Op. cit., 16, settembre 1969

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Op.cit. rivista quadrimestrale

di selezione della critica d'arte contemporanea

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Edizioni " Il centro •


Significanti e signi-{icati della Rotonda palladiana

G.

DORFLES,

G. CONTE,

S

Valori iconologici e semiotici in architettur a

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AttualitĂ della retorica

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Libri. riviste e mostre

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Alla' redazione di questo numero hanno collaborato: Pasquale Belfiore,

Urbano Cardarelli, Virginia Gangemi, Steno Paciello, Francesco Starace.



Significanti e significati della Rotonda palladiana

Gli studi di semiologia architettonica sono andati sin qui svolgendosi in un ambito esclusivamente teorico, e si sono risolti essenzialmente nella trasposizione al campo del­ l'architettura di concetti propri della linguistica. Com'è noto, questa costituisce il settore più evoluto della semiologia, la quale, intesa come scienza generale dei segni e della loro si­ gnificazione, presenta sia una fondazione teorica generale, sia una sistematica, peculiare a ciascun campo di applicazione. E, se in altri settori l'indagine vale anche se limitata all'am­ bito teorico, in quello architettonico invece, proprio le istanze che il corpus della disciplina impone, rendono indispensabile collegare gli assunti generali alla loro verifica applicativa. Questa esigenza, che finora è stata solo enunciata, si ri­ flette nella presente rassegna in un primo tentativo di lettura semiologica di un'opera architettonica specifica. All'inizio della nostra ricerca si è presentata l'alternativa della scelta, come oggetto dell'analisi applicativa, di una singola opera o di uno «stile». In entrambi i casi, infatti, si delineavano in­ teressanti prospettive cli ricerca. L'analisi dell'opera presen­ tava i vantaggi di una storicità più determinata, di una espe­ rienza critica più consueta, e di una documentazione talvolta assai ricca anche in senso iconografico e iconologico. L'ana­ lisi di uno «stile», viceversa, si ricollegava più direttamente alla metodologia strutturalistica, con i vantaggi connessi alle invarianti sociologiche e tipologiche, e soprattutto con quelli derivanti dalla nozione di codice. 5


Abbiamo scelto lo studio semiologico dell'opera, perché l'ipotesi teorica dalla quale siamo partiti - identificazione delle componenti del segno con il binomio spazio interno­ esterno - trova in essa un riscontro più tangibile. Nella gamma, evidentemente assai vasta, delle opere che per la loro rappresentatività si sarebbero prestate a costituire l'oggetto della nostra analisi, abbiamo preferito la Rotonda di Palla­ dio, sia perché si tratta di un'opera paradigmatica in sé, sia perché, intendendo di dare un contributo alla moderna sto­ ria dell'arte e non alla storia dell'arte moderna (la prima ingloba evidentemente la seconda), la celebre villa palla­ diana ci è parsa un caposaldo della storia dell'architettura, non più soggetto ai moti del gusto. L'esigenza suddetta, di collegare intimamente assunti teorici e analisi applicativa, ci impone, prima di affrontare l'esegesi semiologica, di richiamare ed esplicitare la nostra ipotesi teorica -di base, nella cui prospettiva si muoverà l'esame della Rotonda. Premesso che lo scopo di un'analisi semiologica è il porre l'accento sui valori semantici, comin­ ciamo con il ricordare che, dalla maggior parte degli autori, il significato in architettura è stato visto in termini di fun­ zione, in senso denotativo e connotativo. Viceversa, ripren­ dendo quanto altrove abbiamo già rilevato 1, riteniamo che il problema del significato si debba risolvere attraverso l'in­ contro della tradizione puro-visibilista, e in particolare della teoria dell'architettura come conformazione spaziale, con gli assunti semiologici mutuati dalla linguistica strutturale. Per­ tanto, la nostra ipotesi di partenza è che il significato del­ l'architettura non vada ritrovato nella sua funzionalità, bensì nella sua spazialità. L'idea di architettura come Raumgestal­ tung, ovvero arte dello spazio, e il suo corollario per cui la genesi dell'organismo tettonico è quella di un interno che, conformato in spirito di empatia con l'uomo, si proietta verso l'esterno, sono assunti elaborati dal pensiero critico te­ desco, ed enunciati da Schmarsow in una elaborazione di principi-base in cui confluivano gli esiti dell'Einfuhlung e della puro-visibilità 2• Se quindi il carattere peculiare dell'ar6 chitettura è quello di essere formata da uno spazio tridimen-


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sionale cavo - assunto confermato dalla teoria di Zevi mu­ tuata dalla poetica wrightiana, per cui lo spazio interno è il protagonista dell'architettura 3 - possiamo considerare que­ sto corrispondente al significato e l'esterno al significante. Come è vero che in ogni edificio il contenuto equivale allo spazio interno e il contenente all'involucro che racchiude detto spazio, così appare legittimo dire - se si riconosce all'architettura anche una funzione comunicativa - che l'in­ terno, espressivo della ragion d'essere prima della fabbrica, dello spazio in cui si vive, delle funzioni, delle intenzioni, del costume culturale, possa senz'altro paragonarsi al signi­ ficato; mentre l'esterno, che involucra e conforma il vuoto interno, proprio per il suo intimo ed indissolubile legame con quest'ultimo si possa identificare col significante. Tali sono le componenti del segno architettonico. Questa interpretazione semiologica dell'architettura con­ ferma la tesi di Zevi (per cui tutto ciò che non ha spazio in­ terno non è architettura, mentre lo spazio esterno ha natura urbanistica) e ne corregge i punti più incerti, quali ad esem­ pio la esclusione dalla sfera dell'architettura del tempio greco, per essere questo in pratica privo di. spazio interno. La conferma, in quanto riconosce lo spazio, o meglio lo spa­ zio-segno, come il protagonista dell'architettura; afferma una dicotomia e non una antinomia; sostiene un'internità ed una estemità legate ad una unica struttura. D'altra parte, la cor­ regge o meglio le conferisce un nuovo senso, introducendo appunto il fattore relativo alla significazione. Infatti, identi­ ficato con il significato, l'interno architettonico perde la sua obbligatoria consistenza meramente materiale, non è più un vuoto necessariamente praticabile o àbitabile. Il naos del tempio greco o le tombe delle piramidi ritornano così ad essere il significato, ossia il motivo primario per cui questi monumenti furono edificati, indipendentemente dal fatto che i loro spazi interni siano più o meno agibili. Quanto al signi­ ficato , ossia allo spazio esterno, esso involucra l'interno con le sue facciate e coperture, con tutte le sue peculiarità di plastica architettonica minore, di scultura, di decorazione, 8 etc. e va quindi considerato come il solo, l'indissolubile con-


formatore di quell'interno, e al tempo stesso, come l'espli­ cito portatore di quel significato che racchiude. Sviluppando l'ipotesi di partenza, poiché il protagonista dell'architettura è uno spazio tridimensionale cavo, ogni parte di una fabbrica che presenti detta cavità è un segno architettonico. Cosicché un edificio può presentarsi come una struttura monosegnica, ovvero con un unico spazio interno, o come una struttura polisegnica; e in questo secondo caso (riferendoci ad una nota terminologia saussuriana) possiamo avere tra i vari spazi interni un rapporto di tipo associativo, allorché trovandosi all'interno di un ambiente è possibile in­ tuirne la contiguità con altri allo stesso o a differenti livelli, venendosi così ad instaurare tra i vari spazi una associazione mentale; oppure un rapporto di tipo sintagmatico, allorché dall'interno di un ambiente si ha la percezione diretta di altri contigui. La gran parte delle fabbriche è polisegnica e presenta tratti di tipo sintagmatico unitamente ad altri di tipo associativo. Si pensi a molte delle Prairie Houses di Wright, in cui al piano del soggiorno la fluenza e continuità degli spazi consentono una percezione diretta degli ambienti contigui, i cui nessi sono quindi di tipo sintagmatico; mentre al piano superiore la suddivisione in ambienti distinti con­ sente solo, dall'interno di ciascuno, un legame di ordine men­ tale nei confronti degli altri contigui, avendosi di conseguenza solo dei nessi di tipo associativo. Alla fenomenologia del significato, finora descritta, fa riscontro quella del sign,ificante; identificarlo con lo spazio esterno è necessario ma non sufficiente. Se assumiamo, in prima approssimazione, che l'involucro sia il significante, no­ tiamo che esso si presenta come una entità a due facce, l'una esterna e l'altra interna. In una fabbrica monosegnica, il si­ gnificantesinvolucro presenta una faccia interna, configurante il vuoto racchiuso, ed una esterna che, oltre a denotare la presenza sui prospetti dell'articolazione interna, dà luogo alle facciate di quella fabbrica. In un edificio polisegnico, cia­ scuno spazio interno viene delimitato da elementi parie­ tali; ognuno dei quali vale da un lato come interno di uno spazio e dall'altro come esterno di quello stesso spa- 9


zio e come interno di quello contiguo. Una serie di am­ bienti disposti verso il perimetro fa capo ad un invo­ lucro generale che, mentre ha una sola successione di facce esterne (ossia i prospetti), presenta invece tante fac­ ce interne quante sono le cellule spaziali che esso deli­ mita. D'altro canto, se la struttura della fabbrica è polise­ gn ica, oltre all'involucro perimetrale troviamo spesso degli elementi murari che hanno solo funzione di separazione tra ambienti contigui, e che sono caratterizzati dall'avere due facce equivalenti, ossia entrambe solo interne, contraria­ mente al caso sopra indicato degli elementi che, pur an­ ch'essi interposti tra ambienti interni, hanno la proprietà dialettica di valere come faccia interna per un ambiente e come faccia esterna per l'altro. In ultima analisi, ciò che determina il valore di internità o di esternità dell'involucro­ significante, al di là della nomenclatura, è proprio la sua caratteristica di significazione. In altre parole, un setto di­ visorio può con una sua faccia delimitare un ambiente del tutto insignificante quanto a valore comunicativo, e con l'altra faccia, viceversa, configurare un ambiente fortemente sign ificativo; donde la necessità di lasciar cadere la dizione di « involucro », a favore di una entità a due facce, confor­ mante da un lato il significato e dall'altro il significante. Con­ clusione che giustifica appieno l'interpretazione semiologica, valida oltre tutto a definire una complessità strutturale diffi­ cilmente specificabile nei termini di una spazialità asemantica. Infine, va osservato che, per quanto concerne la struttura perimetrale, essa costituisce sì, con la propria faccia esterna, il significante dello spazio interno, ma concorre altresì a de� terminare, con questa stessa faccia, un significato, un in­ terno a scala diversa, ossia uno spazio urbanistico. Parlare di questa molteplicità di facce risulta anche giustificato dal fatto che nel percepire uno spazio noi proiettiamo sempre contro una superficie-limite l'immagine di quello spazio, co­ mune esperienza confermata dalla prospettiva. Dopo aver chiarito la nostra ipotesi di base, ossia il ruolo di protagonista che lo spazio interno ha nell'architet10 tura, donde la sua identificazione col significato, e dopo aver


delineato, sia pure sommariamente, la fenomenologia del se­ gno architettonico, è necessario, prima di tentare un'analisi applicativa, proporsi di verificare se esista, in campo archi­ tettonico, una articolazione di grado n analoga alla doppia articolazione riscontrata in linguistica da Martinet 4• Notiamo per inciso che finora il problema non è stato sufficientemente approfondito; infatti, tendendo a dimostrare la natura se­ miologica e non linguistica dell'architettura, alcuni autori hanno ritenuto irrilevante la questione; e viceversa, non ri­ scontrandosi immediatamente la presenza in architettura della doppia articolazione, si è avuto da parte di altri un elemento in più per negare la natura comunicativa dell'ar­ chitettura stessa. A nostro avviso la questione va posta in termini più generali, indagando sulla eventuale presenza nel­ l'opera architettonica di una articolazione di un grado da de­ terminare, i cui elementi possano, pur non avendo gli stessi caratteri dei fonemi e dei monemi, svolgere un ruolo analogo al loro, ossia costituire dei termini minimali e discreti. In linguistica si parla di un'articolazione basata sui fo.. nemi, ossia sulle unità minime del linguaggio, di numero mo­ desto in ogni lingua e prive di valore semantico; accanto a questa esiste un'altra articolazione, basata sui monemi . (grosso modo le parole), di notevole numero in ogni lingua e dotati di valore semantico. In architettura possiamo par­ lare di una prima, più elementare articolazione che, nella rappresentazione, connette i segmenti rettilinei e curvilinei utili a progettare e comunicare tutti gli aspetti di una fab­ brica, mentre nella realtà spaziale collega tutti quegli ele-­ menti che rimangono al livello tettonico, i quali, come i primi, sono in numero discreto, privi di significato architet­ tonico, e aventi solo valore opposizionale. Una seconda ar­ ticolazione può riscontrarsi al livello simbolico. Ricordiamo per inciso che simbolo è (fatta salva evidentemente la sua specifica carica di ambiguità 5) « qualcosa che sta per un'altra », mentre segno è l'unione di un significante e di un si­ gnificato. Elementi di questa seconda articolazione possono considerarsi gli ordini architettonici (dei quali è nota la va- 11


lenza simbolica) e tutti quegli elementi che, pur avendo un valore semantico, sono privi di quella spazialità interna che abbiamo ipotizzato essere il vero significato dell'architettura. Una terza articolazione è quella dei segni architettonici, che pur inglobando i precedenti fattori presentano la caratteri­ stica di un valore semantico derivante dalla loro interna spa­ zialità. Cosicché, per una semiologia architettonica, abbiamo non la doppia articolazione della linguistica, dove il monema (dotato di valore semantico) coincide con il segno; ma una tripla articolazione, basata rispettivamente sui segmenti, non significanti, sugli elementi, significanti in senso simbolico, e sui segni, realmente significanti in uno specifico senso archi­ tettonico, perché composti della dicotomia spazio interno­ esterno. Su queste premesse teoriche affrontiamo l'analisi semiologica della Rotonda. « Il sito è de gli ameni, e dilettevoli che si possano ri­ trovare perché è sopra un monticello d'ascesa facilissima, & è da una parte bagnato dal Bacchiglione, fiume navigabile, e dall'altra è circondato da altri amenissimi colli, che rendono l'aspetto di un molto grande Theatro, e sono tutti coltivati, & abondanti di frutti eccellentissimi, & di buonissime viti: Onde perche gode da ogni parte di bellissime viste, delle quali alcune sono terminate, alcune più lontane, & altre che terminano con l'orizonte; vi sono state fatte le loggie in tutte quattro le faccie » 6• Non c'è dubbio che il significato paesistico della Rotonda sia stato uno dei motivi ispiratori della sua conformazione. Parliamo di significato, giacché non si tratta in questo caso di una fabbrica felicemente ubicata e dal cui interno sia, nei modi usuali, visibile .il paesaggio circostante; bensì di un edificio in cui la visibilità paesistica penetra dalle quattro direzioni nel nucleo spaziale più interno e semanticamente più ricco, conformandolo non in vista di una direzione pri­ vilegiata, ma di una « universalità » di prospettive, concor­ rendo quindi a determinare un parametro e una ragione d'es­ sere della « rotonda » centrale. Per quanto concerne la relazione della Villa Capra con 12


l'ambiente circostante, ci dobbiamo richiamare a quanto in precedenza abbiamo detto sul valore urbanistico del signifi­ cante: questo determina, con la sua faccia interna, il signi­ ficato a scala architettonica, e contribuisce con la sua faccia esterna a conformare un altro interno-significato, quello a scala urbanistica. Ciò si verifica esplicitamente per i palazzi di città: si pensi agli edifici vicentini così legati alla confi­ gurazione urbanistica, in cui ogni esterno è l'interno di qual­ cosa, di una piazza per il palazzo Chiericati, di una strada stretta per il palazzo Valmarana. Viceversa, per quanto at­ tiene alle ville, e alla Capra in particolare, le facciate costi­ tuiscono un esterno in senso assoluto, perché delimitano i segni architettonici separando nettamente l'artificio costrut­ tivo dall'ambiente di natura. Ma questo stesso artificio, che nelle altre ville ad andamento acropolico tende a mediare il legame della fabbrica al paesaggio secondo graduali succes­ sioni, legate anche alla plurifunzionalità delle parti, nella Ro­ tonda è ridotto al minimo, quanto basta cioè per raccordare la villa all'altura su cui sorge. Questo carattere di esternità assoluta del significante, rafforza e giustifica il richiamo di Palladio alla morfologia del tempio. Dalla lettura planimetrica del piano nobile della villa (evidentemente quello più significativo e al quale di volta in volta riferiremo gli altri livelli ed ambienti), da un punto di vista semiologico risulta evidente la qualità polisegnica mista degli spazi che lo compongono. Questi si possono di­ videre in tre categorie: a) uno spazio interno fortemente se­ gnato, quello della rotonda centrale; b) un gruppo di am­ bienti perimetrali, più debolmente segnati (il che beninteso non implica alcun giudizio di valore architettonico); e) quat­ tro spazi fortemente segn ati, di valore e posizione equivalenti sia l'uno rispetto all'altro che rispetto allo spazio centrale della rotonda; ossia i pronai, che peraltro mediano il pas­ saggio fra,l'interno della villa e l'esterno 7• Ma prima di af­ frontare l'analisi di questi interni aventi ciascuno uno spe­ cifico significato, è da notare una caratteristica non prevedi­ bile dall'esterno, quasi una deroga dal programma di assoluta centralità. La fabbrica, il cui impianto nasce dalla fu- 13


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sione di tre schemi (circolare, quadrato e a croce greca) pre­ senta due diversi assi di simmetria, in quanto ai quattro an­ goli del corpo quadrato sono disposti degli ambienti rettan­ golari. Questa deroga, dovuta certo anche all'esigenza della migliore utilizzazione degli spazi interni, alla necessità di disporre al piano nobile di quattro ambienti maggiori e quattro minori, ad una flessibilità quindi legata alla distri­ buzione ed all'uso, è ricca per noi anche di indicazioni se­ mantiche. E veniamo all'analisi del,le tre categorie di ambienti con­ formanti l'edificio in esame, ossia la rotonda centrale, i quat­ tro settori angolari, ognuno dei quali contiene una camera grande, una piccola e una scala, i quattro pronai. Nella ro­ tonda centrale, come si è detto, abbiamo il luogo di conver­ genza delle quattro direttrici che mettono in comunicazione spazio esterno e spazio interno. A conferma della mancanza di una direzione privilegiata, si noti che da tutti e quattro gli «anditi» che conducono al nucleo centrale (orientati a quarantacinque gradi rispetto ai punti cardinali) la luce pe­ netra con uguali possibilità in tutte le direzioni, anche se evidentemente con intensità e gradazione diversa nel suo percorrere l'arco da oriente ad occidente. Questa condizione suggerisce due spontanee metafore: quella di un microcosmo intorno al quale ruota il sole, e quello della rotonda centrale come un occhio con possibilità di un arco visivo completo, di trecentosessanta gradi. Va sottolineato come, ad avere tali rapporti con l'am­ biente di natura, non sia lo spazio interno di un tempietto monoptero, ma il più intimo nucleo spaziale di una fabbrica avente una struttura polisegnica mista relativamente com­ plessa. Infatti, sia le penetrazioni luminose sia le vedute aperte verso il paesaggio, non si attuano per una diretta con­ tiguità dello spazio dei pronai e di quello centrale, bensì at­ traverso i quattro anditi. Questi, con la loro profondità, rendono percettibile lo spessore interposto tra la faccia in­ terna (la parete curva della rotonda) e quella esterna dell'in­ volucro (il perimetro quadrangolare); questo spessore, virtuale perché legato alla presenza degli ambienti perimetrali


di cui si è detto, può intendersi semiologicamente come uno spessore interamente murario. Quanto alla cupola, è nota la divergenza tra la didascalia e i disegni nel testo palladiano (l'una che descrive una coper­ tura a terrazza, gli altri che mostrano un piano attico coperto a tetto); divergenza che Pane interpreta come due soluzioni, l'una verbale l'altra grafica, lasciate dal Maestro a testimo­ niare della ideazione originaria e della successiva modifica­ zione 8• Ancora rigu ardante il problema del coronamento è la discussa questione dell'altezza -della cupola, del suo comple­ tamento, e dell'intervento dello Scamozzi sul progetto palla­ diano; in proposito, secondo Pane « la cupola esistente è quella che Palladio eseguì e che Scamozzi non alterò, ma si limitò a coprire mediante un ben disposto cono di successivi anelli a raggiera, quasi una gradinata circolare di tegole » 9• Questa complessa questione filologica tocca il nostro discorso solo per ciò che riguarda le due facce del significante, ossia - poiché tali termini già esistono nella nomenclatura archi­ tettonica tradizionale - l'intradosso e l'estradosso della cu­ pola. Considerata dal suo interno, la cupola a tutto sesto con l'oculo centrale è la logica conclusione del volume cilindrico della rotonda; considerata viceversa dall'esterno, la soluzione dello Scamozzi presenta un indubbio interesse semantico per il suo evidente alludere, sebbene con dimensioni ed impianto costruttivo diversi, alla copertura del Pantheon, edificio ri­ tenuto fra i più rappresentativi del mondo classico, e noto comunemente nella tradizione popolare come « la Rotonda ». Il singolare rapporto che si instaura tra l'intradosso e l'estra­ dosso della cupola della villa Capra dimostra e conferma quanto sopra accennavamo circa la complessità dei nessi tra le due facce del significante. Infatti, mentre quella interna configura uno spazio di impronta schiettamente classicistica, la faccia esterna invece, sia per il raccordo tra le falde dei tetti inclinate e il volume cilindrico del tamburo ridotto al minimo, sia per il suo digradare ad anelli, determina, nono­ stante il voluto richiamo erudito al Pantheon, un risultato semanticamente ambigu o, di pretto gusto manierista. Le considerazioni finora svolte possono ritenersi perti-

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nenti al significante della rotonda centrale. Occupiamoci ora -del suo significato. A questo punto è d'obbligo la citazione del celebre passo dei Quattro Libri relativo alla forma circo­ lare delle piante delle chiese, che possiamo considerare il più ricco di allusioni iconologiche dell'intero trattato. « I Tempij si fanno ritondi; quadrangulari; di sei, otto, e più cantoni, i quali tutti finiscano nella capacità di un cerchio ... Ma le più belle, e più regolate forme, e dalle quali le altre ricevono le misure; sono la Ritonda, & la quadrangulare». E dopo aver ricordato la nota corrispondenza simbolica del­ l'ubicazione, degli ordini e della forma planimetrica dei tem­ pli con le divinità pagane, Palladio prosegue: « E però an­ cora noi, che non habbiamo i Dei falsi, per servare il Decoro circa la forma de' Tempij, eleggeremo le più perfetta, & più eccellente; e conciosiache la Ritonda sia tale, perché sola tra tutte le figure è semplice, uniforme, eguale, forte, e capace, faremo i Tempij ritondi; a' quali si conviene massimamente questa figura, perché essendo essa da un solo termine rin­ chiusa, nel quale non si può ne principio, ne fine trovare, ne l'uno daU'altro distinguere; & havendo le sue parti simili tra di loro, e che tutte partecipano alla figura del tutto; e finalmente ritrovandosi in ogni sua parte l'estremo egual­ mente lontano dal mezo, è attissima a dimostrare la Unità, la infinita Essenza, la Uniformità, & la Giustizia di DIO ... Devono anche essere i Tempij capacissimi, acciò che molta gente commodamente vi possa stare à i Divini officii; e tra le figure, che sono terminate da eguale circonferenza, niuna è più capace della Ritonda» 10• Come trasferire questa simbologia morfologica da un edificio sacro ad uno profano? Non a caso, si parla innanzi­ tutto, per la Rotonda, di villa-tempio; e ciò non solo per l'aspetto esterno, quanto anche per una certa sacralità che l'edificio profano conserva nonostante la sua pratica destina­ zione. Tale sacralità va intesa in rapporto alla sua qualità di dimora dell'arte. Nella cultura rinascimentale, se gli dei pa­ gani vengono dissacrati, non si perde tuttavia il carattere «culturale» della loro mitologia; spece per quanto attiene 16 alle ninfe e soprattutto alle muse. È la nozione di musa


- cui pure Palladio accenna nello specificare i simboli ar­ chitettonici che gli antichi facevano corrispondere a queste figure poetiche - a costituire l'elemento di tramite e di con­ tinui-là, tra i parametri simbolico-referenziali del mondo an­ tico e di quello rinascimentale. Come è stato giustamente notato, « la villa che il Palladio costruiva per un umanista era una specie di dimora dell'arte, fatta per essere abitata ma soprattutto per essere vissuta artisticamente. Nel suo centro quindi, nel suo cuore, doveva esserci il locale che ne era la ragione, il locale dell'arte, il locale delle muse, l'odeon, la 'rotonda '» 11. Per cogliere la portata di questa interpretazione del si­ gnificato bisogna, a nostro avviso, notare in che cosa essa si differenzia dall'idea di funzione, che taluni autori, come si è detto, fanno coincidere con quella di significato. :È indub­ bio che lo spazio della rotonda avesse una sua destinazione: luogo di riunione, ambiente per la musica, per recitazioni e dotte conversazioni umanistiche. Tuttavia, non è tale desti­ nazione ad avere determinato la conformazione spaziale della rotonda (peraltro non priva di difetti da un punto di vista strettamente funzionale), bensì i simboli, i valori, -le inten­ zioni legati al processo di trasposizione semantica che va dalla divinità pagana alla profanità rinascimentale attraverso il tramite dell'arte. Nello spazio della rotonda anzi si con­ densa un massimo di significato con un minimo relativo di funzionalità pratica. Infatti, ad eccezione di questo ruolo se­ mantico-spaziale, la rotonda non si presta ad alcuna pratica utilizzazione specifica connessa alla abitabilità della villa (o al limite non ne esclude quasi alcuna), e inoltre, tranne che per le scale che danno accesso agli altri piani, tutto il resto dell'impianto distributivo è svincolato da questo suo nucleo centrale. Passando all'analisi dei settori angolari, l'interpretazione semiologica, sopra accennata, di essi come quattro distinti elementi monolitici, è confermata dalla presenza delle quattro scalette (a pianta triangolare nel progetto origina'rio), il cui lato curvo coincide con la parete della rotonda centrale, mentre i due rettilinei, essendo paralleli ed equivalenti ri- 17


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spetto ai lati del perimetro quadrangolare esterno, ne costi­ tuiscono una proiezione traslata in una figura simile. In altre parole, ai fini della significazione, i quattro settori angolari, per ciò che attiene al legame tra la rotonda e i pronai, po­ trebbero indifferentemente essere pieni, occupati da un unico grande ambiente triangolare curvo, o ancora articolati diver­ samente da come di fatto sono. Se è vera questa ipotesi di lettura, risulta confermato che la rotonda è uno spazio for­ temente segnato, così come, e per i motivi che vedremo, lo sono i pronai; mentre gli ambienti contenuti nei settori an­ golari sono più debolmente segnati. Anzitutto, rispetto al­ l'articolazione rotonda-pronai, gli spazi interni degli ambienti perimetrali e delle scale risultano esterni e non visibili, così come da essi non è visibile lo spazio della rotonda centrale. Anche per ciò, ha scarsa rilevanza il fatto che essi contraddi­ cano al programma della centralità (è infatti rispetto ad essi che si verifica la disuguaglianza dei due assi di simmetria). Ancora, la loro indipendenza dalla articolazione rotonda-pro­ nai è ribadita dal fatto che i quattro settori angolari sono tra loro intercomunicanti attraverso gli anditi e non attraverso la rotonda. Infine, il carattere di spazi debolmente segnati degli ambienti perimetrali è confermato dal loro significato in rapporto a quello complessivo della fabbrica e della ro­ tonda in particolare. Beninteso, parlare di spazi debolmente segnati per quanto concerne i settori angolari non implica né, come si è detto, un giudizio di valore architettonico, né in partico­ lare l'affermazione che questi spazi siano scarsamente si­ gnificativi. Al contrario, nel loro ·ruolo subordinato, gli am­ bienti dei settori angolari contribuiscono in maniera deter­ minante alla struttura della intera fabbrica. Se si accetta in­ fatti la identificazione altrove proposta, tra la struttura e il concetto vitruviano di symmetria 12 (non inteso come egua­ glianza speculare rispetto ad un asse, ma come rapporto matematico fisso delle parti fra loro e fra le parti ed il tutto), risulta evidente che il ruolo di questi spazi non se­ gnati, e di conseguenza il loro significato, sta nella proporzione, ossia nel fattore modulare di tale symmetria. Si noti


che questa non va intesa in termini puramente gestaltici, per­ ché, come osserva Wittkower, il Palladio, « erede di una lunga tradizione, considerava la symmetria una relazione significativa di numeri, corrispondente a quell'ordine cosmico che Pi-tagora e Platone avevano rivelato » 13, Diamo un cenno sui rapporti dimensionali che presenta lo schema del piano nobile, nel quale le proporzioni degli am­ bienti dei settori angolari hanno un posto determinante. Si noti che il diametro della rotonda centrale (trenta piedi) è uguale alla larghezza dei pronai; il lato del volume quadrato è doppio di ,tale misura; le stanze grandi hanno il lato mi­ nore (quindici piedi) uguale al maggiore delle piccole e il lato maggiore pari alla somma dei due lati delle piccole ( quindici più undici piedi); e infine, che la somma dei due lati brevi degli ambienti piccoli e della larghezza dell'andito interposto, è pari alla larghezza del pronao e quindi al dia­ metro della rotonda centrale. Passando alla sezione, notiamo che l'altezza degli ambienti perimetrali maggiori è pari alla somma delle altezze degli ambienti minori e degli ammezzati ad essi sovrastanti, con ciò rispettando il principio di far corrispondere una maggiore altezza alle camere più vaste, e utilizzando il divario di altezza tra stanze piccole e grandi con l'interposizione di un piano ridotto. Questa compensa­ zione altimetrica degli spazi interni si conclude alla quota di imposta del frontone del pronao, con il ripristino della con­ tinuità planimetrica del piano attico, che nel suo aspetto di­ stributivo attuale è frutto di una più recente sistema­ zione. Mentre il piano nobile con i relativi ammezzati riflette quella proporzione tra dimensioni planimetriche e altezza che è al centro di tutta la composizione spaziale interna dell'architet­ tura rinascimentale (ripresa da A. Loos col termine di Rawn­ plan) 14, il piano terreno, destinato ai servizi, pur riflettendo l'impianto planimetrico del piano nobile, contravviene a tale regola di proporzionamento presentando ambienti tutti della stessa altezza anche se differentemente voltati. E se questi ambienti del piano terra, per la loro funzionalità e per il loro carattere strutturale e rustico, risultano più congeniali al 19


gusto attuale, vanno tuttavia riconosciuti come semantica­ mente meno ricchi rispetto al codice culturale dell'epoca, forse soprattutto proprio per la non rispondenza dell'anda­ mento altimetrico a quello planimetrico. Le precedenti considerazioni sul proporzionamento ri­ marrebbero tuttavia puramente descrittive se non le rappor­ tassimo al valore semantico che ad esso veniva attribuito nella cultura rinascimentale. Nei Quattro Libri Palladio in­ dica, oltre alle regole di proporzionamento planimetrico, tre modi per ricavare l'altezza degli ambienti rettangolari co­ perti a volta, che indica come primo, secondo e terzo, mentre agli stessi si riferisce, in un « frammento » 15 definendoli ri­ spettivamente aritmetico, geometrico ed armonico. Ma al di là della concisione e del carattere pragmatico di tali precetti, che si presentano come degli invarianti lungo tutta la de­ scrizione delle sue opere, appare evidente che essi fanno capo alla vasta problematica relativa alla concezione pitagorico­ platonica della struttura matematica ed armonica ddl'uni­ verso, e quindi alla necessità, per le arti, di riprodurre questa armonia universale. La scoperta pitagorica della relazione tra la lunghezza di una corda e la sua vibrazione aveva in­ fatti originato una intima connessione tra serie numeriche e armonie musicali, fondate le une e le altre su relazioni tra numeri piccoli ed interi. In particolare, l'aver trovato che la serie dei primi quattro numeri (1 :2 :3 :4) conteneva tanto gli intervalli quando i due accordi compositivi noti ai greci, in­ dusse a credere di aver scoperto la legge armonica univer­ sale. « Su ciò fu dunque di gran parte costruito il simboli­ smo e il misticismo numerico che ebbe un'influenza in­ commensurabile sul pensiero umano dei due millenni suc­ cessivi. Sulla scia dei Pitagorici, Platone nel Timeo spiegò che l'ordine e l'armonia cosmici sono interamente contenuti in al­ cuni numeri. Egli ritrovava quest'armonia nei quadrati e nei cubi del rapporto doppio e triplo, partendo dall'unità, ciò che lo condusse alla due progressioni geometriche 1,2,4,8

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e 1,3,9,27. Rappresentata tradizionalmente nella forma di un lambda

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2 3 9

8 27 l'armonia del mondo si esprime nella serie di sette numeri 1,2,3,4,8,9,27, che contiene in sé il ritmo segreto del macro­ cosmo e del microcosmo: poiché i rapporti fra questi numeri racchiudono non soltanto tutte le armonie musicali, ma anche la musica inaudibile dei cieli e la struttura dell'anima uma­ na» 16• Assai pertinente alla simbologia architettonica è quanto Francesco Giorgi nel De Harmonia Mimdi riporta della teo­ ria pitagorico-platonica dei numeri: « secondo gli scritti di Pitagora si riteneva che in questi numeri e proporzioni fosse stata composta e resa perfetta la struttura dell'anima e del mondo intero. E dal dispari come dal maschile, e dal pari come dal femminile, da questi poteri wiiti tutto è generato. Ma nel cubo dell'uno e dell'altro, essi dicevano, l'opera si compiva. Poiché nessuno può procedere al di là di una terza dimensione, né in lunghezza, né in altezza, né in profondità. E perciò ogni potere di attività e di passività è contenuto in questi numeri e proporzioni, e tutte le armonie si raccolgono in essi » 17• Nella cultura rinascimentale la concezione pita­ gorico-platonica dell'armonia universale costituisce, attra­ verso la base numerica comune alla matematica e ad alcwie arti come l'architettura, il tramite fra il concetto del « vero necessario », che era proprio alla scienza ed all'intelletto, e quello del « vero contingente», proprio alla sfera delle arti 18• Inoltre, a parte il simbolismo di alcuni numeri e di alcwii rapporti musicali, l'introduzione della struttura matematico­ armonica, fornendo un preciso fondamento teorico, permet­ teva all'architettura di passare dal livello delle « arti mecca­ niche» a quello delle « arti liberali» (aritmetica, geometria, astronomia, musica). Bastano queste poche note sul significato dei rapporti proporzionali - sui quali peraltro esiste una vasta lettera­ tura - per dare un'idea di quante e quali questioni costi- 21


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tuiscano il rinvio referenziale, la logica interna, e la latente intenzionalità dei concisi cenni sul proporzionamento forniti da Palladio. Ed è probabile che la concisione del Maestro in proposito si debba al fatto che tali « significati » e rimandi erano pienamente acquisiti e codificati nella cerchia dei Bar­ baro e dei Trissino, e in genere nella cultura rinascimentale. Ma, dell'intera questione, l'aspetto di maggiore interesse in termini semiologici, ossia ai fini della asserita equivalenza tra spazio interno e significato, consiste in ciò che Palladio - come del resto prima di lui Leon Battista Alberti e Fran­ cesco di Giorgio - insistendo sul proporzionamento degli spazi interni, associa di fatto questi ai significati cui sopra abbiamo accennato. In che senso dunque gli ambienti dei settori angolari pos­ sono definirsi debolmente segnati, se come abbiamo visto pos­ sono connettersi ad una tale somma di rinvii referenziali anche complessi? Anzitutto, per il loro ruolo evidentemente subor­ dinato nel contesto di tutta la villa; in secondo luogo, per­ ché i loro spazi interni-significati risultano, per il loro pre>­ porzionamento, rispondenti ad una norma permanente del codice architettonico mentre la rotonda centrale costituisce un segno emergente, una inventione rispetto al codice; e in­ fine, perché la loro più esplicita ed univoca valenza funzio­ nale ne sminuisce l'accento nella scala della significazione. Viene così ad essere confermata la corrispondenza dei mas­ simi di valore e di ricchezza semantica ai minimi relativi di determinazione funzionale, e viceversa. Questa nostra tesi, per cui la funzione pratica, quando diviene determinante di una conformazione spaziale, ne riduce le valenze semantiche, porta ad una convergenza dell'analisi semiologica con quella critice>-estetica. Infatti, pur non essendo questo il caso della villa Capra, dove la qualità estetica di ciascun ambiente è fuori discussione, in generale possiamo affermare che il mag­ gior grado di polisemia corrisponde al più alto risultato este· tico, e reciprocamente, che il massimo di univocità semantica corrisponde al risultato esteticamente più scontato 19 • Viceversa, come si è detto, fortemente segnati sono gli spazi dei pronai. Questi, oltre a sviluppare il tema della villa-



laterali e per il colonnato antistante è legittimo parlare di una peculiare «equivalenza» delle facce interna ed esterna. A ben riflettere, tanto il ruolo di mediazione giuocato dal pronao, quanto l'equivalenza tra le facce di alcuni elementi costitutivi di esso, presentano una gradualità e diversità di accenti nel procedere dall'interno verso l'esterno. Infatti, mentre la parete di fondo costituisce senz'altro una compo­ nente dello spazio interno del pronao, i setti laterali da un lato partecipano della internità del pronao stesso, e dall'altro ne delimitano una conformazione esterna che comprende il legame con il terreno; ed infine, il colonnato partecipa in misura equivalente, proprio per la forma circolare dei suoi elementi, sia dell'interno che dell'esterno. A rendere più complessa l'analisi semiologica del pronao, interviene la presenza determinante di elementi codificati in un tradizionale ordine architettonico. Come abbiamo affer­ mato nella introduzione teorica, il ruolo comunicativo degli ordini non si attua al livello del segno architettonico, ossia della terza articolazione (che comporta una spazialità in­ terna), bensì ad un livello - paragonabile a quello dei mo­ nemi - che è prevalentemente simbolico. Cosicché, il co­ lonnato esastilo con il frontone che lo corona svolge sia il ruolo di involucro-significante dello spazio interno del pro­ nao, sia quello che conferisce una valenza simbolica all'in­ tera fabbrica. Grazie a questa duplice natura segnica e sim­ bolica, è legittimo parlare di significazione anche per questo elemento che partecipa del significante esterno e non del si­ gnificato-spazio interno. Va notato qui per inciso che, com'è noto, l'ordine jonico ha tra le sue principali connotazioni simboliche la apollineità, il che conferma il carattere di «dimora delle muse» di questa villa-tempio. Ma più inte­ ressante ci sembra qui, a conferma del ruolo della Rotonda nel processo di trasposizione della morfologia simbolica del tempio alla architettura civile, notare che tale trasposizione non ha affatto, in Palladio, intenti imitativi, bensì di «cita­ zione», di allusione; e il suo valore puramente virtuale è confermato dal carattere talvolta eterodosso degli elementi 24 costruttivi di questa e di altre opere, si pensi alle colonne


realizzate in mattoni ricoperti di stucco. È legittimo pertanto asserire che il fine ultimo di tale trasposizione morfologica va ragionevolmente inteso in termini di significazione simbolica. La nostra analisi potrebbe agevolmente spingersi oltre, ma in questa sede ci sembra più utile limitarla alle osserva­ zioni svolte, proprio per rendere più incisivo e sintetico questo primo saggio di applicazione semiologica, e poter già in­ dividuare quegli aspetti riassuntivi che ci auguriamo utili al cli là della lettura del monumento esaminato. La nostra esperienza ci sembra abbia anzitutto dimostrato la possibilità, la legittimità e la utilità dell'interpretazione semiologica ai fini di una migliore « comprensione » storico-critica. In tal senso, una ricerca di semiologia applicata presenta delle ana­ logie con quella che i metodologi della storia chiamano « spiegazione causale », la quale, in ultima istanza, si riduce ad approfondire l'indagine, a tener conto di più eventi, e quindi « a fare più storia» 21• AI limite, quel significato che abbiamo definito come la « ragion d'essere» di una fabbrica, coincide appunto con la nozione di « causa». In secondo luogo, ci sembra aver confermato la nostra ipotesi teorica di base, ossia l'asserita equivalenza tra le due dicotomie spazio interncx:sterno e significato-significante, qualora si as­ soci, nell'esame di una fabbrica, una lettura morfologica di tipo puro-visibilista con una ricognizione degli aspetti icono­ logici e intenzionali relativi alla cultura dell'epoca. Ancora, quanto ai livelli di significazione, ci sembra confermato dal­ l'analisi svolta che sussiste una duplice valenza semantica, quella del segno e quella del simbolo, la prima �nerente alla dicotomia spazio interno-esterno, la seconda inerente alla morfologia delle due facce del significante. Si pensi infatti alla capacità di significazione dei pronai, che mentre da un Iato rappresentano la componente significante dello spazio che configurano, dall'altro costituiscono un significante che significa simbolicamente. Abbiamo inoltre notato che i valori semantici di un'opera non coincidono affatto con il suo grado di determinazione funzionale, e che anzi talvolta gli uni e l'altro sono tra loro in rapporto inverso. Un'ultima considerazione suggerita dalla nostra indagine è che, contra- 25


riamente a quanto si è fatto finora, l'analisi semiologica non può condursi per astratti tipi o elementi edlizi, ma va invece riferita ad opere o «stili» assunti nella loro concreta storicità. RENATO DE

Fusco

E MARIA LUISA SCALVINI

1 CfT. Note per una semiologia figurativa in « Op. cit. » n. 7, a. 1966; R. DE Fusco, Architettura come mass medium, note per una semiologia architettura, Dedalo, Bari, 1967. 2 Cfr. A. ScHMARSOW, Grzmdbegriffe der Kunstwissenschaft, Leipzig­

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Berlin, 1905. J Cfr. B. ZEVI, Saper vedere l'architettura, Einaudi, Torino, 1951. 4 A. MARTINET, La considerazione funzionale del linguaggio, Il Mu­ lino, Bologna, 1965, pp. 43-45. s Sull'ambiguità del simbolo cfr. R. GIORGI, Simbolo e interpreta­ zione in Surrealismo e simbolismo, quaderno a cura dell'Archivio di Filosofia, Roma 1%5. 6 J quattro libri, II,p. 18. 7 R. Barthes, mutuando dalla linguistica la nozione di elemento forte e neutro, ovvero di elemento segnalo e non segnato, osserva: « l'oppo­ sizione tra il segno e la mancanza di segno, tra grado pieno e grado zero è uno dei grandi processi dell'elaborazione del senso» e poco oltre: « gli elementi vengono sempre intesi come significanti per la loro posizione correlativa e non per il contenuto». (Cfr. Semiologia e urba­ nistica in « Op. cit.» n. 10, a. 1967). s R. PANE, Andrea Palladio, Einaudi, Torino, 1961, p. 188. 9 Ibidem p. 189. IO I quattro libri, IV, p. 6. 11 C. SEMENZAIO, La Rotonda di Andrea Palladio, Centro interna­ zionale di studi di architettura « Andrea Palladio», Vicenza, 1968, p. 17. 12 Cfr. R. DE Fusco, Il codice dell'architettura, antologia di tratta­ tisti, E.S.l., Napoli 1968, pp. 23-27. 13 R. WITTKOWER, Principi architettonici dell'età dell'umanesimo, Einaudi, Torino, 1%4, p. 94. 14 CfT. L. MUNZ, Adolf Loos, Il Balcone, Milano, 1956, pp. 20 e sgg. 1s Frammento IV (Museo civico Correr, cod. Cicogna n. 3617, fol. 4 r) pubblicato in G. ZORZI, I disegni dell'antichità di Andrea Palladio, Neri Pozza Editore, Venezia, 1959, p. 174. 16 R. WITTKOWER, Op. cii., pp. 103-104. 11 Cit. in W1TTKOWER, Op. cit., p. 104. 1s Le due espressioni sono di Daniele Barbaro e ricorrono nel suo commento a Vitruvio (Cfr. J dieci libri dell'Architettura di M. Vitruvìo tradotti e commentati da Monsignor Daniel Barbaro, Francesco de' Franceschi Senes, Venezia 1584). 19 Per la discussa questione della peculiarità del linguaggio arti­ stico rispetto agli allri, cfr. G. Dat.A Vot.PE, Critica del gusto, Feltri­ nelli, Milano, 1960 e dello stesso autore, Discorso poetico e discorso scientifico in Crisi dell'estetica romantica ed altri saggi, Roma, 1963; nonché E. GARRONI, La crisi semantica delle arti, Officina Edizioni, Roma, 1964; Le tesi del '29 del Circolo linguistico di Praga, Silva Edi­ tore, Milano, 1966; V. ERLICH, Il formalismo russo, Bompiani, Milano, 1966; U. Eco, La struttura assente, Bompiani, Milano, 1968. 20 R. WITIKOWER, Op. cit., p. 76. 21 Cfr. K. R. POPPER, Miseria dello storicismo, Editrice L'industria, Milano, 1954, p. 117.


Valori iconologici e semiotici 1n architettura GILLO DORFLES

Negli ultimi tempi possiamo, davvero, parlare d'una « moda semiologica » che si è affermata nei più vari terri­ tori culturali. Non vorrei però che questo termine 'moda ', suonasse derogatorio: anche la moda - è chiaro - ha i suoi aspettii positivi; intanto perché è proprio la moda a por­ tare fino nelle regioni in apparenza più frivole, alcune grandi costanti stilistiche d'un'epoca; e poi perché anche la moda (l'ha fatto ad es. Barthes) si può prestare a sua volta ad acute e minuziose indagini semiologiche. Dunque, se è « di moda » parlare di semiotica e di lin­ guistica perché non dovremmo parlarne anche a proposito dell'architettura e del disegno industriale? E, infatti, negli ultimi anni si sono avuti molti tentativi di dare una classi­ fica.2Jione e un'impostazione semiologica alle ricerche critiche e strutturali dell'architettura. Il mio proposito, oggi, vuol essere solo quello di esporre alcuni momenti che, secondo me, possono essere considerati « utili » per un'impostazione semiologica del problema; cer* Questo articolo è stato scritto inizialmente su invito di Charles Jencks e farà parte d'un volume Meaning in Architecture di prossima pubblicazione in Inghilterra; e, in forma più ridotta, d'un fascicolo « Konzept » in preparazione presso l'editore Ernst Wasmuth a cura di Alessandro Carlini e Bernhard Schneider. Alcune parti dello stesso saggio sono state inoltre utilizzate per una conferenza da me tenuta su invito del Colegio Oficial de Arquitectos de Valencia nell'inverno 1969. La presente versione è parzialmente diversa da quelle sopra rammen­ tate ma ho preferito precisarne le diverse fonti per ovvie ragioni di correttezza.

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cando soprattutto di distinguere quello che era, sino a ieri, l'aspetto iconologico, e quello che è oggi piuttosto l'aspetto semiologico d'una critica e d'un'analisi del linguaggio archi­ tettonico. Perché ho detto «sino a ieri»? Perché, come è ben noto, l'influsso degli studi panofschiani, soprattutto applicati alla pittura e alla scultura, si è, in un secondo tempo, esteso anche all'architettura e ha fatto sì che, da molti autori, si tendesse ad analizzare il «messaggio architettonico» (questo termine, veramente, è d'uso più recente, già dipendente dagli studi legati alla Teoria dell'Informazione e alla cibernetica) da un punto di vista prevalentemente iconologico, figurativo, propr-io considerato che tale messaggio avesse un valore co­ municativo quale è appunto quello dell'icone: dell'immagine figurale; o - se vogliamo invece accettare la definizione mor­ rissiana di questo termine - di «quel segno che ha in sé alcune delle proprietà che tende a denotare»; e, nel caso dell'architettura, è evidente che il «segno» architettonico ha in sé tali proprietà nel senso più completo; e cioè un tipico segno iconico. Ecco, dunque, come, già partendo dall'iconologia (che lasceremo provvisoriamente in disparte) siamo giunti a par­ lare di «segni», di «messaggi», e di «segni architettonici»: dunque di comunicazione attraverso segni; che è quanto dire di semiosi ( ossia di processo segnico) e della dottrina che studia tale genere di comunicazione attraverso i segni o i complessi segnici: ossia di semiotica. Fino a che punto, allora, possiamo affermare che l'archi­ tettura è sottoponibile ad un'indagine semiologica? Fino a che punto il messaggio architettonico è «semantico»? Negli ultimi anni l'applicazione di moduli linguistici at­ tinti alle diverse correnti strutturalistiche, alla letteratura e alle diverse arti si è diffusa con rapidità e intensità sorpren­ dente. E la cosa, da un certo punto di vista, non può non essere considerata come positiva. Se, tuttavia, per l'opera letteraria l'applicazione di schemi linguistici era non solo auspicabile ma indispensabile, proprio per la parentela tra 28 mezzo d'indagine e medium analizzato, per gli altri linguaggi


artistici le cose si presentavano in maniera alquanto diversa. Non è difficile precisarlo.Sono convinto che si debba consi­ derare la linguistica come una delle branche della semio­ tica e non viceversa: la semiologia come una dipendenza della linguistica (come viene spesso sostenuto specialmente da alcuni autori francesi). Questo per una ragione sostan­ ziale: che una semiotica - una teoria o dottrina dei segni può essere applicata ad ogni sistema segnico (tanto ai si­ stemi comunicativi artistici quanto al telegrafo morse, o alla segnaletica stradale) mentre la semiologia propriamente lin­ guistica è applicabile soltanto alle opere che si valgono della parola (del linguaggio verbale) per espri�ersi. (Nel caso, poi, che si tratti della parola usata in opere letterarie, e in par­ ticolare poetiche, possiamo anche definire questa branca della linguistica - adottando la terminologia di Jakobson come « poetica » 1 ). Io non intendo qui occuparmi di poetica né di lingui­ stica verbale, ma soltanto di una possibile semiotica archi­ tettonica e per far ciò devo porre alcune indispensabili pre­ messe: Già a partire del 1959 in un mio saggio 2 e poi nel mio volume Simbolo, Comunicazione Consumo 3, ho accen­ nato alla possibilità e opportunità di considerare anche l'ar­ chitettura come un sistema segnico; uno dei compiti o delle funzioni dell'architettura come quella di « comunicare un peculiare messaggio» che è appunto il messaggio architet­ tonico. In quel volume sostenevo tra l'altro 4: « i problemi del­ l'architettura considerata, alla stregua delle altre arti, come un 'linguaggio' sono alla base di tutta una nuova corrente di pensiero che pennette di far rientrare anche quest'arte entro i canoni d'una teoria informativa e comunicativa....Il ' significato • si può considerare come un processo che lega gli oggetti, gli eventi, gli esseri a dei ' segni• capaci a lor volta di evocare tali oggetti eventi esseri. lI processo cono­ scitivo altro non è che la possibilità di conferire un signifi­ cato alle cose che ci circondano e tale possibilità ci viene offerta dai segni che sono per noi tramite tra la nostra co­ scienza soggettiva e il mondo dei fenomeni.I segni, dunque, 29


sono i primi e precipui strumenti di ogni comunicazione... Una cosa... è certa: l'architettura, come ogni altra arte, può e deve essere considerata come un insieme organico, e sino a un certo punto, istituzionalizzato di segni; e come tale può essere identificata almeno parzialmente con altre strutture linguistiche...». Potrei, a questo punto, richiamarmi ai numerosi studi apparsi negli ultimi tempi in Italia e all'estero; ma un esame completo della letteratura richiederebbe troppo tempo: mi limiterò perciò ad accennare alle ricerche compiute presso la Scuola d'Architettura di Firenze da Gamberini e da Koe­ nig5 (quest'ultimo prevalentemente in chiave morrissiana) e a quelle di Christian Norberg-Schulz 6 in Norvegia, di Max Bense 7 e Kurd Allsleben 8 in Germania, e più recentemente a quelle di Cesare Brandi 9, di Renato De Fusco 10 di Umberto Eco 11 ,di Guido Morpurgo-Tagliabue 12 in Italia, di Luis Prie­ to 13 in Argentina e in Francia. Ma tralasciando ora, di esa­ minare più a fondo queste diverse teorizzazioni vorrei ad­ dentrarmi un po' in quella che è la mia visione d'una semio­ tica architettonica. Non senza avvertire, prima, comunque, che qui parlerò sempre di «linguaggio» nel senso più lato, come d'un mezzo comunicativo valido tanto nel caso di trasmissione dei mes­ saggi scientifici (linguaggio matematico, logico) quanto di messaggi artistici (linguaggio pittorico, musicale), mentre col termine «lingua» intendo designare soltanto il partico­ lare linguaggio verbale basato sull'uso della parola. Non in­ tendo, cioè, ricondurre mai alla parola, al linguaggio verbale, il linguaggio delle altre arti. (Come purtroppo è stato tentato da molti con notevole rischio di confusione e di equivoco). Faccio ancora presente che non intendo valermi della distinzione di Saussure tra « langue» e «parole»; giacché nel caso dell'architettura considero i due termini come, di solito, coincidenti: una delle funzioni fondamentali dell'ar­ chitettura è di essere «langue» e la presenza di elementi appartenenti alla «parole» non mi sembra degna d'essere presa in considerazione almeno in questa mia nota. 30 La ragione per cui trovo poco confacente all'architettura


di essere suddivisa in « langue» e « parole» è dovuta al fatto che quest'arte - a differenza della maggior parte delle al­ tre - possiede quell'inderogabile addentellato con la fun­ zione pratica, utilitaria, che, già di per sé, ne limita le pos­ sibilità espressive o che, quanto meno, la indirizza verso un tipo di utilizzazione che non è quasi mai privata, singola, ma è, già in partenza, comunitaria, e destinata ad una frui­ zione di massa. Ecco dunque perché potremo sorvolare sulla distinzione in « langue » e « parole» per quanto concerne il linguaggio archi tettonico. Non ritengo, del pari, che sia opportuno, né possibile, compiere per l'architettura - come del resto per il cinema e l'arte visiva in genere - un genere di sistemazione del ma­ teriale semiotico che si possa far corrispondere a quella ap­ plicata al linguaggio verbale; e questo perché la suddivisione del messaggio verbale nelle sue diverse parti non è rical­ cabile delle arti visive se non con evidenti forzature. In altre parole: se è facilmente ammissibile la presenza d'un codice architettonico in buona parte istituzionalizzato, capace dunque di comunicazioni sufficientemente precise agli utenti dello stesso tale codice, per contro, non è riportabile a unità discrete identificabili con quelle del comune linguag­ gio verbale. Sia ben chiaro, inoltre, come io consideri poco attendi­ bile la presenza d'una « doppia articolazione» (nel senso di Martinet) 14 in ogni sistema segnico. Se nella lingua parlata si danno costantemente elementi significanti (morfemi, mo­ nemi) che costituiscono una prima articolazione (e che ar­ ticolandosi tra di loro potranno costituire dei sintagmi, e delle più complesse strutture significanti), mentre gli stessi elementi si possono a lor volta suddividere in elementi di seconda articolazione costituiti dai fonemi (le minime unità fonetiche pari agli stoiheia aristotelici o ai varna-spota san­ scriti), questo non vuol dire che altrettanto accada per ogni altro sistema comunicativo segnico. E, nel caso dell'architet­ tura, è evidente che non si può parlare d'una divisione in fonemi e morfemi pari a quella del linguaggio parlato anche se si potrà, per analogia o metaforicamente, ragionare di 31


.. sintagmi architettonici» come della congiunzione e som­ mazione di diversi «segni» architettonici tra di loro. Per cui si potrà ben dire che una scala che conduce ad una piazza, oppure un ascensore che porta ad una terrazza, o un pannello d'alluminio con cui si costruisce un intero curtain­ wall corrisponde ad un «sintagma architettonico», ma del tutto figuratamente. Non si dovrà invece assimilare il mat­ tone al fonema o la finestra al sintagma. Ritengo invece (e questo punto mi sembra fondamentale tanto più perché contrasta con quanto viene sostenuto oggi dalla maggior parte dei ricercatori) che esista, non sempre, ma spesso, un «quid formale» - potremo definirlo un ge­ staltema - capace di comunicare qualcosa esclusivamente in base al suo aspetto formale-configurazionale. E questo, in parte, per ragioni analoghe a quelle che mi fanno propendere per l'accettazione di principi del tutto op­ posti a quelli sostenuti dalla maggior parte dei linguisti re­ centi, circa la convenzionalità dell'unione tra segno verbale e suo referente. Non ho bisogno, qui, di ricordare l'impor­ tanza di alcune illuminanti intuizioni di Giambattista Vico, poi riportate da Schelling e da Cassirer, per spiegare il perché del significato di alcuni vocaboli e di alcuni elementi mitici strettamente legati a fattori linguistici ed etimologici. Eb­ bene, in molti vocaboli il rapporto tra elemento fonetico ed elemento morfologico è altrettanto importante (e non legato a mera convenzione) quanto lo è quello del rapporto tra «significato» di certe forme architettoniche e loro primitiva «funzione». Esiste, o esisteva, dunque, un elemento semanticamente implicito nella stessa struttura fonetica della parola. Tengo ad affermare questo principio, anche se dalla maggior parte dei più recenti linguisti è stato contraddetto o limitato alle sole espressioni onomatopeiche. Possiamo dire altrettanto dell'architettura? Possiamo cioè ammettere che certe forme architettoniche (che non devono necessariamente corrispondere a precisi «elementi distribu­ tivi» o a già istituzionalizzate tipologie!) corrispondano a de32 terminati significati (e alle relative «funzioni»)?


È un quesito che si viene ponendo da tempo e che, tutto sommato, si richiama a certe antiche teorie ventilate per­ sino da Woelfflin, da Schmarsow, dai purovisibilisti e da più recenti teorie legate agli studi sullo schema corporeo se­ condo Schilder, ecc. Per parte mia ritengo che non ci sia dubbio sulla pre­ senza di alcune, almeno, analogie isomorfe tra edificio (e, in genere, forma d'un oggetto) e struttura corporea. Per cui, sia che si voglia invocare l'antico concetto antropomorfico vitruviano, sia che si voglia ricorrere a più recenti imposta­ zioni circa l'espressività di certe forme, quali vengono san-. cite da alcuni gestaltistici 15 , è comunque possibile intravve­ dere un nesso abbastanza netto tra configurazione architetto­ nica (e urbanistica) e suo «significato» (piuttosto nel senso di significance che di meaning). La significanza architettonica, cioè, sarebbe piuttosto di ordine non concettuale, non razionale, ma simbolico; anche se tutto quanto il processo operativo ed esecutivo di que­ st'arte appare sottoposto alla logica e alla razionalità. E, in questo senso, l'architettura rientrerebbe in quella categoria di «forme simboliche» così ben indagate e studiate già da Ernst Cassirer. Nel caso dell'architettura ci troviamo dinnanzi ad una forma espressiva (non dunque, come di solito si sostiene, di fronte ad una semplice « comodità» funzionale, con la quale l'uomo ha cercato di mettere a punto un riparo atto ad essere abitato) il cui èompito, sin dall'inizio, è stato quello di «significare qualcosa». È ovvio che i primi selvaggi si costruissero l'abitazione nelle caverne o sulle palafitte, senza, probabilmente, nessuna pretesa comunicativa ed espressiva. Ma, appena fu loro possibile di costruire, non solo per ra­ gioni di riparo e di difesa dalle fiere, la loro tendenza fu certamente quella di valersi delle stesse forme usate per riparo e abitazione trasformandole in forme espressive di qualche cosa. Qui si situa l'inizio di una semiotica architet­ tonica. Perché il tempio greco, il minareto, la piramide, il nurago, il dolmen, ebbero proprio quelle forme, non certo le più semplici e le più ovvie? Queste ben note forme archi- 33


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tettoniche denunciano chiaramente la loro « funzione » prima di tutto simbolico-sacrale-sessuale. Nel lungo corso dei se­ coli, con le dovute eccezioni, l'architettura ha, in fondo, con­ tinuato a perpetuare l'esistenza di forme simboliche che, di tutte quelle costruite dall'uomo, sono state quelle che hanno meglio potuto valere come « segni », d'una sempre rinnovan­ tesi, ma sempre ripetentesi, semiotica architettonica. Un altro tipo di distinzione mi sembra a questo punto necessaria. Bisogna distinguere tra quel tipo di semiosi ar­ chitettonica che sia intenzionalmente semantica e quella che lo sia non intenzionalmente; ossia casualmente o comunque senza vera intenzionalità e consapevolezza da parte dell'ar­ chitetto. L'importanza di questa distinzione risulta rilevante anche ai fini d'una successiva interpretazione dei singoli mo­ numenti architettonici. Vediamo come si verifichi il primo caso: sappiamo ad esempio che, nella basilica protoromanica, buona parte degli elementi costitutivi sono riferibili a precisi motivi sacramen­ tali per cui, a mo' d'esempio: le pietre stesse della chiesa 16 sono identificate con i fedeli « saldati con il cemento della carità »; o le colonne rappresentano gli Apostoli, la sacre­ stia il grembo della Vergine dove Cristo ebbe a rivestire l'abito di carne, allo stesso modo di come il sacerdote rive­ ste i paramenti nella sacrestia [ « Sacrarium in quo sacerdos vestes induit, uterum sacratissimae Mariae significat in quo Christus se veste carnis induit »]. E sappiamo persino come la deviazione nell'asse di parecchie chiese medievali sia stata spiegata con la inclinazione del capo del Cristo crocifisso (inclinatio capitis). Tali esempi potrebbero ovviamente es­ sere moltiplicati all'infinito e applicati a molte costruzioni religiose di tutti i tempi. Ecco, dunque come in questo caso l'architetto ( o chi per lui) ha la precisa volontà di costruire l'edificio in base ad una prestabilita semanticità istituzionalizzata e basata so­ pra un codice iconologico ben preciso. L'edificio è intenzio­ nalmente eseguito in maniera che, se non tutti, buona parte dei suoi elementi costitutivi, siano semantici; abbiano una una referenzialità precisa.


Dobbiamo in questi casi parlare di «doppia articola­ zione»? Ossia affermare che, oltre ad avere la consueta si­ gnificazione architettonico-funzionale (trave portante, porta che apre verso l'esterno, scala che porta dal basso all'alto, iconostasi che separa, ecc.) questi elementi avranno anche una referenzialità seconda, metaforica, allegorica, traslata? Possiamo senz'altro accettare questa ipotesi e anche,• se vo­ gliamo, invocare �na « seconda articolazione», purché questo non ci induca nell'errore (commesso come sappiamo da Bar­ thes e da altri semiologi francesi) di ricondurre tale doppia articolazione a quella verbale, identificando cioè la referen­ zialità seconda a guelfa presente nelle parole della lingua. Nel secondo caso invece, la semanticità dell'edificio e delle sue parti costitutive sarà solo occasionalmente tale e comunque non risponderà a precise intenzioni da parte del costruttore. Si pone ora il seguente quesito: :È. possibile oggi una semanticità del primo tipo e quando? Quasi tutti i tenta­ tivi compiuti nella nostra epoca per far sottostare il fatto architettonico al primo tipo di semanticità si sono mostrati spuri e poco genuini. Cessata o ridotta fortemente 1a compo­ nente sacra, religiosa, iniziatica dell'arte; svuotati dai loro contenuti magici e misterici i rapporti numerici, dobbiamo convenire che un genere di «simbolicità» e quindi di seman­ ticità legata a un simbologismo sacro o religioso si dimostra del tutto inattuale, e per ciò appunto anartistica. Per quanto riguarda il secondo tipo di semanticità do­ vremo suddividere la stessa in due sottordini che più spesso ricorrono: quella che si basa sull'esame dei « caratteri di­ stributivi» d'un edificio e quella che si appunta sulle pecu­ liarità tipologiche dello stesso. Anche se entrambe queste impostazioni appaiono oggi svalutate tanto nell'insegnamento architettonico quanto nelle analisi linguistiche di questa di­ sciplina, mi sembra che possa ancora essere opportuno te­ nerne conto, soprattutto per quell'aderenza della forma ar­ chitettonica ad un fattore tipologico e distributivo da cui non credo convenga totalmente prescindere. Bisognerà dunque distinguere tra la presenza di un 35


aspetto simbolica-iconologico quale era giustificato e giusti­ ficabile negli edifici sacri dell'antichità e un aspetto tipolo­ gica-iconologico quale è ancora presente in molte opere re­ centi soprattutto quando queste rivestono particolari esi­ genze « semantiche ». Sarà opportuno, inoltre, essere cauti nei tentativi d'insi­ stere troppo sulla valutazione connotativa d'un determinato edificio (o gruppo d'edifici) a sfavore di quella denotativa. Certo, si danno numerosi casi dove l'aspetto connotativo di un'opera architettonica è ovvio: ad es. l'ambasciata ameri­ cana a Londra di Saarinen oltre a « denotare» un'« impor­ tante edificio pubblico in stile vagamente neo-georgiano», connota altresì, per la presenza dell'aquila dorata, delle fine­ stre metalliche, di certi altri particola1;, la potenza e ricchezza degli Stati Uniti. (E, come è facile intendere tali connotazioni sono tanto positive - volute dall'architetto -, quanto negati­ ve, risultanti tali suo malgrado, ma non perciò meno « vere», autentiche). Eppure, quasi sempre l'aspetto denotativo e con­ notativo dell'architettura si mescolano, e non è possibile e neppure conveniente cercare di distinguerli tra di loro, come è invece quasi sempre possibile fare nel caso del messaggio verbale. Per questo anche la proposta di Eco 17 di distinguere una « funzione prima» (denotativa) e una « funzione secon­ da» (connotativa) che possono coesistere o che possono so­ pravvivere una all'altra a seconda dei casi, è accettabile solo fino a un certo punto. In realtà, si può asserire, in linea di masisma, che certe funzioni « simboliche», soprattutto in architetture provenienti dal passato, sopravvivono anche quando sia andata perduta la conoscenza della effettiva fun­ zione denotativa (o rispettivamente connotativa): ed è que­ sta una delle ragioni per cui credo si possa effettivamente parlare a proposito di forme architettoniche di una loro capacità comunicativa trans-epocale; ossia d'una possibilità di essere decriptate non già in base a un codice che può es­ sere anche andato del tutto perso, ma in base a un tipo di messaggio simbolico - o meglio segnico (giacché non è che esso si basi su una convenzione) - che riesce a superare i 36 tempi, a essere anzi « fuori dal tempo » - eppure sincro-


nico - come accade per molte forme del rito, del mito, e delle espressioni simboliche e metaforiche dell'umanità. Ho già avuto occasione di soffermarmi su questo punto sin dall'epoca del mio volume Le oscillazioni del gusto e credo che (anche applicando più sottili analisi linguistiche quali allora non avevo ancora tentato) - dovrebbe essere possibile accettare codesta ipotesi. Che le pietre di Stone­ henge (o alcuni Dolmen, Nuraghi, Lingam, Churinga, ecc. e altre cosiffatte « pietre sacre ») siano da considerare come antiche cittadeUe iniziatiche, come tombe di eroi, o - come abbiamo avuto occasione di leggere in un libro di Fanta­ scienza - la base di lancio e di atterraggio d'una cosmonave; uno spazio-porto, dunque - non avrà molta importanza (salvo che per chi coltivi particolari interessi archeologici). Avrà invece notevole importanza l'efficacia immensa (estetica, psi­ cologica, storica, antropologica) che ancora hanno su di noi questi monumenti venerandi; per cui il fatto che la loro ef­ fettiva denotazione sia andata perduta, o che la connota­ zione odierna differisca da quella di ieri e dell'altro ieri non toglierà che ben poco al valore architettonico dell'edificio. Un ultimo argomento che non può non essere toccato per chi voglia accennare ai principali quesiti d'una semiotica architettonica riguarda il problema della notazione della stessa attraverso il disegno, tanto disegno di progetto che di­ segno di rilievo, plastico, modello, e qualsiasi altro mezzo usato di solito per rendere visivamente il progetto d'un og­ getto architettonico (e naturalmente anche d'un oggetto di disegno industriale). Il fatto che l'architettura (come la musica, ma in ma­ niera diversa) sia suscettibile di una comunicazione diretta (attraverso se stessa), e di una indiretta (attraverso la nota­ zione, il disegno e in genere ogni altra resa simbolica del­ l'oggetto) conferisce immediatamente a questa arte un du­ plice tipo di semioticità. Certo: il progetto come il modello, il grafico, il plastico, il disegno esecutivo, dell'oggetto industriale, e nel caso del disegno architettonico: lo schizzo, la proiezione ortogonale, l'alzato e la pianta ecc. non sono l'opera architettonica o di 37


design in carne ed ossa ma· ne sono un equivalente su cui si

possono compiere quelle operazioni semiologiche che di solito si compiono sulla opera autentica. (Nel caso della musica - e lo dico per inciso - la lettura della partitura, pur infor­ mando in maniera anche molto precisa, e per certe musiche addirittura completa sul determinato brano, rimane una let­ tura non musicale (secondo l'opinione di numerosi musici­ sti e musicologhi, ad es. Stockhausen, Castaldi, ecc.) ossia una registrazione attraverso un sistema ben configurato di segni di alcuni oggetti sonori che, tuttavia, esistono solo in potenza nella notazione mentre la loro autentica fruizione (percezione estetica) si può avere soltanto attraverso l'organo dell'udito. Stockhausen, infatti, afferma che il tipo di « godi­ mento » che gli viene offerto dal percorrere rapidamente una partitura, magari soltanto da un luogo all'altro della compo­ sizione, o invertendone l'ordine, è del tutto diversa da quello dell'ascolto dello stesso brano) 18• Ho rammentato il caso della musica, perché nel caso del­ l'architettura ci troviamo in una situazione analoga: è bensì vero che un disegno esecutivo ci informerà attorno all'edi­ ficio o all'oggetto in questione in maniera quasi completa, ma con tutto ciò (a prescindere qui, s'intende, dall'eventuale ma, in questo caso del tutto superfluo, valore pittorico dello stesso) il progetto e il modello non ci potranno mai dare quella particolare qualità percettiva che ci consente il ve­ dere, entrare, percorrere, abitare, un determinato edificio. Per cui andrà quasi totalmente perduto quella componente di relazioni spaziali tra uomo e mondo, tra uomo e ambiente interno ed esterno dell'edificio. Potremo quindi asserire che il tipo di comunicazione e di informazione che ci viene trasmessa dal linguaggio archi­ tettonico (o - se vogliamo - il tipo di semiosi contenuta nel messaggio architettonico) è strettamente legata alla no­ stra percezione stereometrica spaziale, o se vogliamo specifi­ care meglio alla nostra sensibilità stereognosica (ivi com­ .presa la batiestesica e quante altre forme di sensibilità pro­ fonda sono indispensabili per un'esatta fruizione dell'oggetto 38 architettonico nel suo insieme).


Il messaggio architettonico, dunque, a differenza di quello verbale (che è disgiunto da ogni dimensione spaziale salvo nei casi limite della « poesia concreta »), a differenza del linguaggio visivo (pittorico) che è prevalentemente bidi­ mensionale, di quello musicale che è prevalentemente tempo­ rale (salvo, anche qui, per il caso delle notazioni musicali con particolari effetti visivi), è un messaggio che si basa co­ stantemente sopra una dimensione temporo-spaziale com­ plessa e solo in questo senso deve essere considerato ricondu­ cibile ad un suo particolare « codice » di cui si possa analiz­ zare la descriptazione. Se, poi, vogliamo analizzare o sistematizzare ulterior­ mente il valore da conferire, da un punto di vista semiolo­ gico, al disegno di progetto architettonico, potremo ammet­ tere che - (oltre alla solita distinzione fatta per alcune arti, e soprattutto per quelle della parola, in prima e seconda articolazione - nel caso di alcune arti, come appunto l'ar­ chitettura, la musica, in parte la danza, esiste la possibilità d'una ulteriore distinzione semiologica: una analisi decisa­ mente semiografica basata sugli elementi della notazione e della trascrizione simbolica di questi linguaggi (in certo senso analoga a quella di alcune scritture pittografiche pri­ mitive, ossia non ancora cristallizzate in ideogrammi che non presentino più alcuno o quasi riferimento iconologico) e una invece legata all'opera in sé, e alle sue parti costitu­ tive note, accordi, ritmi per la musica; spazi, ritmi, volumi per l'architettura), le quali sono analizzabili secondo gli schemi linguistici che abbiamo cercato di precisare e non si possono comunque ricondurre agli schemi, propri esclusiva­ mente, del linguaggio verbale. GILLO DORFLES

R. JAKOBSON, Essais de Linguistique Gé11erale, Paris, 1963. Valori semantici degli « elementi dì architettura• e dei « caratteri distributivi », in « Domus » n. 360. a. 1959. 1 2

3 Einaudi, Torino, 1962.

Op. cìt. Cap. V: Valori comunicativi e simbolici nell'architettura, nel disegno industria/e e nella pubblicità, p. 180. s Si ve�a il saggio di I. GAMBERINI, /11troduzione al primo corso di 4

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elementi di architettura: Gli elementi dell'architettura come « parole» del linguaggio architetlonico, Firenze, 1959 e G. K. KéiNIG, Lezioni di Plastica, Firenze, 1961. 6 CH. NoRBERG-SCHULZ, lntentions in Architecture, Oslo, 1964 (trad. it.

Lerici, Milano). 7 M. BENSE, Aestlretica IV, Agis Verlag, Baden Baden, 1965. 8 K. AilsLEBEN, Aest/zetische Redundanz, Schnelle, Hamburg, 1962. 9 C. BRANDI, Strullura e architeltura, Einaudi, Torino, 1967. 10 R. DE Fusco, Architettura come mass medium, note per u11a semiologia architettonica, Dedalo libri, Bari, 1967. 11 U. Eco, La struttura assente, Bompiani, Milano, 1968. 12 G. M0RPURGO-TAGLIABUE, / problemi di una semiologia architetto­ nica, lezione tenuta il 24 settembre 1968 al corso internazionale di storia dell'architettura, organizzato dal Centro « Andrea Palladio» di Vicenza. Il L. PRIETO, Messages et Signaux, P. U.F., 1966. 14 A. MARTINET, Eléments de li11g11istique générale, Colin, Paris, 1964. 1s R. ARNHEIM, The Dynamic o/ Sllape, in « Design Quarterly», Minneapolis, Walker Art Center. 16 Cfr. il mio voi. L'estetica del mito, Mursia, Milano, 1967 e in parti­ colare il cap. IV, Possibilità d'un'ermeneutica dell'arte non figurativa medievale, dove si offrono diversi e:;empi d'una cosiffatta ermeneutica architettonica. 11 U. Eco, Op. cit., pp. 202 e sgg. 18 Cfr. K. STOCKHAUSEN, Texte zur elektronischen und instrumenta[e Musik, Du Mont, Kéiln, 1963.

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Attualità della retorica GIUSEPPE CONTE

« evitiamo il postulato che la reto­ rica sia un vizio di maniera e sfor­ ziamoci di trovare anche una re­ torica di sostanza... ». Euor

Già nel 1920, - l' anno in cui apparve il libro di Eliot, cui si riferisce il passo citato sopra -, era avvertita l'ur­ genza, nel pronunciare il termine « retorica » di scagionarlo da una troppo facile e sistematica connotazione denigrato­ ria: anche se poi Eliot non procede all'analisi di ciò che la retorica rappresenta e si -limita ad applicare il concetto ge­ nerico a una sua analisi sulla tragedia elisabettiana 1• Ma in area anglosassone la ricostruzione del concetto di retorica non si fa troppo attendere: nel 1936 uscì il libro di Richards, che non è una sistemazione completa, ma offre i primi elementi di un discorso sulla filosofia della retorica 2• Oggi l'interesse intorno alla Retorica non è limitato a zone della cultura così determinate e identificabili: il di­ scorso sulla Retorica è tentato da diverse posizioni, con di­ versi approcci. Perelman nel suo Traité de l'argumenta­ tion 3 - che è una tappa fondamentale nella storia della riabilitazione scientifica della disciplina -, tende a rico­ struire una generale teoria della persuasività parlando indi­ stintamente di 'argomenti' e di 'tropi', affidando a questi ultimi un semplice valore dimostrativo. In Retorica e Lo­ gica, Luigi Preti tende a far coincidere i due termini con i termini famosi della disputa delle « due culture »: la Logica, come 'cultura scientifica', e la Retorica come 'cultura (e civiltà) umanistica', con due diversi rispettivi tipi di di­ scorso 4. 41


Da un altro lato, con diverse possibilità di approccio, il problema della Retorica si incontra oggi con la fioritura re­ cente di studi semiologici: in termini semiologici, infatti, la Retorica appare la classificazione dei connotatori: lavori esplorativi in questo senso, sono stati compiuti da R. Barthes e da U. Eco. Barthes aveva già avvertito che il problema della ricostruzione di una nuova retorica interessava un riesame attento dei repertori antichi e poi di quelli classici moderni. « La réthorique classique devra etre repensée en termes structuraux (c'est l'objet d'un travail en cours) et il sera peut-etre alors possible d'établir une réthorique générale en linguistique de signifiants de connotation, valable par le son articulé, l'image, le geste ecc. »_ 5• U. Eco, nel suo ultimo li­ bro, traccia una mappa delle convenzioni retoriche che pre­ siedono al discorso pubblicitario, avvertendo che - per su­ perare la sperimentalità del discorso e renderlo sistema­ tico - occorrerebbe, in un modello di trattato retorico, « com­ prendere e mediare gli apporti di tutta la trattatistica reto­ rica dai Greci a Perelman attraverso i Latini e i retori elle­ nistici, il medioevo e la trattatistica francese del Grand Siè­ cle e del 700 » 6• A proposito della comunicazione visiva del messaggio pubblicitario, Eco identifica diversi livelli di codificazione visiva 7: di questi, ci interessa qui il livello ' tropologico • che comprende gli equivalenti visivi dei tropi verbali, ed è quindi il livello che riguarda un discorso sulle classificazioni reto­ riche delle figure. Nella comunicazione visiva pubblicitaria si trovano figure non più inseribili in cataloghi tradizionali, per esempio la partecipazione magica per accostamento, e l'iconogramma Kitsch: altre figure tradizionali sono incar­ nate in quasi ogni immagine visiva pubblicitaria, ad esempio l'antonomasia (per cui una ragazza che beve una bibita si pone per « ogni ragazza » e così via) 8• Con intenti catalogici più complessi, Gui Bonsiepe 9 (a cui si rifà per certi versi il discorso di Eco) propone quel­ l'adeguamento della Retorica ai nuovi strumenti semiologici che Barthes auspicava: cerca poi riscontro nei codici della 42 comunicazione visiva pubblicitaria. La classificazione di Bon-


siepe è nala dalla coscienza di dover operare su una tradi­ zione malcerta: gli antichi e i classici moderni propongono classificazioni sempre diverse, e questo è un danno alla cono­ scenza sistematica. Comunque, da una visione anche molto generalizzata della trattatistica classica sulla retorica, emergono due fatti: I) oggi può interessare solo un momento della Retorica clas­ sica, cioè quello in cui si pongono indicazioni e norme sulla formulazione stilistico-linguistica sul materiale ordinato (cioè i tropi vanno classificati a sé stanti, proprio per il valore estetico - ollre che dimostrativo - che intendono assume­ re); 2) le Figure Retoriche si possono dividere in due tipi ge­ neralissimi: a) le figu re verbali, che si riferiscono al significato della parola oppure alla collocazione della parola nel pe­ riodo; b) le rappresentazioni del pensiero, che si riferiscono alla formazione e articolazione dell'informazione 10• Bonsiepe si rifà alla semiotica per cui «un segno può essere distinto sotto due aspetti, ossia la figura del segno e il significato del segno». Che sono, cioè, le dimensioni rispet­ tivamente «sintattica» e «semantica» del segno nella semio­ tica morrisiana 11• Così le Figure retoriche si distingu eranno in figu re «sin­ tattiche» e figure « semantiche». Le Figure sintattiche si sot­ todivideranno in Figu re I) traspositive, 2) privative, 3) ripeti­ tive; mentre quelle semantiche si sottodivideranno in 1) con­ trarie, 2) comparative, 3) sostitutive 12• Così, in tutto il di­ scorso di Bonsiepe, la carta riassuntiva delle Figure retori­ che si presenterebbe pressapoco in questi termini: FIGURE SINTATTICHE

Traspositive 1) Apposizione l) Atomizzazione 3) Interposizione 4) Inversione

Privative 1) Omissione

Ripetitive 1) 2) 3) 4)

Allitterazione Isofonia Parallelismo Ripetizione

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FIGURE SEMANTICHE

Contrarie 1) Antitesi

2) Exadversion o litote

Comparative

1) Gradazione (Climax) 2) Iperbole 3) Ossimoro

Sostitutive 1) Metonimia

2) Sineddoche 3) Metafora 4) Ipoaffermazione

Questo catalogo si presenta subito come molto com­ prensivo, ed utile per passare ad una analisi diretta dei mes­ saggi visivi o verbali di cui si vuole misurare il grado di retoricità. Bonsiepe riscontra tutte le soluzioni tropologiche classificate in messaggi visivi pubblicitari, accompagnati da didascalie. Volendo chiederci le ragioni di un discorso come quello che oggi ha impostato Bonsiepe, e vederne le origini e le possibilità « storiche », dovremmo andare indietro nel tempo e affermare che le possibilità dell'attuale discorso sulla re­ torica (come del resto di tanti altri fenomeni della nostra società «estetica» e «culturale») sono da rintracciare nel­ l'epoca barocca e nell'uso che essa fece della Retorica aristo­ telica e classica. In età barocca avvenne il fatto più importante della sto­ ria della Retorica: cioè, progressivamente, a iniziare dal tardo cinquecento, la Retorica si distaccò dalla Dialettica; o me­ glio, della Retorica si trasferì nella Dialettica tutto ciò che non era riducibile a pura «elocutio»: dei tre libri della Re­ torica aristotelica caddero il primo e il secondo, cioè la parte dedicata agli endoxa e ai topoi, e restò oggetto di rimedita­ zione del letterato barocco il libro terzo, dedicato alla a: elo­ cutio» e ai suoi artifici 12• Che cosa c'era nei primi libri della Retorica aristotelica, la cui obliterazione determinò molti temi della nuova reto­ rica barocca? La trattazione sugli endoxa si offre come tema centrale. Gli endoxa sono i principi accettati dall'opinione comune, il sistema di credenze, criteri, valori cui in età ate­ niese si poteva generalmente fare riferimento: il sistema dei 44 contenuti della comunicazione intersoggettiva.


Aristotele parla degli argomenti intorno a cui si delibera, e dice che cosa si deve conoscere da parte di chi Ii discute. Ad esempio, sia la felicità lo scopo a cui si mira; le cose da conoscere sono le seguenti: « Se questo è dunque la fe­ licità, è necessario che le sue parti siano la nobiltà di na­ scita, l'aver ·molti amici, l'averli buoni, la ricchezza, l'aver buoni figli, l'averne molti, la buona vecchiaia, inoltre le virtù del corpo quali la salute, la bellezza, la forza, grandezza, la capacità agonistica, la fama, l'onore, la fortuna, la virtù» u. Non è difficile scorgere la qualità « storica» di questa affermazione aristotelica. Una simile definizione della felicità era già inadeguata in periodo romano, comunque può restare valida per tutta la civiltà classica: ma ovviamente è sproporzionata all'etica cri­ stiana, che riproporrà altri valori e criteri certe volte oppo­ sti. Nella definizione aristotelica diverse parti testimoniano la provenienza culturale e sociale e storica della definizione stessa: 1) aver preposto gli amici alla famiglia e ai figli (qua­ lità « politica» della felicità ateniese), 2) la preoccupazione per la « bellezza», 3) il desiderio di « capacità agonistiche ecc.». In conclusione, questa definizione testimonia alcuni alti principi della civiltà ateniese, che Aristotele cita come para­ digmatici, senza possibilità di discussione, oggetto e conte­ nuto della comunicazione intersoggettiva. La completa teoria degli endoxa, come scrive Morpugo Tagliabue, è in Aristo­ tele il comun denominatore di una civiltà 14: così quando il libro terzo· offrirà gli strumenti retorici adeguati, per il let­ terato classico tali strumenti valgono come elaborazione for­ male di un contenuto oggettivo riconosciuto e riverito uni­ versalmente (gli endoxa). In età latina, il primo antico trattato di retorica è la Rhetorica ad Herenniwn, che « riprende, precisandola, la classificazione greca della materia retorica qual'essa si era venuta costituendo da Aristotele ad Ermagora» 15• La Rheter rica ad Herennium è un tentativo di analisi precettistica della retorica senza implicazioni filosofiche (a differenza di Ari- 45


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stotele, degli Stoici e di Ermagora, testimonianza di tutta una tendenza romana). La materia retorica viene divisa nelle seguenti parti: inventio, dispositio, memoria, elocutio e pronunciatio. Anche Cicerone esordisce con una opera tecnica sulla retorica, cioè il De inventione (giovanile). Ma in Cicerone maturo c'è la chiara visione della complementarietà della Retorica con la Filosofia, contro le negazioni della Retorica. Essa non può essere una « scienza puramente formale come rischiava di essere una tecnica quale quella della Rethorica ad Heren­ niwn » 16• Perciò, conseguentemente allo aver reso complementari Filosofia e Retorica, Cicerone sembra dare la preminenza agli elementi contenutistici della Retorica rispetto a quelli formali, attenendosi al vecchio - celeberrimo - monito di Catone: « rem tene, verba sequentur » 17• Anche in Quintiliano, Filosofia e Retorica vanno di pari passo, e la retorica finisce per « identificarsi sostanzialmente con la filosofia morale, non diversamente che nella prima Sofistica » 18• Dunque i momenti fondamentali della Retorica classica (Aristotele, Cicerone, Quintiliano) sono d'accordo sul tema che qui ci interessa: la Retorica complemento della Filosofia, gli strumenti retorici applicati a contenuti oggettivi, a prin­ cipi stabili, a valori sicuri e universali. Il progressivo trattamento che la retorica classica (so­ prattutto Aristotelica) subì in età rinascimentale fino all'esito barocco, è descritto da Morpugo Tagliabue: cadde tutta la teoria dc::gli endoxa, come dalla poetica cadde la teoria del muthos: la Retorica si ridusse ad « elocutio » 19• La Rettorica classica si suddivideva - secondo la sintesi di K. Lausberg citata da Bonsiepe - nelle seguenti partizioni: « 1) Indicazioni sulla raccolta del materiale, con parti­ colare riguardo al reperimento degli argomenti. 2) Indicazioni sull'ordinamento da dare al materiale raccolto. 3) Indicazioni sulla formulazione stilistico-linguistica del materiale ordinato.


4) Suggerimenti sulla memorizzazione del discorso. 5) Istruzioni sulla enunciazione e sulla mimica» 20• ( che sono poi ordinatamente le cinque parti che nella Rhe­ torica ad Herennium vengono definite: 1) inventio, 2) di­ spositio, 3) elocutio, 4) memoria, 5) pronunciatio). Bonsiepe, per condurre avanti il suo discorso, isola il momento tre e discute su quello: così, il letterato tardo-rinascimentale e soprattutto barocco, trae dal corpus della retorica aristote­ lica il momento della elocutio e costruisce su di esso le sue ipotesi per una retorica nuova. L'esempio più facile è quello del libro di Tesauro, il Cannocchiale Aristotelico, in cui la Retorica di Aristotele subisce una ritrascrizione dagli evidenti connotati barocchi. Omettendo qui di proposito gli elementi per cui il libro di Tesauro si pone come libro di poetica e segnatamente di «poetica barocca», vogliamo studiarne gli aspetti teoretici, di trattazione retorica. Nel necessario paragone con Aristo­ tele, emergono alcuni fatti, 1) Tesauro accoglie osservazioni implicite in Aristotele e anche in Cicerone circa la coinci­ denza di Retorica e Poetica 21, 2) elimina dalla nuova teoria retorico-poetica, tutta la parte degli endoxa e dei tropoi, e la parte della Poetica aristotelica dedicata al mito, 3) la re­ torica resta «elocutio» ma non nel senso di puro «ornato», bensì come insieme di norme - linguistiche - che regolano il discorso poetico - e in genere il discorso umanistico contrapposto a quello scientifico. Una delle parti centrali del trattato tesauriano, è pro­ prio la distinzione tra la Dialettica e la Retorica, dette anche Cavillazione dialettica e Cavillazione urbana 22: che non è un «primo abbozzo» (crocianamente) della distinzione tra due facoltà diverse dello spirito 23, ma è decisamente l'indi­ viduazione di due tipi di discorso con loro regole interne e autonome - linguistiche ed extralinguistiche - 24• Ci interessa qui la distinzione tra le Figure proposte da Tesauro: le Figure retoriche si dividono in Figure Armo­ niche, Patetiche, Ingegnose 25• Le Figure Armoniche riguar­ dano l'aspetto fonetico delle parole, le Figure Patetiche ri­ guardano la capacità di un movimento del discorso nel com- 47


pendiare un sentimento vivace: le Figure Ingegnose riguar­ dano la «significazione ingegnosa» 26 cioè il dinamismo del­ l'aspetto semantico della parola nella sua articolazione con l'aspetto fonetico. La distinzione tesauriana delle Figure, non è solo im­ parzialmente classificatoria, ma ordinata in maniera gerar­ chica: evidentemente le Figure «ingegnose» sono quelle su cui si appunta l'interesse di Tesauro n. Figura ingegnosa per eccellenza è la Metafora: tra i tipi diversi di Metafora, Te­ sauro classifica anche quella che generalmente si definisce Metonimia : in comune le due figure hanno la proprietà di individuare un asse del discorso, di dislocare i significati, di essere dunque maggiormente informative. L'isolare la Metafora rispetto alle altre figure è eviden­ temente un elemento di poetica, ma è anche coscienza - da parte dell'estetologo barocco - del maggior vigore retorico connesso con una Figura che - come la Metafora - agisce in profondità sulla parola, cioè agisce prima che sul segno, sul suo farsi ed è alla base del discorso poetico. Nella misura in cui isola e privilegia la Metafora (e con essa la Metonimia) la classificazione tesauriana offre una prima riflessione per odierni tentativi catalogici: cioè, è le­ cito classificare queste due figure (figure «di pensiero») con le altre, o non bisogna creare per esse una posizione auto­ noma? Se ci rivolgiamo alle ricerche strutturaliste, e in par­ ticolare a Jakobson, vedremo che le due figure (Metafora e Metonimia) acquistano un rilievo determinante in quanto co­ stituiscono due possibili assi preferenziali intorno a cui si organizza il discorso: e divengono quasi due categorie utili alla classificazione di qualunque prodotto non solo letterario, ma linguistico e segnico in generale 28• Tesauro è precursore - limitatamente - in questa di­ rezione, nella misura in cui applica un Modello Metaforico ai diversi oggetti del reale nella prima parte del suo trat­ tato 29• Le Figure «armoniche» che sono soprattutto l'Equa­ lità e l'Antiteto 30 (già in Matteo Peregrini, con i nomi di Prosonomasia e Antitesi) 31 sono le figure « dei significanti»: 48 comprendono anche figure come l'allitterazione, l'isofonia,


l'omoteleuto ecc. che nella classificazione di Bonsiepe figu­ rerebbero sotto la sigla di Figure sintattiche. Le figure pate­ tiche sono riunite in un catalogo vastissimo, che è anche un catalogo di tutti - o quasi - i possibili moti risentiti del­ l'animo: nell'impostazione tesauriana - che è retorico-comu­ nicativa e concepisce l'arte come fare e comunicare - le <,passioni» descritte nel giro di una proposizione, non sono ovviamente le passioni dell'autore, ma sono semplicemente il prodotto dell'organizzazione interna - patetica - di quella proposizione stessa: come tale catalogabile. Le figure sono: « Cognitio, lgnoratio, Ostensio, Narratio, Didaschia, Affirmatio, Negatio, Ironia, Reticentia , Praeteritio, luramentum, Testatio, Animadversio, Parenthesis, Correctio, Repetilio, Admiratio, Exclamatio, Exageratio, Extenuatio, Memoratio, Praesagitio, Dubitatio, Inquisitio, Interrogatio, Responsio, Interpretatio, Occupatio, Factio, Imaginatio, Ex­ pressio, Prosopopeia, Apostrophe, Ratiocinatio, Conclusiun­ cula, Epiphonema, Compendium, Perplexitas, Approbatio, Imperium, Admonotio, Obsequium, Blanditiae, Salutatio, Apprecatio, Veneratio, Abominatio, Obiurgatio, Irrisio, Exe­ cratio, Optatio, Vocatio, Votum, Obxecratio, Commendatio, Concessio, Gratiarum actio, Recusatio, Exultatio, lactantia, Gratulatio, Plausus, Eiulatio, Improperium, Poenitentia, Spes, Desperatio, Timor, Verecundia, Audacia, lmprudentia, Excan­ descentia, Minae, Nemenis, Miseratio, Concessio, Depreca­ tio» 32• Ad un catalogo di questo tipo si potrà tornare quando_. abbandonata senza ormai nessun ripensamento o perplessità l'idea della poesia come espressione, le passioni descritte in un qualunque contesto appariranno rigorosamente come spe­ ciale organizzazione della proposizione e come suo alone con­ notativo. Di tutte le figure catalogate, alcune appaiono come figure sintattiche nel catalogo di Bonsiepe, altre ne restano fatalmente fuori. Delle Figure ingegnose, la Metafora si sottodivide in Tesauro in otto tipi: metafora di simiglianza, di attribuzione, di iperbole, di ipotiposi, di antitesi, di laconismo, di equi­ voco e di decezione 33: che sono a loro volta, in altre classi- 49


ficazioni meno compromesse con istanze di poetica, figure a sé stanti, e appaiono come tali nel catalogo di Bonsiepe sotto l'etichetta di figure semantiche Contrarie, Comparative e Sostitutive. Le Retorica barocca, nel suo costituirsi ritrascrivendo Aristotele e la rettorica classica, pone dunque le basi anche per un discorso attuale sulla Rettorica come insieme di so­ luzioni comunicative codificate, con cui è possibile analizzare un qualunque contesto di segni. Ovviamente lo smembra­ mento della Retorica e la sua riduzione alla unica parte «formale » diedero l'avvio a un processo fatale: quando le re­ gole retoriche - scisse da ogni contenuto oggettivo - si po­ sero non come analitiche ma come normative (mentre nella retorica classica e anche in quella tesauriana e barocca i due aspetti convivettero) apparvero per ciò stesso oppressive, inutili, vuote. Si defirù per retorico il contrabbando di luoghi comuni o il Kitsch 34• L'odierno interesse per la Retorica è nato dalla fioritura di studi semiologici e dalla generale tendenza a proporre i problemi della comunicazione: bisogna poi ricor­ dare il nesso fra la retorica e lo studio del gergo pubblici­ tario, il gergo «persuasivo» e retorico per eccellenza 35• Sul versante della critica letteraria, la concezione del­ l'opera come «congegno» e «artificio» ereditata dai critici di tendenza strutturalista dall'esperienza di formalisti russi, può condurre a una nuova analisi retorica sulla poesia come particolare messaggio comunicativo che si avvale di stru­ menti «retorici» per produrre informazione. Il problema cen­ trale resta quello di una classificazione moderna e funzio­ nale delle Figure, in vista della sua applicabilità a modelli di messaggi verbali e visivi. La classificazione di Bonsiepe è per ora quella più attendibile: l'esigenza che potrebbe emer­ gere è di isolare metafora e metonimia dalle altre Figure, in quanto corrispondono a due assi di linguaggio, e ogni sistema di segni si organizza secondo i loro due vettori. SO

Si potrebbe forse parlare allora di figure sintagmatiche e figure sistematiche: e all'interno di questa distinzione ge-


neralissima, recuperare la distinzione di Bonsiepe tra figure . sintattiche e figure semantiche. GIUSEPPE CONTE

1 Eliot individua il passaggio del dramma elisabettiano dalla reto­ rica (Kyd, Marlowe) alla « articolazione penetrante e sciolta» di Shakespeare e Webster (Il Bosco Sacro, Milano '46 traduz. Anceschi, p. 151): dove il termine « retorica» è usato come attributo di uno stile letterario. 2 PERELMAN OLBRECHTS-TYTECA, Trattalo dell'argomentazione, Torino '66 (Prima edizione francese 1958). J L. Prurrr, Retorica e Logica, Torino '68. 4 R. BARTHES, Rhétorique de l'image, in • Communications» IV, p. 30. s U. Eco, La struttura assente, Milano '68, p. 167. 6 Livello « iconico», « iconografico», « tropologico», « topico», « entimematico ». (Cfr. U. Eco, La strullura assente, cit., p. 170 e sgg.). 7 U. Eco, La struttura assente, cit., p. 172. s G. BoNsIEPE, Retorica visiva-verbale, in·« Marcatre », '65, n. 19-22. 9 G. B0NSIEPE, art. cii., p. 218. 10 ibidem. Il ibidem. 12 Cfr. la tesi di G. MARPURGO TAGLIABUE, Aristotelismo e Barocco, in Retorica e Barocco, Roma '55. 13 ARISTOTELE, Retorica, libro I (traduzione A. Plebe, Bari 1961, p. 22). 14 M0RPURG0 TAGLIABUE, Op. cii., p. 122. 15 A. PLEBE, Breve storia della retorica antica, Bari '68, p. 86. 16 A. PLEBE, Op. cii., p. 89. 11 Sulla retorica ciceroniana, oltre le pagine citate del libro di Plebe, si può vedere un denso e documentato saggio di R. BARILLI, La retorica di Cicerone, ne « II Verri», n. 19. 18 A. PLEBE, Op. cii., p. 93. 19 Per controllare l'uso di Aristotele nel secondo '500, è consigliabile il saggio di G. DELLA VOLPE, Poetica del '500, Bari '54, dove si studia il rapporto tra la poetica di Aristotele e le sue più famose esegesi (Castel­ vetro, Vettori). Che poi l'origine del Barocco fosse da rintracciare nel­ l'Aristotelismo tardo cinquecentesco, è una vecchia idea che trovò formulazione per fa prima volta in G. ToFFANIN, La fine dell'Umanesimo, Torino 1920 (per una sintesi del pensiero di Toffanin si può vedere Idee poche ma chiare sulle origini del Secentismo, in « La Cultura», settembre 1924). Sulla stessa linea, G. Z0NTA, Rinascimento, Aristotelismo e Barocc?, in « Giornale Storico della Letteratura Italiana» 104, 1934. Morpurgo Tagliabue rinnova questa linea di ricerca senza ,però ovviare del tutto al pericoloso determinismo, nato dalla mancanza di chiarezza nel distinguere tra la nozione di poetica e quella di poesia. Perché se delle tre parti della Retorica (inventio, dispositio, elocutio) con le funzioni corrispondenti del docere, movere, delectare) resta solo la elocutio (e il delectare) non si può allora inferire che il Barocco è la riduzione dell'arte all'ornato e al puro edonismo. Morpurgo Taglia­ bue cerca di ovviare a soluzioni cosl semplicistiche, ma non vi riesce del tutto.

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G. BONSIEPE, art. cii., p. 218. 21 Il tema della coincidenza tra Retorica e Poesia in Cicerone nel nome « della loro applicabilità universale a tutto il campo degli inte­ ressi umani» e la sua « incalcolabile importanza nella storia del­ l'estetica» è stato riconosciuto da R. BARILLI, art. cit., p. 205. 22 Cfr. E. TESAURO, Il Cannocchiale Aristotelico, Venezia 1663 (I ediz., Torino 1654) p. 450 e segg. (d'ora in poi indicheremo C.A.). 23 Cfr. il tentativo indebito cli appropriazioni in B. CROCE, Storia dell'estetica per saggi, Bari '67 (ediz. econ.), p. 85. 24 Le definizioni si liberano in Tesauro da una rigida intelaiatura scolastica. La Retorica e la Dialettica « Sorelle (come motteggia il no­ stro Autore) nate a un parto: e tanto simili di fattezze che molti insegnatori le prendono in iscambio » presentano in realtà differenze rintracciabili « nella Materia, nel Fine, nella Forma accidentale e nella Forma essenziale• (C.A., ,p . 450). Infatti la Materia retorica comprende « le cose civili in quanto sian moralmente persuasibili» mentre la Materia dialettica le cose « scolasticamente disputabili ». Il fine della retorica è « rallegrare con la piacevolezza, senza ingombro di vero», quello della Dialettica « corrompere con la falsità» (annotazione in cui si rivela la fiducia umanistica e retorica di Tesauro). La forma Accidentale retorica si fonda su « belle frasi... favolette e trovati»: quella dialettica su proposizioni « chiare e distese». Infine la Forma essenziale retorica si differenzia da quella dialettica in quanto si fonda sulla Metafora e sullo « imparamento veloce» che essa rea­ lizza (C.A., p. 450-451). Sulla Retorica tesauriana vedi E. RAIMONDI, Ingegno e Metafora nella poetica del Tesauro, ne « Il Verri •, II, '58; Grammatica e Retorica nel pensiero del Tesauro, in « Lingua nostra », XIX 1959 (Saggi ora raccolti in Letteratura barocca, Firenze '61). 25 « Hora conciosaccbé ogni human godimento consista nel sati­ sfare ad alcuna delle tre humane facultà, Senso, Affetto, Intelligenza, ancor delle Figure, altre sono indirizzate a lusingare il Senso del­ l'Udito con l'Armonica soavità del Periodo, altre a commuovere l'Af­ fetto con la Energia delle forme vivaci et altre a compiacer l'Intel­ letto con la Significatione ingegnosa. Et eccoti tre supremi e adeguati Generi onde si spandono tutte le Retoriche Figure: cioè Armonico, Patetico, Ingegnoso». (C.A., p. 113). 26 « Significatione » è termine tesauriano, che sta ad indicare il farsi del segno, l'aspetto dinamico del segno stesso, il rapporto tra le immagini mentali (discorso interiore) e i segni sensibili (discorso este­ riore) (C.A., p. 14). Oggi il termine significazione traduce, anche se non chiarissima­ mente, il francese « signification» che è il processo d'unione del signi­ fiant e del signifié nel segno, nella semiologia di estrazione saussuriana. (Cfr. R. B,\RTHF.S, Elementi di Semiologia, Torino '66, p. 45). TI Alla distinzione delle figure retoriche nei tre gradi indicati sopra, precede una più generale distinzione che, rettificando le manomissioni ciceroniane e quintilianee, torna al concetto aristotelico di Figure Lexeos e Figure Dianoeas (C.A., p. 216). Le prime riguardano « la collo­ catione delle parole» le seconde sono invece quelle che hanno origine nella « Significatione ingegnosa• (per il termine « significatione• cfr. la nota precedente). 28 Cfr. R. JAKOBSON, Due aspetti del linguaggio e due tipi di afasia, in Saggi di Linguistica Generale, Milano '66. Nel saggio ormai molto famoso si individuano, partendo dallo studio dei disturbi afasici, due orientamenti fondamentali che ,possono essere assunti dal discorso: due poli, uno metaforico e uno metonimico, che presiedono a qualun20

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que discorso, di qualunque contesto segnico (JAKousoN, Op. cit., ,p . 39 e segg.). 29 Arguto, e cioè metaforico, può essere per Tesauro non soltanto un contesto poetico, ma un contesto segnico in generale. Metaforica è la parola di Dio (C.A., p. 54) metaforici gli angeli nei loro prodigi (C.A., p. 65) metaforici i fiori (C.A., p. 67) le battute di spirito (C.A., p. 87) i sogni (C.A., p. 64) le feste equestri (CA., p. 52) il gioco degli scacchi (C.A., p. 53). Ciò non vuol dire, come frettolosi interpreti hanno creduto, che Tesauro sia quasi un panteista che vede la Metafora (o Argutezza) come principio primo platonico che è immanente al reale (Cfr. C. JANNACO, Tradizione e Rinnovamento nelle Poetiche dell'Età barocca, in cc Convìvium », dic. '59, p. 661). In realtà Tesauro applica il Modello metaforico al Reale, là dove riscontra un funzionamento tipico ed uguale a quello da lui isolato e osservato nella Metafora linguistica. 30 C.A., pp. 114-118. 31 Cfr. M,\lTEO PEREGRINI, Delle Acutezze, Genova 1639, p. 25. II libro di Peregrini è forse l'esempio più lucido e rigoroso di tutta la letteratw·a • ingegnosa•· E meno letterato, estroso e affascinante del Tesauro: più investigante e sicuro. Se anche un'etichetta critica oggi lo vuole barocco-moderato (cfr. F. CROCE, Le Estetiche del Barocco in Italia in Momenti e Problemi di Storia dell'Estetica, Milano '59, p. 554) egli è in realtà il più innovatore. forse ancor più di Tesauro, nel vedere l'opera come artificio, nel distinguere tra intelletto e ingegno, tra discorso poetico e discorso logico. 32 C.A., pp. 19�211 (in riassunti pp. 211-215). 33 C.A., pp. 259-270. Riportiamo qui l'esemplificazione tesauriana degli 8 tipi di Metafora ottenuta metaforizzando il termine Roma. Metafora di Simiglianza Urbium sol • di Attributione Capitolium • di Equivoco Valentia Populorum triumphatrix di Ipotiposi • di Iperbole Alter orbis R di Laconismo Anticarthago di Opposi tione » Romula di Decezione (pp. 263-274) 34 Sul concelto di Kitsch, si veda il libro appena uscito di G. DORFLES, Il Kitsch. Antologia del Cattivo Gusto, Milano '69. 35 Uno degli ultimi contributi allo studio del gergo e delle imma­ gini pubblicitarie è il libro di G. MARM0RI, Senso e Anagramma, Milano '68. II saggio, vivace, stimolante, manca di una chiara premessa metodolo­ gica: così la lettura delle diverse ricche immagini femminili nella pub­ blicità ha certe volte qualcosa di casuale, di troppo divertito: e, come manca una dichiarazione circa l'apparato retorico di cui ci si serve, così non è individuata a nostro avviso, la parabola « sociale» della persuasione retorica (e pubblicitaria), la cui descrizione può rappre­ sentare il secondo momento di un'analisi corretta. Un capitolo interes­ sante, mi è parso quello dedicato a scoprire le analogie tra il gergo e le maniere pubblicitarie e gli stilemi di certa poesia barocca (p. 92 e sgg.). Valido senza dubbio il punto di partenza « Barocco e reclamistica ricorrono alla iperbole per occultare il vuoto e spacciarlo per effi­ ciente» (op. cit., p. 92): come valido è fondare « il parallelo pubbli­ cità-età barocca ... sulla comune urgenza d'affabulazione • (op. cit., p. 97). Ora, più che andare a rintracciare affinità di stilemi e di usi reto- 53

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rìci tra lo slogan ,pubblicitario e i versi di poeti marinisti (ma si cita

anche Marino, anche Dopne) sarebbe stato però meglio cercare in che modo (e se) la poetica barocca garantisce un simile uso del linguaggio; si vedrebbe allora che la caduta dei valori e dei miti universali (me­ dioevali e classici) induce il messaggio barocco a una parabola sociale, di appiglio al « costume corrente•, alla transitorietà della moda: la mancanza di riferimento oggettivo inizia dwique la possibilità e la necessità dell'ostentazione barocca come ostentazione dell'ingegno, in quanto operatività. La possibilità storica di wia gergo pubblicitario si apre con il Barocco, che, distacca l'arte per la prima volta dal mito universale per riallacciarla - precariamente, instabilmente, funanbolioamente - a una realtà da captare attraverso l'ostentazione e la produzione del compiacimento lusinghevole.

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