Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
Direttore: Renato De Fusco Redazione: 80123 Napoli, Salita CasĂ le di Posillipo 14 - Tel. 300.783 Amministrazione: 80121 Napoli, Via dei Mille 61 - Tel. 231.692 Un fascicolo separato L. 800 - Estero L. 1.000
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Edizioni " Il centroÂť
Il premio IN/ARCH alla nostra rivista
R. Barthes G. Veronesi
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Semiologia e urbanistica Nuove idee per la Gescal Il metodo scientifico nella pianificazione Su qualche mostra dell'estate italiana
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Libri, riviste e mostre
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Marcello Angrisani, Attilio Belli, Agostino Bevilacqua, Renato De Fusco, Cesare de Seta, GĂŠrard Labrot, Stefano Padello, Giovanni Pasca Ray mondi, Maria Teresa Penta, Italo Prozzillo, Maria Luisa Scalvini.
Alla redazione di questo numero hanno collaborato:
Il premio IN/ARCH alla nostra rivista
Dalla relazione della Commissione giudicatrice del premio nazionale IN/ARCH 1966 per la diffusione sistematica della conoscenza dei problemi architettonici: La Commissione ... composta dall'arch. Maria Luisa An versa, dal prof. avv. Gianfilippo Delli Santi, dal prof. Umberto Eco, dall'arch. Vittoria Ghio Calzolari, dal prof. Giuseppe· Rossini, dal prof. arch. Manfredo Tafuri e dall'ing. Attilio Viziano... ha deciso di assegnare il Premio alla Rivista « Op. cit. » diretta da Renato De Fusco, ed edita da « Il Centro », segnalandone in particolare i seguenti meriti: 1) rende disponibile al pubblico una selezione, operata su una vastissima gamma, della critica d'arte contemporanea, rispondendo cosi ad un'esigenza non altrimenti soddisfatta; 2) riporta l'architettura nell'ambito dei problemi più generali del linguaggio, ritrovando una circolarità nella meto dologia della critica artistica; 3) studia il linguaggio artistico attraverso una serie di parametri propri dell'analisi semiologica e semantica, evi tando nel contempo l'astrattezza e la superficialità che spesso si accompagnano a questo tipo di ricerche;
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4) dà contributi critici anche su fatti architettonici di attualità , fatti che di solito vengono trattati dalle riviste specializzate sotto il loro aspetto contingente e non criti camente. Fra i vari contributi l a Giuria cita, in particolare, il glossario delle voci ¡dell'urbanistica contemporanea, iniziato attraverso uno studio comparato della letteratura internazio nale sull'argomento, e le rubriche .critiche sistematiche della letteratura riguardante l'architettura.
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Semiologia e urbanistica
ROLAND BARTHES
L'oggetto di questa mia conversazione riguarda alcuni problemi della semiologia urb�a. Ma devo subito affermare che chi volesse abbozzare una semiotica della città dovrebbe essere insieme semiologo, specialista dei segni, geografo, sto rico, urbanista, architetto e, probabilmente, anche psicana lista. Siccome evidentemente non è il mio caso - infatti non sono nulla di tutto questo, ma appena un semiologo - le riflessioni che mi accingo a presentare saranno riflessioni di amatore, nel senso etimologico della parola: amatore di segni, colui che ama i segni; amatore di città, colui che ama le città. Perché amo le città ed amo i segni. E questo doppio amore (che probabilmente è uno solo) mi spinge a credere, forse con qualche presunzione, nella possibilità di una se miotica della città. A quale condizione, o piuttosto, con quali precauzioni, quali preliminari, sarà possibile una semiotica urbana? Questo è il tema delle considerazioni che svolgerò. Vorrei iniziare col ricordarvi una cosa notissima, dalla quale prenderò le mosse: lo _spazio umano in genere (e non soltanto lo spazio urbano) è sempre stato significante. La geografia scientifica, e particolarmente la cartografia moderna, possono essere considerate come una specie di oblitera zione, di censura, imposte dall'oggettività (che è una forma di immaginario come un'altra) alla significazione. E prima di parlare della città stessa, vorrei ricordare alcuni fatti della
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storia culturale dell'Occidente, e segnatamente di quella del l'antichità greca: l'abitato umano, la « otxovµÉ'IITJ » - come possiamo intenderlo attraverso le prime carte dei geografi greci: Anassimandro, Ecateo, o attraverso la cartografia men tale di un uomo come Erodoto - costituisce un vero discorso, colle sue simmetrie, opposizioni di luoghi, colla sua sintassi e _i suoi paradigmi. Una carta. del mondo di Erodoto, realiz zata graficamente, è costruita come un linguaggio, come una frase, come un poema, su opposizioni: paesi· caldi e paesi freddi, paesi conosciuti e paesi sconosciuti; poi opposizione tra uomini da una parte, mostri e meraviglie dall'altra, etc. Se dallo spazio geografico passiamo ora allo spazio ur bano propriamente detto, ricorderò che la nozione chiamata Isonomia, coniata per l'Atene del VI secolo da un uomo come Clistene, è una concezione veramente strutturale, con la quale il centro solo è privilegiato, poiché tutti i cittadini hanno con esso un rapporto simmetrico e reversibile nello stesso tempo 2• In quest'epoca si ha dunque della città una concezione esclusivamente significante, perché la concezione · utilitaria di una disposizione urbana fondata su funzioni ed usi, che attualmente trionfa quasi incontrastata, è una con cezione posteriore. Volevo ricordare questo relativismo sto rico nella concezione degli spazi significanti. Finalmente, assai di recente, uno strutturalista come Cl. Lévi-Strauss, nel libro Tristes Tropiques, ha fatto della semiologia urbana, anche se su scala ridotta, per un villaggio Bororo, di cui ha studiato lo spazio secondo una angolazione essenzialmente semantica. f:. strano che di fronte a queste concezioni fortemente significanti dello spazio abitato, le elaborazioni teoriche degli urbanisti, se non sbaglio, abbiano dato finora un posto molto ridotto ai problemi della significazione. 3 Certo eccezioni ve ne sono; parecchi scrittori hanno parlato della città in termini di significazione. Uno degli autori che ha espresso meglio, questa natura essenzialmente significante dello spazio urbano è, secondo me, Victor Hugo. In Notre Dame de Paris Hugo ha scritto un bellissimo capitolo, sommamente intelligente: 8 Questo ucciderà Quello; questo, cioè il libro; quello, cioè il
monumento. Così dicendo Hugo mostra, in modo assai mo derno, di concepire il monumento e la città veramente come una scrittura, come un'iscrizione dell'uomo nello spazio. Il capitolo di Hugo è dedicato alla rivalità tra due scritture, la scrittura colla pietra e la scrittura sulla carta. E questo argomento,peraltro, può trovare una sua attualità nelle -ri: flessioni di un filosofo come Jacques Derrida sulla scrittura. Tra i veri e propri urbanisti appena si parla di significazione, un nome si fa avanti, e giustamente, quello dell'americano Kewin Lynch, che sembra avvicinarsi di più a questi problemi di semantica urbana, nella misura in cui si è preoccupato di pensare la città nei termini stessi della coscienza che la percepisce; cioè di ritrovare l'immagine della città nei let tori della città. Tuttavia, in realtà, le ricerche di Lynch, dal punto di vista semantico, rimangono abbastanza ambigue: da una parte, c'è nella sua opera un vocabolario della signi ficazione (per esempio, egli dà grande importanza alla leggi bilità della città, e questa nozione ci importa molto) e, da buon semantico, ha il senso delle unità discrete; ha cercato di ritrovare nello spazio urbano unità discontinue che, fatte le debite proporzioni, rassomiglierebbero un. po' . a fonemi e semantemi. Unità che egli chiama cammini, limiti, quar tieri, nodi, punti di riferimento. Queste sono classi di unità .che potrebbero facilmente diventare classi semantiche. Ma, d'altra parte, malgrado questo vocabolario, Lynch ha della città una concezione che rimane più gestaltica che strut turale. Al di fuori di questi autori che s'avvicinano esplicita mente alla semantica della città, si fa viva però una coscienza crescente delle funzioni dei simboli nello spazio urbano. In parecchi studi di urbanistica, che si basano su valutazioni quantitative, e su questionari di motivazione, vediamo spun tare malgrado tutto, sia pure in senso meramente nominale, all'inizio o alla fine, il motivo puramente qualitativo della simbolizzazione, di cui ci si serve oggi a volte anche per spiegare altri fatti. Per esempio, troviamo nell'urbanistica una tecnica assai corrente: là simulazione; ora la tecnica di si mulazione costringe, anche se manipolata con spirito un po'
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gretto ed empirico, ad approfondire il concetto di modello, che è un concetto strutturale o, almeno, pre-strutturale. In un altro punto di questi studi urbanistici l'esigenza del senso si fa avanti: si sco�re a poco a poco che esiste una specie di contraddizione tra significazione e un altro ordine di fenomeni e che, di conseguenza, il senso possiede una spe cificità irriducibile. Per esempio, alcuni urbanisti, o alcuni di questi ricercatori che studiano la pianificazione urbana, sono costretti a c;onstatare che in certi casi esiste un con flitto tra il funzionalismo di una parte della città, diciamo un quartiere, e ciò che chiamerei la sua semanticità (il suo potere semantico). Così hanno notato, un po' ingenuamente (ma bisogna forse cominciare con l'ingenuità) che Roma offre un conflitto perenne tra le necessità funzionali della vita mo derna e la carica semantica che proviene dalla sua storia. E questo conflitto tra senso e funzione è la disperazione degli urbanisti. Esiste inoltre un conflitto tra senso e ragione, o almeno tra senso e questa ragione calcolatrice che vorrebbe tutti gli elementi di una città ugualmente recuperati dalla pianificazione, mentre diventa sempre più evidente che una città è un tessuto, non composto di elementi uguali di cui si possono contabilizzare le funzioni, ma di elementi forti e di elementi neutri o, come dicono i linguisti, di elementi segnati e di elementi non segnati (si sa che l'opposizione tra il segno e la mancanza di segno, tra grado pieno e grado zero è uno dei grandi processi dell'elaborazione del senso). È evidentissimo che una città possiede questa specie di ritmo; Kewin Lynch l'ha notato: c'è in qualsiasi città, dal momento . in cui è stata veramente abitata dall'uomo, e fatta da lui, questo ritmo fondamentale della significazione, che è l'oppo sizione, l'alternanza e la giustapposizione di elementi segnati e di elementi non segnati. Infine c'è un ultimo conflitto tra senso e realtà stessa, almeno tra senso e questa realtà della geografia oggettiva, quella delle carte. Alcune inchieste con dotte da psico-sociologi hanno rivelato che, per esempio, due quartieri sono attaccati l'uno all'altro se facciamo affi damento sulla carta, cioè sul reale, sull'oggettività, mentre 10 dal momento che ricevono due sensi differenti, vengono radi-
calmente separati nell'immagine della città: il senso è vis suto in opposizione completa con i dati oggettivi. La città costituisce dunque un discorso e questo discorso è una vera parola: la città parla ai suoi abitanti, parliamo la nostra città, la città dove ci troviamo, semplicemente abi tandola, percorrendola, guardandola. Tuttavia il problema è di far uscire un' espressione come « linguaggio della città» dallo stato puramente metaforico. È molto facile, metaforicamente, parlare del linguaggio della città come si parla del linguaggio del cinema o del linguaggio dei fiori. Il vero salto scientifico sarà attuato quando si potrà parlare di linguaggio della città senza metafora. E si può dire che è esattamente ciò che è toccato a Freud quando ha parlato per primo del linguaggio dei sogni, vuotando tale espressione del senso metaforico per darle un senso reale. Anche noi dobbiamo fronteggiare questo problema: come passare dalla metafora all'analisi quando parliamo di linguaggio della città? Ancora una volta mi riferisco ad alcuni spe cialisti del fenomeno urbano che, anche essendo molto lontani da questi problemi di semantica urbana, hanno comunque già notato che (cito dal resoconto di un'inchiesta): « i dati utilizzabili nelle scienze sociali presentano una forma appena adeguata per una integrazione ai modelli». Ebbene se possiamo a gran pena inserire in un modello i dati che ci forniscono, a proposito della città, la psicologia, la socio logia, la geografia, la demografia, ciò è dovuto al fatto che siamo appunto sprovvisti di un'ultima tecnica, quella dei simboli. Quindi abbiamo bisogno di una nuova energia scien tifica per trasformare questi dati, passare dalla metafora alla descrizione del senso; è in questo che la semiologia (nel senso più largo della parola) potrà forse, attraverso uno sviluppo che non si può prevedere, esserci d'aiuto. Non in- . tendo affrontare in questa sede i procedimenti di scoperta della semiologia urbana. Questi procedimenti, probabilmente, consisterebbero nel ritagliare il testo urbano in unità, poi nel distribuire queste unità in classi formali e, in terzo luogo, nel trovare le regole di combinazione e di trasformazione di queste unità e di questi modelli. Mi limiterò a tre osserva- 11
zioni che non hanno un rapporto diretto con la città, ma che forse utilmente potranno avviare una semiologia urbana, nella misura in cui abbozzano un rapido bilancio della se miologia attuale e tengono conto del fatto che il « paesag gio» semiologico sia cambiato da parecchi anni. La prima osservazione è che il « simbolismo » ( che va inteso come discorso generale concernente le significazioni) non è più concepito attualmente, almeno in linea generale, come una corrispondenza regolare tra significanti e signi ficati. In altri termini, una nozione, basilare nella semantica pochi anni fa, sta diventando caduca: la nozione di lessico. Non si può più pensare la semantica in termini di lessico, cioè come un'insieme di elenchi di significati e di significanti coincidenti. Questa specie di crisi, di erosione della nozione di lessico è avvertita naturalmente da molti settori di ricerca. Prima, c'è la semantica distributiva, in via di costituzione, dei discepoli di Chomsky, come Katz e Fodor, che ha sferrato un attacco massiccio contro il lessico. Poi, lasciando il campo della linguistica per quello della critica letteraria, troviamo la critica tematica, che ha regnato per 15 o 20 anni, almeno in Francia, ed ha motivato l'essenziale degli studi di quella che chiamiamo la nuova critica, e che si trova attualmente, se non minacciata, almeno limitata, rimodellata, a scapito dei significati che si proponeva di decifrare. Nel campo della psicanalisi, infine, non si può più par lare di un simbolismo termine a termine; nell'opera di Freud, questa è evidentemente la parte morta: non è più possibile concepire un lessico psicanalitico. Tutto questo ha generato il discredito della parola « simbolo», perché questo termine fino ad oggi ha sempre lasciato supporre che la relazione significante si imperniava sul significato, sulla presenza del significato. Personalmente, mi servo della parola « simbolo » come relativa ad una orgarùzzazione significante, sintagma tica e/o paradigmatica, ma non più semica: bisogna fare una nettissima distinzione tra portata semica del simbolo e sta tuto sintagmatico o paradigmatico dello stesso. Nello stesso modo, sarebbe impresa assurda voler stendere un lessico dei sensi della città, ponendo da una parte 12
luoghi, quartieri, funzioni, e dall'altra sensi, o piuttosto po nendo da un lato, luoghi come significanti, e dall'altro, fun� zioni come significati. La lista delle funzioni che poss�no assumere i quartieri di una città è nota da molto tempo. Grosso modo troviamo una trentina di funzioni per un quar tiere di città (almeno per ·un quartiere del centro-città: zona che è stata studiata abbastanza bene da un punto di vista sociologico). Ora questa lista, anche se può essere comple tata, arricchita e affinata, non costituirà che un livello estre mamente elementare per l'analisi semiologica, e un livello probabilmente ricusabile ulteriormente: non solo per il peso e la pressione della storia, ma perché precisamente i signi ficati sono come esseri mitici, estremamente labili, che sem pre, finalmente, ad un certo momento, fungono da significanti di un'altra cosa: i significati cessano, i· significanti riman gono. La caccia al significato non può essere dunque che un procedimento provvisorio. Il compito del significato, se si riesce ad afferrarlo, è solo quello di darci una specie di testimonianza su uno stato definito della distribuzione signi ficante. Inoltre, dobbiamo osservare che sempre più si at tribuisce un'importanza crescente al significato vuoto, al. posto vuoto del significato. In altre parole, gli elementi ven gono sempre più intesi come significanti per la loro posizione correlativa e non per il contenuto. Per esempio, Tokyo che è uno dei complessi urbani più avvincenti che si possa imma ginare dal punto di vista se�antico, ha effettivamente una specie di centro. Ma questo centro, occupato dal palazzo imperiale, a sua volta cinto con un profondo fossato e na scosto nel verde, è vissuto come un centro vuoto. Più, gene ralmente, gli studi fatti sul nucleo urbano in numerose città hanno mostrato che il punto centrale del centro-città (ogni città possiede un centro), che chiamiamo un nucleo duro, non è il punto culminante di alcuna attività particolare, ma una specie di « fuoco » vuoto dell'immagine che la colletti vità si fa del centro. Abbiamo dunque, anche qui, un'imma gine in qualche modo vuota che è necessaria per l'organiz zazione del resto ·della città. La seconda osservazione è che il simbolismo deve essere 13
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definito essenzialmente come il mondo dei significanti, delle correlazioni e soprattutto delle correlazioni che non si pos sono mai chiudere in un senso pieno, in un senso ultimo. Dal punto di vista della tecnica di descrizione, la ripartizione degli elementi, cioè dei significanti, esaurisce ormai in qual che modo la scoperta semantica. Questo è vero per la se mantica chomskiana di Katz e Fodor, ed anche per le analisi di Lévi-Strauss, che si fondano sulla chiarificazione di un rapporto che non è rapporto di analogia ma di omologia, dimostrazione fatta nel suo libro, raramente citato, sul tote mismo. Perciò si scopre che quando si vorrà fare la semio tica della città, bisognerà spingere molto avanti, probabil mente e con una minuzia immensa, la divisione significante. Pertanto, faccio appello alla mia esperienza di amatore. Sap piamo che in alcune città esistono spazi che offrono un ac centramento fortissimo di funzioni: il tipo ne sarebbe for nito per esempio dai suk orientali dove in una strada vi sono soltanto conciatori, in un'altra soltanto orefici; a Tokyo al cune parti di uno stesso quartiere sono, dal punto di vista funzionale, molto omogenee: praticamente uno vi trova sol tanto bars, o tavole calde, o locali per il divertimento. Orbene sarà necessario andare oltre questo primo aspetto e non limitare la descrizione semantica della città a queste unità; sarà necessario cercare di individuare micro-strutture, nello stesso modo che si pòssono isolare piccoli frammenti di frase in un lungo periodo; occorre dunque prendere l'abitudine cli condurre un'analisi molto fine, che si estende fino alle micro strutture, e inversamente abituarsi ad un'analisi molto larga, che andrà veramente fino alle macro-strutture. Sappiamo tutti che Tokyo è una città polinucleata: possiede parecchi nuclei intorno a 5 o 6 centri; bisogna imparare a differenziare semanticamente questi centri, che sono segnalati del resto da stazioni ferroviarie. In altri termini, anche in questo set tore, almeno all'inizio, il miglior modello per l'analisi seman tica della città sarà fornito, credo, dalla frase del discorso. E ritroviamo qui la vecchia intuizione di V. Hugo: la città è una scrittura; il viaggiatore in città, cioè l'utente della città, che siamo tutti noi, è una specie di lettore che, secondo i
suoi compiti e spostamenti, preleva frammenti di enunciato per attualizzarli nell'intimo. Quando ci spostiamo in città, siamo tutti nella situazione del lettore dei 100.000 milioni · di poemi di Queneau, ove si può trovare un poema differente solo cambiando un verso; siamo un po' questi lettori di avan guardia, alla nostra insaputa, quando siamo in una città. La terza osservazione, infine, è che, attualmente, la semio logia non pone mai l'esistenza di un significato ultimo. Ciò vuol dire che i significanti sono sempre significati gli uni per gli altri, e reciprocamente. In realtà, in qualsiasi complesso culturale, od anche psicologico, siamo di fronte a catene metaforiche infinite il cui significato viene sempre differito o diventa esso stesso significante. Questa struttura comincia ad essere esplorata, lo sapete, in psicanalisi, da Jacques Lacan, ed anche nello studio della scrittura, dove comincia ad essere postulata, se non esplorata. Se applicassimo queste vedute alla città, saremmo forse indotti a metterne in luce una dimensione che, lo devo dire, non ho mai vista, o almeno francamente evocata, negli studi ed inchieste di urbanistica. Questa dimensione, la chiamerei erotica. !:. l'erotismo della città l'insegnamento che possiamo trarre dalla natura infi ·nitamente metaforica del discorso urbano. Di questa parola erotismo faccio uso nel senso più largo: sarebbe ·irrisorio assimilare l'erotismo di una città all'unico quartiere riservato a questo tipo di piaceri, perché il concetto di quartiere di piacere si presenta ancora un po' come una delle mistifica zioni del funzionalismo urbano; è una nozione funzionale, non una nozione semantica; intenderei erotismo come -sostituto della parola socialità. La socialità della città, prescin dendo dalla sua pratica finalità, dal suo funzionalismo: è a questo che la semiotica urbana dovrebbe mirare. La città, essenzialmente e semanticamente, è il luogo dove ci s'in contra maggiormente con l'altro ed è per questa ragione che il centro è il punto riassuntivo di ogni città; il centro città è istituito prima di tutto dai giovani, dagli adolescenti. Quando questi ultimi esprimono la loro immagine della città, tendono sempre a restringere, concentrare, condensare il centro; il centro-città è vissuto come la piazza di scambio
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delle attività sociali e, direi, quasi delle attività erotiche, nel senso largo della parola. Ancor meglio, il centro-città è sempre vissuto come lo spazio dove agiscono e s'incontrano forze sovversive, forze di rottura, forze ludiche. Il gioco è un argo mento spessissimo sottolineato nelle inchieste sul centro; si è svolta in Francia una vasta serie d'inchieste riguardanti l'attrazione esercitata da Parigi sulla periferia, ed è stato osservato, per mezzo di queste inchieste, che Parigi, come centro della sua perif�ria, era sempre vissuta, semantica mente, come il luogo privilegiato dove è l'altro, e dove noi stessi siamo altro, dove si gioca. Al contrario, tutto ciò che non è centro è tutto ciò che non è spazio ludico, che non è alterità: la famiglia, la residenza, l'identità. Naturalmente bisognerebbe, soprattutto a proposito della città, ricercare la catena metaforica, la catena sostitutiva dell'Eros, cercare particolarmente dalla parte di altre grandi categorie, di altri grandi usi umani, come per esempio il cibo, o le compere, che sono veramente attività erotiche nelle società del con sumo. Mi riferisco ancora una volta all'esempio di Tokyo: le grandi stazioni, che sono i punti di riferimento dei prin cipali quartieri, sono anche grandi negozi. E certo che la stazione giapponese, la stazione-negozio, ha fondamentalmente un unico senso, e che questo senso è erotico: compera o in contro. In seguito bisognerebbe esplorare le immagini pro fonde degli elementi urbani. Per esempio, molte inchieste hanno sottolineato la funzione immaginaria del Corso, che in qualsiasi città è sempre vissuto come un fiume, un canale, un'acqua. C'è un nesso tra strada ed acqua; e sappiamo pure che le città più resistenti al senso e che, del resto, provocano spesso difficoltà di assimilazione per gli abitanti, sono ap punto le città prive d'acqua, le città senza lungomare, o senza nastro d'acqua, senza lago, senza fiume, senza corso d'acqua;. tutte qu,este città presentano difficoltà di vita, di lettura. Per finire vorrei dire solo questo: nelle suddette osser vazioni non ho affrontato nessun argomento metodologico. Per quale motivo? Perché se si vuole intraprendere la semio logia della città, l'avviamento migliore, mi pare, come del resto per tutta l'impresa semantica, sarà una specie di atteg-
giamento ingenuo del lettore. Dovremmo essere numerosi a tentare cli leggere le città dove siamo, partendo, se vi fosse bisogno, da un rapporto personale. Sovrapponendo tutte que ste letture cli differenti tipi di lettori (perché abbiamo di fron te un'intera tipologia dei lettori di città, dal sedentario allo straniero) si costituirebbe allora la lingua della città. Perciò direi che il più importante, non è tanto di moltiplicare in chieste o studi funzionali della città, quanto cli moltiplicare le letture di città di cui, finora, sfortunatamente, i soli scrit tori hanno fornito esempi; sono loro che, finora, hanno par lato meglio della semantica urbana. Prendendo le mosse da queste letture, da questa ricostituzione cli una lingua o di un codice della città, potremmo allora avviare procedimenti di tipo più scientifico: ritrovamento delle unità, sintassi, etc. ma ricordandoci sempre che non si deve . mai cercare cli fissare e irrigidire i significati delle unità scoperté perché, storicamente, questi significati sono sempre estremamente labili, ricusabili, non dominabili. Ogni città è un po' costruita, fatta da noi, a immagine della nave Argo, cli cui ogni pezzo era cambiato rispetto alla sua origine, ma che rimaneva sem pre la nave Argo, cioè un'insieme cli sensi molto leggibili ed identificabili. In questo sforzo per avvicinare semantica mente la città dobbiamo cercare cli capire il gioco dei segni, di capire che qualsiasi città è una struttura, ma non cercare mai o non volere mai riempire questa struttura. Perché la città è un poema, come è stat� detto spesso, e come Hugo l'aveva detto meglio di qualsiasi altro, . ma non si tratta cli un poema classico, di un poema ben centrato su un soggetto. � un poema che spiega il significante ed è questa specie cli spiegazione che finalmente la semiologia della città dovrebbe cercare cli afferrare e di cantare. ROLAND BARTHES
1 Conferenza del 16 maggio 1967' organizzata dall'Istituto francese di Napoli, dell'Istituto di Storia dell'architettura dell'Università di Napoli e dalla nostra rivista. 2 Su Clistene e l'Isonomia, cfr. VmAL-NAQUBr e Uva)UB, Clistène l'Atenien.
3 Cfr. F. CHOAY, L'Urbanisme: utopies et réalités, Editions du Seuil, Paris, 1965.
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Nuove idee per la Gescal
E. all'esame dei Ministeri del Lavoro e dei LL.PP. una delibera del Comitato Centrale per il Programma Decennale di costruzione di alloggi per lavoratori (Gescal) riguardante
un organico programma di ricerche, sperimentazione e pro gettazione pilota ed indicazione della relativa previsione di spesa. 1 Da questo titolo e da quanto risulterà dalla esposizione e riassunto del documento in esame ci sembra di prevedere non pochi motivi d'interesse per l'attività professionale dei prossimi anni. Dal carattere sperimentale del programma sorgono alcuni motivi di ordine critico e metodologico che ne giustificano la discussione sulla nostra rivista. Pertanto la presente rassegna si propone di esplicitare e tradurre il documento legislativo nei termini del linguaggio professionale, anche a costo di impoverirne e schematizzarne il contenuto, oltre a fissare quegli argomenti di carattere generale toccati dalla delibera. Il programma distingue quattro campi di ricerca e di sperimentazione:
intesa ,com!! organizzazione• del prodotto edilizio, dalla cellula abitativa al complesso residenziale ins� rito in strutture urbane, in relazione alle esigenze funzionali ed alle caratteristiche sociali ed economiche dell'utenza; 18
A)
TIPOLOGIA,
B)
TECNOLOOIA,
intesa come «qualità» degli elementi,
dei procedimenti costruttivi e dei prodotti finiti, in relazicme alle esigenze di abitabilità; C) METODI E PROCEDURE, intesi come i diversi modi di organizzare il processo edilizio ( programma, progetto, ese cuzione, uso) nei suoi aspetti tecnico, giuridico e ammi nistrativo;
D) CosTI, intesi come le risultanti economiche degli ele menti di cui ai punti precedenti. Quanto al primo campo, che ci sembra inclusivo degli altri e al tempo stesso più problematico ed aperto, esso verrebbe sperimentato in due modi. L'uno riguardante studi sulle tipologie, condotti da esperti singoli o in collaborazione con organismi specializzati in materia; l'altro attraverso con corsi nazionali di vario grado che vanno dalle ricerche me-· todologiche fino alla progettaziçme completa, ma non ese cutiva, ottenuta applicando i risultati dei precedenti studi monografici. I criteri riguardanti la ricerca sulla tipologia sono cosl espressi: Questo settore di attività avrà l'obiettivo di individuare le caratteristiche dell'ambiente abitativo - all'interno e al l'esterno dell'alloggio - più rispondenti alle esigenze dei nuclei familiari nelle diverse località, in relazione alle con dizioni ambientali, sociali, di vita e di lavoro ed alla loro evoluzione verso più elevati livelli civili. Sarà quindi neces sario definire disponibilità ed articolazione di spazi, dotazionì di servizi ed arredi in forma e misura tale da consentire l'armonico svolgersi delle attività dei singoli, dei nuclei fami liari e delle comunità insediate in ambienti funzionalmente, psicologicamente ed esteticamente adeguati. E: chiaro che l'intenzione della Gestione è quella di superare i noti limiti dell'edilizia sovvenzionata e di indivi duare elementi utili per l'aggiornamento delle norme tecni che... al momento vigenti. Come pure è indubbio che ciò va. ottenuto mediante procedimenti, che, sin dalla prima fase della progettazione, si muovano nella linea della più completa industrializzazione dell'edilizia. Tuttavia il brano citato ri-
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mane, forse necessariamente, · troppo generico per fornire delle indicazioni sia pure provvisorio e generali. Anzitutto parlare oggi di tipologia, a meno di non inten derla nel senso più manualistico, significa toccare uno dei temi sui quali, per le sue implicazioni urbanistiche, lingui stiche, morfologiche etc., è più impegnata l'attuale ricerca architettonica. È diffusa opinione che i problemi della tipo logia vadano meglio studiati nell'ambito di quelli della mor fologia urbana. Abbiamo perciò spostato il nostro interesse sulla_ morfologia urbana - scrive Aymonino - ... e sui rap porti della tipologia edilizia... per precisare i caratteri degli edifici. Pensiamo infatti che questo « ampliamento del campo » sia anche la necessaria individuazione dei limiti del campo nel quale vogliamo operare; che la morfologia urbana sia il giusto ambito nel quale collocare la trasformazione e la formazione dei tipi e il possibile superamento delle tipologie e nel quale misurare l'invenzione di organismi architettonici di tipo nuovo. 2 Pertanto la più elastica definizione di questo campo d'esperienza pone la voce tipologia ad un livello diverso dalle voci « tecnologia » o « procedure e costi », che hanno significato più esplicito ed acquisito. Il brano della delibera citato parla poi di ambiente abi tativo all'interno e all'esterno dell'alloggio. L'indicazione è ancora tanto generir::a da potersi piegare a molte interpre tazioni. Ma qualora il riferimento all'ambiente esterno, come ci pare, rimanga legato alla nozione di qu�rtiere, dobbiamo osservare che anche questa forma di organizzazione, che ha avuto un notevole ruolo nell'attività architettonica degli anni '50, è stata svalutata dai mediocri risultati ottenuti, e dalla ricerca teorica che mira ad individuare nuove strutture meglio integrabili al contesto urbano e all' assetto ter. ritoriale. Nel docwnento che esaminiamo si parla ancora del va riare degli alloggi in relazione alle ·diverse località, alle con dizioni ambientali, sociali, di vita e di lavoro. Tale assunto 20 ci sembra risentire di vecchie distinzioni regionalistiche, di
ambiente «colto» e «popolare», del presupposto di diversi bisogni, in una parola del preconcetto dell'esistenza di più culture nel nostro paese. Ora, indubbiamente è riscontrabile ancora un divario fra regione e regione, ma esso va attribuito più al loro squi librio economico che non ad una stabile struttura culturale, intesa in senso antropologico, che viceversa già tende a por tarsi ad un livello medio omogeneo. Una tipologia dell'alloggio che voglia codificare queste differenze, se pure tiene conto di una realtà di fatto, non segue il processo irreversibile che, nell'attuale società di massa, tende proprio alla più grande e rapida diffusione dei modelli più evoluti o ritenuti tali. Tuttavia la quantificazione di questi modelli non potrà effettuarsi in base ad un'elementare operazione ripetitiva, mentre la necessaria differenziazione nell'ambiente della r� sidenza non potrà essere affidata ad astratte categorie socio logiche o tecnologiche, ma al grado qualitativo del .singolo intervento. Gli attuali orientamenti critici dell'architettura contem poranea... pongono necessariamente in crisi il concetto di tipologia edilizia come possibilità ripetitiva di tutti i possi bili prodotti edilizi, assunti come organismi elementari e conchiusivi e perciò stesso. messi a punto come tipi, o stan dards, per la loro massima diffusione indifferenziata... ma via via che l'architettura... ha esteso la propria influenza e le conseguenti possibilità d'intervento, ha cercato nuove « compromissioni », recuperando valori come quelli della forma individualmente riconoscibile (immagine) e della col locazione storicamente definibile che in un primo periodo sembrava voler ignorare o addirittura scartare. 3
11 capo B della delibera tratta della «Tecnologia » e pr� ·vede che il campo della ricerca sia esplorato in vari modi. Studi sistematici e comparativi delle esperienze acquisite in Italia e all'estero: studi e sperimentazioni di laboratorio ri guardanti le caratteristiche tecniche degli elementi e com ponenti degli edifici, le loro combinazioni elementari, e i
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procedimenti costruttivi ad essi relativi; sperimentazioni degli ·elementi e componenti suddetti posti nelle reali con dizioni di utilizzazione; concorsi tra le industrie produttrici di manufatti edilizi; concorsi aperti alle industrie produttrici di mezzi d'opera e m�cchine per il montaggio oltre ché ai professionisti specializzati in programmazione esecutiva - e costi. Tali ricerche sono volte al perfezionamento qualita tivo dei requisiti tecnologici e funzionali dell'alloggio, alla semplificazione delle tecniche costruttive (produzione, posa in opera, montaggio di elementi e c9mponenti), alla riduzione dei costi di costruzione, manutenzione e gestione. Questa parte del programma, da considerarsi stretta mente connessa con il capo successivo - sperimentazione sulle metodologie e procedure - sembra toccare nel vivo la questione dell'industrializzazione edilizia. L'accento posto sul fattore qualitativo della tecnologia non può non essere condiviso, ciò nonostante sorgono immediatamente molti interrogativi. Anzitutto nel parlare di studi da condurre an cora in questo camp·o, à parte l'ovvia legittimità di approfon dire e riesaminare le esperienze già acquisite, si rischia di spostare su un piano di mera teoria un problema che, da un punto di vista tecnico, può già essere risolto in pratica, sempre che lo si ponga nel suo giusto piano di politica eco nomica. Per una rinnovata struttura produttiva, se va evitato il verificarsi d'una_ condizione di monopolio, al tempo stesso è necessario determinare seri e concreti incentivi. Non sarà certo qualche CO!lcorso fra le poche ditte specializzate nella produzione di elementi e componenti dell'edilizia a risolvere il problema dell'industrializzazione, che richiede un impegno quantitativamente massiccio, organico e ben coordinato. A meno d'un ipotetico ente pubblico preposto all'industrializ zazione dell'edilizia, non saranno le ditte suddette - che · possiamo considerare delle imprese ausiliari - . a far da vo lano per i nuovi più complessi sistemi produttivi industria lizzati. Questo compito allo stato attuale sembra ancora do versi affidare a quelle grosse imprese disposte ad aggiornare e ristrutturare le proprie capacità produttive, sempre che 22 vengano opportunamente incentivate é garantite nel fatto
che il loro . sforzo possa concretamente attuarsi in un pro gramma ingente e a lungo termine. A tal proposito, notiamo per inciso, che nel nostro programma di sperimentazione non ci sembra sufficientemente chiarito il rapporto fra esso e il più vasto piano della Gescal. Una conferma di tali dubbi si ha, come vedremo, al capo successivo della delibera, laddove nella_ previsione dei concreti interventi notiamo che l'entità di questi sarà inversamente proporzionale al grado di inno vazione dei sistemi costruttivi previsti. Ancora una volta va riconosciuta l'esigenza d'un criterio prudenziale, ma al tempo stesso ribadito che - a parte le questioni suddette di poli tica economica - l'industrializzazione dell'edilizia richiede per la sua stessa definizione il massimo dell'impegno quan titativo. Quanto poi al criterio di sperimentare nuovi sistemi e in pari tempo costruire nuovi vani senza rischi e senza spre-. chi, se ciò corrisponde ai criteri di un « sano » produttivismo, smentisce il principio della sperimentazione; i. risultati di questa vanno valutati non immediatamente, ma per quanto promuovono· ed attuano in un più ampio arco di tempo. Se di vera sperimentazione si tratta, si dovrà quindi anche pre vedere gli inevitabili errori iniziali e prestabilire chiaramente chi ne farà le spese. Il prototipo di ogni nuova macchina non sarà affatto l'esemplare più conveniente ma la « mac china inutile » di più potenziale efficienza. La ricerca e la sperimentazione sulle metodologie e pro cedure costituiscono l'oggetto del terzo capo della delibera. Obbiettivo di questa ricerca è la razionalizzazione tecnica, am
ministrativa e procedurale del processo costruttivo nelle sue fasi fondamentali. Nella ricerca sono compresi i modi di redigere i progetti, indire le gare, affidare gli appalti, control lare i lavori ed eseguire i collaudi; i modi di esecuzione · delle opere di urbanizzazione; le attribuzioni di. competenza per lo svolgimento di tali operazioni e per le relative verifiche. Tutti, i problemi generali anzidetti, riferiti ai singoli e reali interventi, saranno affrontati da progettazioni integrali.
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Queste sono intese come operazioni coordinate, interdiscipli nari, distinte_ nei seguenti settori: economico-finanziario; amministrativo-legale; sociologico;· tecnico ( ossia urbanistica, architettura, strutture, impianti, cantieri, direzione lavori e collaudi). Il settore conclusivo è quello del coordinamento e controllo dell'intero processo di progettazione. Lo svolgi mento di tale processo avverrà per fasi successive fino al l'ultima, che consiste nella pubblicazione dei documenti della
progettazione integrale eseguita.
In linea operativa le progettazioni integrali saranno arti colate in quattro programmi paralleli. Il primo, utilizzando sistemi costruttivi già noti di fabbricazione e prefabbrica zione, dovrebbe realizzare· almeno dodici complessi edilizi aventi caratteristiche fissate dalle norme Gescal vigenti al momento della loro impostazione iniziale. Lo sperimenta lismo di questo primo programma consiste nel voler attuare un confronto continuo e diretto dei costi, delle procedure e degli strumenti operativi. Ciascuno degli interventi, di cui 9 complessi da 500 a 750 vani circa e 3 da 1000 a 2500 vani circa, sarà diverso dall'altro per il variare dei tipi di fab bricazione e prefabbricazione, e dei tipi di appalti e condu zione dei lavori. In particolare tali esperimenti saranno organizzati in tre cicli, i quali, per quanto concerne i sistemi di costruzione saranno così differenziati : il primo prevede la costruzione di circa 2500 vani attraverso la razionalizzazione dei sistemi tradizionali; il secondo di circa 4250 vani mediante l'indu strializzazione di cantiere; il terzo realizzerà circa 4750 vani mediante la prefabbricazione con prevalenza di elementi pro
dotti industrialmente e brevettati ( esclusi sistemi globali a ciclo chiuso). 4
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Il secondo programma relativo alle progettazioni integrali si propone di attuare almeno due serie di piccoli .edifici per complessivi 1000 vani da costruirsi mediante l'« industria lizzazione di cantiere » e la « prefabbricazione con prevalenza di elementi prodotti industrialmente e brevettati ». In tal modo si sperimenterebbero in una scala più facilmente veriti.cabile i risultati ricavati dall'attuazione del primo program-
ma, con l'introduzione peraltro di criteri particolari, volti ad approfondire i problemi di organizzazione degli utenti: rag gruppamenti di assegnatari individuali... lavoratori riuniti in cooperative. Il terzo programma riduce ulteriormente la scala dell'in tervento, prevedendo la realizzazione di piccoli complessi edi lizi o di edifici isolati o parti di edifici (con riferimen"to anche all'arredo di alloggi), per complessivi 1000 vani circa. Alla limitazione dimensionale, come s'è detto, corrisponde il massimo criterio sperimentale. Infatti i vani previsti avranno caratteristiche non ancora fissate nelle norme, con particolare riguardo a nuove tipologie, nuove tecnologie, nuo ve forme di unificazione degli elementi costruttivi, nuovi tipi di organizzazione dei cantieri. Lo scopo di tale programma è la verifica, attraverso la costruzione di elementi campione (modelli a scala 1: 1), delle ricerche condotte nei campi delle tipologie edilizie e delle tecnologie, ai fini del continuo ag giornamento delle norme e dei costi ammissibili. Il quarto programma si distingue nettamente dai prece denti in quanto prevede l'intervento nei centri urbani esi stenti, il loro risanamento e la loro ristrutturazione. Esso si articolerà in indagini preventive e interventi sperimentali esemplificativi. Le indagini avra,zno lo scopo di individuare il centro o i centri nei quali intervenire e... gli isolati campione su cui operare i risanamenti; continueranno poi per definire, caso per caso, i limiti, i modi e i tempi degli interventi. Gli interventi su ogni isolato campione saranno eseguiti con progettazioni integrali. Tali operazioni hanno l'obiettivo di ricavare elementi di conoscenza e di metodo per la formulazione d'un più vasto programma di risanamento degli abitati anche in relazione ai problemi che si presentano nell'applicazione dell'art. 26 della legge n. 60 (legge contenente· le norme per la liquida zione del patrimonio lna-Casa e l'istituzione della Gescal); gli esperimenti inoltre forniranno le basi di valutazione degli incrementi di valore economico e di qualificazione sociale in tal modo ottenibili.
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Il risanamento dei nuclei urbani esistenti è uno degli argomenti più importanti fra quelli toccati dal programma di sperimentazione;· ma francamente quello cuf è stata dedi cata la minore attenzione. Infatti, benché vada oltre l'art. 26 della legge suddetta, il quale tratta in maniera assai gene rica questo problema, sarebbe stato legittimo non solo richie dere più fondi per la sperimentazione in questo campo, ma delle indicazioni assai più « esecutive » per un tema teorica mente e metodologicamente maturo. Sull'importanza culturale e civile del risanamento dei centri antichi non occorre in questa sede ritornare, mentre ci sembra utile accennare solo all'aspetto economico del problema. A tal proposito in un articolo del 1963 dedicato alla legge suddetta e· in particolare al punto riguardante il risanamento, Zevi osserva che la Gescal dispone di mille mi liardi in dieci anni, coi quali si possono costruire poco più di due milioni di nuovi vani coi relativi servizi. Poiché il fabbisogno per il prossimo decennio è stato calcolato sui 17-18 milioni di vani, il programma è modesto. Ma questa è una ragione ulteriore per organizzarlo in modo da produ;re il massimo numero di vani abitabili a costo inferiore, e secondariamente in modo da mettere in atto un processo che abbia effetti moltiplicativi, cioè che stimoli l'iniziativa privata. I risanamenti soddisfano ambedue i re quisiti. La bonifica degli alloggi malsani costa meno della costruzione di nuove case ed è quanto mai probabile che sblocchi la situazione d'inerzia che si verifica in questo set tore. 5 Concordiamo in pieno· con tale assunto, ma evidente mente il problema dei risanamenti fa parte di quelle opera zioni - meno spettacolari delle avveniristiche espansioni _.: · che per essere le più serie, concrete ed impegnative, vengono continuamente procrastinate e rinviate ai soliti più approfon diti studi. Questi ovviamente non riusciranno mai da soli ad attivare l'unico grande fattore d'inerzia operativa: la volontà politica di attuare i risanamenti. 26
Il capo D della delibera ha per oggetto la ricerca e la
sperimentazione sui costi di costruzione. Detto campo verrà esplorato attraverso la rilevazione sistematica degli elementi globali di costo preventivi e consuntivi; le ricerche di mer cato sui costi di materiali, manufatti industriali e prodotti finiti; · 1•analisi e la verifica dei costi previsti nei progetti redatti in attuazione del Programma Decennale; rilevazione dei costi di produzione nei cantieri pilota e di quelli speri mentali; la rilevazione dei costi di urbanizzazione negli inter venti superiori ai mille vani. L'insieme dei suddetti rilevamenti sarà svolto principal mente dalla Gestione in collegamento sia con organismi specializzati in rilevazioni statistiche (ISTAT, ISCO etc.), sia con gli enti che operano nel settore (INCIS, ISES, IACP, etc.), sia con le amministrazioni comunali per quanto con cerne la voce relativa ai costi di urbanizzazione. Parallelamente alle ricerche e sperimentazioni descritte, sarà condotta un'indagine tendente ad individuare gli ele menti di unificazione dimensionale e di coordinamento modu lare delle· diverse parti della costruzione, che possono essere adottati in forma generalizzata. A completamento del· vero e proprio programma di ri cerca e sperimentazione, la delibera prevede trenta inter venti la· cui peculiare caratteristica sta nel rientrare nel Pre> gramma Decennale Gescal. Essi saranno attuati attraverso « progetti pilota » scelti mediante concorsi e che sfrutteranno i risultati delle esperienze acquisite · dal programma di ricerca. Per il coordinamento di tutte le ricerche ·e sperimenta zioni, la Gescal predisporrà nel suo ambito la necessaria strumentazione operativa, avvalendosi anche del contributo di tecnici esterni, specializzati nei settori delle singole ri cerche. L'articolazione del programma comprende studi, ricerche sociologiche, sperimentazioni specifiche, progettazioni inte grali e progettazioni pilota... P. pertanto indispensabile che. la Gestione costituisca un'adeguata direzione del programma in parola... in modo da garantire l'unitarietà di indirizzo, la 2�
coerenza operativa e la produttività della struttura preposta all'attuazione del programma stesso. Essa curerà il coordi namento degli uffici, degli organismi e degli specialisti ester ni, e sarà responsabile della verifica dei risultati conseguiti e del raggiungimento degli obiettivi nei diversi stadi ed ai diversi livelli ... Sarà cura della Gestione verificare che gli organi perife rici di esecuzione... del programma adeguino la propria struttura organizzativa all'importanza e alla delicatezza dei nuovi compiti.
Per la conoscenza e diffusione del programma e dei risul tati da esso conseguiti si adotteranno i seguenti sistemi: a) monografie illustranti i risultati dei concorsi nelle tipologie e tecnologie, i programmi specifici di studio, ri cerca, sperimentazione, lb svolgimento per settori e per fasi della progettazione integrale ed i relativi risultati; b) collaborazioni sistematiche a periodici d'ingegne ria, architettura, urbanisticà, economia, diritto, con notiziari e con pubblicazione delle monografie di maggiore inte resse.
Gli importi di spesa relativi al programma di ricerche, sperimentazioni e progettazioni pilota previsto dalla delibera n. 1215 sono determinati come segue: Per indagini sulle tipologie, le tecnologie ed i costi, da condursi anche mediante concorsi, seminari e convegni, . 2400 milioni. Per la costruzione di alloggi sperimentali secondo il me todo delle progettazioni integrali, 20270 milioni, di cui 1500 milioni da destinarsi al risanamento sperimentale di nuclei di interesse storico-ambientale. Per le opere di urbanizzazione indispensabili ad attuare i programmi sperimentali, 2500 milioni. Per gli interventi pilota, le campionature di procedi menti costruttivi, le rilevazioni e le verifiche ad essi relative, 830 milioni. La previsione di spesa complessiva è quindi di 26 mi28 liardi per il periodo 1967-73.
Con successiva delibera n. 1216 del Comitato Centrale, viene disposto il finanziamento per 7,7 miliardi relativo ad alcune operazioni di immediata attuazione nell'ambito del suddetto programma e si provvede ad indicare le prime · localizzazioni di progetti sperimentali; a Napoli per 1500 vani a Roma per 2250 vani e nel comprensorio di Genova per 500 vani circa. Se dall'esame particolare delle singole voci del program ma si passa ad esprimere l'idea generale da esso prodotta, è necessario uscire dal suo linguaggio tecnico-burocratico, forzarne gli aspetti reticenti, introdurre nuovi parametri nel discorso, ridurre le ripetizioni; in una parola, operare, per così dire, un cambiamento di marcia. Da una visuale più sgombra e sintetica apparirà allora che il documento in parola è caratterizzato da un sano rea lismo, da un positivo spirito produttivo, da un muoversi prudenziale in un terreno irto di difficoltà e minato da cento altri errori in precedenza commessi. Naturalmente queste sono le indispensabili cautele di chi è investito da pub bliche responsabilità, tuttavia esse non danno sufficienti ga ranzie sull'attuazione dei fini proposti e al tempo stesso sembrano contraddire l'intenzione sperimentale enunciata dalla delibera. La domanda di fondo cui bisogna rispondere per co gliere il senso e la portata di tale programma riguarda la sua prevedibile capacità di risolvere i vecchi difetti dell'lna Casa e soprattutto il ristagno attuale della Gescal. A tal proposito B. Zevi scrive: ... sussistono vecchie
frizioni tra i ministeri del Lavoro e dei LL.PP., fra il Comitato Centrale che formula i piani, la Gestione che dovrebbe attuarli, gli istituti autonomi Case Popolari cui ne spetta l'esecuzione. Si acuiscono i problemi riguardanti il reperi mento delle aree, la loro urbanizzazione, gli appalti, i bandi per la raccolta delle prenotazioni degli alloggi e le relative graduatorie, i rapporti con i Comuni, la vigilanza sugli organi periferici, l'assegnazione degli incarichi progettuali. In tali· congerie di competenze e di difficoltà, non stupisce come la 29
Gescal, dopo oltre quattro anni dalla sua nascita, abbia prodotto così poco e male. Non ha costruito un solo quar . tiere e nemmeno un solo fabbricato significativo; non ha contribuito ad alleviare la crisi edilizia, non ha neppure pre disposto un programma per un'attività a lungo termine... il suo « centro studi » dopo una vita grama e. contrastata è stato - liquidato. La legge indica tra i compiti dell'ente « le ricerche opera tive sull'edilizia residenziale, nonché la sperimentazione e la esecuzione di progetti-pilota». -In questo doveva consistere l'elemento differenziatore e caratterizzante della Gescal ri spetto all'Ina-Casa che, in tanti anni di lavoro, aveva scarsa mente stimolato il progresso tecnico nelle abitazioni econo miche. Ma la fretta di produrre... ha congelato ogni ricerca. Posta di fronte. al dilemma apocalittico « Studiamo prima di realizzare o realizziamo prima di studiare? » la Gescal finora ha optato per non fare né l'una né l'altra cosa. Nello stesso articolo, illustrate le finalità del nuovo programma Gescal relativo alla sperimentazione, Zevi afferma: l'esperienza degli scorsi anni induce a moderare l'ottimismo; ... E tuttavia va riconosciuto che la decisione del Comitato Centrale è un atto di coraggio. Pone un aut-aut ai due Ministeri da cui dipende, alla Gestione, agli istituti Case Popolari, ai comitati provin ciali, alle industrie, alle imprese· e agli architetti. Prende co scienza di quanto la cultura è venuta denunciando sistemati camente da tempo: la nostra arretratezza tecnologica ed organizzativa nel campo residenziale ha raggiunto un grado allarmante. 6 A nostro avviso l' interpretazione di Zevi attribuisce alla delibera un'energia che è riscontrabile solo in alcuni suoi punti. Infatti se gli aspetti che rientrano nella categoria tecnologica intenzionano realmente la possibilità della speri mentazione, il complesso apparato delle norme, delle proget• tazioni integrali, delle verifiche, della pubblicizzazione dei risultati ·etc. rimane ancora estraneo ai nodi politico-urba nistici, a quelli della vera e propria ricerca architettonica, al pressante problema della revisione e :del rinnovo dei quadri._ 30 In altri termini tutti quegli interessi e valori estranei alla
tecnologia e ai procedimenti meramente produttivistici sono o sembrano ignorati. Sia chiaro che non si auspica una sperimentazione di tipo intuizionistico o affidata agli impulsi delle « anime belle », ma di recuperare le esperienze più vive dell'attuale cultura architettonica, che per realizzarsi necessitano proprio del fat tore quantitativo e della grande scala dell'intervento che, in Italia almeno, solo un ente come la Gescal potrebbe · offrire. Ci pare che il divario tra lo spirito della delibera e le esperienze alle quali ci riferiamo, derivi dal riferimento a modelli diversi. Da un lato il programma Gescal nel parlare di tipologia nel modo che s'è visto, nel prevedere ancora la razionalizzazione dei sistemi costruttivi tradizionali, nell'in sistere sull'esigenza di tradurre immediatamente in norme i risultati acquisiti nelle ricerche man mano condotte, si muove ancora in un sistema i cui prototipi sembrano risalire al periodo tra le due guerre. Dall'altro, se si può parlare d'una ricerca di base nel nostro campo, essa va identificata nella tematica della « nuova dimensione », nella metodologia della progettazione ispirata ai modelli scientifici, negli studi sulla morfologia urbana e sulle nuove strutture - non ancora comprese nelle tipologie tradizionali - integranti la resi denza alle altre funzioni della vita associata. E sebbene l'organico insieme dei temi predetti sia allo · stato attuale difficilmente traducibile in indicazioni program matiche, tuttavia è innegabile che esso impegni i professio nisti migliori e che includa per la vastità dei suoi interessi molte forme di sperimentalismo architettonico. Ora, non si tratta di propendere esclusivamente per que sto o quel modello ma, come s'è detto, di evitare sprechi utilizzando un'energia e un patrimonio di studi e di ricerche già in atto, e predisponendo l'utilizzazione migliore, visto il programma a lungo termine, dei progettisti di domani. In sostanza il maggiore rilievo che, a nostro avviso, può. muoversi aJ programma esaminato sta fa ciò che, concen trando l'attenzione sugli aspetti tecnologie( ed organizzativi della produzione edilizia, non riconosce accanto ad essi il 31
valore autonomo della ricerca architettonica in atto. La tecno logia e l'organizzazione non possono ovviamente sfruttare appieno ed esaurire da sole le concrete possibilità della cul tura architettonica.
a cura di MARCELLO ANGRISANI, RENATO DE FUSCO, STEFANO PACIELLO
Delibera n. 1215 dell'I febbraio 1967. C. AYMONINO, La formazione del concetto di tipologia edilizia. Cluva. Venezia 1%5, p. 19. 3 Ibidem. 4 Il prevalere nei tre cicli suddetti dei sistenù di prefabbricazione solo apparentemente contraddice la nostra affermazione, per cui l'en tità degli interventi è inversamente ,proporzionale al grado di innova zione dei sistemi costruttivi. Infatti tutti i sistemi da adottare nei cicli sono già noti e quindi estranei alla sperimentazione. s B. ZEVI, Gli operai salvano i centri storici in « L'Espresso" del 7-7-1963. 6 B. ZEvl, Non costruiramio più tuguri a peso d'oro, in • L'Espres so,. del 2<>-3-1967. 1 2
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Il metodo scientifico nella pianificazione ::-
L'aspetto più interessante degli studi condotti in Ame rica in questi ultimi anni nel campo della pianificazione ter ritoriale ci sembra essere sostanzialmente costituito dal modo nuovo con cui viene affrontato il problema della scien tificità dell'approccio ai fenomeni del territorio. Tale novità si concretizza nel tentativo di superare una fase della ricerca in cui l'interesse verso l'applicazione di metodi e tecniche di tipo scientifico era, almeno in parte, dettato da esigenze immediatamente operative o comunque riferite a realtà par ticolari o settoriali, e quindi accettato in modo acritico e non sufficientemente approfondito. Si determinava così di fatto una situazione di notevole ambiguità circa l'effettivo campo di studi, la funzione delle singole discipline, la stessa fondatezza epistemologica dei metodi e delle terminologie in uso. Il tentativo in atto sembra mirare, proprio attraverso una più attenta riflessione epistemologica e un più approfon dito esame degli sviluppi delle scienze sociali, alla verifica di metodi e tecniche. Ciò con l'obbiettivo di una loro rifonda zione, a livello sistematico e quindi anche linguistico, tale da garantirne la scientificità e da rendere quindi effettiva una più organica possibilità di relazioni e di sintesi interdisci plinari nel settore. Una delle testimonianze più significative * Questa rassegna è parte di uno studio condotto presso l'Istituto di Composizione della Facoltà di architettura di Napoli e finanziato dal C.N.R.
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di tale direzione di studi ci è offerta da una serie di articoli pubblicati sul Joumal of the American Institute of Planners dal 1960 ad oggi, tra cui in particolare il gruppo di saggi firmati da Britton Harris. Ed è appunto con particolare rife rimento a tale serie di articoli che cercheremo di enucleare alcuni dei temi più interessanti dell'attuale dibattito, temi che, come abbiamo già detto, hanno diretto riferimento con una problematica di tipo scientifico, costantemente presente, e non solo in America, negli studi sui fenomeni territoriali che sembrano così percorrere lo stesso iter che le altre scienze sociali hanno ormai quasi completamente ultimato. Britton Harris, nell'esaminare i progressi compiuti dal metodo scientifico nel fornire all'uomo strumenti efficaci per la conoscenza ed il controllo dell'ambiente in cui vive, pro cede da un triplice ordine di convinzioni. Anzitutto è in atto una generale tendenza ad applicare il metodo scientifico anche ai vecchi sistemi del pensiero umano, e, allo stesso tempo, nuovi gruppi di fenomeni diventano materia di studio della scienza. In secondo luogo, in queste aree i confini delle tesi non sperimentabili vengono costantemente ristretti. In fine, parte di questa tendenza verso nuove applicazioni del metodo scientifico si sta verificando nelle scienze sociali. 1 Tale tendenza non è priva di motivazioni oggettive, anzi è ampiamente detenninata dalla necessità di fornire solu zioni positive ai problemi nuovi, sul piano quantitativo e qualitativo, che oggi si presentano. Ed è proprio tale necessità che spinge i « responsabili delle decisioni » al rifiuto dei giu dizi semplicistici basati sul senso comune e verso un ap p.roccio più significativo e quantitativo ai problemi che si trovano a fronteggiare. È quindi proprio la particolare com plessità dei problemi del controllo dei fenomeni sociali in un periodo di rapida trasformazione e sviluppo che sta for nendo lo slancio per un reale sviluppo scientifico delle scienze sociali. 2 Uno dei nodi più delicati intorno ai quali si esercitano le scienze sociali, e quindi coloro che si occupano dei feno meni territoriali, è costituito dalla difficoltà di seguire... il 34 metodo sperimentale nel quale la maggior parte delle varia-
bili sono mantenute costanti (l'assunto ceteris paribus del l'economia) mentre un limitato insieme di possibili variabili viene manipolato. 3 Questo è un problema comune a tutte quelle scienze che gli americani chiamano non-controlled experiment (NCE) sciences, scienze che non controllano l'esperimento, come l'economia o la sociologia o l'astronomia, per le quali la possibilità di isolare in laboratorio una singola ·variabile è esclusa. Dal che deriva che in esse ci si trova di fronte a molte variabili indipendenti nella maggior parte dei casi. Variabili che, presentandosi generalmente nelle scienze sociali organizzate in una rete di interrelazioni particolar mente complessa, _tendono a variare insieme, rendendo diffi cile isolare l'effetto di ogni particolare variabile. Ne derivano così particolari difficoltà tecniche e matematiche; ... le diffi coltà determinate dall'interdipendenza di otto o dieci varia bili sociali possono essere immaginate; e possono spiegare le radicali spesso astratte semplificazioni introdotte nei mo delli del comportamento umano. 4 È evidente il particolare rilievo con cui tali problemi si presentano nello studio dei fenomeni territoriali. È ben noto infatti il numero estre,. mamente elevato di variabili che ci si trova di fronte nello studio di tali fenomeni e la particolare complessità delle loro interrelazioni e interdipendenze. E mentre in generale quan do si è in presenza di un numero elevato di variabili la difficoltà di isolare alcune di esse può a volte essere superata se è disponibile per il ricercatore un vasto numero di diverse osservazioni, ciò non si verifica nel nostro caso. Inoltre gene ralmente nello studio dello sviluppo e del controllo di vaste aree urbane il problema in questione è limitato in estensione, e la manipolazione sperimentale è sia estremamente lenta che enormemente costosa. 5 Questa difficoltà della sperimen tazione diretta è ben compresa da Harris, ed estremamente . interessante appare in tal senso la funzione che egli assegna all'uso dei modelli. La grandissima importanza dell'uso dei modelli..., deriva dal loro ruolo di sostituti dell'esperimento negli stadi iniziali della pianificazione metropolitana e di guida all'esperimento negli stadi successivi. 6 Ma per poter definire in modo corretto il concetto di
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modello, è necessario esaminare prima il concetto di teoria che, com'è noto, insieme alle generalizzazioni ipotetiche co stituisce il principio fondamentale della scienza. Sono ben chiare le ragioni per le quali in. tutta l'epistemologia mo derna, e nelle scienze sociali in particolare, si è riaffermata con forza l'importanza del ruolo della teoria nel metodo scientifico, e quindi del processo deduttivo accanto a quello induttivo. Difatti, come scrive Harris, distinguere e scegliere tra diverse forme di organizzazione dei dati osservati me diante l'induzione sarebbe un compito senza speranza. L'unica possibilità in tal senso è costituita dal fatto che le diffe renze siano ben definite a priori sulla base di una teoria che
può essere stata suggerita dall'osservazione, ma che non sca turisce automaticamente da essa. E del resto in un proce dimento scientifico l'induzione non è quasi mai iniziata senza qualche tipo di precedente teoria, per quanto elementare, che suggerisca le aree di ricerca, le variabili rilevanti e la - forma che le funzioni potrebbero assumere; d'altro canto, se il processo deduttivo non ha successo e non conduce ad una esemplificazione che confermi la teoria sulla quale è basato, proprio questo risultato in contrasto con gli assunti può essere la base per un nuovo « round of induction ». � così del tutto chiaro che anche il processo di induzione dei fenomeni osservati deve essere guidato da concetti teorici; e che inoltre la generalizzazione è il ponte attraverso il quale lo scienziato o il teorico passa dalla induzione, o osservazione della realtà, alla deduzione, o verifica delle teorie e loro ap plicazione a nuovi fenomeni. 7
Vediamo ora in particolare come può essere definito il concetto di teoria. Harris chiama teoria una asserzione gene rale circa il mondo reale, la cui formulazione implica una
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precisa affermazione circa le relazioni formali, incluse di solito le relazioni di causa e effetto. Obiettivo di tale formu lazione è l'operare una identificazione corretta tra un feno meno reale e una asserzione matematica o logica riguardante le relazioni. E conformemente a tutta la epistemologia mo derna che afferma il carattere convenzionale, di ipotesi operativa della teoria, contro ogni presunzione di « verità ogget-
tiva», Harris sostiene che in linea di principio nessuna teoria può essere dimostrata vera, ma solo dimostrata falsa; ·ovvero una teoria non ha verità, ma verosimiglianza. E. possibile individuare alcuni criteri in base ai quali valutare la validità di una teoria. I primo tra questi è costi tuito dal fatto che la teoria, se sperimentabile, dovrebbe
superare con successo l'esperimento. Questa è la base per la natura essenzialmente pratica della scienza, cioè che af ferma « verità» circa il mondo reàle; tenendo ben presente che la natura di questa «verità» non è permarzente, ma al contrario sempre in attesa di contraddizioni. La sperimenta bilità è un aspetto di una proprietà più generale delle teorie utili - la produttività o fruttuosità. Ed essa costituisce di fatto il criterio per discrirpinare le teorie dalle non teorie: come quelle costruzioni logiche, ad esempio, che forniscono solo una descrizione normativa ammonitoria di come le cose dovrebbero essere fatte, oppure una descrizione letteraria pseudo-statistica del mondo reale. Al criterio della sperimen tabilità può essere affiancato quello della semplicità; è sempre preferibile, a parità di efficacia, che una teoria si presenti col minor numero possibile di ipotesi e quindi di variabili .. Criterio questo che, a causa del gran numero di condizioni, relazioni e variabili che compaiono nelle scienze sociali, dif ficilmente si verifica nei nostri studi e spesso si trova in
conflitto con i requisiti di realisticità e sperimentabilità.• E. possibile raffrontare i criteri sottolineati da Harris con quelli che Chapin indica al fine di stabilire la validità, inte sa come attuabilità, delle teorie sulla crescita e la struttura urbana. Chapin indica in particolare quattro criteri, am pliando in tal modo il discorso, anche se le sue formulazioni necessiterebbero, almeno in qualche caso, di un ulteriore approfondimento. I criteri suddetti sono i seguenti: 1) Una teoria deve risultare dinamica per essere · utilizzabile nel
processo di strutturazione e di crescita delle città. 2) La teoria deve essere sperimentalmente verificabile... 3) La teoria deve avere logica e- coerenza interne... 4) La teoria non deve essere così astratta da non avere relazione con la realtà... 9 E. necessario sottolineare, a proposito del criterio della
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semplicità cui si è fatto cenno, che tale criterio, com'è ovvio, è una caratteristica interna della teoria e non ha nulla a che vedere con la sua comprensibilità. Infatti una asserzione teoretica sul mondo reale può non essere, almeno per il profano, un dis.egno riconoscibile del mondo reale, e la natura della corrispondenza fra la teoria e il mondo e le conseguenze della teoria possono non essere immediatamente esprimibili nel linguaggio di ogni giorno. Ciononostante il discorso sulla presunta necessità che la teoria sia facilmente e diffusamente comprensibile ritorna di frequente nelle scienze sociali. Di solito le motivazioni che si adducono pos sono essere ricondotte a due categorie. La prima si basa sulla convinzione che ogni uomo bene informato, nel suo essere oggetto delle ricerche delle scienze sociali, dovrebbe comprendere agevolmente tutte le teorie che sono dirette a definire i modi di funzionare della società, delle città, e della politica. Ciò, secondo Harris, è un'affermazione ridicola quanto quella che volesse dedurre dal fatto che siamo tutti fatti di proteine, l'illazione che tutti dovremmo comprendere a vista le teorie della biologia molecolare. La seconda moti vazione deriva dal fatto che gran parte della ricerca della scienza sociale viene condotta in modo tale che gli scienziati sono vicini agli amministratori, gli amministratori sono vi cini ai responsabili delle decisioni e i responsabili delle deci sioni... ai votanti... A causa della natura personale e norma tiva della comunicazione fra questi gruppi, ciascun anello della catena sente che egli dovrebbe conoscere tutto ciò che l'anello adiacente sta facendo. Anche tale motivazione ap pare abbastanza inconsistente e sembra essere sostanzial mente nel giusto Harris, malgrado un qualche sospetto di tecnocraticismo, nell'affermare che probabilmente quando le teorie della scienza sociale produrranno risultati effettivi come quelli della meccanica quantistica, gli amministratori, i responsabili della politica, e i votanti saranno meno inclini a porre domande e più inclini a giudicare dai risultati. Per i motivi suddetti è facile riscontrare nella prassi normale un atteggiamento critico nei confronti del lavoro 38 degli scienziati sociali e del valore delle loro teorie. Inoltre
la non corrispondenza delle teorie alle idee intuitive sulla realtà fa rivolgere spesso l'accusa di scarso realismo ai co struttori di teorie. Tale accusa implica di fatto una grosso lana distorsione del ruolo dello scienziato, che deve identifi care un genuino isomorfismo, molto frequentemente non ovvio, tra il comportamento del mondo reale ed una serie di costrutti mentali. 10 Ed è veramente scoraggiante, come scrive Schumpeter, riscontrare quanto spesso nuove strut ture concettuali siano oggetto di discredito, in virtù di un prematuro tentativo di trarre da esse applicazioni utili. 11 Abbiamo già sottolineato come il concetto di modello sia direttamente connesso con il concetto di teoria; ed ab biamo anche visto come l'interesse che gli studiosi di scienze sociali, e in particolare di pianificazione, nutrono per i mo delli derivi in gran parte dal problema della sperimentazione: siccome non possiamo costruire unicament_e a scopo speri mentale, scrive Lynch, dobbiamo accontentarci di costruire modelli e sperimentare su questi. 12 � senz'altro utile per un'esatta definizione del concetto di modello riferirsi innanzi tutto alle formulazioni della moderna epistemologia. Una teoria, scrive Geymonat, non è altro che un discorso in ultima istanza ipotetico, capace di connettere logicamente tutte le proposizioni protocollari via via accettate da una data scienza; ed è proprio grazie alle scelte in base ad essa ope rabili che si rende possibile costruire un modello dei feno meni studiati e cioè ... una costruzione ( astratta) di enti e di forze, capace di rappresentare il meccanismo di tali feno meni. Questa rappresentazione dovrà, in particolare, essere in grado di farei prevedere come gli enti anzidetti modifiche ranno, istante per istante, la loro posizione reciproca, la loro velocità, ecc., sì da rendere possibili ben determinate tra sformazioni dei fenomeni. 13 In realtà la distinzione tra teoria e modello, cosl chiara nella rigorosa formulazione di Geymonat, non appare sem pre altrettanto netta nella letteratura corrente, ed in parti colare in quella che si occupa dei problemi della pianifica zione territoriale. Ma è immediatamente possibile stabilire tra i due termini anche una distinzione empirica. Infatti, se
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il teorico ha come principali obiettivi la logica coerenza e generalità dei suoi costrutti, limitandosi a specificare il signi ficato concettuale delle sue variabili e la forma generale delle loro interrelazioni funzionali, il costruttore di modelli, in- vece, è interessato all'applicazione delle teorie ad un caso concreto, con lo scopo di produrre risultati empiricamente rilevanti da dati empiricamente fondati. 14 In sostanza, il modello può essere considerato come un progetto sperimen tale basato su una teoria. Ed è possibile individuare nel metodo scientifico almeno tre fasi in cui il teorico deve far ricorso all'uso dei modelli. Prima di tutto, nella fase indut tiva, il modello viene utilizzato come progetto sperimentale, a volte estremamente semplificato, al fine di esplorare le relazioni e fornire informazioni riguardo alla direzione dei prossimi passi trasduttivi. In secondo luogo, nella fase dedut tiva, al fine di determinare l'applicabilità della teoria ad una più vasta gamma di condizioni. Infine, usato scientificamente in un contesto di proiezioni, il modello fornirà la prova spe rimentale della consistenza della teoria e la eventuale prova induttiva della reattività del mondo reale ai mutamenti nelle condizioni. 15 L'obiettivo principale cui i modelli tendono nello studio dei fenomeni territoriali è costituito appunto dal la « simulazione » di tali fenomeni. Letteralmente questa pa rola significa imitazione, e la maggior parte delle simulazioni sono imitazioni dei processi del mondo reale sia mediante un'analogia meccanica che mediante il funzionamento del processo di un calcolatore. 16 In realtà, il concetto di simulazione ha assunto in questi ultimi anni un significato più tecnico, riferito ad un parti colare tipo di modelli stocastici. Volendo comunque rima nere nell'ambito del significato su accennato, possiamo dire in totale che un modello simulativo deline� un'ipotesi sulla struttura della realtà che ci permette, nella misura in cui si presenti sufficientemente approssimata, di formulare legit time asserzioni sul suo comportamento, e, nel suo essere comunque un'astrazione semplificata degli elementi fonda mentali di essa, di essere manipolata con gli strumenti che 40 possediamo. La realtà cui si riferiscono i modelli di planning
è scomponibile in tre variabili principali e nelle loro inter relazioni. Esse sono: (a) la localizzazione delle attività...;
(b) i canali di movimento e di comunicazione che connet tono queste attività .. ,i (c) l'intero schema del comportamento umano e delle relazioni sociali (escluse le decisioni politiche) che determina ed è determinato dalle due precedenti variabili. 17 Nel loro riferirsi a queste variabili, i modelli tendono oggi a non porsi più come costrutti logico-matematici glo bali, effettuanti asserzioni sui vasti e complessi fenomeni ter ritoriali nella loro interezza, ma a costituirsi come momenti di una strategia che mira a dedurre i modelli globali da una serie di sottomodelli, tra loro intercomunicanti ma ciascuno co struito su entità più circoscrivibili per dimensione e com plessità. Esistono numerose classificazioni dei modelli, in funzione dei diversi punti di vista e dei diversi obiettivi cui si tende con il loro uso. Un approfondimento di tali classi ficazioni sarebbe senz'altro utile ma presupporrebbe un più ampio discorso sulle funzioni da esse assolte nei processo della pianificazione. Basterà quindi per ora ricordare la classificazione in modelli iconici, analogici e simbolici, pro posta nell'ambito della ricerca operativa; e l'altra classifica zione, proposta da Loewenstein, in micro e macromodelli, ·modelli statici e dinamici, descrittivi e comportamentali, pre visionali e prescrittivi, deterministici e stocastici, di simula zione 18• Esiste, infine, un'ulteriore classificazione dei modelli in descrittivi, previsionali e di « planning », proposta . da Lowry, sulla quale ci sembra utile brevemente soffermarci. Nell'impostazione di un modello descrittivo si tende ali�. rappresentazione degli aspetti fondamentali di un ambiente urbano o di un processo di trasformazione sul territorio.
Dei buoni modelli descrittivi hanno valore scientifico perché rivelano molto circa la struttura dell'ambiente urbano, ridu rendo l'apparente complessità del mondo osservato ad un coerente e rigoroso linguaggio di relazioni matematiche; ciò nonostante tali modelli non soddisfano direttamente la ri chiesta del planner di informazione circa il futuro, e neppure lo aiutano a scegliere tra programmi alternativi. 19 Sono mo- · delli descrittivi, ad esempio, sia quello classico del Von Thil-
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nen, basato sulla teoria della rendita differenziale di posi zione del suolo, sia quello del Christaller, che studia la di stribuzione spaziale delle città in funzione dei beni e dei servizi che producono. 20 Questi modelli furono concepiti più che altro come strumenti di indagine sullo stato delle rela zfoni spaziali tra gli insediamenti e tra le attività produttrici, relazioni formatesi in condizioni di libera iniziativa dell'in dividuo. 21 Sono ugualmente descrittivi, secondo alcuni, quei
modelli, utilizzati nella geografia urbana e nell'economia spa ziale, di tipo gravitazionale, come quello di Stewart sulla di stribuzione spaziale della popolazione o di Reilly sulla distri buzione dei centri del commercio al minuto. 22 Al secondo gruppo appartengono i modelli previsionali. Tali modelli co stituiscono una fase più impegnativa della ricerca scientifica. Ricerca che, come osserva Hempel, nelle sue varie branche non si limita a descrivere singoli fenomeni del mondo del l'esperienza, ma tenta di scoprire delle regolarità nel flusso degli eventi e mira, quindi, a enucleare leggi generali utiliz zabili a scopo di previsione, postvisione, e di spiegazione. 23 Il modello previsionale deve specificare una sequenza cau sale, in modo che, se si riesce a postulare la direzione della causalità, la conoscenza del valore futuro della « causa » mette in ·grado di predire il valore futuro dell'« effetto».
Risulta chiaro come in questa definizione il concetto di pre visione si differenzi da quello di proiezione; mentre quest'ul timo infatti è legato alla estrapolazione delle tendenze in atto, il concetto di previsione si riferisce alla comprensione delle cause delle possibili modificazioni del trend. Come caso specifico, la previsione « condizionale » presenta un interesse indubbiamente particolare per il pianificatore. Essa infatti mira a fornire risposte circa lo stato del mondo conseguente ad un qualche atto da lui contemplato, o conseguente ad un qualche possibile ma incerto evento fuori dal suo con trollo. Infine, la terza categoria è costituita dai modelli di
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planning. Questi, inglobando necessariamente la previsione condizionale, permettono inoltre. la valutazione dei risultati in funzione degli obiettivi del pianificatore. Essi si articolano in quattro momenti fondamentali: la specificazione dei pro-
grammi o azioni alternative...; la previsione delle conseguenze della scelta di ciascuna alternativa...; la valutazione di queste conseguenze in funzione del loro grado di raggiungimento degli obiettivi; la scelta delle alternative migliori da questo punto di vista. 24 La suddivisione dei modelli in descrittivi, previsionali e di planning è operata· da Lowry in funzione della definizione di modello cui egli fa riferimento; definizione che presup pone una formulazione in termini matematici e finalizzata all'uso del calcolatore elettronico. È necessario specificare che non sempre i modelli rintracciabili nella letteratura sono di tale tipo. Molti dei modelli noti sono di tipo geometrico, come quelli classici di Von Thiinen e del Christaller; basati su analogie meccaniche, come quelli gravitazionali; o elet tromagnetiche, come quello della « carta vetrata » di Hoover, in cui i granelli elettrizzati che vengono proiettati contro il supporto adesivo tendono a disporsi come centri di mercato in condizioni di competizione 25; o infine dalla formulazione matematica così semplice da prescindere dall'impiego del calcolatore stesso. Certo è però che con l'imporsi dell'uso del calcolatore, dovuto come vedremo a necessità oggettive, il costrutto matematico del modello è di enorme importanza ed è quindi utile fornire una precisa definizione. Il costrutto matematico del modello consiste di variabili « ordinate » incorporate in formule matematiche ( relazioni strutturali), di costanti numeriche ( parametri) e di un me todo di calcolo programmato per il calcolatore elettronico (algoritmo). Normalmente le variabili sono distinte in endo gene, i cui valori sono determinati all'interno del modello, ed in esogene, i cui valori sono determinati esternamente e 1orniti al modello. 26 Il diffondersi dell'uso del calcolatore nella pianificazione territoriale è dovuto al fatto che la maggior parte dei problemi di pianificazione... implicano... delle quantità molto grandi di informazioni particolareggiate riguardanti il suolo, gli edifici, i servizi pubblici e le attività. Questa informazione deve essere manipolata e sottoposta a processo rapidamente, accuratamente, ed in modo coerente. r, Alla scala metropolitana, oggi, l'uso del calcolatore 43
risulta assolutamente indispensabile, se si considera che il numero delle interrelazioni significative tra le diverse atti vità, e tra queste e il territorio è veramente astronomico. La prima fase in cui il calcolatore viene impiegato è costi• tuita dalla raccolta dei dati; in tale operazione la « memoria » del computer interviene in vantaggiosa sostituzione dei tradi zionali schedari, il cui uso richiedeva normalmente uno sforzo e una quantità di tempo notevolmente maggiori. L'uso del calcolatore per l'immagazzinamento dei dati è una pratica ormai largamente diffusa tra i pianificatori americani. Oggi il suo impiego si sta per altro principalmente sviluppando nelle operazioni di simulazione dei processi territoriali. In questa direzione, l'uso dei modelli matematici programmati per il calcolatore può essere accompagnato da alcuni equi voci che è senz'altro utile dissipare. Da un lato, l'awento della logica simbolica e dei modelli, scrive Chapin Jr., è visto da qualcuno come una fantasmagoria onirica, o un sistema di mistificazione per mezzo di un linguaggio esotico e di sfoggio di erudizione matematica. In realtà le difficoltà principali non derivano dall'uso dei modelli, anche se vi può essere qualche eccesso al riguardo, quanto dal fatto che essi sono spesso concepiti in modo arbitrario dai cacciatori di formule, che ne fanno uso senza preoccuparsi di determi nare le condizioni che ne qualificano l'impiego nelle varie circostanze. 28 Dall'altro lato, la complessità dei dati che il calcolatore è in grado di « processare » sgomenta in un certo qual modo i pianificatori, che talvolta sembrano giungere, attraverso una specie di animismo, a fornire ad esso attributi umani come anima e personalità. Io - sostiene Harris respingo questo animismo e sostengo che il calcolatore può essere il servo del pianificatore e l'estensione della sua per sonalità. Ugualmente errata è la convinzione che le grandi. possibilità offerte dal computer possano a lungo andare so stituire la funzione del pianificatore. Il concetto errato - os serva Harris - è basato sull'incapacità di discriminare tra gli usi del calcolatore e l'idea alquanto ingenua che l'infor mazione sia l'equivalente della conoscenza o dell'intelligenza.%} 44 Il problema quindi dell'uso dei modelli matematici pro-
gramrriati per il computer è da intendersi con estrema at tenzione e va valutato in funzione delle reali possibilità che il calcolatore offre di migliorare là capacità del pianificatore
di determinare un indirizza valido e programmi efficaci. Non si tratta affatto di chiedersi se i computers siano più saggi dei loro padroni, si tratta solo di rendersi conto che
essi adempiono i compiti più monotoni e ripetitivi ad alta velocità e con assoluta precisione meccanica. � chiaro del resto che il pianificatore è in grado di utilizzare queste pos-· sibilità solo nella misura in cui è capace di individuare schemi temporali ripetitivi nei processi della vita urbana, di stabilire relazioni spaziali nel caleidoscopio della forma ur bana. Elementi di tal tipo, una volta individuati, possono appunto essere utilizzati per la formulazione di un modello per il computer. Essi, ripetuti molte volte, possono essere combinati e manipolati dal calcolatore (in funzione di regole specificate dal costruttore del modello) al fine di determi nare schemi... della forma e dei processi urbani che asso migliano a quelli del mondo reale. .JO Infine, un modello può fornire la base per una misurazione e valutazione sistema- . tica dei costi e benefici connessi a determinate scelte alter native che il politico si trovi ad esaminare, co.qtribuendo quindi ad introdurre più rigore nel suo processo decisio nale. 31 Per concludere, non è necessario specificare che i temi fin qui affrontati non esauriscono affatto l'ampio e approfon dito dibattito in corso negli Stati Uniti in merito alla piani ficazione territoriale, cui si è fatto riferimento all'inizio. Può essere solo utile ricordare come lo svolgimento di questo dibattito non sia ormai più limitato all'interno della cultura americana, ma abbia negli ultimi tempi trovato echi in molti altri paesi ed anche nella situazione italiana. L'evoluzione avutasi in questi ultimi anni ha infatti anche in Italia fatto definitivamente tramontare l'era in cui si considerava l'urba nistica... una parte della politica 32 o in cui si riteneva che il buon senso e la conoscenza delle situazioni di fatto fossero gli elementi fondamentali per la redazione di un piano (at_
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teggiamenti di tal tipo, anche se spesso ancora riscontrabili, fanno ormai oggettivamente parte di sacche di sottosviluppo culturale e tendono sempre più ad essere riconosciuti come folkloristici). Ed accanto allo sviluppo crescente dell'interesse per i problemi della pianificazione, conseguente alle mutate condizioni socio-economiche e politiche, il centro del dibat tito si è andato appunto spostando anche da noi sulle pos sibilità di fondare in termini scientifici gli studi sui problemi del territorio e di derivarne tecniche razionali di intervento. Il che rende appunto obbligato il tema della problematica scientifica in ogni accenno che si voglia fare alla fase attuale· della cultura urbanistica italiana: anche se il dibattito cui si fa riferimento appaia caratterizzato da elementi che non sempre inducono all'ottimismo. L'enorme diffusione, infatti, che il termine «scienza» ha avuto in questo settore negli ultimi anni, anche se spesso in funzione giustamente polemica contro le improvvisazioni e le approssimazioni del passato, appare spesso ancora testimonianza di un tipo di problema tica tutta rivolta alle affermazioni di principio e mai in grado di tradursi in studi e ricerche concrete, tutta «letteraria» e costituzionalmente incapace di verificarsi sul «campo». E in tal senso tale diffusione sembra rimanere all'interno di uno svil1:1ppo di quel vocabolario esoterico di cui tanto sem brano compiacersi gli architetti e gli urbanisti italiani, e di cui tanti esempi abbiamo avuto nel più recente passato. :e. senz'altro vero che tale situazione è oggettivamente favorita dalle enormi deficienze delle università e dalla carenza di istituti di ricerca: ma rimane il fatto, se si vuole paradossale, che appare più intenso lo sforzo dedicato da alcuni settori · a negare le possibilità di un approccio scientifico ai problemi territoriali che quello impiegato per verificarne concreta-· mente l'effettiva utilità. Sforzo polemico che vede accomu nate le posizioni più diverse e nei riguardi del quale ci sembra utile soffermarci, anche se non sarà qui possibile altro che accennarvi molto brevemente. Tali posizioni sem brano svilupparsi sostanzialmente secondo tre filoni. II primo di essi si fonda sull'affermazione della illegitdei tentativi di trasferire nella nostra realtà studi eiatimità 46
borati in situazioni spesso profondamente diverse. � evidente la fondatezza di tale posizione, nella misura in cui la si interpreti come una necessaria puntualizzazione della necessità di evitare meccaniche identificazioni tra realtà in fasi differenti di sviluppo: identificazioni capaci forse di promuovere suggestive intuizioni sul piano delle proposte formali, ma ovviamente elusive dei termini reali del problema sul piano scientifico. Spesso però da tale riflessione, pure esatta nella sostanza, si ritiene indebitamente di poter derivare una svalutazione globale delle ricerche compiute e degli studi in via di sviluppo anche in Italia. Indebitamente in primo luogo perché gli assertori di tali posizioni sembrano ignorare o volutamente sottovalutare il fatto che molti dei modelli e delle generalizzazioni in discussione non sono solo il frutto dello studio di una realtà specifica, quale ad es. quella degli U.S.A., ma hanno invece trovato verifiche in situazioni molto diverse. E valgano per tutti gli esempi del l'ipotesi delle zone concentriche di E. W. Burgess, formulata nel 1925 e da allora sottoposta a significative contestazioni, ma che, almeno come modello ideale, ha visto riconfermata la sua validità da parte di studiosi europei, che hanno stu
diato appositamente città europee dal punto di vista del loro sviluppo storico, della loro densità di suolo edificato e del movimento della loro popolazione; 33 tra questi ad esempio l'inglese Dick.inson e lo svedese Ollson. E « le due più note interessanti generalizzazioni della urban theory elaborate dagli studiosi della Regional Science », e precisamente la rank-size relationship per serie ed ordini di città e la inverse-. distance relationship per la densità di popolazione delle aree urbanizzate; entrambe generalizzazioni formulate come regole empiriche circa una quindicina d'anni fa, la prima da G. K. Zipf e la seconda da Colin Clark, e che nel corso di quest'ul timo decennio... sono state sviluppate e sempre più avvicinate allo status di modelli scientifici, con una accurata speci ficazione del loro ambito di validità. 34 Indebitamente inoltre perché comunque diverso è sostenere la insussistenza concettuale ed empirica di un gruppo di teorie e di ricerche dal l'affermare la non ancora sperimentata verifica di esse nella
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nostra realtà. Cosa quest'ultima che costituisce appunto il compito non eludibile che spetta agli studiosi italiani del settore, così come quello di stabilirne gli eventuali scarti e le eventuali riformulazioni. Il secondo dei filoni su accennati è costituito da quel com plesso di critiche che affermano l'impossibilità di parlare di scienza per discipline che si presentano con un così ele vato grado di complessità. Complessità, derivante sia dal l'enorme numero di variabili in gioco (che renderebbe vani i tentativi di stabilire leggi generali e in particolare relazioni di tipo causale tra i fenomeni allo studio) sia dall'incidenza che sulle ricerche avrebbero le scelte di valore dello studioso, che renderebbe di pratica inutilità i modelli già formulati o in via di formulazione, dato l'elevato livello di astrazione cui si è costretti ad operare. Tali argomenti indubbiamente sottolineano problemi reali, di non facile soluzione, cui sa rebbe utile e necessario dedicare maggiore spazio di quanto normalmente si faccia. Purtroppo però le conclusioni che troppo spesso da essi si ritiene di trarre appaiono assoluta mente immotivate e non facilitano alcun progresso del di battito. Ciò perché gli argomenti addotti rimangono in ge nere al livello della pura enunciazione, eludendo la sostanza reale del problema, costituita dal fatto che questi temi hanno travagliato le cosiddette scienze sociali dall'800 ad oggi ed hanno trovato nella moderna epistemologia risposte, pur se non sempre definitive, comunque valide e soprattutto ope rative. Ed è questo un discorso sul quale varrà la pena di ritornare in una futura occasione. L'ultimo dei filoni critici cui si faceva riferimento è costituito da quelle posizioni per così dire « ideologiche » che · sottolineano il carattere « mistificato », nient'affatto neutrale ma anzi tipicamente intriso di ideologia neocapitalistica, che ricerche di questo genere presentano. Anche queste critiche sottolineano un problema la cui realtà è fuori discussione: e non sono necessarie del resto ricerche approfondite per rintracciare a volte matrici ideologiche di tal tipo alla base di ricerche americane o francesi sui problemi del territorio. 48 Ma deve essere ben chiaro come queste posizioni rischino,
almeno nei riguardi dei settori più avveduti, di non aggiun gere alcun elemento di novità, nella misura in cui tutta l'epistemologia contemporanea e in particolare da Max Weber in poi, ha respinto la concezione di una presunta neutra lità della scienza: problema questo che ci rinvia a quel tema dei valori cui abbiamo già fatto cenno. E come inoltre il sospetto di inquinamento ideologico sia assolutamente in sufficiente per affermare la nullità concettuale ed empirica di una disciplina. E ciò pena l'assunzione di una posizione, che, anche se forse inizialmente solo intrisa di radicalismo moralistico o di sinistrismo tendenzialmente altrettanto mo ralistico, rischia di condurre o al recupero di una idealistica svalutazione della scienza e dell'altrettanto idealistica frat tura fra discipline storico-sociali e scienze_ fisiche, o al recu pero di aspetti tipici dello stalinismo e ormai assolutamente inconcepibili. Aspetti come quello relativo all'espulsione degli studi econometrici dall'Unione Sovietica intorno al 1930; espulsione decretata in base alla constatazione che la genesi e lo sviluppo dell'econometrica nei paesi occidentali, come scrive O. Lange, ... erano collegati con le esigenze di politica
economica sia dello stato capitalistico, sia delle grandi società private. Dal che si derivò che la ricerca econometrica, svi
luppatasi in Unione Sovietica nel periodo della N.E.P. dal 1922 al 1928, fosse da considerarsi superflua e persino dan nosa una volta superato quel periodo, in quanto implicante
una esaltazione dei processi economici incontrollati ed un freno all'industrializzazione socialista del paese. Assurda ri
nuncia, parallela a quelle avvenute in. molti altri settori della scienza e della cultura, che poté essere superata solo in tempi relativamente recenti quando, come ancora scrive Lange, vi è stata... una considerevole ripresa di interesse per le que stioni econometriche nell'Unione Sovietica, e ci si è resi conto, ad esempio in Polonia, che tentativi di far uso della pro
grammazione econometrica nella pianificazione... potrebbero contribuirè al suo perfezionamento.35
Esiste infine un ultimo filone critico in merito ai pro blemi in questione, il quale però si colloca in modo profon damente diverso rispetto alle posizioni su accennate. Tale
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filone, e lo accantoneremo subito visto che si fonda su que stioni di metodo e che con esso sostanzialmente concordiamo, è rivolto à quella facilooèria e a quella improvvisazione ti pici della cultura italiana ai quali abbiamo già fatto cenno; tende a limitare gli usi impropri del termine di scienza; sottolinea in totale come non si svolga attività scientifica con le intenzioni ma solo col lavoro metodico . ed approfondito, con le ricerche puntuali e verificate sul campo, con l'aggior namento inteso non come strumento di terrorismo culturale nelle università ma ·come necessaria acquisizione dei più elevati livelli di ricerca nel settore. Ci sembra in totale che da questa serie di considerazioni possa enuclearsi un impor tante gruppo di temi da affrontare e discutere: e ci sembra inoltre che tali temi possano e debbano essere utilmente discussi non tanto in astratto, cosa questa che nell'attuale fase di sviluppo del dibattito potrebbe sembrare elusiva, quanto con preciso riferimento alla riflessione sugli studi teorici ed operativi che si vanno sviluppando all'estero, ma ora anche in Italia. Ciò nella piena consapevolezza dell'enor me importanza che oggi assume un attento lavoro di studio e divulgazione di queste ricerche. Lavoro da compiersi, al fine di pervenire a sintesi sempre più mature, mediante uno sforzo . di analisi di tutte le discipline che si occupano di fenomeni territoriali. Con l'obiettivo, come scrive Giannotti nell'avver tenza al suo libro che fornisce un interessante panorama delle teorie ecologiche, di contribuire ad allargare in · qualche misura ed a finalizzare la conoscenza e l'interesse per queste discipline nel quadro di un razionale impiego delle scienze sociali ai fini della programmazione. 36 Lavoro questo di cui si riconosce sempre più l'utilità malgrado le vecchie accuse di scolasticismo ·ed accademismo. Come ben rileva Archibugi nell'introduzione al libro di Giannotti già citato, in cui confuta l'impr�ssione di una origine scolastica ed accademica del libro quale potrebbe derivare da una let tura superficiale. Libro invece nato da esigenze pratiche ed
· SO
operative nel quadro delle attività del Centro di Studi e piani ficazione da lui diretto; in questo quadro infatti si è sentito ad un certo momento il bisogno di conoscere lo sviluppo
che si è avuto nel mondo, sul piano culturale, ed in partico lare nella cultura tecnica anglosassone, intorno ai criteri ed alle tecniche di determinazione di « confini » territoriali, allo scopo di giungere alla delimitazione di aree, zone o compren sori nella realtà geografica e territoriale italiana. 37 a cura di
ATTILIO BELLI
e
GIOVANNI PASCA RAYMONDI
I B. HARRIS, The uses of thevry in the simulation qf urban pheno mena, in « Journal of the American Institute of Planners », sett. 1966,
voi. XXXII, n. 5.
Ibidem. Ibidem. 4 M. LIPTON, Concepts, methods and values, in A guide to the socia/ sciences, a cura di N. Mackenzie, Weidenfcld & Nicolson, Londra 196, p. 260. 5 B. H,IRRIS, Op. cit. 6 B. HARRIS, Pian or Projection - An examination of the use of models in planning, in • Journal of the A.I.P. •, nov. 1960, voi. XXVI , p. 4. 7 B. H,IRRIS, The uses of theory, ecc., cit. s Ibidem. 9 F. S. CHAPIN JR., Selected theories qf urban growth and structure, 2 3
in « Joumal of the A.1.P. •• feb. 1964, voi. XXX, n: 1. 10 B. HARRis, The uses of theory ecc., cit. 11 J. A. ScnuMPE:Ir:R, Indagine economica e aspirazioni sociali, in Economisti moderni, a cura di F. Caffè, Garzanti, Milano 1962 , p. 254. 12 K. LYNCH, La struttura della metropoli, in La . metropoli del futuro, a cura di L. Rodwin, Masilio, Vicenza 1964, p. 98. JJ L. GEYMONAT, Teoria, in Enciclopedia della scienza e della tec nica, Mondadori, Milano 1963, voi. Il, p. 796. 14 I. S. LowRY A short course in model design, in • Journal of the A.I.P. », mag. 1965, voi. XXXI, n. 2. ts B. HARRIS, The uses of theory ecc., cit. 16 B. H,IRRIS, New tools for planning - A gloss on lacklustre tenns, in « Journal of the A.I.P. •• mag 1965, voi. XXX, n. 2. 11 B. HARRIS, Pian or Projection ecc., cit. 18 CHuRCHMAN, AcKOFF and ARNOFF, Jntroduction to Operations Research, J. Wiley & Sons, 1957. Cfr. anche: L. K. Lo!!WENSTEIN, On the nature of analytical models, in « Urban Studies » giugno 1966, voi. 3°, n. 2.
I. s. LowRY, Op. cit. Cfr. J. H. VoN THONEN, Der lnsolierte Staat in Beziehung auf Landwirtschaft und Nationalekonomie, Hamburg 1826; cfr. anche: W. CHRisrAllER, Die zentralen Orte in Suddeutschland, Jena 1933. 21 G. ScrMEMJ, Moderni strumenti per l'analisi dei sistemi urbani e territoriali, in Atti del· X Convegno dell'/NU, Trieste 14-16 ottobre 1965. 22Cfr. J. Q. STl!WART, Empirica/ Mathematical Rules concerning the Distribulion and Equilibrium of Population, in • The Geographical Review », voi. 48, 1958; cfr. anche: W. J. Rl!IU.Y, Methods for the St11dy of Retail Relationships, in • University of Texas Bulletin 1929, n. 2994. 19
20
Sl
23 C. G. HEMPEL, La formazione dei concetti e delle teorie nella scienza empirica, Feltrinelli, Milano 1961, p. 99. 24 I. S. LOWRY, Op. cit. 25 G. Scnvl.fu\ll, Op. cit. 26 I. s. LoWRY, Op. Cit. 27 B. HARRIS, New tools for planning ecc., cit. 2B S. CIIAPIN JR., cit. in G. SCIMEMI, op. cit. 29 B. HARR1s, New tools for planning ecc., cit. 30 I. S. LoWRY, Op. CĂ&#x152;l. 31 L. K. LoEWENSTEIN, On the nature of analytical models, cit. 32 L. BENEVOLO, Le origini dell'urbanistica moderna, Bari, Laterza 1963, p. 10. 33 G. GIANNOITI, L'analisi ecologica, Boringhieri, Torino 1966, p. 100. 34 G. GIANNOTTI, Op. cit., p. 114. 35 O. l.ANGE, L'oggetto degli studi econometrici, in Economisti moderni, cit., pp. 173, 177 e 178. 36 G. GIANNOTII, Op. cit., p. 5. 37 F. ARCHIBUGI, L'analisi ecologica per la delimitazione di aree di programmazione, introduzione a L'analisi ecologica, cit., p. 11.
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Su qualche mostra dell'estate italiana GIULIA VERONESI
Il tempo dell'immagine, lo spazio dell'immagine, le tecni che dell'immagine: l'accento batte polemicamente sull'imma gine, questa estate, nelle mostre più accese fra le molte e varie che la provincia dell'Italia centrale ha messo � punto, con un impegno e un'intelligenza di cui ci si deve, indipen dentemente da ogni eventuale riserva, rallegrare: Ancona, Fo ligno, Francavilla, San Marino, San Benedetto del Tronto.. · e non sono tutte; senza contare Bologna, e senza contare le città più interessate all'architettura e all'urbanistica, come Lucca o Urbino. Le mostre, s'intende, non raggiungono tutte il medesimo ·livello, ma tutte sono dedicate all'arte d'oggi, . con un'atten zione alla sua problematica e ai suoi fatti, che conferisce all'insieme delle manifestazioni, e in particolare a qualcuna singolarmente indicativa, un'importanza notevole: come quel la di San Marino, ad esempio, con il suo convegno di critici che ad ogni Biennale fa testo; o quella del Premio Marche di Ancona, che alimenta una giovane ma esemplare galleria . d'arte contemporanea, (si pensi che Milano non possiede una galleria d'arte contemporanea, né, ciò ch'è più grave, se ne preoccupa), e che comprende nel proprio ambito mostre particolari, sempre organizzate da Alfredo Trifogli. Quest'anno, si tratta della mostra Arte e critica oggi in Italia, intesa 53
(secondo una formula inedita e, certo, perfettibile) a presen tare pittori che un gruppo di critici ha segnalati come i più interessanti per l'attività svolta e le ricerche compiute du rante gli ultimi cinque anni. I pittori sono: Getulio Alviani, Richard Antohi, Rodolfo Aricò, Guido Biasi, Arturo Carmassi, Carlo Ciussi, Piero Dorazio, Pietro Gentili, Guido La Regina, Enzo Mari, Giorgio Dario Paolucci, Achille Perilli, Concetto Pozzati, Tino Vaglieri, ai quali è doveroso aggiungere Mo reni, Music, Ferroni e Enrico Castellani, segnalati per quanto forzatamente assenti. Anche il Premio :fylarche 1967 è stato as·segnato a un gio vane artista, Virginio Rossi di Fano, impegnato in modo ·affatto personale, con sicura intelligenza e con sicuro do minio della tecnica, che non prevarica mai sulla visione e resta funzione del linguaggio del pittore, anzi del suo stile, sebbene si tratti di una « nuova tecnica » e di una « nuova visione » (tanto per adeguare le nostre indicazioni alla termi nologia corrente, più_ o meno critica), di incontestabile per quanto controllato ardimento; e su questa linea spregiudi cata (relativamente al fatto che Ancona non è Parigi o New York) sono stati assegnati in generale i premi minori. San Benedetto del Tronto è giunta quest'anno, a sua volta, alla settima edizione della sua Biennale. d'Arte con temporanea, della 9uale Luciano Marucci è l'animatore. De dicata alla pittura e alla grafica nelle « tendenze d'oggi », il suo carattere, internazionale nel settore della grafica, ne qua lifica ad alto livello la funzione informativa, d'intento chiari� ficatore in un « confronto di tendenze e di forze stimolanti » attuato « lungo le direttrici in cui oggi si muove l'arte vi siva». Dove, nell'estate 1967, si sarebbero potute vedere riu nite, in Italia, opere (fra l'altro, notevoli per se stesse) di Marcel Duchamp e di René Magritte, di Man Ray e di Robert Rauschenberg, di Vasarely e di Sutherland, di Soto e di Antes, accanto a una vivace rassegna dei giovani italiani più violentemente presenti nell'attualità polemica e sperimen tale, da Castellani a Schifano, da Tadini a Del Pezzo, da Ge tulio Alviani a Mari, a Bortoluzzi? Raffinata e di grande 54 interesse la rara sezione dedicata, nella grafica, · a cinque
« mostre omaggio », di due sale ciascuna, per Horst Antes, Enrico Baj, Alfredo Lam, Giuseppe Guerreschi, Luigi Vero-. nesi, cinque artisti assai noti anche per la loro attività di disegnatori o di incisori. Ma l'attività polemica, l'impegno problematico assunto a ragione e a scopo della mostra, bisogna cercarli - oltre che a San Marino, come si sa - a Foligno e a Bologna, in mostre di cui l'estremismo antagonista, esplicito perfino nel tema: Lo spazio dell'immagine a Foligno (mostra nazionale); · Il tempo dell'immagine a Bologna (mostra internazionale), è in sommo grado stimolante, anche perché due gruppi di critici sono intervenuti a giustificarne, secondo le due op poste prospettive, le ragioni: Franco Solmi con un lungo saggio, Gérald Gassiot-Talabot, Edward Lucie-Smith, a- Bo logna; Umbro Apollonio, G. C. Argan, Palma Bucarelli, Mau rizio Calvesi, Germano Celant, Giorgio De Marchis, Gillo Dorfles, Christopher Finch, Udo Kultermann, Giuseppe Mar chiori, Lara Vinca Masini a Foligno; e questo tien luogo di un convegno. Ent_rambe le mostre propongono in modo diverso la sto ricità dell'arte contemporanea: a Foligno, con un ricupero dell'immagine ad un'assoluta astrazione spaziale come suo «luogo», cui è informata l'intera mostra, costituita da am bienti e non da opere singole; a Bologna, con un'immersione a capofitto in un « tempo » eminentemente umano, cioè nella storia assunta a condizione di un dato « essere » dell'imma gine: assunto che potrebbe però rovesciarsi, se la storia è immanenza e quindi, rispetto anche all'immagine; risultato più che condizione. Basta la presenza di Curt Stenvert (l'au striaco del quale tutti ricordano la provocatoria sala vene ziana) a indicare il carattere dell'intera manifestazione, che, come la precedente organizzata pure da Solmi a Bologna, si propone quale « contestazione del presente »: e, si direbbe, proprio del presente esaltato a Foligno nella suggestiva astra zione � con qualche soffio di una vaga, elegante fantascien za - dei valori spaziali. I nomi di Alleyn Boschi, D'H_ aese, Gnoli, Green, Henri, Jardiel, Klapheck, Rieti, Genoves, e della 1-J,owarth (fra gli altri) non lasciano dubbi. 55
� del massimo interesse, per il critico, osservare come queste due mostre estremiste rappresentino, tutto sommato, non tanto l'esasperazione, quanto la « sistemazione » stori cistica, sicuramente involontaria, di momenti culturali che negli anni venti hanno costituito una lacerazione rivoluzio naria nel contesto culturale europeo, con opere e ricerche e teorie inevitabilmente sperimentali sul pìano estetico, ecce zionali e premonitrici sul piano espressivo, contenutistico. Se alle esperienze e alla poetica della Bauhaus e dei costrut tivisti va riferita nella sua totalità la mostra di Foligno, quella di Bologna discende direttamente dai precedenti espressionisti e surrealisti, nei loro contenuti, nei loro signi ficati voluti e in quelli lasciati affiorare dall'inconscio; e, ovviamente, nelle loro forme: anche se un pittore della forza di un Munch, di un Nolde, di un Max Ernst a Bologna non c'è, pur essendovi egual violenza della protesta, forse un po' troppo didascalica, di Stenvert, e in quella di qualche In glese e di qualche Spagnuolo, a cominciare da Genoves. I problemi dell'espressione attuale, per qùanto siano posti, come si è detto, in · forma antagonistica nelle due mostre, si confondono tuttavia, trattandosi in realtà di un solo e unico problema, squisitamente storicistico. Comunque, la mostra di Foligno, mettendo a fuoco il problema dello spazio, ne propone una soluzione formalistica quintessen ziata: segnaleremo l'interesse, anzi - scusate la parola - la bellezza, l'incanto di ambiente come. quello di una bianca astrazione assoluta, ritmata in una fine modulazione spaziale
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e chiaroscurale, di Enrico Castellani, o come l'immensa scac chiera d'acqua viva - acqua vera, verdazzurra e mobile di Pino Pascali; senza dimenticare i dolci incubi color indaco di Agostino Bonalumi, e la provocatoria ombra da cabaret du néant . dell'ambiente nero-inferno con 'qualche barlume fosforescente cre�to già nel 1949 da Lucio Fontana, noto da allora e discusso. Getulio Alviani, Alberto Biasi, Davide Boriani, Mario Ceroli, Luciano Fabro, Tano Festa, Pietro Gi lardi, Gino Marotta, Eliseo Mattiacci, Romano Notari, Miche langelo Pistoletto, Paolo Scheggi, il gruppo MID, il gruppo ENNE, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi hanno elaborato
gli altri ambienti, in un modo così concorde di « intelli- . genza » dello spazio, che alla mostra ha conferito una rara unità, uno stile; e scusate anche quest'altra parola. Né le sculture di Ettore Colla, popolando il bel cortile del palazzo folignate, rompono l'armonia. Di questa mostra ragionano i critici nel catalogo, sotto lineandone in generale, con i più vari argomenti, un intento anti-razionalista, che sarebbe il suo marchio di attualità, e che Calvesi, anche con esempi un po' capziosi, identifica con un « ricupero. di strutture primarie » e addirittura di miti, che il razionalismo avrebbe inceneriti (ma come si concilia questa accusa di colpevole rigore nella poetica del razionalismo, con l'accusa ormai corrente d'essere stato il razionalismo, d'altra parte, profetico, dunque· utopistico, dunque irrazionale?). In ogni modo, al di là delle pagine e delle parole, le · opere sono fatti; e, questi soli considerando anzitutto, non possiamo non . trovarci d'accordo con Christopher Finch quando afferma che « la soluzione spaziale non è di per sé sufficiente », cioè non basta se è fine a se stessa; e con Lara Vinca Masini quando lascia intendere che rarchitettura abbia già provveduto da un pezzo a creare « lo spazio dell'imma gine » secondo la visione attuale. E, bisogna aggiungere, proprio quell'architettura cosiddetta razionale, che sin dagli anni trenta e ancor prima, con le mostre ordinate da Gro pius, Breuer, Moholy Nagy, Bayer, Schmidt (valga per ·tutte la straordinaria Mostra dei materiali non ferrosi, del 1934), e poi via via con quelle di Max Bill (per esempio alla VI Trien nale milanese della sezione della Svizzera), di Luciano Bal dessari (alla Fiera di Milano nel padiglione Breda costruito in forma di un'immensa coclea praticabile), di Alvar Aalto (nei suoi memorabili allestimenti di Parigi e di New York), hanno creato quello che oggi si chiama « lo spazio dell'immagine ». · Senza dimenticare il gruppo di giovani architetti responsa bili dell'ultima Triennale di Milano, pt:r quanto discutibili si potessero giudicare le loro realizzazioni. Tutte queste opere d'oggi, volenti o nolenti gli autori, hanno radice nella fan tasia e nei concetti diffusi negli anni venti, gli anni di Tatlin e di Gabo, di Moholy Nagy e di Marce! Duchamp, intelligen- 57
tissimi suscitatori di uno « spazio dell'immagine» liberato nel tempo, nel proprio tempo. Una fondamentale differenza stacca tuttavia le esperienze « spaziali» di Foligno . da quei prototipi: l'una, è nella con fusione che nasce oggi dal trasformarsi di pittori e di scul tori in architetti sperimentali: la « rivolta al quadro» giunge addirittura, così, all'assurdo di un giudizio sulla pittura for mulato in base alle dimensioni dell'opera, alla sua colloca zione, alla sua « praticabilità»: « basta con i musei», si dice, « con raccolte di quadri da guardare come raccolte di francobolli».' Non si può negare, tuttavia, che, se i francobolli li ha dipinti Paul Klee o « composti » Kurt Schwitters, lo spazio e il tempo dell'immagine esistano - oltre al resto, oltre a ciò che soprattutto conta, nell'opera d'arte di qualsiasi dimensione e collocazione - anche su una semplice superficie di pochi centimetri;· e che volete di più? Non avete dunque mai saputo collocare voi stessi al centro di una minu scola tela di Klee, lasciandovene circondare e invadere come da un universo intero? Il consumo, la fruizione, che cosa sono, allora? E siamor qui, al secondo punto: quello per cui il consumo, la fruizione dell'opera intesi al modo futu rista (come ricorda Calvesi), cioè con l'uomo « al centro del quadro». anche fisicamente: al centro del marinettiano « spazio vivente », appaiono più eccezionali e ardui che non la fruizione di un piccolo Vermeer al frequentatissimo Museo dell'Aja, o di un Kandinsky a quello di Monaco, dove il e: fruitore » si trova situato, fisicamente, al di fuori dell'ope ra. E, d'altra parte, più eccezionali e ardui della fruizione che ne offre da mezzo secolo l'architettura effimera di fiere, grandi magazzini, esposizioni universali. Non a caso qualche critico di queste astrattissime mostre (astratte in senso let terale: ma sia ben chiaro che non saremo certo noi a spa ventarci di tale astrazione, o di tale metafisica) scivola nel ragionamento sulla produzione e perfino sul design. E si spiega che Franco Solmi voglia contestare il pre sente a Bologna, - questo presente astratto - richiamando l'arte a un tempo storico che è ancora, e ancora sembra che 58 altro non possa essere, di fronte alla realtà dei fatti - il
tempo del grido, della protest_a urlata. Il tempo dell'angoscia. Tutto sommato, tempo di crisi: là dove la pop-art e i suoi derivati, o i suoi equiva�enti - esattamente come le ricerche degli « spazialisti» allucinati di Foligno �•richiama l'uomo a una partecipazione cui egli da gran tempo ha inconscia mente, ineluttabilmente già aderito· attraverso la pubblicità, le vetrine, i rotocalchi : consumo e fruizione, qui, spontanei e insieme obbligati. « Vi è libertà », scrive Salmi, « soltanto laddove l'artista non rispecchia una situazione, rpa pone la sua situazione come situazione di libertà». E potrebbe an• cora essere, anche nel 1967, nella modesta dimensione di un quadro - di una. superficie, soltanto da guardare. GIULIA VERONESI
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