindi enunciato senza valore (formale)... Nel giudizio critico si sviluppa pertanto un massimo di constatazioni di fatto, che è un massimo di dichiarazione di valore. A questo punto, ci sembra coincidere una critica fenomenologico descrittiva con una critica assiologica. Infine, giudicare un'opera d'arte, ossia operare un con-
fronto del suo effettuarsi modale in relazione alle scelte e ai criteri ch'essa stessa instaura come modello paradigmatico, significa controllare il suo effetto immediato di adesione e di scelta con il suo processo operativo... Misurare l'opera alla propria regola è confrontare l'opera con l' « opera •: l'opera strumento, capacità stilistica, articolazione di mo tivi... e l' « opera • intuizione unitaria, insieme paradig matico, sigla di una inesauribile possibilità di esperienze mentali, norma della nostra immaginazione, della quale ci troviamo imprevedutamente sudditi. Nella critica di impostazione sociologica, il concetto di paradigmaticità - in particolare nella formulazione di Argan - trova il suo termine omologo nella nozione di «progetto>: ... l'operazione progettistica dell'arte è, ad un tempo, critica, rettifica e modello del comune operare e, oggi, dell'operare tecnologico dell'industria e della preor dinata serialità dei suoi atti; la funzione essenziale del l'arte dovrebbe essere di ridurre questa serialità ad una successione intenzionata 27• Parallelamente, al criterio di valore costituito dalla unicità fa riscontro la proposta di un criterio nuovo, fon dato sul concetto di quantità come concetto di valore, poiché la quantità prende, nella gerarchia dei valori, il posto della qualità. Infatti, con la rivoluzione industriale e il porsi del problema del design, sostituendo al « feti cismo del prodotto o della merce ,. il feticismo del pro getto, del « design •, quel « bello • cesserà... di essere uni co e irripetibile e varrà, invece, proprio per la sua in finita ripetibilità, cioè per la sua illimitata, livellatrice espansione in tutta la sfera sociale 28• Il carattere problematico, peraltro, di. questa postulata quantificazione della qualità, è indicato dallo stesso Argan quando, richiamandosi al pensiero di Lucien Blaga, af ferma che il largo cerchio della comunicazione di massa può certamente identificarsi con l'orizzonte sociologico 25
della civiltà industriale, ma allo stato delle cose è quanto mai incerto se sia l'attività artistica, o un'altra, a deter minarne l'accento assiologico 29• Dalla complessa riflessione di critica metodologica che Argan svolge, emergono come più pertinenti al nostro stu dio il fatto che, in relazione ai problemi della produzione e del consumo di massa, oggetto del giudizio critico non può più essere solo l'opera compiuta bensì anche il pro cesso del suo farsi e del suo quantificarsi; e il fatto che, analogamente, la critica non è più un giudizio a posteriori, ma un'esperienza che integra e accompagna il fare arti stico. Questa impostazione, che indubbiamente colloca in una più ampia dimensione il problema del fare e giudi care l'arte nella odierna civiltà di massa, ha tra l'altro il merito di portare il problema del valore e delle valutazioni fuori del tradizionale ambito teoretico, nel vivo dei pro blemi dell'arte e della critica contemporanee. Da quanto precede, risulta che i criteri di valuta zione esistono. Espressione, synaesthesis, iconicità, simboli cità, rispecchiamento, semanticità, gli assunti visibilistici e gestaltici, intenzionalità, tensione, progetto, paradigmaticità e le numerose regole di ogni poetica costituiscono questi principi che guidano l'approccio ed il giudizio sull'arte moderna. Tuttavia, come si � detto, essi non soddisfano che in parte le contemporanee esigenze di studio, com prensione e fruizione dell'arte che si va producendo. :t stato osservato che ciò è dovuto principalmente alla loro pluralità, al loro carattere settoriale: ciò che . vale per una specie artistica non vale per l'altra, mentre in passato i criteri valutativi corrispondevano a delle precise e comuni norme del gusto. Mentre in passato la unicità dei criteri nasceva da un fondamento prevalente mente speculativo, la pluralità dei moderni criteri nasce dall'esigenza di un fondamento operativo, Si cerca soprat26 tutto la funzionalità del criterio, più che la sua ontologia.
Non meraviglia pertanto la settorialità dei giudizi di valore, quando il problema della unicità o pluralità dell'arte ri torna costantemente in discussione nelle estetiche, la gran parte delle quali sembra oggi propendere per la peculiarità di ogni esperienza artistica. Ma una volta convinti dell'esigenza di una critica più e tecnica >, il problema delle valutazioni non è affatto ri solto. Infatti, nonostante la loro intenzione operativa e la volontà di muovere direttamente dall'esperienza artistica, i suddetti criteri valutativi dimostrano di conservare un residuo di teoreticità che ne inficia la pratica ·adozione all'esercizio quotidiano della critica. S'è perduto, in gene rale, un comune fondamento sistematico, e non s'è ancora guadagnata un'attendibile guida empirica. Essi valgono prevalentemente all'individuazione del fatto artistico più che alla sua specifica valutazione. Inoltre, il tratto comune di questi principi è quello di dare l'arte stessa come valore quando, com'è nella presente situazione culturale, questo stesso dato è posto in termini problematici, specie in senso sociologico. Tutto ciò si riflette in altrettante difficoltà per la critica militante. L'assillo del critico è quello di non lasciarsi mai sor prendere dal nuovo fenomeno artistico, di avere sempre pronta una . casistica di valori tanto ampia da comprendere e giudicare ogni nuova esperienza. Ma questo atteggia mento, in sostanza rinunciatario, non può sostenersi nella pratica. Quando tutto vale, ovviamente, non c'è valore, né è possibile alcuna valutazione; la funzione del giudizio al lora viene esercitata, nella gran parte dei casi, con criteri umorali, con spirito di parte (da non confondere con la soggettività baudelairiana), e in tanti altri modi impropri che tutti conosciamo. Quel carattere dogmatico ed apodit tico, respinto in sede estetica. e in genere metodologica, riaffiora, in mancanza di chiari criteri, nella gran parte della critica militante.
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È stato anche osservato che nella situazione presente non è addirittura possibile esprimere giudizi, ma poiché di fatto ci occupiamo ancora di arte e d i letteratura sul l'arte, è facile obiettare che il grado del nostro impegno nell'osservare e descrivere ciascun fenomeno artistico cor risponde al grado di valutazione che di esso diamo. La eccessiva disponibilità della critica incide, inoltre, sulla crisi del rapporto tra arte e società. All'ultimo Convegno di Verucchio, i temi principali riguardavano la proble matica esistenza d'un valore nelle comunicazioni prodotte dalla cultura di massa, e la funzione avvalorante dell'arte in tale processo comunicativo. Le risposte, alcune delle quali per altro verso ricche d'interesse, sono state in tal senso deludenti. In esse si ritrova il contrasto che carat terizza forse l'intera sfera della cultura artistica presente: l'esigenza di avere da un lato la più ampia capacità di ricupero e di apertura, di portare all'arte ogni esperienza teorica, scientifica, antropologica; di procedere in profondità arricchiti di nuovi fattori della conoscenza, e dall'altro di fornire schemi precisi, modelli elementari, patterns fruibili ad ogni livello di cultura, di procedere in estensione se condo le esigenze di una cultura di massa, intesa in senso democratico. Di fronte a questi due problemi, altrettanto veri e pressanti, non sono pm possibili lo specialismo, l'aseman ticità, la fruizione ad un solo livello della critica, il suo pos sibilismo che avvalora tutto e niente. È necessario quindi stabilire dei nuovi ed efficienti principi di valore, se la critica vuole avere non solo una funzione ermeneutica, ma
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intervenire "7"" com'è perfettamente legittimo - in seno al processo stesso del fare artistico, oltre che nella tradizio nale sede di giudizio. Attraverso l'istituzione di tali prin cipi di valore si contribuirà a ristabilire .un ciclo d'intesa tra artisti, critici e società, si richiameranno in giuoco forze
attuahnente escluse, che a loro volta attiveranno gli aspetti sempre dinamici di una nuova concezione del valore. I nuovi principi non potranno comprendere tutto ciò che conosciamo, lasceranno certamente dei residui, non saranno né universali né eterni, avranno sicuramente un carattere provvisorio, convenzionale e perfino strumentale, saranno posti proprio per essere contraddetti, varranno co me convenuti punti di riferimento; ma saranno ahneno una risposta ad un quesito che non si può più oltre ri mandare, comporteranno reahnente un impegno ed un ri schio, e nella coscienza della loro viva precarietà avranno forse in se stessi un valore.
1 G. C. ARGAN, La crisi dei valori. In Salvezza e caduta nell'arte Il Saggiatore, Milano Hl64, p. 33. 2 G. MoRPURGO-TAGLIABUE, Scuola critica e scuola semantica nella recente estetica americana. In « Rivista di estetica>, fase. III, 1956. 3 J. DEWEY, Arte come esperienza. La Nuova Italia, Firenze 1960, pp. 361-362. 4 J. DEWEY, Teoria della valutazione. La Nuova Italia, Firenze 1960, pp. 89-90. 5 L. .ANcESCHI, Le poetiche del novecento in Italia. In Momenti e problemi di storia dell'estetica, Marzorati, Milano 1961, p. 1584. o I. A. RICHARDS, Principles of Literary Criticism, New York, 1926, p. 77. • K. Fll:DLER, Del giudizio sulle opere d'arte figurativa. In R. SALVINI, La critica d'arte moderna, L'Arco, Firenze 1949, p. 64. 8 A. EINSTEIN, cit. in H. CuNY, Albert Einstein e la fisica moderna, Editori Riuniti, Roma 1953, pp. 134-135. o G. MoRPURGO-TAGLIABUE, Giudizio e gusto. In Il giudizio estetico, Atti del simposio di estetica, Venezia 1958. Ed. della « Rivista di este tica>, Padova. 10 G. MoRPURGO-TAGLIABUE, L'ésthétique contemporaine, Marzorati, Milano 1960, p. 226. . · 11 I. A. RICHARDS, I fondamenti della critica letteraria, Einaudi, Torino 1961, pp. 47-48. 12 G. MoRPURGO-TAGLIABUE, Scuola critica e scuola semantica nella recente estetica americana, cit. 13 CH. MoRRis, Lineamenti di una teoria dei segni, Paravia, Torino 1954, pp. 65-66. 14 CH. MoRRis, Scienza, arte e tecnologia, 15 G. MoRPURco-TAGLIABUE, ibidem. in F. Rossx-LANDI, Charles Morris, Bocca, Milano 1953, p. 220. 17 CH. MoRRis, Significance, Signification and Painting, in Science Religion and Philosophie, New York 1952, p. 56. 1s CH . MoRRis, Segni, linguaggio e comportamento, Longanesi, Milano 1963, p. 85. moderna,
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10 CH. MoRRIS, La scienza dell'uomo è scienza unificata. In e Aut aut>, n. 2. 1951. 20 G. DELLA VoLPE, Critica del gusto, Feltrinelli, Milano 1960, p. 14. 21 G. DELLA VoLPE, Linguaggi artistici e società, in « De Homine>, n. 5-6, 1963. 22 G. LuKAcs, Contributi alla storia deH'estetica, Feltrinelli, Milano 1957, p. 225. 23 F. BAlTACLIA, Il valore estetico, Morcelliana, Brescia 1963, p. 30. 24 F. PIEMONTESE, Recensione all'op. cit. In e Rivista di estetica>, fase. II, 1964. 25 G. DoRFLES , Simbolo, comunicazione, consumo , Einaudi, Torino 1962, p. 28 e segg. 20 G. MoRPURCO-TACLIA8U&, Fenomenologia del giudizio estetico. In e Rivista di estetica >, fase. I, 1963. 27 G. C. ARcAN, Progetto e destino, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 25. 28 G. C. ARcAN, Lo e Art nouveau>. In Studi e note, Bocca, Mila no 1955, p. 281. 20 G. C. ARCAN, Progetto e destino, cit. p. 38.
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Una politica culturale per i socialisti
Il numero delle precisazioni da anteporre alla presente rassegna, particolare per evidenti motivi, è maggiore delle premesse che di solito anticipano gli altri nostri articoli. L'attributo socialista, che non possiamo seguire in tutte le sue accezioni propriamente politiche, va qui inteso nel senso più ampio e riferito ai tre partiti che traggono da esso il loro nome. Per politica_ culturale (che à detta della maggioranza delle persone interpellate non esisterebbe nep pure per il più grande partito socialista italiano) intendiamo, nel nostro caso, un indirizzo generale deducibile dagli scritti apparsi sulla stampa socialista o da saggi degli stessi autori pubblicati in altra sede. In tal senso la nostra ricerca, con tutte le lacune e le omissioni prevedibili, non vuol essere una rassegna storica di questa politica culturale, ma. il ten tativo di fornire una selezione critica di quei contributi che, per la loro stessa attualità, possano servire oggi ad un'in dagine di politica culturale. È necessario ancora premettere che questo articolo, toccando dov'è indispensabile i temi generali, · riguarda tuttavia essenzialmente il settore che va dalle arti figurative all'architettura-urbanistica fino all'in dustriaZ design. Infine, all'obiezione di fondo sollevata sia da politici, sia da intellettuali circa la validità di una qual siasi politica culturale, rispondiamo di ritenere non solo la politica utile alla cultura, ,ma questa indispensabile a quella.
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Alla fine del fronte popolare, entro il quale la politica culturale dei socialisti si identificava di fatto con quella del P.C.I. - che bene o male ha sempre curato questo pro blema - i socialisti si sono trovati a dover compiere delle scelte problematiche. Compito fondamentale - scriveva già nel 1955 Ra niero Panzieri - che si propone all'attività culturale so cialista è costituito dall'esigenza... di promuovere e soste nere il contributo degli intellettuali socialisti nella elabora zione della cultura... che, riprendendo nell'orizzonte critico del marxismo le più vive correnti tradizionali..., si affer mi nei confronti della vecchia cultura e di tutte le posi zioni residue di chiusura e di dogmatismo. Ma nel passo che segue emerge più chiaramente il distacco delle posizioni frontiste ed il tentativo di trovare una linea autonoma. Il Partito, d'altra parte, non ha etichette né ricette « cul turali • da presentare agli intellettuali. L'unità sostan ziale, necessaria in senso profondo, dell'azione politica e dell'azione culturale può esser affidata soltanto alla serietà ed alla giustezza propria dell'una e dell'altra e alla for mazione della coscienza politica del militante: ogni so vrapposizione o confusione superficiale e immediata di politica e cultura, ogni infantile presunzione di « guidare politicamente • l'attività culturale dei singoli o dei gruppi, è negazione dei presupposti stessi del marxismo ed in pratica si traduce in una grave deformazione dell'azione socialista anche sul piano propriamente politico 1• In tale atteggiamento sono rintracciabili i due fattori che caratterizzeranno l'azione dei socialisti nel settore cul turale: da un lato il pregio di una maggiore liberalità ri spetto ai comunisti e dall'altro il vizio liberistico che, affi dando ad ognuno scelte ed indicazioni, ha portato di fatto, in molti periodi, all'assenteismo del partito in questi pro 32
blemi. Nel 1956 si apriva sull' «Avanti!> un dibattito sulla
cultura di sinistra, che poneva l'accento sul rapporto tra intellettuali e partito. Gli interventi, a nostro avviso, più significativi erano quelli di R. Guiducci e F. Fortini. Un dialogo di intellettuali con il Partito socialista - scri ve Guiducci - rimetterebbe addosso ai primi tutti i pesi tradizionali di una cultura. intesa come pura ricerca, come astrazione indeterminata, come distacco individualistico, come presunzione teorica... abbiamo sempre combattuto contro questo. Ciò che da anni dicevamo necessario (...) è che il Partito dialogasse più profondamente fra sé;... il problema della cultura di sinistra (momento dell'elaborazione criti ca) è un problema che non riguarda gli intellettuali come tali, ma tutta una sezione verticale che trapassa il « bloc co storico ,. di sinistra, così come lo trapassa il problema della politica di sinistra 2• In un successivo articolo sullo stesso tema, valutando le cause delle carenze organizzative riscontrate nei partiti di sinistra Guiducci scrive: molti or ganismi di sinistra (Partiti compresi) hanno preso la via più breve per monoliticizzare le linee del movimento ope raio, così che la massima attenzione era data alle presta zioni esecutive, anziché a quelle elaborative. (...) Tuttavia se per un certo periodo si può anche proceder con successo con limitati contributi ideologico-culturali (cioè creativi) e si può capire che di fronte ad una situazione pressante e di lotta senza quartiere si tenti di scegliere la via più breve della esecuzione che quella più lunga della discus sione, senza la quale la ricerca originale è impensabile, ad un certo punto si comincia ad avvertire che la via più breve si sta rovesciando in via più lunga della lunga 8• F. Fortini nel suo intervento definisce i limiti fino allora esistenti nel rapporto tra politici ed intellettuali ripren dendo un giudizio di Guiducci apparso sul numero 17-18 di e Nuovi Argomenti> : « la vera cultura di sinistra in Italia è stata nella quasi totalità quella elaborata da Togliatti, 33
Nenni, Longo, Morandi ecc.; quella degli storici, degli scienziati, dei filosofi marxisti è stata prevalentemente cultura alleata, cultura di sinistra verso la cultura bor. ghese di destra, battaglia delle idee non idee per la battaglia in corso•· Concordando con questa posizione Fortini pro segue ... con qualche benemerita eccezione... la dimensione politica degli studiosi socialisti e comunisti si è espressa prevalentemente nella loro partecipazione diretta all'atti vità politica o in una pubblicistica di fiancheggiamento e di polemica; mentre i loro contributi specialistici... si in serivano nel mercato generale, e cioè borghese, di libera concorrenza, libro contro libro, tesi contro tesi, ma non organizzazione contro organizzazione, non modo di lavo rare contro modo di lavorare. In relazione al problema del mancato rinnovamento dei vecchi quadri Fortini scrive: i nostri partiti sono in gombri di persone che hanno creduto bastasse sottomettersi ad una linea politica per credersi • intellettuali di tipo nuovo•· Costoro saranno forse dei buoni militanti (non lo credo), ma sono stati e continuano ad essere dei falsi martiri del rapporto cultura-politica. Costoro, secondo l'A., hanno scaricato le loro responsabilità intellettuali sugli uomi ni politici i quali debbono rimediare con mezzi propri - alludo alle • novità• del recente congresso del PCUS alla miseria intellettuale e morale di coloro che non hanno saputo garantire alla ricerca storica, scientifica, filosofica, economica, un luogo dove gli aspetti deteriori e tattici dell'ideologia non potessero penetrare più di quanto inevi tabilmente comporti ogni pensiero pensato in una società divisa in classi. Nella parte conclusiva del suo articolo Fortini avanzava la proposta di un piano per la ricerca scientifica impostato in modo autonomo, ossia disciplinarmente autonomo dalle direzioni dei partiti... il prezzo di questa autonomia è però 34 l'autodisciplina necessaria alla elaborazione di un piano
di indagini, di ricerche e di studi. Non si tratta dunque di costituire una « associazione di intellettuali », nessun superpartito della cultura. Col termine « piano • intendiamo un ordine di lavori da svilupparsi in tempo dato e da con cretarsi in forme specifiche; e anche un ordine di tecniche di lavoro, cioè di responsabilità individuali o di gruppo 4, Per entrare nel vivo cli una evoluzione culturale dei socialisti dalle primitive posizioni frontiste e quale testi monianza, nel settore della arti figurative, del dibattito tra realismo ed astrattismo che per un decennio circa ha im pegnato, spesso in modo improduttivo, la gran parte della critica italiana, riportiamo alcuni giudizi espressi in occa sione delle maggiori rassegne artistiche. Sulla VII Qua driennale romana del 1955 Venturoli scriveva: nel dopo guerra contemporaneamente a questo bisogno di rinnova mento formale si fece strada negli artisti più aperti e geniali il bisogno di partecipare con le loro opere alla cultura democratica, di rappresentare in disegni e dipinti gli episodi della Resistenza, di descrivere nei loro aspetti finalmente veri, liberati dai conformismi, dai. paternalismi e dalle rettoriche i volti infiniti delle classi popolari... Sicché la pittura e scultura realistica italiane dal 1948 al 1955 si sviluppano con fasi varie, ora polemiche - di ne gazione programmatica delle esperienze di avanguardia ora conciliative - di assorbimento dei vari « ismi •, quasi fosse possibile esprimere nuovi contenuti con forme çhe erano nate per esprimere contenuti « vecchi •· Interpretando la polemica tra realisti e astrattisti Ven turoli si occupa anche della posizione assunta dalla critica. Essa si schierò al loro fianco, li sostenne, li difese, per le ragioni, diciamo così rivoluzionarie che avevano mosso questi artisti nella loro battaglia di svecchiamento. Ma col passare degli anni perpetuando, anzi peggiorando, le loro iniziali posizioni, questi pittori astratti cominciarono a stancare. Oggi alla VII Quadriennale, dopo aver ottenuto 35
chilometri di pareti per appendere le loro pitture astratte e le loro curiose sculture di orecchie, di filigrane, di para carri, di ruote, ferri e ferruzzi, sono pervenuti ad una situazione di nera impopolarità�. La riconosciuta esigenza di ricuperare alla cultura figu rativa italiana le esperienze compiute altrove negli anni del fascismo e quella di portare avanti il discorso realistico che era ritenuto l'espressione della cultura nuova italiana nata dalla Resistenza costituiscono, nel migliore dei casi, il bi nario che guida gli intellettuali socialisti. Più tardi il fenomeno dell'Informale allargava l'oriz zonte del dibattito della cultura di sinistra. Infatti, oltre a concludere la polemica astrattismo-realismo, esso, per la sua ambiguità, poteva considerarsi sia l'estremo punto della borghese stanchezza formalistica, sia il segno protestatario di una cultura di avanguaria. Sono innegabili - si legge in « Mondo Operaio > almeno due elementi di notevole interesse che l'astratti smo ci dà. L'uno che si può definire tecnico-naturalistico ove si abbozza una probabile grammatica espressiva, rife ribile ad una realtà urbana: l'altro, elemento dominante nella moderna cultura figurativa, tragico e di disfacimento... e che si esplica in un effettivo distacco dalla realtà mo derna. Citando Vespignani l'A. procede, ma « è chiaro che tale atteggiamento significa qualcosa di più di un puro e semplice rifiuto di tematiche, implicando, al contrario, un dissenso profondo tra l'artista e la sua epoca, un'osti lità che va ben al di là degli aspetti esteriori dell'ambiente sociale, fino a compromettere il significato stesso dell'arte nel quadro generale della nostra civiltà... La gran parte degli artisti vive oggi in un mondo che non comprende e le cui apparenze rifugge come una trappola mortale per la fantasia,. 0• A conferma del carattere personale della critica pub36 blicata dalla stampa socialista, che denuncia non solo l'as-
senza di una politica culturale, ma addirittura quella di una generica consonanza di criteri rispetto ad alcune macrosco piche questioni, vale il confronto tra il brano citato, redatto in occasione della XXIX Biennale e quello che segue, scritto a commento della Biennale successiva. Il dominio intollerante di una sola tendenza, a dispetto di ogni regola democratica, è intollerabile anche nella cul tura e nell'arte... L'epigonismo italiano in fatto di astra zione è sempre più vasto e profondo e rischia di tramutare la nostra cultura artistica in una dépendanee statunitense, alla stregua di nazioni culturalmente arretrate, come una sorta di colonia culturale ... In quanto all' Informale, la più romantica e sterile affettazione del non figurativo, non riteniamo che possa costituire oggi l'elemento artistico più vivo o attuale. Nelle componenti del gusto odierno ( ... ) largo spazio trovano le influenze del surrealismo, mentre una tendenza generale al realismo è avvertibile, sia pure sotto vesti più o meno interiorizzate 7• La divergenza di giudizio ed il fatto che delle due posizioni quella di minor apertura sia successiva all'altra sono errori che dimostrano chiaramente la necessità di se guire una linea culturale almeno di larga massima. Ma ritornando ai temi generali, la necessità di definire questa linea viene riproposta spesso nella stampa di partito, anche se mossa da iniziative individuali. Il mancato coor dinamento dell'azione culturale si lega anche all'eteroge neità delle forze intellettuali militanti tra i socialisti. Se condo F. Papi, i motivi delle carenze culturali sarebbero essenzialmente tre: l'inefficienza del lavoro culturale svolto (o non svolto) negli ultimi anni, la lamentata deficienza ideologica del Partito che, spesso, è tutt'uno coll'acuirsi di polemiche superficiali che riflettono fasi ideologiche del movimento operaio storicamente superate, l'afflusso di molti intellettuali nelle file socialiste, intellettuali che spesso provengono da matrici ideali assai differenti ma che sem- 37
brano trovare oggi nel Partito socialista lo strumento idoneo a risolvere determinati problemi della vita. nazionale 8• Tuttt:i.via la questione di fondo rimane quella del rap porto tra il marxismo, come generale concezione ideologica, e le altre ideologie; tra esso e i complessi problemi posti dalla nuova realtà politico-culturale. In numerosi scritti, immediatamente precedenti o successivi al XX Congresso, appare significativo il fatto di considerare il marxismo come una metodologia critica capace di recepire ed assimilare differenti apporti di cultura - prevalentemente di carat tere tecnico - riconoscendo però la loro origine autonoma. E tale atteggiamento si può considerare, coi limiti che vedremo, come l'inizio di una politica culturale dei socia listi sempre più aperta ai problemi posti dalla cultura con temporanea senza aggettivi. Questa politica di assimilazione e revisione è stata pro posta da più di un autore: nel materiale da noi raccolto, la seguente citazione, tratta da una lettera di G. Petronio a F. De Martino, testimonia, in termini espliciti e con tutti i legami al passato, l'avvio di questo nuovo corso culturale. Il fatto si è che, come tutti sanno,
il mondo cammina
anche per ciò che riguarda la cultura, e un'ideologia ha bisogno di fare continuamente le culture,
i conti con le ideologie,
i movimenti che le sorgono accanto... Ma, a il falso revisionismo
parer mio, la differenza tra il vero e
sta qui, nel fatto che il primo, quello cioè sano, si tiene al corrente, studia tutti
i nuovi movimenti culturali, li misura
sul proprio metro, ne accoglie quanto ne può accogliere, ne respinge quanto ne deve respingere: in ultima analisi, ne accoglie motivi e spunti tecnici, ne respinge la sostanza, lo spirito, e, facendo così, aggiorna se stesso senza snatu rarsi e si forgia le armi per combattere i nuovi avversari. L'altro, quello falso, cioè malsano, stupisce a bocca aperta, 38
come il villano alla fiera, ad ogni idea o affermazione
nuova, e ne bandisce la legittimità e verità, e mette continuamente in forse le proprie convinzioni 0• I termini del dibattito si vé;}nno chiarendo negli anni successivi, nel confronto tra i precedenti temi ideologici e quelli che la condizione presente di volta in volta propone. Tipico e sintetico di questo momento culturale è un saggio di L. Landini che tocca gli argomenti chiave del dibattito in . corso. Riferendosi a quegli intellettuali ispiratisi al modello sovietico Landini scrive: quel che stupisce in genere... è che mentre la concezione marxista della realtà suggeriva... delle intuizioni estremamente acuta ed articolate sul pia no dell'azione politica, le loro formulazioni di carattere culturale erano quanto mai generiche. La... condanna al l'arte borghese avrebbe avuto un interesse se invece di rimanere sul piano puramente polemico suggerito da un impegno esclusivamente politico, essa si fosse definita at traverso qualche considerazione di carattere obiettivo. Il fatto è tuttavia che sebbene in Occidente il rapporto tra artista e pubblico si sia costituito liberamente secondo uno sviluppo che lo ha svuotato dei suoi antichi valori, ha dato come risultato delle opere che sul momento si aveva ogni motivo di accogliere con costernazione e che si sono invece rivelate come la derivazione più giusta e rigorosa di una precisa e particolare situazione. Nel discutere sulla capacità del marxismo di recepire ogni esperienza della vita associata l'A. scrive: in una conce zione laica del mondo, una totalità di visione della vita, e della condizione umana va d'accordo con un atteggia mento che ammetta le attività e le idee degli uomini come svolgentisi su piani distinti. Qualora il marxismo prendesse la via di presumere di poter ricondurre questi vari piani di attività e. di pensiero ad un principio unitario inamo vibile, esso esaurirebbe automaticamente la sua funzione di propulsione storica... Né Marx, né Lenin, né alcun altro ha fissato un qualsiasi principio a cui ricondurre, come ad 39
un termine di prova, ogni e qualsiasi attività umana. Marx e Lenin_ sono stati, nel loro campo di attività, vasto e im portante quanto si voglia, degli specialisti, e nei vari àspetti delle loro specializzazioni l'arte nori. c'entrava nulla o c'en trava poco. Dopo aver constatato che !'.ufficialità di Partito è ser vita in molti casi a colmare un vuoto ideologico, Landini osserva: l'arte può, non lo nego, vivere in rapporto con un'ideologia di partito. Ma ad una condizione: che questo rapporto assuma vitalità per un contrasto animato da una rivendicazione costante di autonomia, per una specie di ripudio programmatico dell'ufficialità... I fatti invece inducono a farci ribadire questa considerazione: gli artisti e i critici che hanno ancora in mano le sorti del realismo socialista hanno vissuto e si sono conformati in un corro sivo spirito di ufficialità 10• Nel processo di revisione· ideologica della cultura di sinistra italiana si pone, con il consueto ritardo, il problema della cultura di massa legata alla diffusione dei beni di con sumo, avvenuta, con i noti limiti, nel sistema neocapitali stico e formulata prevalentemente dalla sociologia ameri cana. Da queste premesse è facile comprendere gli errori di valutazione e di adeguamento in cui è incorsa la gran parte della cultura italiana ed in particolare quella di si nistra. In uno dei primi e significativi interventi su questo tema apparso sulla stampa socialista, G. Scalia scrive: la realtà sociale contemporanea non si può più penetrare col l'immagine esemplare dell'individualità protagonistica del realismo borghese né con la individuazione del « tipo • so ciologico-dialettico del realismo socialista; ma con la ri cerca delle • ipotesi • di una immagine di uomo e di rap porto uomo-natura completamente nuovo e diverso: per esempio quelle sulla organizzazione culturale di massa, 40 sulla progressiva artificializzazione dell'ambiente umano,
sulla progressiva formalizzazione della conoscenza « natu rale » dell'umano, cioè sempre più completa e complessa « verificabilità » dell'umano e dei suoi « valori », ideali, rappresentazioni e statuti collettivi. Nello stesso saggio Scalia ha il merito di aver posto l'accento sul problema quantitativo inteso come valore non necessariamente. e per definizione opposto a quello qualita tivo. L'aspetto negativo delle attuali forme dell'organizza zione della cultura di massa si può precisare solo dopo aver ne compreso gli aspetti positivi sul piano « quantitativo » ed « estensivo », che certo non possono bastare. Ma può bastare la « cultura umanistica ,. borghese (sociologicamen te cultura di élites e di minoranze) ?..• Bisogna cogliere le ragioni di questa contraddizione appunto nella struttura economico-sociale dei centri di potere e delle sedi di co municazione e informazione di massa, e bisogna com prendere il rapporto positivo oltre quello negativo di que sta contraddizione, non limitarsi a descrivere (come troppo spesso fanno gli scrittori che si sentono e· si proclamano engagés; ma evidentemente in senso solo politico-psicologico, non « scientifico ») ma lavorando sulle ipotesi sociali di fondo, e lavorando per la « traducibilità dei linguaggi " con tro ogni separazione e contro ogni assolutizzazione di « li velli » sociali e linguistici. Secondo l'interpretazione del fenomeno avanzata da Scalia l'artista non può più prescindere dalla organizzazione della cultura di massa, il suo lavoro non può essere estraneo ai processi tecnici e scientifici che stanno trasformando la « natura > stessa dell'uomo. i: possibile vedere solo l'aspetto negativo e non quello positivo della « cultura di massa " ? 'E: possibile non distinguere tra • cultura di massa " e • in dustria culturale » ? 'E: possibile opporre a questa forma di progressiva « democratizzazione ,. di massa dei beni di consumo, dei mezzi di comunicazione e di informazione, la riserva mentale della cultura di élites, del beneficio • al- 41
ternativo • estremo della cultura di minoranze ? Non è per questo invece - al di là della polemica " di valore » sulla cultura di massa - necessario rendersi conto della strut tura di questo potere tecnologico-culturale, della sua fun. zionalità concreta della sua genesi e finalità ? 11• In un altro saggio Scalia propone una visuale dalla quale studiare ed organizzare, il fenomeno della cultura di massa e al tempo stesso, per quel che ci interessa, polemiz zando con i vari gruppi ideologici, indica una particolare interpretazione marxista del fenomeno. t una teoria della alienazione che ci permette di risolvere la contraddizione della proposta interpretativa marxista-ufficiale (in cui non esiste una reale teoria dell'alienazione in senso strutturale e scientifico, ma solo economicistico o ideologistico), che ci permette di affrontare il fenomeno della cultura di mas sa al di fuori, sia della neocapitalistica apologia della sua " naturalità • che è, invece, conseguenza dell'antidemocra ticità della élite del potere, sia della neoliberale opposizione alla cultura di massa in nome dell'alternativa democratica minoritaria delle élites senza potere; cioè, nel suo aspetto insieme negativo e positivo, contraddittorio, che si risolve solo coll'indagine della· genesi, della struttura e delle forme della cultura di massa e in funzione della sua risoluzione nel problema dell'OTganizzazione democratica della cul,. tura 12•
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In un breve ma significativo esame della cultura pro gressiva italiana, Roberto Guiducci si chiede: ancora il pro blema politica o cultura? Ancora la questione ideologia o scienza? Ancora arte . realistica o arte decadente, cono scenza o metodologia scientifica, neohegelismo o neoposi tivismo, totalità o empirismo, rivoluzione o riformismo? per affermare l'invecchiamento di queste alternative e con statare che i più si sono interessati alla seconda · serie di queste scelte. Il fatto è che la_ cultura più avanzata è stata per noi
non una cultura di avanguardia, ma una cultura di ricu pero. Il « boom » culturale esploso all'altezza del novembre 1956, che spazzò violentemente le prime alternative affer mando le seconde, fu assai più, nelle sue linee generali, un atto di codificazione che di àpertura. Che cosa fu scoperto ed accettato in definitiva? Qui l'A. elenca una serie di fenomeni culturali scalzanti le pri mitive questioni di « principio >. Tra l'altro venne accertato che l'arte partecipava drammaticamente al processo della conoscenza e dell'invenzione del mondo e non rispecchiava, tout court, una realtà che rimaneva da interpretare. Da questa nuova -svolta (in sostanza lo studio dei secondi ter mini delle suddette alternative) si ricava come nel nostro settore di interesse, si studino e_ si pratichino le arti con libertà compositiva, secondo correnti contrastanti, con la implicita accettazione di dover sottostare al giudizio este tico, purché sia espresso in termini tecnicamente definiti e, quindi, né ermetici, né programmatici. Come agirono i partiti di fronte a questa nuova svolta culturale? Il ricupero - continua Guiducci - fu ostacolato, oltre che dalla destra, anche dalla sinistra, allora (1945) interamente legata alle vicende staliniane. Cosicché il vero ricupero avvenne proprio a partire dal 1956, prima, per al cune minoranze, dopo, per la maggioranza, in occasione del XX Congresso sovietico e della tragedia ungherese. Ma dal 1945 al 1956 si era maturato un altro decen nio di ritardo che non poteva non gravare sul conto com plessivo: Questo nuovo strato di intellettuali e di tecnici non si è raccolto, secondo Guiducci, · presso il partito comunista (il che appare ovvio data la sua persistenza negli errori passati), né attorno al partito socialista ... ma il partito socialista non seppe e non volle coagulare attorno a sé queste forze tecniche, perché ciò avrebbe significato una davvero radicale reimpostazione non solo della sua politica, 43
ma della sua stessa essenza oltre che della sua struttura organizzativa ... Non riuscì, però, a nessuno di conservare interamente lo schema staliniano; i comunisti si trovarono di fronte all'abbandono degli intellettuali, e i socialisti, non potendoli trattenere che a prezzo di una radicale trasformazione del loro partito, li restituirono al mercato liberale 13• Sulla base indicata da Guiducci, quella delle scelte per così dire e tecniche> rispetto a quelle ideologiche, che si trova in alcuni altri autori ed anche in alcuni commenta tori politici, sembra profilarsi la più attuale politica cultu rale dei socialisti. Tale atteggiamento può intendersi, oltre che come volontà di pronto intervento in molti settori della nostra attività tecnico-culturale rimasti arretrati, anche come reazione all'ideologismo partitico che più volte aveva impe dito una pronta adesione ai nuovi aspetti della realtà. Queste scelte e tecniche> inoltre hanno trovato e trovano larghi consensi presso tutti quegli intellettuali non direttamente legati alla vita di partito,_ che nell'ambito di una ancor valida tradizione liberale ritengono che una politica della cultura debba comunque esistere a prescindere da una qualsiasi po litica culturale. Esamineremo quindi gli aspetti di questo nuovo corso politico-culturale nei vari settori di nostro interesse, dal l'urbanistica al design, alle arti figurative. Ma per compren dere gli assunti che gli e esperti> dei vari settori vanno proponendo, è necessario rifarsi all'aspetto politico-socio logico che caratterizza questi atteggiamenti di tipo non ideologico. Il documento più esplicito in tal senso è l'editoriale di F. Onofri che accompagna l'inchiesta pubblicata da e Tempi moderni> su L'azione socialista in Italia. In esso si legge: se la società industriale di massa induce o determina un processo di integrazione, ossia un sistema di valori condi44 visi da tutti o quasi tutti gli strati sociali, proprio questo
processo va considerato alla radice della perdita di presa delle ideologie politiche. Non si tratta, secondo Onofri, di una totale distruzione di ogni tipo di ideologia, ma di una trasformazione o sostituzione di esse. Il logoramento ideo logico attuale, alle ideologie politiche totalizzanti ed uto piche (che offrono cioè un disegno di città futura su cui orientare aspettative e comportamenti) sostituisce un « si stema di valori » - benessere, sicurezza, consumi ecc. che potrebbe anche chiamarsi, impropriamente, una « ideo logia » del godimento presente, del consumo, del tempo libero. In questa prospettiva, indubbiamente realistica, ma non esente da nodi irrisolti, Onofri indica una nuova fun zione dei partiti. Funzione non più caratterizzante sul piano dell'ideologia, ma di guida e di organizzazione, che superi la passiva accettazione, consumatoria, individualistica o ato mistica prodotta dai meccanismi della civiltà di. massa. I partiti politici, se e in quanto capaci di rinnovamento, possono proprio su questo punto ritrovare una loro « supe riorità» (il che vuol dire la propria funzione sociale diri gente): organizzando e svolgendo la loro azione in modo da assicurare una partecipazione attiva dei singoli e dei gruppi interessati al perseguimento di obiettivi e valori magari anche coincidenti in parte con quelli proposti dalla. società del benessere, ma auto-gestiti, autoregolati, libera mente e consapevolmente scelti. Qui sta la ragione d'essere fondamentale della permanenza di un sistema di partiti ossia la sua funzione sociale 14• Da questa visuale si possono comprendere quelle cri tiche al sistema industriale-capitalistico, che puntualizzano soprattutto le inefficienze tecniche e sociologiche del sistema stesso. Nel saggio Pianificazione e e design> Guiducci scrive: Se accettassimo l'idea che il procedere industriale possa essere considerato, nel mondo moderno, razionale, il problema del disegno industriale si ridurrebbe a stabilire . 45
i termini di coerenza tra produzione industriale e massima efficienza del prodotto anche dal punto di vista estetico... Se, invece, partissimo dalle critiche fondamentali alla strut tura industriale moderna, vedendola come un processo ne cessario ma non sufficiente per risolvere i problemi fonda mentali del nostro tempo, e identificando quanta irrazio nalità si nasconda sotto l'apparenza della sua razionalità, molti nuovi quesiti, ed assai più complessi, sarebbero posti immediatamente sul tappeto. Nella linea di economisti e so ciologi quali Galbraith, Wright, Mills, Perroux, Friedmann, Stuart Hall e Claudio Napoleoni che contestano la validità del processo industriale « in quanto tale » sia nel mondo capitalistico che in quello comunista, Guiducci critica l'at tuale attività industriale orientata, ormai in molte aree, a produrre superflui beni di consumo e di prestigio usati come mezzi di potere tanto economico quanto ideologico. L'organizzazione industriale attuale, lacerata dalla concor renza o dalla sovrapposizione di iniziative prive di pro spettive nel tempo, angosciata dalla necessità di impiegare infinite energie nel produrre bisogni anziché concentrare la propria attenzione nel produrre nel modo migliore gli oggetti, non è mai arrivata veramente a quella dimensione e organizzazione razionali che possono permettere l'ottimiz zazione dei risultati e la minimizzazione dei costi. L'alter nativa proposta è quindi la programmazione globale. In essa troveranno la giusta dimensione e funzione tutti gli inter venti, dall'urbanistica all'industrializzazione edilizia, dall'ar chitettura al design. Il sostegno metodologico della compo nente estetica dei fattori inerenti alla programmazione glo bale si trova, secondo Guiducci, nel pensiero di della Volpe. Se, come ha ben chiarito Galvano della Volpe, la raziona lità e la capacità di conoscenza ineriscono altrettanto al l'arte che alle scienze, sarebbe ben difficile poter pensare che sia conseguibile un effettivo risultato estetico lavorando 46 per frammenti, senza bussola di riferimento o, peggio, per
scopi superflui o controproducenti per l'insieme della so cietà. L'irrazionalità non può inerire alla razionalità e quindi all'esteticità dell'arte 1G. Tentativo di una programmazione globale e sforzo di aderire alla realtà delle cose fuori da schematismi dogma tici possono considerarsi in Italia il primo piano quinquen nale e l'elaborazione della nuova legge urbanistica, settori e temi nei quali almeno i socialisti del P.S.I., sono stati e sono notevolmente impegnati con azioni che vanno dall'am bito parlamentare fino a quello delle riviste specializzate. L'Istituto Nazionale di Urbanistica e il suo organo ufficiale, la rivista «Urbanistica> diretta da G. Astengo, sono le istituzioni che hanno particolarmente assorbito, sia pure in senso individuale, il contributo di molti tecnici socialisti. Una sintetica ed efficace definizione del piano quin quennale e della legge urbanistica si trova in un altro saggio di Guiducci. Le linee con cui si va consolidando la
politica di programmazione, ci dicono che essa tende a sta bilire i grandi obiettivi di carattere nazionale, le linee procedurali e metodologiche di sviluppo, le correlazioni di _ fondo per uno sviluppo equilibrato, piuttosto che defini zioni a priori fisse, rigide. Lo stesso vale per la nuova tendenza urbanistica che, mentre prevede di offrire una strumentazione efficace per le attuazioni concrete (come l'esproprio generalizzato) pro spetta una articolazione degli interventi e delle definizioni territoriali a livello decentrato regionale, sub regionale, comprensoriale, consortile e comunale. In breve, mentre la programmazione economica ge nerale e le linee urbanistiche generali potranno, quindi, fissare i vincoli che consentano soprattutto di colmare gli squilibri secolari del nostro paese e garantire delle ordinate linee di sviluppo a lungo periodo di tutti i campi di atti vità, la decisione su come configurare il proprio territorio, 47
la propria città, il proprio paese, saranno lasciati alle scelte autonome degli abitanti delle singole aree 16• Ma la politica di piano che raccoglie oltre ai consensi dei tecnici, quelli degli osservatori politici, per così dire anti ideologici, trova una opposizione in quanti sostengono l'esi genza insostituibile di una ideologia, se pur capace di rin novarsi continuamente. La fiducia e illuministica , nella attuabilità di tutti gli aspetti del piano non serve a risolvere ogni problema che intanto (termine chiave di ogni riforma politica e culturale) siamo chiamati ad assolvere. È ovvio che la stessa pianifi cazione richiede delle scelte ideologiche, a meno di non affidarsi ad un automatismo, ad una tecnologia che lo stesso capitalismo finalizza, sia pure in termini di profitto. Come scrive Argan, è assai improbabile che il piano fatto oggi serva per il futuro, ma è certo che il piano fatto per il futuro serve per vivere oggi: l'opera dell'urba nista che fa un piano non è ad effetto ritardato, è tutta per il presente... In altri termini, il piano non è il progetto di �•azione futura, ma un agire nel presente secondo un progetto 17• Contro la tendenza anti-ideologica è la posizione che R. Balbi ha esposto in più di un intervento su « Nord e Sud , . Se è vero che la riflessione approfondita sui grandi temi posti dallo sviluppo della società contemporanea è in dispensabile, è anche vero che l'ideologia non può identi ficarsi con la scienza del come giungere alle soluzioni • og gettivamente corrette • dei singoli « problemi reali »; l'al ternativa non consiste nell'impostazione, scientifica o anti scientifica, dei problemi, ma nell'impostare certi problemi piuttosto che altri, e quindi nell'ispirarsi (o non ispirarsi), nelle soluzioni proposte, a determinati valori-guida 18• Se condo la Balbi la tecnicizzazione e spoliticizzazione dei pro blemi è anche la strada che conduce, prima o poi, alla il48 libertà 19•
Una perfetta concordanza su questo tema si ritrova, nel settore delle arti figurative, negli scritti di Argan, i quali dimostrano, sia agli idealisti che ai positivisti, l'esistenza di una diretta relazione tra i grandi temi della vita as sociata e quelli dell'arte. Riferendosi alle due piu recenti tendenze dell'arte contemporanea, quella costruttivista e quella di reportage, Argan scrive: l'oscillazione pendolare tra ordine e disordine rende incapaci di scelte e di ini ziative: tanto le macchine vanno avanti da sole, il mondo cammina per il suo verso. La politica non è più attuale: l'operatore industriale non fa politica perché ha l'alibi della tecnica, l'opposto dell'ideologia; il consumatore non fa po litica perché la pletora delle informazioni paralizza la ca pacità di scelta ideologica... Senza dire che la politica, cac ciata come ideologia, ritorna come non-ideologia, brutale volontà di potenza: che altro è il fascismo se non politica non-ideologica? Ghestalt e Pop-Art sono due modi di arte non-ideologica, e non è la stessa questione; ma ci vuol poco a vedere che, se la Ghestalt è tipicamente « terza for za », la Pop Art è anarchia di destra, qualunquismo rea zionario 20• Continuando in questa relazione tra le qualificazioni politiche e le più recenti correnti figurative, va menzionato il sostegno dei critici comunisti per la cosiddetta e nuova figurazione >. Come considerano i socialisti questa tendenza che ha in parte ereditato il vecchio neo-realismo? Nella più costante e continua rubrica che l' e Avanti!> ha dedicato finora alle arti figurative, Maurizio Fagiolo scrive: la « nuova figurazione » è una corrente nata-vecchia. Da molte parti si attendeva con ansia il declino dell' Informale per pro porre una restaurazione di vecchie immagini. E riferendosi ad una recente mostra bolognese di tale corrente continua: si contrabbandano le ricerche dell'espressionismo, del se cessionismo, del simbolismo, della metafisica; ma non si teme di ricorrere alle ultime scorie guttusiane e cagliesche.
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Tra parentesi, sarà da notare che ad una restaurazione corrisponde sempre una santa-alleanza, e che purtroppo la •santa-alleanza• odierna (cattolico-comunista) si imper nia tutta sulla presenza della figura nel quadro, sul malin conico velleitarismo ideologico, sul sano provincialismo del • copiare la natura» o del •caricarla,. 21, Come si vede in un solo settore artistico si possono ritro vare gli stessi temi e problemi che formano il dibattito po litico. Qual'è, in conclusione, la funzione sociale dell'arte nella situazione presente e in particolare nella costituenda politica culturale dei ·socialisti? Se da un lato ormai tutti concor dano nel considerare l'arte immune dagli aspetti negativi dell'ideologia partitica, dall'altro la reazione a questa può, come si è detto, generare degli equivoci. Nella sua lettera ai compagni, ricca per altro di aspetti problematici, Nenni pone l'accento su un particolare carattere della politica cul turale socialista. Il partito - egli scrive - deve impegnarsi nel lavoro di indagine scientifica e tecnica con quei gruppi di intellettuali, di specialisti, di tecnici che, nei vari cam pi dell'economia, della sociologia, dell'urbanistica e delle scienze tecniche operative hanno svolto un lavoro specia lizzato negli ultimi anni per .creare una struttura atta a reggere lo sforzo della nuova politica socialista, con asso ciazioni su scala nazionale e regionale, con circoli culturali, corsi universitari, riviste che hanno affrontato concreta mente i problemi del piano ed hanno trovato una prima conclusione nel libro del compagno Guiducci • New deal socialista • e nei dibattiti a cui ha dato luogo. Alcune · conclusioni sono emerse da questo lavoro di équipe le quali offrono un solido criterio di orientamento 22• Come si vede l'accento cade sui tecnici,. sul lavoro specia listico, sul piano; le discipline cui si tende sono l'economia, la sociologia, le scienze tecniche operative, l'urbanistica. 50 Ma oltre alla legittima domanda sul modo di intenderle (esi-
ste anche una proposta di legge urbanistica liberale), è noto che a definire queste attività e questi programmi concorrono molte altre componenti e molti altri interessi di cultura. È evidente che al di qua di quelle scienze tecniche ope rative i socialisti devono incontrare chi studia le idee, la storia, l'antropologia culturale, la critica e le arti se si vuole che il piano abbia non solo un contenuto ideologico, ma anche una forma e quindi una sua storicità. Per quanto riguarda i settori di nostro interesse, l'ur banistica, se ha ovvi legami con l'economia e la tecno logia, presenta al tempo stesso radici profonde con l'archi tettura e le arti visive, specie in una concezione dell'arte di tipo prevalentemente sociologico. L'accento posto sul l'aspetto tecnologico della cultura eredita uno scaduto retag gio positivistico, alimenta il più recente equivoco delle co siddette e due· culture > e respinge, o almeno rimanda, un chiarimento ideologico che non si ottiene certo solo con le scienze tecniche operative. Nel processo in atto la funzione sociale dell'arte non è più ignorabile o dilazionabile. L'arte, come strumento di conoscenza, agisce in ogni comunicazione ed informazione, velocizza la capacità di acquisire e diffondere nuovi temi, e soprattutto, sia pure nell'ambito della crisi della quale essa stessa è partecipe, pone o tenta di porre nuovi valori, non solo di natura estetica ma qualificanti globalmente la intera vita associata. Questa stessa prospettiva di determi nare nuovi valori è comune ad entrambe le tendenze, ideo logica e tecnologica, che caratterizzano il dibattito socia lista più avanzato. La qualificazione culturale della politica socialista, che non può limitarsi, come s'è detto, alle scienze tecniche. ope rative, ma deve includere ed utilizzare ogni altra esperienza di cultura, è, a nostro avviso, l'unico modo per i socialisti di porsi con una propria fisionomia e struttura che garantisca l'intera democrazia italiana da ogni involuzione. 51
1 R. PANZIERI, L'attività del P.S.I. per la libertà della cultura, in e Mondo Operaio> a. VIlI, n. 5, marzo 1955. 2 R. GumucCI, Una nuova misura di ricerca critica, e Avanti!> 15 marzo 1956. 3 R. GumucCI, Il ricambio delle idee, e Avanti!> 23 marzo 1956. 4 F. FORTINI, Autonomia come piano, e Avanti! > 14 marzo 1956. 5 M. VENTUROLI, La settima Quadriennale, in e Mondo Operaio> a. vm, n. 23, dicembre 1955. G U. ATTARDI, Manierismo e dTamma degli artisti contemporanei, supplemento scientifico-letterario al n. 8 di e Mondo Operaio " ago sto 1958. 7 E. CONTINI, La Biennale della noia, e Avanti!> 12 agosto 1960. 8 F. PAPI, Politica e cultura, in e Mondo Operaio> a. XIV, n. 4, aprile 1961. O .G. PETRONIO, Partito e cultura, in e Mondo Operaio> a. XII, n. 8-9, agosto-settembre 1959. 10 L. !.ANDINI, Sui Tapporti tTa aTte e pubblico e l'eTTore di fondo del realismo socialista, in e Problemi del socialismo>, a. IV, n. 1, gen naio 1961. 11 G. SCALIA, Il menabò di Vittorini e Calvino, in e Mondo Operaio>, a. Xll, n. 7, luglio 1959. 12 G. SCALIII, Nove risposte S'Ul Tomanzo, in e Mondo Operaio>, a. xn, n. 10, ottobre 1959. 18 R. Gumuccr, New deal socialista, Vallecchi, Firenze 1965, pp. 55 e segg. 14 F. ONOFRI, Socialismo e società industriale di massa, in e Tempi Moderni > n. 22. lfi R. Gumuccr, Pianificazione e e design> in e Comunità > n. 129 maggio 1965. 10 R. GumuccI, Nuova legge urbanistica come nuova cultura, in e Comunità> n. 118, marzo-aprile 1964. li G. C. ARcAN, Progetto e destino, il Saggiatore, Milano 1965, p. 62 e p. 60. 18 R. BALBI, Una scelta per il socialismo, in e Nord e Sud> n. 130, settembre 1965. 19 R. BALBI, La scommessa vincente, in e Nord e Sud> n. 132, no vembre 1965. 20 G. C. ARGAN, Op. cit. p. 51. 21 M. FAGIOLO, Si contesta tutto assente la pittura, e Avanti! > 13 novembre 1965. 22 P. NENNI, I problemi del socialismo e della democrazia al nostro 36• congresso, e Avanti!> 5 settembre 1965.
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Il visual design
Oggetto della presente rassegna è il visual design (espressione che, come vedremo, ha assunto in pochi de cenni diversi significati) inteso essenziahnente come espe rienza didattica elementare e alla base del moderno inse gnamento delle arti visive e dell'architettura. In tal senso sarebbe più esatto definire il nostro tema come basic design, dizione assai frequente presso molti autori; tuttavia abbiamo preferito la prima espressione per il suo più ampio uso in Italia. A voler storicizzare l'esperienza del visual design, sia nel senso cronologico, sia in quello più proprio di le garla criticamente alle altre idee del nostro tempo, rite niamo si debba partire dall'opera di Hildebrand: pro plema della forma. Certo, l'interesse per il tema della vi sione e rappresentazione è assai più antico, ma poiché ciascuna età e cultura Io ha interpretato a suo modo, riteniamo legittimo datare con il libro suddetto la nascita del moderno visual design. Altri cercheranno la sua ori gine nei settori della scienza, della tecnologia o della di dattica artistica; e parleranno di psicologia, della civiltà industriale, della Bauhaus: tutte cose che hanno indubbia mente contributo allo sviluppo del nostro tema; tuttavia riteniamo, e in ciò è esplicita la nostra scelta, che l'origine
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del moderno visual design sia da ricercarsi nel campo della estetica e precisamente nell'ambito del pensiero fiedleriano. La rappresentazione della forma - scriveva Hilde brand, indipendentemente da ogni teoria psicologica - è una somma ottenuta col confronto di più specie di appa renze, sceverando il necessario dall' accidentale. Non è una percezione pura e semplice, ma un'elaborazione di percezioni da un determinato punto di vista. Con ciò io non penso ad un punto di vista soggettivo, ma, al con trario, all'orientamento generale che si forma in ognuno col commercio col mondo esterno spaziale 1• In questo solo periodo possono ritrovarsi relazioni e anticipazioni delle varie scuole psicologiche: l'associazionista, la gestaltica, la transazionista. Com'è noto Hildebrand distinse due tipi di visione. Supponiamo un oggetto... una direzione fissa, secondo la quale lo spettatore guardi e il cui punto di vista sia fa. cilmente spostabile in vicinanza e in lontananza. Se questo punto è lontano tanto che gli occhi non vedano più ad angolo, ma parallelamente, gli occhi rice veranno un'immagine d'insieme che, malgrado ogni effetto plastico da essa originato, risulterà in sé puramente bi dimensionale (p. 39). Infatti l'aspetto tridimensionale del l'oggetto si formerà· come una proiezione su un piano vir tuale contenente l'immagine, come accade nella prospettiva. Se lo spettatore si avvicina all'oggetto tanto da aver bisogno di cambiar posizione all'occhio, • accomodandolo • focalmente all'oggetto dato, egli non potrà più abbrac ciare l'oggetto nella sua totalità, ma lo coglierà con mo vimenti laterali dell'occhio e con differenti • accomoda menti • della pupilla. Avremo, al posto di un'apparenza totale, delle appa renze parziali che si unificano col movimento dell'occhio. .. . Pertanto l'occhio immobile percepisce un'immagine che 54 dà la tridimensionalità solo con contrassegni in superficie,
percepiti simultaneamente. All'opposto, la capacità moto ria dell'occhio rende possibile la percezione della tridi mensionalità con un vero e proprio toccare, e la forma è acquisita con una serie di percezioni che si susseguono nel tempo. (pp. 39-40). In tal modo Hildebrand non solo continua una tradizione critico-estetica tedesca (di visione « ottica > e « tattile > aveva già parlato lo Zimmennann) ma tenta di elaborare, in termini critici, un'esperienza di artista, inserisce nella linea tracciata da Fiedler un di scorso, per così dire, da atelier. Infatti, egli parla di una visione ricettiva e di una visione produttiva, critica tutte le filosofie dell'arte e le estetiche dei dotti che partono dal punto di vista ricettivo ed hanno importanza solo a questo riguardo (p. 127), per affermare che il problema dell'uomo produttivo è la configurazione dell'oggetto in quanto causa originaria di un'impressione o di una rap presentazione; e con ciò egli ha a che fare con una nuova e diversa realtà (p. 126). Se si conviene che il discorso di Hildebrand - nel quale vengono posti i problemi di una visione produttiva, della rappresentazione connessa oltre che allo spazio, an che al tempo e al movimento, di un particolare « modo > di vedere ecc. - può considerarsi l'inizio del moderno virual design, bisogna altresì riconoscere che al suo defi nirsi e svilupparsi contribuirono altri fattori e altri inte ressi di cultura. Alla Bauhaus, dove il visual design prende corpo nel1'esperienza dei corsi preliminari (Vorkurs) è possibile solo a posteriori connettere il pensiero fiedleriano, quindi il contributo dello Hildebrand. Infatti ad introdurre l'in segnamento del nuovo modo di visione e rappresentazione fu J. Itten, che aveva, come molti artisti a cavallo del secolo, degli interessi culturali assai vari ed eterogenei. I mostruosi avvenimenti della I guerra mondiale e le innumerevoli perdite insieme ad uno studio approfondito
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del Tramonto dell'Occidente di Spengler, mi convinsero sempre più che eravamo giunti ad un punto cruciale per la nostra civiltà scientifico-tecnologica... Perciò studiavo la filosofia orientale approfondendo gli insegnamenti del Mazdeismo persiano e dello yoga indiano, mettendoli a confronto col Cristianesimo delle origini. Arrivai alla conclusione che la nostra ricerca scientifica orientata ver so l'esterno e la speculazione tecnologica dovevano tro vare un contrappeso nella pratica e in un pensiero più interiorizzato 2• Tra le varie esperienze di Itten, artista interessato so prattutto alle ricerche della moderna pedagogia, va anno verata la lezione di Friedrich Wilhelm August Frobel (17821852), al quale risale quel concetto dell'imparare giocando e dell'imparare facendo che diviene, attraverso il Vorkurs di Itten, uno dei principi basilari della Bauhaus. Nel descrivere il suo metodo didattico che inglobava le suddette esperienze e tendeva ad esaltare le peculia rita proprie alla personalita di ciascun allievo, Itten scrive: all'inizio di ogni fase di studio insegnavo agli allievi come rilassarsi, come respirare e concentrarsi, in modo tale da raggiungere lo stato di distensione proficuo per un lavoro intensivo... Dopo aver descritto questa fase preliminare psico-fisica Itten entra nel vivo del suo tipo di insegna mento. Sia le forme che i colori erano discussi e pre sentati in ogni possibile contrasto polare- Contrasti che potevano esser presentati come contenuti intellettuali grande-piccolo, lungo-corto, largo-stretto, spesso-sottile, chiaro-scuro, diritto-curvo, appuntito-smussato, molto-poco, duro-molle, liscio-ruvido, leggero-pesante, trasparente-opa co, continuo-intermittente; c'erano inoltre i contrasti dei sette colori e delle quattro dimensioni dello spazio. Gli allievi dovevano presentare questi differenti contrasti, se parati o combinati diversamente, in modo da permettere 56 ai nostri sensi di percepirli chiaramente. Spiegai tre modi
differenti di considerare la forma e il colore: come qualità e quantità che potessero: 1) essere riconosciute dai nostri sensi; 2) afferrate intellettualmente; 3) percepite emoti vamente (p. 105). In un'altra pubblicazione, il corso di Itten viene così schematizzato: 1) Studio minuzioso della natura... a) rap presentazione delle qualità caratteristiche dei diversi ma teriali; b) tentativi di forme possibili esistenti; 2) Studi di composizioni plastiche con materiali differenti...; 3) Ana lisi di opere di antichi maestri 3• È significativo, in questa prima esperienza didattica di basic design, l'accento posto sulla osservazione della na tura e sull'intenzione di e rappresentare.>. Attitudine che sarà successivamente ridotta per l'influenza delle tendenze d'arte astratta. Per approfondire e controllare l'esperienza - scrive Itten - gli allievi dovevano toccare, guardare e disegnare questi tessuti fino a conoscerli a fondo e poterli quindi rappresentare, senza il modello naturale, coll'aiuto della loro percezione interiore. Nell'altro testo sull'inse gnamento preliminare alla Bauhaus si legge: a tale lavoro preparatorio appartiene anche la rappresentazione e il disegno delle diverse materie. Per esempio il disegno fe dele fino alle singole fibre di - un pezzo di legno serve anche a capire la materia e a rappresentarla con altri mezzi. La rappresentazione della materia con altri mezzi è presupposto delle arti figurative, Nessun dubbio quindi su una componente mimetica nel primo basic design anche se intenzionata in senso non accademico ma conoscitivo del le proprietà dei materiali. Da quanto precede è facile intendere che la posizione . di "Itten dovesse cedere di fronte al diverso indirizzo as sunto più tardi dalla scuola. Infatti nel 1923 egli lasciò la Bauhaus ed il corso propedeutico fu affidato ad Albers. Questi fondò il suo insegnamento sullo studio dei materiali e sulla loro elaborazione in forme che non rispondevano ad 57
alcun princ1p10 imitativo, né ad alcuno scopo funzionale. La forma economica deriva dalla funzione e dal materiale. Naturalmente lo studio di questo precede la conoscenza della funzione. Incominciamo così la comprensione delle nostre forme attraverso lo studio dei materiali... Costruire inventando e prender nota scoprendo vengono sviluppati, almeno in principio, attraverso un provare - cosa questa che all'inizio appare come un gioco, con dei materiali senza scopo - indisturbato, privo di influenza, in defini tiva senza pregiudizi. Ciò significa fare un libero lavoro di ricerca senza un gravoso insegnamento 4• Tale didattica viene così spiegata ed esemplificata da Argan: Uno degli aspetti più interessanti delle esp�rienze didattiche di Albers è la ricerca di indurre una spazialità... in una superficie: tali, per esempio, gli sviluppi di una forma plastica, di infinite forme plastiche, dalla semplice superficie di un foglio· di carta mediante una serie di tagli e di pieghe. Apparentemente nulla di più che un gioco di pazienza da giardino d'infanzia, complicato all'infinito... Di fatto quelle esercitazioni formali miravano a di mostrare sperimentalmente che la superficie, il volume e in genere tutte le consuete categorie della forma non sono comunque ancorate alla realtà oggettiva e possono libe ramente trasmettersi l'una nell'altra assumendo valori di versi e determinabili soltanto in rapporto alla volontà costruttiva che li designa 5• L'apporto di Moholy-Nagy al òasic design si eviden zia soprattutto in due direzioni. La prima tende a legare l'insegnamento visivo alle poetiche figurative dell'avan guardia storica; la seconda ad utilizzare l'apporto scienti fico come base della didattica visiva. È probabile che questa seconda tendenza si sia sviluppata più durante il suo insegnamento in America (dove, come vedremo, lo scientismo prevarrà sull'apporto dato al visual design dagli 58 e ismi > figurativi) che negli anni della Bauhaus, dove
Moholy-Nagy porta direttamente la sua esperienza di arti sta d'avanguardia 6• Attualmente nell'educazione artistica - scrive in The new vision - noi cerchiamo intensamente il raggiungi mento degli elementi biologici fondamentali, senza tempo, dell'espressione, i quali sono significativi per ogni uomo. :t questo il primo passo verso una produzione creativa che precede il significato di qualsiasi cultura (i valori di uno storico sviluppo). Pertanto non siamo interessati a quella personale qualità espressiva che è comunemente chiamata « arte », ma agli elementi basici primordiali, al1'ABC dell'espressione stessa 7• Nello stesso libro Moholy Nagy richiama la biotecnica come metodo per l'attività creativa, citando lo scienziato Raoul Francé: « Ogni pro cesso in natura ha la sua forma appropriata. Questi pro cessi si mostrano sempre in forme funzionali. Essi seguo no la legge della più breve distanza tra due punti: il raf freddamento si verifica solo sulle superfici esposte al raf freddamento; la pressione solo sui punti di pressione; la tensione lungo le linee di tensione; il movimento crea per se stesso forme di movimento; per ciascuna energia esiste una forma di energia •· « Tutte le forme tecniche possono essere dedotte dalle forme della natura. Le leggi della minima resistenza e della economia energetica rendono inevitabile che atti vità simili debbano condurre a forme similari ... ,._. Tutta via Moholy-Nagy obietta che l'efficienza e la funzionalità di una forma può ricarvarsi molto spesso seguendo un iter non naturalistico, ricevendo successivamente dalla natura una conferma del risultato ottenuto. L'utilità della biotec nica consiste in un approccio più cosciente alle invenzioni che generalmente si ritiene siano dovute unicamente al l'intuizione 8• Di maggior interesse, specie in riferimento al tempo della prima edizione del libro che studiamo, è l'interpreta- 59
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zione delle poetiche d'avanguardia in funzione della didat tica visiva.' Parlando dei cubisti Moholy-Nagy osserva che essi hanno valorizzato ed evidenziato la bellezza di una serie di oggetti che la quotidiana routine ci impediva di ap prezzare. Cosicché appare (loro) necessario render chiara la bellezza di ciò che è esatto mediante una distorsione artificiale che conduca alla riscoperta consapevole della rigorosa bellezza di quegli oggetti da parte della mente dell'osservatore. Gli artisti che portarono avanti la visione cubista, scoprirono valori e attitudini proprie alla forma e ai materiali indipendentemente dalla funzione rappre sentativa. Essi si sono serviti di tradizionali mezzi di espressione visiva per proiettare ordine e armonia senza quella distorsione dell'unico significato dei mezzi visivi che è inevitabile se i mezzi stessi sono messi in ombra dalle associazioni con gli oggetti del mondo esterno. L'ope ra di rinnovamento è una nuova valutazione del colore, la sua energia ottica, l'illusione visiva e il fenomeno dell'after-image, che sono i mezzi per la resa di un nuovo spazio-tempo cinetico 0• Dalla crisi del mimetismo in arte e dalla tendenza a seguire il processo naturale senza imitarne tuttavia le for me nasce il visual design. Il •disegno,. - scrive Argan non è più il mezzo grafico col quale si astrae la forma dall'accidentale materia della cosa; " disegno » nel senso attivo di •progetto ,. è intuizione di relazioni costruttive o spaziali dentro la materia: e però non è più un astrarre la realtà pluridimensionale in due dimensioni, ma un concretarla in tutte le dimensioni 10• · Per l'apporto di Klee al visual design espresso in una vasta opera di annotazioni e riflessioni spinte ad indagare la realtà sino ai limiti dell'inconscio, riportiamo alcune os servazioni di Banham che collocano il pittore svizzero nella crisi prodotta nel Vorkurs al passaggio da Itten a Moholy-
Nagy. Klee visualizza il processo del design come un pro cedimento che ha inizio col movimento di un punto, che produce una linea, la quale muovendosi produce un piano e questo, a sua volta, col movimento genera un volume. Un'idea simile si può trovare nel libro di Kandinsky Punkt und Linie Z'U Fliiche, ma mentre Kandinsky tratta il suo argomento con astrazioni ad alto livello, Klee parte dalla quotidiana esperienza del fare segni sulla carta, e rimane in una visione di cose pratiche, continuando a questo modo, almeno per i lati meno spirituali, l'atteg giamento artigianale di Itten. Nello stesso tempo, tuttavia, certi altri disegni e qual che quadro da lui eseguito ci consentono di vedere che egli disponeva di un altro concetto di spazio abbastanza vicino a quello degli Elementaristi, tale da rendere le idee di costoro facilmente accettabili a qualsiasi allievo che fosse passato attraverso il suo insegnamento 11• Ma ovviamente l'importanza di Klee nella nuova di dattica visiva non sta in questa funzione mediatrice tra espressionismo e astrattismo. Ciò che rende ancor viva e attuale la sua opera, oltre ai suoi numerosi appunti peda gogici, che è impossibile in questa sede sintetizzare, sta, a nostro avviso, nei seguenti due punti: lo sforzo di comu nicare i dati della nuova visione e la presenza, accanto ad un'istanza formativa· e concretista >, di una esigenza e rap presentativa > propria a tutte le altre tendenze che non avevano rinunciato ad una funzione narrativa. Per entram bi i punti suddetti, citiamo dalla famosa conferenza di Jena: Deve ben esistere un terreno comune a profani e artisti, un terreno sul quale sia possibile un incontro, sul quale l'artista cessi di apparire qualcosa di estraneo, e appaia invece come un essere che al par di voi, non richiesto del suo parere, è stato gettato in un mondo proteiforme, in cui bene o male gli tocca raccapezzarsi... Ho fatto esperimenti di disegno puro come di pittura 61
esclusivamente chiaroscur ale; nel campo dei colori ho tentato tutte le operazioni parziali cui potevo sentirmi indotto orientandomi sul disco cromatico. Ho elaborato vari tipi di pittura: chiaroscuro cromatico; colori com plementari; più colori; la totalità dei colori. ... M'è capitato di sognare un'opera di vasto respiro che abbracci l'intero ambito degli elementi, dell'oggetto, del contenuto e dello stile... ... Dobbiamo ancora cercare. Finora abbiamo rinve nuto dei frammenti, non il tutto. Ce ne manca ancora la forza, a noi che non abbiamo il sostegno di un popolo. Ma un popolo noi lo cerchiamo, e i primi passi in questo senso li abbiamo fatti al Bauhaus. Nell'ambito cioè di una comunità cui offriamo tutto quel che abbiamo. Di più non è possibile fare 12• C�me appare evidente, l'impegno maggiore di Klee è quello di ristabilire un rapporto comunicativo, di saldare la frattura tra arte e pubblico. È legittimo estendere tale esigenza al campo didattico e considerare il suo Vorkurs, il suo basic design, come un metodo che si differenziasse dalla normativa accademica, ma che potesse contare su fattori obiettivi per comunicare tra docenti e discenti: un • piano d'incontro tra maestro ed allievi dopo la ventata iconoclastica e caotica delle poetiche d'avanguardia nel set tore didattico. Se è possibile ancor oggi un'educazione arti stica, la ristrutturazione delle scuole d'arte e di architet tura, ciò si deve alla funzione di critica mediazione operata da maestri come Klee che hanno vissuto l'esperienza del l'avanguardia, ne hanno sviluppato i postulati, ma al tempo stesso, hanno tratto da quelle poetiche un'intenzione so ciologica, un modo di comurùcare, una guida didattica in un mondo dove sembra prevalere l'ambiguità e la solitu
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dine. Ma passando al secondo punto che ci sembra caratteristico nell'opera di Klee, va sottolineata la sua ricerca
figurale accanto a quella, per così dire, astratto-concreta. L'impiego del visual design ai fini della rappresentazione, non conta qui se d'un oggetto dell'esperienza empirica o d'un'associazione inconscia, porta ad utilizzare quel me todo anche oltre la poetica astratto-concreta. E ciò, come vedremo, è il problema più vivo ed attuale, della nuova di dattica visiva. Con la chiusura della Bauhaus ed il passaggio oltre atlantico in molte delle personalità più importanti di que sta scuola, la loro opera prosegue in America, e se è vero che determinate linee di pensiero rimangono immutate, pure una mediazione con il mondo nuovo doveva avve nire. di necessità. Ora - scrive Moholy-Nagy - una nuova Bauhaus è stata fondata sul suolo americano. L'America è portatrice di una nuova civilizzazione che tende simul taneamente allo sviluppo e all'industrializzazione di un continente. È questo il suolo ideale su cui lavorare alla individuazione di un principio educativo che sappia con seguire i legami più stretti tra arte, scienza e tecnologia 18• Così i corsi di basic design cercano di fondarsi sulla indagine scientifica che chiarisca molti dei principi e delle reazioni a carattere psico-fisiologico del nostro modo di sentire i patterns percettivi, principi che erano stati, già in Europa, genialmente intuiti. Vengono meno, forse, alcune componenti emozionali, alcune tendenze di carattere irrazionale che costituivano il lato meno chiaro del corso di Itten. Una personalità di notevole rilevanza è Gyorgy Kepes il quale pubblica, nell'anno 1944, il libro Language of vi sion che riprende ed amplia il discorso di Nagy, e serve a diffondere negli studenti americani i fondamentali principi della nuova scuola. scrive Kepes - la coIl linguaggio della visione municazione ottica, è uno dei più efficaci mezzi potenziali
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sia per conciliare l'uomo con la sua conoscenza che per ri-formarlo in un essere integrato. Il linguaggio visivo è capace di disseminare la co noscenza in maniera più efficace di qualsiasi altro veicolo di comunicazioneH . Questa posizione razionalistica volta ad accentuare i contenuti conoscitivi del linguaggio della visione si basa su di una concezione evidentemente non solo gestaltica. Infatti: la vista è più che una pura sensazione, i raggi di luce che raggiungono l'occhio non si presentano con un ordine intrinseco. Essi costituiscono un caotico pa norama di mobili, indipendenti, avvenimenti luminosi. Non appena essi raggiungono la retina, la mente li orga nizza e li forma in un'unità spaziale significativa. Vediamo ora cosa vuole conoscere ed esprimere questo nuovo linguaggio di cui il basic design costituisce, in certo senso, la grammatica. Prima di cominciare ad usare il linguaggio visivo per la comunicazione di un messaggio concreto - osserva Kepes - si dovrà apprendere la più ampia varietà di sensazioni spaziali inerenti alle relazioni delle forze che agiscono sulla superficie pittorica. L'imma gazzinamento di tali diverse esperienze è la parte più importante di un allenamento ad un'espressione visiva 15 e più avanti: lo sviluppo della visione conduce non sol tanto ad una più profonda conoscenza della natura, ma anche allo sviluppo progressivo delle sensibilità umane e quindi ad esperienze più ampie ed approfondite 16• È chiaro dunque che questo nuovo idioma si propone l'espressione di sensazioni spaziali e che i corsi di basic design cercano di individuare come si generano, come si controllano, e come operano, le sensazioni elementari in tale campo. È anche chiaro che il metodo si basa soprat tutto sul fare concretamente, da parte dell'allievo, le espe rienze proposte. Questo operare concreto, oltre a farci capire 64 meglio il mondo che ci circonda e noi stessi, fornisce, e ciò è
assai importante, gli strumenti per seguire gli svolgimenti dell'arte moderna. Anzi le opere di questi studiosi, Nagy prima, Kepes più tardi, sono delle vere e propr!e storie dell'arte moderna. Da un lato essi spiegano. il fare arti stico alla luce delle loro intuizioni, e dall'altro, proprio dall'esame delle opere d'arte moderna, traggono vastis sima messe di osservazioni e suggestioni operative. Scrive Kep2s: questo studio analizza gli idiomi della rappresen tazione visiva e tenta di rivalutarli in termini contem poranei 17• Le esperienze di alcune tendenze dell'arte contempo ranea sembrano influenzare il visual design nella direzione di una ricerca dinamica dello spazio. L'immagine plastica - scrive Kepes - solo attraverso un ordine dinamico può diventare una forma vivente dell'umana esperienza ... I pittori del Rinascimento... ridussero il campo visuale ad un sistema geometrico statico, eliminando l'elemento tem po, sempre presente nella percezione dello spazio, e di struggendo così le relazioni dinamiche nell'esperienza dello spettatore. Con l'abbandono della prospettiva lineare l'immagine divenne ancora una volta un'esperienza spaziale dinamica piuttosto che un morto inventario di fatti ottici. Questa ostilità nei confronti della prospettiva lineare è un dato costante, e si ritrova negli scritti dei vari autori, dal 1922 fino ad oggi. Secondo Kepes fare è un'attività spaziale, ed il segno visibile del movimento di uno strumento su un mezzo è un messaggio spaziale. Non è possibile evitare di vedere, al di là di ogni configurazione spaziale la forza, la velo cità, e la direzione del movimento che l'ha creata 18• Come già i futuristi, anche Kepes, e prima di lui Nagy, spiegano tale predilezione per le immagini dinamiche, motivandole come le più vere manifestazioni del nostro mondo. Mentre la rappresentazione visiva della profon-
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dità ha trovato diversi sistemi completi, come la prospet tiva lineare o quella ottenuta con gli effetti di ombra, uno svil;uppo parallelo non si è mai verificato nella rap presentazione visuale del movimento. ... I grattacieli, la strada con le sue caleidoscopiche vibrazioni di colore, le vetrine, le automobili, producono una simultaneità dina mica di impressioni visive che non può essere percepita in termini tradizionali. In questo tumulto visivo l'oggetto stabile appare del tutto insufficiente a misurare gli
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eventi 19• Nell'attuale mondo caotico l'uomo protesta contro la condizione di essere solo un altro oggetto, sente la neces sità di una sua posizione nello spazio. I pittori stessi, in seriti nel conflitto, usarono l'immagine come terreno di prova... Essi dovevano dominare e comprendere le ca ratteristiche spaziali- degli oggetti, al fine di capire se stessi, ed indirizzare la propria esistenza. Ed ancora, que sto esprime la convinzione fondamentale dell'avanguardia contemporanea in ogni campo del pensiero umano: il de siderio ardente di comprendere ed ordinare le forze che agiscono oggi ciecamente nella nostra vita 20• I brani citati di Kepes sono del 1944 e ricordano, molto da vicino, le posizioni dell'ut9pismo un po' vago della Bauhaus, tuttavia nello stesso libro si scoprono delle esi genze che potremmo dire di massa. Per parlare a questo uomo nuovo si chiedeva un nuovo linguaggio che pene trasse profondamente nell'individuo, ma che, nello stesso tempo, parlasse al più ampio gruppo possibile. Ciò signi fica parlare a molti simultaneamente. Il numero di ascol tatori richiede un'amplificazione del suono ed un livel lamento del linguaggio; interesse ed idiomi comuni. Il mi crofono aiuta ad adeguare la voce alla più ampia dimen sione dell'uditorio. Lo spettatore-massa richiede l'amplificazione della intensità ottica ed un livellamento del lin-
guaggio visuale in idiomi comuni. Tali idiomi richiedono semplicità, forza e precisione 21• Come si vede, la mira è stata abbassata. Siamo pas sati dalla città del sole al fumetto. Questo è un dato, ci pare, caratteristico del periodo americano. D'altra parte, nello stesso periodo, nuove componenti della formazione e fruizione artistica, già in Europa avanzate da ricercatori ed artisti, acquistano in America una portata e. una dif fusione rilevante. Una di queste componenti è quella che accentua il carattere non deliberato della vera creazione artistica, probabilmente sulla scia della notevole fortuna che incontravano allora le teorie freudiane. Gli artisti contemporanei, rompendo i legami di una concezione sta tica, rigettano del tutto il controllo cosciente. L'artista svolge il compito di levatrice. Egli assiste soltanto alla nascita di una forma vitale che cresce da strati assai più profondi di quelli che i suoi sforzi coscienti possano at tingere. Egli è un inventore di tecniche che costituiscono il minor ostacolo al libero fluire di un formarsi organico 22• Come abbiamo detto, in America si è proceduto alla sistemazione scientifica dei processi operativi della perce zione visiva, di quella che Arnheim chiama la psicologia dell'occhio creativo. Egli, partendo dalle ricerche di Wert heimer, Ki:ihler e Koffka, per i quali la percezione è do tata di una caratteristica globalità strutturale, che supera i vecchi postulati associazionisti, vuole identificare una estetica (e non è il solo, pur se nel campo del visua.l design è uno degli esponenti più significativi) che si basi su teorie psicologiche piuttosto che su speculazioni filosofiche 28• Quindi mentre negli scritti di Nagy e poi di Kepes si osservava la trama di una storia dell'arte, solo relativa al l'arte moderna, in questa opera di Arnheim del 1954 (proprio perché egli ha identificato gli elementi oggettivi del!'esperienza artistica su basi gestaltiche), si c_erca di fondare validi per giudicare le opere artistiche di ogni epoca. Tale
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posizione è estremamente significativa. Secondo Dorfles l' importanza di una simile affermazione è ovvia ; pro prio in un' epoca come la nostra dove il dilagare di espe- . rimenti artistici sempre più eccezionali e soggettivi e quindi sempre più svincolati da un credo universale rischia di far considerare inesistente ogni regola e ogni possibilità di giudizio, è salutare poter credere che al di là delle differenze stilistiche e culturali - e persino di talune differenze percettive instauratesi attraverso i tempi - esi sta tuttavia un principio formativo, comune all'uomo e alla natura, che viene a ripresentarsi e a costituire la base significante e veramente universale di ogni autentica opera d'arte 24, Nel suo libro Arnheim mostra di sapersi servire dei principi del gestaltismo senza esserne assolutamente condi zionato; anzi sa riorganizzare la materia psicologica in modo da renderla più idonea alla interpretazione dei fenomeni estetici. Ciò che più interessa, ai fini del nostro discorso, è l'accento che Arnheim pone sull'importanza del « fare >, dello sperimentare di persona per . reintegrare le capacità visive dell'uomo. La semplice presa di contatto coi capo lavori - egli scrive - non può bastare: troppe persone visitano i musei e raccolgono libri d'arte senza con ciò ottenere un accesso all'arte. La capacità innata di com prendere attraverso gli occhi si è assopita e deve esser risvegliata; e ciò può essere fatto nel modo migliore ma neggiando il pennello, la matita o lo scalpello 25• Non si tratta evidentemente di esercitazioni a carattere accade mico, ma di un « fare > che si basi e si avvalga di quei principi che costituiscono la chiave di lettura del discorso artistico. Bisogna quindi conoscere. Questa assistenza al fare artistico, scrive Arnheim, non può avvenire che at traverso le parole, giacché gli occhi hanno poco da dire 68 agli occhi... Se una incessante auto-analisi sarà dannosa,
altrettanto lo sarà il primitivismo artificioso dell'uomo che rifiuta di sapere come e perché agisce. L'uomo moderno deve, e perciò può, vivere dotato di un'autocoscienza senza precedenti 26• Ed ancora: non possiamo più consi derare il processo artistico come chiuso in se stesso, mi steriosamente ispirato dall'alto, non relazionato e non re lazionabile alle altre attività umane... L'elemento ogget tivo in ogni esperienza giustifica i tentativi di distinguere tra concezione adeguata e inadeguata della realtà. Oltre a ciò ci si poteva aspettare che ogni concezione adeguata comportasse un comune fondamento di verità, il che avrebbe potuto rendere l'arte di tutti i tempi e di tutti i luoghi - almeno potenzialmente ....;. significativa per tutti gli uomini: un antidoto, codesto, di cui si sentiva gran bisogno nel dilagare senza limiti di soggettivismi e relativismo. Al rifiuto di ogni forma di irrazionalismo sono im prontati, in generale, i più recenti saggi che si occupano del problema dell'espressione in' campo artistico, lungo la li nea di pensiero che abbiamo seguito dalla sua nascita nel la Bauhaus, all'evoluzione del periodo americano. Nell'opuscolo illustrativo del corso di visual design al M.I.T. si legge: Il visual design (qui l'accezione di visual design è identica a quella di basic design) vuole generare la comprensione della esperienza estetica nelle arti visuali, e incoraggiare la sperimentazione essenziale all'artista che desideri comunicare questa esperienza... Esso cerca anche di formulare attraverso la discussione e la comparazione, mediante il riferimento simultaneo ad opere d'arte in campi diversi, una filosofia dell'arte moderna, un ac concio condizionamento mentale per il futuro operatore creativo nel campo delle arti visuali. In queste parole di oggi sono sintetizzati il pensiero di Kepes (1944) e le intenzioni di Arnheim (1954).
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I principi fondamentali del corso di ltten del f922 sono tornati in Europa arricchiti delle esperienze americane. Il basic design, ha cominciato, negli ultimi anni, ad avere dei corsi anche in Italia, nel biennio propedeutico delle Facoltà di architettura. E sarebbe auspicabile che si approfittasse del fatto che questo insegnamento si è avuto da noi con ritardo sul mondo anglosassone, per accostarsi ad esso in chiave critica, per apportarvi quei contributi fat tivi che è lecito augurarsi da parte delle nostre scuole di architettura; a volte partecipi di una cultura vasta ed eru dita, ma lacunose sul piano operativo. Che nuovi contributi siano necessari per ovviare ad una imminente, se non già in atto, crisi del visual design, si ricava dall'opera Education of Vision curata da Kepes (1965). Questa fa il punto con saggi di studiosi e inse gnanti negli istituti d'arte e di architettura, sulla attuale situazione degli studi nel campo della visione. Nell'ultimo decennio - scrive A. Ehrenzweig - si
è avuta una fiori
tura di corsi di ba.sic design in cui lo studente viene incoraggiato a sperimentare più liberamente i vari media artistici senza proporsi uno scopo ben definitivo in mente. Ma l'antagonismo tra professionalismo e immaginatività non viene così risolto. La nuova libertà di immaginazione si perde di solito non appena lo studente deve accettare un minimo di programmazione e di controllo 27• E si ri cade in soluzioni di carattere accademico e banale. L'au tore critica essenzialmente lo scientismo dei corsi, e vuole che si ritorni ad un operare in cui gli elementi irrazionali, o meglio inconsapevoli, forniscono la soluzione dei pro blemi. Sostengo che la visualizzazione inconscia ha una capacità focalizzatrice più profonda e sa così ordinare, con uno sguardo solo, tutte le possibili ramificazioni future e giungere pertanto alla giusta scelta. Quindi l'assistenza
è solo necessaria per una maggior efficacia e capacità immaginativa... ma è anche indidella mente inconscia non
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spensabile per un lavoro efficiente, e ciò è dovuto alla superiorità dell'ordinamento inconscio sulla mente con scia. Non solo ma ... la mancanza di un preciso controllo conscio migliora assai l'efficienza tecnica. Questo modo di porre e risolvere il problema non ci pare fecondo di risultati. Per inciso ricordiamo una frase di Itten: Se voi inconsciamente siete capaci di dar vita a capolavori nel campo del colore, allora l'essere inconsci sia il vostro modo di operare. Ma se ne siete incapaci, allora è il momento di darsi da fare per essere consci 28• Una soluzione diametralmente opposta è quella avan zata da P. Rand: credo - egli scrive - che se nel porre il problema si enfatizza più del dovuto la libertà e l'auto espressione, si avrà come risultato uno studente indiffe rente e una soluzione insignificante. Di contro un proble ma con dei limiti ben precisi e con delle regole implicite ed esplicite atte a stimolare l'istinto di gioco, genereranno molto probabilmente uno studente interessato ed assai spesso una soluzione significativa e nuova 29• Ed ancora Il problema del basic design, se giustamente posto, è ef fettivo veicolo per l'insegnamento delle possibilità di re lazioni... 1: al tempo stesso mezzo efficace per esplorare l'uso di materiali non ortodossi e per apprendere a lavo rare nell'ambito di limitazioni specifiche. Si tratta dunque non di esaltare la libertà espressiva per permettere alle inconscie capacità di rivelarsi e agire, ma piuttosto di individuare quelle limitazioni specifiche che possono pro ficuamente guidare l'operato dello studente. Per W. S. Huff bisogna inserire nei corsi di basic design nuovi elementi di studio fondati sulla topologia, la matematica, l'esame scientifico delle forme naturali. Fare del design - è per questo autore - prima di tutto strut turare; per me lo studio della struttura è equivalente al basic design... Nel nostro corso io e i miei studenti, in daghiamo la natura fisica della struttura; i raggruppa-
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menti che possono essere analizzati in termini di simme tria, topologia, analisi combinatoria, teorie del colore e della tessitura 30• A proposito della crisi di questi corsi Huff osserva che il basic design è un design « privo di scopo � o secondo la definizione di Annie Albers : design « privo di utilità � ; avendo però una funzione pedagogica ed utile relativa mente ai processi di scelta. Il compito del basic design è quello di preparare l'allievo al passo successivo, e cioè al disegno di architettura, all'industrial design, alla grafica pubblicitaria, nei quali è presente l'elemento significato, funzione, uso mentre il basic design non si occupa né dei fattori semantici del mondo del design né di quelli prag matici, ma solamente dell'attività sintattica o struttu rante. • Ma - osserva Huff, citando Bredendieck - sebbene il fine che il corso basico si propone sia quello di sviluppare le capacità creative dello studente in maniera libera e senza restrizioni, nei semestri seguenti, quando gli stu denti vengono indirizzati verso la soluzione di problemi pratici, la più piccola limitazione costituisce per loro un nuovo ostacolo •· Il passaggio dalla fase di pura ricerca visiva a quella di vera e propria progettazione comporta delle difficoltà che sembrano porre in crisi l'istituzione stessa del basic design, o almeno la sua funzione propedeutica allo studio dell'architettura. È quindi necessario, secondo Huff, integrare meglio il basic design agli altri corsi per i quali esso costituisce un trampolino di lancio. Uno dei tentativi più interessanti di applicazione del visual design ad un campo più ampio e più strettamente professionale è quello degli studi condotti negli ultimi anni all' M.I.T. sui problemi della forma della città. 72 Gli schemi proposti sono una traduzione in termini
tridimensionali dei principi ottici su cui si basano gli schemi usati nelle altre arti visive. Una nuova forma d'arte è il collage, in cui i materiali più diversi formano un insieme le cui parti sono contrastanti, ma comple mentari l'una all'altra. Il paesaggio urbano è un tipo particolare di collage, in cui il contrasto e la varietà de gli elementi produce una vitalità attraverso la tensione e il potenziale della struttura... Una quantità di strumenti architettonici: colore, tessitura, ritmo, possono entrare in gioco 31• Quando noi guardiamo questo complesso ed apparen temente caotico insieme di eventi e di fenomeni, la città, il nostro processo percettivo seleziona il complesso campo visuale fino a delineare una gerarchia di forme signi ficative 32• Si intravede quindi la possibilità di riferirsi agli stessi· elementi concettuali (che trovano, in questo caso, una diversa maniera di concretizzarsi) cui si riferiscono Klee, Albers e lo stesso Kepes. Abbiamo scoperto che la perio dicità è un fattore importante nel processo percettivo di formazione del nostro ambiente visivo. Edifici alti e bassi, luci intense o deboli, spazi chiusi o aperti sono elementi ricorrenti. La ricorrenza di elementi visivi in una se quenza opportunamente strutturata produce un ritmo tissulare che facilita l'unificazione percettiva della forma della città 33 • Applicando l'insegnamento di Kepes, Lynch ha ten tanto di individuare una serie di schemi utilizzandoli in fase di progettazione. Il valore didattico, o comunque stru mentale di questi, tuttavia, non viene mai affermato espres samente, ma si sottolinea il fatto che essi sono finalizzati all'intervento, al piano. Il fattore tempo e il fattore mo vimento entrano qui realmente nella composizione e non più come elementi illusori. Il paesaggio è soggetto ad un cambiamento costante, 73
dovuto al ritmo delle attività dell'uomo e dei cieli, della natura... la luce, che gli dà forma, muta costantemente, col tempo, l'ora, la stagione... esso è costituito non da una sola veduta, ma da una sequenza di vedute che si estende lungo un arco di tempo, mentre l'osservatore stesso è in movimento s•. Le leggi della prospettiva sono dei dati di fatto, e su queste si basa una gran parte degli schemi, tutti di estre ma semplicità. La sovrapposizione di oggetti più vicini ad altri più lontani, il movimento parallattico di oggetti disposti in profondità, la minore dimensione e la tessi tura più sottile di oggetti lontani, la convergenza di linee parallele possono falsare le distanze e le dimen sioni di uno spazio. La compenetrazione e sovrapposizione visiva di spazi può essere ottenuta mediante l'uso di pareti vetrate, pareti molto aperte, colonnati ecc. 35• La necessità di affrontare la realizzazione di un am biente per la vita dell'uomo implica Io studio e l'analisi delle dimensioni dei singoli elementi che entrano nella composizione, e non solo dei rapporti fra questi. Riferen dosi, come parametro, alla scala dell'uomo, è stato fatto qualche tentativo, estremamente semplice, di definire delle dimensioni ottime da un punto di' vista « visivo >. Tutta via, a parte la dimensione reale degli element.i che lo com pongono, è possibile modificare la dimensione « percepita > di un paesaggio. Superfici di colore caldo e forte tendono ad avvicinarsi; superfici blu o grigie rinforzano la pro spetitva • atmosferica e tendono ad allontanarsi. La luce fa emergere o confondere i confini, i profili, le tessiture; restringe o allarga le dimensioni 36 • La luce artificiale di venta anch'essa uno· strumento di progettazione. Esiste poi tutta una serie di riferimenti simbolici: il movimento ver so l'alto di elementi verticali; la passività di linee oriz zontali; l'apparenza statica e chiusa· di una forma circo74 lare, il dinamismo di una forma a stella o a punta 87• .
Ancora, tutta una gamma di valori visivi ottenuti me diante tessiture diverse. Una tessitura sottile accentua la forma e la massa dell'oggetto, una grossa richiama l'at tenzione sulla superficie stessa, piuttosto che sull'oggetto. Gli strumenti per creare una struttura visiva sono: continuità o discontinuità di forma; risalto, dominanza o contrasto di un elemento sul suo sfondo, simmetria, ordine, ripetizione, ritmo, semplicità di forme. Ed ancora gerachia, dominanza o centralità di forme 38• L'obiettivo di fondo di questi studi è quello di for nire al progettista una casistica di forme e di rapporti. Senza dilungarci di più sulla esposizione di questi schemi, il cui valore risulta, in realtà, abbastanza limitato, possiamo invece sottolineare che le applicazioni in campo architettonico-urbanistico del visual design, se da un lato strumentalizzano questa disciplina togliendole in parte il suo valore didattico, dall'altro, proprio in quanto ricerca applicata, le conferiscono una nuova ragione ed aprono una vasta problematica. Lo stesso si può dire accada quando, superati gli aspet ti utopistici degli anni venti, l'industria! design si avvale della didattica visiva. Infatti la seconda riforma di Maldo nado - scrive ancora Huff - riguardante gli studi basici, abbandonando il vecchio « imparare mediante il fare • ed introducendo le discipline rigorose della simmetria, della topologia e della percezione, riconosce nel design di pro dotti per una società altamente industrializzata, la ne- . cessità di costruire una nuova consapevolezza, non sol tanto attraverso lo sviluppo dell'osservazione, mediante una sensibilizzazione delle percezioni (Itten, Albers, Mo holy-Nagy ), ma anche attraverso l'esplorazione dei nuovi campi in espansione della conoscenza 39• Il problema dunque è sempre attuale ed apertissimo al le verifiche ed agli esperimenti costruttivi. A conclusione del nostro excursus ci interessa pun-
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tualizzare due aspetti del terna trattato. A parte la solita operazione di recupero delle esperienze straniere che sia mo costretti a compiere per le note ragioni di politica e di cultura italiana, l'interesse da noi sempre crescente per il visual design nasce dal punto morto cui è giunta la didat tica artistica. Se è vero che le vecchie leggi accademiche non servono più da tempo nelle scuole d'arte e d'architet tura, va altresì riconosciuto il fallimento di un insegna mento di tipo liberistico dove ogni allievo è abbandonato alla propria « intuizione > e il contatto col docente manca di qualsiasi piano d'incontro. In queste condizioni si guarda al visual design come ad un metodo capace di 1) recu perare l'intera esperienza dell'arte contemporanea 2) svi luppare le personali attitudini degli allievi 3) formare una guida, per quanto duttile e dinamica, che consenta un rapporto comunicativo, una trasmissione di esperienza tra docente e studenti. D'altra parte, come appare dalle ultime citazioni, il visual design nei paesi dove è stato adottato è in crisi; e la crisi consiste nel contrasto tra teoria e pratica. In fatti mentre in linea di principio il visual design è ve nuto arricchendosi di ogni forma di apporti culturali, ossia presenta un'evoluzione nelle sue intenzioni e nei suoi contenuti, in fase operativa i suoi patterns, i suoi modelli, non sono dissimili dai primitivi esercizi di Itten e ricor dano ancora la lezione froebeliana. La soluzione della presente crisi è a nostro avviso ricavabile dal confronto colle poetiche contemporanee, dalle quali del resto il visual design ha sempre attinto la sua forza maggiore. Esiste il filone principale dell'arte moderna, che dagli esiti del cubismo, attraverso l'astrattismo ed il costruttivismo, è giunto fino a noi con le tendenze ottico cinetiche. Questo può considerarsi. l'espressione del visual
design oltre l'esperienza didattica; un visual design, per 76
così dire, divenuto materia professionale. Non più quindi
« giocare imparando >, ma un'attività operativa conscia di
determinare particolari effetti ed intenzionata ad una sem pre più estesa penetrazione sociale. Da questi artisti la scuola può trarre enormi vantaggi. Ma accanto alla ten denza suddetta, che abbiamo definito principale per la sua logica
continuità,
esistono
numerose
altre correnti
che
hanno in comune l'intento di rappresentare, di narrare. È in questo secondo, vasto e caotico campo che, a nostro av viso, il visua.l design ha molto da dare e ancor più da rice vere. Il visual design in altri termini non si esaurisce in problemi di «formazione>
come l'indu.strial design, ma
può benissimo porsi un compito di rappresentazione. I pre cedenti non mancano: ne abbiamo accennato a proposito di Klee che applicava la sua teoria della figurazione alla resa dei suoi sogni surreali e più recentemente ritroviamo la lezione del visual design nell'opera di Rauschenberg che, comunque la si voglia definire, ha una precisa mira nar rativa. In questa prospettiva piu larga, considerando il visual
design (opportunamente liberato da certo rigorismo for malistico non sempre utile) come esperienza didattica, que sta per la sua polivalenza sarebbe di grande utilità in ogni settore dell'insegnamento artistico. Non sarebbe cioè utile solo alla preparazione degli indu.strial designers, ma anche ad ogni categoria di pittori. Per quanto riguarda poi le ·scuole di architettura dove esiste sì un problema di formare, ossia di comporre con elementi artificiali spazi ed ambienti, ma soprattutto, al meno sul piano didattico, di rappresentare antichi e nuovi spazi ed ambienti, il visua.l design, inteso nel modo che da qualche gruppo va sperimentandosi, potrebbe avere una significativa funzione.
1 A. HILDEBRAND, Il problema della forma, Editrice G. D'Anna, Messina - Firenze, 1949, p. 35-36.
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!! J. ITI'EN, Il corso di fondazione alla Bauhaus in Education of Vision, Studio Vista, Londra 1965, p. 105..
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Si ritiene utile illustrare, sia pure in maniera sintetica, l'attività pratica che si svolge in un corso di basic design, ricordando che grandi differenze non esistono, sul piano operativo, tra il corso di Itten del 1922 e quelli più recenti. Come è stato già accennato, si tratta di svolgere, da parte dell'al lievo, una serie di esperienze e ricerche, servendosi dei mezzi più semplici, e secondo un grado crescente di complessità, atte a scoprire le leggi che regolano le formazioni spaziali e le relative sensazioni. Si tratta dunque di un'indagine sugli idiomi della rappresentazione visuale, o meglio ancora, sull'attività sintattica, strutturante, degli ele menti del campo visivo, senza che ci si preoccupi, in questa fase, che è chiamata basilare (basic design) dei fattori più propriamente se mantici. Questi ultimi verranno poi introdotti assieme alla funzione e porteranno al salto che differenzia il basic design dall'industrial design e dal più comprensivo vis-ual design che tende oggi a comprendere, oltre alle arti visive, determinati campi dell'architettura e dell'urba nistica. Vediamo dunque gli elementi basilari oggetto di questi corsi di studio. Si opera, in una prima fase, sugli elementi semplici del discorso che avviene nel campo pittorico, vale a dire il punto e la linea. Sarà compito dello studente indagare anzitutto come questi elementi, posti in un campo - il più semplice è un foglio di carta bianco - determi nino sensazioni spaziali: campi di forze, campi gravitazionali, effetti cinetici, scansioni ritmiche, evocazioni di carattere emozionale ecc. Intervengono in questa fase gli effetti di profondità generati da punti (o macchie) di diversa grandezza, linee parallele di diversa lun ghezza e spessore; effetti gravitazionali e campi di forza dovuti alla collocazione eccentrica (determinazione del gradiente gravitazionale del campo pittorico); effetti cinetici di linee e figure semplici che si dispon gono secondo la diagonale, in contrasto cioè coll'assialità orizzontale verticale che è caratteristica delle configurazioni in equilibrio perché legata al fatto fisico della gravità cui obbedisce anche il nostro or ganismo ecc. È chiaro che in questa prima fase hanno ampio posto le osserva zioni derivate dalla psicologia della Gestalt, le quali possono suggerire numerose esperienze assai illuminanti sul modo di operare del nostro campo percettivo. La psicologia della Gestalt si è occupata in modo ampio e sistema tico dello studio dei processi strutturanti della visione che non è secondo i seguaci di questa scuola - solo ausiliaria all'intelletto; piut tosto questo pensiero visivo è un'operazione di pensiero in se stesso; in se stesso potente e basilare mezzo di conoscenza. Lo studio dei patterns visivi indaga i criteri di strutturazione delle immagini che l'occhio percepisce e che son frutto di una scelta ope rante al livello della sensazione medesima, senza portarsi dunque al livello intellettivo. Tali modalità di organizzazione dei patterns sono individuabili. Sono state formulate diverse leggi della forma: legge della vicinanza - legge dell'eguaglianza - legge della • forma chiusa• - legge della • curva buona• - o del • destino comune• - legge del moto comune - legge dell'esperienza - legge della • pregnanza della forma•· (D. Katz, La psicologia della forma, Boringhieri Torino, 1961 - p. 41 segg.). Accanto a tali formulazioni esistono studi che, partendo da esse, annotano le proprietà essenziali delle forme o configurazioni in gene-
raie. Fondamentale è in questo campo l'opera di Rudolf Arnehim:
Arte e percezione visiva, Feltrinelli Editore, Milano 1962. Il passo logico successivo, nel corso di basic design, è quello che porta dal campo bidimensionale al campo spaziale tridimensionale. Lo studente quindi sperimenterà gli effetti spaziali, dinamici, ecc. di forme elementari nello spazio: fili, piani, semplici figure geometriche, figure composte. I materiali sono: fili di ferro, di nailon, fogli di carta, cartoncino, balsa ecc. Materiali che si possono con estrema facilità piegare, sagomare, tagliare, incollare. Ma una volta che si sia appreso come operare con questi elementi semplici, le parole, in campo bidimensionale e tridimensionale, si passa ad un grado di complessità superiore, il discorso. Si indagano allora, nel campo pittorico bidimensionale e in quello spaziale tridimensionale, le forze spaziali generate da elementi compositi, e si osserva la loro reciproca capacità di interazione. Si studieranno anche oggetti dal vero, cercando però non di co gliere un fisso aspetto obbiettivo di essi, come si otteneva con il metodo della prospettiva lineare, ma piuttosto i caratteri relazionali propri di determinate angolazioni sotto cui li inquadriamo. Ad esempio, si può procedere al disegno, per successive approssimazioni, di un oggetto che si sia percepito, non con la vista, ma tattilmente, ad occhi bendati. Si acuirà così la sensibilità tattile dello studente; e si scoprirà come essa, di solito scarsamente attiva e di nessun ausilio all'occhio, possa invece individuare importanti caratteristiche sia formali che superfi ciali e tissulari degli oggetti. Il gradiente tissulare permette il conse guimento di effetti specifici di profondità. Ciò potenzierà anche la capacità di saper scegliere determinati materiali che potranno essere incorporati direttamente nel campo pittorico. Altro esempio: si può studiare una natura morta, o comunque un insieme di oggetti, indivi duandone unicamente le differenze tonali della scala cromatica, ricor rendo unicamente alla scala dei grigi, senza preoccupazioni di carat tere rappresentativo. Ciò renderà edotti delle varie sensazioni spaziali generate dai soli valori tonali. Un'altra interessante esperienza è quella di rappresentare un og getto, o figura, che si muova attraverso una sequenza limitata di azioni periodiche, segnandone, con tratti veloci e non deliberati, dei profili significativi, frammenti di contorno, movimenti direzionali ecc. Ciò illustrerà un modo precipuo di creare effetti di movimento e di tensione spaziale, diverso, anche questo, dai metodi della prospettiva lineare. Anche di essa ci si potrà servire come strumento, non privilegiato ma alla pari di tutti gli altri, per indagarne le capacità espressive spaziali. Ciò si otterrà, e questo è il modo nuovo, usandola per creare immagini in cui figurino diversi punti di fuga, nonché i possibili altri tipi di aberrazione. -Questa astratta e libera esercitazione con lo stru mento « prospettiva lineare> svelerà importanti effetti spaziali e cine tici che è opportuno e proficuo saper padroneggiare. Altra esperienza fondamentale è quella che studia le possibilità spaziali che scaturiscono dalla modulazione della luce. Ricordiamo che in qualsiasi rappresentazione pittorica tradizionale l'introduzione, sia pur convenzionale o arbitraria, di una sorgente luminosa in un punto interno o esterno al quadro, mediante le ombre proprie o portate, che si generano dagli oggetti, serve a creare la profondità spaziale ed a chiarire la successione degli oggetti, in profondità, nel campo. L'espe rienza e modulazione della luce> insegna a manipolare direttamente questo elemento per creare effetti spaziali indotti, non naturalistici. Ad esempio: su di una superficie di legno su cui siano infissi .numerosi
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chiodi di lunghezza diversa, se colpita da raggi luminosi in numero variabile (una o più lampade) e sotto diverse angolazioni, si genere ranno immagini ed effetti spaziali sorprendentemente diversi. Altro pattern semplicissimo: un cartoncino cui aderiscano per un bordo degli elementi di forma diversa (circolari, ellittici, triangolari, qua drati) e sporgenti con angolazioni varie dal piano del foglio. Una diversa illuminazione di tale modello, variabile, fornirà un ottimo campo di indagine. Appare ovvia, in questi casi, l'utilità di ricorrere anche all'uso della macchina fotografica, non solo quale strumento registratore di effetti particolari, ma quale rivelatore di nuove possibilità e forme spaziali. La macchina fotografica è anche particolarmente utile per evidenziare, indipendentemente dai valori cromatici, le differenze tissulari e tonali di materiali diversi od oggetti diversi, posti a contatto. Ricordiamo anche il ricorso alla micro e alla macrofotografia per la scoperta di aspetti nuovi della natura o del mondo creato dall'uomo. A tale proposito è da notare l'importanza attribuita, soprattutto negli ultimi anni, allo studio e alla rappresentazione degli oggetti e macchine a carattere industriale. Si tratta di rinvenire, non più nella natura come in passato, ma negli oggetti creati dall'uomo le caratteristiche formali più interessanti. Una particolare attenzione riceve lo studio del colore. Si determi nano, con precisione, le caratteristiche oggettive del colore: tinta, tono, saturazione. A tale fine si farà ricorso alle scale cromatiche e tonali delle quali si hanno numerosi esempi. Quindi si determinano le carat teristiche spaziali dei singoli colori e gli effetti spaz.iali dovuti ai diversi accostamenti. Ricordiamo che ci sono colori che appaiono recedere ed altri avan zare dal campo pittorico. Tale fenomeno è dovuto alla loro diversa lunghezza d'onda per cui l'occhio, quando fissa due superfici contigue colorate diversamente, deve operare un diverso sforzo di adattamento. Ciò si verifica, allo stesso modo, quando esso deve focolizzare due oggetti posti a diversa profondità nel suo campo visuale. Ne deriva anche che i colori hanno una diversa gravità o peso (gradiente barico). Cioè, a parità di dimensioni e forma due figure di colore diverso non sembreranno uguali. Questo effetto gravitazionale varia anche col variare della posizione dell'elemento colorato sulla superficie pittorica. È ovvia l'importanza di queste esperienze per l'approfondimento delle possibilità di comunicare sensazioni spaziali. Si studiano poi gli effetti dell'azione reciproca dei colori: contra zione ed espansione su sfondi variabili dell'elemento colorato, ten denza al complementare dei colori su determinati sfondi di colore dif ferente, effetti di after-image ecc. Altrettanto importanti sono le ri cerche sulla connotazione emoz.ionale dei colori. Gli allievi cerche ranno di individuare il valore termico dei colori (gradiente termico) i colori caldi, cioè, e quelli freddi, determinando da un lato una ten denza di carattere generale e dall'altro la propria personale reazione ai diversi colori. Si cercherà anche di esprimere attraverso i colori determinati stati emozionali - esaltazione, gioia, dolore, paura ecc. per identificare se possibile , una base fisiologica obbiettiva, o quanto meno le reazioni personali di ciascuno. Va da sé, comunque, che il colore, uno dei più importanti elementi di tutto l'armamentario, entrerà in gioco, e dovrà di esso tenersi conto in tutte le altre esperienze di cui si è detto prima. 3 Bauhatt.s 1913-1920 a cura di H. BAYER , W. e I. GROPIUS, Verlag Arthur Niggli, Teufen (Az) s.d. p. 30.
4 H. BAYER, W. e I. GROPIUS, Op. cit. p. 114. 5 G. C. ARGAN, Walter Gropiu., e la Bauhaus, Einaudi, Torino 1951, p. 60. G Comunque, disponendo solo dell'ultima edizione del suo libro The new vision (scritto in Germania nel 1928 e pubblicato in America in varie edizioni) e riferendoci costantemente ad esso, non ci è data distinguere il periodo europeo da quello americano nell'opera teorica di questo autore. Per altro la fusione dei due momenti e la loro con tinuità sembra essere proprio l'intenzione di Moholy-Nagy che, come si dirà, fu il principale tramite dalla cultura visiva tra i due paesi. 7 L. MoHoLY-NACY, The new vision, Wittenborn, New York 1947, p. 13. s Ibidem p. 29. o Ibidem p. 38. 10 G. c. ARGAN, Op. cit. p. 61. n R. BANHAM, Theory cmd design in the first machine age, The Architectural Press, Londra 1960, pp. 283-284. 12 P. KLEE, Visione e orientamento nell'ambito dei mezzi figurativi e loro assetto spaziale in Teoria della forma e della figurazione, Feltri nelli, Milano 1959, pp. 81 e segg. 1:1 MOHOLY-NAGY, Op. cit., pp. 10-11. H G. KEPES, Language of vision, Paul Theobald and Company, Chicago 1951, p. 13. 1, Ibidem p. 23. to Ibidem p. 66. 1, Ibidem p. 68. 1s Ibidem p. 187. 10 Ibidem p. 176. 20 Ibidem p. 120. 21 Ibidem p. 129. 22 Ibidem p. 194. 23 G. DORFLES, nella prefazione al volume di R. AIINHEIM: Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano 1962, p. Xll. 24 Ibidem p. XV. 2, R. ARNm:rM, Op. cit. p. XVIII. 2� Ibidem p. XIX. 2, A. EHRENZWEIG, Conscious planning and unconscious scanning in Education of vision, cit. p. 27. 28 Cit. in M. DE SAUSMAREZ, Basic design: the dynamics of visual form, Studio Paperbacks, London, p. 7. . . . • . _ 20 P. RAND, Design and Play Instinct m Education of viswn, c1t. �"� . . 30 H .S. HUFF, Basic design in Ulm 12/13 Ze1tschrift der Ho ehschule fili- Gestaltung. 31 G. KEPES, Notes on e:i:pression and communication in the eityscope, p. 196. a2 Ibidem p. 201. 33 Ibidem p. 209. 34 K. LYNCH, Site planning, M.I.T. Press 1964, p. 93. 35 Ibidem p. 98 e segg. 30 Ibidem p. 104. 3, Ibidem p. 105. 38 Ibidem p. 108-111. ao H. S. HuFF, Op. cit.
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Pareri sulla IX Quadriennale
ALBERTO BOATrO Il barometro volgeva già al peggio ma il labirinto di tele, di bronzi e di pietre che disegna la IX Quadriennale supera i pronostici più rovinosi. Da un precipitato di 665 espositori stipati in queste sale gessose si ricava l'immagine media di un artista che ama il tono e il chiaroscuro, de testa ogni manifestazione della tecnica moderna e misura la realtà attraverso la propria trepidazione interiore. Gli organizzatori hanno confuso l'inventario di fine d'anno di un'azienda privata che pure scarta le giacenze inutilizza bili, con la documentazione culturale, e la cecità con la obiettività. Un'azione imparziale non vuol dire un'azione priva di criteri; documentare significa proporsi proprio il rilevamento di una situazione con una sua dialettica e una sua linea problematica, un panorama certo contraddittorio ma che, se presentato con intelligenza, offre l'occasione di una produttiva lettura. Ma se la situazione è la confusione, il bazar o il nulla come proclama questa Quadriennale allora vuol dire che non si è svolta un'attività di documen tazione ma piuttosto quella di un magazziniere interes sato a stivare più merce possibile nei suoi depositi. Chi conosce la situazione dell'arte italiana sa che è in corso un impegnato dibattito che la Quadriennale nonché non chiarire non sfiora nemmeno. Pur presentando tanti fatti 82 essa non delinea un discorso, ma un insieme di monologhi
staccati e quasi sempre inutili, che occorre con buona vo lontà collegare ed integrare in più punti. I nodi nevralgici sono rappresentati da una stasi su quei valori già da tempo affermati ad una quota più o meno alta (Afro, Barisani, Bendini, Calò, Capogrossi, Consagra, Dorazio, Franchina, Fontana, Korompay, Garelli, Leoncillo, Mannucci, Milani, Merlotti, Perilli, Giò Pomodoro, Radice, Reggiani, Scana vino, Severini, Somaini), più da alcuni valori trascurati ma meritevoli di una rivalutazione (Calderana, Nigro). Ed _infine da un settore in movimento e per questo stimolante, rappre sentato dai valori ancora in ballottaggio, lungo due tendenze fondamentali: una moderna ricerca figurativa (Angeli, Ari cò, Bertini, Ceroli, Cintoli, Cuniberti, Festa, Maselli, Poz zati) e una non meno attuale ricerca astratta (Cannilla, Gandini, Getullo Alviani, Gruppo 1, Gruppo T, Mari ed anche Remotti). Attorno a queste tendenze delineate qui con approssimazione esemplificativa occorrerebbe sviluppare un discorso più stringente e ravvicinato, operare delle scelte. Due fatti almeno mi preme segnalare distintamente: due sorprese (il nuovo Rotella e _ le sculture di Marotta) e un gruppo di valori posticci (attorno a Cremonini e Fieschi, e all'ultimo pretenzioso Guttuso ).
ENRICO CRISPOLTI Ritengo questa nona edizione della Quadriennale romana assai vivace: È per me positiva la formula di un numero. uguale di opere o di cimasa per tutti gli espositori invitati come per tutti quelli accettati, anche se ciò ha provocato l'annegamento nel contesto generale delle retrospettive. Queste del resto seguitano ad essere strutturate in maniera affrettata e sommaria, senza discorso critico unitario, ed
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affidate unicamente alla funzione di celebrazione necrologica. Anche in questo senso s'impone un ridimensionamento cul turale della Quadriennale romana, attraverso la costituzione di un ufficio studi, per quanto riguarda un'organica e tem pestiva preparazione delle retrospettive, e la loro iscrizione in un solido discorso critico-storiografico d'ampio respiro; come d'altra parte occorre che, altrettanto che la commissione per le retrospettive, anche quella per gli inviti sia costituita ed operi in un arco di tempo oltre l'anno, e non, come ancora una volta è accaduto, nel giro di qualche giorno, con con fusione ed affanno, e le grottesche conseguenze che tutti sanno, non certo giovevoli al prestigio dell'istituzione. E così pure il posto di Segretario Generale va attribuito per concorso nazionale, e con definita scadenza di mandato, a personaggio effettivamente noto per il suo impegno critico e storiografico verso l'arte contemporanea; e quello di Pre sidente a figura autorevole e rilevante, ma non estranea al campo specifico di interessi della Quadriennale. Questa poi ha raggiunto il limite di crisi per la sua periodicità troppo rarefatta rispetto alle effettiva possibilità di tenere il passo dei tempi, sempre più fitti di proposte e fatti da documen tare e testimoniare: dunque, come del resto da molte parti è stato auspicato - ed io stesso mi sono battuto in questo senso già nel '56 - è indispensabile che la manifestazione in futuro divenga almeno Biennale. Non dovrebbe inoltre dimenticare la presenza di nume rosissimi artisti di rilievo stranieri operanti in Italia, spesso con profondi rapporti. Questa nona edizione mi sembra carat terizzata soprattutto da un vivacissimo dialogo fra i giovani, a diversi livelli di personalità e di correnti, rivela�do un grande fervore nell'ambito della scultura. Le proposte più interessanti sono quelle che infrangono gli schemi delle moti vazioni di corrente, e mirano a corrompere l'astrattezza del linguaggio d'estrazione culturale nella concretezza di enun84
ciazioni problematiche _autenticamente motivati:!.
MAURIZIO FAGIOLO Il Segretario della Quadriennale non ha colpa dei difetti dello Statuto, non ha colpa della sua posizione di « ditta tura>, non ha colpa dei criteri assurdi degli inviti, non ha colpa del dannoso allestimento. Concediamo tutti questi punti. Ma allora, perché nell'introduzione al catologo si mette a fare la predica a noi, che come lui non abbiamo colpa di questo stato di cose? Perché giustifica « per mezzo di fede> tutti i punti neri di questa manifestazione? Un fedele ha tutto il diritto di entrare nel tempio, può anche portare di sordine, può anche non togliersi il cappello, può introdurre tutti gli scomunicati che vuole, può spostare banchi e sedie: ma non ha alcun diritto di salire sul pulpito e fare la pre dica. Anche se quel fedele si chiama Fortunato Bellonzi, pittore di Crocifissioni e Deposizioni, oltre che organizzatore di una lodatissima partecipazione italiana alla Biennale di Parigi, con la « cappella del Buonladrone>. Nell'introduzione al catologo si parla di una e lunga e laboriosa> preparazione, si ricorda la formazione di un « co mitato consultivo> (che, ci risulta direttamente, è stato ben poco consultato), si auspica la riforma dello Statuto e non più adeguato alla realtà del nostro tempo> (evviva la sin cerità!). Tuttavia si finisce per difendere la quantità a sca pito della qualità: « La Quadriennale non è un museo e neppure una mostra selezionata, né tanto meno una espo sizione di tendenze, ma è un documento non soltanto dei valori, come è giusto, ma delle poetiche, del gusto e perfino del costume>. È chiaro che questa difesa dei santi valori e di poetiche-gusto-costume diventa lettera morta quando ci troviamo precipitati in questo folle bulicame dantesco com plicato di gironi senza uscita, quando vediamo un artista tonale vicino a un espressionista, un surrealista vicino a un pop, un astratto-puro vicino a un informale. Molto più grave
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il fatto che le retrospettive, in gran parte superflue o im provvisate, zampillino qua e là lungo il percorso, senza giu stificazioni. È e democrazia > il livellamento degli artisti, tutti in vitati con lo stesso numero di opere? O non sarà piuttosto e apatico indifferentismo> (parole tra le righe di Tecchi e Bellonzi)? Il sullodato binomio continua così: « Ma perché ostinarsi a considerare la Quadriennale un museo? E perché mai, verrebbe voglia di dire, restare tenacemente attaccati al nostro gusto, stavamo per dire alla nostra pigrizia, che sempre esige dalle raccolte d'arte la scelta decantata di pochi capolavori disseminati in ambienti indubbiamente idonei, e resi solenni dal collocamento saggio e distanziato di poche pitture e di poche sculture, ambienti non però assolutamente indispensabili a vedere, godere ed anche lungamente con templare le opere d'arte, se fino a ieri (e senza dovere risalire · alle celebri quadrerie seicentesche con i dipinti sovrapposti in più file) gli ordinamenti delle raccolte e delle esposizioni erano tanto diversi >? Incredibile ma vero. È testuale questo inqualificabile elogio del passatismo. Sarebbe come dire che dobbiamo vivere in capanne perché i nostri antichi ci vive vano, andare in carrozza perché i nostri padri ci andavano. Sarebbe come dire che (senza dovere risalire a Caravaggio o Pietro da Cortona) i pittori dovessero dipingere come Ca sorati o Mafai. La e pigrizia > è quella dello storico che ordina i valori in sale o in certi raggruppamenti, oppure quella di chi ri nuncia a scegliere, e ragiona e a metraggio >? La passeggiata per 100 sale, il periplo di oltre 2000 opere, la conoscenza di 600 artisti circa (meglio ignorarne la metà) non è inutile perché ahneno un centinaio di essi rispecchiano la situazione odierna. Basta saperli trovare, non perdersi nei trabocchetti, ritagliarsi una mostra nella mostra. Si dirà che anche le scorse Quadriennali erano ordinate confusamente: risponderemo che, contrariamente ad allora, nella situazione odier-
na è chiarissima ed evidentissima la scansione delle correnti. Dobbiamo invece registrare oggi il caso d'un ordinatore, il Frascà, che ha accettato la scomposizione atomistica perfino della corrente a cui appartiene. Tutti contenti perché, forse soltanto noi non lo sappi�o, l'arte è sempre stata fatta dalla pletora delle accademie, dalla turba di dilettanti camuffati. Ci si dirà che con gli oltre seicento artisti qualificati da questa Quadriennale, con le più di du�mila opere in disordine degli algidi saloni di Piacen tini-padre, possiamo ritenerci sicuri di essere ancora culla di artisti. Come abbiamo scritto sull' «Avanti!>, si potrebbe incidere a lettere d'oro sulla cima di un ipotetico palazzo sforacchiato simbolo del nostro tempo: « Un popolo di pit tori, scultori, disegnatori, incisori, ceramisti >.
ORESTE FERRAR! Per la nostra attuale situazione delle arti figurative non c'è proprio da stare molto allegri. Larghi settori di essa risen tono di quelle condizioni che, senza eccessivo pessimismo, Argan ha di recente rilevato proprie della cultura italiana d'oggi in generale, che e non è in posizione di avanguardia in nessun campo... è in fase di allineamento o di aggiorna mento... > perché e la spinta progressiva... da cui fu animata subito dopo la guerra è andata via via affievolendosi>: sì che per quanto riguarda le prospettive future « è ragionevole supporre, e temere, che... andrà aumentando... la distanza che ora la separa dalle linee più avanzate della cultura mon-· diale>. Da un paio d'anni ahneno, pittura, scultura e arti gra fiche italiane (e, a quanto mi sembra, anche l'architettura),
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manifestano vistosi fenomeni di arenamento, o di involuzione, o di ricerca velleitaria e priva di reali convinzioni. Da una parte, l'afflosciarsi di molti artisti della cosiddetta e gene razione di mezzo >, oramai giunta ai cinquant'anni, su po sizioni di malinconico ripiego: basti pensare, tanto per fare qualche esempio tra i più cospicui, alle recenti produzioni d'un Moreni, d'un Corpora, d'un Guttuso, d'un Consagra, d'un Mirko, d'un Franchina perfino, e così via. Cose ancora dignitose, certo: mais où sont les neiges d'antan? Si pensi d'altra parte alle soluzioni in chiave puramente formalistica, decorativa, e insomma superficialmente arti gianale a cui sono state vòlte le istanze innovatrici della Pop-Art e, soprattutto, quelle delle ricerche e ghestaltiche >, delle ricerche d'arte cinetica e della Op-Art, da parte delle più giovani leve. Sì che queste produzioni sembrano, in larghissima percentuale, votate ad un « consumo > mondano e salottiero, d'élite, buone tutt'al più a fornir modelli per abitini da mezza-sera per i soliti quattro salti in famiglia: ma ci vuole ben altro per parlare di « consumo di massa >, di e modelli di comportamento >, di socialità del fare arti stico e di tante altre belle cose del genere! Molto più confortante invece il panorama offerto in ge nerale dei giovani di ieri, i quarantenni d'oggi, che, quali che siano i settori delle loro ricerche (Pop, ghestaltiche, neo figurative, neo-surrealiste, neo-metafisiche, neo-dadaiste ecc.), pur con la riserva dei tanti e neo- > mostrano comunque ancora un fervore, una serietà d'impegno e certe puntate d'estro che fanno, per cosl dire, chiudere un occhio anche su qualche scivolone. Con questi ex-giovani si possono raccogliere una ventina di nomi sui quali continuare a fare affidamento; un'altra dozzina di nomi si possono raccogliere tra gli artisti della ex e generazione di mezzo >, altri sei o sette (non di più) 88
tra i giovanissimi: ed ecco che si avrebbe un drappello, neanche tanto sparuto in verità, che ci può consentire di
guardare con qualche minore apprensione e al presente e all'avvenire. Questi nomi occorre, naturalmente, individuarli, ed in dividuarli bene, senza incertezze e senza concessioni al gusto personale: ed a ciò non bastano, è evidente, le liste più o meno segrete che ogni critico ha in tasca. Occorre un dibat tito largo, aperto, al quale partecipino non solo i soliti « ad detti ai lavori> (o sedicenti tali), ma più larghi strati cul turali e d'opinione pubblica e in cui ciascuno sia disposto anche a rivedere proprie radicate convinzioni e poi a con correre ad ogni azione possibile per riattivare quella spinta progressiva che s'è affievolita. L'occasione per un tale dibattito poteva, anzi doveva essere la IX Quadriennale: e non è stata. Perché? Perché proprio nel momento in cui la più rigorosa chia rezza delle scelte, l'indicare con fermezza ciò che cammina, ciò che sta fermo e ciò che regredisce nel campo dell'arte italiana premeva come un preciso dovere di moralità cul turale, la Quadriennale ha eluso questo dovere (che è poi la sua sola funzione), ed ha ribadito in modo allarmante le sue vocazioni al più farisaico agnosticismo. Si è potuto perfino leggere, nella prefazione al Cata logo, che « la Quadriennale, quale tuttora si configura, non è un museo e neppure una mostra selezionata (sic!), né tanto meno un'esp osizione di tendenza; ma è un documento, non soltanto dei valori, come è giusto, ma delle poetiche, del gusto e perfino del costume, e perciò vi rientrano legittima mente... molti di coloro che non sono riconosciuti tra gli artisti più meritevoli o più famosi, ma che peraltro fanno parte della situazione che la Quadriennale ha il debito di puntualizzare con quella scadenza di tempo che le dà il nome e che non è senza motivo >. Dando atto della franchezza dell'assunto (o dell'ammis sione? ... ), dobbiamo rilevare che proprio questo era quel che oggi non si doveva fare. Il compito di « documentare > lo
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hanno assunto, da tempo, nel loro complesso le centinaia e centinaia di mostre che le gallerie private, le istituzioni pub bliche, i Comuni e gli enti turistici organizzano ogni anno e che, nei quattro anni (o più.... ) tra una Quadriennale e l'altra , assommano a qualche migliaio: si che, sia detto per inciso, non vediamo proprio la necessità di proporre - come si è sentito fare di recente - !'.organizzazione permanente di mostre locali di pre-selezioni alla Quadrienale e alla Biennale di Venezia, che riesumerebbero le « sindacali pro vinciali > di fascistica memoria. Da queste mostre, dalle miriadi di opuscoli di presen tazione che ne sono qui da noi il canonico corredo e che la posta diffonde dappertutto, dalle riviste, dalla TV, i critici per dovere professionale, l'opinione pubblica per libera scelta, . possono essere adeguatamente « documentati >. Se c'è qual cosa da fare meglio in proposito, questo semmai riguarda non la Quadriennale, che è pur sempre una mostra che si tiene a Roma e che non richiama di certo foltissime schiere di visitatori d'ogni parte d'Italia, ma riguarda i grandi mezzi di comunicazione (stampa quotidiana e periodica d'informa zione) che solitamente viene meno ai suoi obblighi in questo campo· e li assolve in modo controproducente e diseducativo. La Quadriennale doveva, ora · più che mai, evitare di rifugiarsi in un documentarismo che, cosi come è inteso, è meramente statistico, da registro anagrafico, ed al quale per altro è anche venuta meno perché sono stati dimenticati (?) o esclusi artisti giovani di valore e che hanno recentemente esposto perfino alla Biennale di Venezia o in importanti mostre internazionali. Doveva promuovere un processo di revisione dei giudizi di merito e di accertamento di vitalità, dare un esempio di lucidità e di impegno. Ha invece livellato tutto e tutti su un piano di uguale grigiore, in un affastellamento che è quanto di più disedu cativo si possa immaginare (ma non abbiamo anche letto, 90 nella sullodata prefazione, un rimprovero di concessione alla
« pigr1z1a> rivolto ai moderni criteri espositivi e museogra fici?), è riuscita - questo sì, bisogna dargliene atto - a magnificare il tono di impasse della situazione attuale. Ha reso, in definitiva, un pessimo servigio all'arte e alla cultura italiane.
EMILIO GARRONI
Nel momento in cui scrivo questa breve nota non ho ancora visitato con la necessaria attenzione la attuale Qua driennale. Preferisco· quindi non dare giudizi circostanziati. Questa mia riserva, tuttavia, non ha soltanto carattere pratico. Direi anzi che la Quadriennale pone innanzi tutto dei problemi di fondo, intorno ai quali, oggi, è forse più · utile intrattenersi - come del resto è già accaduto prima della sua inaugurazione e in sedi diverse. Mettere tra pa rentesi la Quadriennale, nella sua determinatezza, può addi rittura essere necessario per vedere con maggiore chiarezza i temi generali (culturali e non soltanto politici o statutari in senso stretto) che essa s_uscita come istituzione. La Quadriennale rappresenta oggi una grossa contrad dizione nei termini. Essa pretende, nello stesso tempo, di essere una manifestazione d'arte e oggettiva> (a livello na zionale) e caratterizzata da un e alto livello qualitativo>. Siano pure rispettati intenzionalmente tali requisiti, è chiaro comunque che un tale rispetto può presentarsi esclusiva mente sotto il profilo dell'onestà, della buona fede 41-divi duale, del compromesso attendibile. Non credo invece che esso possa costituirsi come criterio organico e coerente adeguato cioè alla reale situazione di ciò che oggi vengono ancora chiamate (metaforicamente, o quasi) « arti figura-
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tive >. Uno statuto che pretendesse di elaborare delle norme in tal senso sarebbe inevitabilmente uno statuto velleitario, e di fatto (o virtualmente, che nel caso specifico è lo stesso) aperto ad ogni sorta di pressioni, corruzioni, compromissioni, distorsioni e confusioni. Uno statuto attendibile, efficiente, è possibile laddove la materia da regolare sia suscettibile di essere definita con buona approssimazione, sia pure con un certo margine di problematicità. Possibilità di definizione, in sostanza, significa fondamentale accordo tra le forze inte ressate alla materia da definire. Per cui la stessa ideale istitu zione (scuola, ente culturale o morale, e così via) può di volta in volta presentarsi come qualcosa di omogeneo o di radicalmente contraddittorio. Che significa libertà. di inse gnamento? O progresso della scienza e della cultura? O assi stenza sociale, e così via? Ebbene: che significa oggi un'isti tuzione che si propone di testimoniare lo stato delle arti in Italia? Intendiamoci, non è che non sia possibile, oggi, un giu dizio qualitativo e oggettivo: ma è che tale giudizio non· può · contare su un accordo di base (e tanto meno su stru menti giuridici atti a realizzare un siffatto accordo), matu randosi e formulandosi in stretta connessione con un giudizio politico e culturale globale, implicito o esplicito. In altre pa role, istituzioni del tipo Quadriennale sono oggi contraddit torie, superate, in quanto
suppongono
illecitamente un
accordo che non c'è. Esse hanno uno strano sapore ottocen tesco, rappresentando appunto la mitizzazione dei Salons o delle grandi esposizioni d'arte dell'ottocento (quando ancora si poteva ritenere che, a dispetto delle più varie correnti e poetiche, esistesse una comune idea dell'arte; ma a patto però che accanto agli artisti ufficiali trovassero una qualche sistemazione e Independents > e « Refusés > !) : mitizzazione, per di più, trapiantata in un ambiente incongruo e caricata di intenzionalità non più pertinenti. E invece sono cambiate 92
le correnti, le poetiche, le intenzioni, è cambiato il pubblico,
l'atteggiamento degli artisti
(o degli «operatori»), sono
cambiati insomma, e in modo radicale, i presupposti_ cultu rali, le direzioni di ricerca, la funzione stessa degli oggetti che ne derivano. Chiudere gli occhi su questi fatti cultural mente clamorosi (e, direi, entusiasmanti - per un certo verso) significa precludersi la comprensione di ciò che è (se è) l'arte contemporanea, adottare criteri antiquati ed este tizzanti, dare - in altre parole - « falsa testimonianza ».
Per molti, una Quadriennale è ancora oggi possibile
adottando dei rigidi criteri qualitativi, i quali assorbirebbero in sé, automaticamente, anche i criteri dell'oggettività: arte e non arte, poesia e non poesia. Ma in verità chi può ancora sentirsela di fondare oggi una grande manifestazione na zionale su criteri così vecchi, così fluttuanti, incapaci di farsi davvero criterio e strumento istituzionale? Certo, la colpa sarà anche, in parte, di statuti e rego lamenti, dell'ottusità o della tepidezza o della malafede cul turale (e politica) degli organi governativi o legislativi, del cinismo o del lassismo o della confusione di chi è chiamato ad eseguire ciò che
è genericamente previsto da statuti o è che non si vede,
regolamenti. Ma il fatto più importante
a mio avviso, la possibilità di determinare un criterio ogget tivo-qualitativo capace di avere sul serio la meglio sulle
è vero che la situazione è straordinariamente stratificata, e non solo
carenze delle persone incaricate. Se artistica attuale
nelle cose stesse, ma anche nei giudizi; se è vero che l'arte contemporanea
è ancora una sorta di avventura, sia in senso
reazionario che eversivo, o addirittura una attività essen zialmente ambigua, in cui si mischiano continuamente resi stenze, nostalgie, attardamenti, sfide, ironie, buffonerie, mi stificazioni e demistificazioni, in tutti i detenninati sensi possibili; come si può sperare di risolvere in unità (sia pure una unità dialettica quale è sempre una grande mostra col lettiva) tante
posizioni oggettivamente contrarie
(poiché
di una siffatta « oggettività > effettuale, e illusoria, si deve
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qui parlare), esemplificabili per esempio negli ultimi residui del naturalismo ottocentesco, da ·una parte, e nel puro spe rimentalismo, dall'altra? Perché, oggettivamente (sempre nel senso chiarito), dovremmo negare l'ingresso a un onesto, e magari pessimo, pittore naturalista (o quasi), con tutte le carte professionali in perfetta regola, _titolare (che so?). di una cattedra artistica presso un'accademia o una scuola d'arte ufficialmente riconosciuta? Perché d'altra parte do vremmo accettare lo sperimentalista autodidatta di talento, impiegato presso un qualunque pubblico ufficio, e scartare il mediocre e del tutto risibile (o non del tutto risibile) dilettante che sia nello stesso tempo portiere o autista di un onorevole deputato, o che addirittura sia sprovvisto di una qualunque mediocre raccomandazione, ma sia tuttavia e pittore > - nel senso magico, primitivo, apodittico della parola? C'è, è vero, qualcuno· che ancora ritiene utile una ras segna generale di questo tipo, una volta tanto (quattro anni, o due anni - come è stato da più parti proposto). Utile, cioè, che il pubblico abbia a che fare una volta tanto con una manifestazione magari caotica, ma appunto rappresentativa del caos culturale ancora vivo in Italia, e non soltanto in Italia. Ma costoro non hanno capito ovviamente che cosa è accaduto, in campo e artistico > da almeno cinquant'anni a questa parte, la nuovissima funzione che hanno assunto attualmente le differenze culturali, né sembrano avere di mestichezza con i metodi di campionamento statistico che assicurano alle scienze una qualche garanzia nel dominio dei loro specifici materiali di studio. Tali metodi sono tra i più delicati da maneggiare: figuriamoci quando non ci si · pone neppure (e non ci si può porre, in sede di Quadrien nale) un qualsiasi problema di correttezza metodica. È chiaro che lo stesso pubblico, invece di ricavare un qualche orien tamento di massima, ricava da siffatte manifestazioni solo· 94
un profondo, « qualunquistico > disorientamento. Del resto
il pubblico non frequenta la Quadriennale, e nella misura in cui la frequenta non riesce a servirsene. Non ci riescono neppure i cosiddetti e critici militanti > ! Che senso ha, per il pubblico, ritrovare nelle stesse sale (per mettere da parte i prodotti più grossolanamente recessivi e dilettanteschi) un oggetto programmato o cinetico, un quadro pop, un alto e improbabile recupero di immagine, il racconto o il sim- .
bolo violento e provocatorio di un neo-figurativo, dal mo mento che essi non soltanto esprimono una e poetica > radi calmente diversa, ma addirittura esigono o sollecitano intorno a sé una diversa qualità spaziale e, quindi, un diverso modo di fruire l'oggetto o l'opera, un radicalmente diverso atteg giamento psicologico e culturale da parte dello spettatore fruitore? In altre parole: bisogna decidersi ad eliminare la Qua driennale e ogni altra analoga manifestazione (per la Bien nale di Venezia, tuttavia, a dispetto delle infinite critiche, il discorso è in gran parte diverso - poiché essa non pre tende di rispettare l'oggettività, accontentandosi della qua lità, o quanto meno della scelta, soprattutto per quanto riguarda i piccoli e felici padiglioni stranieri). Esse hanno perduto ogni seria funzione culturale. Sono soltanto fiere di vanità e di modeste soddisfazioni private (per gli am messi e i loro parenti). Non servono alla cultura, all'arte, al pubblico, e neppure agli artisti - che vengono di regola sommersi in una marea di colleghi di ogni sorta, e non riescono ad essere percepiti distintamente, avvicinati nelle . loro intenzioni, capiti nella loro peculiare fisionomia. Niente Quadriennale. E ognuno si assuma, invece, le proprie .responsabilità: i professori d'accademia, i dilettanti (portieri o impiegati, raccomandati o non raccomandati), gli sperimentalisti, i ricercatori. seri e quelli fasulli, i nostalgici dell'immagine (il cui compito nessuno ha decretato che sia finito definitivamente) e i fabbricatori d'oggetti, i di..: struttori e i nuovi mitografi, gli artisti e puri > e quelli
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« applicati>. Niente più esposizioni generali, falsamente de mocratiche, oggettive e qualitative nello stesso tempo; ma grandi mostre di tendenza, quali peraltro non sono mancate in Italia in questi ultimi anni e alle quali dobbiamo se ha ancora un senso parlare di attività artistica nel nostro paese. Mostra di tendenza non vuol dire mostra monocorde, né istituzionalizzazione dell'autocompiacimento di gruppo. Al contrario, almeno a giudicare dall'esperienza che ne abbia mo, esse sono realmente utili agli artisti, che vi si ricono scono e ne vengono stimolati a chiarire la propria posizione, a uscire dal loro isolamento confusamente « creativo >, a ritrovare il loro inserimento in uii discorso comune, non astrattamente programmatico (essendo anche possibili nuove e singolari alleanze). Utili al pubblico, che vi ritrova un qualche spunto di coerenza, un filo conduttore e insieme un obbligo di scelta o, comunque, di confronto. Tanto più · utili, forse, se si tentassero di volta in volta dei confronti materiali, nell'ambito della stessa esposizione, di due o più correnti o atteggiamenti diversi, ma diversi a ragion veduta, nell'ambito di una polemica in atto o di un tentativo di motivata integrazione. Certo, si perderebbe così l'utopistica « democraticità> di una mostra totalitaria, incline piuttosto al compromesso e alla contaminazione; ma una più auten tica democraticità, la si riacquisterebbe al di fuori dell'utopia, nel contesto dinamico di una serie di grandi iniziative, dia letticamente affiancate o· contrapposte. Tacitato il mito dell' « arte una> (trapiantato dai libri di Croce nella pratica quotidiana, in termini di banale em pirismo), chissà che non possa rinascere un qualche inte resse effettivo per i problemi delle determinate operazioni artistiche. Chissà che non si possa tentare una effettiva verifica del prodotto artistico in relazione ad un pubblico reale, stimolato a reagire, a giudicare, a prendere posizione, e quindi a capire i più larghi sottintesi culturali che pure 96 sono presenti negli oggetti più modesti. In ogni caso, si met-
terebbe fine all'assurda velleità (che è oggi propria dei gior nali femminili) di raggiungere, con l'arte,
il
pubblico in
generale, e dall'altra parte alla idea snobistica di un'arte destinata esclusivamente a una élite di privilegiati. Ogni ini ziativa, a qualunque livello, avrebbe il suo pubblico, cioè la sua élite: e l'insieme articolato di codeste élites sarebbe propriamente ciò che con intollerabile approssimazione si chiama ancor oggi « il pubblico in generale>.
In
conclusione, si tratterebbe di trovare una soluzione
intermedia (ma non di compromesso, anzi affidata alla re sponsabilità di critici e artisti) tra la mostra della galleria privata e la grande, mastodontica esposizione nazionale. A questo punto, si pone di nuovo il problema degli statuti, dei regolamenti, dei finanziamenti, insomma di tutti quegli strumenti giuridici e amministrativi che possono consentire la realizzazione di una politica culturale del genere. Un di scorso, questo, che eccede l'occasione di queste osservazioni, oltre che le competenze specialistiche del suo estensore. Ma è un discorso che si potrebbe fondatamente fare. Tutt'altro che campato in aria o velleitario.
GIUSEPPE GATT * I. :
Lei Gatt che ne pensa della « IX Quadriennale> ?
G.: Al civico 194 di via Nazionale in Roma si trovano in deposito temporaneo, a fine di esposizione e. di ven dita, alcune migliaia di opere di pittura, scultura, inci sione etc., molte di pregevole fattura. Dette opere sono visibili mediante la modica spesa di lit. 300 e possono essere acquistate rivolgendosi
al
simpatico signor Russo.
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I. : Ma questo non è un giudizio critico! Lei, di solito, così «impegnato> ... G.: Beh! Lei può anche sfottere, però non mi risulta che gli ordinatori della mostra abbiano proposto un giu dizio critico. I. : Forse, vuol dirci qualcosa sui criteri di scelta? G.: Perché, si sono operate delle scelte? I. : Allora, sui criteri di allestimento? G.: Non mi sembra che si siano seguiti dei criteri... I. : Ma insomma, ci sarà pure qualche artista meritevole di attenzione. G.: Certamente; ho già detto che ce ne sono molti. I.
:
Ma, almeno, riconosce alla Rassegna una funzione in_. formativa?
G.: Certo che sì. Ma tra i fini che sono propri dello Stato non c'è quello di « informare > ... I. : Ma, ora, che c'entra lo Stato? G.: C'entra, invece, con molti milioni ... I. : Forse vuole alludere alla auspicata funzione didattica dei grandi enti pubblici per le esposizioni? G.: Vede, la «informazione> è una cosa, la «pubblica istruzione> è tutta un'altra cosa... I. : Va bene, ho capito: non vuol dirci nulla su questa mostra. G.: Ma guardi che ho detto proprio tutto.
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• G. GATT ha risposto alla nostra rassegna sulla IX Quadriennale, inviandoci, già compilata, la seguente intervista.
CORRADO MALTESE Caro De Fusco, Lei mi chiede un giudizio, sia pure di una cartella, sulla Quadriennale, e - come a me - dice di averlo chiesto ad altri « critici militanti>. Sono poco propenso a questa specie di collaborazione, oggi così di moda, perché non sono per suaso dell'efficacia di un medagliere di pareri ai
fini
della
chiarezza delle idee sia del pubblico che della critica. Inoltre capisco poco
la
perché la critica
differenza tra e critica militante> e non,
è
sempre militante o non
è.
È probabile,
però, che Lei riferisca l'aggettivo a quei critici che partono dal principio che è necessario prender partito oggi e non dopodomani aspettando che
il
tempo e decanti le passioni>,
sfoltisca i, problemi, ecc. ecc. In questo caso accetto l'agget tivo. Partendo dunque da quest'ultimo presupposto e vin cendo la scarsa propensione per i medaglieri mediante la simpatia per Op. cit. cercherò di dirLe in breve quanto penso. Per formulare un giudizio occorre un e metro>. Di so lito fino a qualche tempo si avverte
la
fa
si invocava la qualità, ma oggi
precarietà di questo termine, che qualcuno ha
persino definito « ipocrita >. Ciò non è senza ragione: e qua lità> è indubbiamente un equivalente di individualità�ori
ginalità-autenticità, (chi e inventa> - singolo o gruppo è e originale>, esce dalla serie, manifesta una e qualità>), ma si può interpretare la e qualità> come frutto di uno strapotere personale, di una individualità e eroica>, isolata, e si può interpretare più modestamente, ma più realistica mente, la e qualità> come il prodotto di un lavoro collet tivo, di una collaborazione sociale complessa, ma sostan zialmente comunitaria (si veda J. Davidov, Libertà e lavoro, in e Profezie e realtà del nostro tempo> a cura di F. Fortini, Bari 1965). Consapevoli o meno, oscilliamo tutti, oggi,
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tra queste due opposte interpretazioni, accentuando la indi vidualità in senso personalistico e a scapito della autenticità . nel primo caso, oppure accentuando la autenticità e il carat tere comunitario magari a scapito della originalità o della individualità (apparenti) nel secondo. Nel primo caso ab biamo una prosecuzione della identificazione estremo-roman tica artista-eroe, artista-vate, artista-sede di visioni e rive lazioni interiori, ecc., nel secondo una applicazione di idee più cònsone ai nostri tempi e alle nostre necessità storiche. È quasi inutile sottolineare che · parteggio per quest'ultima interpretazione. Nella misura (lacunosa, opportunistica, pletorica e con fusa) in cui la IX Quadriennale riflette la situazione attuale della cultura artistica italiana appare chiaramente l'orien tarsi, più o meno consapevole o contraddittorio, degli artisti verso l'una o l'altra concezione. Guttuso, per es., entra in grave contraddizione con il suo essere comunista (e dispiace dirlo a chi di lui ha avuto sempre - come chi scrive un'alta stima) in quanto fa sfoggio di strapotere personali stico monumentalizzando con materia nobile tradizionale (bronzo) un · brandello casuale di vita oggettiva: accoglie qualche proposta della e pop-art>, ma a patto di mantenere i galloni di generale. Più coerente, allora, e proprio sul piano
pop è la satira
sociale di Cimara, inventore di una sorta
di nuovo museo degli orrori o di un presepe dell'intimità laica e borghese (peraltro inautentico e sfasato nella misura in cui coglie solo le parvenze di quella e intimità>. Analoga o poco migliore situazione per Sughi. Fazzini complica in vece con una inutile aggiunta e cinetica> (irrisione? accet tazione per stare à la page? per dire e sono capace anch'io>?) e con una vana ossequiosità alla tradizione statuaria, il suo interesse (autentico) per i volumi (un po' sexy) librantisi nello spazio. Fuori di misura cadono anche le dilaganti ondate sur100
realisteggianti: che altro è se non culto personalistico il
monumento ai sogni e agli incubi dell'inconscio (sia pure « di sinistra>) elevato da Vacchi o da Attardi o da tanti altri (e il rischio è anche di un Zigaina o di un Perez) con sontuoso sfoggio di materia pittorica o plastica o con lugubre «assemblaggio> di oggetti-immagine e di immagini-oggetto? Al polo opposto stanno le strutture esili e nitide del Gruppo 1, le ricerche percettive di Getulio, le visualizza zioni di Pizzo e della Di Luciano, le proposte operative di E. Mari (ma in questo campo gli assenti son tanti e ricordo per tutti Massironi). Sul Gruppo 1, forse il più polemico, so che si possono fare riserve: la volontà di attenersi a un filone preciso (quello « costruttivista >) dell'arte moderna limita alquanto, per es., gli spunti inventivi. Ma va ricono sciuto il civilissimo impegno di portare avanti una espe rienza collegiale viva pur tra le difficoltà di un ambiente culturalmente negativo (scarsa industrializzazione e scarso sviluppo tecnologico, almeno da Firenze in giù). Comunque, fuori dalla polemica e dai gesti, gli artisti autentici presenti (oggettivisti e no, naturalisti e non, e fi gurativi> e non) non sono pochi (da Mirko a Mazzullo, da Vedova a Vi ani, da Fontana a Morlotti, da Capogrossi a Turcato, da Perilli a Franchina, da Paulucci a Zancanaro, da Calò a Pomodoro, ecc. ecc.) e sulle loro ragioni non c'è ormai bisogno di spendere molte parole. Conviene invece, tra i più giovani, segnalare per es. la schiettezza e l'energia delle xilografie di Guerricchio o l'onesto lirismo dei dipinti di Gianquinto. Soprattutto conviene indicare alcuni che più che mai consapevolmente puntano sull'autenticità come sul valore più giusto. Achille Pace, per es., uno dei meno compresi tra gli artisti attuali, ma uno dei più sicuri e coerenti, che può mettere ordine ai suoi e itinerari> ma che non rinuncia minimamente al valore personale (in senso anti eroico) delle sue proposte operative. Ausonio Tanda, che inserendosi nelle più spericolate ricerche tecnologiche non dissimula una certa magia fantomatica d'immagine cesel-
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landa sapientemente e sobriamente con i solventi le sue candide superfici di e polistirolo espanso >. Del resto in quest'ambito e avanti a tutti dimenticavo di dire che restano un Leoncillo o un Cagli (quest'ultimo - si sa - sempre schivo e scontroso, che tutti si ostinano a dar per scontato, ma dal quale è sempre possibile apprendere almeno una lezione di autenticità e di coerenza pittorica). Ma a questo punto si può anche risalire indietro nel tempo e le retro spettive di Mafai e di Morandi sembrano giganteggiare. Un discorso più lungo non mi è consentito: restano aperti i grandi temi della morte dell'arte, della sua trasfor mazione, del suo e consumo >, dell'arte-spettacolo e della cri si dell'oggetto, dell'arte di élite e dell'arte di massa. Ma senza l'acéettazione del principio della autenticità (che significa onestà e modestia e chiarezza di fronte a se stessi e agli altri, di fronte ai temi e ai materiali), ogni discus sione rimane fittizia. Peraltro quelle questioni vanno ben oltre la provincia italiana quale appare bene o male in que sta Quadriennale e il discorso deve essere rinviato ad altra sede.
GIUSEPPE MARCIDORI Vediamo, prima di ogni altra cosa, com'è la Quadrien nale odierna. È una immensa antologia, dove c'è un po' di tutto, attraverso infinite sfumature dal pessimo all'ottimo. (Prevale naturalmente il pessimo sull'ottimo, poiché il cri terio di scelta - acritico - è dominato dalla preoccÙpa zione italiana-elettorale di non scontentare nessuno, all'in segna del me ne lavo le mani). Si sono aperte le porte alle poche legittime ambizioni e alle infinite inutili vanità. Si sono poi collocate le opere, non secondo un piano critica102
mente motivato, ma con lo scopo di sfruttare ogni angolo,
dentro l'edificio con le classiche colonne dipinte in color dentifricio, per non lasciare un millimetro di spazio libero. Persino sulla scalinata dell'ingresso, tonnellate di sculture ingombrano il passo e danno un'idea preliminare della fe- · condità degli artisti italiani nel produrre opere destinate a un inesistente mercato. Le impressioni sulla Quadriennale non possono essere né decisamente negative, né decisamente positive. Ce n'è per tutti i gusti: e chi non soffre di claustrofobia può trovare persino qualche prodotto notevole. La Quadriennale è una mostra dilatata oltre ogni limite di discrezione e di decenza. Per farla diventare uno strumento serio d'informazione artistica, di carattere strettamente nazionale, bisognerebbe sottrarla al dominio governativo-statale, ormai ben noto per l'inefficienza, per la passività, per gl'interventi tardivi e sbagliati, e affidarla a un consiglio di amministrazione di gente pratica e sbrigativa e a un ristretto comitato direttivo di competenti, che si occupino esclusivamente d'arte moder na, anche se non appartengono alla carriera burocratica. L'ideale sarebbe di creare un ente privato, con finanziamenti propri, ma ciò, in un paese come il nostro, appare indub biamente utopistico. (Incoraggiare l'azione per· l'arte, come negli Stati Uniti, sottraendo all'importo delle tasse il denaro investito sia nell'acquisto di opere d'arte, sia in iniziative di particolare importanza artistica e culturale). Forse si tratta di sogni, che tuttavia diventano realtà in molti paesi d'Europa e d'America. Noi dobbiamo invece pensare ai e nuovi statuti >, a ordinamenti relativamente più aggior nati, destinati a trasformarsi in routine, coi soliti compro messi, con le nomine dei e competenti > di stato, con gli accordi coi sindacati degli artisti, con le false idee sulla e democrazia > applicata alle arti: insomma col peso di una situazione politica e sociale, che sta mandando a rotoli (e non solo per mancanza di fondi, ma per mancanza d'idee e 103
di buona volontà) istituti affermati e di grande prestigio come la Biennale di Venezia. Che cosa si dovrebbe fare? Per il momento, essendo impossibili riforme di base come quelle prospettate più in su, si adeguino gli statuti alle esigenze di oggi, si affidi l'organizzazione della mostra a commissioni più informate e più autorevoli, si trasformi la Quadriennale in Biennale, col preciso compito d'indicare e di segnalare più puntualmente gli artisti veramente impe gnati in ricerche originali e attuali, si riduca il numero degli invitati e degli accettati in rapporto con la realtà di una situazione artistica e non secondo cifre e programmi astratti e irreali, si costruisca un edificio più adatto a una esposi zione d'arte moderna, che non voglia essere una pigra ripe tizione dei salons ottocenteschi. Inoltre la Quadriennale, diventata Biennale, dovrebbe proporsi di svolgere un ampio programma di « divulgazione > della cultura artistica, con tutti i mezzi efficacissimi che il progresso della tecnica mette a disposiizone dell'uomo mo derno. Svecchiare, dunque, levare la polvere e le mummie, aprire le finestre sulla vita di oggi, e dimenticare il palaz zone piacentiniano, tempio e tomba, malinconica necropoli delle arti, che da oltre trent'anni ci angoscia con l'incubo della sua inutile vastità. Alle sue domande, dovremmo rispondere, caro De Fu sco, in un modo ancora una volta utopistico: con la necessità fondamentale di un rinnovamento del costume nella vita italiana contemporanea. Allora, forse, gli statuti potrebbero diventare attivi e efficaci.
FILIBERTO MENNA La nona edizione della Quadriennale Nazionale d'Arte 104
ha confermato quasi tutte le preoccupazioni della vigilia ed
ha dato ragione a tutti i critici intervenuti nei dibattiti sul l'orientamento della manifestazione, che ne avevano con siderato del tutto sorpassata la formula. In realtà, il criterio su cui è impostata la mostra ri specchia una situazione, quella degli anni trenta, in cui la relativa scarsezza delle gallerie e delle iniziative private lasciava un grande vuoto nella documentazione dei fatti artistici nazionali e di conseguenza l'appuntamento qua driennale assolveva un ufficio positivo offrendo un pano rama il più largo possibile degli eventi artistici del momento. Oggi, si sa, la situazione è completamente mutata: le gallerie private rappresentano un fatto veramente imponente non solo nelle grandi città produttrici di cultura, ma anche nei centri minori. Inoltre, la stampa, le riviste, la stessa televisione ha enormemente allargato il raggio dell'infor mazione in questo come in altri settori, per cui l'esigenza di una documentazione panoramica quadriennale è diventata molto meno pressante. In queste condizioni non vale più la pena di pagare un grosso pedaggio alla inevitabile gene ricità di una documentazione che intende abbracciare tutto, in quanto si trattava di un pedaggio ragionevole solo quando non era altrimenti possibile venire incontro alla necessità dell'informazione. E allora, è forse giunto il momento di cominciare seriamente a pensare a una riforma radicale della Quadriennale (una modifica dello statuto non è più sufficiente se si lascia intatta la sostanza dell'attuale strut tura) per farne uno strumento più agile ed efficace di informazione. Si dovrebbe innanzitutto rinunciare al ritmo quadriennale della manifestazione, assolutamente inadeguato alle veloci trasformazioni e ai rapidi mutamenti del gusto odierno, e impostare la mostra su una periodicità biennale, alternandola con la Biennale veneziana: si otterrebbe così il duplice risultato di evitare il carattere mastodontico della mostra, così come essa è attualmente, e di dare una mano alla consorella veneziana, liberando il padiglione italiano da
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un compito di documentazione panoramica che esso non può assolvere in una manifestazione a carattere internazionale. Ma qualsiasi tipo di riforma non produrrà buoni frutti se le persone preposte alle scelte non si impegneranno corag giosamente nella selezione degli artisti e nei criteri gene rali della impostazione rinunciando una volta per sempre al mito (o all'alibi?) di una documentazione oggettiva e totalitaria che serve solo a nascondere l'assenza di una vo lontà critica veramente discriminante. E vorrei concludere queste poche osservazioni sottolineando un altro fatto, ossia la necessità di restituire la manifestazione alla critica mili tante, alla critica cioè che ha dato e dà prova di un im pegno continuo, non occasionale, nei fatti dell'arte odierna.
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