settembre 1968
numer-0 J3
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·L' «environmental design» e il suo in segnamento - Per una teo�ia dell'archi tettura-L'estetica del «pensiero negati - vo» in Marcusè -Libri, riviste e mostre edizioni
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Il centro »
Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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L'« environmental design» e il suo insegnamento
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Per una teoria dell'architettura
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L'estetica del « pensiero negativo» in Marcuse
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Libri, riviste e mostre
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Agostino Bevilacqua, Urbano Cardarelli, Marisa Cassola, Vitaliano Corbi, Lilliana Defez, Re nato De Fusco, Mirella Galdenzi, Maria Luisa Scalvini, Francesco Starace. Alla redazione di questo numero hanno collaborato:
L' « environmental design» e il suo insegnamento
Riprendendo il filo di un'altra rassegna dedicata tempo fa da questa rivista ai problemi del design o, come ora si usa dire, del « progettismo » 1, - al visual design, in parti colare, - cercheremo anzitutto di definire in che cosa con sista, oggi, l'environmental design, e successivamente di illu strarne le articolazioni problematiche. Ancora prima che porsi, come il visual design, quale me todologia didattica diretta alla educazione della percezione dell'ambiente e della sua fenomenologia visiva, l'environ mental design nasce con una ben precisa intenzione opera tiva nei riguardi delle strutture dell'ambiente, come un in sieme di strumenti e di metodi atti ad influire in maniera incisiva sull'organizzazione dello spazio abitato. Le professioni
del planning si fondano saldamente sull'assunto che l'am biente fisico urbanizzato che circonda particolari tipi di popo lazione ne influenzi la vita sociale 2• Osserva infatti William Michelson, autore di una ricerca di carattere sociologico sul l'environmental design, che il problema cruciale per i pianifica tori - peraltro in buona parte ancora irrisolto - è di stabilire quali siano le variabili sociali obbligatoriamente collegate con le variazioni dell'ambiente progettato nel piano. Quanto si riferisce al planning si può, secondo la nota articolazione del l'urbanistica americana, trasferire al design: quando si tratta la città come un problema di « design», la prima ad emergere è la questione di quanta parte dell'« environment » debb'.l essere « progettata » 3, e quanta, invece, debba essere lasciata
al caso, all'improvvisazione, alla costruzione giorno per giorno. E qui si affaccia l'ipotesi, affascinante, dello spazio urbano come ambiente in perenne divenire e del progetto di esso come opera, se non «aperta», almeno «non finita». Sia al livello del planning che a quello, specifico, del design, l'ambiente si pone ancora come un'estesa e relativa mente indefinita area d'incidenza della progettazione co sciente, di quello che Jean Labasse indica con il termine di «geografia volontaria ». Per cui, prima di analizzare le implicazioni derivanti dall'uso della parola design, conviene cercare di delimitare il concetto di environment, nella acce zione usata nel nostro particolare campo di studi. Nel contesto della cultura anglo-sassone, si può ricavare per l'environment una definizione ambivalente, che però inte ressa in entrambi i casi la pianificazione urbanistica. Una prima definizione accentua il senso fisio-biologico di am biente: the whole complex of climatic, edaphic and biotic
factors that act upon an organism or an ecologica[ com munity and ultimately determine its form and survival 4• Un'altra, invece, sottolinea il valore antropologico-culturale dello spazio abitato: the aggregate of socia/ and cultura/ conditions ( as customs, laws, language, religion and economie and politica/ organization) that influence the life of an indi ,•idual or community 5• Ai fini della nostra indagine, queste definizioni possono frattanto servire per indicare la matrice filosofica dell'environ mental design che affonda le proprie origini nel determinismo comportamentistico, come testimoniano i frequenti riferi menti alle influenze dell'ambiente sulle forme della psicolo gia 6 e della socialità 7 individuale e collettiva. Determinismo vicendevole, quindi «interazione», come si vedrà più avanti. Ma la duplicità dell'approccio seguito per precisare il si gnificato del termine environment è importante anche per un altro fatto, perché ci consente fin d'ora di individuare l"environmental design sia come progetto dell'ambiente «eco logico » per l'uomo, o per la specie umana, sia come progetto dell'ambiente « culturale », di una simbologia e di un co6 stume, verificando, fra l'altro, la possibilità di riproporre
per esso le due scale dimensionali dell'urbanistica odierna, quella geografica del planning e quella sociologica del design. Dal concetto fisio-biologico di ambiente deriva la conce zione dello spazio «organico» introdotta nella cultura archi tettonica moderna attraverso il Bauhaus: the most elementary stage of spatial creation is evidently its significance from the biological standpoint 8• Questo passo ci sembra significativo perché in esso affiora la componente biotecnica della meto dologia del Bauhaus, poi sostituita da un crescente interesse per le ricerche visuali, sviluppate nel filone della teoria della forma. Conseguentemente, la tematica della composizione si è spostata dall'environmental design a.I visual design. Nella educazione alla percezione, la forma «buona», la forma pre gnante diventa il criterio per il giudizio sulle qualità del l'environment. Ne risulta, per il concetto di ambiente, una cospicua mu tilazione; viene esclusa la tematica del «complesso» (uno dei principali tratti caratteristici dell'environment, come vedremo in seguito). Per Arnheim a good Gestalt is that organization of materiai with the smallest possible number of structural 1eatures 9• Con Lynch si giunge ad una concezione dell'environ ment che ammette la tematica del complesso, ma il tutto viene sempre ridotto alla visione di una «immagine» - priva quindi del complicato ed articolato sottofondo «contenuti stico» dell'environment come lo si intende oggi - per giunta unitaria e condensata in pochi tratti; environmental design: un piano visivo per la città o l'area metropolitana: un gruppo di raccomandazioni e di controlli concernenti la forma visiva a scala urbana. La preparazione di un siffatto piano potrebbe cominciare con una analisi della forma esistente e della pub blica immagine dell'area... Usando questo fondo di cono scenze analitiche, ma senza esserne limitato, il « designer » potrebbe procedere a sviluppare un piano visivo a scala della città intera, il cui obiettivo sarebbe quello di rafforzare la pubblica immagine e di creare quindi, indirettamente, condi zioni ambientali psicologicamente favorevoli allo sviluppo dei rapporti comunitari. Soprattutto, esso dovrebbe definire le interrelazioni degli elementi, in funzione della _ loro perce- 1
zione dinamica e di una concezione della città come una forma complessivamente visibile. Un tale piano agirà edu cando l'osservatore, insegnandogli a « vedere » la sua città, ad osservare le sue forme svariate e il come esse si ingranano l'una all'altra. Fine ultimo: intensificare l'attività e la coesione civica •0• t:: evidente che ci troviamo piuttosto nel filone pedago gico del visual design che non in quello direttamente opera tivo dell'environmental design; infatti, già nella rassegna dedi cata da questa rivista al visual design si notava che uno dei tentativi più interessanti di applicazione del « visual design » ad un campo più ampio e più strettamente professionale è quello degli studi condotti negli ultimi anni al M.l.T. sui problemi della forma della città 11• La tendenza ad accentuare il carattere visivo dell'environ mental design, ad identificarlo quasi con il visual design ap
plicato agli elementi della città e del paesaggio, sussiste an cora, quando si afferma che l'attenzione si fissa specialmente sugli aspetti che mutano giorno per giorno, sulla così detta
città di un giorno, configurata dalle attrezzature occasionali, dai segnali, dalla pubblicità, dalle automobili, dalle vetrine, dall'illuminazione stradale, dai vestiti della gente, ... paesaggio urbano che l'analisi dimostra disordinato, confuso e confu sionario. Secondo Argan, compito del « designer » è il com porre l'ambiente visivo secondo un principio d'ordine, una intenzionalità, una struttura spaziale... 12• Un altro aspetto dell'environment, ricavabile da entrambe
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le definizioni, geografica e sociologica, date all'inizio, è invece quello di contenere una molteplicità di fattori: clima, alimen tazione, biotipi, oppure costumi, leggi, lingue, religioni, eco nomia, politica; in questo senso l'environmental design si può considerare come l'espressione di una tendenza alla glo balità nelle arti del progetto, come una rinnovata aspirazione alla forma espressiva di una nuova sintesi delle arti maggiori,· non solo, ma anche di tutte le altre componenti umane del l'organizzazione ambientale. Una specie di summa, dunque, della interdisciplinarità. E infatti, quando nel 1965, Studer e Stea Il furono in grado
di preparare un primo elenco di persone professionalmente mteressate ai rapporti fra comportamento ed ambiente fisico, essi dovettero elencarne circa centosettanta, testimoniando, fra l'altro, la crescente attenzione cui sono fatte segno le possibili implicazioni e le nuove significazioni della ricerca scientifica sul comportamento ai fini specifici delle profes sioni dell'« environmental pla-nning and design » 14_ Ancora un accenno, quindi, alla dualità della tematica urbanistica nord-americana, ma insieme la dimostrazione che la fonte e la potenza di così esteso interesse giacciono nella natura pro fonclamente interdisciplinare dello environmental design, come è evidenziato dalla inclusione nell'elenco di studiosi di antro pologia, di architettura, di pianificazione urbana e regionale, di ingegneria, di «design», di geografia, di _architettura del paesaggio, di psichiatria, di psicologia, sociologia e di zoo logia 15• Allo stato attuale, malgrado i numerosi tentativi di intrec ciare dialoghi fra il design e le discipline limitrofe all'urba nistica, ci sembra di poter verificare che una vera e propria metodologia interdisciplinare sia stata elaborata - sia pure ancora allo stadio problematico - soltanto con alcuni rami delle scienze umane, ed in particolare con l'ecologia 16, con la sociologia e la psicologia e con l'economia 17; questi sono, finora, i campi in cui si è esplicata con maggior fortuna la tematica interdisciplinare dell' environmental design. Ma, prima di esaminarne in dettaglio le distinte specificazioni e gli approdi, vorremmo fare breve riferimento a quelle acce zioni di environment che, per essere di tipo piuttosto limi tativo che non estensivo, inducono in una concezione del relativo design che vorremmo definire « settoriale ». Ci riferiamo, anzitutto, alla delimitazione « paesistica » dell'environmental design che rimonta alla tradizionale distin zione di ambiente come spazio della natura, e come spazio organizzato delle attività umane: una cosa è la città, scrive Theo Crosby, luogo di attività dinamica, con i suoi periodi di calma, i suoi parchi e i suoi cortili; altra cosa è la cam pagna, col suo proprio ritmo, la sua bellezza. Ma i due « en1-·ironments » hanno bisogno l'uno dell'altro e si completano 9
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a vicenda 18, come un tempo per Ruskin la funzione dell'archi tettura era quella, per quanto possibile, di parlarci della Na tura, complementarità suggerita, da quest'ultimo autore, nei termini concreti di una imagerie floreale e naturalistica di medioevale memoria, ma evidentemente privata di ogni in tento didascalico per caricarsi, invece, di significati allusivi ad una condizione ambientale di felicità perduta, quasi un lost paradise 19• Del resto, un vasto filone « storico» di teorie sulla pro gettazione appare permeato di idee simili e caratterizzato non soltanto dalla netta distinzione fra ambiente naturale ed ambiente « artefatto », ma altresì da un continuo paralle lismo - che in molti casi si risolve appunto in dialettica complementarità - fra il disegno dei due tipi di environ ments. Ma, per restare in tempi a noi vicini, vi sono ancora due accezioni limitative dello environmental design che fanno capo ad altrettante visioni, che diremmo « tecnologiche» dell'am biente. Una è quella usata dagli estensori del Buchanan Report on Traffic in Towns, l'altra compare nella qualifica di environmentalist, che la critica ha attribuito ai progettisti che curano in modo speciale il controllo delle condizioni ambientali all'interno degli edifici. Per riferirci al primo caso, osserviamo che per Buchanan il termine environment esprime l'idea di un luogo, di un'area o anche soltanto di una strada, che siano liberi dai pericoli e dai fastidi del traffico motorizzato; ne deriva che il pro blema del «design», ossia della progettazione di un tale am biente, può essere ora definito con precisione: si tratta di organizzare l'efficiente distribuzione o l'accessibilità di un ampio numero di veicoli a numerosi edifici, e di fare ciò in modo da raggiungere un soddisfacente standard di « am biente » 20• E qui nel concetto di « ambiente» è implicita, come spiegano gli stessi autori, una dose di «gradevolezza». Dalla concezione dell'environmental design nella dimensione scalare dell'unità di vicinato, si passa ad una dimensione ancora più ristretta nel secondo caso. Commentando una lettura aggiornata del Larkin Building di F. LI. Wright, Reyner
Banham osserva che l'insieme degli elementi architettonici,
esterni ed interni, può esser visto come una unica invenzione ambientale, intesa al controllo del calore, della luce, della veduta, della ventilazione e perfino ( con l'aiuto degli aggetti del tetto) dell'ombra. In questo progetto di micro-ambiente, le varie parti non sono soltanto unificate in una struttura, ma lavorano insieme in una maniera... esemplare 21• Malgrado le limitazioni concettuali cui abbiamo accen nato, da queste ultime definizioni emerge come una costante mai tradita la struttura molteplice e al tempo stesso riuni ficante dell'environmental design, il quale sembra dunque, a qualsiasi scala, sottintendere l'idea di un sistema interrela zionato, dove tout se tieni. A questa concezione dell'ambiente e del suo progetto si riferisce particolarmente l'indirizzo che fa capo a Christopher Alexander. Egli parte anzitutto dalla critica dell'ambiente che circonda oggi la vita dell'uomo: le nostre città e gli altri elementi artificiali dell'ambiente fisico. egli scrive, stanno diventando informi, volgari... Mentre non riusciamo a creare nuovi ambienti soddisfacenti, stiamo per dendo il meglio di quelli vecchi. Simboli e immagini antichi e potenti - luoghi unici ed insostituibili, edifici, monumenti, intere città storiche, le testimonianze umane più significa tive di un modo di vita collettivo - vengono lasciati in ab bandono o addirittura distrutti. E, quel che è ancor peggio, l'uomo moderno sembra incapace di creare loro equivalenti moderni. La qualità dell'environment moderno è dunque per Alexander scadente soprattutto sotto il profilo che vorremmo dire semantico: distrugge i vecchi simboli senza crearne di nuovi; le nuove forme sono prive di significatività. In questo senso, continua Alexander, le arti visive vengono oggi rivalu tate come strumenti da usare a tale scopo e come espressioni tra le più nobili dell'ingegno umano. Ma la differenza di scala fa sì che di fronte alle vaste dimensioni del paesaggio urbano o naturale in genere l'uomo si smarrisce, perché non riesce à capire questa scala più ampia, che gli sembra troppo vasta e complessa... 22• A questo punto Alexander fa appello alle possibilità razio nalizzal'!ti della progettazione: con le enormi capacità di con- 11
trollo di cui dispone, l'uomo può rovesciare la tendenza pre "·alentemente distruttiva del passato. Questo appare ormai
come una necessità storica, una pura e semplice condizione di sopravvivenza: per sopravvivere, l'uomo dovrà inevitabil
mente progettarsi una sua ecologia totale, forse anche tra sfarmarsi egli stesso. La progettazione razionale di una « eco logia totale» ci sembra dunque la più stimolante interpreta zione che dell'environmental design dà Alexander, il quale dovrà anzitutto aiutare l'uomo a realizzare una sua ecologia,
un suo adattamento all'ambiente che egli stesso si è creato. Questa concezione dell' environmental design propone ,inzitutto un nuovo rapporto con l'antico: in passato, l'uomo ha creato città armoniche e coerenti nel loro insieme, ma senza una precisa intenzione, mentre è la « intenzionalità » che serve oggi a distinguere l'operato dell'urbanista. L'equi librio ambientale era dato dal contatto diretto con la natura circostante, ancora intatta e dimensionalmente preponde rante rispetto all'intervento umano. È chiaro che oggi tutto l'ambiente, in quanto forma, (ed in quest'inciso vi è molto di più che un ricordo ghestaltico) pone problemi di tutt'altra complessità. Cosi Alexander· giunge alla sua definizione di environmental design come esercizio di un dovere, piuttosto che di un diritto, del progettista verso l'umanità: il compito dell'uomo, di fronte all'urbanizzazione totale, è di coordinare ogni forma urbana in un sistema ambientale completamente funzionante e perfettamente equilibrato 23• Ecco quindi intro dotto il concetto dell'ambiente come sistema ecologico in equilibrio, come configurazione ambientale risultante da un complesso gioco di interazioni che si articolano in quelli che AJexander stesso classifica come i sei ambiti della vita urbana.
La gerarchia urbana degli spazi o ambiti della vita pub blica e privata, chiaramente derivata dalla recente tematica svolta dalla sociologia urbana, comprende, per Alexander, sei campi: « pubblico-urbano ». I luoghi e i servizi di proprietà pubblica: autostrade, strade, vie, parchi. « Semipubblico urbano». I particolari settori d'uso pubblico controllati da enti governativi o da altre istituzioni: municipi, tribuna.li, 12 scuole pubbliche, uffici postali, ospedali, stazioni, parcheggi,
autorimesse, stazioni di servizio, stadi, teatri. « Pubblico-di gruppo ». Le zone d'incontro tra i servizi e le attrezzature pubbliche e la proprietà privata che richiedono accesso e responsabilità comune: i punti dove avviene la distribuzione della posta, la raccolta delle immondizie, il controUo dei ser vizi, l'accesso agli impianti antincendio o di altri dispositivi di soccorso d'emergenza. «Privato-di-gruppo». Le varie zone minori affidate a una gestione che dipende da interessi pub blici o privati ed è al servizio di inquilini o di altri occupanti legali: aree di accesso, di circolazione e di servizio; giardini, campi da gioco, lavanderie, depositi, ecc. « Privato-familiare». I settori dell'ambito privato controllati dalle singole famiglie e destinati alle attività familiari collettive come il pranza, lo svago, l'igiene e la manutenzione. « Privato-individuale». La " propria stanza », il rifugio più intimo dove l'individuo può appartarsi dalla famiglia 24_ La progettazione dell'ambiente investe ciascuno dei sei ambiti descritti e conserva, almeno nel metodo, una assoluta unitarietà di criteri: dall'autostrada alla camera .da letto ciò che varia è soltanto la scala dimensionale dell'intervento. Il problema di fondo è sempre quello di costruire un am biente fisicamente adatto all'uomo, in modo che, come os serva Kenneth Rexroth, il risultato ultimo siano l'amplia mento ed il rafforzamento della vita della specie, l'aumento progressivo delle possibilità della vita, un arricchimento este tico nel senso più profondo 25• A considerazioni simili, par tendo dal concetto antropologico-culturale di environment giunge anche Mitscherlich, uno psicologo tedesco, quando mette in rilievo la tematica sociologica delle interazioni fra ambiente e comportamento: il modo e la maniera in cui noi configuriamo il nostro ambiente è un'espressione della nostra costituzione interiore. Al tempo stesso, però, egli osserva, la città deve permettere queste due esperienze: di un ambiente il quale costringe ad una vita comunitaria, e che nel con tempo elargisce e garantisce la libertà individuale 26• Ambiente come riflesso e condizione di uno sviluppo culturale. Ma è interessante osservare come la problematica di Alexander non trovi le sue radici soltanto nella definizione 13
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antropologico-culturale di ambiente: quando egll, in una ulte riore esemplificazione della possibilità di applicare la teoria interferenziale alla lettura di una situazione ambientale (in particolare di un villaggio indiano), parla dell'environment considerato nel suo dinamismo, come un sistema vivente, una struttura che si adatta, si riferisce con tutta evidenza ad una definizione biologica di ambiente. La novità dell'approc cio consiste nel fatto che l'ambiente spontaneo - pur visto in contrapposizione con il villaggio costruito - non ha forma fisicamente visibile: è considerato soltanto come il prodotto di un insieme di concetti, fattori ed esigenze, definibili, nel momento analitico, come astratte nel senso di non-disegnate. Le esigenze riconosciute sono di tipo comportamentistico (connesse alla mobilità, alla educazione, alla cura della sa lute}, antropologico-culturale, rituale, sociale (sviluppo regio nale, integrazione con i villaggi vicini), politico, economico (legate al lavoro, al benessere, alla struttura delle attività produttive). Nel caso del villaggio esaminato, l'ambiente è riducibile a 141 esigenze, che vengono raggruppate, con le loro connessioni, in quattro sottosistemi maggiori, i quali a loro volta si suddividono in dodici sottosistemi minori, cia scuno composto di circa una dozzina di esigenze. Se consi deriamo questo sistema di esigenze come un sistema fisico di componenti che cerca costantemente di adattarsi ad esso, bisogna mettere l'ordine gerarchico delle componenti del villagio in corrispondenza l-l0 con l'ordine gerarchico dei sottosistemi dell'ambiente fisico; sono infatti soltanto i dodici sottosistemi ad avere aspetto fisico: raccoglitore d'acqua, ca nali d'irrigazione, edifici, ecc. P. in queste circostanze che l'espansione e la modificazione del villaggio possono avere probabilmente il risultato più positivo. Il passaggio dalle esigenze alle forme fisiche dell'environ ment è così descritto: per creare la corrispondenza l-10, ho cercato di stabilire, per ciascuno dei dodici sottosistemi, una componente fisica che risolva innanzitutto le esigenze di quel sottosistema e non un'altra esigenza. Queste componenti sono infine esposte in forma di diagramma, ma lo stesso Alexander, nella conclusione, afferma che il diagramma scelto per rap-
presentare l'intero villaggio è soltanto un modo per combi nare le componenti fra loro, ma in effetti ce ne sono moltis simi altri. Il modo con cui si combinano effettivamente tra toro dipende in realtà dalle specifiche caratteristiche della zvna e della popolazione 27• L'esempio applicativo riportato, pur nella sua espressione forse troppo sintetica, è utile a dimostrare quale sia la carat teristica saliente dei recenti studi di environmental design; il quale non rappresenta tanto un espediente didattico, come il visual design, quanto una metodologia che tenta, sia pure in modo non sempre consapevole o dichiarato, di opporsi con una carica razionalizzante, di sapore scientifico, alla gratuità di quegli indirizzi gestuali della composizione, che fanno capo all'action-painting 28• È evidente, allora, l'influenza che un simile tipo di approccio ai problemi della progettazione può avere sull'insegnamento dell'architettura e dell'urbani stica, da decenni teso nello sforzo di ritrovare - nello studio della teoria - un fondamento metodologico oggettivo, capace di riscattarlo da una mortificante condizione di imitazione stilistica (se non più stile di un'epoca, pur sempre stile di una personalità o di una corrente). Le possibilità innovatrici dell'environmental design nel campo dell'insegnamento meto dologico sono in via di avanzata sperimentazione presso il College of Environmental Design della Università di California, a Berkeley. In questa università sono riuniti i quattro dipartimenti di Architettura, Urbanistica, Design ed Architettura del paesaggio 29, in modo che i problemi del « progettismo » vengono af frontati in maniera unitaria, sotto un nome unico, quello di environmental design. Come il nome stesso suggerisce, questo insegnamento si propone di realizzare una sintesi in tutti quei campi che si interessano della qualità estetica e funzionale dell'ambiente che circonda l'uomo 30• Il proposito di ricer care una sintesi - nello studio degli aspetti esteriori e dei contenuti del territorio - non ha tuttavia indotto nell'errore di elaborare una summa del disegno, fissa nei suoi schemi . gerarchici e chiusa ad altre istanze che non siano quelle dello .15
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specifico insegnamento impartito. Come parte di un grande complesso universitario, questa Facoltà si collega con le disci pline umanistiche, con le scienze naturali e sociali, con le tecnologie e con altri campi professionali cui lo studio del l'« environmental design» è connesso. In questo modo Io studente è libero di -scegliere da sé il proprio itinerario di studio, basandolo, secondo le proprie preferenze, su di un ap proccio intuitivo oppure prevalentemente logico. La flessibilità dei programmi di studio trova poi la sua giustifica nell'oggetto stesso delle ricerche: l'ambiente urba nizzato. / programmi possono cambiare perché è l'« environ ment » dell'uomo che si trasforma. Una popolazione sempre più vasta vive, in ogni parte del mondo, nelle aree melropo litane; le aspirazioni di essa variano con il nuovo grado di mobilità sociale e fisica consentito dalla nuova condizione urbana. Tanto la forma fisica dell'ambiente quanto la strut tura delle istituzioni e dei servizi delle aree metropolitane devono adeguarsi a queste nuove aspirazioni, a tali nuove funzioni umane. Diventa perciò sempre più importante, per coloro che studiano l'« environmental design», penetrare l'in tera struttura della regione metropolitana e comprenderne la nuova dimensione scalare. Questa concezione dell'ambiente «dilatato» non solo ma anche arricchito di altre implica zioni culturali induce in un diverso modo di affrontare i pro blemi della professione e, conseguentemente, dell'insegna mento. 'E sempre più difficile progettare e costruire un edificio individuale isolato dagli altri che lo circondano. Il lavoro pro fessionale dell'architetto si avvicina sempre più a quello del l'architetto del paesaggio ed a quello dell'urbanista. D'altro canto, l'architetto paesaggista, non più di una generazione indietro, si dedicava al progetto di un giardino privato, mentre oggi egli è costretto a concentrare la propria attenzione sullo spazio urbano all'aperto, sui centri civici da ristrutturare, sui piani di ambientamento delle attrezzature pubbliche e sui programmi a vasta scala per la conservazione delle bellezze paesistiche e delle risorse naturali, nonché, vorremmo ag giungere, per l'inserimento paesistico delle grandi reti autostradali.
A questo punto occorre, però, precisare l'ottica alla quale si desidera focalizzare questa visione unitaria dell'ambiente. Sarà forse un'ottica, indubbiamente più ampia di quella tra dizionale, ma pur sempre legata ad un giudizio puramente estetico? oppure ad una valutazione di carattere prevalente mente visivo, sia pure con le intenzioni di educare alla visione che sono incluse nel visual design? Possiamo invece dire che si tratta, almeno nei propositi, di un'ottica dotata di un ele vato potere «penetrante»: per raggiungere gli scopi anzi delli, l'architetto e l'architetto paesaggista non hanno soltanto bisogno di un insegnamento più ampio che nel passato, ma altresì devono prendere in seria considerazione i fruitori degli edifici e dello spazio all'aperto. Spazio e forma colti nel delicato momento della fruizione sono dunque i parametri fondamentali dell'environmental design, che si distingue ap punto per un particolare « user-oriented approach to architec t11re and landscape architecture », per un modo di accostarsi all'architettura e al paesaggio che tiene principalmente conto delle esigenze di coloro che vivranno in quegli spazi. Aver posto l'accento sulla forma fruita dell'ambiente, mettendosi dal punto di vista del fruitore, costituisce, a nostro avviso una importante caratteristica dell'insegnamento del l'environmental design così come esso viene svolto nel College di Berkeley; ma al tempo stesso genera difficoltà non indif ferenti, richiedendo la conoscenza e la comprensione di espe rienze culturali, di esperienze fisiologiche, sensoriali e co1mmque legate alla percezione dell'uomo, dei valori - in senso morale e sociale - acquisiti dalla società, e delle scelte che l'individuo e la famiglia, l'uomo d'affari e l'industriale, il pubblico ufficiale ed il rappresentante di una categoria o di una istituzione compiono ogni giorno nello spazio destinato alla loro vita. E un simile programma potrebbe essere facil mente accusato di velleitarismo, nella misura in cui la cul tura moderna non ammette la possibilità di esperienze cul turali di tipo universalistico, in un senso, tanto per inten dersi, aristotelico. Un ridimensionamento delle nozioni, per gli stessi fini pratici che si vogliono conseguire, ed in omaggio alla crescente specializzazione - da non confondersi con lo -17
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specialismo 31 - è certamente necessario, se non altro distin guendo fra nozioni a carattere formativo e nozioni a carat tere informativo 32• Se da tale impostazione deriva una considerevole tra sformazione dei connotati tradizionali dell'architettura 33 e dell'architettura del paesaggio 34, la pianificazione urbana e regionale, uno degli aspetti più inediti dell'« environmental design », ha subìto i cambiamenti più profondi. Sorta nel secolo scorso come un movimento per abbellire le città, essa incluse presto programmi per il miglioramento sociale, eco11omico ed amministrativo urbano e per lo sviluppo su vasta scala dei bacini -fluviali e delle risorse regionali. Argomenti di studio e di progetto da parte del pianificatore sono diventati l'edilizia residenziale, i trasporti, lo sviluppo industriale e commerciale, le strutture per l'istruzione, per lo svago, le attrezzature sanitarie. Negli ultimi tempi, poi, i suoi metodi, in origine derivati dal nucleo delle discipline architettoniche ed improntati ad una sintesi di natura intuitiva, si sono indi rizzati sempre di più verso l'analisi quantitativa dei fenomeni. Il nostro obiettivo è di secondare l'orientamento analitico nella pianificazione urbana e regionale ed al tempo stesso rinforzare il primitivo interesse per quegli aspetti di piacevo lezza ed amenità del paesaggio. Allo stesso modo, nei settori dell'architettura e dell'architettura del paesaggio si sta cer cando di raggiungere la fusione dei tre princìpi vitruviani della utilità economica e sociale, della solidità tecnologica e del piacere estetico. Speriamo di possedere fantasia creativa, capacità analitiche e talento visivo e verbale tali da struttu rnre un ambiente per l'uomo, molto diverso e migliore di quello odierno. Il punto centrale dell'insegnamento dell'environmental design resta comunque nell'area della pianificazione urbana e regionale; oltre ogni residua traccia di formalismo, la piani ficazione viene ora comunemente accettata come una delle funzioni di governo; il momento della gestione del territorio si colloca anch'esso nell'ambito dell'environmental design, come ulteriore esperienza interdisciplinare fra tecnici ed amministratori. Gli organi di pianificazione della città, del
distretto urbano o dell'area metropolitana sono tutti respon sabili nel delineare gli indirizzi e nel conferire aspetto fisico allo sviluppo urbano, nell'ambito delle rispettive giurisdizioni. Per questo motivo, alla Scuola di Berkeley non si pongono particolari limiti alle iscrizioni ai corsi che conferiscono il Master City Planning Degree 35, ai quali si può accedere con qualunque diploma di Bachelor. Il dipartimento non pone restrizioni circa gli studi propedeutici (undergraduate back ground). In genere, però, gli studenti provengono da studi di architettura, architettura del paesaggio oppure ingegneria; o anche dalle scienze sociali, come sociologia, geografia, eco nomia. Al diploma superiore in pianificazione urbana sono stati ammessi anche studenti provenienti dalle facoltà uma nistiche ( per esempio, storia o letteratura) e dalle scienze naturali. La costruzione dell'ambiente per l'uomo è dunque un fatto che trascende le tecniche del disegno ed investe una gamma molto ampia di attività; environmental design, nella accezione per noi valida, derivabile dall'insegnamento di Berkeley, è quella progettazione urbanistica, che vorremmo definire «integrale», la quale non si limita a proporre una forma per il territorio, bensì mira a strutturarne tutti gli aspetti che ne compongono in genere la «cultura». Cultura del territorio sono le strutture fisiche dell'ambiente ma anche le strutture sociali ed economiche che interagiscono con essa; soltanto se si agisce contemporaneamente sui vari registri dell'environment sarà possibile produrre, in quest'ul timo, le modificazioni sperate e conferirgli un'adeguata mi sura umana. Ed una ulteriore testimonianza di questo modo di intendere l'environmental design viene da due progettisti inglesi, Alison e Peter Smithson, i quali si pongono il pro blema di reidentificare l'uomo col suo «environment », in modo che egli ritrovi nelle forme dell'ambiente il pieno sod disfacimento delle necessità materiali e delle aspirazioni spirituali. Come individui direttamente impegnati nella progetta zione di forme architettoniche a scala urbana, gli Smithson sentono però il bisogno di precisare in termini di disegno 19
le loro intenzioni: una geometria più complessa della « razio nale suddivisione in lotti » corrisponde al bisogno di un ,, environment » socialmente attivo e stimolante. In sostanza, la loro problematica muove alla ricerca di un modello morfo logico e strutturale che corrisponda al modello organizzativo cui tende la società attuale, che anzi si identifichi con esso in una nuova, arricchita, sintesi di funzione e forma. Degli Smithson è altresì interessante rilevare la posizione nei con fronti della storia; la fedeltà a un principio che potremmo definire « di reciprocità» tra forma urbana e società sugge risce loro che un nuovo equilibrio ambientale non può essere otten11to mediante l'uso di forme storiche di raggruppamento edilizio, cioè strade, piazze, ecc., perché la realtà sociale che esse rappresentano non esiste più 36... Ciò sembrerebbe allora sottintendere un rifiuto dell'espe rienza storica e quindi del suo studio; ma la risposta, nega tiva, a questa supposizione ci viene ancora dalla impostazione data allo studio dell'environment umano dalla Scuola di Berkeley. Se in architettura le idee e le attitudini della società prendono conformazione fisica; e se l'architettura del paesag gio è studiata come espressione qualitativa delle relazioni esistenti fra l'uomo e la natura, quale occasione migliore, per dimostrare queste asserzioni, che una verifica « storica » delle corrispondenze tra forme ambientali e strutture sociali attra verso lo studio dell'architettura e dell'urbanistica del passato? ·E infatti l'obiettivo ,che i numerosi corsi di storia dell'environ ment, nelle sue varie specificazioni dimensionali (dal pae ·saggio, all'area metropolitana, alla città ed all'architettura del singolo edificio), cercano di conseguire è anzitutto quello di aiutare lo studente a vedere i programmi figurativi dell'archi ·tettura del passato nel loro contesto storico-sociale. La descri zione di questi programmi è soltanto il primo gradino dello ·studio storico; lo scopo principale è di sapere « perché » essi sono esistiti. Comprendere i bisogni, le necessità cui un parti colare « environment » doveva, in passato, rispondere nei -:onfronti dei suoi fruitori 37 è il compito dei corsi di storia, 3rticolati nell'approfondimento, ·per ciascuna epoca, delle 20 complesse interazioni tra le forze storiche che hanno
influenzato lo sviluppo del «man-made physical environ ment » 38• Impostazione analoga si dà ai corsi di storia dell'archi tettura 39 ed a quelli monografici di storia dell'urbanistica delle grandi città, che vengono studiate come un « environ ment» altamente dinamico, ponendo in rapporto la storia della loro forma fisica con le forze di natura sociale, economica e culturale 40, mentre in un altro corso si esamina la società in termini di evoluzione dell'ambiente fisico urbanizzato 41, si procede, cioè, a ritroso nell'analisi dei condizionamenti am bientali. La tendenza a scoprire, oltre le apparenze della for ma, il significato degli elementi dell'ambiente è presente, del resto, anche nel corso di Storia delle Teorie dell'Architettura, tenuto nella primavera del 1968 dal Collins, da intendersi non tanto come un corso di Storia dell'Architettura, quanto come una Storia delle «idee» sull'Architettura 42 negli ultimi duecento anni. Dal panorama delineato sulla base degli ultimi sviluppi della nuova disciplina e del suo insegnamento, si può trarre la constatazione che, in realtà, nell'environmental design, di nuovo non v'è che un ampio e cosciente intento sistematico, diretto a ridurre ad un comune denominatore metodologico la progettazione di tutte le espressioni dell'ambiente umano, a qualsiasi dimensione scalare. In questo senso esso può veramente intendersi quale ultima, più completa espressione del « progettismo » come unica prospettiva estetica 43 cui una civiltà subordina la propria produzione, dal cucchiaino al paesaggio. Circa i sistemi mediante i quali elaborare il pro getto dell'ambiente, si può affermare che I'environmental design sia strettamente legato al criterio di determinazione oggettiva così delle esigenze come delle strutture atte a sod disfarle. Nella nuova metodologia vi è sempre, palese o sottin teso, un suggerimento per l'uso di tecniche logico-matematiche - l'analisi quantitativa di cui parlano i programmi di Berkeley - e per la conseguente adozione di uno strumen tario elettronico di calcolo, che sembra ormai indispensabile per una obiettiva valutazione dei fabbisogni e per la loro esatta trasposizione in termini di progetto. A questa diffusa 21
tendenza possono riferirsi soprattutto le esperienze di Chri stopher Alexander e del Center for Environmental Struc ture 44, per le quali lo studio di una serie complessa di inter ferenze tra fattori ambientali visuali e non-visuali, spaziali e non-spaziali 45 risulterebbe impossibile ad un cervello umano mediamente dotato. Ma, accanto a questa componente che trova in un im pegno razionalizzante l'indirizzo principale dell'environmental design, sembra sussistere anche un'altra componente, pre valentemente intuitiva, che esalta la visione soggettiva dei fenomeni ambientali e risulta legata allo studio della psico logia del comportamento, individuale e collettivo. Ci rife riamo, in particolare, al già citato saggio di William Michelson, che prospetta la possibilità di una analisi « empirica » delle preferenze manifestate dalla popolazione per alcuni ambienti della città, tramite la riduzione dell'ambiente fisico urbaniz zato al suo livello di base, la veduta del singolo individuo.
Pur conservando una buona dose di irrazionalità dipendente dal giudizio intuitivo ricavato dalle interviste con i fruitori dell'ambiente, lo studio tende anch'esso alla sistemazione teorica e si propone di rilevare, da un lato, il rapporto fra gli elementi fondamentali dell'ambiente urbano ed il com plesso delle variabili sociali che caratterizzano la popolazione; e, dall'altro, la effettiva possibilità di giungere ad una proget tazione, sulla base di uno schema conce·ttuale della forma urbana ricavato dal rapporto anzidetto. Sul piano dell'orien tamento progettuale, i risultati della ricerca, conclude il Michelson, rivelano che due elementi di diversificazione so ciale, nella popolazione, sono importanti ai fini della pianifi cazione delle strutture fisiche della città: il fatto di credere in determinati «valori» piuttosto che in altri, e la natura e l'estensione dei contatti sociali. Entrambi consigliano di ren dere l'environment il più possibile diversificato nelle sue varie parti: la diversità non è fine a se stessa. Ma quando, nel disegno della città, essa riduce al minimo i costi sociali e porta al massimo i benefici individuali, rappresenta un tra guardo auspicabile non meno degli altri 46•
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Alla stessa tematica, sebbene svolta in chiave psicologica
piuttosto che sociologica, rinvia il noto saggio di Rapoport e Kantor, Complexity and ambiguity in Environmental Design, già recensito in questa rivista 47 che nel richiamo a Jane Jacobs, ad Aldo Van Eyck, a Robert Venturi e a Gordon Cullen conferma,· implicitamente, l'estensione della gamma dell'environmental design dall'edificio al territorio. Più recen temente, non sono mancati studi rivolli ad una lettura psico logica dell'ambiente ed originati da un Seminario su: Psycho logy and the Form of the Environment, tenuto presso il Di partimento di Pianificazione urbana e regionale del M.I.T. 48. Uno di tali contributi, pubblicato quest'anno dal J.A.I.P., ci sembra particolarmente interessante per il rigore sistematico con cui è condotto, che lo rende un esemplare saggio di environmental psychology.
L'iniziativa nello sviluppo della ricerca nel settore della psicologia ambientale, nota l'autore, Kenneth Craik, è stata presa da parte delle discipline che studiano la progettazione e la pianificazione dell'« environment ». II fatto è che le co ::.tanti, diffuse e spesso intense trasformazioni subìte dalla struttura dell'ambiente fisico di tutti i giorni hanno reso quest'ultimo sempre più un prodotto tipicamente umano, in fluenzato dall'uomo e ricco di caratteri urbani. I professio11isti del « planning » e del « design » si sono trovati nella posi zione migliore per osservare questa tendenza e per registrare le drammatiche implicazioni che essa può avere con l'espe1 ienza ed il comportamento umani. E così, l'urgenza di rag giungere risultati concreti, di pronto effetto sul contesto sociale, ha indotto i professionisti dell'environmental design a porsi, prima ancora che gli psicologi nei loro laboratori, alcuni interrogativi di fondo: in qual modo la gente prende cognizione del mondo in cui vive e si muove? Quali termini i·erbali e quali categorie concettuali impiega nel descriverlo? Quali sono, ancora, gli aspetti e le qualità di esso che la gente riesce meglio a distinguere fissandovi la propria attenzione?... Queste, continua Craik, sono appunto alcune fra le domande che dovrebbe rivolgersi lo studioso di psicologia ambientale, ... nel procedere alla esplorazione della struttura di questi 23
problemi, dal punto di vista di un programma di ricerca e di una progettazione ambientale. Dopo aver fissato, in questo studio, l'unità di base cui fare riferimento, la « scena ambientale» (environmental display), l'insieme cioè degli elementi di un ambiente così come essi si presentano alla percezione dell'osservatore, si passa a considerarne le proprietà, che assumono caratteri variabili almeno in due dimensioni: la dimensione scalare ( dal grande al piccolo) e la dimensione naturale ( dalla na tura al prodotto umano). Così, per esempio, un fiore costi tuisce una scena di ambiente «naturale», in piccola scala; uno strumento, un arnese sono anch'essi elementi di ambiente in piccola scala, ma rappresentano prodotti artificiali, come l'isola di Manhattan che però costituisce una scena di am biente in una ben più vasta dimensione scalare... E un cam.po di tulipani nella pianura olandese rappresenta una scena di tipo intermedio in entrambe le dimensioni, per la estensione planimetrica e per la presenza di una componente umana e di una naturale. L'environment acquista in tal modo i carat teri di un continuum - ciò che rientra nella definizione « unitaria» che sosteniamo - dal quale è tuttavia possibile isolare alcune scene, di cui si può costruire il modello inter pretativo. Nella costruzione di questo modello, giocano di versi fattori: anzitutto, le caratteristiche che presenta l'osser vatore, il quale può appartenere o meno a gruppi sociali i cui membri posseggono una speciale attitudine alla compren sione ed alla descrizione dell'« environment», come architetti, pianificatori, scenografi, « space managers»... ; secondaria mente, il modo con cui la scena d'ambiente si presenta al l'osservatore ( esperienza diretta, fotografia, cinema, disegno, narrazione verbale); quindi la natura dei giudizi emessi ed i criteri di valutazione impiegati dall'osservatore 49• Le conclusioni cui approda lo studio - l'esigenza di una adeguata prospettiva temporale e la necessità di un giusto equilibrio fra teoria e pratica, in questo tipo di ricerca sono per noi di interesse relativamente inferiore a quello che, invece, può essere lo stimolo ad operare, congiuntamente · 24 con l'environmental psychologist, nella lettura scientifica del-
l'ambiente non soltanto nei suoi aspetti esteriori, v1s1v1, ma anche nel suo più profondo significato umano. Perché, in definitiva, se è possibile trarre dalla rassegna sugli attuali problemi dell'environmental design e del suo insegnamento, una serie di osservazioni conclusive, queste vanno, a nostro avviso, dirette soprattutto a puntualizzare alcuni aspetti di fondo dell'indirizzo analizzato. Va anzitutto rilevato il suo carattere di ricerca ancora in fase di sperimentazione; quindi, una spiccata tendenza a razionalizzare la conoscenza ed il progetto delJ'environment, sulla base di dati oggettivi quan titativamente confrontabili, e ad elaborare una metodologia interdisciplinare di validità generale. L'interdisciplinarità, che abbiamo visto strettamente legata al concetto di environ mental design, significa, d'altronde, approfondire lo studio oltre le apparenze visuali, nei sottofondi psicologici, sociali ed anche economici dell'environment, sì da rendere poco ap propriato al concetto il nostro termine di «ambiente», con sigliando piuttosto l'adozione di una espressione come « strut ture ambientali», che meglio esprime l'idea di un più com plesso stratificarsi ed intersecarsi di fenomeni. E va, infine, considerato nel suo reale significato il con seguente tentativo di unificare sotto il comune denominatore della progettazione integrale di un ambiente ecologico adatto alla natura della specie umana non soltanto i metodi, ma l'insegnamento stesso dell'environmental design, come disci plina rivolta a raccogliere e vincolare tutti gli sforzi operativi diretti a sistemare, nel miglior modo possibile, l'uomo sulla terra. Questo, evidentemente, con l'accurato bilanciamento di tutti gli elementi concorrenti, dal più grande al più piccolo, ma anche con tutte le perplessità che, con i tempi che cor rono, l'idea di sanare gli squilibri ambientali senza tener conto di fattori essenziali, come la volontà politica, può far !>orgere in noi; con tutti i dubbi che la scelta di una simile aspirazione universalistica comporta per quanti, ad esempio, credono nella possibilità di una più libera ed autonoma scelta del « proprio » ambiente da parte di ciascun individuo, visto non tanto come esemplare di una « specie», quanto piuttosto 25 come irripetibile coscienza di se stesso e dei propri fini.
Come al solito, il giudizio complessivo su una ricerca in atto deve restare necessariamente sospeso; tuttavia è ovvio che la maggiore perplessità sussiste laddove ci si trova in presenza di una nuova strutturazione di fatti già noti, e non dell'emergenza di proposte radicalmente nuove, com'è ap punto il caso dell'environmental design, per il quale rimane legittimo il sospetto di una ennesima espressione dell'attuale ,, sistema» e della sua stanca cultura. URBANO CARDARELLI
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FRANCESCO STARACE
1 Cfr. G. C. ARGAN, Strutlure ambientali, relazione introduttiva al XVII Convegno Internazionale Artisti, Critici e Studiosi d'Arte, Rimini, luglio-settembre 1968. 2 W. MICHELS0N, An empirica! analysis of urban environmental pre ferences, in « Journal of the Arnerican lnstitute of Planners», novembre 1966, p. 355. 3 A. RAroPORT e R. E. KANTOR, Complexity and a111biguity in environ mental design, in « Journal of the A.1.P.», luglio 1967, p. 210. 4 WEBSTER's THlR0 NEW INTERNATIONAL DICTI0NARY, voi. I, Enc. Brit. 1966. s Ibidem. 6 Si vedano, in proposito, gli Atti del Seminario « Psychology and the Forrn of the Environment», Department of City and Regional Planning, M.I.T., 196�; ed inoltre le relazioni tenute alla « University of Utah National Research Conference on Architectural Psychology », maggio 1966, nonché gli articoli: A. E. PARR, Environmental Design and Psyclzology, in « Landscape» XIV (1964-65); M. N1courrn, Architetlura e psicologia, in « L'Architettura» n. 139, maggio 1967. 7 Cfr. B. HACKETT, Man, society and environment, London, Percival and Marshall 1950; I. Rosow, The social effects o/ the psysical environ ment, in « Journal of the A.1.P. •, maggio 1961; K. MERA, Conswner sovereignity in urban design, in « Joumal of the A.I.P.», febbraio 1965. 8 L. MoH0LY-NAGY, The new vision, Wittenborn, Schultz lnc., New York 1949, p. 63. 9 R. ARNHEIM, Art and visual Perception, Berkeley, University of California Press, 1965, p. 49. IO K. LYNCH, L'immagine della cillà, Padova 1964, pp. 130-131. 11 li visual design, in « Op. cit. » n. 5, gennaio 1966, p. 72. 12 G. C. ARGAN, op. cii., p. 7. 13 Cfr. R. G. STUDER and D. STEA, Directory of Beflavior and Environ mental Design 1965, Providencc, R.I.; Brown University 1965. 14 K. H. CRAIK, The comprehension of the everyday physical environ ment, in • Joumal of the A.l.P. •, gennaio 1968, p. 29. 1s Ibidem. 16 Cfr. G. GIANNOTTI, L'analisi ecologica, panorama della letteratura, Torino 1966, dove il problema è trattato con ampiezza di riferimenti. 17 Si veda, in particolare, per l'approccio economico: O. C. HER FINDAHL and A. V. KNEESE, Quality of the Environment, Resources for the Future lnc., 1965; distr. by The John Hopkins Press, Baltimore 1965.
18 T. CROSDY, Architecture, City sense, Studio Vista/Reinhold, London, New York 1965, p. 93. 18 « We are forced, for the sake of accumulating our power and knowledge, lo live in cities: but such advantage as we have in asso ciation with each other is in great pari counterbalanced by our loss of fellowship with Nature. We cannot ali have our gardens now, nor our pleasant fields to meditate in at eventide. Then the function of our architeclure is, as far as may be, to replace these; to teli us about Nature; ... to be... full of delicate imagery of the fiowers we can no more gather, and of the living creatures now far away from us in lheir own solitude ». J. RuSKIN, The Stones o/ Venice, G. Allen and Sons, London 1908, I, pp. 350.351. 20 Traflic in Towns, H. M. Stationery Office, Penguin Books short. ed., 1964, pp. 55 e 57. 21 R. BANHAM, Frank Lloyd Wright as environmentalist, in « Architec tural Design•, aprile 1967, p. 174; si veda anche: A. BRE"IT, The environ ,nentalisls, in • Architectural Review», maggio 1959.
22 s. CHERMAYliFI', Cl-I. ALEXANDER, Spazio di relazione e spazio privato, Il Saggiatore, Milano 1968, pp. 38-39.
23 Ibidem, pp. 51-52. 24 Ibidem, pp. 151-152. 25 K. REli.R0TH, Prefazione al volume citalo, di s. CHERMAYEFF e CH. AI.EXANDER, p. 13. 26 A. MITSCHERLICH, Il feticcio urbano, Einaudi, Torino 1968, pp. 47 e 106. n CH. ALEXANDER, Determinazione delle componenti funziona/i di un villaggio indiano, in • La metodologia del progettare», Padova, Marsilio 1967, pp. 130 e 145; per una ulteriore precisazione del modello inter ferenziale, cfr. dello stesso autore: Note sulla sintesi della forma, Il Sag giatore, Milano 1967. 28 Cfr. Urbanistica e arti visive, oggi, a cura cli U. CARDARELLI e F. STA RACE, in « Op. cit. • n. 11, gennaio 1968. 29 Cui è aggiunto un Jnslitute of Urban and Regional Development, con funzioni di consulenza professionale. 30 M. MEYERsoN, The U11iversity and the College of Environmental Design, Univ. of California, Berkeley, voi. 61, n. 20, 1967, pp. 9-10. 31 Che consideriamo una limitazione di compiti, fatta soprattutto con lo scopo di evadere da alcune più ampie, ma ben precise, respon sabilità culturali e civili; un modo, insomma, di guardare al «come» trascurando indagare il « perché» del proprio agire. 32 Cfr., nel bollettino di cui alla nota 30, le pp. 20 e 21, dove è riportato l'elenco dei corsi acceptable for the breadt/1 requirements in Natural Sciences, Social Sciences and Hu111a11ities; tra essi sono com presi: Antropologia, Biologia, Genetica, Geografia, Geologia, Storia, Matematica, Fisica, Fisiologia, Psicologia, Statistica, Zoologia, Economia, Filosofia, Sociologia, Letteratura, Arte drammatica, Lingue e letterature straniere, Musica, Scienze politiche. 33 « I metodi che adopera l'architetto per risolvere i suoi problemi non sono sostanzialmente diversi da quelli adoperati dallo scienziato; egli deve partire dalla identificazione dei termini del problema e dei determinanti che offrono la soluzione ottimale, procedendo attraverso ipotesi, interpretazione e valutazione della soluzione proposta. La solu zione deve scaturire sia dalle conoscenze che si hanno nei campi delle scienze sociali e fisiche e dalle teorie professionali, sia dalla fantasia individuale. ... Una delle principali attività nell'architettura odierna è la ricerca dei metodi per raccogliere ed elaborare informazioni (ricerca operativa), in modo che gli architetti, tradizionalmente maestri del
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gioco sapiente e perfetto dei volumi sotto la luce, dovranno diventare ;,ltrettanto abili maestri del pili complesso e difficile adeguamento dcl l'environment ai bisogni individuali e collettivi della nostra società ». Univ. of California, Berkeley, voi. 61, n. 20, 1967, p. 26. 34 « L'architetto paesaggista adegua l'e11viro11111e11t alle necessità uma ne attraverso un processo di analisi, progettazione cd esecuzione, che di frequente richiede la collaborazione di molti altri proressionisti. Attraverso la progettazione degli spazi all'aperto, complemento cd estensione degli spazi architettonici e delle opere d'ingegncda nonché sistemi di verde che collegano sobborghi, città, quartieri e regioni in una rete continua, l'architetto paesaggista ha la possibilità di diven tare l'elemento unificatore, integratore per un coordinamento armo nico di tutti gli elementi del territorio. Egli collabora con gli urbanisti, gli architetti e gli ingegneri nella localizzazione degli edifici, delle strade, degli spazi verdi pubblici e degli altri manufatti in scala urbana e regionale. È necessaria anche la collaborazione con i botanici, gli ecologi... ed è essenziale la collaborazione con gli esperti delle arti del disegno, per la definitiva configurazione degli spazi per l'abitazione, lo �vago e il lavoro. L'architettura del paesaggio si aggancia sempre più alle scienze sociali, nel proposito di raggiungere l'effettiva comprensione dei rapporti fra l'uomo e il suo e;wiro11111e111 ». Univ. of California, Ber keley, voi. 61, n. 20, 1967, p. 44. 35 Nel curric11lu111 di studi per ottenere il Master of City Pla,111i11g Degree sono possibili tre indirizzi: « l'indiri1..zo di pianificazione urbana prevede lo studio del piano generale per una città o per un'area metro politana ed il progetto, in una dimensione ridotta, di sub-aree o sotto sistemi di città. Inoltre il programma comprende esperienze nell'ammi nistrazione locale, nella ricerca operativa, disegno urbano, zonizzazione e controllo dell'uso del suolo, ecc. L'indirizzo di edilizia residenziale, rinnova111c11to e sviluppo urbano mette a fuoco problemi di politica urbanistica e programmi di intel>'ento, con particolare riguardo al rin novamento dei centri urbani ed all'ampliamento cd alla sistemazione delle periferie. Vengono esaminati in dettaglio i problemi connessi alla politica fiscale e si sviluppano strategie d'intel>'ento. L'indirizzo di pianificazione e programmazione dei sisle111i urbani comprende molti argomenti degli altri due indirizzi, inquadrati, però, in un più com plesso sistema. Si dà particolare attenzione allo studio delle teorie sulla forma dei sistemi urbani e dei metodi che si vanno sviluppando nelle scienze sociali e comportamentistiche, e che ora si applicano agli studi cli urbanistica». Univ. of California, Berkeley, voi. 61, n. 20, 1967, p. 51. J6 A. and P. SMITHSON, Urban slruciuring, Studio Vista/Reinhold, London, New York 1967, pp. 22 e 25. 37 Programma del corso E. D. 170, Hislory of lhe Environ111e11I, tenuto presso il College of Environmenlal Design, University of Cali• fornia, Berkeley, da Mr. Kostof, nel trimestre autunnale del 1968. 38 Programma del corso E.D. 171, Hislory o/ the Environmenl, tenuto presso il College of Environmental Design, University of California, Berkeley, da Miss Evenson, nel trimestre invernale del 1967. 39 « Il periodo interessato dal corso include i secoli 19" e 20", domi nati da rivoluzioni politiche, sociali ed industriali e caratterizzati da un grado di urbanizzazione senza precedenti. L'argomento centrale del corso è l'evoluzione dell'architettura in questo periodo, tenendo conto :1deguato di tutti i fattori sociali, economici e tecnici di rilievo. Lo scopo principale è lo studio delle tendenze nel campo del disegno e della teoria della progettazione, piuttosto che l'esame dettagliato dei singoli edifici. Particolare rilievo viene dato allo studio dei problemi dell'architettura e dell'urbanistica contemporanee». Dal programma del
corso E.D. 174, Modem Architecture, tenuto presso il College of Environ mental Design, University of California, Berkeley, da Miss Evenson,
nel trimestre primaverile dell'anno 1968. 40 Programma del corso E.D. 175, Great Cicies, tenuto presso il College of Environ111e11ta/ Design, University of California, Berkeley, da Mr. Burchard, nel trimestre invernale del 1967. 41 Programma del corso E.D. 177, Survey of Urban Design, tenuto presso il College of E11viro11111enta/ Design, University of California, Berkeley, da Miss Evcnson nel trimestre autunnale dell'anno 1967: • il corso indaga sulla evoluzione della forma urbana, del disegno delle città e sulle teorie del plmming dall'antichità ad oggi, con particolare ri guardo al ruolo svolto dalla città nella civiltà ed alle varie forze di natura sociale che hanno influenzato la strnttura urbana•. 42 • il corso ha lo scopo di offrire agli studenti i mezzi per fondare una teoria dell'architettura, valida per la loro generazione, una teoria che andrà commisurata alle condizioni pratiche dell'esercizio professio nale, prevedibili fra il 1970 cd il 2020•. Fanno parte del programma • i cc,ncetti fondamentali che hanno influenzato la teoria dell'architettura negli ultimi duecento anni». Dal programma del corso E.D. 179, llistory of ArcJ1itecture Theory (1750-1950), tenuto da Mr. Collins presso il College of E11viro11111ental Design nel trimestre primaverile del 1968. u G. c. ARGAN, op. cii., p, 2. 44 Per ulteriore documentazione sull'argomento si può scrivere al Center for Environmental Structure, 2701, Shasta Road, Berkeley, Cali fornia 94708. 45 Cfr. M. M. WEDBER, J. W. 0YCKMAN, D. L. FOLEY, A. Z. GUTTENBERG, W. L. C. WHEATON, C. BAl.'ER WURSTER, Explorations in/o Urban Structure, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1964, recentemente edito anche in Italia dal Saggiatore. 46 W. MICHELSON, op. cit., pp. 365, 357, 360. 47 • Op. cit. • n. li, gennaio 1968, pp. 112-115. 48 Cfr. nota 6. 49 K. H. CRAIK, op. cii., pp. 29-36.
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Per una teoria dell'architettura
Nella recente produzione critica in campo architettonico ricorre, sotto diverse angolazioni e con differenti intenti, l'idea dell'esigenza di una rifondazione teorica dell'architettura, in tesa essenzialmente come necessità di fornire una base di natura scientifica, oggettiva, all'attività progettuale e didat tica, ed all'esercizio dell'attività valutativa nell'ambito della critica e della storiografia. Le ricerche su di una possibile nuova o ritrovata ogget tività teorica e razionalità delle metodologie progettuali, ma soprattutto gli ormai numerosi contributi per una interpre tazione semiologica del fatto architettonico (che sarebbe sem plicistico ridurre a mero riflesso dell'attuale vogue lingui stica), rappresentano, ci sembra, le due direzioni di ricerca più significative. Nell' ambito della prima si situano al cune originali ipotesi di recupero del filone razionalista; recu pero inteso no� in rapporto alla poetica, ormai storicamente consumata, ma in rapporto alla sistematicità analitica e meto dologica ed ai relativi riflessi didattici 1 (così che l'accento vie ne posto principalmente sulle personalità dei Gropius e dei Klein); accanto a queste si collocano le ricerche degli Asi mov, degli Alexander e degli altri, impegnati ad introdurre nel processo progettuale una oggettività di tipo inedito, ad impronta logico-formale, in contrapposizione alla impronta razionale che contrassegna l'altro gruppo di ricerche. Più complesso il discorso sulla impostazione semiologica, nel cui ambito l'esigenza della costruzione teorica, per la 30 mediazione di concetti e strumenti da altri ambiti disciplinari,
acquisisce un particolare carattere, poiché di fatto la stessa interpretazione semiologica del fenomeno architettonico, ne costituisce un ben definito approccio teorico. In effetti, i due filoni che abbiamo indicato sono accomunati dal riferi mento ad impostazioni di natura rigorosa, scientifica, che nell'un caso appartengono prevalentemente al campo logico matematico, mentre nell'altro derivano principalmente dalla teoria della comunicazione, dalla linguistica, dalla semiologia. Ma se questo aspetto di partenza li accomuna, gli sbocchi ne ripristinano la perfetta autonomia, e pertanto, ai fini del presente discorso, riteniamo legittimo rimandare ad altra occasione l'analisi in rapporto al primo, e limitare i nostri riferimenti al secondo filone, quello semiologico. Vi è da precisare che, a queste recenti ipotesi di esatto taglio teorico del fenomeno architettonico, si contrappone poi quel tentativo di inglobare in un discorso unico e generale le molte ottiche di approccio al problema, che è costituito dal ben noto saggio di Norberg-Schulz 2; già con le polemiche che, in particolare sulla « Architectural Review », ne segui rono la comparsa, si era avuta netta la percezione di come i tentativi di costruzione teorica in campo architettonico fos sero il contrappunto di esigenze ed aspettative ormai ma ture: il che i successivi sviluppi hanno pienamente confer mato, sì che risulta· oggi possibile tentare un primo bilancio. I termini in giuoco - storia, critica, teoria - costitui scono una triade le cui alterne vicende sono non poco illu minanti circa il significato ed il ruolo attribuiti nel tempo all'architettura. Tuttavia, mentre sui nessi fra storia e critica il discorso sembra ormai già pervenuto ad un sufficiente chia rimento, più aperto è invece il problema dei rapporti fra teoria e storia. In effetti, il recente rilancio del momento teorico si è verificato dopo un lungo periodo in cui la no zione stessa di una teoria dell'architettura era discussa nella sua legittimità. Nella critica architettonica italiana, anche se di diversa estrazione .filosofica, si dava infatti per acquisita l'identificazione di storia e teoria; anzi, per non risch_iare che astratte teorizzazioni prevaricassero la realtà storica, si tendeva a includere ed assorbire la teoria nella storia. 31
Naturalmente, non è questione qui di porre in discus sione il concetto, da tempo acquisito, del rapporto dialettico fra storia e critica, in quanto è evidente che non si dà giu dizio storico senza il riferimento ad un sistema di principi teorici, e reciprocamente, questi non si formano fuori del l'esperienza storica. Da un lato, infatti, la storia non è soltanto il metodo della descrizione ordinata delle azioni umane nel ioro succedersi; il fatto stesso che la serie delle azioni venga descritta secondo un ordine dimostra che nell'esistenza e nell'impresa umana v'è una volontà di ordine o, ancora, di progettazione e strutturazione, che inquadri, coordini e renda portanti le forze umane. Alla descrizione stessa, raccontata o scritta che sia, si dà infatti la finalità di influenzare con l'esperienza del passato l'agire futuro 3• E viceversa, l'idea dell'esercizio di un'attività critica avulsa dalla riflessione sto rica non sembra oggi nemmeno proponibile, mentre appare chiarita l'identificazione della critica con la storia. Ogni ten tativo di separazione di critica e storia è artificioso, e na sconde un'inconfessata ideologia conservatrice. Isolare la cri tica in un limbo astrattamente dedito all'analisi dell'attualità - come se esistesse, poi, un tempo « attuale » che non sia già tempo storico - significa accettare il ricatto delle mito logie più transeunti e mistificanti 4• Questo giudizio, espresso recentemente con specifico riferimento al campo architet tonico, trova fra i propri antecedenti un enunciato relativo ..ill'ambito letterario, la cui formulazione appare particolar mente felice. Non c'è dubbio che la teoria letteraria è impos sibile laddove non sia fondata sulla base di uno studio di concrete opere letterarie, se è vero che criteri, categorie, e schemi non possono essere attinti in vacuo; viceversa nessuna critica o storia è possibile senza un complesso di questioni, senza un sistema di concetti, senza punti di riferimento e senza generalizzazioni. Qui, naturalmente, non c'è alcun di lemma insuperabile: noi leggiamo sempre con qualche pre concetto che poi sempre mutiamo o modifichiamo ad ogni ulteriore esperienza di opere letterarie. Il processo è dunque dialettico in quanto è mutua interpenetrazione di storia e di 32 pratica 5•
Poiché dunque l'esercizio della critica si attua, solo e di necessità, attraverso un nesso dialettico con la riflessione storica, e d'altro canto, per la sua stessa natura valutativa, essa critica deve rifarsi necessariamente ad una costruzione teorica dalla quale mutuare i propri criteri valutativi, v'è da chiedersi fino a qual punto l'unità dialettica della triade storia-critica-teoria escluda la possibilità di una sia pur rela tiva autonomia fra i due termini estremi, rispetto ai quali la critica si situerebbe come un medium. Le radici di tale tri plice connessione sono nella cultura settecentesca, come ha notato recentemente il Collins, sottolineando l'influenza che, nella seconda metà del diciottesimo secolo, il nuovo studio dell'estetica esercita sulla storiografia: perché mentre, prima del 1750, l'esercizio della critica stava semplicemente nel fare riferimento a regole oggettive universalmente accettate, dopo il 1750 esso divenne un soggettivo esercizio di natura letteraria, nel quale la storia, la psicologia e le allusioni lette , arie fornivano una materia intellettuale alla quale il giudizio artistico veniva ad essere inestricabilmente connesso 6• La circostanza che molti fra i primi critici letterari fossero anche storici della letteratura, e che da parte di alcuni di essi, come A. W. Schlegel, si asserisse l'impossibilità di fare storia senza teoria perché la storia, onde non scadere a mera cronaca, richiede un principio di selettività, portò di conse guenza al fatto che la cr.itica divenne non solo inestricabil mente connessa con la teoria, ma anche (in un'epoca in cui ogni speculazione teorica era dominata dalla storia) inestri cabilmente connessa con la storia 7• Come si vede, il problema dei nessi fra storia, teoria e critica è tutt'altro che nuovo; ma nuovi ne sono gli odierni significati ed implicazioni, poiché diverso è il significato oggi attribuito, in particolare in campo architettonico, ai due ter mini di storia e di teoria, rispetto alla cultura sette-ottocen tesca, nel cui ambito si situano le radici della questione. Mi sembra infatti che la posizione ad esempio del Collins stesso (essenzialmente, la distinzione è questa: che la teoria dell'architettura riguarda tutto quanto attiene a come si co struisce nel presente, mentre la storia dell'architettura ri- 33
iuarda il modo in cui si usava costruire nel passato s}, si at tagli proprio al milieu culturale ottocentesco, mentre risulta
inaccettabile da un lato rispetto all'attuale percezione del presente come storia, dall'altro in rapporto alla necessità, oggi avvertita, di un costante riferimento alla teoria non solo come norma della prassi, ma come supporto del giudizio storico critico. Lo stesso Collins nota che prima del 1750, ... non vi era possibilità di conflitto fra teoria e storia dell'architettura, poiché una storia dell'architettura non esisteva ancora pro priamente parlando, i meriti del Classicismo erano indiscussi, e qualsiasi studio su di un monumento antico, o del primo rinascimento, era di conseguenza collegato alla teoria della progettazione corrente. La prima consapevolezza di un qual che conflitto tra le due nozioni sembra intervenire nello studio di Leroy sulle antichità Ateniesi, nel 1758, allorché, di fronte alla difficoltà di trattare di un tipo di Classicismo che non si inseriva nelle tradizioni architettoniche note, egli decise... di dividere il suo libro in due parti: una, che trat tava il soggetto « dal punto di vista della storia», l'altra, che lo trattava « dal punto di vista dell'architettura » 9• In proposito, ci sembra interessante quanto ha scritto recentemente Tafuri nel capitolo, del saggio già citato, dedi cato a quella che egli chiama la critica operativa. Riferen dosi appunto alle conseguenze della dicotomia fra teoria e storia introdotta dal Leroy, egli esamina nella successiva cul tura ottocentesca, e in pa_rticolare nel suo filone razionalista, i tentativi per ricostituire l'unità dialettica dei due termini, lo sforzo di «attualizzare» la storia, di renderla duttile stru mento per l'azione, e ritrova il più valido di tali tentativi nel l'opera del Fergusson, la cui indagine storica è tutta orien tata a ricercare nell'evoluzione delle forme del passato l'ag gancio per la formazione di una teoria dell'architettura valida per i suoi contemporanei; sterile tentativo peraltro, poiché il relativismo storico del Fergusson, che non fa che indicare l'aderenza alle funzioni ed ai costumi sociali dell'architettura rinascimentale, cinese o indù, per richiamare gli architetti dell'Ottocento ad uno scavo anti-eclettico nelle condizioni e nei 34 bisogni del loro tempo, approda alla fine ad uno sterile mo-
ralismo 10• In realtà, tanto sull'impostazione del Leroy quanto su quella del Fergusson grava, mi sembra, proprio l'idea della storia come conoscenza del passato e della teoria come norma della prassi nel presente; così che nell'un caso e nell'altro, autonomia e rispettivamente connessione dei due termini ri sultano affette da una sorta di vizio di fondo, se considerate in rapporto agli intenti di una ricerca attuale. Mi sembra in fatti indubbio che tanto la dicotomia propugnata dal Leroy, quanto la connessione proposta dal Fergusson, risultino le gate ad un clima culturale ed a ruoli, attribuiti rispettiva mente ai due momenti storico e teorico, che non sono gli attuali. Se ci proponiamo di trasporre l'indagine sull'autonomia di storia e teoria nei termini della cultura del nostro secolo, una prima risposta a questo interrogativo la si può trovare, di fatto, nell'atteggiamento di quei critici che propendono per il momento storico. La ricerca di un « a priori » di cui gli edifici fossero, in qualche modo, la rappresentazione, ha preoccupato i filosofi dell'antichità, i trattatisti del Rinasci mento, gli studiosi illuministi, e- la maggior parte di coloro che, nel secolo scorso, si sono occupati di problemi architet tonici ... Nella storia della critica, tali «teorie» hanno avuto l'inestimabile merito di arricchire l'indagine sulle relazioni tra architettura e società, indirizzi religiosi e linguistica. Ma, ... rescisse dalla sensibilità degli autori che assai spesso ne riscatta l'astrazione, presentano tutte la stessa lacuna: pre scindono dalla personalità creatrice e dalle singole immagini dei monumenti... Il compito esegetico attuale non è di rifiu tare i contributi teorici... ma di tradurli in sede storica, speci ficandoli su un piano che non è più eteroindividuale, positivi stico-sociologico, linguistico o semantico. Il discorso di Zevi, che sin qui rimane legato al concetto del rapporto dialettico fra storia e teoria, assume invece il significato di una chiara scelta del momento storico, quando egli conclude affermando che la moderna storiografia assume così il compito di tra sformare la storia degli « stili » o linguaggi nella storia degli architetti 11• probabile che, alla luce di alcune recenti precisazioni 35
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critiche in merito al concetto di stile, tale ultimo asserto ri sulti peraltro suscettibile di interpretazioni più complesse ed aperte. Se infatti rammentiamo da un Iato il concetto di si stema qual è enunciato dal Kaufmann, dall'altro quello di codice architettonico come è precisato da Tafuri, tanto il concetto di stile quale era inteso dalla storiografia tradizio nale (nel senso cioè di un descrittivismo orientato agli aspetti formali) quanto quello di stile nell'accezione messa a punto dalla critica di ispirazione idealistica (nel senso cioè della peculiare sigla o impronta impressa dal singolo individuo <: creatore di forme»), appaiono alquanto sfocati rispetto ad un più complesso tipo di lettura storica e critica dell'opera nel suo contesto. Siamo avvezzi, nota Kaufmann, a concepire uno stile ar
chitettonico come un complesso costituito da un certo nu mero di caratteristiche strutturali e decorative ricorrenti, pur con qualche variante, entro un certo periodo... Tuttavia, un espediente come questo altro non è che un modo per ri condurre ad un qualche ordine fenomeni disparati: un'utile astrazione che ci consente· di padroneggiare la sconcertante varietà di caratteristiche eterogenee. Ma il significato del na scere e dello svilupparsi dell'architettura ci diverrà chiaro soltanto se, dall'ipotesi di uno stile, noi procederemo fino alla realtà del suo mutare. Perché il mutamento autentico non appartiene alla sfera delle forme, bensì a quella della loro interconnessione: infatti, vi è un altro mutamento, ... oltre l'apparire e lo scomparire periodico delle forme, ed è precisa mente l'alterarsi della mutua relazione tra le parti, ovvero... del sistema archiiettonico. Il concetto di sistema, qual è usato in questa ricerca, non implica l'idea di compiutezza, ma sta semplicemente ad indicare una tendenza 12• È ben noto come, coerentemente con la natura dinamica che egli assegna al concetto di sistema, Kaufmann parli di sistema rinascimentale-barocco, in contrapposto alla usuale distinzione fra i due linguaggi, operata dalla critica tradizio nale. Ma non è solo per tale aspetto particolare che questa formulazione si ricollega a quella più recente, dovuta al .36 Tafuri, del concetto di codice fondamentale, per il quale va
ri{ìt1tata t1na periodizzazione che ponga sullo stesso piano Classicismo, Manierismo e Barocco come movimenti distinti e antitetici, poiché anzi è verificabile piuttosto il contrario. Manierismo, Barocco e Rococò sono momenti di t1n unico grande movimento storico: il Classicismo 13• In effetti, a ricollegare la concezione kaufmanniana del sistema alla definizione che Tafuri dà del codice fondamen tale, è la natura dinamica di tali concetti. / grandi sistemi lingt1istici della storia dell'architeltt1ra possono essere defi niti come sistemi in qualche modo unitari. Basta misurare la loro t1nitarietà con il metro di una concezione dinamica, che tenga presente ciò che sembra ormai acqt1isito da parte degli slt1di semiologici: che, cioè, ogni codice artistico è definibile solo in base agli apporti che trasgrediscono, che offendono, che contestano quel codice 14• A me sembra che l'asserzione di Zevi sopra citata (che cioè « la moderna storiografia assume così il compito di tra sformare la storia degli ' stili ' o linguaggi nella storia degli architetti»}, se riletta alla luce dei concetti di sistema e di codice sopra riferiti - ed essendo indubbio che la « storia degli stili » che si vuole trasformare è quella tradizionalmente descrittiva delle forme - si presti già ad una possibilità in terpretativa nel senso di un'autonomia, del momento teorico rispetto a quello storico, maggiore di quanto non possa ap parire ad una prima lettura. Tuttavia, è comunque ben chiara la legittimità di una scelta orientata verso una priorità del momento storico su quello teorico; scelta che peraltro, anche se espressiva d'una tradizione criticerestetica a cui siamo indubbiamente ancora legati, non esclude la possibilità di una ricerca che ponga l'accento sull'altro momento: quello teorico. Una ricerca orientata in questo senso appare oggi indila zionabile soprattutto in campo didattico, e per fornire un orientamento generale di fronte ai problemi della prassi archi tettonica. A tal fine, è necessario riconoscere che lo storici smo integrale, col ritenere la storia dell'arte risolutrice di ogni teoria artistica, ha contribuito alla caduta della teoria, non solo di fronte all'eccezionale storia degli artisti, ma anche 37
di fronte a qualunque metodologia didattica ed operativa. In effetti, assistiamo non tanto al risolversi della teoria nella storia, quanto al suo annullarsi nella prassi. Va chiarito a questo punto che ribadire l'esigenza di una fondazione teorica dell'architettura non significa qui ripro porre il problema di una estetica particolare dell'architettura. Sulla questione, ci sembra infatti esatta la posizione della Langer, allorché ribadisce il concetto della essenziale unità determinata dalla fondazione filosofica della teoria dell'arte; unità la cui individuazione, peraltro, la stessa autrice colloca come approdo di una indagine sulle peculiarità delle varie arti 15• Se dunque non è alla enucleazione di una particolare estetica dell'architettura, che miriamo nel presente discorso, sembra utile riandare ad una definizione, del concetto di teoria, che risulti generalizzabile al massimo ai varii ambiti disciplinari. Si chiama teoria un complesso di regole anche
pratiche quando siano pensate come principi generali e si faccia astrazione da una quantità di condizioni che hanno tuttavia influenza necessaria sulla loro applicazione. Inversa mente, si chiama pratica, non qualsiasi atto, ma solo quello che attua uno scopo ed è pensato in rapporto a principi di condotta rappresentati universalmente 16• Se confrontiamo
questa proposizione di Kant con quella di Wellek e Warren sulla teoria letteraria sopra citata (e avvertiti dei diversi li velli sia tematici che teoretici), notiamo che nella definizione kantiana si riconosce un rapporto fra teoria e pratica, ma si dà al primo momento un'autonomia che il secondo invece non ha nei confronti del primo. Infatti, mentre nei principi generali della teoria si prescinde dal contingente attuarsi della pratica, un atto invece, perché si costituisca in pratica, deve fare capo « a principi di condotta rappresentati universal mente». Volendo stabilire un parallelo fra tale assunto e i pro blemi della teoria architettonica, potremmo dire che un modello teorico - che indubbiamente nel suo strutturarsi include anche regole pratiche - ha senso però indipendente38 mente da ogni pratica e contingente applicazione; viceversa,
senza riferimento a principi generali, ogni pratica realizza zione costruttiva rimane un fenomeno meramente tettonico. Se trasponiamo al campo architettonico, e nei termini della odierna cultura, il concetto che la pratica per costituirsi come tale non può coincidere con «qualsiasi atto», bensì deve far capo « a principi di condotta rappresentati univer salmente», ossia a postulati di natura teorica generale, ve diamo come tale riferimento implichi il ricorso a quei con cetti di comunicabilità e di oggettività, in rapporto ai signi ficati ed ai valori, che prima abbiamo individuato come tipici filoni di indagine per la ricerca oggi in corso sulla natura teorica del fatto architettonico. Mi sembra infatti che solo concetti dotati cli un simile grado di generalità possano sot tendere una teoria del fatto architettonico che risulti indi pendente da ogni specifica poetica, e quindi autonoma rispetto al materiale confi gurarsi degli esiti pratici. Se non si opera questo «disimpegno» della teoria rispetto agli esiti figura tivi, si finisce con l'identificare una serie di possibili «teorie», ciascuna delle quali corrisponde ad una poetica ovvero ad un certo tipo di orientamento formale; il che comporta da un lato l'impossibilità della autonomia rispetto alla «pratica», dall'altro la compresenza di una molteplicità di « teorie», che per ciò stesso non possono assumere alcun valore di generalità. Esemplare di un tale tipo di fraintendimento, mi sembra sia la posizione di Donald Smith nella polemica con Nor berg-Schulz. Smith sostiene che il tentativo di Norberg Schulz di porre fine all'attuale mancanza di una soddisfa cente teoria dell'architettura consiste essenzialmente nel pro
porre un vocabolario, per identificare un certo numero di espedienti progettuali in rapporto a ciò che essi implicano per l'osservatore: l'angolo arrotondato implica solidità, quello i·etrato sottolinea la leggerezza e la diversità delle pareti, la finestra a nastro al di sotto del marcapiano ci porta a vedere /-edificio in termini di piani orizzontali, e così via... Ma questa è a stento una risposta all'esigenza di una teoria dell'archi tettura, se assumiamo che la « teoria » debba coincidere col dare all'architetto alcune precise direttive circa il tipo di 39
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espressione che egli dovrebbe dare all'edificio 17• La riserva di Smith appare, in linea di principio, esatta. Meno convin cente risulta però lo stesso Smith allorché, concludendo, svi luppa una sua classificazione delle moderne « teorie », le quali si identificherebbero rispettivamente con il predominio della funzione, o con il dar risalto alla cosiddetta espressività del materiale, ovvero con la enfatizzazione dell'involucro esterno inteso come guscio, o « pelle·» dell'edificio, o ancora con la messa in vista dell'ossatura portante, oppure con l'accentua zione della « espressività » della struttura, o infine con il brutalismo o il neo-espressionismo. Mi sembra che far coin cidere una teoria dell'architettura con una delle posizioni su definite, significhi proprio cadere in quello che Smith rim provera a Norberg-Schulz, ossia dare alla teoria un valore di indicazione per la prassi progettuale nell'ambito di una precisa scelta formale. Se si fa coincidere l'idea di una teoria con un tale con cetto, diviene poi esatto quanto scrive Collins sull'impossibi lità, sotto il profilo didattico, di una scelta teorica univoca, e sulla conseguente necessità dell'insegnamento, piuttosto che di una teoria, della storia delle teorie ( il che è poi proprio quanto lo stesso autore ha in gran parte attuato in Changing ldeals in Modern Architecture). Nel saggio Oecodomics, dopo aver precisato che, a suo giudizio, teoria... significa la somma totale di conoscenza accademica richiesta per progettare un edificio, in contrapposizione alla somma totale di esperienza pratica, Collins ricorda alcuni fra i tentativi ottocenteschi per superare la dicotomia teoria-storia nata con il saggio di Leroy sulle rovine ateniesi; in particolare, egli cita Julien Guadet come il primo, probabilmente, che tentò una via per uscire dalla impasse di questa dicotomia, attraverso la proposta di una teoria intesa come studio delle tipologie edilizie 18, mentre uno dei suoi successori, Georges Gromort, sosteneva il con cetto che la teoria dovesse piuttosto coincidere con quel l'insieme di principi di carattere generale, che sono validi indipendentemente dal singolo tipo edilizio 19 • Più oltre, nello stesso saggio, Collins ribadisce che oggi, proprio perché la teoria dell'architettura è così diffusa e frammentata, una sin-
resi è assolutamente indispensabile. Un architetto non deve sapere soltanto come sviluppare i progetti; egli deve sapere anche come valutarli ... Personalmente ritengo impossibile, di fatlo, insegnare agli studenti i criteri di giudizio, e credo che la sola cosa che si possa sperare di fare, è di fornire le solle citazioni e le tecniche che possano permettere a ciascuno stu dente di sviluppare una propria autentica teoria della pro gettazione. Sono convinto che sia errato, in quest'epoca di costante mutamento, anche solo tentare di imporre agli stu denti di architettura una precisa filosofia. Di conseguenza, mi sembra che il problema che sta di fronte alle nostre scuole di architettura non stia nel come formulare una valida e coerente teoria dell'architettura ( il che per nze significa tuttora quelle illimitate permutazioni di Firmitas, Utilitas e Venustas, che possono produrre il miglior inquadramento am bientale per ogni programma individuale), ma nel come esporre la storia della teoria in maniera tale che ciascuno swdente possa contribuire a creare una teoria valida per la propria generazione. In effetti, rispetto alla tradizionale storia degli stili e alla crociana storia degli artisti, una storia delle teorie, o delle idee sull'architettura 20 mi sembra sostanzialmente costituire una sorta di svolgimento parallelo e strettamente interrelato, che a seconda delle ottiche storiografiche potrà risultare do minante, o essere lasciato in secondo piano; mentre l'idea della teoria quale l'abbiamo trasposta al campo architetto nico dalla definizione kantiana cui abbiamo scelto di riferire il presente discorso, presuppone un'autonomia di formula zione rispetto alle sue stesse contingenti 'incarnazioni ' dia croniche. Nel senso ad esempio che ad una teoria dell'archi tettura come linguaggio, corrisponderebbero nella storia le ' incarnazioni ' di quelli che Tafuri definisce codici fonda mentali ( quelli corrispondenti ai grandi cicli definiti da si stemi di significato e da metodi di produzione omogenei), codici derivati ( quali, appunto, le categorie che specificano l'evolversi del codice nel tempo), e sottocodici relativi ad aree semantiche particolari e individuali 21• A questo punto, sembra esatto chiedersi in qual misura 41 -
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!'interpretazione semantica del fatto architettonico, e di con c-cguenza l'idea dell'architettura come linguaggio, possano cor rispondere a quei caratteri di generalità e di autonomia ri spetto al concreto tradursi nella pratica, che si sono riscon trati nella kantiana definizione di teoria, assunta quale ter mine di riferimento per le singole, diverse formulazioni teo riche. Tralasciamo di proposito ogni rassegna degli ormai numerosi contributi sulla controversa natura semiologica dell'architettura, poiché interessa qui soprattutto tentare di chiarire se l'approccio semiologico possa costituire la base di una teoria nel senso già specificato. La moderna proposta di una interpretazione del fatto architettonico in chiave lin guistico-semiologica, trova i propri antecedenti storici in quella che Collins ha definito « l'analogia linguistica » 22; ossia nelle numerose enunciazioni di paralleli, confronti, differen ziazioni tra letteratura ed architettura che, sia pure formu lati in termini empirici, sono frequenti nella critica sette ottocentesca, e talora con sorprendenti anticipazioni (e basti qui ricordare l'asserto del Ledoux, citato dallo stesso Collins, che l'architettura sta alla pratica costruttiva come la poesia alla letteratura: it is the dramatic entusiasm of the era/I). Tuttavia, tra queste suggestive formulazioni, e l'idea di una interpretazione linguistico-semiologica dell'architettura quale può essere oggi delineata, lo scarto è radicale. L'inter pretazione semiologica infatti muove attualmente non già dal l'intento di delineare empiriche analogie, bensì dall'esigenza di una fondazione teorica rigorosa dell'architettura, che non si risolva nell'individuazione di una estetica peculiare al suo ambito, ma al contrario rappresenti la collocazione del lin guaggio architettonico nel più vasto contesto dei sistemi semiologici. Il che, beninteso, non esclude affatto il ricono scimento della particolare complessità semantica del segno architettonico, del quale è ormai ben chiara la duplice na tura denotativa e connotativa, in rapporto a quelle che Eco definisce rispettivamente le funzioni prime e seconde 23• La coesistenza di univocità comunicativa e di ambiguità simbolica è tipica della complessità strutturale dell'architettura. La necessità di andare al di là di ciò che l'architettura
mostra, per sondare piuttosto ciò che essa nasconde, è stret tamente connessa al fatto che la base stessa della sua esi
stenza è nell'instabile equilibrio fra un nucleo di valori e di significati permanenti e le metamorfosi che questi subiscono nel tempo storico 24• Riaffiora qui quel carattere polisenso che già in particolare Galvano della Volpe, nella Critica del Gusto, aveva puntualizzato essere distintivo del linguaggio poetico; con una peraltro marcata accentuazione della componente di ambi guità legata all'elemento simbolico; componente non nuova nella critica dell'architettura, ma che oggi, inserita nel contesto di una interpretazione linguistica, si colora di nuove implicazioni. Nota ancora Tafuri che la riflessione sull'archi tettura come lettura in profondità, come scoperta non già dei significati chiari ed immediati, bensì delle 'connotazioni' architettoniche, dei significati ambigui, reticenti, 'celati', ha ... una sua tradizione che si rifà alla « Filosofia delle forme simboliche » cassireriana... 25• Ma proprio sulla ambiguità del 5imbolo architettonico si richiede una precisazione. Potrebbe infatti sembrare contraddittorio che il discorso sulla natura semiologica dell'architettura, avendo preso le mosse dal saldo terreno matematico della teoria della comunicazione, approdi alle infide lagune del valore di ambiguità del simbolo. È stato notato che, sviluppando il concetto di entropia, parecchi estetologi hanno teso a farne... una misura positiva dell'informazione estetica, in contrapposizione al valore di misura negativa del significato di un messaggio, dell'entropia stessa quale è definita da Wiener; ma in tal modo l'informa zione estetica diviene l'opposto del significato e tende anche a divenire l'opposto della comunicazione, se l'ambiguità si pone ad equivalente di asemanticità 26• Al contrario, ambiguità e fondamento semantico sono strettamente correlati, proprio perché senza il secondo la prima sarebbe strappata alla su!l. ragion d'essere funzionale, e sarebbe rifiutato il suo alto potere simbologico, che è di coinvolgere, confrontare, scambiare poli di significato 27• La sfera dell'ambiguità simbolica è dunque sfera semantica e razionale, proprio per la caratteristica presenza di una somma di rinvii, riferimenti, suggestioni, i quali tutti traggono la loro interpretabilità da una compre- 43
senza di significali complessi e stratificati 28• L'ambiguità del simbolo è appunto sproporzione tra immediato e mediato, tra veicolo segnico e significato; e proprio la dominante pre senza di quest'ultimo esclude ogni alone irrazionalistico dalla nozione di ambiguità, riportandola piuttosto, mi sembra, a quel concetto di polisenso che media appunto il rapporto fra semanticità univoca del linguaggio scientifico, e semanti cità stratificata e complessa del linguaggio artistico. Si delineano così alcuni tratti di una ipotesi alla quale lavorare: una teoria semiologica dell'architettura, nel cui ambito sia le funzioni e i significati denotati sia i significati ed i valori connotati, sia la sfera della univocità semantica che quella dell'ambiguità del simbolo, partecipano di una razionalità e semanticità complesse e mediate, ma dal cui ambito è esclusa comunque ogni componente di irraziona lità, di non-effabilità. E in questa prospettiva sembra anche di potere, i n conclusione, ipotizzare da parte del momento teo rico, il recupero di un'autentica autonomia dialettica rispello al momento della storia e della critica. Verrebbe infalli a ca dere l'artificiosa 'ripartizione dei compiti• fra una storia volta unicamente a leggere il passato, e una teoria che si vorrebbe buona solo a fornire una norma all'agire nel pre sente. La teoria si strutturerebbe secondo una sua coerente sistematica, non dipendente dal concretarsi formale degli even tuali esiti; e la pratica, non importa se riflessione storico <:ritica o attività progettuale, troverebbe nella teoria quei principi « rappresentati universalmente », cui riferirsi per non scadere a mero « atto qualsiasi ». MARIA LUISA SCALVINI
t Mi riferisco in particolare, fra i contributi più recenti, al saggio di G. GRASSI, La costruzione logica dell'architettura, per il quale cfr. • Op. cit. • n. 12. 2 CH. NORBERG-SCHULZ , Intenzioni in arc1,itettura. Lerici, Milano 1967. 3 G. C. ARGAN, Strutturalismo e critica. Il Saggiatore - Catalogo gene rale 195S-1965. Milano 1965; p. LXI. 4 M. TAFllRI , Teorie e storia dell'architettura. Laterza, Bari 1968; p. 200. s R. Wlll.LEK - A. WARREN , Teoria della letteratura. li Mulino, Bologna 44. 1965; p. 46.
6 P. C0LLINS, Clzanging /deals in Modern Arclritecture. Faber & Faber, Londra 1965; p. 256. 1 Ibidem. Poco oltre, l'autore nota ancora: « ... t;: notevole il numero degli storici del diciottesimo secolo, che scrissero anche di filosofia e di estetica. Gli scrittori moderni che hanno avuto la maggiore influenza nello sviluppare una teoria puramente soggettiva dell'arte - Croce e Collingwood - sono stati entrambi in primo luogo degli storici». (p. 256). � Ibidem, p. 171. 9 Ibidem, p. 141. 10 M. TAFURI, cit., p. 176. I due testi ai quali questa citazione, e le precedenti del Collins, si riferiscono, sono rispettivamente: J. D. LER0Y, Ruins o/ the Most Bea11ti/11I Monwnents in Greece, Londra 1758, e J. FERGUSS0N, History o/ Architecture, Londra 1855. 11 B. ZEVI, Architectura in nuce. Istituto per la collaborazione cultu rale. Venezia-Roma, 1960; pp. 177 e segg. 12 E. KAUFMANN, L'architet111ra de/l'J/l11mi11ismo. Einaudi, Torino 1966: pp. 93, 94 e 95. 13 M. TAFURI, cii., p. 251. 14 Ibidem, p. 250. 1; Scrive la Langer: « Sono anch'io convinta che l'arte sia sostan zialmente una, che la funzione simbolica sia la stessa in ogni genere di espressione artistica, che tutti i generi siano ugualmente grandi, e la loro logica sia tutt'una, ... Ma per enunciare questi articoli di fede come proposizioni ragionevoli non basta asserirle enfaticamente e ripetuta mente, e deplorare le prove in contrario: occorre, piuttosto, esaminare le: differenze e delineare le distinzioni fra le arti fin dove è possibile seguirle. Esse sono più profonde di quanto non sia dato a tutta prima supporre. Ma c'è un livello definito in cui non è più possibile fare distinzioni: tutto ciò che ,può dirsi in ogni data arte, si può dire anche delle altre. In questo sta la loro unità. Tutte le suddivisioni si arre stano a quel punto, che è la fondazione filosofica della teoria dell'arte •· (S. K. LANGER, Sentimento e forma. Feltrinelli, Milano 1965, pp. 122-123). 16 I. KANT, Ueber den Gemeinspruch, ... Citato in N. ABBAGNAN0, Dizionario di filoso-fia. UTET, Torino 1964, p. 847. 11 D. SMITH, Towards a Theory. In • The Architectural Review•• n. 816, 1965. 18 « Julien Guadet fu probabilmente il primo... a tentare una via per uscire da questo dilemma... Egli attribuì alla ' teoria ' il significato di uno studio dettagliato delle tipologie edilizie... ; per quanto lo riguar dava, la storia poteva poi essere insegnata dagli archeologi in qualsiasi modo volessero•· (P. CoLLINS, Oecodomics. In • The Architectural Review •, n. 841, 1967). 19 « La teoria dell'architettura è quell'insieme di indiscussi principi che sono ugualmente validi per qualsiasi tipo di edificio•. Questa defi nizione richiama l'enunciato di Comte, sul carattere generale che deve sempre avere un'autentica teoria, così come una corretta pratica ha sempre carattere particolare. (Ibidem). 20 Scrive P. CoLLINS in Cltanging ldeals..., cit., che l'intento del suo studio è di « essere una storia delle idee sull'architettura, piuttosto che una storia dell'architettura come tale•· 21 M. TAFURI, ci l., p. 251. 22 « Thè Linguistic Analogy », è infatti intitolato un capitolo del già citato volume di Collins, Clzanging ldeals... Per maggiori riferimenti in proposito, cfr. la recensione di questo volume in « Op. cit. • n. Il. 23 Le funzioni prime, com'è noto, sono inerenti alla sfera della 11tilitas, e sono connesse alla denotazione, da parte dell'oggetto architet-
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tonico, delle fruizioni o utilizzazioni pratiche possibili; mentre le fun zioni seconde sono inerenti alla somma delle connotazioni simboliche, stratificate e complesse, cui il segno architettonico rinvia. Precisa in proposito Eco: « E sia chiaro che si intendono le connotazioni simbo liche come funzionali non solo in senso metaforico, ma in quanto esse comunicano una utilizzabilità sociale dell'oggetto che non si identifica immediatamente con la 'funzione ' in senso stretto». (U. Eco, La strut tura assente. Bompiani, Milano 1968, p. 206). 24 M. TAFURI, cit. pp. 206 e 211. 25 Ibidem, p. 221. 26 R. GI0RGI, Simbolo e interpretazione. In Surrealismo e simbo lismo, Archivio di Filosofia. CEDAM, Padova 1965, pp. 76-77. Anche il seguito del brano merita di essere citato per esteso, allorché si esami nano le conseguenze del porre ambiguità ad equivalente di asemanticità. « Una conseguenza strettamente collegata è che si è indotti a distin guere al massimo informazione estetica da un lato e, dall'altro, infor mazione comune e scientifica. li paradosso di aver tratto dalla teoria matematico-statistica della comunicazione il rifiuto di una qualunque congruenza di rapporto o base comune tra discorso scientifico e co mune e discorso estetico è flagrante. Ne derivano asserti di questo tipo: da un lato è l'informazione semantica come logica, strutturata, tradu cibile; dall'altro quella estetica come illogica, intraducibile, riferita ad una sollecitazione personale ed intima, con l'effetto che il punto d'in contro fra società e artista postulerà un'intesa fondata su una mutua incomprensione benché su interessi reciproci. Oppure, come esito del l'equivalenza ambiguità-asemanticità, si ha che il valore estetico si realizza secondo leggi di organizzazione che sono interne alle forme ed è perciò •autonomo '. Cosa è questo? Un crocianesimo surrettizio...? Tra l'altro, per questa via, si ricade nell'antica querelle di forma e contenuto, di forma e significato... •· 21 Ibidem, p. 78. 28 « ... Ogni messaggio artistico, già nel suo nascere, nella sua inci denza di momento storico-culturale, è un nodo di significati ed è volto al passato come al futuro. 12. in senso eminente syn-bolon: condensa zione di tempi, di linguaggio, di significati. Non ci accorgiamo forse per lo più, quando ci troviamo di fronte l'opera compiuta, che in essa lievita una sedimentazione immane di riferimenti, di implicazioni, quasi di segnali delle direzioni per cui può essere dato cercare. » (Ibidem, p. 79).
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L'estetica del «pensiero. negativo» in Marcuse
Questa rassegna che segue quella sull'estetica di Adorno, pubblicata di recente su questa stessa rivista 1, ad essa si collega strettamente per i numerosi e tutt'altro che superfi ciali rapporti che uniscono il pensiero di Marcuse con quello di Adorno. È però necessario avvertire che, proprio rispetto a quella precedente rassegna, la prospettiva dalla quale si cercherà di ricomporre unitariamente le riflessioni di Mar cuse sull'arte risulterà notevolmente diversa. Se, infatti, si può convenire con Adorno e Marcuse che l'autonomia del l'arte - l'arte come campo separato d'esperienza - ha una sua genesi che non è lecito ignorare, se è vero che questa autonomia si costituisce nella concretezza del processo sto rico, onde la sua assunzione nella immutabile purezza delle categorie eterne dello spirito è non solo illegittima ma ideo logicamente tendenziosa e mistificatrice, non ci pare tuttavia che l'esigenza antispeculativa e storicistica, che in questo concetto dell'autonomia dell'arte si esprime, debba essere accolta necessariamente in una col riconoscimento del pri mato della ragione dialettica e del suo antagonismo col pen siero scientifico, identificato polemicamente con il logos del dominio e dello sfruttamento. La questione non è certo di quelle che si possano affrontare in una breve premessa, ma l'averla sfiorata valga come indicazione di un orientamento culturale e cli un dissenso che, per quanto non possa essere ora sufficientemente moti vato, non sarebbe stato neppure giusto tacere. Per altro, col rifiuto dell'antagonismo tra ragione scientifica e ragione dia- 47
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lettica - la prima legata, pur nell'astrattezza delle sue gene ralizzazioni, all'immediatezza dei dati empirici e perciò co stretta ad assumere come insuperabile la « falsa positività» del reale, la seconda invece tutta tesa ad un compito di demi stificazione, capace di rivelare la «negatività» occulta ma essenziale della realtà - non si vuole sostenere che i me todi, le tecniche e le verità delle scienze (cioè queste nelle loro strutture e nel loro contenuto conoscitivo) siano miraco losamente risolutori dell'intero arco dei problemi umani, ov vero siano in grado senz'altro di fornire il «progetto» del futuro, di illuminare il telos (per adoperare una parola cara a Husserl, alla cui influenza non si sottrae il pensiero di Marcuse 2) dell'essere, al di là dell'orizzonte della realtà costi tuita, in contrasto coi fini riconosciuti e accettati da1la so cietà costituita. Si può, anzi, ammettere che la scienza e la tecnica, se considerate nel loro contesto socio-politico, non rimangono estranee ai mali della nostra civiltà e, perciò, pos sono farsi strumento di dominio e di repressione. Ma quando si mettono in discussione le «funzioni del metodo e dei con cetti scientifici stessi» e nello stesso tempo si parla di libe razione della scienza, è necessario poi dire che cosa sia questa scienza interamente rinnovata non solo nei suoi rapporti esterni con la società ma « nella sua struttura», sulla quale poggerebbe la possibilità di costruire una società veramente hbera. E ciò si può fare, crediamo, solo rinunciando alle troppo facili polemiche antiscientiste e attraverso un più circostanziato esame dei metodi e della natura dei procedi menti scientifici. Ma soprattutto ci preme qui dire che la condanna, pronunzata da Adorno e ripetuta da Marcuse, nei confronti di ogni tentativo di costruzione scientifica dell'este tica, al di fuori della discussione dei presupposti filosofici che essa coinvolge e che si riassumono nella convinzione che solo al pensiero dialettico sia dato di cogliere la vivente storicità dell'esperienza, pecca proprio di scarsa «dialetticità» nel proporre una interpretazione semplicistica e unilaterale delle scienze, alla cui effettiva realtà si sostituisce un'immagine deformata, non molto diversamente da quanto accadeva alla filosofia del Croce e dei suoi seguaci. Oltre tutto, a meno di
non voler far proprio un rigido determinismo sociologico, non si capisce perché il rinnovamento della scienza debba interamente delegarsi al futuro e non possa invece conside rarsi, tra condizionamenti e contraddizioni, già avviato nel presente. Che una scienza dell'estetica non esista di fatto e che i tentativi in tale direzione pecchino spesso di incom pletezza e di grossolanità, non è una ragione sufficiente per non valutare seriamente i numerosi e talvolta fondamentali contributi che, non proprio dall'area dell'ortodossia dialet tica quanto piuttosto da quella influenzata dal pensiero scientifico, sono venuti alla conoscenza dei fenomeni artistici. Se era doveroso in questa premessa toccare tale que stione, è però necessario aggiungere che ci siamo preoccupati di offrire una lettura il più possibile fedele dei testi marcu siani. È stata nostra intenzione soprattutto registrare alcuni temi sull'arte quali emergono dall'opera del pensatore te desco; non ci si attenda, quindi, neppure un'esposizione della hlosofia e del pensiero politico di Marcuse, ancorché la rifles� sione sull'arte e sull'estetica non occupi un posto marginale nello svolgimento dell'intero pensiero marcusiano, ma ne costituisca un momento cruciale e, in ogni caso, di grande evidenza, su cui poggia la stessa fondazione teoretica della sociologia e della politica marcusiane, se è vero che per Marcuse l'ipotesi di una civiltà che ponga fine alla repres sione ed al « dominio degli uomini e della natura» 3, è una ipotesi che deriva la propria legittimità dalla conoscenza della struttura stessa della psiche umana, e solo subordinatamente si arricchisce dei diversi apporti della critica sociale e poli tica. Scrive, infatti, Marcuse, che l'ipotesi di una civiltà non
1cpressiva va innanzitutto convalidata teoricamente dalla di mostrazione della possibilità di uno sviluppo non repressivo della libido sotto le condizioni della civiltà matura. La dire zione di tale sviluppo è indicata da quelle forze psichiche che, secondo Freud, rimangono essenzialmente libere dal principio della realtà, e trasportano questa libertà nel mondo della coscienza matura 4• Tali forze psichiche, che si sottraggono
al principio della realtà riportandosi a quello opposto del piacere, possono essere identificate, seguendo Freud, nella 49
fantasia. Questa ha una funzione d'importanza decisiva nella struttura psichica totale: essa collega gli strati più profondi dell'inconscio con i prodotti più alti della coscienza (arte), il sogno con la realtà; conserva gli archetipi della specie, le idee eterne ma represse della memoria collettiva e indivi duale, le immagini represse e ostracizzate della libertà... Come processo psichico fondamentale e indipendente, la fantasia ha un proprio valore di verità, che corrisponde ad una espe rienza propria - il superamento cioè della realtà umana antagonistica 5• E ciò perché la fantasia (anche se come pro cesso psichico separato nasce appunto dall'istituzione e dal predominio del principio della realtà, che introduce nell'unità della psiche la divisione e l'antagonismo di fantasia e ragione) sottraendosi al principio della realtà, si apparta sì, ma custo disce in sé, come memoria e struttura, l'aspirazione all'unità. Le verità dell'immaginazione vengono realizzate per la prima volta quando la fantasia stessa prende forma, quando crea un universo di percezione e comprensione - un universo soggettivo e allo stesso tempo oggettivo. Ciò avviene nel l'arte 6• La visione e l'attesa di una società non repressiva, la pos sibilità che all'attuale tipo di società, dominata dal principio di prestazione, subentri il « regno della libertà » riposano non tanto sulla validità delle analisi sociologiche, di cui pure ab bondano gli scritti di Marcuse, tendenti a dimostrare come questa possibilità sia una « possibilità reale » per il fatto che oggi esistono tutte le forze materiali e intellettuali necessarie per realizzare una società libera 1; ma soprattutto sulle im magini della libertà offerte dall'arte e dal mito orfico e narci sistico. Anzi, si può dire che quelle analisi sono rese possi bili, nel senso che sono provocate e dirette, proprio dalla rap presentazione della libertà che la fantasia fornisce loro. Contro l'obiezione, accolta dallo stesso Freud, che una società non repressiva è irrealizzabile poiché la liberazione totale degli istinti, eliminando la repressione, distruggerebbe la ci viltà, fondata sull'« utilizzazione repressiva dell'energia istin tuale», Marcuse non fa altro che proporre, attingendola alSO l"arte e ai miti orfici e narcisistici, l'idea di una umanità e
di una natura unificate, legittimando, poi, la sua interpre tazione dell'arte con l'aggiunta di un excursus sull'estetica romantica che è anche una utile messa a fuoco delle fonti della sua propria concezione dell'arte. La distinzione stessa tra una repressione necessaria ed una addizionale, con la conseguente trasformazione del prin cipio di realtà in principio di prestazione, è suggerita dal l'affermazione del valore di verità del contenuto rappresen tativo dell'arte; essa, cioè, consegue al riconoscimento della dimensione estetica come opposta a quella della realtà costi tuita e capace di trascenderla positivamente nella prefigura zione del futuro. Il valore di verità dell'immaginazione non
si riferisce soltanto al passato, ma anche al futuro: le forme di libertà e felicità che essa invoca, pretendono di liberare la realtà storica 8• La riflessione sull'arte, dunque, non occupa un posto marginale nel pensiero di Marcuse, ché anzi essa rappresenta, come già prima si diceva, un momento di parti colare importanza, costituendo, se non la chiave di volta, il punto di appoggio per la costruzione dell'intero sistema. Del resto, già in uno scritto del '37, Zur Kritik des Hedonismus, Marcuse, anticipando alcuni temi della sua riflessione su Freud, ma soprattutto stimolato dalla collaborazione con 1-Iorkheimer, sottolinea il valore determinante della fantasia in contrasto con il ruolo repressivo esercitato dalla ratio del dominio. La liberazione dell'uomo dall'alienazione cui lo con danna la civiltà repressiva trova la sua anticipazione nella fantasia, che è l'unica attività umana che abbia il suo fine in se stessa. :e. il motivo, cioè, dell'arte come utopia che nega la negazione della libertà della società repressiva; motivo tipi camente adorniano, come ancora in seguito si dirà, che ri marrà costante nell'estetica di Marcuse, accompagnato dalla consapevolezza, anch'essa derivata da Adorno, del limite costi tutivo della contestazione estetica. Abbiamo ora accennato alle fonti dell'estetica di Marcuse; su tale questione crediamo utile soffermarci un po' più ampia mente. Dopo aver sottolineato quel che già appare evidente da quanto s'è fin qui detto, e cioè che Marcuse si serve larga mente e con una certa libertà dei contributi filosofici di Freud, 51
sarà opportuno riferirsi alla filosofia di Kant; infatti, scrive Marcuse, la sua concezione costituisce la guida migliore per comprendere la piena portata della dimensione estetica 9• L'estetica ha in Kant una posizione centrale, in quanto svolge un ruolo conciliatore tra il regno della ragione teoretica e quello della ragion pratica, tra necessità e libertà. Questa funzione mediatrice è assolta dall'immaginazione in virtù della sua capacità di collegare le facoltà « inferiori» della sensorietà con quelle « superiori » dell'intelletto, ponendo fine, in tal modo al privilegio della ratio, acquisito a spese della sfera del sensibile, in virtù del predominio del principio della realtà; l'immaginazione, dunque, promuove la liberazione della sensorietà (nel duplice senso di sensibilità e sensualità) dal dominio repressivo della ragione. Il piacere che accompagna la percezione estetica proviene dalla percezione della pura forma di w1'oggetto, indipendentemente dalla sua «materia» e dal suo «scopo» (intrinseco o estrinseco). Un oggetto rap presentato nella stta forma pttra è « bello». Questa rappresen tazione è opera (o piuttosto gioco) dell'immaginazione... Ben ché attinente ai sensi e quindi recettiva, l'immaginazione este tica è creativa: in 11na libera sintesi tipicamente sua, essa costituisce la «bellezza». Nell'immaginazione estetica la sen sualità genera principi universalmente validi per un ordine CJbbiettivo 10• Quest'ordine che prende forma attraverso l'espe rienza estetica è caratterizzato essenzialmente dalla « finalità senza un fine» e dalla « legalità senza legge». Per Marcuse queste due caratteristiche che definiscono concettualmente la bellezza e la libertà, così come le intese Kant, sono le stesse che delineano al di là dell'orizzonte del presente i contorni éli una civiltà non repressiva, nella quale al lavoro alienato si sostituiranno il gioco e la liberazione delle potenzialità dell'uomo e della natura, finalmente conciliate. Chi ha compiuto per primo questo passaggio, derivando dai concetti kantiani di « finalità senza un fine» e di « lega lità senza legge», « la nozione di una nuova forma di civiltà» è stato Schiller. L'antagonismo di sensualità e ragione, di materia e spirito, di natura e libertà, di particolare e univer52 ·sale, che domina la civiltà costituita, discende dal contrasto
tra l'impulso sensuale e quello di forma. Il conflitto irrisolto di sensualità e ragione ha dato vita al dominio della ragione a danno della sensualità, repressa e relegata su di un piano inferiore. Una effettiva soluzione del conflitto può aversi solo ad opera di un « terzo impulso » che concilii sensualità e ra gione, negando a questa la sua pretesa di dominio e liberando quella dallo stato di soggezione cui è stata piegata. Schiller
defìnì questo terzo impulso mediatore ·come « l'impulso del gioco», il suo obiettivo come bellezza, e la sua meta come libertà 11• La portata liberatrice del gioco, che è concetto fon damentale nell'estetica di Schiller, sta nel fatto che mediante esso si compie il superamento del « bisogno » e delle «costri zioni esterne », cioè, della realtà che così «perde la sua se rietà ». La realtà che « perde la sua serietà » è la realtà inu mana del bisogno e della necessità, ed essa perde la sua serietà quando bisogni e necessità possono soddisfarsi senza lavoro alienato. Allora l'uomo è libero cli « giocare » con le sue fa wltà e potenzialità e con quelle della natura... 12• Il mondo del gioco, che è quello stesso dell'arte, non appare confinato nelle pause, nelle «vacanze» dell'esistenza, poiché la funzione estetica è concepita come un principio che governa l'intera esistenza umana, e ciò può avvenire soltanto se essa diventa « universale » 13• Non ci interessa, in questa sede, vedere in qual modo, secondo la lettura di Schiller proposta da Mar cuse, l'impulso del gioco possa trasformare radicalmente la civiltà e quali siano, quindi, le conseguenze dell'«educazione estetica»; basti ricordare come Marcuse qui intrecci stretta mente le idee del filosofo romantico con altre desunte dal pensiero di Freud, del quale tuttavia non condivide le con clusioni pessimistiche intorno alla possibilità di instaurare una civiltà fondata sulla «liberazione degli istinti ». Infatti, laddove Freud scorge un antagonismo insuperabile tra il principio del piacere e quello della realtà, Marcuse affida la sua ipotesi di un ordine non repressivo proprio alla possi bilità di conciliare quei due principi. Il valore cognitivo del l'arte, la sua verità, sarebbe proprio nel fatto che l'arte, ne gando l'ordine repressivo delle civiltà storiche, si proiette rebbe nel futuro trascendendo il presente e anticipando 53
l'immagine di una civiltà libera. Necessariamente, dunque, in contraddizione, oggi, col presente, di cui contesta la fonda mentale non-libertà, l'arte si vedrebbe privata della sua tra scendenza quando fosse pienamente attuata una civiltà non più repressiva. Una volta realizzata la libertà, l'arte cesse-
1·ebbe di costituire il veicolo della verità. Hegel, che riteneva tale realizzazione il compito della propria epoca, era giunto a proclamare che l'arte· apparteneva ormai al passato, che aveva ormai perduta la sua sostanza... Nella teoria marxiana, poi, non venne meno tale nesso storico tra progresso sociale e cramonto dell'arte: lo sviluppo delle forze produttive rendeva infatti possibile, per Marx, il materiale adempimento di quella « promesse du bonheur » che l'arte esprime; l'azione politica ( la rivoluzione) ha il compito appunto di trasformare in 1·ealtà questa possibilità 14• Ma l'accenno all'estetica di Hegel e di Marx, contenuto in questa citazione, non s'intenderebbe pienamente se non si ricordasse che tutto il pensiero di Marcuse si pone nel solco cli una tradizione hegelo-marxiana, con la quale è accolto e ribadito soprattutto il motivo del « pensiero dialettico ». La contestazione dell'arte è quella stessa operata dal « pensiero negativo », inteso come negazione dell'immediato, al quale rimarrebbe invece legata la ratio astratta delle scienze, che viene identificata con il logos del dominio e il principio della realtà costituita. Il pensiero dialettico o negativo non si ferma alla constatazione dell'esistente, come dato ultimo e insuperabile, ma suppone la liberazione dell'essenza dall'esi stente. La stessa separazione di soggetto e oggetto, con la connessa alienazione del secondo dal primo, è hegelianamente superata dalla dialettica. La logica dialettica può dunque con siderarsi una logica della libertà o, piit esattamente, una logica della liberazione, dato che il processo è quello di un mondo alienato, la cui « sostanza » può diventare « soggetto » ( secondo la tesi hegeliana della « Fenomenologia dello spi rito») soltanto superando le condizioni che «contraddicono» la sua realizzazione 15• L'aver soltanto sfiorato il problema della dialettica, che costituisce uno dei nodi più delicati e contro54 versi della cultura filosofica contemporanea, ci impone di dire
perlomeno che il tema del pensiero dialettico ci riporta piu indietro negli anni, a Ragione e rivoluzione 16, alla già ricor data Critica dell'edonismo, e infine alla Ontologia di Hegel e la fondazione di una teoria della storicità 17, la quale propone già una vigorosa ripresa della dialettica hegeliana, affiancan dosi in tale direzione al Kierkegaard di Adorno, la cui prima stesura risale al 1929-30 18• In quest'opera Adorno aveva av viato la sua polemica contro il logos astratto e classificatore delle scienze in nome della dialettica e del ruolo fondamen tale della categoria della « totalità », con cui Hegel identifi cava il concetto di « verità». Da una filosofia scientifica - scrive infatti Adorno - si esigeva che i suoi concetti si
costituissero come unità delle caratteristiche degli oggetti da essi abbracciati. Ma se la concezione kantiana della filo sofia come scienza fu formulata da Hegel, per la prima volta in senso esteso... non per questo la sua esigenza di concettua lismo scientifico coincide con l'esigenza di una costituzione univoca dei concetti quale costituzione di unità delle caratte ristiche. Il metodo dialettico... consiste piuttosto nel fatto che la chiarificazione dei concetti singoli, in quanto loro completa definizione, può essere attuata solo partendo dalla totalit� del sistema aperto e non mediante l'analisi del concetto sin golo isolato 19• Ed aggiunge questa significativa citazione da Lukacs: È pertinente all'essenza del metodo dialettico il fatto che in esso i concetti falsi, falsi nella loro astratta unilatera lità, pervengono ad annullarsi. Questo processo dell'annulla mento tuttavia rende allo stesso tempo necessario che si faccia uso ininterrotto di tali concetti unilaterali, astratti e falsi; che i conce Ili vengano condotti al loro giusto significato non tanto mediante una definizione, quanto mediante la fun zione metodica che essi assumono nella totalità quali mo menti annullati 20• Nella linea di questa ripresa dell'esigenza dialettica si pone costantemente il pensiero di Marcuse negli ulteriori sviluppi di Ragione e Rivoluzione e ancora oltre, fino alle opere più recenti. L'apertura a Marx si attua proprio in questo contesto e si chiarisce come rifiuto del « sistema metafisico » in cui veniva imprigionata da Hegel la dialettica, e accentuazione del carattere storico di questa .... La dialet- 55
cica hegeliana finisce poi con il superare il processo storico stesso riducendolo a parte di un sistema metafisico in cui La Libertà ultima altro non è che la libertà dell'idea. Il cosiddetto « capovolgimento » marxiano della dialettica hegeliana resta invece legato alla storia 21• Gli intenti di questa rassegna non ci consentono di fer marci più a lungo su questo momento, pure fondamentale, del pensiero di Marcuse. E neppure, limitatamente all'argo mento che ci interessa, ci è possibile dare un repertorio com pleto delle fonti della sua estetica. Sarà però necessario no tare come alcuni concetti centrali di questa appaiano piena mente svolti negli scritti di Adorno, e non di rado con mag giore acutezza di analisi 22• A scopo puramente indicativo, val gano le seguenti schematiche osservazioni. La nascita dell'arte è vista in rapporto ad un processo di separazione che mette capo da una parte all'arte, appunto, e dall'altra alla ragione scientifica, al servizio del dominio e dello sfruttamento dell'uomo e della natura. L'arte, che è dunque un prodotto della separazione, rivela la propria essenza non chiudendosi nella sua falsa autono mia, ma nell'aspirazione a superare la propria separatezza e a riconquistare l'unità originaria. Tale aspirazione produce il distacco e l'antagonismo del l'arte nei confronti della realtà costituita, del mondo in cui domina l'io pratico, ovvero la legge della necessità ed il prin cipio di prestazione. In questo senso la vera arte è sempre ,< trascendente » rispetto al presente e contiene il ricordo e insieme la promessa di una natura e di un'umanità conciliate. Se il presente storico è affetto da una fondamentale con dizione di non-libertà, la funzione dell'arte è quella di negare questa negaziore. Infine: nell'esplicazione di questo suo compito, si rivela il paradosso costitutivo dell'arte, poiché essa proponendo l'im magine della libertà contesta la non libertà dell'esistenza uma na, ma non può farlo che positivamente, attraverso la sedu zione della forma estetica che dà parvenza di realtà a ciò che non esiste. Il superamento di questo paradosso è il supe56 ramento e. la negazione dell'arte stessa, come processo auto-
nomo e separato. Onde l'arte che nega se stessa non fa che riprodurre il processo della ragione dialettica. Specialmente su quest'ultimo punto l'estetica di Marcuse nppare fortemente tributaria di quella di Adorno. Ora, se la forma ... è essenziale all'arte, e se il bello è un elemento morfo
logico essenziale per l'arte, ne dovrebbe conseguire che l'arte era falsa, ingannevole e autoillt1soria nella sua stessa strut tura; l'arze è invero un'illt1sione: presenta come esistente ciò che «non» è. Perciò, l'arte è piacevole; procura una gratifica ;:,ione sostitutiva all'interno della realtà miserevole. li «cliché» clella gratificazione sostitutiva contiene quindi un nucleo di verità ... li grande artista può raccogliere tutta la pena, l'or rore, il dolore e la disperazione della realtà e lutto qt1esto diventa bello, perfino gratificante, ad opera della forma arti !>/ ica stessa 23• La forza e la debolezza dell'arte è proprio questa, che, come Mida, trasforma in oro - Io splendore seducente ed esterno della bellezza - tutto ciò che tocca. In t1n modo o nell'altro nella disposizione delle linee, nel ritmo, nel contrabbandare gli elementi trascendenti della bel lezza, la forma artistica afferma se stessa e nega la negazione. L'arte sembra condannata a rimanere arte, ct1ltura per un mondo e in un mondo di terrore. l,'anti-arte più sfrenata si trova di fronte al compito impossibile d'abbellire e dare forma al terrore. A me sembra che la testa di Medt1sa sia il !>imbolo eterno e più adegt1ato dell'arte: il terrore come bel lezza; il terrore colto nella forma gratificante dell'oggetto magnifico 24• Ma anche dove il discorso sulla struttura dell'esperienza artistica cede al discorso sociologico e s'apre all'esame della moderna cultura di massa, le implicazioni adorniane nel pen siero di Marcuse non sono poche. Così, le pagine del terzo e;apitolo dell'Uomo a una dimensione presuppongono chiara mente quelle del saggio di Adorno e Horkheimer sull'indu �lria culturale 25, in modo particolare quando si insiste sulla capacità della civiltà industriale matura di assimilare e neu tralizzare il rifiuto della realtà pronunciato dall'«alta cul tura » cui l'arte appartiene. Le ultime voci di una protesta non riassorbita nel «sistema», sono, secondo Marcuse, quelle 57
dell'arte e della letteratura surrealiste dei decenni tra il '20 e il '40 26• Ma il contrasto tra la dimensione sociale e quella del l'arte nella « società tecnologica in espansione » viene gra dualmente conciliato. Con la sua graduale scomparsa, il Grande Rifiuto viene a sua volta rifiutato; l'« altra dimensio ne » viene assorbita nello stato di cose prevalente. Le opere nate dalla condizione alienata sono incorporate in questa società e circolano come parte integrante dell'attrezzatura c;he adorna lo stato di cose prevalente e ne illustra la psico logia. Esse diventano in tal modo strumenti pubblicitari. Ser vono a vendere, a confortare o ad eccitare 27• Da ciò si com prende non solo la parallela condanna del cosiddetto «realismo socialista» - che pretende di negare la trascendenza costi tutiva dell'arte e si spinge fino ad assumere la realtà sociale costituita come il contesto definitivo dell'operazione artistica, che non deve trascenderlo mai, vuoi nello stile, vuoi nella sostanza 28 - ma anche la sfiducia nelle proposte delle ultime avanguardie. Gli sforzi per ridare vita al Gran Rifiuto nel linguaggio letterario sono condannati ad essere assorbiti da ciò che intendono confutare. Come classici moderni, l'avan guardia e i « beatnik » si dividono il compito di divertire �enza porre in pericolo la buona coscienza degli uomini di buona volontà. Il fatto che siano così assorbiti è giustificato dal progresso tecnico; il rifiuto è confutato dall'alleviamento della povertà nella società industriale avanzata. La liquida zione dell'alta cultura è un sottoprodotto della conquista della natura, e della progressiva conquista della scarsità 29• In tal modo, a ben vedere, si attua in anticipo la hege liana « morte dell'arte», ma non già perché la realtà, dive nuta il regno della libertà, abbia effettivamente superato l'arte, bensì in virtù del falso appagamento del bisogno di libertà, dell'illusoria liberazione degli istinti che offre la ci viltà tecnologica. La dimensione utopistica dell'arte, che è trascendenza rispetto al presente e apertura sul futuro, è annullata e appiattita nella società ad una dimensione che mobilita tutto l'apparato tecnologico e politico di cui dispone 58 per impedire l'attuazione del regno della libertà. In questo
piano repressivo rientra la paralisi dell'immaginazione, che impedisce, prima ancora che la realizzazione, il progetto stesso della libertà. L'atrofia e la paralisi dell'immaginazione, che può identificarsi con la rinuncia dell'arte a trasformare e a trasfigurare i suoi oggetti, viene per�eguita attraverso quella più generale tendenza alla « desublimazione repressiva » cui è: dedicato il terzo capitolo dell'Uomo a una dimensione. Per Marcuse, ad esempio, la profonda differenza che corre tra le espressioni artistiche del primo surrealismo e quelle recenti della pop-art risiede appunto in questo: mentre il primo ribadisce il potere dell'immaginazione, come facoltà conosci tiva, onde promuovere la creazione di un meta-linguaggio della negazione totale - una negazione totale che trascende persino l'azione rivoluzionaria stessa JO; la desublimazione della pop è di tipo repressivo, poiché può afferrare ed essere
c,rgogliosa di afferrare gli avvenimenti ( « happenings ») della stanza da letto e della stanza da bagno, ma ormai lo « shock » i: da lungo tempo scontato ed è anche acquistato in massa e assorbito 31• Si tratta perciò di una desublimazione control lata e conformistica, che sottrae all'arte il suo potenziale di rivolta e traduce il dissenso, il rifiuto della realtà che carat terizzava l'arte come fenomeno di sublimazione, in accetta zione irresponsabile ed apatica, se non addirittura stupida mente beata, della società del benessere. Alla luce di queste considerazioni si può dire che ugual mente a vantaggio del sistema sembrano ritornare i vari ten tativi di arte tecnologica. Se, infatti, è vero che l'arte con tiene in sé, nella sua separatezza, un principio di ordine e di bellezza che va oltre l'arte stessa, se è vero che l'immagina zione si è estraniata dalla realtà perché costretta a custodire in sé l'immagine della libertà negata e repressa dall'ordine costituito, ma che nello stesso tempo la dimensione estetica è. una dimensione potenziale della realtà stessa e non sol tanto dell'arte in quanto opposta alla realtà 32; allora non vi può essere peggiore tradimento della funzione dell'arte che quello di chi pretende di dare per reale ciò che non lo è, ma che reale può diventare di fatto. In questa possibilità di tradurre effettualmente i suoi progetti starebbe oggi il valore 59
politico dell'arte. !:. venuto il momento di unire la dimensione estetica e politica, di preparare il terreno nel pensiero e nel
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l'azione per fare della società un'opera d'arte. E forse in questo senso si giustifica storicamente il concetto di « morte dell'arte »? Non che l'arte - avverte Marcuse - possa da sola operare questa trasformazione radicale della società; ma può porne le premesse nella sensibilità e nella educazione degli uomini; e, ancora, dal momento che fosse avvenuto un cambiamento sociale, l'arte, la forma della percezione, po trebbe guidare la costruziot1e della nuova società 33• Ora, l'in ganno e la mistificazione dell'arte tecnologica e del realismo sovietico (sul quale esplicitamente e di frequente si è espresso il filosofo tedesco-americano >1) stanno proprio nella presun zione che questi cambiamenti sociali siano già avvenuti, o possano conseguirsi gradualmente. In che modo allora l'arte può oggi sopravvivere, dal momento che quella società tota litaria che ne impedisce la morte e la trasfigurazione finale, nell'identificazione di arte e società, ne assorbe e annulla anche la. protesta, capovolgendo il rifiuto in consenso? Si direbbe che le conclusioni dell'Uomo a una dimensione nei riguardi dell'arte, come di altri scritti più recenti, non siano sostanzialmente dissimili da quelle cui giunge Adorno 35, se non per un più evidente oscillare tra la constatazione del l'impossibilità dell'arte di salvarsi nel presente e una riarfer mata fiducia nel valore del messaggio artistico. Il futuro, sembra dire Marcuse, non dipende dalle nostre previsioni e dalle nostre ipotesi; non è la apparente scientificità di queste che ci potrà garantire la loro effettiva realizzazione, la quale sarà, se mai, il risultato dell'azione politica. Oggi la lotta per la vita, la lotta per l'Eros è la lotta politica 36• Ciò che si prepara per il nostro domani è l'alternativa tra una distruzione del « sistema » che coinvolga la soprav vivenza dell'intera umanità e la trasformazione rivoluzionaria della realtà: una alternativa che si configura, però, piuttosto come la disperata scommessa dell'esistenzialismo negativo che come una previsione di possibilità diverse, di diverse probabilità. L'arte accoglie e riproduce, nella sua ambiguità e, diremmo, nel suo esser sospesa, oggi, tra la vita e la morte,
le contraddizioni del presente, quali affiorano dalle analisi marcusiane. Il destino dell'arte non è nelle mani degli artisti; esso dipenderà dal successo o dal fallimento dell'azione poli tica. Ma va osservato come quel che oggi è in gioco non è solo se l'arte, domani, sarà ancora condannata alla « separa tezza » - una separatezza mercificata e privata sempre più del suo contenuto di trascendenza - o se essa potrà attuare il desiderato amplesso con la realtà; non si tratta, cioè, solo dell'adempimento del fine dell'arte e, quindi, della sua futura trasfigurazione. Quel che viene messo in questione è la stessa essenza storica dell'arte: se essa sia stata l'ombra ingannevole cli un sogno o la luminosa prefigurazione dell'avvento del « re gno della libertà ». L'enigma del futuro si ribalta sul passato. E potrà sembrare, questa, una conclusione inevitabile per chi accetti l'idea della verità come totalità. Ma è, in effetti, la conseguenza naturale, e non per questo meno paradossale, della vanificazione « dialettica » del concetto di verità in quello di totalità e della identificazione di questa con la aperta e sfuggente processualità storica. VITALIANO CORBI
1 R. GUARINI, li pensiero estetico di Adorno, in • Op. cit. •, maggio 1967, n. 9. 2 Si veda, ad esempio Sulla scienza e la Fenomenologia, in H. MAR• CL'SE, Critica della società repressiva, Feltrinelli, Milano, 1968. J L'espressione, con tutte le implicazioni concettuali presenti in Marcuse, è ripetutamente adoperata da M. Horkheimer e Th. W. Adorno nella Dialellica dell'illuminismo, trad. ital. Einaudi, Torino, 1966. • H. MARCUSE, Eros e civiltà, trad. ital., Einaudi, Torino, 4• ed., 1968, p. 166. s ibidem, pp. 168, 171. 6 ibidem, p. 171. 7 H. MARCUSE, La fine dell'utopia, trad. ital. Laterza, Bari, 1968, p. 12. 8 H. MARCUSE, Eros e civiltà. cii., p. 175. 9 ibidem, pp. 195-196. 10 ibidem, p. 198. 11 ibidem, p. 206. 12 ibidem, p. 207. 13 ibidem, p. 207. 14 H. MARCUSE, Soviet Marxism, trad. ital., Guanda, Panna, 1968, pp. 111-112. IS ibidem, pp. 120-121. 16 H. MARCUSE, Ragione e rivoluzione, trad. ital., Einaudi, Torino, 196:1, 17 H. MARCUSE, Hegels Ontologie und die Grrmdlegung einer Theorte der Geschichtlichkeit, Krostermann, Francoforte sul Meno, 1932.
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11 TH. W. ADORNO, Kierkgaard, costru,ione dell'estetico, trad. ital., Longancsi, Milano, 1962. 19 ibidem, pp. 21-22. 20 ibidem, p. 23. 21 H. MARCUSE, Soviet Marxism, cit., p. 121. 22 Cfr. R. GUARINI, Il pensiero estetico di Adorno, cit. 23 H. MARCUSE, Critica della società repressiva, cit., pp. 144-5. 24 ibidem, p. 146. 25 H. HORKHEIMER, TH. w. ADORNO, Dialettica dell'illu111i11ismo, cit. 26 H. MARCUSE, L'uomo a una dimensione, trad. ital., Einaudi, Torino, 7• ed., 1968, p. 79. 21 ibidem, p. 83. 28 H. MARCUSE, Soviet Marxism, cit., p. 110. 29 H. MARcusE, L'uomo a una dimensione, cit., p. 89. lO H. MARCUSE, Critica della società repressiva, cit., p. 137. 31 ibidem, pp. 145-146. 32 ibidem, p. 141. 33 ibidem, p. 142. 34 Cfr. cap. VI, parte I del cit. Soviet Marxism. lS TH. W. ADORNO, Dissonan,e, trad. ital., Feltrinelli, Milano, pp. 170-185. 36 H. MARCUSE, Prefa,ione politica a Eros e civiltà, in Critica della società repressiva, ci t., p. 108.
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