Op. cit., 15, maggio 1969

Page 1


Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea

Direttore: Renato De Fusco Redazione e amministrazione: 80123 Napoli, Salita Casale di Posillipo 14

Tel. 300.783

Un fascicolo separato L. 800 - Estero L. 1.000

Abbonamento annuale:

Ordinario L. 2.000 - Estero L. 2.500 Sostenitore L. 10.000 Promotore L. 25.000 Un fascicolo arretrato L. 1.200 - Estero L. 1.500 Un'annata arretrata L. 3.000 - Estero L. 4.000 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo IV C/C/P n. 6-13689

Edizioni e Il centro •


R. SEGRE, Presenza di Cuba nella cultura architettonica con­ temporanea I problemi dell'istruzione artistica Architettura fra retorica e logica Libri, riviste e mostre

s 46

73

90

Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Gaetana Cantone, Marisa Cassola, Vitaliano Corbi, Renato De Fusco, Virginia Gangemi, Gio Persico, Italo Prozzillo, Maria Luisa Scalvini, Francesco Starace.



Presenza di Cuba nella cultura architettonica contemporanea* ROBERTO SEGRE

Viviamo in un ambiente sociale caratterizzato dalla va­ riazione dialettica delle contraddizioni che definiscono una divergente dualità: affermazione dell'uomo o negazione del­ l'uomo. Da questa formulazione astratta si libera, come una reazione a catena, fa successione di proposizioni anti­ tetiche nelle quali ·si alternano affermazione e negazione, riferite a condizioni reali, specificamente obiettive: uomo sviluppato o sottosviluppato; società capitalista o socialista; cultura di élite o di massa. Ogni proposizione teorica ridotta ad uno schema dualistico, metodologicamente sistemizzato, viene negata nella pratica reale - che è la prassi sociale se non contiene in se stessa una successione di polarità fat­ toriali trasformanti il sistema primario in un altro dialetti­ camente aperto, che nelle proprie variazioni od alternative possibili recuperi costantemente la proposizione originale. Da essa viene stabilita la dinamica attuale proiettata a scala mondiale: all'interno ed aH'esterno del mondo supersvilup* Questo saggio, che Roberto Segre, professore della Scuola di Ar­ chitettura dell'Università dell'Avana, ha redatto per la nostra rivista, presenta, anche per chi non ne condivide tutte le tesi, numerosi m<> tivi d'interesse: un'informazione di prima mano sull'attività critica ed operativa in corso a Cuba; un'interpretazione del dibattito architett<> nico occidentale dal punto di vista di un paese socialista apparte­ nente all'area del Terzo Mondo; un'analisi della storia del Movimento Moderno della visuale del più recente pensiero marxista.

S


pato; integrando o negando la tecnica; nella cultura o nella politica; tra la massa proletaria o l'élite intellettuale. L'inserimento del Terzo Mondo nel nostro processo sto­ rico ha trasformato la scala di valori formulata nei paesi sviluppati e ha contrapposto una persistente contestazione, non solo ai valori universalizzati, stabiliti da quei centri d'ir­ radiazione culturale, ma anche alla svalutazione terminolo­ gica e concettuale delle premesse storicamente enunziate, ne­ cessarie per imporre l'affermazione dell'uomo (non del vec­ chio «umanesimo» astratto e polisemico). E ciò in coinci­ denza con l'affermazione dell'«umanesimo rivoluzionario» 1• Tale atteggiamento viene elaborato attraverso una lenta, progressiva presa di coscienza delle acute contraddizioni im­ plicite nel mondo sottosviluppato, generatrici della condi­ zione subumana, dell'oppressiva negazione dell'uomo che ca­ ratterizza la vita sociale. Coscienza, quindi, delle necessità di agire in senso rivoluzionario sulla realtà, senza conces­ sioni ad ipotesi mediatrici che attenuano la spinta verso l'azione innovatrice, mistificando la chiara contraddizione strutturale di classe ed ipotizzando una direzionalità inversa, originata nella sovrastruttura, del rapporto fra azione so­ ciale e azione culturale. L'architettura dei paesi del Terzo Mondo non può es­ sere considerata come un fenomeno autonomo, ma dev'es­ sere studiata in rapporto con la realtà condizionante, con le motivazioni motrici del suo sviluppo e con gli elementi di riferimento esterni, nei quali vengono integrate le ipotesi teoriche con la pratica costruttiva. Si potrebbe enunziare una tendenza generica esistente nel Terzo Mondo diretta verso la liberazione e l'indipendenza; ma in realtà non esiste un modello omogeneo che integri paesi e continenti, come conseguenza del processo diseguale di sviluppo. I fattori con­ dizionanti impliciti nei paesi liberati sono differenti da quelli esistenti nei paesi sottomessi od in via di emancipazione. Per questa ragione le possibili generalizzazioni sorgeranno dall'analisi specifica dell'esperienza cubana, corrispondente alle condizioni di paese sottosviluppato liberato, vincolato alle 6 tradizioni culturali dell'Occidente 2•


Il principio di liberazione ed indipendenza viene nor­ malmente riferito al sistema repressivo e coattivo imposto dai paesi sviluppati a quelli sottosviluppati: è l'indigenza op­ posta all'opulenza, antitesi che difficilmente può essere cir­ coscritta al settore limitato dei beni o delle ricchezze mate­ riali 3• La contraddizione relativa alla sfera dei valori umani è legata sia al fatto che l'indigenza spinge alla riaffermazione dell'uomo attraverso la lotta rivoluzionaria ( « l'umanesimo ri­ voluzionario ») sia al fatto che l'opulenza di alcuni strati so­ ciali della società tecnologica capitalista - ricchezza di beni di consumo - provoca l'alienazione e l'aggressività degli uo­ mini, isolati e contrapposti nell'interno del corpo sociale 4• La presa di coscienza delle contraddizioni globali, tra sotto­ sviluppo e sviluppo, e specifiche, nel senso stesso del sotto­ sviluppo ma come riflesso della contraddizione globale, sta­ bilisce la chiarezza degli scopi verso i quali si tende, in coincidenza col nuovo sistema di valori espresso linguistica­ mente con la rivalutazione semantica della terminologia in atto. Pertanto il superamento della indigenza non si ottiene attraverso l'assimilazione dei modelli fissati dalla società opu­ lenta 5, ma con l'azione rivolta a raggiungere una società es­ senzialmente differente, nella quale si verifichi lo sviluppo integrale delle potenzialità creatrici di tutti i suoi membri, ricuperando l'equilibrio sociale della comunità, alterato da secoli nel mondo sottosviluppato dall'oppressione colonia­ lista. La liberazione è strettamente legata al concetto implicito nella parola rivoluzione, il cui significato nel Terzo Mondo resiste ad ogni tentativo di svalutazione polisemica trasfor­ mante l'esatto significato di cambiamento attraverso l'azione sociale, concetto mantenuto immutato dall'Illuminismo ai giorni nostri. Azione rivoluzionaria, realizzata dalla borghesia come metodo di trasformazione delle strutture sociali, ma immediatamente respinta quando la mise in pratica il proletariato. L'iniziativa borghese e quella proletaria si colle­ gano attravel'So la linea di sviluppo percorsa dalle grandi rivoluzioni, iniziatasi in Francia, continuata dalla Russia e in seguito nel Terzo Mondo dalla Cina, Corea, Vietnam, Cuba

7


ed Algeria, processo al quale corrispondono una teoria ed una strategia dello sviluppo politico-sociale e della successiva realizzazione degli enunciati essenziali. Questa evoluzione, ri­ portata alla sovrastruttura culturale, non si è manifestata con la stessa chia·rezza concettuale, né con una rappresentazione univoca del significato vigente nella prassi sociale. Le con­ traddizioni sorte all'interno del processo rivoluzionario, e l'uso indiscriminato del termine «rivoluzione » nel campo po­ litico e culturale della società borghese 6 hanno provocato la sua ambiguità e la perdita del suo significato limitato ad una caratterizzazione delle espressioni culturali. La mancata corrispondenza tra una società rivoluziona­ ria, cioè omogenea nella sua configurazione sociale, ed un'ar­ chitettura, o la possibile formazione di un'architettura, di contenuto rivoluzionario in una società con profonde con­ traddizioni di classe, richiede la chiarificazione e la defini­ zione dei limiti del concetto «rivoluzionario» applicato al­ l'architettura, con le sue implicazioni ideologiche, di conte­ nuto, funzionali, estetiche, ecc. Può applicarsi questo termine linguisticamente alla forma svincolata dai contenuti ideolo­ gici? Come si esprime il contenuto ideologico della nuova so­ cietà nell'architettura che la rappresenta, cioè rivoluzionaria? È possibile riferirsi ad una rivoluzione architettonica, conce­ pita in termini di spazio-forma-funzione-tecnica, che influisca sulla trasformazione della società? E d'altra parte, risulta valida l'alternativa di ipotizzare forme, strutture, spazi «ri­ voluzionari » all'infuori di una funzionalità sociale rivolu­ zionaria che li preceda e determini? Si può affermare che la vera architettura rivoluzionaria non si è ancora materia­ lizzata, mancando le premesse socio-culturali che la devono originare? Sono queste alcune delle domande a cui ci pro­ poniamo di rispondere, accennando ai precedenti impliciti nell'evoluzione, dall'Illuminismo ai giorni nostri, processo dal quale assimiliamo, oggi nel Terzo Mondo, le premessè teo­ rico-concettuali, che integrate con l'esperienza pratica quo­ tidiana, permettono di concretare i postulati essenziali della 8 nuova architettura.


1. Eredità della rivoluzione borghese. Il primo riferimento ad una architettura rivoluzionaria viene dal Neoclassicismo nato in coincidenza con la Rivolu­ zione francese 7, esemplificata dalle opere di Boullée e Le­ dowc nelle quali si esprime l'ideologia borghese, libertà, uguaglianza e fraternità, attraverso la valorizzazione omoge­ nea delle funzioni sociali 8, contenute in un sistema geome­ trico - simbolo della regolarità dell'ordine sociale - che esprime la variazione tipologica dei temi attraverso l'astra­ zione formale del repertorio architettonico dell'antichità. Su­ perati da questi autori i valori eterni ed immutabili espres­ sivi dell'architettura classica, l'individuo e la comunità as­ sumono il significato essenziale rappresentato dalla strut­ tura spaziale e formale 9, in coincidenza con la svalutazione della gerarchia simbolica delle funzioni: chiese, palazzi, case coloniche e fabbriche, vengono inserite nell'identità del lin­ guaggio architettonico, basato sull'utilizzazione delle forme geometriche elementari IO. L'apologia del neoclassicismo « rivoluzionario » diffusa dalla critica contemporanea proviene dalla ricerca di identi­ ficazioni figurative e non da una lettura socio-ideologica del suo apporto teorico e della mancata realizzazione pratica. Se il repertorio formale non sfuggiva ad una valutazione este­ tica tradizionale (mimesi, armonia, ordine e commensurabi­ lità) né all'utilizzazione dei mezzi .tecnici disponibili, ele­ menti che di per sé non esprimevano un contenuto ideolo­ gico progressista - implicita d'altra parte, nell'interpreta­ zione del dato funzionale - le ipotesi formulate in base ad una struttura funzionale della società, considerata omo­ genea, cioè non differenziata in classi antagonistiche, si di­ mostrarono contradditorie rispetto al mandato sociale impo­ sto dalla borghesia la cui posizione economica e politica si basava sullo sfruttamento del proletariato, alienato ed emar­ ginato dalla cultura. Questa era rappresentata dall'universo dei segni architettonici, coincidente, non con l'omogeneità sociale e funzionale, ma con l'autonomia individualista del 9


liberalismo borghese, espresso nel sistema urbano caratte­ ristico del secolo XIX 11• L'ipotetica armonia sociale, assunta da Ledoux come base della sua città ideale, corrisponde ad un'utopia fondata su di un ordine razionale, chiuso ed autonomo, emersa da una formulazione teorica non verificata dialetticamente nella prassi sociale. La forma reale (classica) doveva assorbirsi nella non-forma ovvero nella nuova funzionalità imposta dalla Rivoluzione Industriale, cioè in una struttura aperta, in­ dicativa della dinamica socio-produttiva esistente nella co­ munità omogenea in cui ogni forma si trasformava da ar­ chitettura-merce in architettura-servizio. Ed è appunto la massima valorizzazione dell'oggetto-merce che condiziona l'autonomia monumentale dell'architettura eclettica, mante­ nuta durante tutto il secolo XIX, esteticamente sacralizzata dalla «rispettabilità» antiplebea e che salvaguarda la «sicu­ rezza » sociale, assumendo ideologicamente una parte del la­ scito feudale-assolutista combattuto dalla borghesia nella lotta per il potere 12• In questo sviluppo viene annullato il carattere trasformatore delle forze geometriche semplici, del­ l'anticlassicismo implicito nella pura geometria astratta di Boullée e Ledoux, caratterizzanti le proposizioni estetiche « rivoluzionarie », ma non. proiettate oltre la concezione teo­ rico-plastica che -permise ad alcuni critici di identificarla con l'architettura razionalista, espressiva, nel nostro secolo, del rinnovamento interno della borghesia, che avendo perso da più di cent'anni ogni carica rivoluzionaria, dovette far fronte all'acutizzarsi della situazione sociale, assumendo una posi­ zione riformista. La reazione delle avanguardie figurative al­ l'inizio del secolo XX, contro l'ecletticismo perdurato lungo il secolo XIX, riflette chiaramente questo processo, fissando, nella violenza della contraddizione, il carattere rivoluziona­ rio - proclamato o no - identificato con le espressioni formali caratterizzanti quei movimenti. Si definiscono in que­ sto modo due chiare alternative: una dinamica architetto­ nica coincidente con la trasformazione radicale della so­ cietà ed una dinamica autonoma ed ipoteticamente motrice 10 della suddetta trasformazione; ambedue rese omogenee da


un repertorio linguistico basato su una tendenza estetica ed una realtà tecnico-costruttiva unitarie. 2. Co11tributi della Rivoluzione di Ottobre.

La Rivoluzione di Ottobre fissò l'indirizzo generale del processo d'identificazione tra la nuova società e l'avanguar­ dia architettonica, assumendo un valore esemplare nella so­ cietà europea, attraverso il superamento delle contraddizioni che permise la coincidente identità società-cultura-ideo­ logia-politica 13• Eliminati i fattori negativi della società bor­ ghese - divisione in classi sociali contrapposte; proprietà privata e speculazione fondiara; sviluppo economico basato sulla commercializzazione del prodotto-merce - e messa in crisi la sua struttura fondamentale, la nuova società co­ munista, con la sua chiara organizzazione socio-produttiva diretta verso un obiettivo concreto - l'essenza ideologica di Marx, il passaggio dal regno della necessità al regno della libertà - doveva ottenere la massima coincidenza tra il mandato sociale ed il gruppo di decisione architettonica. E ciò in una successiva approssimazione tra la pratica sociale e la pratica architettonica, fino al punto da istituzionalizzare un linguaggio referenziale collettivo ottenuto con un codice di segni linguistici il cui contenuto semantico avrebbe inte­ grato le differenti dimensioni della scala socioambientale (città, campagna) della vita comunitaria. L'insuccesso di questa esperienza, dopo quindici anni di proposte d'avanguardia e polemiche rivoluzionarie, la re­ gressione che ebbe luogo nel periodo di Stalin, come la ti­ mida sperimentazione visibile attualmente nel mondo socia­ lista 14 non devono ingannarci rispetto alla validità di un cam­ mino; né dobbiamo lasciarci attirare dal canto della sirena della critica borghese che nega il socialismo come unica via d'uscita per arrivare all'identità fra società e cultura, tra ar­ chitettura ed ideologia, tra avanguardia sociale ed avanguardia artistica, e che ipotizza l'indipendenza dei fatti architet­ tonici ed artistici rispetto alle strutture sociali. :E:: precisa­ mente la lezione contenuta in questa crisi momentanea, unita 11


alla -crisi permanente che si verifica nella società. opulenta, che decantata ci permette di trarre le conseguenze concet­ tuali necessarie per determinare le prospettive da svilup­ pare nell'architettura -dei paesi emancipati del Terzo Mondo. La lezione dell'architettura russa, a mezzo secolo di di­ stanza, conserva intatto il proprio valore teorico-concettuale, permettendoci d'altra parte, di valutare in una prospettiva già storica gli equivoci contenuti in formulazioni a volte contradittorie. In sintesi, i concetti ancor oggi validi - e perciò assimilabili nel Terzo Mondo - sono anzitutto il prin­ cipio dell'eliminazione dei contrasti fra città e campagna, già enunziato teoricamente da Marx ed Engels, considerato l'unica via per sopprimere le barriere culturali esistenti tra i diversi gruppi sociali; questo concetto è tradotto nei pro­ getti e nelle idee, in cui si proponeva l'integrazione tra indu­ stria ed agricoltura in un tutto organico, avanzati dal gruppo di architetti detti « disurbanisti » 15• Sviluppando la città li­ neare o concentrando sul territorio i nuclei residenziali, l'ar­ chitettura e l'urbanistica venivano inserite nella pianifica­ zione integrale dell'ambiente geografico, da ristrutturare in base al condizionamento sorto dalle necessità umane, ed an­ cor oggi concepito come la scala fondamentale dell'azione del designer sull'ambiente, cioè l'environment 16• Urbanistica ed architettura non concretizzate in proto­ tipi formali - simboli tematici o funzionali - sono elabo­ rate attraverso l'assimilazione di una dinamica sociale origi­ nata dall'integrazione tra vita individuale e collettiva, servizi di consumo e di cultura. Il centro della città non è più il luogo drammatico della concorrenza commerciale 17 della città capitalista: viene trasformato in centro culturale e di attività politiche e sociali; d'altra parte l'abitazione spari­ sce come unità autosufficiente, contenitrice univoca della vita familiare, caratteristica essenziale della tradizione piccolo borghese. Il nucleo minimo, indispensabile per lo svolgi­ mento della vita della cellula familiare, viene integrato dai servizi esterni rappresentativi del collettivismo predominante nella vita del nuovo uomo socialista; materializzato nei pro12 getti delle case-comune di Ginzburg.


Fondata su una struttura sociale rinnovata ed utiliz­ zando i mezzi tecnici più avanzati, la forma autonoma non esprimeva una simbolizzazione riferita ad ogni tema archi­ tettonico: la maggior importanza attribuita alla tecnica 1a ed all'organizzazione della vita funzionale della comunità, avrebbe indicato il processo di configurazione di un'architet­ tura concepita su una scala territoriale, abbandonando in questo modo l'autonomia plastica implicita in ogni edifi­ cio «monumento». Il contenuto tecnico-funzionale esprime­ va, attraverso il processo vitale verificatosi nella propria interiorità spaziale, la carica semantica dei segni architetto­ nici, come a sua volta l'evoluzione della società - espressa nel realizzarsi della vita quotidiana - e la tendenza ine­ rente al contenuto ideologico, di difficile rappresentazione in simboli o forme complete 19• La dimensione urbanistica rappresenta il sistema sociale collettivo; principio sostenuto dagli architetti della OSA - che aspiravano a creare i nuovi contenitori della vita sociale - e continuato negli anni 30 dal razionalismo europeo, attribuendo un valore simbolico alla rappresentazione della funzione 20, cioè alla trama essen­ ziale, indispensabile per lo svolgimento della vita sociale. L'estrapolazione ed unificazione di questi concetti, dalla complessa trama di idee dibattute in quegli anni difficili della costruzione del socialismo nell'URSS, conferiscono ad essi una coerenza della quale avrebbe dovuto risultare un'im­ mediata concretizzazione pratica, che non si è verificata nella realtà. L'idealismo caratteristico dei primi anni della Rivo­ luzione e l'opportunismo demagogico delle forze conserva­ trici che chiusero la libera discussione delle idee, approfit­ tando delle contingenze politiche, dimostrarono la necessaria ed indissolubile unione tra l'azione politica e l'azione archi­ tettonica 21 - cioè, come sosteneva Gramsci, la cultura come politica - non mantenuta però fino alle ultime conseguenze dall'avanguardia artistica ed invece utilizzata dai gruppi rea­ zionari, in coincidenza con l'affievolimento della spinta rin­ novatric.e della nuova società socialista 22• Rimane fuor di dubbio che il punto debole dell'idealismo -::aratteristico dei primi anni si manifesta nella ricerca di i3


un'espressione simbolica caratterizzatrice di ogni singolo edi­ ficio __; allontanandosi dal rigoroso rapporto forma-funzione o tecnica-funzione - fondata sulla componente tematica o la morfologia meccanica dell'industria che si voleva imporre come base produttiva della società in formazione. Concen­ trando l'interesse sul piano estetico e non sui contenuti - cioè sulla nuova struttura funzionale della società - sul­ l'espressicne estetica dell'ideologia e non sulla materializza­ zione dei postulati sociali che rappresentavano la realizza­ zione dell'ideologia, gli architetti si allontanavano dalle com­ ponenti della prassi architettonica e dal rapporto dialettico tra condizioni materiali e culturali, determinanti della prassi sociale, cioè dell'equilibrio tra la pratica estetica e la pratica costruttiva in rapporto al codice architettonico socialmente assimilabile. Questo sfasamento inaspriva le contraddizioni culturali, e perciò lo squilibrio linguistico, tra designers e società, conservando l'antitesi tradizionale tra cultura di élite e cul­ tura di massa che si desiderava eliminare. Il codice acces­ sibile a tutta la comunità fu ricuperato attraverso l'utiliz­ zazione delle forme risacralizzate in base ad un'inversione del contenuto ideologico, approfittando della perdurante referen­ zialità visiva, non ancora consumata a livello collettivo dalla comunità: al contrario, il carattere perenne implicito nelle forme classiche poteva facilmente identificarsi con la consi­ stenza della base socio-economica reale del sistema socialista. In questo modo, invece di tendere verso l'utopia - che poi non si dimostrò tanto lontana con l'accelerazione del pro­ cesso d'industrializzazione - gli architetti decisero di rifu­ giarsi nell'esteticità del passato, negando i contenuti essen­ ziali della vita comunista, che fortunatamente non si fossi­ lizzò nella rigidezza interna dei contenitori formali, prepa­ rando nel suo processo evolutivo le condizioni per la di­ struzione del vocabolario classico. D'altra parte, l'inesistenza di una teoria critica dell'architettura, adeguata al nuovo si­ stema di valori implicito nell'architettura contemporanea, nel quale venivano negate le categorie estetiche tradizionali, agì 14 come fattore ritardante, annullando la necessaria dinamica


dialettica tra le due componenti della prassi architettonica: la pratica costruttiva e la pratica teorica. Non è il caso di elencare l'ampia gamma di teorie divergenti il cui obiettivo principale fu di giustificare l'architettura « delle colonne», ma possiamo menzionarne alcune fra le più significative: 1) II ricupero del passato attraverso la persistenza del « reali­ smo » caratteristico della fine del secolo XIX, elemento inte­ grativo tra la cultura proletaria e l'eredità storica, partendo dalla tesi di Lenin sulla cultura proletaria 23, deformando così il contenuto della sua formulazione, diretta agli estre­ misti che sostenevano la negazione assoluta della cultura bor­ ghese considerata rappresentativa di una società decadente. 2) La persistenza di una concezione « classica» dell'architet­ tura nella quale si conservano immutabili i principi di « eternità » e « monumentalità» riferiti alle forme artisticamente simboliche, ponendo in secondo piano la fondazione pratica e funzionale: idee sostenute nell'URSS e curiosamente anche enunciate da Gramsci 24 • 3) La negazione del contenuto ideologico manifestato dal carattere simbolico dell'architet­ tura degli archi e colonne (tesi sorta dopo il discorso di Kruschiov nel Congresso dei Costruttori del 1954 25), neutra­ lizzando la forma architettonica ridotta a pura costruttività e resa successivamente « artistica ,. con l'inserimento delle arti plastiche 26• 4) La condanna del linguaggio architettonico contemporaneo - leggasi razionalismo - accusato di freddo tecnicismo disumanizzatore. Interpretazione nata da una va­ lutazione errata degli obiettivi e dei concetti fondamentali enunciati dai pionieri negli anni 30, basata sulla posteriore utilizzazione mercantile, di una poetica scaduta a prassi formale per la massa di costruzioni predominante ed inva­ dente nelle grandi metropoli europee. Il rifiuto del geome­ trismo figurativo dell'architettura contemporanea - posi­ zione nella: quale Lukacs concorda con Sedlmayr ed Ortega y Gasset 27 - proviene da una concezione tradizionalista del contenuto antropomorfico della forma e dello spazio, nella quale da una parte perdura inconsciamente il concetto di universalità dei valori classici, dall'altra vige ancora il con­ cetto di mimesi - della circostante realtà naturale - ne- 15


gato ormai definitivamente dal carattere iconico-simbolico dell'architettura; l'attaccamento a tali concetti tradizionali ha fatto dimenticare che quelle forme « astratte » sorsero come una risposta quasi scientifica alle funzioni essenziali svolte dall'uomo nella vita comunitaria. Abbiamo accennato al fatto che la rivoluzione sociale concretò le premesse fondamentali che avrebbero giustificato un'architettura rivoluzionaria, non solo dal punto di vista formale, estetico o costruttivo, ma in corrispondenza ad una nuova organizzazione dello spazio sociale, partendo dalla tra­ sformazione radicale dei modelli emergenti dalla società bor­ ghese, considerati validi fino a quel momento. Non può du­ bitarsi che la società aclassista impose una serie di alter­ native nuove all'organizzazione delle funzioni sul territorio, senza portarle sino alle estreme conseguenze, cioè distrug­ gendo in base ad una concezione rinnovata della funzionalità sociale e del rapporto tra l'individuo - la cellula minima, la famiglia - e la comunità, gli schemi tradizionali della società borghese; come conseguenza, prima avvenne una fos­ silizzazione dell'architettura, poi una successiva « moderniz­ zazione» attraverso un repertorio di forme, significativa­ mente neutre e tecnicamente progredite. Malgrado ciò, l'ere­ dità rivoluzionaria implicita nelle proposte dei primi anni, costituisce una delle componenti fondamentali nelle espe­ rienze che tendono alla creazione dell'ambiente costruito del nuovo uomo comunista. 3. Le contraddizioni del mondo sviluppato.

16

Prima di riferirci al processo specifico dell'architettura rivoluzionaria nel Terzo Mondo - analizzata attraverso l'esperienza cubana - dobbiamo citare alcune delle formu­ lazioni sorte nel seno della società capitalista, rappresenta­ tive delle contraddizioni esistenti nei diversi livelli della prassi architettonica (teoria, tecnica, estetica) coincidenti con quelli contenuti nella globalità sociale 28• Da ormai quasi cinquant'anni viene affermata insistentemente l'esistenza di un'architettura sostanzialmente rivoluzionaria o con suffi-


cienti capacità trasformatrici, che permettano il superamento, nell'interno del corpo sociale, delle contraddizioni di classe, economiche, ecc. Le Corbusier pretende di evitare la rivo­ luzione per mezzo dell'architettura�. proponendo astratti piani di costruzione d'abitazioni, che attenuino l'esplosiva si­ tuazione esistente nelle grandi città, senza tener conto degli interessi economici che controllano la produzione architet­ tonica, concepita solo come mercanzia, corrispondente alla richiesta, all'ideologia ed alla cultura della classe dominante. L'abitazione ugualitaria della Ville Radieuse non corrisponde alla realtà urbana attuale, nella quale coesistono lussuosi quartieri residenziali e grigi ed amorfi caseggiati della pe­ riferia; il superaffollamento dei centri e l'evasione nella resi­ denza individuale extra-urbana, basata sul concetto di loisir 30• A Le Corbusier si affiancano Gropius, che propone la salvezza attraverso la metodologia progettuale ed interdisci­ plinare, Mies van der Rohe (la salvezza attraverso la forma estetico-costruttiva), ecc. Proposte limitate al piano tecnico o culturale, sterilizzate dalla contaminazione implicita nel compromesso politico o ideologico, che ipotizzano ed idealiz­ zano una possibile rivoluzione dei tecnici o il passaggio della direzione industriale dai capitani d'impresa ai tecnici ed ai designers 31• Travisati i fondamenti tecnico-socio-funzionali del razionalismo e perciò anche la sua carica rivoluzionaria, attenuata dal compromesso col riformismo borghese, la sal­ vezza del movimento si realizza attraverso i presupposti estetici, cioè nei nuovi valori di « stile » elaborati attraverso l'eredità del Cubismo, Neoplasticismo e Costruttivismo. Questo sviluppo permise a critici ed architetti la diffusione per­ sistente dell'idea di una crisi del movimento e di una scarsa validità dei pr.incipali postulati negli anni di lotta, ormai lo­ gorati dalla deformazione mercantile; la commercializzazione del repertorio linguistico e la rapida affermazione della cor­ rente « organica », i cui valori estetici poterono sopravvivere incontaminati per più lungo tempo. Il fatto che i promotori della speculazione urbana si appropriassero dei segni archi­ tettonici, sprovvisti ormai di ogni potere designativo e qua­ lificativo 32, non può farci dimenticare l'ipotesi fondamentale

17


del Movimento, ancor oggi valida, di ottenere la configura­ zione omogenea dell'ambiente urbano, nel cui interno la complessa funzionalità, dinamica ed integrata nello spazio avrebbe creato la differenz�azione « segnica » richiesta. D'al­ tronde risulta anche una mistificazione della realtà l'ipote­ tica crisi del contenuto ideologico dell'architettura, rappre­ sentata dal fallimento del razionalismo, giacché mai l'archi­ tettura avrebbe potuto trasformarsi in promotrice della bat­ taglia ideologica, ma al contrario, formulare i modelli uto­ pici, partendo dalle condizioni reali derivate dal processo di trasformazione della società in base agli obiettivi propugnati dall'ideologia ed ottenuti attraverso la prassi rivoluzionaria ed ai quali non poteva corrispondere un linguaggio formale determinato, ma un sistema di forme e spazi condizionanti la nuova funzione della società. Assunta la realtà particolare della società capitalista, con­ testata nel campo specifico dell'architettura, sorgono i diffe­ renti livelli nei quali si sviluppano la teoria e la pratica ar­ chitettonica: 1) Accettazione del sistema, integrando l'archi­ tettura come alternativa tecnico-estetica opposta all'amorfi­ smo della vita quotidiana 33• 2) Rifiuto della tradizione ra­ zionalista perdurata nelle poetiche dei «maestri » ed assimi­ lata dal mercato borghese dell'architettura, attraverso la ri­ valutazione del concetto di « monumento », assorbito nella «città-manufatto» 34• In questa tendenza viene inserita la ri­ cerca di un'estetica dell'espressione - negando ogni conte­ nuto ideologico - o attraverso la rivalutazione delle forme del passato (L. Kahn) o dalla appropriazione della tecnica industriale più progredita 15• 3) Adozione della cultura po­ polare urbana dei paesi industrializzati, come dinamica for­ giatrice di una nuova estetica della città terziaria - posi­ zione considerata rivoluzionaria da R. Venturi o R. Banham, in contrasto con lo schematismo conservatore di eredità pu­ rista 36 - nella quale l'architettura concepita come mass-me­ dium ed i segni commerciali, del traffico, ecc. stabiliscono i termini di una nuova figuratività. 4) Prefigurazione di una immagine della città del futuro - dalla « Città Nuova» fino ad Archigram - nella quale spariscono tutte le contraddi18


zioni interne, socio-economiche-culturali, attraverso il valore purificatore della tecnologia industriale; città abitate solo da consumatori (la città del loisir) nelle quali la capacità produttiva dell'uomo raggiunge una dinamica che trasforma in « consumabile » tutto l'ambiente architettonico-urbanisti­ co 37_ Vengono così configurate diverse alternative di una ten­ denza che conduce ad un vicolo cieco, la quale trascura nelle proposte i fattori condizionanti della realtà, esistente o raggiungibile, che, a loro volta, nel trasformare la società conferiscono un contenuto e un significato alle proposte ar­ chitettoniche. Fin quando l'uomo e la società, ipotizzati dagli architetti, costituiscono un'entità astratta - astrazione iden­ tificabile con la morte dell'uomo e dell'umanesimo - risul­ tano in ugual modo senza importanza. Così come risultano le une o le altre polarità estreme della configurazione archi­ tettonica o territoriale: il ricupero di un « ordine ,. formale strutturante che, attraverso la semplificazione degli elementi classici, attribuisce un significato alla complessità della vita contemporanea (Louis Kahn) o l'evasione da ogni riferi­ mento formale nella ricerca di un'organizzazione dello spazio fisico-geografico, punto di partenza per ottenere l'integrazione tra cultura ed ambiente fisico 38• Si arriva così alla sospen­ sione del senso che coincide con la perdita d'intenzionalità della società borghese (morte dell'ideologia}, alla società di massa concepita come « società nuda», retta da un sistema di valori basato sulla ricerca del benessere, della sicurezza e del consumo 39• Questa riduzione si attua attraverso l'inci­ denza mediatrice dei mass-media, il cui contenuto coincide con i fattori che caratterizzano l'architettura attuale «>. L'ar­ chitettura si assimila al « sistema», che dispone di para. metri sufficientemente flessibili per assorbire le tendenze op­ poste: da un lato l'esigenza di un'architettura originata nei contenuti democratici della nuova cultura « mid-cult» ed in­ tegrante la figurazione consumista, e dall'altro la contesta­ zione totale, che in termini architettonici viene rappresentata dalla rivoluzione attraverso la forma, liberatrice della repressione alla quale è sottomesso quotidianamente l'indi-

19


viduo 41 • L'architetto pretende così di agire come una val­ vola di sicurezza (è l'alternativa di Le Corbusier riproposta persistentemente) senza percepire il carattere alienante della sua condizione - alienazione di « ordine superiore » - pro­ pria di chi è assorbito sottilmente da una società nella quale ogni proposta, ancor prima di materializzarsi perde ogni forza eversiva, ogni contenuto contestatore 42• Tale situazione è chiaramente dimostrativa della falsità delle accuse, indub­ biamente ancora impregnate di esteticismo idealista rivolte al razionalismo, alla povertà espressiva delle sue formula­ zioni plastiche. Esse in realtà costituivano solo una schema­ tizzazione di concetti il cui fondamento umano e sociale pos­ sedeva una carica rivoluzionaria significativa inesistente nel­ l'architettura attuale, più elaborata spazialmente e formal­ mente, ma contrapposta alla sistematizzazione ed interrela­ zione prodotta dalla funzionalità sociale. La produzione odierna è sottomessa ad un ordine prioritario gerarchico e simbolico che non rappresenta le aspirazioni della colletti­ vità ma la tendenziosità - ideologica ed economica - del gruppo di decisione, cioé, della minoranza al potere. Essa travisa le ipotesi, reali od utopiche, mascherate dalla falsa ideologia borghese, autoritariamente imposte agli .architetti ed espressive di una distorsione paralizzante della prassi so­ ciale, sulla quale si basa la prassi architettonica. La condizione di crisi generalizzata che si percepisce attraverso l'analisi della base teorica e della pratica dell'ar­ chitettura odierna potrebbe portare a certo nichilismo ri­ spetto alle possibilità di superamento della condizione pre­ sente: una nuova società che ancora non riesce ad espri­ mersi architettonicamente; una società in crisi nella quale d'altra parte nascono incitazioni concettuali che si materia­ lizzano di rado. Di fronte a questa dualità antitetica emerge il Terzo Mondo con una propria problematica e dinamica, capace di rivitalizzare e rielaborare un'eredità effimera e di scarsa validità, di trasformarla attraverso una riformula­ zione nella quale vengono invertiti i suoi contenuti ideolo­ gici, culturali e sociali. Ed è questa la ragione per la quale, 20 quando ci riferiamo al Terzo Mondo, non lo facciamo inqua-


drandolo in un ordinamento che tenda a emarginarlo, ad iso­ larlo come fenomeno, a staccarlo dalle correnti culturali dei paesi sviluppati che lo penetrarono attraverso la domina­ zione coloniale. Ci interessa pertanto dimostrare come gli elementi rappresentativi della cultura occidentale, corrispon­ denti al livello più alto di evoluzione della società nel suo insieme, possano essere assimilati nei diversi livelli di svi­ luppo - per esempio, l'appropriazione dell'alta tecnolo­ gia 43 - attraverso una persistente comunicazione bidirezio­ nale tra il mondo sviluppato e quello sottosviluppato; un costante rapporto dialettico tra ideologia e tecnologia. La concezione tradizionale nella quale si stabiliva il carattere indiscutibile di modello del mondo sviluppato, strettamente riprodotto dal mondo sottosviluppato, è ormai invalidata dai processi rivoluzionari che formularono modelli sociali e prin­ cipi ideologici differenti, che, d'altra parte, dimostrarono la loro assoluta validità all'interno dello stesso mondo svilup­ pato, mettendo in crisi la sua struttura di valori 44• Risulta allora che ogni proposizione isolatrice - nazionalista o fol­ cloristica - possiede un contenuto reazionario, sostenendo l'incontaminazione ideologica e la negazione dell'antitesi uni­ versale: affermazione dell'uomo o negazione dell'uomo, op­ pressi contro oppressori, mondo subumano che desidera urna. nizzarsi, strappando i previlegi a chi pretende conservarli a sue spese 45• 4. La linea seguila da Cuba.

Le trasformazioni accadute a Cuba negli ultimi dieci anni hanno dimostrato l'impulso vitale di una azione rivo­ luzionaria e la sua capacità distruttiva dei valori tradizio­ nali contenuti nella società, sostituendoli con altri completa­ mente differenti. Non è il caso di svolgere un'analisi delle condizioni esistenti prima del trionfo della Rivoluzione, ma è interessante sottolineare alcuni aspetti specifici legati alla cultura ed all'architettura. La tradizione culturale formatasi in America Latina at. traverso la colonizzazione spagnola persiste a Cuba lungo

.U


tutto il secolo XIX, caratterizzata dall'omogeneità degli ele­ menti che la compongono, provenienti dalle diverse classi so­ ciali, esprimendosi ancora scarsamente la contrapposizione città-campagna 46• All'inizio del secolo XX Cuba soffre la pe­ netrazione degli Stati Uniti, e assimila rapidamente i modelli provenienti dal mondo sviluppato, che sostituiscono i preesi­ stenti. Il mondo sviluppato conquista culturalmente e ma­ terialmente il mondo sottosviluppato in forma dominante, sottomettendo ed annullando ogni partecipazione popolare, distruggendo le tradizioni autonome ed indipendenti. Queste riescono a sopravvivere solo per ragioni antitetiche. In un caso, come conseguenza del rifiuto della realtà esistente, la tradizione assume il significato di difesa o di autonomia di un gruppo sociale rispetto agli altri - la cultura afro-cu­ bana - o di manifestazione aggressiva di fronte alla pseu­ docultura che si vuole imporre. Nell'altro, la tradizione as­ sume i significati voluti dai gruppi di decisione - motivata da interessi essenzialmente economici -; cioè lo pseudo-fol­ clore tropicale sviluppato all'Avana per i turisti nordameri­ cani, conferendo alla città un valore esotico, differenziato da quello ormai stereotipato di Las Vegas o Miami. La defor­ mazione della cultura si basa su di una chiara struttura sociale, valorizzatrice del gruppo al potere rispetto al resto della popolazione proletarizzata - rurale ed urbana - e sot­ toposta ad uno sfruttamento intensivo. In altre parole, è la cristallizzazione di una società repressiva nella quale la mino­ ranza dominante condiziona la massa produttrice con tutti i mezzi a sua disposizione. Questa situazione, riferita al set­ tore culturale, coincide con l'azione dei mass-media; di estrema importanza nella formulazione di modelli (uomo­ tipo, economia-tipo, oggetto-tipo) nei quali si esprime la con­ servazione della struttura sociale esistente ed allo stesso tempo si promuove l'assorbimento degli « oggetti ,. prove­ nienti dal mondo industriale sviluppato, che inondano il mer­ cato della società sottosviluppata, creano il mito della so­ cietà opulenta e contemporaneamente deturpano la cultura estetica e formale. Da una parte si produce la narcotizza22 zione e la passività sociale - voluta ideologicamente 47 -


dall'altra si crea un gusto eterodiretto, basato su una falsa interpretazione degli elementi tradizionali popolari, il cui scopo è quello di ottenere la massima- mercificazione dell'og­ getto. Ne risulta la falsa cultura « pop » nella quale pre­ domina il concetto di Kitsch come espressione di infracul­ tura 48• La pressione dei mass-media, negando ogni azione cul­ turale valida, incide anche sulla borghesia, portavoce dei principi emessi dalle fonti di diffusione, cioè degli interessi nordamericani. Il cinematografo, la televisione, la radio, la stampa e, nel suo ambito, anche l'architettura, tendono a riprodurre i modelli della american way of life ambiti in tutti i livelli della vita sociale. L'Avana esprime chiaramente la sua funzione di centro terziario, non di produzione e con­ sumo di merci, ma dedicata al loisir, strutturato conforme­ mente alle esigenze dei nordamericani. Mentre all'interno del paese l'ambiente formale rimane fedele alla tradizione agricola - corrispondendo la scarsità di mezzi alla scarsità di servizi - l'Avana centralizza le strutture commerciali e del tempo libero, negli alberghi lussuosi e monumentali (che ri­ petono Io stile dolciastro di Las Vegas e Miami) nei grandi supermarkets, nei centri di consumo. Le alte torri di appar­ tamenti nel centro della città concretizzano l'immagine-sogno dell'abitazione borghese nel grattacielo 49 e le grandi residenze nei lussuosi quartieri periferici consentono l'altra alternativa della casa immagine-evasione. Gli architetti, dedicati a svolgere questa tematica, non concepiscono la società come un complesso funzionale omogeneo - che sarebbe l'aspira­ zione utopica stimolatrice della trasformazione - rispon­ dendo così ad una richiesta tematica falsificatrice del con­ tenuto ideologico dell'architettura contemporanea, e travi­ sando il vocabolario formale che fa origina. Situazione alie­ nante dei tecnici che giustifica l'indistinta utilizzazione delle forme architettoniche, indipendentemente dal carattere pro­ gressista o reazionario del contenuto. AI deterioramento del­ l'ambiente provocato dagli « oggetti » culturali - dai gadgets fino ai realistici cartelli murali - si aggiunge H deterio­ ramen to architettonico, concettuale e formale, cioè formu- i3


latore di un'imagine urbana che non coincide con le solle­ citazioni comunitarie: è il deterioramento urbanistico pro­ dotto dall'assoluta autonomia dell'iniziativa privata. La rivoluzione è conseguenza di una dinamica essenzial­ mente umana, basata sull'azione dell'uomo che, escluso e sottomesso, si propone di distruggere la situazione coattiva, operando con le proprie mani la configurazione della real­ tà 50• Questa azione, sorta dall'avanguardia rivoluzionaria, con­ cepisce l'umanesimo non come un concetto astratto o filoso­ fico ma come una identificazione col contenuto reale della prassi sociale, la cui ideologia coincide con l'umanesimo ri­ voluzionario opposto alla società borghese, repressiva, anti­ umana ed alienante 51• Il risveglio della società narcotizzata ed atomizzata dagli strumen�i di dominazione ideologica, pro­ duce l'unione dei membri della comunità e la polarizzazione attorno alle idee-forza originatrici dell'intenzionalità sociale e delle nuova ideologia propulsiva 52• Esse hanno come scopo fondamentale la distruzione delle limitazioni frenanti che corrispondono al sottosviluppo - l'arretratezza economica e tecnologica - e la formazione di una coscienza individuale che promuova la partecipazione volontaria nel processo col­ lettivo attraverso l'integrazione dialettica tra individuo e complesso sociale 53• :e. la dinamica di un processo la cui finalità ultima è la formazione dell'uomo nuovo, membro della società comunista, che nel suo sviluppo deve imporsi l'abbandono progressivo delle contraddizioni ereditate dalla società precedente. Obiettività di intenzioni - la materializ­ zazione dell'ipotetico prossimo reale - espressa dai me­ todi applicati per trasformare in realtà la componente uto­ pica, concepita come formulazione di un modello futuro e non in termini astratti ed evasivi 54• La nuova società si struttura attraverso la concezione ugualitaria delle funzioni, cioè sul valore del lavoro di ogni individuo e sull'impegno morale assunto di agire come pro­ pulsore in corrispondenza con le esigenze richieste - acuite dalle condizioni di sottosviluppo - per superare il regno della necessità ed arrivare al regno della libertà. Si com,24 prende perciò lo sforzo sovrumano che caratterizza questa


situazione definita specificamente dal maggior lavoro - in contrasto con la problematica del loisir e del tempo libero esistente nei paesi sviluppati 55 - mantenuta fino a quando la comunità non disponga dei mezzi tecnici e materiali che permettano sostituire il lavoro umano con le macchine e la tecnologia più moderna. Il valore della prassi, attraverso la quale si conforma la coscienza, e l'intercambiabilità delle funzioni comunitarie - il rapporto costante fra la teoria e la prassi e tra le attività urbane e rurali - impongono la progressiva scomparsa delle categorie sociali: intellettuali e lavoratori manuali; d'altra parte, mentre la società trasforma le risorse disponibili in s·ervizi comunitari, si produce l'eli­ minazione dei dislivelli economici e l'incentivo all'azione pra­ tica, basato non su presupposti materiali ma morali, ma­ turati attraverso la formazione della coscienza sociale, base dalla quale si attinge la ricchezza necessaria per formare la società comunista 56• Il sottosviluppo è caratterizzato dagli acuti contrasti esistenti a tutti i livelli sociali: la struttura economica ori­ ginata da una condizione di dipendenza e non da uno svi­ luppo interno della comunità; la ricchezza accumulata nelle città e la miseria diffusa nelle campagne; la formazione spe­ cializzata di un'« élite» intellettuale e l'analfabetismo della maggioranza della popolazione; la cultura concepita come un privilegio di una minoranza e la sottocultura generalizzata e conservata dai mass-media. Se da una parte la massima energia della Rivoluzione si dedica alla ristrutturazione della base economica indispensabile per ottenere uno sviluppo interno equilibrato, razionalizzando i processi produttivi, ap­ plicando le ultime scoperte della scienza e della tecnica, pa­ rallelamente alla base economica è necessario creare l'infra­ struttura culturale che permetta l'eliminazione degli squilibri all'interno della società e la formazione dei tecnici necessari per fronteggiare la specializzazione sorta con i nuovi compiti progressivamente più complessi. Si giustifica perciò l'im­ portanza raggiunta dall'educazione in questi dieci anni, per eliminare definitivamente l'ignoranza e l'analfabetismo larga­ mente diffusi nella popolazione. La nostra è la lotta per la 25


diffusione di una cultura rivoluzionaria, ottenuta con lo svi­ luppo delle capacità razionali dell'individuo per permettergli di accedere al più alto livello di cultura accumulato attra­ verso l'eredità sociale - processo negato dalla società bor­ ghese 57 -; è la lotta per la liberazione individuale da:I mito, dalla falsificazione, dalla feticizzazione, conservatrici di una pseudocultura sovraimposta e considerata come valida. Tendiamo ad una cultura integrativa, unificatrice dei livelli contradittori esistenti nella formazione dei diversi gruppi so­ ciali, che riduca rapidamente la distanza tra il gruppo di decisione e l'immaginario collettivo sociale. La formazione di un'autentica cultura popolare non coincide con la volga­ rizzazione né con imposizioni dogmatiche o limitazioni espres­ sive 58; al contrario, si fonda sulle capacità creative dei tec­ nici che devono fissare la referenzialità dei segni e simboli socialmente riconosciuti ed inseriti nel codice esistente, par­ tecipi a loro volta dell'« alta » tradizione intellettuale. È una azione realizzata in due direzioni fondamentali: verso l'edu­ cazione di massa svolta a tutti i livelli d'istruzione - 1m­ ziata nel 1961 con la gigantesca mobilitazione nazionale per l'alfabetizzazione - particolarmente intensa nelle campagne e portata sino al livello universitario; verso la costante dif­ fusione delle espressioni più avanzate della cultura contem­ poranea attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Eli­ minata la struttura economica ed ideologica che imponeva il significato dei messaggi trasmessi dalla società borghese, tutti i mezzi furono messi a disposizione dello sviluppo della cultura sociale: strumenti formativi, liberatori ed amplifica­ tori dei nuovi rapporti comunitari nei quali si identificano i propri membri s9. L'intervento massiccio ai diversi livelli della cultura o l'omogeneità delle immagini trasmesse hanno caratterizzato la politica culturale di questo periodo. Eliminata l'alterna­ tiva tra « alta » cultura e Kitsch, tra immagini visibili quoti­ dianamente sprovviste di artisticità e la scarsa percezione delle espressioni artistiche di valore, raccolte in musei e gallerie, tra i fumetti per le masse e la letteratura per le mi26 noranze intellettuali, dieci anni di progressiva qualificazione


ambientale stanno creando le condizioni necessarie per elimi­ nare, specialmente nelle nuove generazioni, le deformazioni e tare caratteristiche della pseudocultura del!a società bor­ ghese. La comunicazione estetica (forma e contenuto) si esprime nei diversi livelli dell'assimilazione culturale quoti­ diana. L'immagine tipografica di libri e giornali, i film (docu­ mentari e lungometraggi), la grafica stradale, sono forme di comunicazione nelle quali i riferimenti visivi, l'emissione di immagini, conservano una qualificazione omogenea, in corri­ spondenza con una cultura plastica coerente. Immagini non circoscritte a zone specifiche di concentrazione culturale'. identici elementi visivi si distribuiscono uniformemente in tutto il paese, città e campagna. Cinematografo, grafica, espo­ sizioni e musei sono i mezzi principali utilizzati in questo processo di qualificazione estetica della comunità che espri­ mono l'evoluzione accelerata del gusto e della cultura figu­ rativa cubana. Dal punto di vista linguistico, il processo si è svolto attraverso l'assimilazione delle correnti plastiche universali - indipendentemente dai contenuti ideologici - inserite nella particolarità dell'ambiente locale e caricate di un si­ gnificato, di una formulazione concettuale che trasforma le immagini non ancora riferibili, in segni semanticamente assi­ milati dal punto di vista formale ed ideologico. La vita quo­ tidiana rivoluzionaria, la problematica politica, la partecipa­ zione a fatti fondamentali che toccano da vicino l'umanità intera 60, acquistano un significato sociale attraverso i canali comunicativi che trasformano le idee-concetto in immagini­ simbolo la cui forma plastica riassume sinteticamente in segni indicativi dell'idea globale. Creato il codice linguistico e il suo fondamento ideologico, il dialogo possiede un li­ vello di astrazione, dimostrativo del suo inserimento so­ ciale, rendendo inutile ogni pragmatismo realistico. L'identità d'interessi - l'intenzionalità sociale nella quale i membri si sentono partecipi - crea la base dell'imaginario col­ lettivo che definisce la direzionalità delle logotecniche 61• Il gruppo d'avanguardia, propulsore del disegno ambientale, ha ottenuto la trasformazione del sistema negativo di valori ere- 27


28

ditato dal passato in un sistema esteticamente accessibile ed assimilabile socialmente. Viene così invalidata la tesi che giustifica il caos e la bruttezza delle città capitaliste consi­ derate una nuova espressione estetica prodotta dai mass-me­ dia o dal gusto mid-cult, o la posizione inversa - sostenuta in alcuni paesi socialisti - di ricorrere ad un linguaggio elementare, realista, come mezzo di comunicazione con la massa, conservando in modo statico l'eredità del passato, rappresentativa di una cultura estetica ormai superata. D'al­ tra parte, se le difficoltà materiali caratteristiche dei primi anni di ogni processo rivoluzionario, che si riflettono sulla produzione di oggetti di consumo, riducendo la considera­ zione del problema formale, dato lo squilibrio fra la richie­ sta e la produzione insufficiente, si sono manifestate a Cuba in un certo primitivismo del design dei pochi oggetti d'uso elaborati, attualmente si sta realizzando una trasformazione in questo campo attraverso l'importanza acquisita dall'in­ dustriai design nella produzione in serie di mobili, oggetti d'uso, ecc. ed anche degli elementi utilizzati nei servizi sociali 62• La tendenza generale del design si basa su una ele­ mentare sobrietà, formale e materiale, corrispondente alla necessità di ridurre al minimo i costi ed ottenere una fun­ zionalità che neghi ogni riferimento simbolico o stilistico, formulata come alternativa educativa, funzionale e morale 63, contrapposta all'eredità persistente dell'oggetto «artistico» o « tradizionale». Gli oggetti concepiti ad una scala individuale o sociale costituiscono uno standard ambientale omogeneo, il cui significato si esprime attraverso il valore di servizio prevalentemente comunitario. Si ottiene così l'annullamento del feticismo per l'oggetto e dell'identificazione dell'indivi­ duo - unità isolata od autonoma nell'interno del corpo so­ ciale - con la specificità degli oggetti posseduti o col va­ lore caratterizzante la scala del prestigio sociale; fattore essenziale a Cuba prima della Rivoluzione e stimolato dal­ l'economia di consumo introdotta dagli Stati Uniti, nella quale il mito dell'automobile e la sua rapida obsolescenza fissavano il ritmo della dinamica del deterioramento e del cambio degli oggetti d'uso quotidiano. Se questa concezione


può considerarsi valida nel mondo sviluppato (e ciò sarebbe da discutere) non lo è di certo nel mondo sottosviluppato che si desidera superare, dove l'unità sociale, che promuove l'assorbimento delle differenze fra le categorie artistiche - high, middle e low-brow 64 - la scarsità di mezzi, e lo sforzo realizzato per ottenere il consolidamento della strut­ tura economica essenziale, limitano la produzione ed il con­ sumo degli oggetti d'uso, alle condizioni di una stretta fun­ zionalità. Se la trasformazione della cultura sociale, del contenuto dei mass-media, ed il significato del design, esprimono la rea­ lizzazione di un processo accelerato, che si materializza nel­ l'ambiente attraverso la fugacità ripetitiva delle immagini vi­ sive, non si compie un processo simile nei settori della pianificazione, dell'urbanistica e dell'architettura, legati ad una struttura economica che impone un ritmo di trasforma­ zione più lento e meditato. D'altra parte, se nel settore del design risulta più facile condizionare una politica culturale a successivi cambi d'orientamento, a correzioni in base agli errori commessi, eliminando rapidamente le tracce fisiche e concettuali precedenti, in quello della pianificazione è meno agevole trasformare una linea di sviluppo basata sull'organiz­ zazione del territorio, o su metodi industriali applicati alla costruzione o a un orientamento tipologico di una tematica architettonica. Passando al tema specifico dalla pianificazione, si verifica il fatto che prima della Rivoluzione non esisteva una concezione globale che considerasse il territorio in ter­ mini unitari. Divisa ed atomizzata dalla proprietà privata, Cuba era attraversata in tutti i sensi da strade e ferrovie tracciate per iniziative individuali che non venivano inte­ grate in un piano d'insieme. I grandi latifondi per l'alleva­ mento del bestiame e per la coltivazione della canna da zucchero costituivano le uniche superfici organizzate in base ad una certa funzionalità razionale - zone di approvvigio­ namento ai centri industriali zuccherieri - formando unità chiuse in se stesse nei limiti del proprio ciclo produttivo; unità che si sviluppavano indipendentemente dalle condi­ zioni fisiche o dalle particolarità regionali e perciò distrug- 29


30

gevano la fisionomia geografica originale, imponendo la col­ tivazione estensiva della canna da zucchero. I centri urbani si sviluppavano senza alcun controllo, occupando il terri­ torio agricolo in un continuo e disordinato aumento delle zone suburbane. L'Avana costituiva un fenomeno particolare ed autonomo, dovuto alla sproporzione del suo sviluppo in rapporto all'economia del paese; il livello di vita e la strut­ tura dei servizi in città si contrapponevano al primitivismo della vita rurale mantenuto in quasi tutta Cuba; una funzio­ nalità terziaria, stabilita ad una scala esterna, cioè in fun­ zione dell'organizzazione di centri di gioco e di loisir per i turisti nordamericani. La quasi totale disponibilità del territorio urbano e ru­ rale fissata dalle leggi rivoluzionarie, permette la creazione della base necessaria per svolgere un processo di pianifica­ zione integrale. Si portano subito avanti programmi parziali che alleggeriscono le tensioni sociali esistenti nelle città e nelle zone rurali: eliminazione dei quartieri malsani, distri­ buzione di terre e case ai contadini; costruzione di quartieri e comunità in cui vengono stabiliti i nuovi « standards », che sostituiscono il basso livello delle costruzioni speculative rea­ lizzate dalla borghesia. Evidentemente i mezzi disponibili non permettevano di cambiare la struttura ereditata nei centri urbani, né creare quella che, per dirla con Kevin Lynch, avrebbe stabilito la nuova immagine urbana. Ad ogni modo la persistenza della forma non corrisponde ad una persistenza funzionale: cambiato il contenuto della funzionalità urbana si attribuiscono nuovi significati alle forme preesistenti. Una delle prime attuazioni all'Avana è determinata dal desiderio di sopprimere la struttura dualistica, città borghese e città proletaria, integrando i nuovi complessi di abitazioni nelle zone residenziali ed alloggiando gli studenti nelle case ab­ bandonate dalla borghesia; si elimina così il carattere esclu­ sivo ancora mantenuto dai quartieri di « lusso » della città. D'altra parte il centro commerciale perde importanza, sosti­ tuito da due nuovi poli d'attrazione: il centro culturale ed il centro dove si svolge la vita politica cittadina. Si produce anche una variazione nell'intensità d'uso dei servizi: sparisce


l'isolamento che caratterizzava le strutture del tempo libero quando queste venivano utilizzate esclusivamente dalla bor­ ghesia: ora sono a disposizione di tutta la popolazione. Queste misure parziali, messe in atto all'Avana ed in altre città dell'interno, coincidono con le iniziative realizzate in campagna. Il contadino fu colui il quale, sin dall'inizio, data la sua partecipazione al processo rivoluzionario e date le sue condizioni infraumane di vita, richiamò la massima attenzione della Rivoluzione: distribuzione delle terre e co­ struzione di case singole, conservando intatti gli schemi tra­ dizionali fissati dalle aspirazioni materiali dei contadini, che indubbiamente rispondevano ancora a concezioni individua­ liste, valide nel capitalismo, ma ormai superate dal socia­ lismo. D'altra parte, questa risposta immediata corrispondeva all'accelerazione del processo rivoluzionario ed al desiderio di mantenere le promesse formulate dai dirigenti della Ri­ voluzione durante la lotta contro la dittatura 65• Pesava an­ che la mancanza, in quel primo periodo, di una prospettiva chiara dello sviluppo agricolo, specialmente quando tutti gli sforzi si concentravano nella ,formazione di una base indu­ striale che permettesse di superare al più presto il sotto­ sviluppo. Ma il processo economico interno e le condizioni economiche e politiche esterne - l'integrazione di Cuba nella sfera economica dei paesi socialisti - dimostrarono l'im­ possibilità di applicare direttamente gli schemi teorici senza una precisa verifica della realtà contingente. Il superamento del sottosviluppo non poteva costituire un problema di an­ titesi tra agricoltura ed industria, ma un processo dialettico tra queste due polarità, nel quale l'industrializzazione del­ l'agricoltura trasformerebbe questa - fonte essenziale di ricchezza dell'economia cubana - in un processo altamente tecnicizzato, eliminando così la tradizionale opposizione tra agricoltura ed industria, come la riorganizzazione territoriale avrebbe annullato lo squilibrio città-campagna. La tendenza originaria alla suddivisione del territorio per costituire cellule agricole ridotte, fu sostituita da un'altra tendente alla globalità, ristrutturando le funzioni territoriali in base ad una specializzazione produttiva ed alla massima 31


utilizzazione della tecnica nei processi operativi. Si propone oggi un redesign completo dell'ambiente agricolo nel quale partecipano gli architetti con responsabilità fondamentali, superando così le limitazioni stabilite dal primato « urbano » tradizionale nella professione 66• La pianificazione non rispec­ chia esclusivamente un'organizzazione funzionale, ma tiene conto dei presupposti originati dalla ricerca di una natura umanizzata e conformata esteticamente in base alla nuova scala fissata dalla dinamica sociale che si svolge sul territorio ed alla nuova dimensione della percezione visiva del pae­ saggio 67• L'agricoltura e l'allevamento intensivo del bestiame impongono la creazione di industrie di trasformazione che vengono installate in campagna, costituendo punti di attra­ zione, attorno ai quali si formano i nuclei di servizio ed i centri residenziali formati da blocchi multipiani, eliminando la casa unifamiliare liberamente sparsa sul territorio. Questi centri non formano unità autosufficienti: si integrano ad un «sistema» di urbanizzazione delle zone rurali, dove le città tradizionali conservano ancora la loro importanza come cen­ tri di massima concentrazione di servizi. La comunicazione capillare tra i diversi punti si stabilisce attraverso un si­ stema di autostrade ultrarapide - alcune in fase di progetto ed altre in costruzione - in corrispondenza con il flusso circolatorio produttivo ed allo stesso tempo con la dinamica sociale, estremamente intensa, che tende a distruggere l'au­ tonomia funzionale delle comunità isolate, integrandole in un complesso sociale unitario. In un processo di trasformazioni così radicali come quello che si svolge a Cuba, la popola­ zione deve assumere una gamma cli responsabilità la cui di­ versificazione impone un'estrema flessibilità di movimento. Si produce perciò una stretta integrazione tra lavoratori agri­ coli ed urbani, ottenuta attraverso la partecipazione attiva di tutta la popolazione al lavoro agricolo, nel quale i giovani s'inseriscono pienamente, con la creazione dei nuovi centri educativi fuori dalle grandi città, cioè in campagna, unifi­ cando in questo modo attività educative e produttive senza che questo decentramento dncida negativamente sul livello 32 tecnico dell'insegnamento, omogeneizzato a scala nazionale at-


traverso l'uso dei mass-media: film, radio, televisione, ecc. Un altro fattore importante che interviene nel processo di razionalizzazione del territorio è costituito dalle strutture del tempo !,ibero, inserite alternativamente con le strutture produttive; si produce cosl la fusione tra il rapporto attivo e contemplativo con la natura. Questa nuova struttura si sta concretando in un ambizioso piano in fase di realizza­ zione all'Avana, unificando la città con tutta la sua zona pe­ riferica. Le proprietà individuali ed i terreni improduttivi sono stati integrati in una superficie produttiva continua, con la partecipazione dei lavoratori urbani, alternata con le nuove zone di ricreazione - boschi, laghi arHficiali, giardino zoolo­ gico e botanico, ecc. - conferendo alla città una nuova di­ mensione territoriale ed una struttura ricreativa variata, fi­ nora inesistente. Il Kitsch dei grandi alberghi - centri tra­ dizionali di loisir - viene così sostituito dalla natura uma­ nizzata e condizionata alle nuove richieste estetiche e funzio­ nali della comunità. In sintesi, la pianificazione territoriale costituisce attual­ mente la grande forza catalizzatrice della Rivoluzione, coin­ volgendo in una sintesi omogenea i vari livelli della prassi sociale: estetico, economico, culturale, ecc. Le trasformazioni del modo di vita si svolgono in coincidenza con la nuova struttura delle forze produttive nella quale si tende, oltre che ad ottenere il massimo rendimento e la razionalizzazione economica del territorio, all'integrazione ed unificazione so­ ciale, eliminando ogni autonomia individuale al di fuori della comunità ed ogni differenziazione gerarchica del lavoro. Par­ tendo da questi concetti, l'alternarsi del lavoro urbano e rurale del lavoro manuale ed intellettuale, stabilisce l'interpe­ netrazione funzionale, l'identità comunitaria a scala nazio­ nale, vera base essenziale di un'urbanistica e di un'architettura «rivoluzionaria», ancora non realizzate, ma formulabili partendo dai postulati sorti dall'unità socio-economico-cultu­ rale. In questo senso coincide la visione estetico produttiva integrale del territorio, con la trasformazione tecnica dell'at­ tività agricola - ormai liberatrice del vincolo fisico del­ l'uomo alla terra - e la decentralizzazione dei nuclei uni-

33


versitari 68 in uno sforzo massimo per ottenere la fusione tra cultura ed attività produttiva. Cultura, tecnica e società omo­ genea costituiscono la base per ottenere il superamento del sottosviluppo e dell'eredità tradizionalista di vecchie forme e schemi del passato e per ciò l'essenza generatrice del pro­ cesso di design dell'ambiente. fisico. Se alcuni dei principi enunciati permangono ancora in sede teorica - sono le for­ mulazioni utopiche attuali che corrispondono al futuro reale - tutto lo sforzo di trasformazione dell'ambiente è svolto in questa direzione, concentrandosi in questo mo­ mento nella creazione delle strutture produttive. Fra teoria e pra.tica non esistono le incognite che invalidano le for­ mulazioni utopiche, enunciate nei paesi capitalisti, sul modo con cui risolvere le contraddizioni sociali che permettano alla società concepita come un complesso, d'indirizzarsi verso un'ipotesi stabilita, senza interferenze, per ottenere la quali­ ficazione ambita e trasformatriec del caos e la bruttezza fisica dell'ambiente che si mantiene ormai da secoli. Possiamo affermare che i due estremi del design - il disegno industriale e la pianificazione territoriale - hanno punti di contatto nella fondazione metodologica e nelle pro­ spettive elaborate. Disegno industriale e pianificazione man­ cano di precedenti che impongano un freno alle proposte innovatrici; ambedue nascono in una situazione materiale e culturale nuova che esige risposte rivoluzionarie, formal­ mente e concettualmente. In architettura invece ci troviamo a metà strada; qui intervengono fattori intermedi - ipotesi culturali, mezzi disponibili, tradizione costruttiva - limitanti il processo di trasformazione, del passaggio da una conce­ zione tradizionale a proposte rivoluzionane in coincidenza con le nuove strutture di base. In primo luogo conserva un ruolo importante la tradizione ereditata dal passato, tanto dal punto di vista professionale come dal punto di vista sociale. Riferirsi all'architettura a Cuba, prima della Rivolu­ zione, significava accennare ad un gruppo ridotto di opere - uffici, appartamenti di lusso, residenze - concentrate al­ l'Avana. Nel resto del paese le opere corrispondevano ad una 34 azione costruttiva senza prospettive; d'altra parte erano ine-


sistenti i terni di contenuto sociale. Perciò l'architettura contemporanea si materializzava solo in termini stilistici, privi di una fondazione concettuale che attribuisse una va­ lidità ad un linguaggio formale e spaziale. Questa situa­ zione giungeva a tal punto che, appena si definì il carattere socialista della Rivoluzione quasi tutti gli architetti vincolati ai movimenti dell'avanguardia figurativa abbandonarono il paese, negando le formulazioni ideologiche che finalmente sarebbero state realizzate da un'architettura d'avanguardia non solo formale ma fondata su un chiaro contenuto so­ ciale. Sintetizzando, l'architettura dell'Avana costituiva un prodotto-merce, che trovava la sua origine nel mandato so­ ciale della borghesia, che attribuiva ai valori estetici un va­ lore di rappresentatività sociale o di sacralizzazione dell'og­ getto, differenziandolo dalla mediocrità costruttiva generale. La persistenza del prestigio e del valore simbolico con­ servata dall'Avana, città capitale, nel primo periodo della Rivoluzione giustificherà due importanti complessi nei quali si sperimenteranno alcune formulazioni estetico-concettuali. Il primo è un complesso residenziale di 10.00Ò abitanti, l'Avana dell'est, contrapposto al caos urbanistico della città borghese, con l'ordine basato su di una struttura equilibrata delle funzioni essenziali - edifici multipiani, vie di circola­ zione, servizi comuni, spazi verdi - assunto come punto di partenza per una futura strutturazione della città socialista. Il secondo complesso è un centro di educazione artistica, le Scuole Nazionali d'Arte, nel quale la ricerca fu caratteriz­ zata da limi-tazioni materiali precise (l'uso del mattone data la mancanza di acciaio e cemento) e da una proposizione culturale: la rottura con la persistente tradizione raziona­ lista, mantenuta a Cuba dagli edifici commerciali, ed il ricu­ pero di una struttura urbana nella quale si esprimessero al­ cune componenti della "ultura cubana estromesse dalla pene­ trazione culturale nordamericana; per esempio, la tradizione negra; ed in ultimo dal valore fondamentale delle condizioni ecologiche, cioè l'inserimento dell'architettura nel paesaggio. In queste prime opere di grande portata, si realizzò una ri­ cerca di caratterizzazione linguistica e di simbolismo for- 35


male, cercando di superare la stretta funzionalità per giun­ gere ad un significato che esprimesse il contenuto rivoluzio­ nario. In linea di massima queste esperienze non furono con­ tinuate dato l'interesse della Rivoluzione di evitare la ripeti­ zione degli aspetti negativi - materializzati nel Terzo Mondo ed in alcuni paesi socialisti europei - inerenti alla ricerca di una simbolizzazione formale dei contenuti ideologici. Tra le due alternative, quella « della funzione senza forma » e quello della « forma simbolo», la nuova architettura cubana cercherà di esprimere l'esistenza di una realtà obiettiva alla quale devono rispondere le forme architettoniche. Prevalendo il concetto di trama-struttura essenziale di servizi - coinci­ dente in senso positivo con la concezione dell'architettura come mass-medium - in contrasto alla monumentalizzazione individuale di una funzione, vengono espressi alcuni carat­ teri concreti della prassi architettonica, livello specifico della prassi sociale. Questi caratteri sono: la disponibilità limi­ tata delle risorse umane tecnicamente evolute che obbliga ad una semplificazione dei processi di progetto e costruzione; la scarsità di mezzi materiali e la facile adattabilità di pre­ cisi schemi tipologici a soluzioni cos,truttive diverse; la ri­ sposta ad una variabilità tematica che assume il valore di proposizione originale nell'ambiente rurale; l'omogeneità delle funzioni identificate con il carattere di architettura­ servizio, contrapposto a quello di architettura-prodotto; l'as­ similazione culturale dei segni architettonici, indicatori della funzione, sconosciuta dalla comunità rurale nella quale viene inserita l'opera. In altre parole, l'abbandono della simboliz­ zazione monumentale rappresenta la sostituzione dell'am­ biente urbano all'ambiente rurale, imponendo l'eliminazione cj.ei dislivelli che separano quest'ultimo dalla cultura archi­ tettonica urbana. Perciò il significato simbolico della fun­ zione, che si esprime nel momento stesso della sua realiz­ zazione - cioè attraverso le strutture minime indispensa­ bili per la sua attuazione pratica - rappresenta il trapasso dalla non-funzione alla funzione sociale, cioè il passaggio dalla infracultura alla cultura sociale: l'architettura si tra36 sforma allora in un prodotto sorto da una risposta tecnico-


funzionale, indicazione schematica tipologica della funzione specifica, verificabile come prima esperienza nell'ambiente rurale. La scarsa importanza delle tradizioni locali ed il pro­ gressivo superamento degli schemi di organizzazione sociale ereditati dal passato, liberano l'architettura da riferimenti limitativi, inibitori della creatività a scala urbanistica. Ma, d'altra parte, lo sviluppo tecnologico non ha permesso an­ cora la realizzazione dei nuovi concetti essenziali, irraggiun­ gibili con i mezzi tecnici tradizionali. Perciò in questo mo­ mento tutto lo sforzo si concentra nella formazione di qua­ dri familiarizzati con le tecnologie più moderne, costruttive e progettuali, e la loro applicazione in sistemi aperti, la cui flessibilità permetta la realizzazione dei progetti in svi­ luppo, attraverso tappe progressive, senza però produrre una tecnocrazia alienante che annulli la facoltà comunicativa della vita sociale. Man mano che la società nel suo sviluppo si avvicina alle trasformazioni profonde - necessarie per li­ berarsi dalle limitazioni imposte dalla tradizione -, quando la vita individuale si trasformerà in vita collettiva, allora l'architetto si esprimerà attraverso i nuovi contenitori della vita sociale, le cui forme sorgeranno dalle rinnovate compo­ nenti funzionali, riducendosi in un secondo piano le figura­ zioni simboliche o monumentali. Ed è la nostra eredità sto­ rica che ci dimostra l'indissolubile unità tra le nuove con­ dizioni d'esistenza ed un'architettura rivoluzionaria, conce­ pita non solo in quanto forma, ma in quanto struttura dello spazio sociale. Solo lo sviluppo unitario della comunità può condizionare l'ambiente omogeneo, nel quale i segni architet­ tonici corrispondono alla complessità semiotica della cul­ tura interdisciplinare formulata attraverso una fondazione scientifica ed in una dinamica sociale rivoluz,ionaria. Le aspirazioni di Hannes Meyer 69 di giungere ad un'ar­ chitettura creata in base ad una flessibilità rivoluzionaria e ad una obiettività scientifica, capace di inquadrare la vita dell'uomo nuovo, si devono ancora materializzare. Il Terzo Mondo è capace di dimostrare che l'affermazione dell'uomo attraverso il lavoro creativo rivoluzionario può dare un nuovo 37


significato all'ambiente configurato omogeneamente partendo da una concezione rinnovata dell'integrazione sociale e del­ l'assimilazione della prassi tecnologica e di quella estetica, riferite alle condizioni obiettive della prassi sociale; si per­ dono in tal modo tutti gli attributi alienanti, pseudo-simbo­ lici, sacralizzanti che caratterizzano l'architettura odierna, falsamente umanista e contrapposta all'autentico contenuto di un vero umanesimo rivoluzionario. Partendo da questi principi, l'uomo nuovo, che cerca di creare una società nella quale la partecipazione globale distrugge ogni coazione ag­ gressiva, ha nelle sue mani la possibilità di conformare l'ar­ chitettura rivoluzionaria, attraverso la precisa direzionalità del processo: dalla formulazione del contenuto sociale, ela­ borare i contenitori spaziali che rappresentino e determinino la vita funzionale della comunità. ROBERTO SEGRE

38

1 L. ALrnussER, Por Marx. Edici6n Revolucionaria., La Habana, 1966, pag. 213. E la dinamica stabilita dalla lotta rivoluzionaria che si pro­ pone come scopo la fine dello sfruttamento ed in conseguenza la libe­ razione dell'uomo. 2 Riteniamo necessario questo chiarimento perché la maggior parte dei paesi di struttura socialista nel Terzo Mondo, Cina, Corea, Vietnam e Algeria, hanno una tradizione culturale che non coincide con quella occidentale. Questo fatto incide profondamente sulle caratteristiche con­ cettuali e formali dell'architettura. 3 F. FANON, Los condenados de la tierra. Ediciones Venceremos, La Habana, 1965, pag. 91. « Mondo sottosviluppato, inumano e di miseria. Ma anche un mondo senza medici, senza ingegneri, senza funzionari. Davanti a questo mondo, le nazioni europee nuotano nell'opulenza più ostentata. Quest'opulenza europea è letteralmente scandalosa perché è stata costruita sulle spalle degli schiavi, si è alimentata con il sangue degli schiavi, proviene direttamente dal suolo e dal sottosuolo di questo mondo sottosviluppato ». 4 H. MARcusE ed altri, La sociedad industriai contemporanea. Edit. Siglo XXI, México, 1957. « Libertad y agresi6n en la sociedad tecnolo­ gica », pag. 55. 5 A. G. FRANK, « Sociologia del desarrollo y subdesarollo de la socio­ logia». Pensamiento Critico N. 22, La Habana, 1968, pag. 192. E la tesi appoggiata da alcuni economisti e sociologhi, nella quale si considera possibile il superamento del sottosviluppo attraverso un'azione stret­ tamente economica, legata agli interessi e sviluppi dell'economia dei paesi sviluppati. 6 Questo è un fenomeno caratteristico che si ripete in America la-


tina dove i colpi di stato militari pretendono istituzionalizzarsi come espressione di un processo rivoluzionario, evidentemente falso dal mo­ mento che non si originano in una azione popolare né trasformano la struttura economica e sociale precedente: uno degli esempi più espres­ sivi si verifica nell'insistente utilizzazione del termine da parte dei mi­ litari argentini: Rivoluzione « Libertadora », Rivoluzione Argentina, ecc. 7 E. KAUFFMANN, « Three revolutionary architects ». Transactions of American Philosophyca/ Society. 1952, voi. 42•, 3• parte. s M. TAFURI, Simbolo e ideologia nell'architettura dell'Illuminismo, in « Comunità», 124/125, nov-dic. 1964. 9 G. C. ARGAN, El concepto del espacio arquitect6nico desde el Ba­ rocco a nuestro dias. Edit. Nueva Visi6n Bs As 1966, pag. 139. II mede­ simo concetto di « ordine sociale» si esprime anche nel trattato di Le­ doux: Arclzitecture considérée sous le rapport de l'Art, des Mceurs et de la Législation. Vedasi MARCEL RAVAL e J. CH. M0REUX: C. N. Ledoux, 1756-1806. Arts et Métiers Graphiques, Parigi 1945. 10 Gli ipotetici riferimenti ad una ispirazione basata nelle case contadine, a causa dell'elementarità del linguaggio, o alla « emblema­ tica della tecnica» nel tema dell'industria, risultano piuttosto azzar­ dati dato che proiettano ia nostra problematica, contrapposta al me­ lodo di progettazione di Ledoux, basato sulla semplificazione delle forme classiche per ottenere un immediato riferimento simbolico-vi­ sivo, percepibile come unità monumentale configurata da elementi au­ tonomi. Vedasi: HlòLEN RosENAU, Boullée's Treatise on Architeclure, Alee Tiranti, Londra, 1953 e EZIO B0NFANTf , Emblematica della Tec­ nica, in « Edilizia Moderna », n. 86, pag. 14. 11 F. CH0AY, Semiologie et Urbanisme, in « L'Architecture d'au­ jourd'hui », n. 132, giugno-luglio 1967. 12 G. LUKACS, Estética, La peculiaridad de lo estético. Tomo IV, Edic. Grijalbo, Barcellona, 1967, pag. 136. 13 R. DE Fusco, L'idea di architettura, Storia della critica da Viol­ let-le-Duc a Persico. Ediz. Comunità, Milano, 1964, pag. 205. 14 Il processo di sperimentazione si iniziò con l'abbandono di archi e colonne, ma conservando ancora negli edifici la precedente struttura volumetrica e compositiva. Seguirono poi i modelli ispirati nella architettura di Occidente, da Mies van der Rohe fino a Niemeyer, ed anche una maggiore flessibilità degli elementi prefabbricati. Non si riuscì, d'altra parte, a trasformare il « pezzo» architettonico autonomo in componente di una nuova struttura urbanistica dinamica. Questa è ancora formulata in termini di proposizione teorica che non supera quelle elaborate negli anni 30. Possiamo citare alcune sperimentazioni realizzate nei paesi socialisti: in Polonia il complesso abitazionale e Lublin di Oskar Hansen: il progetto della nuova città ceca Etarea: la struttura urbanistica proposta in Russia da un gruppo di giovani architetti di Mosca (NER), o i progetti del gruppo pluridi­ sciplinare diretto da André Meyerson, che materializzati non corri­ sposero alle premesse originarie. Malgrado le nuove iniziative, in Russia si mantiene ancora con insistenza la struttura simbolica monumentale - salvo il centro lungo il viale Kalilin a Mosca - come si verifica nel recente libro pubblicato in occasione dell'anniversario della Rivoluzione di Ottobre: V. A. SHKVARIK0V, N. la. KoLLI, V. A. LAVR0V, M. 0. XAUKE, L. N. KULAGA, 0. V. Sl\lIRN0V, E. B. SoK0LOV, L. N. MA­ GUIDIN Costruzioni urbane nell'URSS, 1917-1967. Edizioni di letteratura sulla �ostruzione, Mosca, 1967. Vedasi anche: A. KoPP, Ville et Révo­ lution, Editions Anthropos, Paris, 1967, e anche A. BUBUR0V, G. DJU­ MENT0N, A. GurN0V, s. KHARITONOVA, I. LEZAVA, s. SAR0VSKIJ, Idee per la città comunista. Il Saggiatore, Milano, 1968.

39


40

15 A. KoPP, Op. cit., pag. 258. Lettera di Ginzburg a Le Corbusier: « ... Noi nell'Unione Sovietica dobbiamo ottenere in tutti i modi l'as­ similazione della cultura da parte di tutta la popolazione e non solo degli abitanti della città ... e per questo è necessario creare condizioni nuove, socialiste, una nuova struttura dell'organizzazione del territo­ rio in base all'eliminazione delle contraddizioni tra città e campagna... ». 16 L. TROTSKY, Letteratura, Arte, Libertà, Edit. Schwarz, Milano, 1958, pag. 103. « L'uomo si occuperà del riassestamento dei monti e dei fiumi e correggerà seriamente e ripetutamente la natura. La terra sarà trasformata secondo la sua immagine, o almeno secondo il suo gusto... L'uomo socialista dominerà la natura in tutta la sua ampiez­ za ... L'uomo nuovo, che soltanto ora comincia a proiettarsi e ad avere cosciell7.a di se stesso... ». Vedasi anche V. GREGOTTI, Surviva/ and Growth, in « Marcatré», 37/40, Lerici, Milano, maggio 1968, pag. 43. e Io credo che questa essenza sia propriamente la nozione di am­ biente fisico per l'abitare come essere dell'uomo sulla terra e che la specificità dell'arclùtettura consiste precisamente nella costruzione della figura di tale ambiente». 11 A. PERELLI, Poetiche del planning contemporaneo, in « Casabella­ continuità», n. 292. 1s L'impronta attribuita alla tecnica coincide con l'identificazione tra architettura e scienza, cioè, entro i limiti di una concezione mar­ xista di questo livello della specifica pratica artistica, ridurre al mi­ nimo gli elementi soggettivi ed intuitivi, specificamente in rapporto al processo produttivo industriale. Una chiara sintesi di quest'idea è contenuta nei 13 principi dell'architettura marxista enunciati da Han­ nes Meyer. Vedasi: C. SCHNAIDT, Hannes Meyer, Building, Projects and Writings, A. Niggli, Taufen, 1965. 19 K. ZELINSKIJ, Ideologia e compiti dell'architettura sovietica, in • Rassegna Sovietica », n. 1, Roma, 1964. « Un edificio può esprimere la concezione del mondo del proletariato? Il proletariato può indicare all'architettura solo obbiettivi di carattere generale, che l'architettura li compierà nel piano della sua logica tecnica, cioè, adattando quegli obbiettivi alle leggi ed alle particolarità costruttive». 20 CH. NORBERG-SCHULZ, Intenzioni in architettura. Edizioni Lerici, Milano, 1967, pag. 162. 21 Ciò che è accaduto nell'Unione Sovietica e le contraddizioni che scoppiano una dietro l'altra nel mondo capitalista dimostrano l'im­ possibilità di evadere il compromesso politico ed ideologico, così come anche viene dimostrato da alcune esperienze realizzate nel Terzo Mondo. Per questa ragione non condividiamo l'affermazione di De F1,LSco quando sostiene che • oggi è probabile che nuove utopie, nuove indicazioni ideologiche, che superino gli schemi delle istituzioni inattuali e scle­ rotizzate possano più facilmente nascere nel mondo della cultura che in quello della politica attiva. Donde la ulteriore ragion d'essere d'una cultura autonoma, fenomenologica, o meglio senza aggettivi». Vedasi: R. DE Fusco, Architettura come mass-medium. Note per una semiologia architettonica. Dedalo libri, Bari, 1967, pag. 37. 22 A. KOPP, Op, cii. Risoluzione del Comitato Centrale del Partito Comunista Bolscevico, Pra\·da, 29 maggio 1930. « Il Comitato Centrale ha notato che parallelamente al movimento per ottenere un modo di vita socialista, intenti estremisti, non fondati e semifantastici, e perciò estremamente nocivi, sono svolti da alcuni compagni (Solsivitch, La­ rine ed altri) col desiderio di eliminare « in un sol colpo» gli ostacoli incontrati nel cammino della trasformazione socialista del modo di vita: ostacoli che hanno le loro origini, da una ,parte nell'arretratezza economica e culturale del paese; dall'altra nella necessità, nel mo-


mento attuale, di dedicare le risorse essenziali all'industrializzazione accelerata del paese, che permetterà la creazione delle basi necessarie per una trasformazione radicale del modo di vita•· 23 V. I. LENIN, Sur la littérature et l'art. Textes choisis. Editions Sociales, Parigi, 1957, pag. 167. 24 A. GRAMSCI, Literatura y vida nacional. Ediz. Lautaro, Bs. As. 1961, pag. 49. « •..in una civiltà in rapido sviluppo, nella quale il 'panorama' urbano dev'essere molto 'elastico ', non può nascere una grande arte architettonica, perché risulta difficile concepire edifici fatti per 'l'eter­ nità'. Secondo la mia opinione, una grande arte architettonica potrà nascere soltanto dopo una tappa transitoria di carattere 'pratico' nella quale si pretende solo ottenere la massima soddisfazione dei bisogni popolad elementari, con la massima convenienza... ». 25 Vedasi: « Casabella-continuità•, n. 208, nov-dic. 1955; E. N. Ro­ Gl:RS, Politica e architettura. Deliberazione del C.C. del P.C.U.S. e del Consiglio dei Ministri dell'URSS sulla eliminazione del superfluo nella progettazione e nella costruzione; anche, Rassegna Sovietica n. 2, feb­ braio 1955. 26 AccADEMIA DI BELLE ARTI DELL'URSS, Ensayos de estética marxista­ le11inista. Edic. Pueblos Unidos, Uruguay, 1961, pag. 222. « La tendenza alla rappresentazione di carattere simbolico, caratteristica dei primi periodi dell'architettura, proviene da una mancanza di maturità in quest'arte; ma nel momento attuale, la tendenza verso la rappresenta­ zione simbolica possiede un carattere apertamente formalista e pro­ muove la creazione di edifici assurdi, scomodi, falsi, dal punto di vista ideologico ed estetico; edifici che deturpano la forma delle città... Gli architetti esprimono chiaramente il grande contenuto ideologico della costruzione architettonica attraverso l'integrazione delle arti plastiche». 27 G. LUKACS, Op. cii. Tomo IV, pag. 139. Vedasi anche: H. SEDLMAYR, El arie descentrado, Edit. Labor, Madrid, 1958; ORTEGA Y GASSEI', La deshumanizaci6n del arte, Revista de Occidente, Madrid, 1962. 28 H. T0NKA, J. P. JUNGMANN, J. AUBERT, L'architecture comme prO­ blème théorique, in « L'Architecture d'Aujourd'hui •. n. 139, sept. 1968. 29 Le CoRsus11.:R, Towards a new architecture. The Architectural Press, Londra 1948, pag. 251. 30 H. LEFEBVRE, Claude Levi-Strauss y el nuevo eleatism•o. Pensa­ miento Critico, n. 18-19. La Avana, 1968, pag. 165. 31 G. C. ARGAN, Salvaciò y caida del arte moderno. Edit. Nueva Vi­ si6n, Bs.As. 1966, pag. 55. « La possibilità di educare, formare e riformare la società through design, cioè attraverso un training tccnico-progettivo, era subordinata al fatto che l'artista progettista potesse orientare e controllare lo sviluppo progressivo della tecnica, ed in un ambito più ampio, il comportamento attivo o produttivo della società: in altre parole, che potesse assumere la direzione politica della produzione•· Ipotesi impossibile da avverarsi in un sistema nel quale l'industria non risponde a motivazioni di carattere sociale ma economiche. 32 G. K. KoENIG, L'invecchiamento dell'architettura moderna. Libre­ da Editrice Fiorentina, 1963, pag. 16. 33 Costituisce un ordinamento dell'architettura attuale, basato sul­ l'evoluzione formale-tecnico-estetica contraddittoriamente stabilita da F. Choay e che nega le sue precedenti ricerche istradato verso una critica strutturalista. F. CH0AY, Venti anni di architettura, Revue d'Esthétique n. 4, 1967. Citato in « Op. Cit.• n. 12, maggio 1968, pag. 54. 34 G. CANELLA, Mausolée contre compucers, in L'Architecture d'Au­ jourd'hui, n. 139, sept. 1968, pag. 5. 35 P. PIZZINAT0, A. VILLA, Anni 60: architettura come sospensione del senso, in « Marcatré•, 37-40, Lerici, Milano 1968.

41


42

36 R. VENTURI, D. Scon BROWN, A sig11i{ìca11ce for A & p parking lots or learning from Las Vegas, in « Archilectw·al Forum», may 1968, pag. 36. Vedasi anche: R. BANHAM, Towards a million-volt light and sound culture, in « Architectural Review», n. 843, maggio 1967, .pag. 331. 37 P. PIZZINATO, A. VILLA, Archigram, in « Marcatré », 34-35-36. Lerici, Milano, 1967, pag. 180. 1S V. GRECOTTI, Op. cit., pag. 43. 39 R. DE Fusco, Op. cii., pag. 33. 40 Secondo DE Fusco, « le condizioni •precarie della forma architet­ tonica, denotano principalmente tre cose, tipiche di ogni mass medium: l'assoluto edonismo, il distacco di ogni 'ideologia ', la riduzione al pre­ sente di ogni altra dimensione temporale». Op. cit., pag. 15. 41 V. GREGOTII, Les nouvelles tendances de l'architecture italie1111e, in « L'Architecture d'aujourd'hui », n. 139, sept. 1968, pag. 8. 42 H. MARCUSE, L'uomo a una dimensione. L'ideologia della società industriale avanzata. Einaudi, 1967, ,pag. 80. « Nel regno della cultura il nuovo totalitarismo si esprime precisamente in un pluralismo ar­ monico, nel quale le opere e le verità più contraddittorie coesistono pacificamente in un mare d'indifferenza». 43 H. MARCUSE ed altri, La sociedad industriai co11tempord11ea. Op. cit. « I paesi arretrati, precisamente per la loro condizione, possono avere la possibilità di salvare la tappa della società opulenta con i suoi aspetti repressivi ed inumani ». 44 Un esempio che deve considerarsi classico, rappresentativo cli questa affermazione, è la sommossa di Parigi nel mese di maggio di 1968, che fece traballare il « sistema», nella quale si produsse una sin­ tesi tra le proprie contraddizioni interne e l'esperienza dei popoli in lotta nel Terzo Mondo. La trascrizione nel settore architettonico viene documentata nella rivista Le Carré Bleu, n. 3, Parigi 1968. 45 F. FANON, Op. cii. 46 A Cuba questa omogeneità si originò nello sfruttamento degli schiavi che nella loro maggioranza si trovavano fuori dalla società e dalla cultura. Essi ,possedevano una cultura propria che si contrappose dialetticamente alla cultura spagnola, creando la base e le radici locali della cultura cubana. 47 Non concordiamo con la tesi che sostiene la mancanza di conte­ nuto ideologico dei mass media, giacché tulta i'informazione emessa tende a generare un modello di comportamento individuale all'interno della comw1ità, che lo assimila in un orientamento ideologico, general­ mente stabilito dalla borghesia. 48 Nel mondo sottosviluppato, l'arte « pop» risulta la maggiore ere­ dità lasciata dalla penetrazione dell'alta tecnologia industriale e non \'aie come integrazione cuiturale ma come elemento conservatore del­ l'antitesi tra la cultura di • élite» - che si mantiene incontaminata e la cultura di massa. In questo senso, condividiamo le idee sostenute da G. Dorfies sul carattere • snob» e decadente implicito nella rivaluta­ zione del Kitsch, il cui contenuto viene determinato dalla borghesia commerciale monopolista. Vedasi: G. DoRFLES, /I Kitsch, Antologia del cattivo gusto, G. Mazzotta, Edit. Milano, 1968 e G. DoRFLES, Nuovi miti, nuovi riti, Einaudi, Torino 1965, pag. 181. 49 P. PARAT, CH. H. ARGUlllERE, L'individ11el, réve, cauchemar, ten­ dances, in u L'Architecture d'Aujourd'hui n, n. 136, feb-mar. 1968. 'iO Le correnti attuali nelle quali si propone il superamento del vis­ suto, dell'umano, per arrivare ad un ordine superiore - di pensiero, di metodo o di struttura - non possono corrispondere alla nostra realtà nella quale ogni atto corrisponde ad un desiderio di affermazione del-


l'uomo. Vedasi: J. M. DoMENECH, Le système et la personne, in « Esprit» n. 5, marw 1967, pag. 772. 51 L. ALTHUSSER, Op. cii., pag. 213. 52 In nessun modo si può concepire la morte dell'ideologia o l'elimi­ nazione dell'ideologia in una società rivoluzionaria. Althusser afferma: « •..perciò, l'ideologia (come sistema di rappresentazioni di massa) è indispensabile in ogni società per formare gli uomini, trasformarli e porli in condizioni d'esistenza... Nell'ideologia la società senza classe vive l'inadeguazion�adeguazione del suo rapporto con il mondo; ed è in essa che la società trasforma la « coscienza » degli uomini, cioè, il suo comportamento e la sua condotta, per porla al livello dei loro com­ piti e della loro condizione d'esistenza». L. ALTHUSSER, Op. cii., pag. 228. L'umanesimo come ideologia - senza titolo - s'intravede già nelle prime formulazioni teoriche di Fide! Castro. Vedasi: F. CASTRO, La Historia me absolverd, Ediciones Revolucionarias, La Habana. 53 E. CHE GUEVARA, El socialismo y el hombre en Cuba, Ediciones R. La Habana, 1965. S4 L'utopia non è concepita in questa sede come formulazione di un ideale impossibile o di una società astratta - dominata dalla tecnolo­ gia -; né concepita in contraddizione con l'ideologia - socio-economico­ culturale - che assume il valore di sfida alla prassi sociale nell'accele­ razione del tempo storico, cioè nella continuazione del ritmo rivoluzio­ nario. In questo senso condividiamo l'utopismo di Lefebvre - il pos­ sibile forma parte del reale - non accettando la negazione dell'utopia come idea-forza. Vedasi: H. LEFEBVRE, Propositions, in « L'Architecture d'Aujourd'hui », n. 132, giugno-luglio 1967, pag. 14 e G. C. ARGAN, Pro­ getto e Destino, Il Saggiatore, Milano, 1965, pag. 12. 55 C. ScHNAIDT, Architeclure and politica/ commitment, in • ULM», n. 19-20, agosto 1967, pag. 26. 56 1:. l'aspirazione che un giorno non esistano dislivelli tra le condi­ zioni di vita di un tecnico universitario e di un lavoratore manuale - che deve tendere a sparire come tale -; è la concezione del lavoro concepito come una nuova categoria dei doveri sociali. F. CASTRO, Di­ scorso in co111111e111oraz.ione del 26 luglio a Santa Clara, in « Granma », 27 luglio 1968. « Dare ad un uomo più ricchezza collettiva perché com­ pie il suo dovere e produce di più e crea di più per la società, è tra­ sformare la coscienza in ricchezza». 57 L. TRDTSKY, Op. cit., pag. 70. • Il proletariato è costretto a im­ padronirsi del ,potere, molto prima di essersi appropriato degli elementi fondamentali della cultura borghese; è appunto costretto a rovesciare la società borghese con la violenza rivoluzionaria perché questa società gli chiude la strada della cultura•. 58 F. CASTRO, Discorso agli intellettuali, 30 giugno 1961. Consejo Na­ cional de Cultura. « Dobbiamo creare le condizioni necessarie in modo che tutti quei beni culturali arrivino al popolo. Questo non vuol dire che l'artista debba sacrificare il valore della sua creazione e che neces­ sariamente debba sacrificare la qualità. Vuol dire che dobbiamo lottare in tutti i sensi per ottenere che il creatore produca per il popolo ed il popolo a sua volta elevi il suo livello culturale in modo da avvicinarsi ai creatori... •. w La radio, la televisione, la stampa, il cinematografo ecc. sono ser­ viti a sviluppare una formazione politica della popolazione, creando le basi per una maturità teorica a fondamento della pratica quotidiana. Attraverso questi mezzi, per esempio la televisione, Fide! Castro ot­ tenne una vera comunicazione col popolo, negando l'affermazione di McLuhan che la televisione, medium freddo avrebbe debilitato quel 1apporto. D'altra parte, la comunicazione non si stabilisce in una sola

43


44

direzione, esistendo sempre la partecipazione di quelli che ricevono l'informazione. Costituisce un esempio recente la creazione di una sta­ zione-radio, Radio Cordon de La Habana, in coincidenza con lo svi­ luppo di un piano agricolo nel quale partecipa tutta la popolazione della città; attraverso i dialoghi, le inchieste, interviste, oltre alla co­ municazione culturale si assimilavano le opinioni, i problemi sorti nel lavoro, la situazione di ogni settore, permettendo una vera partecipa­ zione comunitaria e sociale attraverso questo mass medium. Perciò non crediamo opportuna l"affermazione di Umberto Eco quando so­ stiene che « •••al limite è lecito sospettare che i mezzi di comunica­ zione siano mezzi alienanti anche quando appartenessero alla colletti­ vità». Vedasi: M. McLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Il Saggia­ tore, Milano, 1967 e UMBERTO Eco, li Medium e il messaggio, in « Mar­ catré • 37-40, maggio 1968. 60 La comunicazione grafica ha abbandonato l'esteriore cosificazione dell'uomo o la rappresentazione delle gerarchie sociali attraverso la struttura pubblicitaria commerciale. Questo contenuto è stato sosti­ tuito da un contenuto morale: « La base della morale socialista è la solidarietà, l'impazienza, l'insoddisfazione per ciò che esiste. La morale socialista è la morale della trasformazione, della rivoluzione di tutti i rapporti sociali, sulla base di una solidarietà sempre più larga fra gli uomini. Basata su questo contenuto la comunicazione acquista maggiore intensità perché corrisponde alla nuova situazione dell'artista che non deve più prostituirsi nella vendita delle sue idee per propugnare i fini immorali della commercializzazione». Vedasi: R. HAVEMANN, Dialettica sen,a dogma. Einaudi, Torino, 1965, pag. 165. 61 Viene negata l'indipendenza tra l'arte popolare ed un'arte etero­ diretta da motivazioni politiche o economiche. Avendo distrutto il co­ lonialismo ogni tradizione folclorica o locale, la nuova sintesi si pro­ duce ad un livello superiore, una volta cancellata le eredità negative del passato, Per questa ragione ci sembra superficiale la classificazione dì R. Estivai, riferita all'arte popolare. Vedasi: R. DE Fusco e G. Mor­ TIJ"RA, Artisticità dei mass media, in « Op. Cit.», n. 8, gennaio 1967. 62 La valorizzazione dei fattori collettivi rispetto a quelli individuali corrisponde alla formazione di una coscienza sociale nella quale gli oggetti vengono considerati come strumenti necessari della vita opera­ tiva, Si respinge così l'alienazione o la cosificazione prodotta dal pos­ sesso di oggetti, riflesso dell'avidità consumista che si svolge nei paesi capitalisti, che si è manifestata in alcuni paesi socialisti. Vedasi: A. GoRz, El Socialismo dificil, in La sociedad industriai contempOranea, Edit. Siglo XXI, 1967, México, pag. 127. 63 Corrisponde alla distruzione dell'arte-tesoro o del design-simbolo sociale, trasformati in design-funzione o arte-funzione, con precisi com­ piti educativi. Vedasi: G. C. ARGAN, Design e mass media, in « Op. Cit. », n. 2, gennaio 1965. 64 G. DORFLES, Crescita e sopravviven,a nella civiltà tecnologica, in « Marcatré », 37-40, Lerici, 1968. •5 F. CASTRO, La Historia me absolverti, Edicion Revolucionaria, La Habana. In questo libro si formularono i principi essenziali che furono materializzati dalla Rivoluzione immediatamente dopo la presa del potere. 66 F. CASTRO, Discorso in occasione dell'inaugurazione di una scuola interna elementare a El Cangre, Guines, 5 gennaio, 1969. « In questo modo, i piani agricoli vengono concepiti come progetti e sono ormai gli architetti che lavorano nella pianificazione fisica: stabiliscono il trac­ ciato delle strade, dei filari d'alberi controvento, i servizi, i canali d'ir­ rigazione, i canali di drenaggio, cioè la distribuzione di ogni cosa•·


67

E.

BATTISTI, S. Caorrr, Note sulla le/tura del « Edilizia Moderna », 87-88, pag. 59. «

69

c. SCHNAIDT,

geografico, in

paesaggio antrop<>­

L'uomo al cospetto del paesaggio scopre che il suo eventuale confronto con la natura è denso di possibilità e che questo paesaggio non è se non il supporto potenziale della totalità dei suoi atti vi tali •· 68 F. CASTRO, Discorso in occasione della laurea di 455 alunni del corso 1967-68 all'Università di Oriente, dicembre 1968: « In questo modo, nel futuro, praticamente ogni fabbrica, ogni zona agricola, ogni ospe­ dale, ogni scuola sarà una università. Così gli studenti di livello medio potranno realizzare studi superiori. A cosa serviranno allora le attuali università? ... si trasformeranno in centri di studi superiori». Op. cii., passim.

45


I problemi dell' istruzione artistica

A nessuno è sfuggito il fatto che il D.D.L. 1046, riguar• dante gli esami di maturità, ha suscitato una profonda rea­ zione negli studenti del settore artistico. Il « la » negli Isti­ tuti di istruzione artistica è stato dato dagli studenti del­ l'Istituto d'arte di Napoli e si è poi esteso in tutta Italia in­ vestendo i Licei artistici e le Accademie di Belle Arti. Que­ sti, vistisi inascoltati, sono passati all'occupazione delle sedi scolastiche per protestare contro la loro esclusione dalla ri­ forma degli esami finali. Nel giro di pochi giorni ben 78 isti­ tuti sono stati paralizzati, si sono avuti imponenti scioperi, manifestazioni, violenti scontri con la polizia, ecc. L'ampiezza della lotta si è avuta perché, nonostante l'accoglimento in Commissione delle loro istanze, si è concluso poi in Aula con un nulla di fatto; ma, secondo noi, anche e soprattutto per­ ché le rivendicazioni degli studenti andavano ben oltre il motivo iniziale dello scontro; infatti l'istruzione artistica è ferma a quarant'anni fa, con la conseguenza che i giovani escono dalla scuola senza un'adeguata preparazione e con scarse prospettive di lavoro. Dopo il corso di studi, infatti, si consegue un diploma che consente (arbitrariamente di­ cono molti) l'insegnamento del disegno: ma già i professori di disegno disoccupati sono 22 mila. Il ventaglio delle rivendicazioni e i motivi del dissenso sono a breve e lungo termine, poiché chiedono: abolizion� della scuola classista; un ampliamento dei programmi po­ nendo a fondamento dell'insegnamento una cultura rinno­ vata, aperta all'indagine critico-storica e scientifica; auto46 nomia della scuola in tutte le sue componenti e diretta


partecipazione degli studenti alle decisioni sui programmi, sui metodi didattici; nuove forme di gestione democratica, ecc.; prolungamento a 5 .anni dei corsi di studi con normale accesso all'Università; diritto allo studio e al lavoro 1. Sotto il peso di questa presa di coscienza collettiva, di questa richiesta urgente di veder risolti i problemi della scuola, le attuali strutture scricchiolano e più di uno si af­ fanna nel tentativo di offrire una soluzione più o meno ade­ guata. Facciamo, perciò, una panoramica attraverso le leggi, le dichiarazioni, le prese di posizioni, i documenti ed ogni altro materiale disponibile che tratti l'argomento in un modo o nell'altro. Pensiamo che il confronto e l'esame critico di questo dossier ci possa restituire la « situazione» più gene­ rale: onde far emergere i motivi di scontro, le assonanze, i punti nevralgici, i rapporti e le relazioni che rendono ac­ cettabile e non accettabile l'attuale sistema. Per il loro carattere di massa incominciamo senz'altro dagli Istituti d'Arte. Come prima cosa è da precisare che questo tipo di scuola deriva dalle forme organizzate per la produzione artigianale, ed ha avuto, in passato, una certa rispondenza con le necessità della società, sia per quanto riguardava il numero degli addetti, sia per quanto si rife­ riva alla loro preparazione. Nell'epoca attuale, invece, è caduta in una profonda con­ traddizione, poiché è venuto meno il presupposto su cui si fondava, cioè l'artigianato artistico. Tale categoria produttiva ha perso la sua antica validità scadendo come modello pro­ duttivo, come stato sociale e come condizione culturale. Si nota, da un lato, la richiesta di un gran numero di giovani che, spinti da necessità obbiettive e soggettive insieme, cer­ cano una qualificazione al di fuori dell'ordinamento umani­ stico rivolgendo il loro interesse verso l'istruzione scientifica, tecnico-professionale ed artistica (per convincersene basti no­ tare l'incremento in questi settori); dall'altro lato le istitu­ zioni, rese sostanzialmente inadeguate dalla rivoluzione indu­ striale che ba messo in crisi le strutture e i contenuti, re­ stano da troppi anni immutate. Queste scuole, infatti, sorte

su antici ceppi o su nuove basi, a seconda delle esigenze del- 47


l'artigianato locàle, esse vennero incoraggiate e sostenute ora da enti privati om da enti pubblici, sviluppandosi, da princi­ pio, nel più vasto campo dell'istruzione artistico-industriale. Il fimzionament-o didattico di tali scuole non poteva non ri­ sentire della loro diversa origine e della loro diversa dipen­ denza. Mentre, infatti, alcune di esse continuarono a funzio­ nare per opera di iniziative private, altre, invece, passarono sotto il controllo dello Stato... Nel 1923 una importante e decisiva chiarificazione avveniva nel settore delle scuole a carattere professionale; per cui con il R.D. del 31-12-1923, n. 3123, si cercò di dare per la prima volta un assetto orga­ nico alle scuole e agli istituti di arte applicata. Secondo quanto è stato disciplinato nel nuovo ordina­ mento, « le scuole » si propongono di addestrare al lavoro e alla produzione artistica, a seconda delle tradizioni, delle in­ dustrie e delle materie prime della regione (questo corso at­ tualmente corrisponde alla Scuola Media annessa, ma con di­ verse funzioni). Insieme alle scuole sono previsti anche istituti d'arte (attualmente corrispondono ai tre anni dopo la Scuola Me­ dia). P, in quest'ultimo corso che i giovani, già addestrati nell'officina al lavoro esecutivo, si esercitano in lavori ori­ ginali di arte applicata ed acquisiscono quella cultura che è necessaria per la formazione di Maestri d'Arte (come ap­ pare evidente già la riforma della· scuola media unica rese urgente la ristrutturazione di tali Istituti) 2• Presso i principali Istituti d'Arte furono istituiti speciali corsi biennali di Magistero che preparano all'insegnamento del disegno e delle materie artistiche, mentre in quasi tutti gli altri, da poco, funzionano Corsi pure biennali di perfe­ zionamento. Attraverso gli anni si sono avute altre parziali modifiche e il riconoscimento da parte dello Stato di tutte k scuole in Istituti Statali d'Arte, ma senza che queste mo­ difiche incidessero sull'ordinamento del '23. In ogni scuola o istituto furono istituiti uno o più se­ zioni (o laboratori) che riguardavano le più importanti at­ tività dell'artigianato artistico. Tra le principali si possono 48 sottolineare le sezioni di decorazione pittorica, di decora-


zione plastica, dell'arte dei metalli, dell'arte del legno, del­ l'arte ceramica, dell'arte del vetro, delle arti grafiche, ecc. Elemento essenziale di queste scuole - giova qui sotto­ linearlo - resta il laboratorio (in pratica questo consentiva di eludere la ricerca di nuovi metodi d'insegnamento, pun­ tando sulla produzione, dovuta alle capacità dell'allievo, e alla esponibilità dei lavori dopo l'intervento separato dell'in­ segnante) ... Il laboratorio è il vero centro della scuola, e tutti gli insegnamenti vengono trattati in funzione di esso; anche lo svolgimento delle materie culturali non è conside­ rato come un processo didattico a sé stante, ma come parte di un processo ancor più vasto e completo che comprende la formazione dell'artigiano specializzato e del futuro mae­ stro d'arte 3. (Questo ci sembra un pezzo classico di anticul­ tura e dimostra l'urgenza d'invertire la rotta). Le materie d'insegnamento sono: italiano, storia, geo­ grafia, storia dell'arte e delle arti applicate; matematica, fi­ sica e contabilità, scienze naturali e chimica, disegno geome­ trico ed architettonico; disegno dal vero, plastica, disegno professionale; tecnologia, esercitazioni di laboratorio. L'in­ sieme delle lezioni occupano 36 ore settimanali. Al termine del corso di studi viene rilasciato il diploma di maestro d'arte, che è titolo di ammissione all'Accademia cli Belle Arti, al Corso di Disegno Industriale (previo esame), oppure, solo per alcuni, al Corso Superiore di Arti Grafiche di Urbino e al Corso di disegno e tecnologia ceramica di Faenza. Gli Istituti d'arte sono attualmente 120 circa. Come si è già detto, con la legge del 1923 si iniziò una sistemazione del settore artistico, perciò ad essa va ricolle­ gata anche la nascita del Liceo artistico. Essi sono stati principalmente creati per soddisfare una esigenza di armonia del nostro sistema scolastico e, in modo particolare, per rispondere ad una crescente istanza di na­ tura artistica; accanto ai licei classici e scientifici non pote­ vano mancare i licei artistici per accogliere tutti quei giovani che fossero sospinti verso studi superiori da una reale incli­ nazione all'arte. Il fine primitivo dei licei artistici era quello di prepa- 49


rare allo studio specializzato della pittura, scultura, decora­ zione, scenografia e architettura mediante insegnamenti di materie artistiche e di cultura generale. Ma, alla distanza di pochi anni, una profonda trasformazione si preparava per i predetti licei in seguito, soprattutto, alla soppressione nelle Accademie di belle arti, dei corsi speciali di architettura, e alla creazione di Scuole Superiori di Architettura ( divenute poi Facoltà d'Architettura); con il R.D. 7 gennaio 1926, n. 214, infatti, essi sono stati suddivisi in due sezioni: la prima, con il fine di preparare allo studio della pittura, scultura, deco­ razione e scenografia nelle scuole dell'Accademia; la seconda, con il fine di preparare allo studio dell'architettura nelle scuole superiori e all'insegnamento del disegno nelle scuole secondarie 4• Le materie d'insegnamento sono: figura disegnata, ornato disegnato, figura modellata, ornato modellato, disegno geo­ metrico, prospettiva ed elementi di architettura, ed anato­ mia artistica; letteratura italiana e storia, storia dell'arte, ma­ tematica e fisica, storia naturale, chimica e geografia. Entrambe le sezioni sono di quattro anni ed hanno in comune il I biennio. I licei sono attualmente una ventina e restano annessi alle Accademie di Belle Arti. Abbiamo intenzionalmente presentato il quadro obbiet­ tivo del settore secondario per avere una base di confronto con le proposte che andremo ad esaminare. Se il presupposto, ormai scontato, è che le strutture sono logore, che i programmi, le finalità, ecc., sono antiquate, ab­ bandoniamo l'atteggiamento astratto di chi è sempre favo­ revole e di chi è sempre contrario alle novità e incomin­ cian10 ad entrare in merito alle proposte avanzate. Incominciamo dal ministro Gui che nella « Relazione sullo stato della pubblica istruzione », presentata al Senato il 1210-1964, poneva il problema affermando che l'unioo settore

dove non si pongono tanto problemi di espansione quanti­ tativa, bensì di ristrutturazione dei vari tipi di Istituti sco­ lastici i di rinnovamento dei contenuti, è quello dell'istru­ zione artistica. Tuttavia di questa ristrutturazione non si è

50

più parlato.


Nel frattempo però, tali scuole hanno continuato e con­ tinuano a fornire lo stesso personale non adeguato ad una società che diviene sempre più super-industrializzata e nella quale i diplomati «fabbricati» per una società artigianale manifatturiera, come abbiamo visto, non trovano l'ambiente naturale ove trasferire le «nozioni» scolastiche ricevute e si orientano per la maggior parte verso l'insegnamento (su­ gh stessi pesa il processo di saturazione della Media unica e la tendenza, già manifestata nel '66 con D.P., a non rico­ noscere il diploma come titolo valido per l'insegnamento). Solo una piccola percentuale esercita una professione di ar­ tista, che, per la verità, non si sa bene se appartenga più al settore artistico che a quello artigianale, riveduto e corretto alla svelta. Ai rimanenti, che pure sono più del 30%, non rimane che scegliere fra la disoccupazione e gli impieghi più disparati. Ciò avviene anche se l'Ispettorato per l'assistenza scolastica dice che Il maestro d'arte può esercitare l'attività in priprio, oppure presso aziende artigianali o industriali del settore s. Indubbiamente quest'affermazioni ci obbligano ad una verifica; ci inoltriamo, perciò in un'esperienza concreta: si tratta di una indagine socio-culturale eseguita sulla mano­ dopera castellana. Castelli è una tipica cittadina dove esiste una tradizione ceramica e, contemporaneamente, l'Istituto d'Arte. Ora, in questo « ambiente campione», ripercorriamo lo studio fatto dall'ISES di Pescara che ha condotto l'in­ chiesta nei seguenti termini. Primo, quadro generale della situazione (1936-40 esistevano in Castelli 32 botteghe artigiane con circa 250 addetti, nel dopoguerra siltanto 6 botteghe ar­ tigiane hanno ripreso la loro attività con 45 operai, il 3.9% della popolazione attiva si dedica alla ceramica). Secondo, in­ tervista ai diplomati dell'istituto d'arte ( dei 28 intervistati 6 si occupano della lavorazione della ceramica, 6 di altra atti­ ·vità e 16 risultano disoccupati - 57,1% -; nessun intervi­ stato è figlio di un professionista, o di un bottegaio d'arte ceramica; tutti coloro che la esercitano vorrebbero abband<r nare l'attività di ceramisti e darsi all'insegnamento, specie le donne, uno solo vorrebbe dedicarsi al disegno industriale). 51


Terzo, parere dei bottegai d'arte, che intervistati sulla utiliz­ zazione della manodopera preparata dall'Istituto d'arte si sono espressi con un atteggiamento personale che varia da

un certo disprezzo per i « giovani presuntuosi» a giudizi più puntuali: « si definiscono degli artisti »; « hanno pretese crea­ tive assurde»; « sono incapaci » e così via. Esiste a Castelli una sola bottega d'arte tenuta in proprio da quattro giovani diplomati dell'istituto, di cui due esercitano la professione d'insegnante. L'intero lavoro è fatto dai soci. Concludendo si può rilevare che oltre il 53% si è dedi­ cato o aspira all'insegnamento; il 10% è inserito nel settore economico con prospettive stabili, mentre il rimanente è disoccupato. Se questa ve1ifica non bastasse per demolire i precon­ cetti di chi, per quieto vivere, dice che va tutto bene· e che gli studenti hanno torto a protestare, possiamo produrre al­ tre testimonianze. Più di un'associazione, infatti, è scesa nel­ l'agone per misurarsi con questo intricato e spinoso pro­ blema. Il Sindacato Nazionale dell'Istruzione Artistica, per esempio, è stato il più interessato alla questione e ha pro­ dotto non pochi documenti, nei quali ha trattato l'argomento « Riforma dell'istruzione artistica » dai più svariati punti di vista, ma muovendosi, per la verità, su di un terreno para­ governativo e settoriale (solo l'Istituto d'Arte). Dai due pro­ getti più completi stralciamo, intanto, alcuni punti essen­ ziali. Nel primo, fatto nel 1964, è esplicitamente affermato che L'arretratezza culturale e didattica dei nostri Istituti è tale che non v'è chi non avverta la necessità e l'urgenza di modificare strutture ormai logore, le quali, in quanto riflet­ tono concezioni ormai arcaiche dell'insegnamento artistico e della sua funzione, sono incapaci di adeguarsi alle esigenze tecnologiche di una società in rapida trasformazione... La ri­ forma... dovrà escludere l'accumulazione quantitativa delle materie, sostituendo alle attuali, che hanno come scopo il processo esecutivo dell'oggetto (avendo ridotto i dati cultu­ rali, assimilati acriticamente, a semplice bagaglio mnemo­ nico), altre che dovranno essere rapportate ai reali fenomeni 52 di sviluppo della cultura, dell'arte (che di essa è un aspetto),


e della tecnica contemporanea... E facile scoprire, in questa artificiosa divisione della cultura - che è, poi, nelle nostre scuole di qualunque ordine - soltanto informazione, ere­ dità di tipo idealistico che non ha più ragione di essere in una società che sta modificando totalmente le sue strutture, i suoi cicli tradizionali di produzione e di consumo, i suoi rapporti tra i vari ambiti dell'operare umano. Non v'è dubbio che l'istruzione tecnico-professionale e quella artistica più risentono della mancanza di convergenza tra scuola e società, poiché nello stato attuale delle cose non è garantita alcuna preparazione culturale e specifica... L'isti­ tuto d'arte che ha come scopo quello di preparare il futuro operatore industriale, che non dovrà più essere legato ad al­ cun rapporto di necessità con la produzione di laboratorio (finalmente! Questo era precedentemente ritenuto unità di­ dattico-funzionale dell'insegnamento), che ora ingombra le aule dei nostri istituti e di cui ognuno sembra ignorare la effettiva possibilità di collocazione, che in realtà non esiste perché non correlata ad alcuna esigenza reale 6• Da tali premesse lo SNIA fece scaturire le seguenti ri­ chieste: A) La creazione di un solo Istituto a ciclo quinquen­ nale (2+3); B) L'istituzione dell'esame di Stato e l'equiparazione del titolo; C) La fondazione di scuole superiori di specializza­ zione, a livello universitario, ed annesse ad alcuni t.Stituti d'arte. Queste dovrebbero rilasciare titoli di « operatori spe­ cializzati» e di insegnanti di disegno e di materie artistiche; D) Accesso alla facoltà d'architettura e alle Beli1 Arti; nonché, previo esame integrativo, a tutte le facoltà univer­ sitarie. Più oltre pone i problemi dell'Università in modo ana-. logo alla Commissione d'Indagine: tre livelli di studio, isti­ tuti aggregati, ecc. Lo SNIA propone anche la necessità di denominare la Scuola Media - annessa all'Istituto - Scuola Media dell'Istituto d'Arte, denunciando così uno spirito an­ tiunitario e corporativo. In questo documento, come nel successivo che esami- 53


neremo, non viene affrontata la possibilità, già da altri avan­ zata, di una eventuale fusione del Liceo artistico con l'Isti­ tuto d'Arte: ritenuta quanto mai opportuna e necessaria per porre fine all'equivoco fra arte applicata e arte pura, fra scuola pre-universitaria e scuola tecnico-professionale. La proposta che viene dall'Associazione dei direttori (ANDISA) ci sembra, perciò, quanto mai opportuna e giustificata. In­ fatti, essa afferma che la distinzione fra i due tipi di scuole

non ha mai avuto, in realtà, alcun serio fondamento; tanto che l'opinione pubblica ne recepisce unicamente il significato pratico, consistente nella possibilità di accedere ad una fa­ coltà universitaria 7• Un'altra autorevole voce, al riguardo, viene dalla Commissione scuola del P.R.I. che conferma la necessità di un settore dell'Istruzione artistica nell'ambito della scuola secondaria dove si deve... evolvere il Liceo arti­

stico, le cui funzioni possono essere svolte assai meglio da­ gli Istituti d'arte opportunamente rinnovati 8• Dove però non siamo d'accordo, almeno per l'ANDISA, è quando si palesa il contenuto di questa soluzione. Infatti viene detto che il nuovo Istituto secondario di preparazìone artistica ( che dovrebbe riassumere i compiti attualmente

Sl'Olti dagli Istituti d'arte e dai Licei artistici) si articolerà in un biennio propedeutico e in un successivo triennio, intesi a preparare il giovane all'esercizio delle Arti Visive « me­ diante una formazione umanistica, artistica ed una sperimen­ tazione tecnologica » capaci di consentire: a) di operare im­ mediatamente nei processi produttivi al termine del quin­ quennio di studi; b) di accedere agli studi superiori artistici e a determinate facoltà universitarie... L'Istituto secondario di preparazione artistica condurrà perciò il giovane alla scelta e all'approfondimento di un ben definito campo di sperimen­ tozione. t:: piuttosto evidente che con questo tipo di fusione

54

il Liceo perde più di quello che guadagna. Come si può già notare le proposte, anche se contra­ stanti, sono molte, mentre l'iniziativa legislativa è decisa­ mente carente. Le uniche proposte, non realizzate, sono il D.D.L. ministeriale per i Licei artistici 9 e la P.D.L. Russo per gli Istituti d'arte 10•


Il fatto stesso che ci siano due proposte di legge sepa­ rate ci dimostra la volontà di conservare la distinzione fra le due scuole, mentre contrabbandando qualche nuova ma­ teria si portano entrambe a cinque anni; senza molta chia­ rezza sul come riempirli o come legarli alla «secondaria» e all'Università, in modo nuovo e il più possibilmente uni­ tario. L'Art. 3, infatti, reca testualmente: Il diploma di matu­ rità artistica è titolo valido per l'ammissione alle Accademie cl, belle arti e alla Facoltà universitaria di architettura. È inoltre, titolo valido per l'ammissione agli esami di abilitazione all'inseg,uunento dell'educazione artistica nella scuola media. Questo articolo, a dire il vero, e i successivi 4, 5 e 6 sono analoghi ai corrispondenti articoli del disegno di legge operante·. Per l'Istituto d'Arte, dopo un fantomatico D.D.L. del 1959 che non ha lasciato alcuna traccia, si è passati al citato pro­ getto Russo senza per questo avere una chiara coscienza delle finalità del settore e con scarsa volontà politica. Esso, infatti, dopo un'ampia relazione, avanza delle proposte, a dir poco, inadeguate. Ad esempio: L'istituto d'Arte deve assol­ vere ad una funzane della produzione di serie, destinata alla massa, e non soltanto, come avviene per il pezza unico, ad un'élite ristretta e raffinata. Come farà? Risposta: il nuov� Istituto d'Arte qualificato come scuola dell'ordine secondario di secondo grado ... prepara i giovani in una particolare branca delle arti applicate e ... rilascia il diploma di «perito artistico industriale». A detta di molti, il P.D.L. Russo dopo aver ricalcato il R.D. istitutivo del periodo gentiliano (1923), ripropone la con­ trapposizione tra scuola di «addestramento» e scuola di «cultura». Inoltre risulta anche più dannoso, per il fatto che riafferma (come lo SNIA) la richiesta di una scuola media annessa all'istituto d'arte. Poi, come se ciò non bastasse, precisa che gli alunni provenienti dalla Media Unica do­ vrebbero, per frequentare tale istituto, sostenere un esame di ammissione! Infine ripropone la necessità di far sussi- 55


stere due ordini di scuole, una di tre e l'altra di cinque anni, dopo la media. Questo è veramente inaccettabile, poi­ ché tende in effetti a discriminare gli alunni che la frequen­ teranno e le sedi che la ospiteranno. Ripensando a certe iniziative dell'Esecutivo ci viene il dubbio che, a titolo sperimentale, si stia cercando di far passare proprio questa legge. Infatti, perché i Corsi di per­ fezionamento biennali sono stati aggiunti solo agli Istituti ritenuti più funzionali? (strano che non si pensi di appro­ fondire il perché non sono tutti funzionali). Questi corsi, in pratica, assolvono anche ad una funzione strumentale, cioè di essere una specie di « limbo » per i neodiplomati. Il Ma­ gistero è la stessa cosa. Tralasciamo questo « incomprensi­ bile » dilemma e passiamo ad esaminare il secondo docu­ mento dello SNIA 11, fatto nel gennaio di quest'anno. Qui, stranamente, è detto che il progetto non considera diretta­ mente il problema della occupazione dopo gli studi ma lo pone come problema di carattere generale della struttura so­ ciale della nazione. Il progetto è stato pensato per una scuola ideale che serva per ogni tipo di struttura statale, 'fino alle più avanzate posizioni. Il progetto, a voler essere sinceri, ci sembra molto frettoloso, burocratico, contraddittorio e strumentale; tendente solo a recuperare il terreno perduto di fronte agli studenti. Cavalca, perciò, malamente la tigre della contestazione e incomincia a fare proposte dal tetto, in modo non organico, scarsamente articolato e prive di ogni riferimento alla problematica della fascia media superiore. Il succo, alla fine di questo tormentato documento fal­ samente democratico, si trova in questi articoli: Art. 1 - L'Isti­ tuto d'Arte è scuola dell'ordine secondario di secondo grado, ed ha 'fini di preparazione ad attività ideative ed operative inerenti alla produzione artistica ed a studi artistici ed uni­ versitari. Art. 5 - I programmi, l'orario d'insegnamento (si propongono su 36 ore solo 6 da riservare ad attività culturali .e sociali) e materie di esame ... sono stabiliti dal Ministero della P.I. (sic). Art. 8 - Gli studi dell'Istituto d'Arte si con­ cludono in un'unica sessione, con l'esame di stato, per il con56 seguimento del « Diploma di Istituto d'Arte» con l'indica-


zione del settore specifico (a nostro avviso non si dà nem­ meno un diploma, ma una specializzazione in ceramica, me­

talli, ricamo, oreficeria, ecc. Questo dovrebbe dare l'accesso all'Università?).... Il diploma di Istituto d'arte dà accesso ai corsi di cui all'Art. 16. Art. 16 - Il Ministro della P.I. con proprio decreto, sentito il parere del competente Consiglio Su­ periore, potrà istituire corsi superiori di istruzione artistica per il perfezionamento professionale e la ricerca sperimentale nelle sedi di studi che saranno ritenute più idonee (quali sono le sedi più opportune per studiare di più e meglio?). Art. 21 - Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si farà fronte con i normali stanziamenti del bilancio dei competenti capitoli dello stato di previsione della spesa del Ministero della P.l. per l'esercizio finanziario 1969 e suc­ cessivi, nonché con le maggiori assegnazioni a favore dei ca­ pitoli predetti, previste dalla legge 31-10-1966, n. 942. Da precisare, ancora, che nella lettera di presentazione il progetto viene così reclamizzato: ... contiene proposte ra­ dicalmente rinnovatrici e totalmente antiautoritarie ... prevede l'autonomia amministrativa sottraendo il controllo del bilan­ cio gli organi ministeriali, apre la strada agli studi superiori artistici e universitari ... propone una scuola con ampie iniziative sperimentali, dispone, a carico dello stato, i libri di testo, materiali ed attrezzi di lavoro, i mezzi di trasporto, prevede la più completa attrezzatura dell'istituto, ... Ora, se­ condo noi, tutto questo non solo si fa con un diverso bi­ lancio, ma con una diversa impostazione, sensibilità e ri­ spetto dei problemi degli studenti. A proposito di « autoritarismo», andrebbe precisato chi nominerà quel « Direttore» onnipresente in tutte le istanze democratiche che vengono proposte (Consiglio di ammini­ strazione, Giunta d'istituto, Collegio dei professori, Assem­ blea degli studenti, Assemblea delle famiglie, Consiglio di classe, Consiglio di settore) e quali sono i suoi compiti, ol­ tre, s'intende, quelli che già svolge e non sono minimamente contestati? Giunti a questo punto appare necessario rilevare che agli studenti vanno date delle risposte chiare, sia per quanto 57


concerne le proposte, sia per quanto riguarda l'impegno a portarle avanti. Come prima cosa, quindi, si deve uscire dal­ l'equivoco delle due scuole ad indirizzo artistico; secondo, si deve valutare, una volta per sempre, la necessità di stare o meno all'interno della fascia dell'istruzione di secondo grado; in forma corretta naturalmente. Cioè non come Isti­ tuto, ma in quanto indirizzo artistico: per cui si è parte in­ tegrante di un processo educativo generale di tipo « orizzon­ tale» (oggi è verticale, cioè gli studi umanistici vivono sepa­ rati da quelli scientifici e viceversa, mentre la preparazione artistica è separata da entrambi) che passa attraverso un liceo unitario ed articolato, nella struttura e nel ca-rattere (per il momento non ci interessa se a tre o più teste), e che abbia come unico scopo quello di promuovere la formazione di « base » dei giovani, facendogli acquisire il patrimonio so­ stan2'iiale delle conquiste scientifiche, culturali, artistiche e so­ ciali dell'umanità. Un discorso a parte meriterebbero il piano di studi e il programma per materia, nonché i metodi d'insegnamento; ma data la delicatezza del problema e il poco materiale di­ sponibile lo lasciamo cadere per il momento, preoccupati come siamo di assicurarci della corretta impostazione della scuola secondaria, poiché questa comprometterebbe anche l'impostazione degli studi universitari. Tale scuola, dunque, si presenta come giuntura con gli studi superiori, perciò con misure economiche e di altra na­ tura devono essere rimossi tutti gli ostacoli che non con­ sentono il massimo di qualificazione possibile e· impediscono l'ingresso degli individui e del Paese in questa grandiosa ri­ voluzione scientifico-culturale nella quale la scienza tende a farsi forza e strumento immediatamente produttivo e a pre­ sentarsi quindi, oggettivamente, non come sapere disinteres­ sato, ma come una componente importante del livello di svi­ luppo della società e delle forze produttive... E stato detto, infatti, che qualora un paese sottosviluppato avesse, pro-ca­ pite, terre coltivabili, capitale, forza-lavoro, materie prime, ecc. uguali agli Stati Uniti di America non raggiungerebbe 58 un reddito pro-capite pari soltanto al 35% degli Stati Uniti


perché non dispone dello stesso capitale intellettuale ( livello d'istruzione delle forze lavoro, istituti di ricerca, scuole, enti culturali, stampa, strumenti di diffusione, ecc.). E uno scrittore giapponese, Le Thanh Khoi, definisce lo stock d'istruzione come la più grande industria del XX secolo 12• Alcuni dati sulla scolarità negli altri paesi chiariscono effi­ cacemente tale concetto. Nell'URSS raggiungono la scuola media superiore quasi 4 milioni di giovani, mentre dieci anni fa erano solo un milione e mezzo. Nel Giappone il 70% dei giovani resta a scuola fino a 18 anni. Negli USA il 44% dei giovani dai 18 ai 22 anni seguono studi superiori. Con queste premesse ne consegue che se vogliamo av­ vicinarci a tali obiettivi bisogna rendere operante, a tutti i li­ velli di scolarità, il « diritto allo studio » chiesto dagli stu­ denti. Naturalmente diritto allo studio non inteso come spo­ radica iniziativa per rimuovere gli ostacoli e i condiziona­ menti... economici e sociali che ne limitano l'accesso; di­ ritto allo studio deve diventare diritto a fare scelte auto­ nome in ordine alla propria professione (giusto quello che non si vuole per l'Istituto d'Arte), significa diritto a gestire i contenuti culturali e le strutture della scuola, significa nuovi rapporti fra docenti e studenti, nuovi indirizzi pedago­ gici per una scuola di massa, significa scuola a tempo pieno u tutti i livelli: full time per i discenti full time per i do­ centi, significa, infine, nuove attrezzature anche edilizie per­ ché lo studente possa studiare e insieme vivere una vita piena nella quale, tra l'altro, si realizzi un rapporto nuovo tra scuola e società 13• Se ciò è giusto e necessario, anche per un nuovo ruolo dell'Italia nel mondo, allora non comprendiamo, o meglio comprendiamo, il senso delle proposte di chi si augura (come il ministro Gui si augurava nelle « Linee direttive del piano di sviluppo pluriennale della scuola ») che considerato il carattere spiccatamente artistico-professionale di tali istituti si deve continuare a dare ampio respiro agli insegnamenti tecnic0-0perativi senza trascurare la necessaria preparazione culturale generale... ; oppure di chi suggerisce una prepara­ zione modernamente umanistica che consenta di operare im- 59


mediatamente nei processi produttivi (ANDISA); o di chi parla di conseguimento del diploma... con l'indicazione del settore specifico ... per attività ideative ed operative (SNIA). Indubbiamente se ci lasciassimo sfuggire il significato esatto di queste frasi e la loro somiglianza, pur nella diversità di linguaggio, finiremmo per credere che l'istruzione artistica è come la bistecca: c'è chi la vuole cotta e chi la vuole cruda; ma invece ci troviamo d'accordo con De Samuele Ca­ gnazzi, il quale 150 anni fa metteva in risalto la mentalità dei benpensanti pugliesi che si allarmavano ad un minimo di aumento della scolarità (mutati i livelli e la scena storica, l'atteggiamento è poco diverso) e dicevamo: ...una volta che i

fanciulli sapevano leggere e scrivere i genitori aspiravano a far loro perseguire gli studi, facendo, in tal modo, mancare i buoni artieri (sic) 14• Per fortuna impararono a leggere e

sciivere, e oggi i loro nipoti pongono il problema di uno sviluppo della società tecnologica in armonia con lo svi­ luppo sociale e culturale di tutto il Paese. Pertanto riteniamo necessario e urgente uscire dall'equi­ voco e dire chiaramente perché si è d'accordo sui cinque anni e sull'istituto a livello secondario, ma si insiste, con­ temporaneamente, su fantasiosi diplomi e mansioni inesi­ stenti, che, in realtà, non corrispondono a niente di preciso (ammesso che la scelta fosse giusta) nel campo <1 ideativo operativo» (SNIA), o nelle.« arti applicate» (Russo), op­ pure nelle « arti visive» (ANDISA); mentre, ci sia consen­ tito, queste scelte significano ben altra cosa, e gli studenti lo sanno, sia nel mondo della scuola che nel mondo del la­ voro; essendo tali scelte, ad ogni livello, interfunzionali, le prime prefigurano le seconde. Gli studenti, quindi, sono giustamente contro le deci­ sioni prese da chi è o lontano o contro i loro interessi. Questo ci sembra giustificato soprattutto nel momento in cui si chiede uno sforzo quinquennale a tutti, senza però ga­ rantire gli stessi diritti. Non appare corretta l'offerta di un « titolo di studio a buon mercato» (solo cinque anni!) e la lusinga di un « posto » subito, che poi nella realtà non c'è mai 60 o comunque non è né subito né a buon mercato. Questo è,


non solo a nostro avviso, un modo «originale » per far pas­ sare un tipo vecchio di selezione, che tende, attraverso una scarsa o ambigua preparazione di «base», a mantener� fuori dagli studi superiori studenti di una certa provenienza so­ ciale o di una certa formazione culturale, ritenuta di poco conto. Come potrebbe ciò non verificarsi, quando un ragazzo si trova, fin da piccolo, inserito in un settore ritenuto di mi­ nor prestigio umano e sociale? Come non risentire negativa­ mente della precarietà degli studi intrapresi e della loro prospettiva, che prefigurano ed anticipano il «ruolo» nel mondo del lavoro (personale generico, personale qualifi­ cato, quadri intermedi, quadri intermedi superiori) otte­ nuto attraverso la frantumazione della sua personalità to­ tale? Non sono le premesse queste della selezione classista e dell'alienazione? Confessiamo che questa scelta non ci sembra né giusta n� giustificata, perché si basa su falsi presupposti intorno all'Arte (con l'A maiuscola) e intorno all'artigianato artistico o le «industrie artistiche ». Diventa, infatti, ogni giorno più chiaro che l'arte è sempre meno un'arte soggettiva (men­ tale), realizzata con tecniche locali o tradizionali ( scienza­ tecnica-arte erano tutt'uno con l'abilità dell'esecutore) e di­ \.'Cnta sempre più oggettiva ( logica) ed ha bisogno di una tecnica molto evoluta che, alla fine, s'identifica con lo stesso risultato (Munari). Crediamo, dunque, fuori discussione l'abolizione del di­ ploma a livello di scuola media superiore; raddrizziamo, perciò, il tiro verso scuole secondarie articolate che sono TUTTE scuole di cultura e formazione generale (Sindacato Auto­ nomo Scuole Medie); impegnandoci come dice L. L. Radice, a creare una scuola che fornisca un quadro organico del sapere, dando agli studenti, anziché un'informazione super­ ficiale e nozionistica, gli strumenti logici e conoscitivi indi­ spensabili per afferrare le analogie tra i vari rami del sa­ pere e per essere in condizioni di affrontare in qualunque momento le «specializzazioni» cioè gli approfondimenti e le «ricerche » necessarie, continuare a studiare ininterrot• tamente mentre si lavora per poter continuare a lavorare 15• .61


Precisiamo ancora che la scuola secondaria «deve » essere un ciclo aperto, « propedeutico », che pone le basi per un processo d'istruzione che continua (se non è così non con­ tinua, ma si atrofizza) per tutta la vita. Quindi, di fronte ad una nuova scuola, il problema aperto rimane quello della posizione, del ruolo e della prospettiva dell'uomo, nonché quello del controllo critico della sua formazione. Solo così, pensiamo, si può incominciare a dare una ri­ sposta concreta alle richieste degli studenti di ogni ordine e grado. Consideriamo, perciò, questa una scelta qualitativa­ mente giusta, poiché consente l'inserimento dei giovani nella società con caratteri di maggiore partecipazione effettiva al suo processo evolutivo. Speriamo di aver rassicurati, indirettamente, anche quelli che sostengono in buona fede la necessità di una «specia­ lizzazione», altrimenti, dicono, se «tutti » vanno all'Univer­ sità chi copre lo spazio dei «quadri intermedi», di cui si avrà pure bisogno? Indubbiamente qui si aprirebbe un lungo discorso, ma siccome lo riteniamo implicito in quanto ab­ biamo già detto ci limiteremo a poche precisazioni. Da una considerazione di carattere generale scopriamo che quei tec­ nici a cui di solito si fa riferimento, cioè i geometri, i ra­ gionieri, i periti, i maestri d'arte, ecc. già da tempo svol­ gono mansioni molto diverse dalla loro originaria prepara­ zione; questo avviene perché erano congeniali ad un'altra struttura produttiva che aveva individuato in essi una di­ mensione operativa indispensabile. I primi si fecero da soli attraverso l'esperienza nel mondo del lavoro; successiva­ ruente, per rispondere in modo più adeguato alla domanda sia quantitativa che qualitativa, furono «prodotti» nelle re­ lative scuole. Naturalmente queste scelte furono fatte in modo autoritario in quanto si decise dall'alto quali forze sociali dovevano essere utilizzate per quelle mansioni; que­ ste scelte coincidevano anche con un tipo di « gestione» del capitale economico, culturale, scientifico, artistico. Ora, invece, il «tecnico intermedio» deve essere un'altra cosa (anche alcune scuole professionali stanno operando in 62 tal senso), ma data la mutevolezza del progresso scientifico


e tecnologico, che mette ogni giorno in crisi le qualifiche em­ piriche chiamando tecnici e dirigenti a sempre nuovi com- . piti e conoscenze, gli studiosi e i pedagogisti, non a caso, hanno individuato in una solida preparazione di base la ma­ trice ideale per far fronte a tali difficoltà. Per non essere astratti precisiamo che la contestazione a livello medio si innesta proprio su queste contraddizioni, rifiutando, ovviamente, ogni blocco verso gli studi superiori, e considerando quel « tutti non possono studiare » più una questione di « merito » che una « scelta » di classe. La situazione reale ci obbliga a prendere in esame altri aspetti del problema che si ripropongono a livello di studi superiori. Vediamo, intanto, la situazione nelle Accademie di Belle Arti. Queste, naturalmente, hanno il fine di preparare i giovani all'esercizio dell'arte mediante la frequenza e il la­ voro nello studio di un maestro. Esse non hanno un pro­ gramma definito, né danno sbocchi o capacità diverse da quelle che un libero professionista può acquisire per assiduo esercizio dell'arte. Molti nomi di artisti famosi hanno di solito « fatto scuola» con la loro arte, lasciando una traccia quasi uniforme del loro « stile » nelle opere degli allievi. Questo tipo di istruzione scolastica è inteso a riprodurre, nel­ l'ambito e sotto il controllo dell'amministrazione statale, quel­ l'ambiente tradizionale che trae origine dalla «bottega» del Rinascimento, nella quale il giovane apprendista si avvaleva soprattutto della quotidiana osservazione dell'opera del mae­ stro per l'apprendimento del mestiere e pe,· l'affinamento della pMpria sensibilità artistica 16• L'Accademia comprende i seguenti corsi della durata di quattro anni: pittura, scultura, decorazione, scenografia. Le materie insegnate sono: l'insegnamento di sezione, alcuni tipi di tecniche del disegno, storia dell'arte ed anatomia ar­ tistica, e alcuni insegnamenti straordinari (gli insegnamenti sono ancora articolati intorno al concetto dell'anatomia del corpo umano come scienza, ha osservato recentemente Di Saivatore) . In alcune Accademie è annessa la Scuola libera di Nudo. Lo sviluppo di tutto il settore considerato ha avuto un 63


incremento fra il 1962 · e il 1967 che oscilla dai ventimila ai quarantamila alunni. La spesa sostenuta è stata di due mi­ liardi circa 17• Nelle proposte di riforma notiamo, come prima cosa, la stessa tendenza, già manifestata, a tenere isolato il settore artistico, poiché, si dice, è un settore «particolare » (alla fine questa particolarità snobistica si trasforma in diversità di concezione, valutazione, collocazione, ecc. in senso ne­ gativo) perciò occorre tenerlo separato, facendolo diventare tutt'uno dalla media in poi. Questa «globalità» (meglio ver­ ticalità), sotto altri aspetti utile ed apprezzabile, non ci sembra risponda alle richieste che vengono dal basso, né appare fruttuosa sul piano pratico. Su questo terreno troviamo impegnata ancora l'ANDISA che in un suo recente documento prendeva in esame tutta la questione dell'istruzione superiore. In esso si suggeriva che gli studi superiori artistici (anche questi annessi agli istituti d'arte) andavano ristrutturati come segue: a) Corsi superiori per le industrie artistiche, destinati ai diplomati dagli istituti secondari ad indirizzo artistico, mentre quelli provenienti da altre discipline devono fare un esame attitudinale. Questi avranno come fine la formazione di progettisti e di insegnanti di progettazione nei seguenti campi di attività: Arredamento e decorazione (triennale); Di­ segno lndustriaie (quadriennale): Scenotecnica, Ingegnere teatrale, Costume (quadriennale); Abbigliamento - tessuto, moda, oreficeria e bigiutteria, modisteria, calzature - (bien­ nale); Vetro, smalti, mosaico (triennale); Ceramica (trien­ nale); Grafica pubblicitaria e comunicazioni visive (quadrien­ nale); Grafica editoriale (biennale). b) Scuola superiore di Educazione artistica, di durata quadriennale, per la preparazione specifica degli insegnanti di Disegno, Disegno e Storia dell'Arte, Educazione Artistica, nelle scuole secondarie di I e II grado, esclusi gli Istituti artistici. 64

Sia le scuole superiori artistiche, quanto i corsi superiori per le industrie artistiche, dovrebbero rilasciare un


diploma valutabile, nei settori di specifica utilizzazione, alla stregua dei titoli universitari di I e II grado. c) Scuole (o Studi) superiori di Pittura, Scultura, Inci­ sione, intese alla preparazione e nell'approfondimento cri­ tico ed aperativo nei tre campi (esse dovrebbero sostituire, , per modo di dire, le Accademie di Belle Arti) 17• A quest'ultimo punto fa riscontro la P.D.L. dell'on. Bozzi ed altri riguardante la « Trasformazione delle Accademie di Belle Arti in Istituti superiori di belle arti» (siccome nella sostanza non vi è nulla di nuovo la legge sembra fatta apposta per far sparire il fastidioso nome di «Accademia»). Di questa legge si compiace lo SNIA, infatti dice che è in­ tesa a risolvere in modo radicale e organico il problema 1s. Ma prima di passare ad altre informazioni vediamo un po' più dettagliatamente la legge stessa. Art. 1) ...Gli Istituti

Superiori di Belle Arti sono di grado universitario... In at­ tesa della riforma dell'Istruzione Universitaria... continuano ad essere disciplinali dalle nonne del R.D. 13 dicembre 1923, n. 3123... Ari. 2) Ogni Istiluto ha uno speciale statuto... Agli studenti... viene rilasciato il Diploma di Laurea in Belle Arti con la indicazione della specialità del corso seguito. Art. 3) Accedono direttamente... coloro che sono in possesso del Diploma di Maturità artistica conseguito al termine degli studi nei Licei Artistici. Sino a quando n.on sarà stato rifor­ mato l'ordinamento delle scuole secondarie di secondo grado possono altresì accedervi i licenziati dagli Istituti d'arte e i diplomati delle altre scuole a condizione che superino un esame d'ammissione ... Art. 6) Al maggior onere derivante dall'applicazione della presente legge si provvede con l'au­ mento del gettito delle tasse... (d'iscrizione naturalmente)... e con. i fondi... dello Stato 19• Il giorno 24 marzo 1969 tale progetto di legge è stato illustrato ampiamente nel Liceo Artistico di Roma e dopo la relazione del prof. Montanarini, che ha sottolineato come l'insegnamento nelle attuali Accademie sia « inadeguato e anacronistico» sono intervenuti i proff. Ponente e Del Guercio che hanno criticato il modo burocratico seguito per l'elaborazione della stessa legge. Successivamente sono in- 65


tervenuti gli studenti sottolineando la struttura classista del­ l'Istruzione artistica, affermando che quella legge che tende a conservarla «diventerà il loro strumento di lotta» 20• In generale possiamo dire che non vi è niente di nuovo o perlomeno in forma « radicale e organica ». Ora, prima di andare oltre, dobbiamo dire che anche le proposte dell'ANDISA, di cui s-i sottolinea il sincero interessa­ mento, ci sembrano alquanto semplicistiche. Infatti quella serie di «facoltà» per «progettisti e insegnanti di progetta­ zione» sono già state inventate vari anni fa, perciò non cre­ diamo, che, adesso, con una semplice spolveratina e una « catalogazione» diversa si possano riproporre; ammessa e non concessa, la proponibilità di alcune di esse. Da queste estrapoliamo il Disegno Industriale poiché, inteso come metodologia del «fare», ci sembra suscettibile di un certo sviluppo e di un certo discorso più attuale e generale «sull'arte» e sulle «industrie artistiche», nonché sul loro insegnamento. Partiamo, perciò, ·dall'esperienza più catastrofica, ma la più «significante» per la problematica che apre, che è quella del Corso di Disegno Industriale di Venezia. Questo corso fu istituito nel 1959 per iniziativa degli Enti locali e realizzato nell'ambito della Pubblica Istruzione­ Ispettorato per l'Istruzione Artistica. Alla fine del corso viene rilasciato il diploma di disegnatore industriale... nelle tecno­ logie specifiche. Oggetto d'insegnamento: legno, metalli fer­ rosi e non ferrosi, materie plastiche. Accedono al corso i giovani con licenza di scuola media superiore· e di Magistero d'arte, previo esame colloquio, che consiste nel valutare le capacità culturali degli allievi viste sotto il profilo generale: storia, letteratura, cronaca, teatro, ecc. nella vita contemporanea. Inoltre sostengono un esame delle attitudini compositive. Il numero dei posti viene fissato ogni anno dal Ministero ed il 50% dei posti disponibili è riservato agli allievi del­ l'Istituto d'Arte. Le materie d'insegnamento sono: I anno: storia della cultura, analisi matematica, tecnologia generale, educazione 66


alla visione, psicologia della percezione, disegno, geometria descrittiva, disegno tecnico, fotografia, laboratorio del legno e di plastica. II anno: storia della cultura, progettazione industriale, fisica e meccanica, tecnologia metalli ferrosi, tecnologia me­ talli non ferrosi, tecnologia materie plastiche, tecnologia del legno, analisi delle forme, organizzazione della produzione, tecnica della produzione, economia, fotografia, grafica, espe­ rienze di laboratorio. III anno: progettazione industriale, microeconomia, ana­ lisi della produzione, ricerche di mercato, grafica, esperienze · di laboratorio 21• Naturalmente, al di là di questa oggettiva presentazione, se vogliamo conoscerne la storia nei suoi vari aspetti, bisogna rifarsi all'inchiesta fatta nel 1965 dalla rivista « Marcatré » 22• Da qui si rileva che il Corso fu posto sotto la tutela giuridica, amministrativa e culturale di un Istituto statale d'arte (quello di Venezia). Questa formula fu applicata no­ nostante che all'inizio fu promesso ai futuri studenti livelli di professionalità all'altezza del « direttore di produzione e dell'ingegnere». Agli allievi licenziati dalla scuola si aprivano le più promettenti prospettive cli lavoro nella libera profes­ sione o presso le industrie italiane e presso quelle di tutto il mondo civile... (questo secondo un documento del Ministero). In pratica (secondo gli allievi), quando agli inizi del '64 i primi designer uscirono dalla scuola, il Corso non era riu­ scito a dar loro niente altro che un certificato di frequenza. Di quegli ex allievi, che solo per ironia si possono definire di­ ploma ti, circa la metà sono rimasti disoccupati; l'altra metà svolge in industrie varie mansioni e compiti che poco hanno a che fare con l'industriai design. Perché tutto questo? In quattro anni il Corso cambiò due volte quasi completamente il corpo docente. Inoltre la formula (falsa sul piano giuri­ dico, ed ambigua sul piano didattico) del « Corso a livello universitario» portò uno sbandamento generale degli orari e nell'impostazione dei corsi. Al termine cli una lunga crisi usci­ rono dalla scuola i maggiori docenti. Le contraddizioni insite nella collocazione del Corso all'interno delle strutture del- 67


l'Istituto d'Arte esplodevano drammaticamente, attraverso contrasti che porteranno il Presidente del Consiglio di Am­ ministrazione ad imporre autoritariamente il proprio volere ed a ricorporre il Corpo Docente. Con la nuova ondata di professori... la professione del designer venne sempre più a collocarsi all'interno dì una logica produttivistica di ispira­ zione neocapitalistica. Naturalmente dopo questa tendenza a subordinare la cultura stessa al sistema produttivo e dopo altri avvenimenti gli studenti costituirono un Organismo rap­ presentativo per la tutela dei loro interessi e per una rior­ ganizzazione giuridico-istituzionale e di un riassetto didat­ tico-culturale del Corso. Uno dei primi atti fu quello di inviare al Ministero un documento nel quale si richiedeva il riconoscimento del ti­ tolo, corrispondente a quello universitario. La risposta del Ministero, in merito al Corso, fu che questi avevano lo scopo di offrire ai giovani diplomati dagli Istituti d'Arte e dai Licei Artistici la possibilità di perfezionare l'esperienza artistica e professionale acquisita in detti istituti ... (a noi sembra più giusto dire che si voleva fare a spese degli studenti un ten­ tativo di scuola moderna e falsamente progressista attraverso una educazione conservatrice). Qualche tempo dopo, considerata l'importanza che questo problema andò assumendo in Italia, l'Istituto d'Arte di Fi­ renze decise di ripercorrere l'esperienza veneziana. Le fasi di questa iniziativa le possiamo rilevare da una intervista di Menna su « Marcatré » agli stessi fondatori del Corso fiorentino 23• Interrogati sull'handicap dovuto al cor­ done ombelicale dell'Istituto d'Arte e sulla necessità che tali corsi assumessero carattere universitario, si sono espressi nel modo seguente. Dice Spadolini: gli istituti d'arte hanno un'attrezzatura ec­

cezionale, come laboratori, ed hanno anche una notevole li­ bertà amministrativa; ... Il fatto che fosse una derivazione di una scuola a carattere artigianale, poteva far paura a molte persone, ma la paura derivava dalla mancanza di chiarimento tra il fenomeno artigianale e il fenomeno industriale... E direi che il problema, se l'industriai-design possa o meno na68


scere dall'istituto d'arte, a me non ha affatto creato uno stato d'inferiorità... Il Direttore, prof. Landi, invece è del parere che ... la cosa più importante era, ed è, di creare una scuola di Disegno industriale... e quindi, con tutti i limiti, è bene cogliere ogni occasione. Per questo rimprovera gli stu­ denti veneziani ,in quanto hanno esagerato ... protestando per­ ché il loro Corso non è diventato un Istituto universitario, non si rendono conto che i titoli di studi posseduti da molti di loro non permettono, purtroppo, l'iscrizione alle Università (precisiamo che su 30 iscritti solo 6 erano nelle condizioni a cui si allude). Per quanto concerne i rapporti tra il Corso e l'Istituto, Landi spiega, che esiste I) Un comitato di coordi­ namento (che tiene provvisoriamente luogo di un vero e pro­ prio Consiglio dei Professori), e che decide in materia di incarichi per i corsi normali e monografici; in materia di orari, programmi, ecc. 2) Un direttore (nella persona del direttore dell'Istituto d·arte) che garantisce la continuità del funzionamento didat­ tico e disciplinare e tiene i rapporti ufficiali con l'esterno. 3) Un gruppo di docenti (per la maggior parte docenti universitari) c11e garantisce della impostazione superiore degli studi e delle esercitazioni. 4) Alcuni insegnanti interni dell'Istituto d'arte, scelti per i loro titoli e per le loro particolari attitudini, e infine al­ cuni insegnanti pratici, in qualità di assistenti per le atti­ vità pratiche di laboratorio. Nuovamente sollecitato Spadolini affronta il problema della funzione del designer. Al riguardo sottolinea la necessità di distinguere fra un designer che si occupa di prefabbricazione o di parte di industrializzazione edilizia, e un designer che si occupa dell'oggetto d'uso. Data la situazione italiana, ritengo che sia necessario inserire immediatamente nel mercato del design dei giovani che co­ noscano bene il problema nelle grandi linee generali, dando loro una possibilità di operazione su certi principi di base: in altri termini, la scuola deve insegnare allo studente una metodologia di base. Ritornando al problema principale Landi si dice favo­ revole a continuare ed estendere l'esperienza iniziata all'io- 69


terno degli Istituti d'Arte, mentre Spadolini precisa che trat­ tandosi di un penodo di transizione ogni ipotesi può cadere di fronte agli indirizzi che prenderà la riforma della scuola. Suggerisce, perciò, di seguire attentamente i fatti, perché nel momento della riforma stessa questa scuola si inserisca nel punto giusto. Rispondendo infine sul destino degli stu­ denti diplomati dal Corso, Spadolini afferma la necessità di un « coun�il » come garanzia che essi possano operare in quel campo, senza soggezione ne cedimenti al profitto azi;;:n­ dale. Precisa, inoltre, che vi sono due strade: una è la possi­ bilità del singolo di essere assunto dalla singola azienda... ; la seconda è quella di lavorare in gruppo e ogni tanto qual­ cuno si stacca per far parte di un certo staff in una deter­ minata industria. Nel concludere l'intervista Menna precisa che è apparsa diversa l'esperienza fiorentina da quella veneziana, ma che il problema rimane sospeso in quanto l'esperienza positiva di Firenze si dimostra « irripetibile » essendo questa più che un risultato obbiettivo un risultato legato eccessivamente alle doti degli organizzatori. Nel 1966, un'anno dopo, ritorna a galla il problema del­ l'insegnamento del disegno industriale e viene dibattuto in una tavola rotonda promossa dall'INARCH a Roma; parte­ cipano Argan, Gregotti, Menna, Panicelli, Perilli, Sacripanti, Spadolini. Anche qui, fra opposte tendenze, emerge con chia­ rezza la difficoltà di affrontare oggi in Italia il problema del design, soprattutto per la crisi che attraversa in tutto il mondo 24• Quali che siano i risultat,i dei tre corsi dedicati a questa disciplina, quello di Venezia, di Firenze, di Roma, restano ancora insoluti numerosi problemi che in Italia sono ancora a monte dell'istituzione di una specifica scuola di Design. Intanto, come s'è detto, è in atto una crisi di questa attività in vari paesi, di cui la chiusura della scuola di Ulm (febbraio 1968) è uno dei sintomi più preoccupanti. Le cause sono no­ toriamente molteplici, e tra esse emergono condizioni po­ litico-economiche, nonché l'usura dei modelli che sostanzial70 mente sono poco mutati rispetto a quelli del periodo raziona-


lista. Oltre a ciò l'organizzazione didattica del Design implica numerosi altri problemi: nuova definizione della disciplina, suo inquadramento nella pianificazione delle strutture indu­ striali, sua diversa posizione al variare di tipo d'azienda (pri­ vata o di Stato), necessità di fondare degli appositi istituti oppure far rientrare questa attività in preesistenti organismi opportunamente ristrutturati, loro coesistenza con la Facoltà d'Architettura ecc. Comunque, pur considerando l'industriai design uno dei pochi ragionevoli obiettivi per l'istruzione ar­ tistica e l'attività professionale più probabile per chi per­ corra l'intero iter di questo tipo di studi, non ci sembra che, allo stato attuale delle cose, questo fine sia prossimo. Anzi, diffidiamo di chi, ancora una volta usando termini nuovi per vecchie idee, propone in modo acritico l'industriai design come la panacea di tutti i mali della nostra istruzione arti­ stica. Il Design, a parte i risultati, ha prodotto una sua cul­ tura, che non può essere acquisita e sperimentata vigendo ancora la vecchia struttura didattica. In altre parole, è assai probabile che attualmente chi viene dal liceo classico riesca miglior designer di chi viene da quello artistico. Pertanto quindi dobbiamo anzitutto puntare ad un insegnamento di base, comune a tutta l'istruzione media, che sia il più pos­ sibile globale e culturalmente fondato in modo da consen­ tire il maggior numero di scelte per l'istruzione superiore e conseguentemente ogni tipo di attività professionale. EDILIO PETROCELLI

1 Documenti degli studenti di Perugia, Isernia, Vasto, Campania, Deruta, Reggio Calabria, Spoleto, Terni, Fermo. 2 Il Michelangiolo, Guida per l'Istruzione Artistica, Firenze, 1961,

p. 53.

3 4 s 6 7 s

Ibidem, pp. 54-55. Ibidem, p. 52. Tu, domani, Ministero P. I., Ispettorato Assistenza Scolastica, p. 42. Circolare SNIA, n. 2053, settembre 1964, pp. 2-6. Notiziario sindacale « METE», Snia, n. 4, aprile 1969. Rivista « Riforma della Scuola», n. 5-6. 1967, p. 76. 9 Ibidem, p. 73. 10 D.D.L. Russo, presentato al Senato nel 1967. li Circolare SNIA, n. 4062, 22.1.1969, pp. 2-4, 8-9. 12 « Diritto allo studio», estratto della relazione dell'on. Giannantoni, ciclostilata a cura degli studenti di Isernia, marzo 1969, ,p. 1.

71


Il Ibidem, p. 5. 14 Ibidem, p. 5. 1s L. L. RADICE in « Riforma della scuola», dicembre 1%8. 16 Il Michelangelo. cit., ed. 1963-64, p. 7. 17 Bollettino ANDISA, giugno 1968, pp. 1-3. 1s « METE », cit., p. 1. 19 Ibidem, p. 1. 20 « Paese Sera», 25.3.1969. 21 Atti del Congresso ANDISA, Firenze, 1963, pp. 7�74. 22 • Marcatré •, nn. 11-13, 1965, pp. 400-404. 23 « Marcatré •, nn. 16-18, pp. 149-160, 1965. 24 « Marcatré •, nn. 26-29, pp. 99-109, 1966.

72


Architettura fra retorica e logica

Un ricorrente filone, della cultura contemporanea, tende a riproporre per il campo urbano-architettonico un approc­ cio progettuale di tipo scientifico. Non intendiamo, con ciò, fare un ovvio riferimento ai tentativi di introdurre, nella elaborazione urbanistica in ispecie settoriale, metodi mate­ matici particolari e una serie di applicazioni derivate dalla modellistica. Ci riferiamo piuttosto ai tentativi - e sono molti, nella letteratura più recente - per un inedito recu­ pero della sistematica logica di ispirazione razionalista, e per la introduzione di una nuova nozione di oggettività (di natura complessa e ineren�e non tanto al «prodotto» quanto ai « valori »), da sostituire alla troppo storicamente circo­ scritta, e immanente al «prodotto», nozione della Sachlich­

keit.

Questi tentativi possono farsi risalire ad un generale im­ pegno razionalizzante, volto cioè ad una esatta fondazione disciplinare dell'architettura (e dell'urbanistica), e alla con­ seguente possibilità di formulazioni teoriche e metodologiche sufficientemente rigorose. Le radici di esso vanno probabil­ mente ricercate nella nozione di «architettura come servi­ zio», che in sostanza si colloca alla base di un filone fonda­ mentale del movimento moderno; ma si tratta di radici re­ mote rispetto alle attuali impostazioni, anche se utili per an­ corare il fenomeno architettonico - se non alla sfera delle scienze di più salda tradizione logica in senso formale quanto meno a quella delle scienze dell'uomo, traendolo dagli astratti splendori della sfera artistica. 73


74

Ci proponiamo qui di centrare l'attenzione soprattutto sull'aspetto della valutativ.ità, nel senso di tenere il problema dei valori come punto costante di riferimento al livello teo­ rico (connessione organica e gerarchizzazione dei valori in una formulazione generale), al livello progettuale (scelte), al livello storico-critico (valutazioni in rapporto a). Sin qui in­ fatti, e nonostante la denuncia reiterata della crisi dei valori tradizionali e della necessità di proporne di nuovi 1, l'idea che il fenomeno architettonico ricadesse, quasi « per defini­ zione », in una sfera tutt'altro che wertfrei qual è appunto quella dell'arte, non era stata posta in discussione; e ci sem­ bra in effetti che le difficoltà comincino proprio ove si voglia dare all'approccio « architettura come scienza» un conte­ nuto epistemologicamente fondato. Il problema dei valori, infatti, si ripropone ogni qualvolta venga affacciata l'ipotesi della strutturazione, in termini di scienza, o di una disciplina «nuova» (come fu a suo tempo per le scienze sociali e la sociologia in particolare), ovvero di un ambito, delle attività umane, che tradizionalmente veniva riferito alla sfera dell'arte. Dell'arte (e sia pure di un'arte dotata di .intersoggettività perché caratterizzata da un pro­ prio codice linguistico), e/o di una prassi empirica non avente dignità e rigore di scienza: ed è questo evidentemente il caso dell'architettura, in quella che in termini ormai clas­ sici è definita la sua duplice valenza, poetica e letteraria. Se volessimo impostare il discorso con prevalente riferi­ mento alla problematica storiografica, dovremmo ancorarci soprattutto a quel nodo centrale che è costituito dalla dot­ trina weberiana delle scienze storico-sociali. Com'è noto, in­ fatti, il problema dei valori è stato, si può dire da sempre, presente alla radice della contrapposizione tra scienze della natura e scienze dello spirito. In un fondamentale inquadra­ mento storico e teorico della problematica weberiana 2, Pie­ tro Rossi rammenta le impostazioni di Dilthey da un lato, e di Rickert e Windelband dall'altro, e in particolare la di­ stinzione rickertiana tra giudizio di valore e « relazione di valore», accolta da Weber nel senso che le scienze storico-

sociali non ammettono nel proprio ambito nessuna valuta-


zione pratica, ma sono in rapporto - un rapporto pura­ mente teoretico - con i valori che delimitano il loro og­ getto entro la molteplicità del dato empirico. E la « rela­ zione di valore » non è quindi un principio di valutazione, bensì un principio di scelta: essa serve a stabilire un campo di ricerca nel quale l'indagine procede in maniera oggettiva, per giungere alla spiegazione causale dei fenomeni 3• In We­ ber, come ribadisce ancora Pietro Rossi, la scelta non in­ veste più soltanto il dato empirico, ma anche i valori a cui esso va riferito; viene cioè abbandonato il piano assoluto, trascendentale, dei valori universali di Rickert, e gli stessi valori ricadono nella dimensione metodologica della scelta. Per questa via si giunge poi alla dottrina weberiana del « tipo ideale », che da sola, per le sue molteplici connessioni con il campo architettonico, richiederebbe un lungo discorso, e sulla quale torneremo più oltre per uno specifico riferimento. Ma in effetti, non essendo la problematica storiografica il nocciolo del presente scritto, le questioni inerenti alla di­ versa struttura dei vari tipi di discorso scientifico (quella che Dewey chiama differenza di « fase ") 4, risultano qui pre­ valentemente « a latere »; ci sembra infatti che si tratti non tanto di misurare la scientificità del discorso architettonico (rispetto al classico modello delle scienze logiche) supposto come già appartenente legittimamente a quest'ambito, quanto di porre in discussione la tradizionale impostazione dell'ar­ chitettura come fenomeno ed attività appartenenti ad una sfera antitetica rispetto a quella scientifica. Pertanto, ci ri­ feriamo qui soprattutto ad un approccio, delineato recen­ temente da Giulio Preti 5, e strutturato in termini di contrap­ posizione tra vocazione letteraria e vocazione scientifica nella cultura occidentale, e di antitesi fra la intrinseca valutati­ vità della sfera della retorica, e la tipica Wertfreiheit della sfera logica, per tentare nel presente scritto, ben consci delle difficoltà che comporta il tentativo di trasporre in termini architettonici formulazioni articolate per altri ambiti discipli­ nari, un sondaggio dei riflessi dell'approccio scientifico in campo architettonico. Abbiamo avuto altrove occasione di accennare alle rec...ati 75


rielaborazioni della tematica metodologica legata alla cultura razionalista, e quindi non riprenderemo questo aspetto; vi­ ceversa, per il discorso che intendiamo qui condurre, ci sem­ bra interessante riportare un brano, nel quale sì tenta una definizione dell'architettura come scienza, che sfiora alcune questioni importanti, come il problema della cosiddetta « neu­ tralità della soìenza », e quello della possibilità eventuale di una definizione logica della gerarchia dei valori. L'architet­ tura come scienza è la progettazione come atto razionale e controllabile, come prassi epistemologica, è un obiettivo ri­ cercativo che viene perseguito tramite l'assunzione di un con­ cetto di scienza come impegno politico e culturale; non come atto tecnocratico cioè, che strumenti la scienza come una materia neutrale, ma come introduzione della ragione nel processo delle scelte 6• In effetti, la questione della neutralità della scienza sem­ bra riproporsi ogni qualvolta, come spesso accade, venga ope­ rata una sorta di identificazione tra scienza e tecnica; iden­ tificazione illegittima ed impropria, giacché la libertà della scienza nulla ha a che fare con la disponibilità che è tipica dello strumento tecnico. La neutralità come disponibilità è infatti tipica del livello tecnico, mentre non può sussistere che come libertà al livello ideativo; e qui, ancora una volta, vien fatto di pensare alle ormai annose querelles, spesso ri­ proposte in campo architettonico, sulla neutralità ovvero il potenziale determinismo formale, legati all'adozione di un materiale o di una tecnica costruttiva, a preferenza di altri. Tale chiarimento tuttavia ha nel nostro discorso solo un ruolo marginale, e la funzione di sgomberare il campo da un possibile equivoco. Ci interessa invece, come si è detto, cercare di valutare i riflessi della presente tendenza a vedere il fatto architettonico in termini di scienza. Questo atteggia­ mento può farsi corrispondere, con qualche cautela, ad una impostazione che collochi l'architettura in quella che è la sfera usualmente contrapposta a quella delle humanae lit­ tcrae e delle arti; con un netto distacco quindi, ed anzi un capovolgimento di termini, rispetto sia alla tradizionale con76 cezione dell'architettura come attività aristocratica ed epi-


sodio di eccezione, sia anche alla nota pos1z1one di deriva­ zione crociana, che fa coesistere accanto al livello dell'arte quello del gusto, e quindi accanto alla poesia la letteratura architettonica. La collocazione dell'architettura nella sfera scientifica ri­ mette in discussione, come si è accennato, tutti gli aspetti di questa attività: non solo quel problema progettuale sul quale principalmente si appuntano gli interessi e le ricerche sul recupero della metodologia logica della cultura razionalista, ma anche il problema della critica come attività valutativa, e prima ancora, il discorso sulla possibilità di una teoria for­ malmente logica del fatto architettonico 7• Se infatti, e so­ prattutto nei termini « antropologici » in cui l'ha posta lo Snow 8, la questione delle due culture appare insostenibile, resta purtuttavia un dato di fatto la presenza, in seno alla civiltà culturale occidentale, di due atteggiamenti, due modi di pensare, due diverse nozioni di verità, che possono ricon­ dursi l'una alla struttura del discorso retorico l'altra alla struttura del discorso logico; per, cui, come nota Giulio Preti, l'apposizione... non è tra « letterati» e «scienziati»,... ma tra « hwnanae litterae » e scienza 9• Non sembra facile definire in maniera sintetica queste due diverse vocazioni, queste due differenti forme mentali; molto brevemente, può dirsi che l'atteggiamento scientifico è caratterizzato dalla razionalità, dalla avalutatività (la scienza è per definizione wertfrei), dalla esclusione dell'im­ pegno ideologico; mentre di contro l'atteggiamento letterario è essenzialmente valutativo, storicistico, « estetico ». In campo architettonico, la radice ideologica risulta sempre presente, spesso determinante; si pensi ad esempio ai contenuti inno­ vativi proposti dai progetti dei « rivoluzionari » cari al Kauf­ mann 10, o all'impegno ideologico e politico dei « razionali­ sti», e quindi alla natura radicale assai più che razionale di quella poetica 11• Ciò ripropone, per il campo architettonico, l'esigenza di andare a ritrovare il filo rosso della razionalità prescindendo in modo assoluto dagli esiti linguistici e ricer­ cando piuttosto i rapporti di coerenza logica all'interno delle teorie e delle poetiche: rintracciando cioè, se ve ne sono, 77


i tentativi di una costruzione logica, fondata sia pure su va­ lori, che si presentino lungo l'arco storico della produzione teoretica e progettuale. In altre parole, occorre riferirsi a due coppie concettuali: poetica-ideologia da un lato, e dal­ l'altro metodologia-avalutatività (almeno come posizione di partenza). In ogni caso, la distinzione tra l'atteggiamento logico (wertfrei) e quello retorico (ideologico e valutativo) sembra essenziale alla prosecuzione del nostro discorso. Per chia­ rirla ulteriormente, Preti si rifà ad alcuni interessanti in­ terventi nella polemica sulle due culture, in particolare a quelli di Trilling e di Huxley. Di Trilling, Preti riprende la distinzione tra il modo «culturale » di pensare ( che corri­ sponderebbe al discorso letterario), e il modo « intellettuale » (che corrisponderebbe al discorso scientifico). Pensare in termini culturali, scrive Trilling, è considerare le es pres­ sioni umane non soltanto nella loro esistenza palese e inten­ zione dichiarata, ma per oosì dire nella loro vita segreta... Nei giudizi che si fanno quando si pensa nella categoria della cultura ci si fonda in gran parte sullo stile in cui è fatta un'espressione.. Parte integrante dell'idea di cultura è il momento estetico... 12 • In contrapposizione al modo «cul­ turale» di pensare, sta per Trilling quello «intellettuale », ca­ ratterizzato dalla razionalità, dalla astoricità, dal suo ri­ flettere una libera e necessaria universalità umana. Qui ri­ sulta immediato, per quanto riguarda il discorso «culturale», in termini di « stile», il richiamo a tanta parte della storio­ grafia architettonica, anche recente. Viceversa, meno diretto ma pure suscettibile forse di sviluppi risulta l'altro riferi­ mento che anche si prospetta, inerente al discorso « intel­ lettuale». In campo architettonico infatti, l'aspirazione ad un tale tipo di linguaggio - inteso però in termini di sti­ lemi più che di codice - potrebbe forse ritrovarsi negli or­ mai storici tentativi di messa a punto del così detto «stile internazionale », con una certo non casuale accentuazione della valenza funzionale, mirante ad aumentare la univocità semantica del segno, ma accompagnata dalla inevitabile 78


riduzione, che essa comporta, dell'alone semantico-simbolico (ossia dell'alone « culturale » del segno stesso). L'altra analogia richiamata da Preti è invece proposta da Huxley, il quale si rifà alla distinzione di Dilthey tra scienze nomotetiche e scienze idiografiche, per applicarla alla polemica delle due culture. Le scienze fisiche sono « no­ motetiche »; esse cercano di stabilire leggi esplicative. La let­ teratura non è « nomotetica », ma « idiografica »; il suo obiet­ tivo non è dato da regolarità e leggi esplicative, ma da de­ scrizion,i di apparenze e qualità palesi di oggetti percepiti come totalità, da giudizi, confronti e discriminazioni, da « in­ tuizioni» ed essenze, e (znalmente dalla lstigkeit delle cose...13. In effetti, se tralasciamo l'accenno alla ineffabile Istigkeit delle cose, troviamo qui contrapposte la ricerca (per astra­ zione) di una universalità, e viceversa la accettazione di un diversificato complesso di singolarità; e francamente ci sem­ bra che sia l'impegno di sistematizzazione operato dalla tra­ dizione classica con i codici, sia lo sforzo di inquadramento metodologico dell'iter progettuale che dobbiamo alla cul­ tura architettonica del razionalismo, costituiscano proprio dei tentativi di superamento della singolarità in una di­ mensione di tipicità, essendo purtuttavia evidente che siamo lontani da ogni obiettivo di universalizzazione. E sembra esatto a questo punto riferirsi a quanto Pietro Rossi precisa circa il ruolo che nella dottrina weberiana assume il sapere nomologico. Non la presenza e l'assenza ri­ spettive, ma la diversa funzione del sapere nomologico di­ stingue tra loro la scienza naturale e le scienze sociali: ciò che per la prima è il termine della ricerca, nella seconda è in­ vece un momento provvisorio dell'indagine. [Infatti,] ... la spiegazione dell'individualità presuppone il sapere nomolo­ gico, vale a dire un insieme di uniformità tipiche di compor­ tamento empiricamente constatabili. E queste uniformità, ... sono costituite attraverso un procedimento astrattivo, [il cui risultato] ... è perciò sempre un tipo ideale, che da un lato si differenzia dalla realtà e non può venir scambiato con essa, ma dall'altro deve servire strumentalmente alla spiegazione dei fenomeni nella loro individualità; esso è sem- 79


pre... un concetto-limite ideale che deve fornire uno schema

concettuale orientativo per la ricerca 14•

Risulta qui immediato, e inevitabile, il riferimento al concetto architettonico del « tipo» (in contrapposizione al «modello» 15 ), e si delineano quindi una serie di intercon­ nessioni fra il discorso weberiano sulle scienze storico-so­ ciali, e l'approccio sistematizzante in chiave tipologica, che appartiene ormai alla tradizione del filone razionalizzante in campo architettonico. Tuttavia, come s'è accennato, non è qllesto il nocciolo del discorso che intendiamo qui condurre, e che mira ad indagare soprattutto la questione dei valori. Sotto questo aspetto, la trasposizione per noi più inte­ ressante è quella che lo stesso Preti delinea attraverso la opposizione fra discorso retorico e discorso logico (per la quale si rifà al Perelman e al suo Traité de l'Argumentation), e la conseguente analisi critica del discorso valutativo. Fon­ damentale è qui la distiniione tra persuasione (indurre a fare) e convinzione (dimostrare), e quindi la opposizione tra ... un discorso persuasivo, con riferimenti pragmatici, e

quindi emotivo-valutativi (sentimentali), mirante a stabilire un'adesione tra i partecipanti al discorso, e un discorso pro­ bativo-dimostrativo, avente per scopo la verità, oggettivo, ra­ zionale, ... e non portante su valori, bensì su fatti 16• In ef­

80

fetti, per quest'ultimo aspetto, è da osservare che lo stesso Preti, poco oltre, caratterizza la definizione persuasiva come quella che stabilisce la funzione valutativa di frasi denotanti fatti 17 (nell'ambito peraltro della 66!:,cx. 1toÀ.À.lov); tuttavia, tralasciando tale questione, interessa qui piuttosto stabilire la rispondenza fra i tipi di discorso delineati, e i rispettivi !in- ' guaggi. Evidentemente, il linguaggio del discorso probativo­ dimostrativo è il linguaggio scientifico, caratterizzato dalla univocità; mentre il linguaggio del discorso persuasivo è quello letterario, al limite quello poetico; dominato quest'ul­ timo dalla metafora (e da quel tipico carattere polisenso, de­ finito da Della Volpe in termini che rendono molto bene, mi sembra, la stratificazione semantica del linguaggio poetico). A queste caratteristiche, Huxley aggiunge, nella sua analisi del discorso poetico, quella della temerità (recklessness)


verbale: caratteristico device, per il quale ogni parola cessa di essere, come è invece nel linguaggio scientifico, signifi­ cante ed operativa in un contesto, bensì viene assunta come un'« idea» - cioè viene isolata da contesti, presa in sé; di­ viene un.a parola-isola, un «paradigma indipendente di suoni e significati », e così assume una nuova significanza, proble­ matica, misteriosamente magica» 1s In termini architettonici, la recklessn.ess, e la astrazione della parola (segno) dal suo usuale contesto, trovano non poche corrispondenze, e certamente sono a mio avviso da ri­ conoscersi, ad esempio, nell'uso che degli elementi «classici» compiono gli architetti rivoluzionari della fine del Settecento - i Boullée, i Ledoux - allorché colgono esattamente come, avulsi dai contesti canonici ed immessi in un nuovo sistema di interrelazioni, gli elementi più abusati della tradizione pos­ sano acquisire un valore ed una risonanza simbolica del tutto inediti. Ciò in particolare si verifica nell'architettura di Le­ doux (si veda ad esempio la sua concezione del globo come simbolo-emblema dell'eguaglianza), per il quale la forma semplice e geometrica diventa il riassunto del problema so­ ciale e politico nella sua concezione egalitaria fino a trascen­ dere e a fissarsi eternamente nel simbolo 19• E infine, esem­ pio-limite forse di recklessness architettonica, si veda il pro­ getto del padiglione di Bellevue di Lequeu, a prima vista semplicemente una strana combinazione tra stili diversi ( an­ tico, gotico e rinascimentale) 20, ma in effetti singolarissima espressione di una ipotesi di connessione semantica dotata del massimo grado di ambiguità, tra segni architettonici che singolarmente assunti appaiono invece dotati . di un signi­ ficato ormai stabile e codificato. Il che ripropone, per l'ana­ logia linguistica in campo architettonico, il problema di un doppio ordine di univocità/ambiguità semantica: al livello del segno, e a quello delle connessioni contestuali. In conclu­ sione, in termini di struttura del discorso, univocità del lin­ guaggio (al limite del jargon.) scientifico, e ambiguità _del linguaggio architettonico sembrano nettamente contrapporsi. Ma, come si è già rilevato, ciò che veramente oppone discorso scientifico e discorso letterario è, nella imposta- 81


zione di Preti, la Wertfreiheit della scienza, quella che è stata spesso definita la sua « sordità ai valori», e, di contro, la caratteristica, intiinseca valutatività del discorso letterario. A questo punto, riproporsi l'interrogativo su quale sia il posto della sfera architettonica (prassi progettuale, storia e critica, teoria) in una tale dualità tra cultura scientifica e cultura letteraria, significa sostanzialmente cercare cli pre­ cisare il ruolo dei valori in campo architettonico; in altri termini, domandarsi se per l'architettura sia possibile intra­ vedere un nuovo tipo di valutatività, determinare una scala logica di valori intersoggettivamente confrontabili, e a que­ sta riferire costruzioni teoriche, scelte progettuali, attività storico-critica. Ciò si riduce, in ultima analisi, a vagliare l'ipotesi, per il campo architettonico, di un discorso insieme scientifico e valutativo (non nel senso di « giudicativo», ma nel senso di « ancorato a valori»). Per molti aspetti, come si intuisce, il mondo dell'archi­ tettura sembra riferibile alla sfera della retorica, assai più che a quella della logica: per le sue valenze comportamen­ tistiche, per il suo diretto rivolgersi ad un pubblico con­ creto e storicamente determinato di fruitori (il problema, che vedremo, dell'« uditorio» cli Perelman), per la sua caratteri­ stica, dominante presentatività, per il suo dar luogo, in sede di critica, a giudizi cli validità e non di verità. Per quanto riguarda il primo aspetto, ossia i riflessi di natura pragmatica (che abbiamo chiamato la « valenza com­ portamentistica » dell'architettura), ci limiteremo qui a ri­ cordare l'analisi dei segni architettonici, elaborata da Gam­ berini, Koenig e Spadolini in termini di semiotica morri­ siana, e ricordata, anche recentemente, da Eco; secondo tale approccio, l'architettura è composta di veicoli segnici che promuovono dei comportamenti, e pur se appare indubbia la parzializzazione che esso comporta, non si può negarne certo l'aderenza ad una reale valenza comportamentistica presente nell'architettura. Più complesso è il problema dell'« uditorio». Per il suo tipico cercare adesione e consenso in termini che diremmo 82 empatici, il discorso persuasivo (o letterario, se vogliamo


rifarci all'analogia di Preti) si rivolge tendenzialmente ad un uditorio storicamente determinato, concreto, nei cui con­ fronti esso deve risultare « valido »; viceversa, per il suo stesso essere wertfrei, il discorso dimostrativo (o scientifico) ha un uditorio potenzialmente universale: esso infatti enun­ cia verità di natura intersoggettiva. Va detto qui subito che, a prima vista, l'uditorio del­ l'architettura sembrerebbe essere proprio del primo tipo, os­ sia storicamente concreto, fisicamente determinato, in pra­ tica coincidente con il pubblico dei fruitori reali. Tuttavia, questo discorso in termini fruitivi vale nella misura in cui è proprio dell'architettura, e dei suoi segni, denotare delle funzioni reali, pratiche (quelle che Eco chiama « funzioni prime »); ma siccome proprio dell'architettura, e dei suoi se­ gni, è anche il connotare « funzioni seconde», non legate alla contingenza fruitiva e nemmeno alla contemplazione in­ tesa come concreto atto in praesentia, ma al contrario ine­ renti anche a meri fatti evocativi, ecco che allora l'uditorio dell'architettura, almeno in termini potenziali, si dilata. Na­ turalmente, resta il fatto - peraltro essenziale - che il di­ scorso architettonico non può, neppure al limite, conside­ rarsi contrassegnato da verità e univocità, come è per quello scientifico. Tuttavia, esso ha una sua struttura semantica che, anche nelle inferenze simboliche, rimane nella sfera della razionalità (senza con ciò escludere la ambiguità e po­ livalenza dei nessi); e ciò, se non di univocità, consente di parlare in termini di intersoggettività. In ogni caso, la de­ terminatezza e concretezza, anche storiche, del discorso ar­ chitettonico, non sembrano contestabili; ed anzi, molti ele­ menti fanno pensare che il significato delle strutture spaziali presenti, con i valori e le strutture culturali antropologiche, nessi semantici più stretti di quelli sin qui acquisiti (mi ri­ ferisco ad esempio agli studi sui sistemi urbani che la Choay chiama hypersignifiants 21, e inoltre alla « dimensione na­ scosta » rappresentata dalla prossemica 22). L'aspetto della prevalente presentatività del linguaggio architettonico (trattato recentemente su questa rivista da Morpurgo-Tagliabue 23), riguarda il caratteristico «esserci» dei 83


84

segni architettonici; un «esserci» che peraltro, come ab­ biamo avuto altrove occasione di notare, non esclude una anche spiccata componente di rappresentatività: non nel­ l'usuale accezione dello «stare per», ma in quella più vasta dell'implicare, del rinviare, del rimandare a, che è tipica della referenzialità simbolica. Lo stesso Preti nota come sia proprio del discorso scientifico il discutere intorno a, e come invece appartenga al discorso letterario ( e in particolare a talune sue forme, come il teatro), il «presentare», il «pro­ porre situazioni». In effetti, il discorso architettonico sem­ bra appunto «proporre» determinate ipotesi di connessioni segniche, sempre dotate di un margine di ambiguità e sem­ pre mutevoli all'interno della dinamica dei sistemi architet­ tonici. Considerando infine l'ultimo degli aspetti indicati, ossia il fatto, che è proprio del discorso architettonico, di dar luogo in sede di critica a giudizi di validità e non di verità, va ribadito che, in effetti, il giudizio critico tradizionale, per essere riferito a valori assoluti e ineffabili , di tipo ricker­ tiano, non· può appunto che essere di validità, e riflettere una « opinione». D'altra parte, nota Preti, la «validità » è tipica del giudizio di -valore: un giudizio che non sia una proposizione, vale o vige, 1wn è vero o falso; la «verità» è tipica dell'enunciato scientifico... 24 • A questo punto, tuttavia, sembra giustificato un mo­ mento di ulteriore riflessione. Anzitutto, dov,remmo chiederci quale sia il significato che, in questa prospettiva, assume l'impiego di procedimenti matematici di calcolo, o comunque di tecniche scientifiche di «messa a confronto» di obiet­ tivi (valori) che tradizionalmente non risultano quantifica­ bili, ossia intersoggettivamente misurabìli. Se è vero infatti, come sembra, che i contenuti (valori) cui l'architettura fa riferimento non possono farsi ricadere ( o almeno non per intero) nella sfera della logica, è giustificato adottare dei procedimenti, la cui struttura formale è scientifica in senso rigoroso, per raggiungere gli obiettivi delineati in rapporto a questi valori? Non si tratta tanto di chiedersi se sia legittimo rivolgersi con atteggiamento scientifico a qualcosa che


non sia la scienza, quanto di indagare se sia corretto impie­ gare procedimenti e strutture logiche della scienza, nei con­ fronti di entità (valori) che non ricadono nella sfera della lo­ gica. Questo interrogativo richiama la distinzione di Dewey tra scienza come atteggiamento e scienza come subject­ rnatter. L'atteggiamento scientifico infatti, nei termini in cui è definito dallo stesso Dewey, sembra adottabile anche nei confronti di discipline ricadenti fuori dell'ambito della scien­ za; mentre l'interrogativo e le perplessità riguardano i pro­ cedimenti formali della scienza stessa, anche di quella mo­ derna, che ha sostituito alla puntuale iteratività del princi­ pio di causa ed effetto, il calcolo probabilistico e il principio di indeterminazione. L'atteggiamento scientifico, scrive Dewey, nel suo lato negativo è libertà dal dominio dell'abitudine, del pre­ giudizio, del dogma, della tradizione acriticamente accettata, del mero egoismo. Positivamente, è volontà di ricercare, esa­ minare, decidere, trarre conclusioni solo sulla base delle prove e solo dopo essersi data la pena di procurarsi tutte le prove disponibili ... 25• Questo tipo di atteggiamento razionale, obiettivo, non necessariamente si traduce in procedimenti formalmente logici; e questi ultimi non sembrano, almeno allo stato attuale e immediatamente, applicabili ad entità complesse come quelle in giuoco nel campo architettonico, non individuabili intersoggettivamente in termini di univo­ cità. Si ripropone a questo punto, pur se non negli identici termini, l'interrogativo che sottendeva anni orsono, su questa stessa rivista, lo scritto dedicato a / criteri di valutazione dell'arte contemporanea. Ci chiedevamo, allora, quali criteri avessero di fatto sostituito tutti quelli - la mimèsi, l'ar­ monia, l'ordine, etc. - che si riferivano alla natura e al « bello » come valori. Nella prospettiva del presente scritto, ci domandiamo se sussista la possibilità di contrapporre, ai valori tradizionali su ricordati e a quelli che in questi anni si è cercato di sostituire ad essi e che come quelli «classici» appartengono al modo « culturale » di pensare e non a quello « intellettuale », dei valori di natura diversa, in particolare 85


caratterizzati dalla intersoggettività. Resta infatti più che mai aperto il problema della natura dei valori; questi possono essere ancora degli assoluti, delle categorie estetiche ed uni­ versali come il « bello • della tradizione; ovvero possono es­ sere dei valori di tipo relativo, assunti nella loro storicità ed in un contesto determinato, ma intersoggettivi e comu­ nicabili: valori rispetto ai quali sia possibile un atteggia­ mento razionale e razionalizzante e, pur se non traducibile in strutture logiche, tuttavia diverso da quello affettivo, « cul­ turale », empatico, cui la cultura letteraria ha ormai fatto associare il concetto di discorso valutativo. Scrive infatti lo stesso Preti: ora, io non penso che i valori consistano di emozioni - ossia, per parlare in modo meno mitico, che i

giudizi di valore possano ridursi semplicemente all'espres­ sione di emozioni. Certamente il discorso valutativo ha una struttura assai complessa, come una struttura assai complessa hanno le attività rivolte alla realizzazione di valori: entrano in gioco funzioni a livello fenomenologico più elevato - de­ sideri, interessi, sentimenti, autovalori... Ma l'Erfiillung, la ultimatio intuitiva e verificante di un discorso valutativo per quanto complesso è pur sempre un'apprensione emozionale (o un insieme di apprensioni emozionali) di un valore ele­ mentare, di un valore-emozione ( o di un insieme di tali va­ lori). E a questo lii•ello viene meno ogni certezza di inter­ soggettività: è questo il limite che di fatto incontrano sem­ pre il discorso valutativo e la comunicazione di valori 26• L'ipotesi, allora, sembra dover essere quella di contrap­ porre, alla tradizionale valutatività del discorso retorico, una valutatività inedita e per ora non prefigurabile, ma che do­ vrebbe poter essere articolata in una struttura razionale mu­ tuata da quella logica del discorso scientifico, e riferita ad una gerarchia cli valori ordinati secondo criteri intersog­ gettivi. Lo stesso Perelman ha, ci sembra, un accenno - e sia pur vago - in questo senso, allorché nota: oggi, che ... ci

rendiamo conto... dell'importanza dei giudizi di valore, la Re­ torica deve ridiventare uno studio vivo, una tecnica nelle faccende umane, e una logica dei giudizi di valore 27•

86

In campo architettonico, l'ipotesi di una ricerca su va-


lori suscettibili di essere ordinati in una struttura razionale, e quindi di dar luogo ad un discorso critico (valutativo) di tipo scientifico e non letterario, apre prospettive non facili, poiché evidentemente sarebbe anzitutto necessario sgombe­ rare il campo dalla ipoteca, e dagli equivoci, derivabili dalla possibile doppia equazione validità-funzionalità-verità. Qual­ che indicazione sembra però emergere, in questo senso, dal­ l'approccio linguistico-semiologico. Esso infatti, reintrodu­ cendo ai tre livelli (teoria, critica, progetto) il concetto della significatività del segno sia come denotante che come con­ notante, e stabilendo quindi la valenza comunicativa del fatto architettonico, introduce quella caratteristica della intersog­ gettività del discorso, che appare indispensabile premessa per qualsiasi approccio di natura scientifica. Naturalmente, l'intersoggettività del discorso architettonico non coincide con la intersoggettività del discorso scientifico, avendosi per quest'ultimo una riduzione ad univocità, dei significati, che in campo architettonico è esclusa dalla valenza simbolica del segno. Tuttavia, la stratificazione semantico-simbolica, e la stessa «storicità » del segno architettonico, non elimi­ nano la radice prima, uni-significante in senso denotativo, del segno stesso, la sua natura intersoggettiva, e la sua po­ tenziale significatività, anche connotativa, tramite codici com­ plessi, per un «uditorio» tendenzialmente illimitato. Di con­ seguenza, anche se non riducibilé ai termini assoluti ed univoci della «verità», il discorso architettonico sembra, in prospettiva almeno, suscettibile di raggiungere un tipo ine­ dito di «validità»; una validità non più condizionata dalla intuizione di ineffabili essenze, e misteriosamente scaturente dalla Istigkeit dei suoi segni, ma al contrario riferita ad un mondo di valori ordinati secondo una gerarchia non for­ malmente logica, ma razionale per intrinseca coerenza di nessi strutturali. MARIA LUISA SCALVINI

I Intendiamo infatti, nel presente scritto, riprendere alcuni temi trattati ne / criteri di valutazione dell'arte contemporanea (a cura di Renato De Fusco, Niclo Palnùeri, Maria Luisa Scalvini), in « Op. cit. •,

87


88

n. 5. Cfr. anche A. BELLI e G. PASCA RAYMONDI, li metodo scientifico nello pianificazione in « Op. cit. » n. 10, e degli stessi autori, Valori e obiet­ tivi nella pianificazione, in « Op. cil.• n. li, raccolti poi con altri saggi nel voi. Metodo scientifico e struttura del territorio, Istituto di compo­ sizione della Facoltà di Architettura di Napoli, ivi, 1968. 2 PIETRO ROSSI, Introduzione alla traduzione italiana de li metodo delle scienze storico-sociali di Max Weber, Torino 1958. 3 PIETRO Rossi, op. cii., p. 24. ◄ • Il concetto deweyano di unità dell'indagine presupponeva tutta­ via non soltanto l'unità di un atteggiamento mirante all'universale applicazione dell'intelligenza; si fondava anche sul riconoscimento di una comune struttura logica; tracciava un modello comune di inda­ gine a cui tutti i metodi dovevano subordinarsi. In questo senso la differenza fra la struttura dei vari discorsi scientilìc: era, anch� per Dewey, una differenza di •fase ' e di contenuto più che una real.-: differenza di struttura•· (PAOLO ROSSI, Metodologia nella cultura ame­ ricana. In Storia e filosofia, Torino 1969, p. 151). s G. PRETI, Retorica e logica. Torino, 1968. 6 C. BLAsI, La progettazione come ricerca scientifica. In Stru//ura urbana dell'architettura. Milano, 1968, p. 29. 7 M. L. SCALVINI, Per una teoria dell'architet111ra. In « Op. cit. », n. 13. a CH. P. SNOW, Le due culture. Milano, 1964. 9 G. PRETI, La polemica delle due culture. In Retorica e logica, op. cit., p. 13. 10 • Non si sa così se dare più importanza alla rivoluzione formale che, sulla scorta del Kaufmann, riconosciamo specialmente nel Neoclas­ sico rivoluzionario dei Ledoux e dei Boullée ... oppure al contenuto civile, all'obbiettivo della • pubblica felicità' che quell'architetlura si pone... •. (E. BoNFANTI, Rapporti tra ricerca estetica e scientifica. In • Lineastruttura •, n. 1). 11 • ••• il movimento architettonico fra le due guerre non è affatto legato a una sistematica razionalista ... , ma ad una flagrante proble­ matica del comportamento umano, ad una situazione di asperrima lotta politica: e in questa, appunto, ha un posto così avanzato, una funzione così attiva, che vien fatto di chiedersi come mai questa architettura non sia stata definita, meglio che razionale, radicale•· G. C. ARGAN, Architet111ra e ideologia, in « Zodiac », n. 1). 12 L. TRILLING, Science, Literature and Culture. A Comment 011 t11e Leavis-Snow Controversy. In « Commentary•. giugno 1962. 13 A. HuxLEY, Literature and Science. Londra 1962. 14 PIETRO ROSSI, Op. cii., p. 29. 1s Nella ben nota formulazione di Ouatremère de Quincy, ripresa fra gli altri da Argan, secondo la quale il modello è ciò che si deve ripetere a tel quel•, mentre il tipo è la schematizzazione concettuale cui fanno riferimento strutture espressive individualmente caratteriz­ zate nel loro concreto materializzarsi. 16 G. PRETI, op. cit., p. 150. 17 • Formule come • val più l'esempio che il precetto', oppure formule più teoreticamente ambiziose come quella della 'verità del cuore ' stanno appunto ad indicare questa esigenza del concreto emozio­ nale, della compenetrazione del fatto col valore... Di fatto, la defini­ zione ,persuasiva esplicita questo rapporto, ossia stabilisce la funzione valutativa di frasi denotanti fatti •. (G. P1um, op. cit., p. 174). 18 Cfr. G. PRim, op. cii., pp. 45-46. Le citazioni da Huxley sono da

Literature and Science .


19 A. Rossi, Emi/ Kaufnwnn e l'architettura dell'illuminismo. In « Casabella-continuità •, n. 222, 1958. 20 E. KAUFMANN, L'architettura dell'!lluminismo. Torino, 1966, p. 244. 21 F. C110.1v, Sémiologie et urbanisme. In « L'Architecture d'aujour­ d'hui •, n. 132, 1967. Vedi anche M. L. SCALVINI, Spazio come campo se­ ma111ico. Istituto di Architettura e Urbanistica - Facoltà di Ingegneria. Napoli, 1968. 22 Sulla prossemica, e con particolare riferimento al volume di E. T. HALL, Tre hidden dinzension, vedi l'editoriale di B. ZEVI, Prosse­ mica e dimensione extra-disciplinare, in «L'Architettura», n. 158, e inoltre V. GANGllMI, La prossemica: u,1 nuovo apporto all'architettura? In « Op. cit. », n. 14. 2J G. MORPURGO-TAGLIABUE, L'arte è linguaggio? In « Op. cit. », n. 11. 24 G. PRETI, op. cit., p. 194. 25 J. DEWEY, Unity of Science as a Socia! Problenz. In /nternational Encyclopedia of Unified Science. (Riportato in Giulio Preti, cit., p. 15. 26 G. PRETI, op. cit., p. 190. 27 c. PERELMAN, Rhétorique et pT1ilosophie. Parigi 1952, p.41. Ripor­ talo da G. PRETI, op. cit., p. 155 nota 1.

89



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.