Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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E.
GARRONI,
Semiotica e architettura. Alcun i problemi teoricoapplicativi L'architettura per l'Università Recenti contributi allo studio dell'« environmental design» Libri, riviste e mostre
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Gabriella Caterina,
Gabriella D'Amato, Renato De Fusco, Virginia Gangenù, Maria Luisa Scalvini, Angelo Trimarco.
Semiotica e architettura. Alcuni problemi teorico-applicativi* EMILIO GARRONI
Prospettive metodiche. Il modello tipologico. Chiariamo subito che le prospettive metodiche che se guiranno non hanno in alcun modo la pretesa di essere cor rette da ogni punto di vista, né di essere tecnicamente ese guibili. Ammettiamo fin d'ora che esse potrebbero non es sere utilmente applicabili da un punto di vista circostanzia tamente e sistematicamente operativo. Esse valgono solo
come esemplificazioni di metodi operativi possibili, confor tati talvolta da suggerimenti applicativi suscettibili di ap profondimento, al fine di esibire concretamente considera zioni valide soprattutto ad un livello teorico. Ai nostri fini
ciò sembra infatti sufficiente, il problema di un adeguato me todo operativo (certo assai importante) ponendosi solo in sede di teoria applicativa sistematica e di effettiva analisi di oggetti architettonici dati. Con questa essenziale precisa
zione preliminare, diciamo subito che anche l'elaborazione e l'applicazione di un modello tipologico risolve adeguatamente
* Questo articolo è una ,parziale e provvisoria anticipazione di un voi. che costituirà una completa e radicale rielaborazione del già edito Semiotica ed estetica (La.terza, Bari 1968) e che sarà prossimamente pubblicato dagli Edd. Laterza di Bari e Mouton dell'Aja (tr. inglese).
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il malinteso teorico della continuità, a patto che le unità così determinate siano appunto unità formali e non materiali.
Perfino gli elementi « colonna », «trabeazione », ecc., se con essi si intende individuare non i «segni » o gli elementi dalla cui unione e realizzazione risulti l'oggetto architettonico nella sua globalità e concretezza, ma semplicemente gli elementi formali di uno dei possibili modelli in riferimento al quale un oggetto architettonico può essere analizzato, sono a que sto patto corretti e permettono di rileggere positivamente anche i tentativi di costruire una semiologia materiale del l'architettura. La differenza non è soltanto verbale o terminologica; an che le conseguenze pratiche sono sensibili. Un modeHo ti pologico non consente, infatti, che un'analisi assai unilaterale e sommaria dell'architettura, il modello cui appartiene l'in variante «colonna » p.e. essendo applicabile ad · un numero elevatissimo di oggetti architettonici, pur assai diversi l'uno dall'altro, senza che la sola applicazione di quel modello con senta di rendersi conto di tale diversità e di esibirla tecnica mente. Mediante un modello e un'invariante del genere noi co gliamo in uno sia il tempio greco, sia la basilica cristiana, sia un tempietto bramantesco, sia un edificio palladiano e così via. Certo, 'potremmo specificare (ma fino a un certo punto) il nostro modello, sia precisando gli elementi formali tipologici in cui ogni elemento generico è analizzabile ulte riormente, sia imponendo restrizioni sintagmatiche che con sentano di riferire più adeguatamente il modello a certi in siemi di opere, sia infine elaborando modelli tipologici non soltanto in rapporto alle parti struttive o plastiche dell'archi tettura (appunto la colonna, la trabeazione, ecc.), ma anche in rapporto alla sua conformazione funzionale (che è ciò che si intende generalmente quando si parla di tipologia archi tettonica: il tipo della casa d'abitazione, della scuola, del palazzo pubblico, della chiesa, ecc.). In quest'ultimo caso, potremmo addirittura distinguere due tipi di significazione connessi ai due tipi di modelli tipologici (probabilmente in interrelazione con modelli di altro genere): uno simbolico-ti6 pologico, comune sia alla «colonna» (modello tipologico del
primo tipo) sia p.e. alla «cupola», alla «rotonda», all'«ab side» e così via (modello tipologico del secondo tipo), uno - per così dire - referenziale-tipologico, più strettamente legato al modello tipologico del secondo tipo; distinguendo così una significazione di tipo metaforico (equivalenza tra elemento e qualche altra cosa, concetto o funzione, cui esso allude) e una significazione di tipo metonimico (contiguità tra una conformazione e la funzione reale cui è destinata) 1• Ma in ogni caso, pur con tutte le specificazioni possibili e lasciando comunque aperte le poche ulteriori indicazioni orientative testé fornite, un modello tipologico sembra nello stesso tempo troppo generico e troppo ristretto per consen tire analisi sufficienti dell'oggetto o degli oggetti architetto nici, quali che essi siano. Per un verso, infatti, esso non per mette di stringere abbastanza da vicino un oggetto o un in sieme ristretto di oggetti, sfuggendogli tutte quelle ulteriori determinazioni non tipologiche che pure concorrono a dare loro rilevanza; per altro verso, esso non è forse sufficiente mente generalizzabile (se non, naturalmente, nella forma ver bale e praticamente inutilizzabile di «modello tipologico», senza alcuna altra determinazione strutturale), essendo co struibili modelli abbastanza generali e utili applicativamente solo in riferimento a certi insiemi, non amplissimi, di og getti. Non si tratta, tuttavia, di una sorta di modello atipico, diverso formalmente da tutti o da molti altri modelli possi bili; né la sua forma « verbale » generalissima ha qui soltanto la funzione di un mero espediente per tipizzare l'atipico. Un modello tipologico sufficientemente specificato è in qualche modo applicabile anche ad oggetti architettonici che presen tino elementi struttivi e plastici o conformazioni riferibili a modelli tipologici specificati in modo del tutto diverso, poi ché - da un opportuno punto di vista sincronico, presente implicitamente, come condizione di percezione e interpreta zione, nel modo di fruire di un osservatore colto - tali og getti risultano tipologicamente determinati in funzione del loro essere riferibili ad un modello tipologico e anche del loro non essere riferibili ad un altro modello tipologico ( op portunamente determinato). In altre parole, i due modelli 7
- cui gli oggetti si riferiscono ora positivamente ora nega tivamente -, nonché gli elementi che li costituiscono, con traggono tra loro un rapporto di correlazione, tale che la ri feribilità ad un modello ha un suo senso positivo in quanto è anche differenzialmente determinata in rapporto ad altri modelli nei cui riguardi è esclusa la rif eribilità. Cosl, in pra tica, un palazzo pubblico razionalista ha la sua piena signi ficazione tipologica (e non soltanto tipologica, naturalmente, il discorso essendo valido in generale) in quanto non è né una casa d'abitazione, da un lato, né un tempio greco, dal l'altro, né infine un palazzo pubblico gotico o un palazzo pub blico ottocentesco in forma di tempio greco, di palazzo gotico, di pagoda cinese o di moschea arabizzante. In questo senso, che si parli di modello tipologico generalissimo nella forma verbale di « modello tipologico» non è una escogita zione, essendo esso piuttosto la classe formale generalissima di tutti i modelli tipologici diversamente e a diversi gradi specificati: soltanto una classe del genere permette di sta bilire delle co1Telazioni tra modelli che altrimenti sarebbero tra loro radicalmente eterogenei. In ogni caso, l'esempio del modello tipologico è troppo debole ai nostri fini, anche e soprattutto perché esso con sente troppo facilmente di porre un'equivalenza tra signifi cazione architettonica e sua riformulazione verbale, che è il presupposto su cui si sono fondati alcuni tentativi di formula zione di una semiologia architettonica, e non soltanto archi tettonica 2• Presupposto valido, senza dubbio, sotto un certo profilo (grosso modo: esplicitazione di una componente se mantica verbale, o comunque verbalizzabile, in una semiosi non-verbale in modo dominante), e che permette corretta mente di riferire il continuo architettonico ad una sua rifor mulazione discreta mediante equivalenti verbali, anche se non dominanti, ma che è per altro verso del tutto incapace di ·soddisfare esigenze analitiche più complete. Si tratta di un tipo di approccio, che per di più rischia - se reso esclu sivo, sulla base di ipotesi teoriche esplicite - di diventare semplicemente una scorciatoia, un modo di facilitare fin 8 troppo un compito obiettivamente difficile. Invece di sce-
gliere un esempio di metodo per equivalenti verbali, sarà quindi più opportuno tentare di cogliere quegli aspetti del l'architettura che, con terminologia senza dubbio materiale e approssimativa, sembrano esserle più specifici: aspetti che alludono più direttamente alla sua struttura effettiva, agli effettivi mezzi impiegati per realizzarla. Lo spazio come «essenza» e come modello. Naturalmente non pensiamo ali'«essenza» o alla « spe,. cificità » dell'architettura, come se fosse possibile definire l'architettura stessa in modo rigoroso (e non lo è per qual siasi« arte» particolare); ma, certo, non vogliamo neppure ne gare che la questione mal posta dall'essenza, così come essa è stata formulata a livello teorico-tecnico, risponda a qualche legittima esigenza. Tale essenza, sulla base del resto di una autorevole tradizione, è stata determinata anche di recente nello «spazio» - che costituirebbe appunto.ciò che di spe cifico e di pertinente in modo esclusivo vi è nell'architettura. In realtà, quando parliamo di « spazio » adoperiamo una nozione equivoca, che può avere significati assai diversi se condo che noi ci poniamo da un punto di vista puramente geometrico, oppure percettivo, oppure pratico (come effet tiva praticabilità), e così via 3• Bruno Zevi p.e., allorché ri propose tale nozione, intese riferirsi propriamente allo « spazio interno », che è già qualcosa di più preciso per un certo verso e che conduce, per altro verso e cioè in forza della sua materialità, ad alcuni paradossi inaccettabili, che lo Zevi tut tavia accettò esplicitamente e coraggiosamente: all'esclusione cioè, dall'ambito dell'architettura, di oggetti quali il tempio greco, la piramide, il ponte, ecc. 4• Sculture in dimensione urbanistica, si disse, e non archHetture in senso stretto. Il che non solleverebbe scandalo alcuno, se però non restasse da spiegare la più forte analogia formale che viene avver tita tra tali sculture in dimensione urbanistica con ciò che chiamiamo architettura che non con quegli oggetti che chia miamo piuttosto sculture, e inoltre (e soprattutto) se non esistessero o non fossero possibili infiniti casi intermedi che 9
non consentono di decidere chiaramente se abbiamo a che fare o no con uno spazio interno. Fino a che punto uno spazio deve essere interno e praticabile (materialmente chiuso e agibile dall'uomo) per costituire l'essenza dell'architettura? Ma l'assunzione e la correzione di tale criterio ha, per un certo verso, messo ancora di più in evidenza le difficoltà che esso comporta. La sostituzione, proposta da De Fusco, dello spazio interno e praticabile con la nozione di spazio « semiologico », non necessariamente interno e praticabile, aggiusta sì per un verso l'applicabilità del criterio a quegli oggetti che sembravano inaccettabilmente esclusi, ma è pur sempre un aggiustamento tra formale e materiale che, per altri versi complica la questione. Uno spazio semiologico (lo spazio come « significato») non può non essere spazio vir tuale, a nostro parere, a meno di non ricadere con termino logia diversa proprio nelle stesse difficoltà dello Zevi: virtua lità che sembra essere confermata esplicitamente da talune precisazioni dello stesso De Fusco 5• Ma se lo spazio è dav vero virtuale, non rientrerà sotto di esso anche la pittura prospettica o, in particolare, lo « schiacciato » donatellate sco? Si potrebbe obiettare che lo « schiacciato» è piut tosto rappresentazione che non mera virtualità di spa zio; ma anche nell'architettura lo spazio non è mai un dato bruto (interno o esterno, vuoto o pieno, praticabile o no), una porzione di spazio ritagliata con espedienti tecnici pura mente strumentali, ma è proprio « spazio rappresentato», cioè formato secondo schemi e procedimenti. Del resto, esi stono anche qui casi intermedi significativi che chiariscono il rapporto strettissimo che si istituisce tra ciò che possiamo chiamare spazio reale-virtuale architettonico e spazio virtuale rappresentativo pittorico o scultoreo: basti pensare al più spinto illusionismo di Bramante che costituisce idealmente, per così dire, un vero e proprio anello di congiunzione tra Brunelleschi e Donatello 6• Naturalmente, queste contamina. zioni a noi non dispiacciono affatto, nella misura in cui esem plificano ciò che c'è di comune tra arti diverse in funzione p.e. di un modello spaziale di tipo percettivo. Ma non sono 10 congrue con un criterio che voglia essere specificamente ar-
chitettonico. Tale conclusione, ci sembra, è perfino suggerita dal De Fusco: se lo spazio semiologico viene considerato come l'essenza dell'architettura, il suo « significato », e il «signifi cato» dell'architettura non corrisponde alla sua funzionalità (legata piuttosto allo spazio interno e praticabile) ma piut tosto alle sue valenze simboliche (è il caso della «Rotonda» palladiana, microcosmo che allude metaforicamente al ma crocosmo), tale «spazio-significato» difficilmente si riuscirà a distinguere dallo «spazio-significato» di una colonna o di qualsiasi altro elemento plastico dotato di spazialità, anche se piena, e cli valenza simbolica 7• Di qui alla scultura e alla pittura il passo è brevissimo, se non ci inganniamo. Ma l'errore, a nostro avviso, sta proprio nella materialità cd esclusività ( il suo essere « essenza » J del criterio spaziale, solo approssimativamente isolato mediante parziali ammis sioni formali (poiché un puro spazio materiale non esiste, non è accessibile neppure alla nostra esperienza più imme diata ed elementare). Per altro verso, il criterio dello spazio, come un criterio utile per parlare di architettura, anche se non soltanto di essa, è del tutto giustificato, nella misura in cui esso è determinabile in funzione di modelli opportuni, p.e. un modello geometrico, il quale è pur sempre solo uno dei modelli possibili e tuttavia sembra suscettibile di cogliere la struttura architettonica in modo più aderente, più stringente, almeno in quanto può essere specificato assai di più di quanto non accade p.e. al modello tipologico. Per quest'ultimo, in fatti, come già si diceva, oltre un certo limite cli specifica zione da verificare di volta in volta, sembra che ogni restri zione introdotta produca semplicemente delle varianti di unità specificate al limite massimo, e quindi dei membri che appartengono a classi invarianti e sono incapaci di significa zione ulteriore rispetto alla significazione individuata dall'in variante. Se p.e. specifichiamo, oltre quel limite, l'invariante « colonna» o «tempio», otteniamo delle designazioni tipolo giche verbali del tutto equivalenti, dal punto cli vista tipo logico, rispetto all'invariante ultima (p.e., ammessa per ipotesi l'applicabilità dell'esempio, l'invariante « colonna dorica caratterizzata da certi rapporti numerici fondamentali e da 11
una dimensione di un certo rango » ), che rinviano ad aspetti o significazioni architettoniche rilevabili solo mediante mo delli non tipologici, siano essi figurativi, dimensionali, rit mici, geometrico-spaziali, ecc. In questo senso, quindi, assu
miamo anche qui il criterio dello spazio, come adeguato ad un'analisi degli oggetti architettonici, o meglio come un de finito modello spaziale.
L'ipotesi di un modello geometrico, e le sue relazioni sin tagmatiche. Tale modello, in via puramente esemplificativa, nel senso già ricordato, potrebbe essere appunto un modello di tipo geometrico. Potremmo isolare di una fabbrica barocca la configurazione spaziale tridimensionale determinata dagli ele menti struttivi interni o (secondo i casi) dagli elementi strut tivi esterni nella loro funzione di individuazione per seg menti e superfici di uno spazio interno, oppure isolare di quella configurazione un solo aspetto bidimensionale, p.e. una sezione o in particolare una pianta, in quanto individuata in modo analogo a quello descritto, e analizzare la porzione
di spazio o di piano in funzione di una combinazione (per so vrapposizione o per contiguità, essendo chiaramente fuori causa la condizione della linearità) di elementi geometrici so lidi o piani in relazione contrastiva, da un punto di vista sin tagmatico, e in relazione oppositiva, da un punto di vista pa radigmatico. Con ciò non avremo in alcun modo sezionato
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materialmente l'oggetto architettonico, ma avremo semplice mente applicato ad esso (con un metodo elementarissimo, che è in uso da tempo nella trattatistica e nella progettazione architettonica) un modello ·geometrico formale. Tale modello sarà costituito da elementi discreti cui pure è riferibile il continuo spaziale geometrizzabile nella sua concretezza e ma terialità, e nello stesso tempo ciascuno di quegli elementi (al contrario di ciò che accadrebbe con equivalenti verbali) sa rebbe caratterizzato da una sua peculiare continuità: anzi, addirittura una continuità geometrica e non più semplice-
mente da una contnuità materiale, cioè riferibile soltanto ad un modello implicito 8•
In particolare, per quanto riguarda le relazioni sintag matiche, suggeriamo la possibilità di specificare tali relazioni in tre classi distinte, che contrarrebbero reciprocamente un rapporto di correlazione: una classe di relazioni «sintatti che» 9, definite come sovrapposizione di elementi tale che di
nessuno di essi si possa stabilire la funzione generatrice, dominante o di «reggenza» (pensiamo p.e. al S. Carlino borro miniano); una classe di relazioni ipotattiche, definite come so vrapposizione di elementi tale che soltanto di uno o più ele menti. ma non di tutti naturalmente, si possa stabilire la funzione generatrice, dominante o di «reggenza», essendo gli altri subordinati rispetto ad esso o essi (è il caso, forse, di S. Maria in Campitelli); una classe di relazioni paratat tiche, definite da non-sovrapposizione di elementi. Natural mente, nella misura in cui tali indicazioni siano effettivamente applicabili, si tratterà in generale non di applicare in modo esclusivo l'uno o l'altro tipo di relazione sintagmatica, ma di applicare più tipi interrelati in una gerarchia sintagmatica complessa. Così, p.e., nel caso limite di una serie di padiglioni prefabbricati e montati in serie sintagmatica, avremo esclu sivamente un tipo di relazione paratattica, mentre in un'unità di abitazione di Lecorbusier si dovrà integrare la relazione paratattica modulare con una relazione subordinata ipotattica applicabile all'elemento geometrico in quanto completa mente inglobante gli elementi primari e risultante dalla somma di essi. E appunto perché si tratta di somma, am messo naturalmente che ciò sia vero anche in sede di più accurata verifica, la relazione ipotattica è gerarchicamente subordinata alla relazione paratattica: non è lo spazio in globante che genera in prima istanza gli spazi inglobati, ma piuttosto questi, nel loro riprodursi modulare e paratattico, determinano lo spazio inglobante. Una situazione che, vera o no nel caso di Lecorbusier, è sicuramente vera in molti casi di architettura moderna modulare, come in certi pro getti di P. L. Nervi, gli hangars p.e. o i.I Palazzo del Lavoro realizzato per l'Esposizione « Italia 61 » di Torino, le cui di-
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mensioni e proporzioni totali non sembrano ubbidire ad altra norma oltre quella imposta dal numero degli elementi spa ziali o strutturali scelti 10• Semmai, in certi casi più complessi di architettura modulare (e pensiamo proprio al « modulor » di Lecorbusier), è possibile analizzare ulteriormente gli ele menti spaziali primari secondo un tipo di relazione sintat tica o ipotattica, suscettibile di avere qualche ripercussione anche nella determinazione delle relazioni sintagmatiche ge nerali. Continuando in queste rapide esemplificazioni, di remo poi che nel caso del S. Spirito del Brunelleschi, p.e., ad una primaria relazione ipotattica è subordinata una rela zione paratattica di notevole rilevanza (,le cellule spaziali delle navate minori, le serie delle absidiole· che ad esse corrispon dono). Infine, la fondamentale struttura sintattica del S. Car lino del Borromini (quale che sia il procedimento genetico che portò effettivamente alla sua definizione finale") prevede, in funzione gerarchica subordinata, una struttura. di tipo ipo tattico (rapporto tra lo spazio individuato dalla cupola e le articolazioni sintattiche del vano inferiore) e, in relazione ad esse, una struttura paratattica non molto forte e tuttavia essenziale per cogliere tutto il complesso gioco sintagmatico di quell'opera (e, precisamente, i sotto-spazi a due a due equivalenti dello spazio sintattico sottostante, disgiunti pa ratatticamente).
L'ipotesi di un modello grafico-analitico, e i rianti».
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«
campi di va
C'è da osservare però che la costruzione di un modello geometrico del tipo esemplificato può non essere abbastanza calzante, anche solo come esempio, proprio nel caso di talune architetture assai complesse e qui citate, nei riguardi delle quali si potrebbe forse arrivare soltanto ad un grado di ana lisi ancora troppo generico, non sufficientemente esplicativo, oppure - per evitare questo inconveniente - si dovrebbero specificare i modelli scelti oltre un utile grado di economia formale. In ogni caso, potrebbe essere utile disporre di modelli opportuni, capaci di rendere analizzabile, in integrazione
con il tipo di analisi già suggerita, anche i contorni esterni o interni (della scatola plastica o dell'invaso spaziale) della struttura analizzata secondo modelli costituiti da elementi porzioni di spazio o di piano. Tale ulteriore analisi, tanto più utile quanto più l'andamento dei contorni non sia implicito nella struttura propriamente spaziale, coglie in realtà un al tro aspetto dell'architettura, non la sua spazialità geometrica ma la sua figuratività (e preghiamo, naturalmente, il lettore di tener conto della provvisorietà e approssimatività della ter minologia): figuratività che può avere appunto un ruolo su bordinato e quasi inavvertibile (è il caso limite di certo ra zionalismo, ma anche quello di certa architettura classici stica, laddove l'andamento dei contorni è affidato a leggeris simi risalti e flessioni), o può assumere un ruolo dominante e addirittura esclusivo (è appunto il caso di certe facciate barocche del tutto indipendenti « a vista » dalla struttura spaziale della fabbrica). A questo scopo, il modello da adottare (fermandoci qui al caso più semplice della sezione orizzontale o della pianta) po trebbe essere costituito da elementi grafici lineari, riformula bili eventualmente ( e questa possibilità è stata proposta an che da altri, ma al fine di scartarla come non specificamente pertinente) 12 con un metodo analitico: riferimento del con fine esterno o interno della pianta ad un piano cartesiano e sua rappresentazione analitica mediante uno o più, probabil mente molte, funzioni matematiche, comunque determinabili con una certa approssimazione. Chiariamo subito che, con questa proposta, forse operativamente pazzesca, non inten diamo in alcun modo conferire un prestigio scientifico del tutto apparente a una semplice ipotesi esemplificativa. Del re sto, proprio da un punto di vista scientifico o matematico, tale ipotesi è del tutto banale. L'abbiamo introdotta, invece, esclu sivamente per mettere in evidenza che il modello lineare proposto non deve essere inteso in alcun modo come una sorta di segmentazione materiale, a dispetto delle proteste già formulate in proposito, ma appunto come un metodo di riformulazione arbitraria di tipo metalinguistico, eseguibile - in base ad assunzioni analitiche e non sintetiche - ad
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un livello diverso o ulteriore rispetto a quello dell'oggetto analizzato, mentre il modello grafico-lineare avrebbe ancora potuto indurre erroneamente nell'idea che qui si sia pro posta senza saper-lo, una sorta di vivisezione degli oggetti ar chitettonici concreti. Posto che si possa riformulare la tra scrizione grafico-lineare in trascrizione matematico-analitica, gli elementi con cui avremo a che fare non potranno più essere considerati in alcun modo come « parti » di oggetti concreti, ma piuttosto come componenti formali di essi. La possibilità di costruire un modello analitico-matematico con tribuisce inoltre a mettere ulteriormente in evidenza il ca rattere di continuità di ciascun elemento (esibito dagli ele menti-funzioni, costruiti per ipotesi come continui). Si operi con l'uno o con l'altro modello, è da ·sottoli
neare comunque che un'analisi del genere richiede non· tanto la determinazione degli elementi mediante rappresentazioni, sufficienteme,ite approssimate, delle curve che descrivono l'andamento figurativo della pianta, quanto la loro determina zione mediante rappresentazioni opportunamente approssi mate (« opportunamente », non semplicemente da un punto
di vista grafico o matematico-analitico, ma propriamente se miotico) in forma di curve o funzioni abbastanza semplici (eventualmente una coppia di curve o di funzioni che rap presentino, superiormente e inferiormente, i confini di un in sieme di curve, legate tra loro da una qualche regola, cui appartenga anche la curva o le curve date); rispetto alle quali
curve o funzioni la curva o le curve date fungano da varianti ,-ispetto ad una classe-invariante. Lo scopo, insomma, è di
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costruire - come in qualsiasi operazione di modellizza zione - un sistema di « campi di varianti » 13, determinati in modo adeguato rispetto al tipo di analisi che intendiamo condurre (se p.e. ci interessa studiare il linguaggio archi tettonico di un'epoca, di un gruppo di architetti legati ad una poetica comune, di un artista singolo, di un momento di un artista singolo, o addirittura di una singola opera, oppure - al contrario - di un insieme di opere, pur dislocate variamente nel tempo, che presentino sotto un certo profilo, e quindi secondo una considerazione
sincronica, aspetti comuni), e tale da costituire quel sistema di invarianti, rispetto ai quali tutti gli esempi classificabili in ciascun campo non siano che le loro realizzazioni concrete (o, meglio, le rappresentazioni di tali realizzazioni, come tale richiedenti anche qualcosa di materiale o sostanziale, analiz zabile a sua volta in funzione di altri tipi di modelli) 1•. Osservazioni teoriche generali. Il criterio della competenza e il procedimento analitico per specificazione.
Appare quindi evidente che, per poter costruire un mo dello del genere, non è pensabile che si possa procedere con criteri puramente grafici o matematico-analitici. O meglio: anche se ciò è possibile, niente ci assicura che un modello così costruito, e che potrà essere caratterizzato ad arbitrio da un alto grado di semplicità e di rigore (nella determina zione degli elementi e delle loro correlazioni, delle regole costitutive dei campi di varianti, deHe leggi di combinazione sintagmatica), sia poi anche di fatto applicabile. L'istanza dell'applicabilità, che non può essere ovviamente negata in favore di un'arbitrarietà tanto splendida quanto inutile 15, costringe a rinunciare - almeno sotto un certo profilo ad una parte di bellezza formale; il che, però, costituisce anche una garanzia contro il timore che un'analisi del ge nere sia non pertinente semioticamente, così come sarebbe non pertinente un'analisi chimica o fisica dei materiali che realizzino di fatto le forme analizzate. È cioè necessario fis sare, al di fuori di una considerazione puramente geometrica o matematica, i criteri di pertinenza degli elementi discreti costituenti il modello adottato, e in funzione dei quali un fascio di realizzazioni concrete (o le loro rappresentazioni) viene effettivamente percepito come un insieme di varianti ri spetto ad un'invariante formale. Al livello minimo, di perce zione in senso stretto, un tale criterio sarà fornito dall'eser cizio stesso della percezione, dalle sue leggi immanenti (og getto di studio da parte di una branca specializzata della psicologia): in altre parole, dalla competenza del percettore. A livelli ulteriori, tale « competenza» (termine che qui usiamo
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in senso non molto remoto da quello chomskyano) si compli
cherà via via, in riferimento alle altre strutture psichiche im plicate, nonché con apporti di gusto, conoscenze storiografi che, esigenze analitiche specifiche, le quali sembra che deb bano anche reagire sul livello della percezione e modificare la configurazione legale; cosicché, ciò che a livello di percezione
può essere colto come distinto in modo pertinente (secondo invarianti) può essere anche colto, variando i parametri psi chici e storici, come mera variante di una diversa o sempli cemente più generica invariante (il che tenderà probabil mente ad attenuare o a complicare anche la forza dell'inva riante percettiva).
Non si tratta con ciò di rinunciare alle pretese di scien tificità di un'analisi semiotica, ma semplicemente di anco rarle �[l'unica base solida attendibile, cioè alla comunicazione stessa, dove sono in gioco messaggi, mittenti, destinatari, co
dici, nonché strutture psichiche analizzabili a diversi livelli e condizioni storiche variamente modellizzabili, e non segni isolabili, in quanto segni o cose, dal contesto comunicativo.
Il ricorso alla competenza non costituisce affatto in linea di principio, un esito soggettivistico, relativistico e meramente empirico, anche se non si può pretendere nel nostro caso
che la nozione di competenza possa essere esibita in strutture universali non genericamente identificabili e che i diversi li velli di realizzazione di tale competenza possano essere ri gorosamente determinati mediante definite operazioni di tra sformazione. Probabilmente un compito del genere, almeno al di fuori di certi oggetti di indagine, più che difficilmente eseguibile è addirittura impossibile: e anche per questo ab bamo parlato non solo di strutture psichiche ma anche di condizioni storiche. Ammesso che sia possibile (come sem
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bra) costruire modelli molto generali, addirittura non ulte riormente generalizzabili, e applicabili quindi a una grandis sima varietà di oggetti, i diversi modelli particolari saranno ottenibili non mediante operazioni di trasformazione secondo ,-egole, ma mediante operazioni di specificazione secondo pro cedimenti costruttivi, tali che i modelli via via specificati risultino adeguati a certi insiemi, più ristretti, di oggetti, pur
continuando ad essere modelli analitici ( costruiti arbitraria mente a priori) e non semplicemente insiemi disorganici di dati empirici. In questo senso la ridotta cogenza dell'appli
cabilità di tali modelli (la possibilità, di fatto, di violame fa cilmente le condizioni, in riferimento a modelli diversamente specificati), nonché l'incidenza del fattore «storicità» (che ha dato luogo talvolta, con il cosiddetto storicismo, ad una rinuncia alla modellizzazione in favore di una mitica «indi vidualità» del fatto storico), sembra che si esprimano co munque in termini analitici e correttamente «scientifici». È necessario soffermarci un momento su questo punto, convinti che la questione comporterebbe un riesame ben altri menti approfondito di ciò che si dice essere «metodo scien tifico »: col che si riaprirebbe un discorso epistemologico ge nerale, qui fuor di luogo. Ci accontenteremo di alcune osser vazioni non sistematiche, ma - crediamo - abbastanza ri levanti. Cominceremo così con l'osservare che il procedi
mento costruttivo per operazioni di specificazione sembra es sere comune, forse più di quanto non si creda generalmente, a moltissime discipline scientifiche. P .e. ciò che comunemente
si chiama «ipotesi di lavoro» si può considerare come una specificazione di un modello formale esplicativo più gene rale (esplicito o implicito, secondo che l'ipotesi abbia fun zione di sviluppo e ulteriore determinazione conoscitiva o abbia invece funzione e carattere innovativi), nella quale ipo tesi si riuniscono parimenti i due caratteri dell'arbitrarietà e dell'adeguatezza (quest'ultima da verificare) propri in modo evidente della teoria generale da cui ipotesi e modelli di pendono 16. Nell'ambito di una teoria semiotica generale, quale è quella descritta nei suoi preliminari da Hjelmslev, sembra
poi che quel tipo di operazione sia dominante e caratteriz zante.
Non solo, infatti, Hjelmslev fornisce una teoria genera lissima (una «meta-teoria», come è stato detto) 17, specifi cabile in « severa! linguistic theories» 18, tra le quali si dovrà scegliere in base al cosiddetto «empkical principle» 19; ma la stessa teoria generalissima viene concepita come un «pro cesso», o un « sistema» (secondo il punto di vista), organiz-
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zato secondo la funzione di « determinazione» (« selezione» o « specificazione», in stretto senso tecnico hjelmslevia,no, secondo che sia riferita alla teoria come processo o come si stema): « The function between the definitions [della teoria] are determinations, since the definitions designed to be placed early in the process (or system) of definitions are presup posed by those designed to follow later, but not vice versa» 20• Si dà cioè un rapporto da costante a variabile, e poiché non c'è passaggio necessario dalla prima alla seconda (ma solo dalla seconda alla prima), il passaggio non avrà la forma tra dizionale della inferenza logica o della dimostrazione mate matica (se è vero che esse costituiscono davvero, in tutti i sensi, delle tautologie), ma piuttosto quella della specifica zione (nel senso da noi usato), vale a dire deMa introduzione progressiva e sistematica di restrizioni ulteriori rispetto alle definizioni anteriori (cioè rispetto ad un modello iniziale più generale): ulteriori e quindi non deducibili da quest'ultime. È come se, paradossalmente, in sede di teoria geome trica, si introducessero via via, ad ogni teorema, nuovi « con cetti primitivi» e nuovi « assiomi», cui si richieda semplice mente di non essere contraddittori rispetto a concetti e as siomi già introdotti. Cioè, nella teoria hjelmsleviana, non si incontrano propriamente teoremi, ma sempre nuove posizioni costruttive legate tra loro da un rapporto di determinazione ( o di specificazione, nel senso hjelmsleviano e anche nel senso assegnato a questo termine nelle nostre pagine). Per convincersene, basta studiare con attenzione l'elenco delle definizioni aggiunto all'edizione inglese dei Prolegomena da Whitfìeld e che ci restituisce l'intera teoria generalissima in forma contratta e formale (senza gli esempi e le discus sioni più particolari che costituiscono, d'altra parte, ulteriori specificazioni episodiche della teoria stessa): il che sarebbe manifestamente impossibile con una teoria organizzata se condo teoremi sulla base di un insieme di definizioni fornite all'inizio 21• Ora, sembrerebbe per la verità del tutto assurdo definire scientifiche soltanto quelle ricerche il cui metodo sia di tipo 20 formale-deduttivo in stretto senso logico-matematico; né, d'al-
tra parte, sembrerebbe corretto distinguere nelle scienze, il cui metodo sia di tipo costruttivo, tra quelle che siano in grado di scoprire nessi, tra gli oggetti, caratterizzati da un'al tissima regolarità e quelle invece che debbano accontentarsi di una regolarità più generale ( più generica) e più debole. In quest'ultimo caso, dove una scienza comincerebbe o finirebbe di essere propriamente una scienza? rispetto a quale insieme di fenomeni? a quale livello di generalità? Tutte queste que stioni sono ovviamente di carattere pratico e materiale, ma non toccano comunque lo statuto formale della scienza in quanto essa possiede comunque i caratteri dell'arbitrarietà e dell'adeguatezza. Semmai, si potrà porre una domanda d'or dine economico sulla opportunità di costruire un apparato teorico e applicativo in relazione alla consistenza dei risul tati effettivi raggiungibili, se cioè si tratti in certi casi sol tanto di un modo diverso di formulare un discorso già quasi compiuto al livello della consapevolezza non-scientifica o se invece il nuovo tipo di formulazione permetta di raggiun gere risultati considerevolmente diversi, oltre che in modo più rigoroso, eventualmente più rapido, e cosl via. Ma una domanda del genere non può essere posta seriamente prima che ci si sia inoltrati abbastanza a fondo in un dato campo di indagini; mentre, d'altra parte, lo stesso metodo costrut tivo ha dato già risultati notevoli in campi d'indagine una volta considerati dominio dell'intuizione, della classificazione empirica o della riflessione puramente filosofica ( quali, arr punto, i campi del linguaggio, della semiosi in generale, della poesia, dei fenomeni psicologici, culturali e sociali, ecc.), Il procedimento per specificazione non può contare dunque su regole di trasformazione: in questo senso, e solo in questo senso, si può dire che in certi casi si ha una perdita di forza scienti.fica; così come in altri casi si può dire che tale perdita è aumentata dal fatto che, in particolare, i modelli costruibili sono troppo deboli o generici. Tuttavia una qualche perdita di forza scientifica, posto che di perdita si debba parlare, è in questi casi del tutto pertinente agli oggetti con siderati; e non può essere certo un compito della ricerca scientifica quello di costruire leggi universali e di raggiungere 21
la certezza e il consenso anche laddove è caratteristico un certo grado di incertezza e di dissenso. Il che vuol dire in sostanza che un certo modello specificato e abbastanza ge nerale (p.e., nel caso dell'architettura e oggetti analoghi, un modello geometrico del tipo già esemplificato) imporrà le sue condizioni di invarianza nei riguardi di certi oggetti e non di altri; ma non esclude che, oltre a valere come modello in un certo ambito, esso non rinvii ad elementi e a relazioni di invarianza (p.e. le relazioni sintagmatiche già esemplificate) ancora più generali, che già giustificano l'adozione di un punto di vista analitico, in contrapposizione al vecchio punto di vista normativo e alla sua complementare negazione di tipo meramente storicistico, intuizionistico e - in defini tiva - creazionistico. Ora, tutto ciò non è possibile senza di sporre di una teoria generale, anche soltanto in abbozzo e in via di formazione, che consenta di elaborare un metodo adeguato il cui scopo è di costruire e di collocare negli op portuni punti strategici dei filtri analitici, la cui funzione è
non certo di negare semplicisticamente storicità e creatività, ma - evitando di assumerle come categorie esplicative (il
che più che un errore rappresenterebbe un lavoro inutile e una breccia di deflusso disordinato per ogni sorta di modelli e criteri, spacciati per aderenza ai fatti e per intuizione ge nuina) - di modellizzare storicità e creatività nel loro effet tivo manifestarsi e strutturarsi. Inoltre, seppure non si può parlare di regole di trasformazione, sembra però che si possa ammettere la possibilità di determinare, in sede di teoria ap
plicativa, cioè di teoria specificata in vista della sua applica zione, una opportuna procedura di specificazione, una regola costruttiva, tale che l'approccio analitico non serva semplice mente a nascondere il ricorso all'empirismo e al mero inven tario. Una tale regola costruttiva, infatti, non costituirebbe
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altro che la condizione formale a priori per la costruibilità · di un modello, dalla sua massima generalità alle sue tante (virtualmente infinite) specificazioni, e insieme la condizione perché il criterio della competenza possa esercitarsi in modo non rapsodico e intuitivo. Cosi, molte delle possibilità concepibili in sede propriamente teorica potrebbero non essere
utilizzate di fatto in rapporto ad una competenza reale, ma non perciò dovrebbero essere riecessariamente considerate inapplicabili: poiché niente esclude che esse possano diven tare, quando che sia, possibilità esplicative di oggetti reali. La regola costruttiva, in altre parole, rappresenterebbe una condizione molto generale di competenza e la competenza cui di volta in volta facciamo appello una sua specificazione op portuna ( adeguata ai fatti da spiegare). Si avrebbe così una sorta di procedimento intermedio tra « procedimento generativo » e « procedimento tassonomico » e la costruzione di un modello intermedio tra « struttura» e « quasi-struttura», né propriamente «statico» né propria mente « dinamico » - nel senso in cui tali termini sono usati dallo Saumjan 22• Dello stesso autore, inoltre, ci sem brano estremamente produttivi ai nostri fini, e proprio perché abbiamo a che fare con qualcosa di cui non si può e non si deve presupporre una regolarità molto elevata, il riconosci mento di una componente di « irrazionalità» nello stesso lin guaggio verbale e la conseguente distinzione tra modello « genotipico» e modello « fenotipico» 23• Il modello costrut tivo, qui soltanto enunciato, sembra in verità rispondere alla stessa duplice esigenza: esso è propriamente gena-fenotipico, nel senso che a livelli di grande generalità è molto astratto, regolarizzante, ma appunto come un modello « profondo », e a livello di maggiore specificazione, in quanto vengono escluse certe specificazioni e accolte altre in vista di un'applicazione a oggetti dati, mette in evidenza anche certe caratteristiche apparentemente « irrazionali ». Che sono però irrazionali solo in quanto il determinato modello venga assunto nel suo iso lamento, e non sono più tali se tale modello viene ricollegato con tutti gli altri possibili modelli altrettanto o meno speci ficati secondo una regola costruttiva. La continuità variazionale nell'architettura, e le invarianti dinamiche. Torniamo ora alle nostre esemplificazioni pratico-teoriche, al fine di chiarire - se è possibile - un ulteriore aspetto
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importante del problema posto dal carattere di continuità di taluni linguaggi non-verbali, nell'esempio qui scelto il lin guaggio architettonico e ciò che chiamiamo linguaggio ar chitettonico. In realtà, finora abbiamo semplicemente aggi rato (correttamente, ci auguriamo) la difficoltà o la presunta difficoltà, riportando anche i cosiddetti linguaggi continui al caso generale dei linguaggi analizzabili mediante modelli co stituiti da elementi discreti, come appunto esemplarmente accade in relazione al linguaggio verbale. Le invarianti cui ci siamo riferiti finora, pur non essendo elementi o pseudo elementi materiali e complessi, sono state determinate se condo criteri classificatori e latamente tipologici, del tipo - diciamo così, per semplicità - «concavo», «convesso», ecc., analoghi (pur nella loro appartenenza ad uno specifico modello) agli elementi tradizionali tipologici come «colonna» « architrave », ecc. o anche (sempre dedotte le caratterizza zioni specifiche dei vari modelli chiamati in causa) ai fonemi /a/, /b/, ecc. Sennonché si deve tener conto anche di un altro tipo di continuità, anch'esso pertinente a livello di mo dello e non semplicemente di messaggio, ma non più esplici tabile soltanto nella caratterizzazione formale di ciascun in variante preso a sé, e in quanto riformulato mediante sim boli opportuni. Questo espediente di rifommlazione è stato utilizzato infine per mostrare che il carattere di continuità, pur pertinente a livello di codice, non è affatto un ostacolo insormontabile ai fini della costruzione di modelli adeguati mediante procedimenti tradizionali. Tale ulteriore aspetto del carattere di continuità, in qualche modo ancora più intrinseco al modello e tuttavia pa- . rimenti esplicitabile e discretizzabile, può essere individuato - da un altro punto di vista - nello speciale rapporto va riazionale che può legare tra loro le varianti di uno o più campi di varianti o anche una parte di esse (essendo, tali va rianti in rapporto variazionale, opportunamente determinate e scelte). In altre parole: la continuità come variazione. Si tratta cioè di considerare la possibilità di costruire, oltre a modelli costituiti da « campi di varianti », che denomineremo 24. « invarianti statiche ,., anche modelli costituiti da « campi di
variazioni », che denomineremo « invarianti dinamiche». Ab biamo lascialo indetenninato il rapporto tra le une e le altre in quanto esse appartengono rispettivamente a modelli di versi, ma ciò non esclude affatto che sia possibile interrelare tali modelli e determinare, tra le varie interrelazioni possi bili, quel tipo di rapporto che risulti più adeguato alle esi genze dell'analisi. In generale, tuttavia, poiché infine ci tro viamo di fronte a due tipi di classificazione applicabili agli stessi oggetti, sembra che i rapporti tra invarianti statiche e invarianti dinamiche possano essere di cinque specie: di « so vrapposizione completa isomorfi.ca » (una o più invarianti di namiche date si sovrappongono completamente e isomorfica mente ad uno stesso numero di invarianti statiche date), di « sovrapposizione completa non isomorfi.ca» (una o più in varianti dinamiche date si sovrappongono completamente ma non isomorficamente - escluso, perciò, il caso della sovrap posizione completa di una sola invariante statica con una sola invariante dinamica - ad una o più invarianti statiche date), di « sovrapposizione non completa» o di intersezione (una o più invarianti dinamiche date e una o più invarianti statiche date si sovrappongono parzialmente), di « inclu sione» o di contenimento (una o più invarianti dinamiche date contengono « in modo proprio» - escluso cioè il caso della sovrapposizione completa - una o più invarianti sta tiche date, e viceversa), di « esclusione» o di disgiunzione (una o più invarianti dinamiche date non si sovrappongono né con una né con più invarianti statiche date). Queste fondamentali modalità di interrelazione, che ab biamo qui elencato senza tener conto direttamente della loro applicabilità, sembra che possano fornire - in certi casi e a certe condizioni, da specificare ulteriormente - le caratte ristiche formali di modelli complessi (modelli interrelati o codici) in quanto appunto applicabili nell'analisi di oggetti dati. Non osiamo precisare questa nostra opinione, che ri chiederebbe una non facile ricerca a sé, e ci accontentiamo di suggerire p.e. la possibile pertinenza del rapporto di so vrapposizione completa isomorfica rispetto all'architettura di orientamento classicistico (p.e. !'emblematicamente già citato 25
Brunelleschi) o del rapporto di sovrapposizione non completa rispetto a taluni casi non banali di incontro tra barocco e clas scismo (pensiamo non tanto al Bernini, ma p.e. a Pietro da Cortona, nel suo incrociare il « classicismo » del Palladio e le modulazioni borrominiane). Ma, ripetiamo, si accolgano que ste indicazioni come semplici suggestioni, ancora largamente intuitive. Per chiarire con un'analogia, del resto abbastanza cal zante, le ragioni che ci hanno indotto a introdurre la nozione di invariante dinamica (o variazionale, o formativa e struttu rante), proponiamo di pensare a11a distinzione e al rapporto che intercorre, nel caso del linguaggio verbale, tra invarianti fonematiche e invarianti intonazionali o emozionali 24• Ci ri feriamo in particolare alle invarianti intonazionali secondo la quantità (essendo possibili, ovviamente, anche altri tipi di in varianti intonazionali, secondo l'altezza, il volume, la gran dezza, ecc.). Allorché il linguista si occupa propriamente di invarianti fonematiche, le differenze quantitative tra varianti vengono ignorate (per definizione); tali differenze - da un altro punto di vista - possono diventare pertinenti proprio ai fini della individuazione di invarianti di diverso tipo, di namiche o variazionali (e, in questo caso, l'interrelazione ti pica dei due modelli, esclusi i fenomeni intonazionali non lin guistici, è di sovrapposizione completa non isomorfi.ca). Il metodo consueto di cifrazione, giustificato dalla sua como dità di impiego rispetto a certi scopi analitici ed esemplifica bile nella correlazione o quasi-correlazione: /x/, /x: /, dove viene notata esplicitamente e schematicamente soltanto la opposizione o differenza tra « breve » e « lunga », cioè nello stesso tempo e ambiguamente tra assenza e presenza di pro lungamento intonazionale (correlazione in senso proprio) e tra i due estremi di una stessa unità variazionale, tale metodo consueto - dicevamo - può far pensare ad una discretizza zione del tutto analoga a quella fonematica, priva cioè della capacità di cogliere a livello di modello la continuità pro pria del carattere variazionale del fenomeno dell'intonazione secondo la quantità. Ma si può pensare anche ad una cifra26 zione diversa o più esplicita, p.e. (ma si tratta di un esempio
ancora imperfetto, che adoperiamo solo perché è utile in questa sede conservare ed estendere i simboli consueti) del tipo seguente: /x*/ I [lx/, /x:/, /x::/, /x:::/,... ] laddove /x*I sta semplicemente per assenza di prolungamento e /xl per estremo inferiore dell'unità variazionale continua indi cata in parentesi quadra a destra del simbolo di correlazione. Questo tipo di cifrazione, per quanto ancora approssimativo a causa della discretizzazione incongrua della continuità va riazionale dell'unità 25, esemplifica comunque abbastanza chia ramente il pertinente carattere di continuità che si stabilisce tra le varianti-variazioni di una medesima invariante. L'inva riante è ancora tale, cioè essa viene definita tale in quanto classe (o campo, come abbiamo preferito dire in queste pa gine) di varianti, ma tali varianti - se possono essere con siderate anche semplicemente come varianti di un'invariante statica, laddove ci interessi stabilire soltanto l'opposizione e correlazione tra assenza e presenza di prolungamento into nazionale - possono contrarre tra loro un ulteriore rapporto, un rapporto variazionale, tale che anche la loro differenza di namica e non soltanto la loro identità statica contribuisca alla definizione specifica dell'invariante in questione. Non si tratta, anche in sede di linguistica in senso stretto, di una complica zione teorica senza alcuna conseguenza semiotica: non c'è dubbio che le differene intonazionali quantitative (forse con giuntamente a differenze intonazionali d'altro tipo e, certo, anche all'ovvia influenza del contesto) costituiscono condi zioni differenziatrici importanti della capacità (formale) si gnificativa e comunicativa dell'invariante di cui sono varianti variazioni. Si pensi ad una laconica risposta, « sì », realiz zata secondo variazioni intonazionali quantitative diverse: espressione (sostanziale), volta a volta, p.e. di sicurezza (/i/), di rispetto (/i:/), di incertezza (li::/), di insofferenza (/i:::/), ecc. Nel caso dell'architettura le cose non stanno esattamente così, come è ovvio. Le osservazioni fatte a proposito del lin guaggio verbale avevano, come si era già precisato, un valore soltanto analogico. E, tuttavia, una qualche somiglianza c'è, e potrebbe essere rilevata a molti livelli. In molti casi, p.e., 21
le differenze tra varianti di uno stesso campo invariantivo ( ci muoviamo quindi nel caso di un rapporto di sovrapposi zione completa e isomorfica) possono essere considerate se condarie, ma non certo inesistenti da ogni punto di vista, ri spetto all'invariante: cioè (v. l'esempio del troppo citato« tem pio greco » nella sua forma dorica) il riferimento ad un mo dello costituito da invarianti statiche sembra primario ri spetto al riferimento ad un modello costituito da invarianti dinamiche (che, sempre a proposito di tempio greco, ci da rebbe conto delle connotazioni, per così dire, « intonazio nali » di sotto-gruppi di templi dorici o di un singolo tempio, differenzialmente rispetto ad altri sotto-gruppi o altri templi). Ma in altri casi le differenze variazionali possono divenire primarie rispetto al fatto che le variazioni registrabili possano anche essere attribuite, da un punto di vista statico e cioè come semplici varianti, a uno o più campi di varianti: cioè (v. l'esempio del colonnato dorico del Parco Glieli di A. Gaudì) il riferimento ad un modello costituito da invarianti dina miche (semplificando alquanto, in questa sede, le complesse questioni interpretative, diacroniche e sincroniche, connesse all'esempio fatto) sembra primario rispetto al riferimento ad uno o più modelli costituiti da invarianti statiche (che ci darebbero conto, da una parte, di una generica legalità sta tica « art nouveau » o « modernismo catalano » e, dall'altra, di una legalità ellenico-dorica e neo-ellenica, ancora più de bole e intenzionalmente tenuta in sordina, mediante il pro cedimento di una sistematica e violenta « deformazione »). Con la nozione di invariante dinamica, dunque, non ab biamo voluto introdurre semplicemente la considerazione di aspetti in qualche modo più superficiali, puramente aggiuntivi e facilmente deducibili in favore di una esclusiva e primaria considerazione strutturale, di tipo statico, quasi che questa debba essere di necessità statica e non dinamica. Al contra rio, proprio i modelli di tipo dinamico, come abbiamo detto, possono essere strutturalmente primari: essi non hanno, cioè, quel carattere « soprasegmentale ,. che i linguisti attri buiscono, con terminologia almeno ambigua, ai tratti intonazionali. Perciò abbiamo definito l'invariante dinamica anche 28
come invariante « formativa» o « strutturante », in opposi zione all'invariante statica che potrebbe anche essere denomi nata correlativamente come invariante « classificatoria» o « tipologica» (in senso lato). In realtà sono proprio i mo delli di quel tipo, perfino quando essi svolgono un ruolo se condario o connotante, a farci intendere meglio, con mag giore adeguatezza, gli aspetti più delicati e più sfuggenti del fenomeno architettonico, diciamo pure: la sua interna crea tività, almeno quando abbiamo a che fare con fenomeni molto circostanziati, al limite con singole opere architettoni che. Tali modelli di tipo dinamico sono poi del tutto indi
spensabili ( comunque essi debbano essere costruiti), quando abbiamo a che fare con quelle opere d'architettura o di qua lunque altro genere che la critica e la storiografia artistica ama definire « organiche ». Infatti, se l'organicità non è sem plicemente un mistero, una vuota analogia tratta dalla sfera biologica, essa deve essere intesa o in termini di equivalenze statiche (è p.e. l'organicità geometrica e razionale dell'archi tettura « a pianta centrale » di taluni edifici romano-impe riali o rinascimentali) o in termini di impiego sistematico di unità variazionali. Quest'ultimo è il caso, per tornare ancora una volta a Gaudì, della casa Milà o, soprattutto, della cap pella di S. Coloma di Cervellò, dove addirittura sembra che sia in gioco un'unica e assai complessa unità variazionale, in correlazione con la quale c'è - per così dire - l'assenza d'architettura (o tutta la tradizione architettonica in quanto negata). Non si tratta di reintrodurre con ciò l'irrepetibilità e inanalizzabilità creativa sotto le apparenze della modelliz zazione, ma anzi di mostrare come perfino nei casi estremi e più riottosi si possa parlare di « struttura », di « organicità », di « creatività », ecc., solo a patto di introdurre adeguate ipo tesi analitiche. Quante siano le unità in gioco nella cappella di Gaudì (una, dodici o duemila) qui non sappiamo dire, né ci importa stabilirlo: una questione del genere può essere affrontata seriamente, nei limiti in cui le nostre proposte siano effettivamente traducibili sul piano operativo, solo in sede di costruzione sistematica di una teoria applicativa: il che non rientra né nelle nostre attuali possibilità, né infine
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nei nostri interessi. Importa stabilire piuttosto che, nei li miti in cui l'organicità dell'opera di Gaudì o di altri non è analizzabile adeguatamente in termini di invarianti statiche, essa deve però essere analizzabile in termini di invarianti di namiche. Le «forme» di Gaudì non sono semplicemente in venzioni soggettive ed estemporanee 26, ma rispondono ad un piano formativo preciso e precisabile, sono - ciascuna una variante-variazione di una o più invarianti. Guardando soprattutto a questa loro applicazione (che non è l'unica, come si è già accennato), le abbiamo dette formative o strut turanti, in quanto la loro scelta - con le possibilità di varia.; zioni che essa comporta - si pone come il principio for mativo o strutturante dell'opera.
1 Utilizziamo liberamente le note distinzioni jakobsoniane. Si tenga presente inoltre che, in questi rapidi suggerimenti, meritevoli a nostro avviso di qualche approfondimento, non si istituisce affatto un criterio per una classificazione di procedimenti metaforici e metonimici con creti. Come lo stesso Jakobson ha ribadito recentemente, i due proce dimenti sono complementari e, nell'applicazione, si troveranno sempre congiunti insieme, essendo in questione piuttosto la prevalenza dell'uno o dell'altro entro gerarchle in genere abbastanza complesse. P.e., una significazione di tipo metonimico applicabile ad un oggetto secondo la sua tipologia in senso stretto è anche una significazione di tipo meta forico nella misura in cui un certo rapporto di contiguità inevitabil mente si istituzionalizza e acquista valenze metaforiche. In alcuni casi, un tipo originariamente metonimico può promuovere al rango di pro cedimento dominante la sua componente metaforica. Lo stesso discorso vale naturalmente nei casi opposti. 2 Ci riferiamo alle componenti barthiane di talune ricerche di DE Fusco, Architettura come mass medium, Dedalo, Bari, 1967; ma lo stesso Barthes si è occupato, con il metodo degli equivalenti verbali, di urba nistica (Semiologia ed urbanistica, in « Op. cit. "• 10, 1967). Manca, in questo tipo di semiologia, la consapevolezza di una distinzione tra « ri formulazione per omogeneità » e « riformulazione per eterogeneità». Quest'ultima non sembra supporre semplicemente uno scarto di livello tra linguaggi0-0ggetto e metalinguaggio, ma anche il costituirsi di uno strato più profondo rispetto al linguaggio non-verbale e tale che possa porsi come omogeneo, per un verso, rispetto a tale linguaggio non verbale e, per altro verso, rispetto al metalinguaggio verbale. In ogni caso, non sembra accettabile l'immediata identificazione p.e. del « lin guaggio architettonico • come « linguaggio-oggetto » rispetto ad un « m� talinguaggio verbale», neppure dal più smaliziato punto di vista di un Greimas, che stabilisce tale relazione immediata di livelli eterogenei nel caso della pittura (cfr. Sémantique structurale, Larousse, Paris 1966, pp. 12-15). 3 Cfr. N. L. PRAK, The Langi,age of Architecture, Mouton, The Ha30 gue, pp. 11-13.
4 Cfr. p.e. Saper vedere /'architettura, Einaudi, Torino 1949, in part. cap. II. (« La pittura agisce su due dimensioni, anche se può sugge rirne tre o quattro. La scultura agisce su tre dimensioni, ma l'uomo ne resta all'esterno, separato, guarda al di fuori le tre dimensioni. L'ar chitettura invece è come una grande scultura scavata nel cui interno l'uomo penetra e cammina•, p. 21). s Significanti e significati della Rotonda palladiana, in «Op. cit. », 16, 1969, pp. 6 sgg. (« Questa interpretazione semiologica dell'architet tura conferma la tesi di Zevi • e insieme « la corregge o meglio le con ferisce un senso nuovo, introducendo appunto il fattore relativo alla significazione. Infatti, identificato con il significato, l'interno architet tonico perde la sua obbligatoria consistenza meramente materiale, non è più un vuoto necessariamente praticabile o abitabile»). 6 Pur nel progressivo affinamento dei mezzi, in un primo tempo « superficialmente trasposti direttamente dalla pittura allo spazio frui bile», il Bramante - come scrive A. Bruschi - mira sempre a fondere « il dato illusionistico [ ... ] con l'architettura costruita•· « Realtà e il lusione sono una cosa sola• (A.B., Bramante architetto, Laterza, Bari, 1969, p. 206). 1 Art. cit., pp. 11-12, 17, 22. In particolare, se la nostra osserva zione è vera, viene meno ogni base di definizione per poter parlare, come il De Fusco fa, di «triplice articolazione • del linguaggio archi tettonico. s È qui in gioco chiaramente il ,problema della costruzione di un metalinguaggio per omogeneità (v. supra, nota 2). Notevole, per la co struzione di un metalinguaggio per omogeneità (quindi un metalin guaggio non-verbale) nel caso dell'architettura, l'apporto di B. Zevi: ma v. la originale riformulazione di tale questione (e relativa biblio grafia) in M. TAFURI, Teoria e storia dell'arcliitettura, Laterza, Bari 1968, cap. III. 9 Proprio perché non è in gioco la linearità, né molte altre condi zioni formali ,proprie del linguaggio verbale, usiamo qui il termine « sintattico• in accezione del tutto diversa da quella tradizionale. Non si tratta di un proposta terminologica, dal momento che è opportuno non moltiplicare le omonimie tra campi contigui di indagine, ma sem plicemente di un adattamento provvisorio, preferibile nel nostro caso ad una vera e propria proposta nella misura in cui non si dispone an cora di una teoria sufficientemente sviluppata. Meglio un'omonimia che una proliferazione affrettata di termini, di cui non sia ancora certa la necessità. 10 e chiaro che qui non è in questione un qualche giudizio di va lore negativo su opere caratterizzate da una relazione paratattica do minante, come talune recenti posizioni anti-razionaliste e anti-funzio naliste, con relativa rivendicazione dell'« organicità•, dello e stile», e così via, potrebbero suggerire. Le ragioni di tali polemiche, e connessi recuperi stilistici, sono da studiare a tutt'altri livelli, né qui ci inte ressa stabilire se e in che senso esse siano da condividere o no. Resta il fatto che, da un punto di vista analitico, non ha senso stabilire una qualche connessione immediata (normativa) tra valore e dominanza di un tipo di relazione. Anzi, la prospettiva analitica, nella misura in cui permette di stabilire semplicemente quale tipo di relazione sia domi nante, può contribuire a rimuovere taluni pregiudizi e avviare ad una discussione più articolata anche delle questioni di valore. Il D. Frey e E. Hempel riferirono alla genesi del S. Carlino una serie di disegni borrominiani dell'Albertina di Vienna, che avrebbero consentito di documentare su-aordinariamente bene le varie fasi della fondamentale vocazione «sintattica• del Borromini. P. Portoghesi ri-
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tiene però di dover escludere tale riferimento e propone, a titolo di semplice ipotesi, una sorta di genesi per anamorfosi dallo schema spaziale del S. Pietro michelangiolesco (P.P., Borromini nella cultura europea, Officina Edizioni, Roma 1964, pp. 38-39, tavv. A-E). u La discussione di un modello geometrico per l'architettura, nella sua costruibilità grafica o matematico-analitica, era stata svolta con temporaneamente e indipendentemente, sia ,pure con intenti del tutto diversi, da U. Eco, La struttura assente, Bornpian, Milano 1968, pp. 21 sgg., e da chi scrive nelle primissime elaborazioni di queste tesi. 13 Si intende che tale determinazione delle invarianti come campi di varianti (così come in generale tutte le nozioni teoriche delineate in questo articolo sull'occasione di esempi quasi operativi) non è spe cifica di un determinato modello, p.e. quello grafico qui esemplificato. L'abbiamo introdotta in relazione a tale modello solo perché esso si presta ad una esemplificazione chiara e immediata. Precisiamo inoltre che usiamo qui il termine di «campo», in luogo di quello più corretto di «classe,. o di «insieme», per non conferire un eccesso di apparente rigore ad una proposta ancora tecrùcamente in determinata (p.e. in relazione alla condizione esposta poco sopra: « le gate tra loro da una qualche regola»). H Vorremmo far notare di sfuggita che questa formulazione non fa altro che riproporre, su un piano di più forti esigenze sincroniche e for mali, la geniale intuizione del Wolffiin, di cui v. , oltre i noti, fonda mentali scritti teorici, Renaissance und Barock, S• ed., Basel-Stuttgart 1961 (tr. it., Vallecchi, Firenze 1928, cfr. in part. gli schemi alle pp. 55, 71). Si tenga conto però anche di ciò che si è detto prima a proposito di un possibile modello tipologico e dell'analisi per equivalenti verbali, e si vedrà allora quanto poco l'intuizione wolffliniana sia inconciliabile con la posizione, apparentemente e dichiaratamente polemica, di un Panofsky, che propone appunto un modello «iconologico• (insieme tipologico, per equivalenti verbali, simbolico, ecc.). Si vedano in parti colare le osservazioni critiche rivolte ad un metodo puramente formale (con esplicito riferimento al Wolfflin) di 211111 Problem der Beschreibung und Inhaltsdeutung von Werken der bildenden Kunst, in «Logos », XXI, 1932 (tr. it. in E. P., La prospettiva come «forma simbolica» e altri scritti, Feltrinelli, Milano 1961, p. 216: «Una descrizione che fosse davvero puramente formale non potrebbe nemmeno usare espressioni come e sasso», e uomo• o "rocce,. [ ... ] »). Ma l'integrazione emble matica Wolfilin-Panofsky non ha qui alcun carattere sincretistico: essa è possibile solo rendendosi conto, con rigore e sulla base di considera zioni teoriche non improvvisate, del peculiare carattere di «eteroge neità,. del linguaggio artistico, cioè della sua tipica riferibilità a mo delli eterogenei. 15 Nota Hjelmslev, a proposito di «arbitrariness,. e di e appro priateness», che «It seems necessary to consider both these factors in the preparation of a theory ». (Prolegomena to a Theory of Language, The University of Wisconsin Press, Madison 1963, p. 14). 16 V. nota precedente. 11 Cfr. F. A.NnNuccr, Note metodologiche in margine alla teoria 11jelmsleviana, in «Lingua e stile», 2, 1969. 18 Prolegomena ecc., cit., p. 19. 19 Ibid., p. 11. 20 Ibid., p. 25. 21 Del resto, proprio da un punto di vista strettamente logico sono state formulate gravi obiezioni alla teoria di Hjelmslev da H. Prebensen (La théorie glossématique est-elle une tliéorie?, in « Langages », 6, 1967).
Sennonché il :punto di vista corretto non è a nostro parere il punto di vista logico. 22 S. K. SAUMJAN, Strukturna;a lingvistika, Mosca 1965, parziale tr. .. frane. in « Langages », 15, 1969, p. 14. 2.3 Ibid., pp. 15-16. 24 Cfr. JAKOBSON, Linguistica e poetica, in Saggi di linguistica gene rale, Feltrinelli, Milano 1966, pp. 18&-187. 25 Si potrebbe intendere però tale discretizzazione come una sem plice approssimazione pratica, per punti significativi, di una variazione continua e la parentesi quadra - o altro segno da stabilire - come l'indicazione di tale approssimazione. 2h Tale tesi, che a noi pare scorretta e almeno inadeguata, è stata riproposta tale e quale da N. Pevsner, in polemica implicita con R. Pane, che ha invece giustamente insistito sul carattere rigoroso e me ditato (anche tecnicamente) tlel linguaggio gaudiano (cfr. R.P., Gaudì, Comunità, Milano 1964), in The Sources of Modem Architecture and Design, Thames and Hudson, London 1968 (tr. it. L'architettura ,nO derna e il design, Einaudi, Torino 1969, pp. 122-126).
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L' architettura per l'Università*
1. Per sua natura, l'Università regìstra con particolare
sensibilità i processi di trasformazione che in misura diversa impegnano ogni aspetto dell'organizzazione sociale. D'altra parte, il disegno delle sedi universitarie ha rap presentato il campo in cui l'architettura ha sempre conser
vato ed esaltato la sua funzione simbolica 1•
Fin dal suo sorgere come entità fisica specifica nel Medio Evo, l'Università si caratterizza per una condizione di segregazione rispetto alla città: coerentemente con i tratti politici e sociali della città medioevale, appariva fondamen tale, in termini programmatici, isolare la comurùtà univer sitaria dal resto della popolazione, lo spazio universitario dal resto della città. L'architettura per l'Università si rivolge quindi verso tipologie claustrali, che implicano una scelta politica fra dei
rapporti comunitari orientati sia verso l'interno sia verso l'esterno, e che presuppongono un diagramma di attività che hanno luogo all'interno di uno stesso edificio e che si prestano, di conseguenza in termini relativamente autono mi, a tutte le trasformazioni che il tempo può via via sug gerire 2• Anche nel caso di Oxford e Cambridge, la presenza dei
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* La presente rassegna, non certo esaustiva della vasta letteratura sull'argomento, tende ad inquadrare in un contesto informativo gene rale, i .criteri, esposti nella parte conclusiva dell'articolo, che hanno guidato il progetto, redatto dagli stessi autori e presentato al concorso per l'Università Libera di Bruxelles, 1969. Il grafico ne riproduce l'or ganigramma.
« colleges » e dei dipartimenti nel cuore della città - fra loro relazionati in termini di uso - era legata, di fatto, ad una destinazione pressoché monofunzionale della città stessa. Tutto il sistema delle attività e delle attrezzature urbane si imperniava esclusivamente sulle esigenze e sulle disponibilità di studenti e docenti. L'impianto dei singoli edifici - caratterizzati da con figurazioni a corte, ovvero aperti su spazi verdi assoluta mente privati - riflette ancora con chiarezza una inten zione di autonomia e di chiusura rispetto a quanto possa avvenire all'esterno dell'ambito riservato del singolo college o del singolo dipartimento. Nel discorso sull'isolamento o integrazione, il modello più significativo è rappresentato però dal campus americano, il quale indipendentemente dalla controversia filologica sul l'influenza dei modelli inglesi o sulla sua argine autonoma, costituisce di fatto una svolta decisiva nella storia dell'im pianto dell'università 3 Secondo la definizione del Webster, il campus è una scuola collegiata o una sezione universitaria completa in se stessa, dotata di un suo proprio corpo docente e di pro prie attrezzature di completamento... Basato sul principio dell'autonomia funzionale e del de centramento, il campus comprende non solo le attrezzature per la didattica e per la ricerca, ma anche quelle comuni tarie e culturali, sportive, di svago; le attrezzature ammini strative e commerciali, gli alloggi per gli studenti e per i docenti. Il modello di localizzazione è quello del decentramento, coerentemente con l'obiettivo sociale di preparare quadri di rigenti incontaminati, tratti dalle classi privilegiate 4• Per quanto riguarda i caratteri della sua struttura in terna il campus, tradizionalmente impostato su una artico lazione per discipline e per funzioni, trova la sua naturale configurazione in una serie di edifici o padiglioni isolati, separati da ampie zone verdi: a volte, nel disegno dei singoli padiglioni o nelle tecnologie adottate, esiste un ele mento unificante - come nell'American University di Wa- 35
shington D.C. o nell'I.I.T. di Chicago; a volte il campus è soltanto la sommatoria cli singole espressioni architettoniche programmaticamente autonome e contraddittorie, come nel l'M.I.T. cli Boston. A meno di poche eccezioni, fino agli anni che seguono la seconda guerra mondiale, l'architettura del campus ame ricano è dominata dallo « storicismo »: revivals, eclettismo, recupero della tradizione; come sostiene H. Russell Hitch cock, « qualsiasi architettura che riutilizza forme e stili del passato » 5• 'E. stato possibile rilevare a questo proposito, come l'ap parizione del campus sembri giustificarsi meglio in un mon do in cui la storia è povera di stratificazioni architettoniche, nel logico tentativo di creare, forse in termini vaghi - e a nostro giudizio inesatti - un ambiente che, dal suo sor gere, forma un tutto unitario, grazie ad una serie di elemen ti poggiati su una trama che potrà più tardi essere arric chita senza che l'immagine di base venga sconvolta. La sua distribuzione caratteristica ha dovuto certamente essere in fluenzata coscientemente o storicamente dal « castrum » ro mano o dagli insediamenti precolombiani 6• Comunque, quali che siano le sue motivazioni o la sua origine, bisogna notare come, nella sua struttura interna, il campus americano abbia sostenuto fino ad oggi la trasfor mazione delle esigenze e dei modi organizzativi della didat tica e della ricerca. Invece, nei suoi rapporti con la città - in quanto significativi delle relazioni fra comunità uni versitaria ed esterno - il concetto base su cui si imposta il campus, l'isolamento dalla città circostante e dalla sua pro blematica, è entrato in crisi almeno una volta prima di oggi, nel corso della storia dell'università americana. E ciò agli inizi del XIX secolo. L'Università della Virginia (Charlottesville, 1817-1826) di Thomas Jefferson - tipico esempio cli campus americano dal disegno neoclassico - dimostra tuttavia come, in un certo momento storico, la volontà di trasformare i tratti istituzionali dell'università abbia potuto non avere alcun ri36 flesso sui caratteri della sua architettura.
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A REA
L'esigenza di rinnovamento dell'università, avanzata da Jefferson, non poteva non es,sere legata al più generale pro gramma di rinnovamento civico che in quegli anni impe gnava la società americana più progressista e per il quale il problema dell'insegnamento rappresentava un nodo fon damentale: tale programma non riuscì però ad incidere sul sistema universitario.
La storia intellettuale più vera doveva farsi al di fuori dell'ambiente opprimente dell'establishment universitario. In America, come in Francia, gli intellettuali non erano ac cademici perché, per esserlo, occorreva avere una mente gretta e meschina, cioè «fidata» dal punto di vista dell'au torità 7• In America, tuttavia, senza dubbio le cose sarebbero state diverse se Jefferson fosse riuscito nel suo intento. Per Jefferson, infatti, come si legge nel suo progetto per l'uni versità della Virginia, scopo dell'università era quello di esercitare una critica indipendente verso quelle forze, di chiesa o di stato, che hanno timore di ogni cambiamento che possa mettere in pericolo le comodità di cui godono! 8
Quali erano le interrelazioni fra scelte di localizzazione o di struttura organizzativa del campus e volontà o comun que condizione di permanenza delle istituzioni universitarie in una situazione di privilegio, distacco dal mondo reale e dalla sua evoluzione? Certamente è possibile riconoscere co me la condizione logistica rendesse più semplice il perdu rare di una sostanziale condizione sociale e culturale: con dizione o volontà di conservare immutati rapporti (fra mon do universitario e società) e obiettivi (produzione di per sone qualificate e disponibili per assumere un certo ruolo in una certa organizzazione politica e sociale). È necessario tuttavia riconoscere come l'atteggiamento in realtà non muti anche in quei casi in cui, almeno programmaticamente, si è impostato il problema delle sedi universitarie sulla esigen za di un raporto di integrazione con la città. E ciò sia nel caso del campus urbano - quale il Chi cago Circle - sia nel caso dei paesi latini e centroeuropei, in cui la localizzazione delle strutture universitarie all'in38 terno della città sembra quasi sempre derivare piuttosto da
disponibilità o condizioni specifiche che da una più gene rale impostazione del problema universitario. Per le università urbane ricorrono due tipi di localizza zioni: nell'ambito urbano propriamente detto o nelle zone di frangia degli agglomerati. In entrambi i casi assai spesso, le popolazioni residenti non hanno possibilità alcuna di sta bilire rapporti con l'università. Il Chicago Circle è un tipico esempio di struttura universitaria localizzata al centro di un quartiere degradato. Le gigantesche passarelle in cemen to che collegano questa università urbana ai parcheggi o alla stazione della metropolitana sovrapassano case e strade di negri e nullatenenti. Senza farsi troppe illusioni sui miracoli di integrazione che possono derivare da soluzioni di questa natura, bisogna tener presente che la soluzione è altrove ed è essenzialmente di tipo politico 9• La prima parvenza di integrazione, da un punto di vista fisico e architettonico, si ha con la città capitalista e bor ghese: ma è una integrazione artificiale e forzata: un vec chio palazzo recuperato per questo scopo, un edificio a corte che non si differenzia affatto dai nuovi edifici amministra tivi della burocrazia statale, una disposizione a corte aperta in padiglioni sparsi in un'area verde (è il caso dell'università Kaiser Wilhelms costruita a Strasburgo nel 1878) tendono di fatto a distruggere tutte le prerogative di autonomia e di op posizione dialettica alle istituzioni ed alle abitudini degli abi tanti della città 10• In realtà ancora non è riconoscibile una volontà di integrazione quanto un concetto di vicinanza o comodità di accesso, al di là del quale resta sempre un'idea di università di tipo strettamente comunitario. Nel caso della città ottocentesca, la segregazione di fatto d,�gli spazi dell'università non trova alcuna motivazione di tradizione o di ideologia, ma deriva in modo diretto dal processo di crescita e t,rasfonnazione - non pianificato della città: gli interventi finanziati dallo stato - come l'uni versità - assumono un ruolo preponderante nella valoriz zazione dei suoli periferici. Di qui l'impianto, nei casi migliori, di un grosso in sieme universitario in aree periferiche (città universitaria 39
di Roma) e, in quelle peggiori, di singole strutture staccate e localizzate dove un suolo è « disponibile ». Si determinano, quindi, due modelli di università: il complesso universitario e l'università disaggregata per fa coltà : il secondo è assai spesso una degenerazione del primo.
Anche il complesso universitario urbano, come il Cam pus, nasce dalla volontà di una classe sociale al potere di assicurare alla formazione dei propri quadri un ambiente tipizzato e speciale 11• I diversi caratteri del suo impianto e del suo disegno derivano da un diverso modo di intendere la città, la sua gestione, il suo uso. De Carlo rileva, a tal proposito, che mentre nel campus giocano le componenti puritane e pragmatiche delle struttu re culturali anglosassoni, nel complesso universitario gioca no le propensioni idealistiche della cultura centro-europea. L'esigenza di incontaminazione e di isolamento viene in que sto secondo caso conciliata con la presenza urbana sceglien do, per gli insediamenti universitari... i centri storici. Più che alla povertà di esperienze che derivano dallo isolamento, tuttavia, la critica è rivolta alla struttura orga nizzativa d_ella scuola, compartimentata e rigida quanto quella del campus 12. L'università disaggregata per facoltà, determinata da motivi di ordine vario, tende, essenzialmente, a considerare ogni facoltà come una entità a sé stante e indipendente, tendenzialmente chiusa ai rapporti con le altre parti del l'università: centro di specializzazione tecnica e di potere ac cademico. Rispetto al complesso universitario, perde i vantaggi della concentrazione, rispetto al campus, perde i vantaggi dell'unità e dell'autonoma ambientale 13• 2. In termini schematici si può dire che in ognuna delle situazioni tipiche cui si è accennato è sempre riconoscibile un rapporto diretto fra obiettivi dell'istituzione e caratteri architettonici delle sedi. 40 E se, fra i primi, il più significativo riguarda il non rap-
porto, o il particolare tipo di rapporto, fra sistema univer sitario e realtà sociale, fra i secondi il principale elemento di distinzione è quello relativo al rapporto con la città: co stantemente però i diversi modelli, k loro sovrapposizioni o intersezioni, possono essere riferiti ad una concezione del l'università genericamente definibile élitaria. Il campus americano o la Sorbonne di Parigi, l'univer5ità Lemonosov di Mosca, la città universitaria di Roma o le università giapponesi, nella loro struttura interna come nel loro rapporto con la città, riflettono in termini diretti i modi in cui di volta in volta, si è inteso, nell'insieme delle sue implicazioni, il problema dell'università. Non a caso, quindi, l'esigenza di rinnovamento e di ri strutturazione _dell'università, negli ultimi anni, ha coinciso con un discorso di rinnovamento della società nel suo in sieme. I documenti della Rivolta Universitaria, infatti non si limitano a formulare proposte di riforme universitarie ma tendono a spiegare le ragioni profonde e lontane dell'attua le malessere, e a prefigurare in una diversa struttura della scuola un diverso tipo di società 14• Sentita a livello di istituzione come a livello di strut tura fisica, la crisi dell'università è diventata l'espressione più significativa delle contraddizioni e dei contrasti della « società opulenta ». Sostanziali differenze di approccio al problema del rin novamento dell'Università derivano dalla diversa « tradizio ne » ideologica e, ancor più, universitaria, di ogni singolo paese: dappertutto, comunque, viene individuata come fon damentale l'esigenza che l'università si trasformi da univer sità di élite in università di massa. E dappertutto ci si propone, di fatto o tendenzialmente, di t-rovare i modi per realizzarla. Con significati e sfumature diverse l'affermazione del « futurologo » americano Daniel Bell sembra ampiamente ac cettata: noi tendiamo verso una società post industriale, in cui le istituzioni chiave saranno le università e gli organismi _di ricerca, e non più le iniziative industriali e commerciali 15• 41
Tuttavia l'università di massa non è l'università di élite ingrandita, nè tantomeno semplificata e instupidita. Al salto quantitativo corrisponde un salto di qualità, che la trasfor ma in un modello a sé stante, radicalmente diverso dal mo dello precedente. L'obiettivo dell'università di massa è di ri spondere ad una domanda sociale che è diversa da quella rivolta all'università di élite 16• Il problema dell'università attuale, dell'università per il grande numero, si pone quindi, fondamentalmente, al livel lo di « istituzione » : come necessità di individuare il ruolo e la funzione che essa deve - o può - assumere all'interno della società contemporanea. E si pone, quindi, come esigenza di definire i modi in cui essa può assumere struttura fisica; come esigenza cioè di individuare i caratteri architettonici per una nuova uni versità. E se il primo aspetto del problema presenta ancora oggi - al ài là di qualche tentativo di definizione - note voli aree di incertezza e di ambiguità, il secondo - legato all'individuazione di nuovi tipi organizzativi e nuovi schemi tipologici - non consente alcuna possibilità di approccio si stematico: e ciò nel:la misura in cui si cerca ancora, conti nuamente, una rispondenza diretta fra caratteri dell'istitu zione e caratteri architettonici.
Nella società contemporanea, che produce l'università di massa, le professioni non. sono più stabili, ma al contrario sono caratterizzate da una continua oscillazione dovuta al gioco di opposte tensioni verso una sempre maggiore diffe renziazione e verso un sempre più intenso interscambio di cognizioni e di esperienze. ... Ne deriva che una università di massa, pur conser vando il fine di preparare ad una professione, deve mutare i modi in cui persegue questo fine ed in primo luogo deve trasformare la sua tradizionale struttura organizzativa - commisurata alle esigenze dell'insegnamento nozionisti co - in una strutura capace di fornire una rigorosa prepa razione critica. ... Deve produrre individui altamente specia42 lizzati nella professione che esercitano ma capaci di porre
in relazione la loro specializzazione e di arricchirla con la ricezione di altre esperienze contigue; soprattutto capaci di accordare o negare il consenso secondo un attento giudizio critico dell'utilizzazione sociale che viene data al loro con tributo 11• Per quanto riguarda l'università come istituzione, quin di, l'esigenza di una evoluzione verso una struttura per il grande numero, se pone il problema dell'incremento di aule, di laboratori, di docenti, passa tuttavia essenzialmente per un riesame dei rapporti che esistono fra comunità universi taria e società; al livello di struttura architettonica, si riflet te sui rapporti fra sede universitaria e città. D'altra parte, l'obiettivo della rispondenza diretta fra idea di università e struttura fisica, ha sempre trovato uno dei suoi caratteri più significativi nel rapporto fra questa e la città: con evolu zione dal distacco alla partecipazone, dall'isolamento all'in tegrazione. Anche se, di fatto, l'isolamento, l'alienazione fisica del l'impianto dell'università al di fuori della città rappresentano una di quelle costanti diacroniche che ancor oggi si ripro pongono con insistenza 18• 3. Il tema del rinnovamento dell'università si articola quindi sulla definizione di una nuova idea di università e sulla individuazione dei caratteri per la sua architettura. E se a volte per la prima, sembra esistere una possibi lità di convergenza su alcuni temi di fondo, per i secondi, invece, l'arco delle soluzioni ha esplicito carattere di ambi guità: le risposte ad esigenze e principi univocamente defi niti appaiono assai spesso contraddittorie, non solo fra loro, ma rispetto agli stessi criteri d'impostazione. Sembra infatti possibile riconoscere, all'università con temporanea, il carattere di luogo di incontro, di scambio di informazioni, di scambio di idee, di ricerca: un luogo dove studenti, insegnanti, ricercatori, formano una comunità; il simbolo monumento «moderno», « torre d'avorio» o cam pus « neomonumentale » è una visione accademica e su perata 19• L'università di massa implica contatto e coinvolgimento 43
continuo con gli avvenimenti del mondo circostante. Al con trario dell'università di élite la cui missione era il rafforza mento acritico del sistema che l'aveva istituita e che la so steneva, l'università di massa come prodotto di un processo di trasformazione « democratica » della società assume im plicitamente la funzione « democratica » di contribuire cri ticamente - contestando, correggendo, confermando, secon do le circostanze - lo svliuppo di questo processo. Anche le differenze fra l'università e il suo intorno ca dono in crisi: l'università diventa una parte della città e del territorio coinvolta nel loro stesso lattice di esperienze e di azioni 2!!. Le conseguenze urbanistiche e architettoniche di questa trasformazione tendono ad assumere notevole rilevanza ed interessano, da una parte, il rapporto fra sistema universi tario e sistema urbano, dall'altra i caratteri architettonici dell'università; anche se, nelle singole situazioni, la tradizio ne universitaria rappresenta un notevole elemento di iner zia che impedisce il totale rivolgimento della condizione pre esistente: le attuali proposte di architettura per la nuova università appaiono ancora continuamente riferibili ai tre modelli precedentemente analizzati. La concezione dell'università come servizio pubblico ge neralizzato 21 richiede che essa sia presente in tutto il terri torio: se non fisicamente, almeno in termini di accessibilità e di riverberazione culturale. Per cui non 50lo in Europa, ma anche in America - dove pure le decisioni relative all'univer sità non derivano da un piano generale ma competono ad innumerevoli autorità private, regionali e statali - si va sempre più delineando una struttura che, sul piano fisico, presenta dimensioni più limitate e ubicazione se non inte grata, almeno collegata con altri tipi di servizi che la città può offrire. Sistema distribuito e integrazione con la città diventa no, a scala territoriale, il simbolo della nuova tematica sul l'università. In rapporto a tali obiettivi sembrano delinearsi, sche44 maticamente, due tendenze.
La prima, partendo da un concetto di localizzazione del l'università all'interno dell'ambito urbano affronta il pro blema alla scala della singola struttura tendendo, essenzial mente, alla riorganizzazione delle attività e della loro artico lazione; il modello di riferimento è il complesso universi tario o il campus urbano. Nel progetto di Woods, Candilis e Josic per l'Università Libera di Berlino, la rinuncia a qualsiasi forma di integra zione con le strutture urbane circostanti e con le attrezza ture universitarie preesistenti, presenti al contorno dell'area, sposta l'interesse verso la ricerca di un sistema interno, un tipo di paesaggio che si ponga come base per l'organizzazio ne dell'ambiente fisico dell'università, intesa prima come luogo e poi come strumento. Il risultato è un grande meccanismo oggetto, capace di realizzare una notevole possibilità di adattamento ai pro grammi più diversi ed alle necessità più imprevedibili 22• È un frammento di tessuto compatto, impostato su una trama ortogonale a tre livelli di circolazione, e contenuto in un perimetro rigorosamente rettangolare; un sistema con tinuo entro il quale tutte le facoltà sono associate, ma auto nome, e dove le frontiere che le delimitano non vengono ac centl,!ate né da limiti fisici, come muri con porte di ingresso, né dall'identificazione fisica dei singoli elementi, svincolati dal sistema globale 23• Sulla riorganizzazione delle attività universitarie è basa to anche il progetto per l'ampliamento e la ristrutturazione. dell'Università di Edimburgo; tuttavia, gli obiettivi di que sta proposta di complesso universitario urbano sono del tut to diversi da quelli del progetto precedentemente analizzato. Il risultato finale, forse unico nel suo genere, appare ancor più interessante in quanto deriva da quelle stesse ma trici culturali tipiche anglosassoni che hanno contribuito in notevole misura alla fondazione ed all'affermazione dell'uni versità di impostazione « comunitaria ». Il progetto per le nuove sedi coincide con quello di ri strutturazione di un'ampia zona circostante da destinare, 45
per una notevole aliquota, ad attività commerciali e cul turali. :f:. un progetto estremamente ricco e complesso che, ba sandosi sull'analisi della consistenza e della vocazione dei tessuti urbani, e dei rapporti fra i diversi tipi di attrezzature presenti o da prevedersi nell'area, reali�za di fatto, più che un'integrazione, una coincidenza fra attrezzature universi tarie e attrezzature urbane: ed occorre notare come Edim burgo non sia affatto una città universitaria del tipo di Oxford e Cambridge. Alla vecchia sede dell'università, monumento nazionale, si contrappone un sistema continuo di piastre a più livelli, dal quale viene escluso soltanto il traffico automobilistico di attraversamento: contiene attrezzature collettive e collega edifici destinati, in modo alterno, ad attrezzature residen ziali, commerciali ed universitarie. Le scelte architettoniche, legate alle esperienze del cen tro di Cumbernauld o del Barbican di Londra, appaiono cer tamente congruenti con le esigenze di compattezza e di con tinuità proprie di un organismo universitario: ma sembrano, contemporaneamente, limitare i caratteri di -flessibilità e di
disponibilità a diversi tipi di organizzazione e di gestione della struttura universitaria 24, cui pure i progettisti fanno
esplicito riferimento. La seconda tendenza, ampliando la scala dell'intervento ad una dimensione territoriale più ampia, tende a conside rare la struttura universitaria come uno dei poli di un si stema urbano articolato su una nuova dimensione, ovvero, ...
come un elemento in grado di riqualificare una zona degra data, promuovendone lo sviluppo 25• L'integrazione fra univer
sità e città viene trasferita ad un sistema allargato. Il progetto di Matthew e Marshall per l'università di Bath è un tipico esempio di questa tendenza. Definibile, per la sua struttura e per i suoi caratteri ar chitettonici, come complesso universitario, esso configura, programmaticamente, un modello assai interessante di uni versità urbana: questa, infatti, seppure appoggiata alla città
46 di Bath, entra in rapporto diretto con tutti i centri urbani
delÌ'area 26 diventando essa stessa uno dei poli di un sistema definibile, di fatto o tendenzialmente, come città-regione. Nella situazione attuale, tuttavia, sembra presentare piuttosto i caratteri tipici -del campus americano, dal quale si differenzia soltanto per una notevole compattezza e con tinuità della sua struttura interna. Sul piano architettonico, è un sistema lineare unitario e compatto, basato sulla netta distinzione fra traffico pedo nale e traffico automobilistico e sulla articolazione di tre tipi fondamentali di spazi, i cui diversi caratteri architettonici rifiettono le esigenze delle diverse attività che vi si svolgono: - spazi per la ricerca e per l'insegnamento; - spazi per attività comuni; - spazi per la residenza. La continuità fisica delle st�tture architettoniche tende a realizzare un insediamento « urbano » concentrato capace di influenzare la vita sociale ed accademica di studenti e docenti n. Ad esaminarlo attentamente, tuttavia, questo progetto, come molti altri dello stesso tipo, riesce a proporre soltanto una simulazione di ambiente urbano, per una «comunità» universitaria che ancora si pone come autonoma rispetto a quanto avviene all'esterno. Nata, invece, programmaticamente, come campus, l'uni versità di Tougaloo sembra potersi proporre, entro un tem po non lungo, come università urbana all'interno dell'area metropolitana di Jackson, nonostante sia localizzata a circa dieci miglia dal centro della città attuale e circondata da terreni liberi e da zone residenziali a bassa densità. La sua struttura ed il suo disegno derivano dalla sovrapposizione di tre sistemi autonomi di spazi qualificati in termini fun zionali e figurativi diversi: - le residenze, che determinano il disegno fondamen tale; - gli edifici speciali, che rappresentano emergenze ri spetto al tessuto; - gli spazi accademici - o spazi matrice - che for-
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mano il tessuto continuo di base, in cui sono inseriti gli edi fici con caratteristiche particolari Nel progetto per Tougaloo le diverse parti sono me scolate fra loro, le diverse dimensioni e forme possono esse l'e considerate sia come funzioni che come concentrazione di persone; esiste in ogni caso una legge - il sistema orga nizzativo - che garantisce l'integrazione delle parti senza dar luogo a fenomeni di congestione o porre limiti alla cre scita 28• In contrapposizione a quelle proposte la cui imposta zione si basa, programmaticamente o di fatto, su un capo volgimento del rapporto fra struttura universitaria ed ambito circostante, rispetto a quello che tradizionalmente caratte rizza il modello cui fanno riferimento, appare di notevole interesse la Simon Fraser University, a Vancouver. Questa presenta, nelle scelte di localizzazione e nelle relative motiva zioni, tutti i caratteri tipici del campus americano: isola mento ed autosufficienza, distacco totale dalla città. Il suo modello organizzativo deriva dalla volontà di realizzare uno stretto contatto fra le singole facoltà. La sua dmensione (18.000 studenti come limite massimo previsto) deriva dalla esigenza di consentire un lavoro di tipo interdisciplinare. I tipi di flessibilità previsti e le direzioni di crescita dei sirt goli spazi derivano dalla destinazione d'uso di ciascuno di questi. Nell'insieme, la sua struttura ed il suo disegno ten dono a porla come alternativa alla tradizionale architettura dei campus nordamericani. Organizzata, come· il Chicago Circle, per funzioni e non per discipline, la Sirnon Fraser University presenta una struttura compatta e continua, imperniata su un asse « at trezzato »: un lungo rettangolo a struttura reticolare, una specie di ponte a più piani, teso fra i punti più elevati del crinale di Barnaby Mountain, è l'elemento distintivo e rico noscibile del complesso; da questa spina centrale « genera lizzante » partono, secondo un tipico schema a pettine, tutti gli elementi specializzati, la cui crescita è prevista in dire zione ortogonale. 48 Questa organizzazione formale sostanzialmente nuova
nel panorama dei campus nordamericani nasce innanzi tutto da un riesame globale della natura dell'istruzione superiore: l'importanza che in misura sempre maggiore si attribuisce al le interrelazioni fra le singole discipline, data la difficoltà di definire i limiti di separazione fra le stesse; la concezione dell'università come luogo di incontro diretto, secondo la quale i contatti extrascolastici rappresentano esperienze al trettanto importanti di quelle fatte nelle aule e nei labo1atori 29• Un discorso a parte, e certamente di notevole interesse per la situazione italiana, meriterebbe il problema urbani stico e architettonico delle sedi universitarie organizzate per facoltà disaggregate. Il quale trova un suo interesse specifico in quei casi, quale la facoltà di Legge della Washington University, nei quali interventi con caratteristiche di parzialità offrono di fatto suggerimenti per arricchire strutture esistenti con ele menti che tendano a trasformarle in veri e propri centri uni versitari, variamente articolati. Più che le proposte - facoltà o attrezzature complemen tari - concepite e risolte in loro stesse come unità auto nome più o meno qualificate sotto il profilo architettonico, - gli esempi migliori sono rappresentati dalle architetture di Stirling - l'interesse è per quelle soluzioni intese come prin cipio di un sistema organizzativo e morfologico più gene rale, capace, nel tempo, di coinvolgere l'intero ambiente nel quale si inserisce. E. il caso del dipartimento di Mineralogia dell'univer sità di Birmingham: quattro blocchi quadrati di altezza co stante, unificati dalle caratteristiche dimensionali e tecnolo giche del sistema scelto, nel quale stabilita, per esigenze di
-flessibilità, l'unificazione degli involucri, lo schema distribui tivo deriva soltanto dalle esigenze di uso e di movimento. Il dimensionamento della griglia modulare di base e la scelta del sistema tecnologico diventano quindi i problemi fonda mentali della progettazione, all'interno della esigenza di rag giungere quelle qualità spaziali che consentano al complesso
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di crescere e di trasformarsi senza diventare un'anonima macchina tecnologica 30• Vorremmo infine, far cenno ad una ipotesi di struttura universitaria che potrebbe apparire utopistica o perlomeno suscitare l'obiezione della necessità di rivoluzioni profonde ed ampiamente incidenti prima di poter essere considerata come attuabile. Il progetto per il P.T.B. nel Middle-West dell'Inghilterra, dimostra come accanto a proposte e realizzazioni nella linea concreta della tradizione più avanzata, sussistano possibilità effettive ed interessi per ipotesi completamente nuove. Il progetto per il Potteries Thinkbelt prevede infatti la ristrutturazione graduale di un'area industriale che, in se guito alla crisi delle miniere di carbone va sempre più assu mendo i caratteri di un'area depressa, e si basa essenzial mente sull'introduzione di un sistema universitario stretta mente relazionato alle attrezzature industriali esistenti.
« In tal modo l'università potrà usufruire del bagaglio specifico di informazione e di esperie1na tecnica proprio del l'industria, utilizzando contemporaneamente attrezzature specifiche di questa, ed assumendo il compito di verificare tali esperienze settoriali in un ambito di ricerche e di espe renze di carattere più generale » 31•
Il progetto, frutto di un lavoro interdisciplinare di esperti di vari campi dell'istruzione, dell'organizzazione indu striale, dei trasporti, ecc., assume un significato contestativo nei riguardi delle tendenze nazionali attuali di settorializza zione del sistema universitario e propone una riorganizza zione all'interno di un piano generale di coordinamento della ricerca universitaria ed industriale. Per quanto riguarda l'aspetto informativo dell'insegna mento teorico, il progetto propone aule costituite da carri at trezzati dotati di circuito televisivo chiuso, che possono es sere dislocati in ogni punto dell'area ed aggregate ad altre aule più specializzate (per seminari, per piccoli laboratori, ecc.), dislocandosi nel luogo stesso della residenza in modo da costituire un'attrezzatura corrispondente ad ogni tipo di 50 esigenza.
4. La contestazione, il dubbio, la violenza, la crisi appar tengono ai campus americani, periferici od urbani, all'uni versità di Montevideo, di Vera Cruz (300 ha) o di Chicago (2 ha). Si verificano nelle nuove università inglesi a forte concentrazione ed architettonicamente qualificate, nelle uni versità delle città europee.. Come si è visto la società preesistente, nell'organizzarsi per istituzioni ampiamente riconosciute e riconoscibili, ha teso i suoi sforzi alla rappresentazione fisica, e cioè edilizia, delle sue istituzioni. Nel momento in cui queste, nel tempo, entravano in crisi e richiedevano una trasformazione od una loro evoluzione, nuovi modelli edilizi erano predisposti per rappresentarle, continuamente fidando nella stabilità dei va lori che le sostenevano: le diverse tipologie, o meglio i di versi modelli di università, sottendono nelle differenze tipo logiche diversità ideologiche. Questo processo di formazione e di evoluzione delle ti pologie edilizie per l'università non è però certamente così immediato: storicamente è spesso leggibile una differenza fra tre o forse due termini essenziali. Da una parte l'impo stazione programatica e quindi la realizzazione fisica del l'ipotesi prescelta; dall'altra i modi d'uso ai quali di fatto nel tempo è stata sottoposta la struttura edilizia. La crisi dell'università oggi è essenzialmente indecisione sugli obiettivi e sulle finalità dell'istituzione, assenza cioè non di modi edilizi, ma fondamentalmente di modi d'uso degli spazi architettonici o meglio dell'« istituzione» uni versità. La crisi dell'università ed il crollo degli antichi va lore riconoscibili e del mito della loro stabilità è cioè un dato esterno al problema edilizio dell'Università, ed è rife ribile all'insieme degli aspetti della vita urbana.
« E. necessario quindi rifiettere sugli aspetti che la vita universitaria è venuta assumendo nella città nel momento in cui noi constatiamo oggi che in tutta l'Europa e nel mondo intero i rapporti fra la comunità universitaria - e forse è meglio parlare di comunità della gioventù, in quanto strut tura che organizza e sostiene una intera generazione - e gli abitanti della città illuminano e fortificano la corrente di 51
opinione di cui questa è il filtro essenziale. L'occupazione delle Università, le manifestazioni organizzate all'interno della città ed il significato che questi fatti hanno assunto, un po' dappertutto, nella strategia del rifiuto del sistema, delle sue istituzioni politiche tradizionali, nelle sue scelte decisive più consone al suo spirito, conducono ad un'opposizione della vita universitaria a quella della città in termini che sembrano essere tutt'altro che espressioni passeggere 32• Se l'università è oggi in crisi, lo è in quanto non sono chiari e da tutti riconosciuti i suoi compiti.
Molte delle sue funzioni sono conosciute, altre no 33•
A questo punto ,si ripropone per il tema esaminato lo stesso interrogativo che investe qualunque intervento pro gettuale: come dar forma a delle istituzioni sostanzialmente in crisi o revocate in dubbio, intanto che le comunità inte ressate devono necessariamente continuare il loro processo vitale? Posto in termini di forme e contenuti il problema è insolubile. � invece ipotizzabile una soluzione basandosi non sulle forme, ma sulle invarianti strutturali interne, vale a dire sulle ipotesi più probabili di quelle che continueranno ad essere delle funzioni; per l'Università tale invariante sarà certamente quella della didattica e della ricerca, i cui spazi si organizzeranno in un sistema complesso, sufficientemente flessibile per accogliere un'ampia gamma di trasformazioni e di crescita in funzione delle esigenze di coloro che li uti lizzeranno. E poiché nella nostra rassegna abbiamo sempre collegato la funzione universitaria alla vita della città, si tratta in definitiva, sul piano concreto, di cogliere le relazio ni tra le invarianti strutturali urbane con quelle specifiche dell'università. L'università può cioè al limite considerarsi dissolta nel la città e nel territorio, coincidendo od identificandosi con l'insieme delle attrezzature della città, per le quali propone soltanto un uso particolare. Così interpretata, l'università non avrebbe più la neces sità di esprimersi come forma architettonica a sé stante, ma rappresenterebbe essenzialmente un modo d'uso degli 52 spazi urbani. All'idea di edificio o complesso di edifici del-
l'Università si sostituirebbero esigenze e caratteri urbani stici deJie attività universitarie, cioè qualità spaziali da rin tracciarsi o determinarsi all'interno deJI'intera struttura urbana. LUCIANA DE ROSA e MASSIMO PICA CIAMARRA
1 E. TEMPIA, Des universités..., in e L'Architecture d'aujourd'hui », n. 137. 2 G. CANELLA, Passé et avenir de l'anti-ville universitaire, in « L'Archi tecture d'aujourd'hui», n. 137. 3 G. CANELLA, Passé et avenir cit. 4 G. DE CARLO, Pianificazione e Disegno delle Università, Edizioni Universitarie Italiane, Roma, 1968, p. 9. s R. P. DoBER, Campus Planning, Reinhold Publishing Corporation, Cambridge, Mass., 1963, p. 31. 6 G. CANE.LA, Passé et avenir cit. 7 T. RoszAK, L'Università del dissenso, in L'Università del dissenso, Einaudi, p. 20. 8 T. RoszAK, L'Università cit., p. 21. 9 J. FREI>Er, Six critères d'analyse pour sept univers1tés, in e L'Architecture » cit. 10 G. CA.NELLA, Passé et avenir cit. 11 G. DE CARLO, Pianificazione cit. p. 11. 12 G. DE CARLO, Pianificazione cit. p. 11. 13 G. DE CARLO, Pianificazione cit p. 11. 14 Introduzione a Documenti della Rivolta Universitaria, Laterza, Bari, 1%9, p. 5. 1s D. BELL, Rapporto della Commission de l'An 2000, cit. in « L'Arcitecture » cit. 16 G. DE CARLO, La piramide rovesciata, De Donato, 1%9, p. 50. 11 G. DE CARLO, Pianificazione cit. p. 12. 18 G. CANELLA, Passé et avenir cit. 19 G. CANDILIS, Re/azione al progetto per l'Università di Toulouse, Francia. 20 G. DE CARLO, Pianificazione cit. p. 13. 21 Al concetto di servizio pubblico si tende a sostituire, per l'uni versità, quello più adeguato di « investimento sociale». A tal proposito cfr. i documenti dell'Istituto di Scienz.e Sociali di Trento, pubblicati in Documenti cit. e L'Università del dissenso cit. 22 G. CANOil.IS, A. Josxc, S. Wooos, Relazione al progetto per la Uni. versità Libera di Berlino; cfr. « Le carré bleu» n. 1, 1964. 23 G. CANDILIS, A. JosIC, S. Wooos, Relazione cit. 24 P. JOHNSON MARsHALL, Relazione al progetto per l'università di Edimburgo, cfr. e Architectural Review" n. 7, 1%4. 25 F. L. ROBBINS, College and University Enrollment and Facilities Survey 1%1-1965, Higher Education, voi. 18, n. 8, 1962, p. 19. 26 R. MATIHEW, P. JOHNSON MARSHALL, The proposed University of Bath: a Technotogica/ University, Devetopment Pian, Report n. 1 Bath University Press, 1%5, p. 14. TI G. MATTHEW, P. JOHNSON MARSHALL, The proposed University cit., p. 23. 28 G. BIRIIBI'S, Relazione al progetto per il Tougatoo College, in « Architectural Forum», n. 4, 1966.
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29 ERICKSOS & MAssEY, Relazione al progetto per la Simon Fraser University, Vancouver, Canada, cfr. e Canaclian Architectur », n. 2, 1966. .lO ARUP Ass., Relazione al progetto per il dipartimento di Mineralo gia dell'università di Birmingham, Inglùlterra. li C. PRICE, P.T.B.: a pian for advanced educational industry in North Staffordsltire, in e Architectural Design», n. 487, 1966. 32 G. CANELU, Passé et avenir cit. 33 G. CANOILIS, A. Jos1c, S. Wooos, Relazione cit.
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Recenti contributi allo studio dell' «environmental design»
Il tempo delle grandi sintesi scientifico-filosofico-religiose sembra essere definitivamente tramontato, eppure la cultura contemporanea non appare del tutto disposta a rinunciare ad una propria « summa ». Questo atteggiamento è particolar mente evidente nella recente tendenza dell'architettura e del l'urbanistica ad estendere i rispettivi campi di studio, pro-· gressivamente, dall'edificio alla città e da quest'ultima al terri torio. Lo stesso indirizzo, che accomuna sotto il medesimo denominatore del progettissimo l'insieme dei metodi e degli strumenti operativi del design delle strutture ambientali, sembra confermare questa tendenza, almeno nel suo primo e più appariscente aspetto del progressismo dimensionale della pianificazione e nel disegno, che, attraverso le visioni in grande di Buckminster Fuller, culmina, si può dire, nel l'alienante e paradossale proposta della Oecumenopolis di Co stantino Doxiadis 1• Neanche il più trascurabile lembo del l'habitat terrestre sfuggirebbe al controllo di un disegno vo lontario e predeterminato. Vediamo in breve attraverso quali argomentazioni si sviluppa il pensiero dell'urbanista greco.
Le nostre città si sviluppano spontaneamente secondo sistemi strutturali sempre piiì complessi. Dalla città che si espande per cerchi concentrici si passa a quella che si stende lungo l'asse che la collega alla città o al porto o al litorale più vicino. Siamo in tal modo indotti a considerare, ben oltre la città che tutti conosciamo, un sistema di città e di centri 55
urbani legati fra loro, formanti sistema e a loro volta con nessi in una rete urbana, in cui tende a concentrarsi una ingente massa -di popolazione. Da questa constatazione, si giunge alla seguente conclusione: in virtù dello sviluppo di tutte queste forze - economiche, biologiche, demografiche l'uomo si costruisce, poco a poco, un sistema insediativo che cresce, un sistema che, se lasciamo che si sviluppi senza controllo, non farà altro che peggiorare di giorno in giorno, fino alla inevitabile catastrofe. Questo sistema assumerà pre sto una estensione mondiale. Dopo le megalopoli del nostro tempo, è lecito prevedere la formazione di città che si esten deranno su interi continenti e condurranno ad un universo di città, o, se si vuole, ad una unica città universale, Oecu menopolis. La nascita di siffatto insediamento è, prosegue Doxiadis, inevitabile. In realtà, ogni analisi del problema ci dimostra che non ci resta nulla da fare per invertire questa tendenza; non possiamo evitarla con considerazioni né di ordine logico, né razionale, né pratico. E qui l'autore passa in rassegna vari metodi, eventualmente perseguibili al fine di arrestare il ritmo d'incremento della popolazione mondiale e della superficie ter restre suscettibile di urbanizzazione. Tra l'altro egli osserva, con una fin troppo chiara presa di posizione politica, che uno dei mezzi indicati per frenare l'aumento demografico, il controllo delle nascite, è di pericoloso impiego: anche se si prendesse oggi una decisione in tal senso, passerebbero al meno due generazioni per convincere gli abitanti, poniamo, dell'India o dell'America del Sud ad applicarla. Quali sareb bero allora, egli si chiede, le classi che ne potrebbero subire, in prima istanza, il contraccolpo? Certamente quelle che per prime hanno applicato il controllo delle nascite, ossia i paesi sviluppati o sedicenti tali, e quali sarebbero allora i rapporti loro con le altre classi, e quali le conseguenze sociali di un tale squilibrio; quali sarebbero, infine, le conseguenze biolo giche e psicologiche se questa politica venisse applicata su vasta scala? Ne sarebbe probabilmente minacciato un ordine gerarchico cui il Doxiadis sembra particolarmente legato, e 56 perciò egli dirige la ricerca propria e del gruppo di studio
che a lui fa capo verso la individuazione della forma migliore che questo stesso sistema, supinamente accettato, può assu mere per il beneficio dell'umanità 2. La forma di questa Oecumenopolis sarà determinata dalle forze d'attrazione esercitate dalle grandi città sulla popola zione futura, dalle forze d'attrazione esercitate dalle grandi vie di comunicazione sulle forze produttive e sulle attività in genere, infine da forze d'attrazione di ordine estetico, quali l'attrattiva del litorale su di una popolazione sempre più numerosa. La massa vorrà godere a casa propria anche piaceri estetici, vorrà abitare davanti ad un piacevole pano rama, lungo una vallata o sulla costa, con la vista sulla spaggia, anche se la città più importante si trova ad una certa distanza. Al tempo stesso, bisogna tener conto dell'attrazione esercitata dalle ampie pianure, dai luoghi dove abbonda l'ac qua e dove il clima è più dolce. Tutto ciò ci consente di farci un'idea di quello che sarà Oecumenopolis. Grazie agli studi del Centro di Ekistica di Atene, abbiamo potuto, poco a poco, concepire la forma che essa assumerà fra un secolo o un secolo e mezzo. Questa città, che riunirà l'umanità intera, rappresenterà un'agglomerazione straordinaria e nessun indizio ci permette oggi di concludere che è possibile crearne una migliore; ma, aggiunge Doxiadis, se questa città sarà costruita come quelle di oggi, seguendo le attuali tendenze, sarà condannata alla distruzione. Sarà, in altri termini, la città che Lewis Mumford già molto tempo fa indicava come Necropoli, la città dei morti. Il vero problema, egli conclude, nell'introdurre la de scrizione del progetto, non è quello di sapere se dobbiamo fare oppure no la città universale, bensì quello di farla in maniera corretta ...
Ne scaturisce, dunque, la fede in un metodo sostanzial mente a-critico, che si incarna in una disciplina - l'ekistica che non si limita a comprendere, come la geografia, le situa zioni territoriali, ma pretende di indicare anche le soluzioni ai vari problemi riscontrati, limitandosi ad agire sugli effetti anziché sulle cause, quasi come in una vasta ed ardita ope razione di cosmèsi mondiale. Perché . l'uomo ha avuto, in 51
altri tempi, la forza, l'immaginazione ed il coraggio necessari per costruire insediamenti stabili, quando era nomade e vi \.'eva di caccia? Perché ha, in seguito, fondato villaggi, città industriali e metropoli? Perché allora non dovremmo anche noi avere oggi il coraggio di concepire e costruire Oecumeno polis? La risposta sembra ancora più evasiva: ciò significa che abbiamo bisogno, oltre che della scienza, anche della tecnica e dell'arte. Così dovremo fare dell'ekistica, al tempo stesso, una scienza, una tecnica e un'arte. Quasi un nuovo
« trivio », dunque, nel quale la grande assente risulta ancora la politica, che è l'unica delegata ad operare, nella conver genza delle opinioni di tutti i cittadini, le scelte di base per il futuro assetto delle comunità umane, dalla Oecumenopolis alla Necropoli. Abbiamo iniziato la rassegna con la presentazione di un tratto, a mio avviso significativo, dell'indirizzo perseguito dal Centro di Ekistica di Atene, più che per ogni altro motivo, per indicare quello che ci sembra non debba essere, nelle in tenzioni e nel metodo, l'environmental design, al quale pe raltro già dedicammo tempo fa un'altra rassegna, centrata su gli aspetti didattici di esso 3• Esiste un altro aspetto, molto più significativo, della tendenza alla globalità nel moderno progettismo, che si esprime, anziché nella dilatazione e nella unificazione dell'oggetto dello studio - al limite, l'intera su perficie terrestre - nella unitarietà del metodo di progetta zione. È soprattutto questo il punto da sottolineare: l'inten zione metodologica dell'environmental design, che ci inte ressa per i suoi evidenti riflessi sulla fondazione disciplinare dell'urbanistica e dell'architettura e sulla corrispondente me todologia interdisciplinare. Tuttavia la tendenza si manifesta lentamente e non senza contrasti: il panorama del fermento che esiste oggi nel mondo della ricerca e della didattica rivela una grande frattura nel campo della metodologia: da un lato si assiste alla negazione di qualsiasi metodo sistematico, nella pura adesione anarchica al gesto estemporaneo; dall'altro si fa strada il bisogno di aderire a un ordine, nella ricerca di coerenze globali attra58 verso una approfondita integrazione disciplinare. La tematica
dell'environmental design riassume la tendenza ordinatrice e interdisciplinare, riproponendo una nuova sintesi delle arti del disegno. Una sintesi per il nostro tempo, però, in cui l'analisi critica abbia il necessario rilievo e dove l'articola zione problematica acquisti il dovuto risalto attraverso i temi della partecipazione. Una sintesi che ha certamente i propri limiti nel fatto che essa, comunque, rientra in una ben de terminata «ideologia», in una visione organizzata del mondo di cui è la espressione, se non repressiva, almeno virtualmente conchiusa in se stessa. Nulla di nuovo, dunque, oppure il legittimo sopravvivere di una esigenza di fondo della società umana, che è quella di esprimere - di tanto in tanto ed in particolare proprio nei momenti di più assillante dubbio - la sintesi dei valori della propria cultura, della propria civiltà, nei quali vorrebbe, ma gari, credere, anche se in realtà crede soltanto nella aleato rietà dei termini esistenziali che la configurano come gene razione perduta? Dalla meditazione su tali interrogativi è emersa, quasi nostro malgrado, una rassegna dei centri di studio delle discipline attinenti, in senso lato, all'urbanistica e all'architettura, i cui lineamenti ci hanno alquanto colpito per la coerenza di alcune fra le principali formulazioni. As sumendo tali dichiarazioni come altrettanti punti di un me todo di progettazione, si è tentato di delineare una configu razione teorica dell'environmental design, come espressione la più aggiornata della situazione delle arti del disegno nella cultura contemporanea, con una tendenza alla visione macro scopica piuttosto che microscopica dell'ambiente. E in questo senso sono stati rilevati numerosi suggerimenti o indizi per una concezione globale del progetto delle strutture ambientali. Per la discussione puntuale delle definizioni di environ mental design si preferisce rinviare il lettore alla precedente rassegna; qui ci sembra opportuno richiamare, per sommi capi, le fasi principali in cui si attua, di massima, l'iter teorico della progettazione ambientale, secondo i punti di vista che indicheremo in seguito. Basilari ci sono apparsi, nella nuova concezione del progetto, i concetti di coordinamento e concatenamento fra gli elementi caratteristici dell'ambiente; 59
in maniera analoga, notevole spicco assume il princ1p10 di causa ed effetto nella vasta tematica della conseguenzialità degli eventi progettuali. Ed inoltre, nel preordinamento della struttura didattica ed operativa emerge la sistematica della interdisciplinarietà e della reciproca interazione fra tecniche e procedure, in un mutuo scambio di esperienze. Su tutto l'insieme domina, poi, il principio della volontarietà del dise gno-progetto. Ciò rilevato, si è ritenuto opportuno indagare a quale precedente storico - vicino o remoto - potesse ricondursi la tematica enunciata. Esclusa dal novero la filosofia scola stica, con la quale esistono, accanto alle preferenze per una « summa theorica », evidenti divergenze in merito alla visione mistica, anzi metafisica, del mondo, al procedere dell'inda gine l'Illuminismo è apparso sempre meglio il più diretto antecedente del disegno ambientale. La teoria generale della progettazione - dichiarata per l'architettura da Blondel e Quatremère de Quincy, ma in realtà estensibile senza troppi sforzi al town design e al landscape architecture - appare enunciata per la prima volta in termini moderni. I due aspetti salienti che vi si possono riconoscere corrispondono, infatti, ai temi fra i più vivi e sentiti della cultura d'oggi: l'aspetto critico, che dà luogo al filone razionale espresso nelle teorie del Lodali e del Milizia; e l'aspetto naturalistico, che dà luogo al filone simbolico dei Boullée, Ledoux, ecc. Mentre per il razionalismo settecentesco la progettazione viene assimilata ad un processo creativo dominato dalla logica umana (in tal senso è infatti possibile parlare di un umanesimo illuminista), il naturalismo sfocia i n una concezione della progettazione come processo creativo parallelo a quello della natura - fisica e spirituale - della quale il progetto riecheggia, simbolica mente, forme e funzioni. La polarità si estende dunque an cora oltre il dualismo razionale-organico, che caratterizzò la cultura architettonica e urbanistica degli anni cinquanta, per anticipare una componente simbolica, solo più tardi rivalu tata nei progetti di Johnson e Kahn. Nel quadro della cultura contemporanea, gli studi sulI'environmental design sono suscettibili di un riscontro abba60
sranza preciso, nella direzione di almeno tre componenti: la componente naturalistica, quella tecnologica ed infine quella estetica, attinente alle arti visive. L'esigenza di un ripensa mento globale del progettismo è infatti emersa, forse per la prima volta, nel settore della critica d'arte: era logico, notava Argan 4 a proposito del fallimento del Bauhaus negli Stati Uniti d'America, che il sistema della produzione industriale
cercasse di condizionare la ricerca della qualità estetica dei prodotti alle proprie finalità ...; solo che a questo assalto biso gnava essere preparali, bisognava potergli opporre una strut tura teorica e metodologica che ordinasse in un sistema al trettanto saldo tutte le tecniche per la produzione di un am biente « estetico ». La debolezza teorica dell'industriai design si manifesta nell'urto con la struttura della produzione, così come oggi le preoccupazioni per una evidente instabilità me todologica della progettazione derivano soprattutto dalla pres sione esercitata dalla industria manifatturiera come da quella edilizia. Il modo più diretto e immediato di reagire a questa si tuazione consiste nella ricerca di una scientificità del metodo di progettazione, che consenta di opporre alle obbiezioni dei produttori argomentazioni altrettanto solide ed oggettive. E, come vedremo, il campo degli studi sull'environmental design non è esente da tale indirizzo. Ma esiste anche un altro at teggiamento, peculiare delle arti visive, che persegue lo stesso scopo con mezzi diversi: esso consiste nella tendenza alla creazione di ambienti totali, alla predisposizione di strutture ambientali complessive e non più di singoli oggetti. Gli artisti mirano a realizzare ambienti, situazioni spazio-temporali, non vogliono più progettare cose ma, anch'essi, l'ambiente della vita. Il fatto nuovo e importante, soggiunge Argan, è che non si cerca più di modificare oggettivamente l'ambiente, ma di modificare la facoltà psichica che percepisce l'am biente 5, agendo direttamente sulla immaginazione. L'apparato tecnologico sopprime l'immaginazione perché tende a vincolare l'uomo al suo presente di consumatore ed a sostituire il proprio progresso allo sviluppo umano promosso dalla im maginazione. Se tale è il significato dei numerosi e diffusi 61
esempi di enviromnent, si deve dedurre che la tendenza ad organizzare un nuovo ambiente fisio-psichico per l'uomo pos siede radici legittime nelle arti visive; anzi, il filone figurativo è forse quello che meglio si caratterizza in funzione di una reazione pacifica al mondo della tecnologia e dei consumi. L'organizzarsi del progettismo come sistema nasce quasi sempre dall'esigenza di contrastare gli effetti di un sistema antagonista, quello della produzione industriale. Ciò avviene al livello della pianificazione territoriale urbanistica, quando si tenta di preservare l'ambiente dalla erosione delle cave, dall'inquinamento atmosferico e delle acque, dalla invadenza delle costruzioni intese come bene di consumo, quasi osten tati simboli di una posizione nella società, come l'automobile. Così avviene anche al livello dell'industriai design, quando si progetta l'utensile o l'oggetto fuori dalle pressioni del mer cato, ponendosi come finalità unica la conformazione di un ambiente più umano e abitabile. Per evitare di essere strumentalizzato, il progettismo tenta dunque la via dell'autonomia: ma l'autonomia ideolo gica non è sufficiente a consentirgli un vero riscatto; è ne cessaria anche una autonomia metodologica. La politica chiede aiuto alla scienza, le chiede di certificare scelte ed orienta menti culturali. Da questa convinzione nasce la necessità, per il progettismo, di costituirsi una summa teorica, di racco gliere in un corpus, per quanto possibile unitario, tutta la materia inerente la progettazione ambientale, fino alla predi sposizione degli strumenti amministrativi ed operativi, con la creazione di un « ministero » dell'ambiente. Ma è già chiaro che qui si nasconde un altro pericolo, quello della interpre tazione tecnocratica dell'environmental design, che fa capo alla seconda componente rileyata all'inizio, la componente tecnologica. Il riconoscimento della utilità che i problemi dell'am biente non vadano trattati separatamente l'uno dall'altro e da distinte autorità, induce alla concezione di un piano me todologico che può identificarsi con il systems design appro ach. Le attività di trasformazione e di creazione dell'ambiente 62 umano, o delle strutture ambientali in senso lato, si richia-
mano pertanto a due discipline generali, il controllo ed il disegno ambientali 6• Gli operatori sono detti, genericamente, environmentalists, che possono distinguersi in physical envi ronmentalists (architetti, ingegneri civili, urbanisti, traspor tisti), dediti alla modificazione ed alla progettazione delle strutture fisiche artificiali dell'ambiente, ed in environmental scientists (chimici applicati, biologi, batteriologi, ingegneri sanitari, ecologi), prevalentemente impegnati nello studio dei caratteri naturali. Un grande corpo di impiantisti collabora, 'in questa accezione dell'environmental design, alla predispo sizione dell'habitat più conveniente alla specie umana. Solo una sfumatura separa quindi questa componente da quella che abbiamo definito naturalistica: uno dei più in sistenti inviti alla elaborazione di una metodologia generale dell'ambiente deriva infatti dal settore della geografia umana, che considera l'intero ambiente ecologico come il prodotto di una geografia «volontaria» 7• La possibilità di trasformare e addirittura di creare l'ambiente in cui essa vive è caratteri stica peculiare della specie umana. All'uomo è dunque affidata la responsabilità di contrastare l'erosione dell'ambiente natu rale, che potrebbe compromettere la sopravvivenza della specie. Per neutralizzare questo pericolo, niente affatto lon tano, tenuto conto dei mezzi di trasformazione attualmente in nostro possesso, occorre non soltanto acquisire una conce zione globale dell'equilibrio ambientale, ma altresì studiare e progettare giorno per giorno l'ecosistema umano nel suo in sieme di comunità viventi e di natura vegetale e minerale. Tuttavia, come osserva Denis Goldschmidt in un recente saggio 8, fino ad ora si può dire che nessun.o dei numerosi ten tativi di studio dell'environment urbano sia stato condotto partendo da una esatta problematica, comprendente cioè tutti i parametri che costituiscono lo specifico fattore di comples sità del fenomeno urbano. La proposizione di Gropius, lan ciata nel 1956, sembra ancora destinata ad attendere la cor retta applicazione: il nostro compito, egli infatti scriveva, di creare un ambiente gradevole abbraccia tutta l'esistenza del l'uomo civile; il destino del suolo, le foreste, le acque, le città e il paesaggio, le scienze umane, biologiche, la sociologia e la 63
psicologia, le leggi, il governo, l'economia, l'arte, l'architettura e la tecnologia 9, tutto questo rientra nel quadro della pia nificazione ambientale. Poiché infatti tutti questi fattori di pendono l'uno dall'altro, non è più possibile considerarli se paratamente. Metterne in evidenza le corrispondenze è certa mente molto più importante, per il successo della pianifica zione e la trasformazione corretta del mondo che ci circonda, di tutte le soluzioni particolari, limitate ad un ristretto ambito di territorio, per quanto perfette e pratiche esse possano risultare... La creazione di una coscienza ecologica globale appare così lo scopo preliminare dell'environmental design; alla co noscenza della materia su cui il designer opera dedicano due lunghi articoli Jean Zeitoun (Vers une nouvelle compréhen sion de l'environnement) e Yves Bétolaud (Urbanisation et nature) dalle colonne di L'Architecture d'aujourd'hui 10• Men tre nel primo d'essi si analizza la nozione di paesaggio come
il prodotto della interpretazione e della frequentazione del l'environment da parte della società umana, nel secondo si
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trae spunto dalla continua degradazione cui è soggetto l'am biente abitato per proporre il coordinamento ed il controllo di tutti i modi d'intervento dell'uomo sulla natura. L'analisi dell'ecosistema umano va dunque eseguita includendovi an che l'azione dell'uomo: accanto alla tematica interdiscipli nare emerge, in questi scritti, una interessante osservazione: le strutture ambientali appaiono sempre più difficilmente in terpretabili in termini detenninistici, cioè di rapporti causa effetto. Molto meglio vale, per l'analisi ambientale, lo studio di quali siano le più probabili eventualità che, in un dato contesto sociale, si verifichino in rapporto ad un obiettivo di sviluppo economico sociale, prescelto. Il perseguimento di siffatti obiettivi di studio ha reso, negli ultimi anni, necessaria l'istituzione di appositi centri didattici e di ricerca, modellati su di uno schema di spinta interdisciplinarietà, quale raramente è dato di realizzare nelle tradizionali istituzioni della cultura settorializzata. Oltre il College of Environmental Design dell'Università di Califomia (Berkeley) del quale demmo notizia nella precedente
rassegna 11, agiscono oggi, in Europa, due centri per lo studio dei problemi dell'ambiente. Varie sfumature di struttura e di indirizzo li caratterizzano: cercheremo qui di dar conto della loro fisionomia, che ci appare tanto più interessante in quanto concepita fuori di ogni schema ufficiale e foriera, forse, di suggerimenti per una migliore organizzazione della nostra didattica e della nostra ricerca. Ci riferiremo al Centre far Environmental Studies, attivo a Londra dall'aprile 1967, e all'lnstitut de l'Environnement, costituito a Parigi nel no vembre 1969 12. Il Centre far Environmental Studies è un organo indi pendente di ricerca, finanziato dalla Fondazione Ford e dal governo inglese. Il suo maggiore interesse di ricerca è foca lizzato sui problemi sociali ed economici della pianificazione urbana e regionale. L'lnstitut de l'Environnement, fondato per iniziativa del ministero francese della cultura, si qualifica come centro pluridisciplinare di formazione e di ricerca: esso si propone di promuovere un rinnovamento dell'insegnamento dell'urbanistica, dell'architettura, del design e delle tecniche della comunicazione. Meno specialistico del primo centro, l'istituto creato a Parigi riflette, in sostanza, interessi che rientrano nel comune raggio d'azione dell'environmental design: illustriamo dell'uno e dell'altro nei dettagli programmi e metodi operativi. Dopo un primo anno di attività essenzialmente prepara toria, il Centre for Environmental Studies ha sviluppato un programma di ricerche, intrapreso, oltre che presso il Centro, anche presso istituti universitari ed altri centri di ricerca, che verte sui tre seguenti temi principali: conoscenza delle
attività operative nel campo della pianificazione ambientale, svolte al livello urbano e regionale; sviluppo delle indicazioni circa la comparsa di nuovi problemi territoriali; messa a punto di nuove metodologie nel campo del « planning » e del « design » 13• Le ricerche svolte o impostate sul primo tema hanno chiaramente lo scopo di ampliare la conoscenza delle tecniche operative adoperate sia da enti pubblici che da autorità am ministrative, nel Regno Unito e fuori. La base conoscitiva della 65
situazione presente è considerata un fondamento indispensa bile per intraprendere qualsiasi ricerca proiettata nel futuro ed inoltre rappresenta un aiuto per la comprensione di pro blemi locali di ordine economico e sociale. Gli studi indiriz zati sul secondo tema mettono, invece, in evidenza le ten denze di alcuni territori, soggetti ad una particolare fenome nologia, a creare nuove situazioni urbanistiche e a porre al pianificatore nuovi problemi: nei prossimi cinque o dieci
anni, ad esempio, la Gran Bretagna si troverà di fronte a problemi della massima importanza - quali quelli del rinno vamento urbano e della forma della città - e per questo motivo il Centro si prepara ad approfondirne gli aspetti teorici ed operativi 14• Terzo tema, infine, è quello metodologico: tutti gli studi intrapresi in questa direzione posseggono ampie im plicazioni circa la metodologia progettuale e la politica di gestione del territorio. In questa triplice sfera, non priva comunque di numerose interferenze interne, si svolgono le attività di un gruppo di studio interdisciplinare: parte essenziale del complesso di ri
cerca, questo gruppo si occupa di definire ed ampliare lo studio del rinnovamento urbano, della forma della città e dei problemi sociali ed economici connessi. Gli argomenti in
dicati sono infatti uno dei nodi centrali della tematica in terdisciplinare dell'urbanistica: forma e stru , ttura urbana e loro relativo sviluppo in un prossimo futuro non possono es sere studiati separatamente dalle numerose implicazioni eco nomico-sociali; approfondirne la tematica al livello delle co noscenze interdisciplinari appare, allo stato, l'unico metodo atto a garantire, in fase operativa, una sensibile aderenza alle situazioni reali. Il Centro inglese imposta realisticamente an che i suoi programmi di lavoro, in previsione dei compiti cui saranno tra breve chiamati i pianificatori: nel campo del rinnovamento urbano, a causa della fatiscenza e della inade guatezza ai nuovi modi di vita della maggior parte delle città del mondo occidentale, nei prossimi anni si dovranno pren
dere importanti decisioni circa la politica urbanistica da se guire in ciascuna situazione e circa le future funzioni, di or66 dine economico e di ordine sociale, che alcune parti delle
nostre città maggiori saranno chiamate a svolgere; settori urbani al presente in declino o addirittura in decadenza, af follati di edilizia non più idonea e di servizi insufficienti. La impostazione degli studi sul problema del rinnova mento urbano appare realistica, ma forse carente di un aspetto, a nostro avviso, non trascurabile: quello cioè della conservazione dei caratteri ambientali e della necessità di continuare ad esprimere, con le nuove forme, la carica sim bolica di questi centri antichi - cui si rivolge, di norma, l'urban renewal - in altre parole, la esigenza di risemantiz zare, oltre che rendere funzionale, il cuore affaticato delle vecchie città. L'interdisciplinarietà proclamata sembra quindi prospettare qualche lacuna. Il disegno degli spazi civici si dilata alla dimensione ur bana negli studi sulla forma della città: nello sviluppo delle città e delle regioni urbanizzate, ci si chiede nei programmi di lavoro, quali saranno le strategie più idonee a conferire alla comunità i maggiori benefici sociali ed economici? Quale sarà l'evoluzione futura del concetto di « centro della città »? t:. appena il caso di ricordare che, dato il taglio economico sociale con cui viene condotto in questo Centro lo studio dell'environment, piuttosto che di forma in senso visivo si tratta qui di forma organizzativa, in termini di struttura socio-economica. Questo, forse, è anche il motivo per cui, nelle ricerche di metodo svolte nell'ultimo anno, fa partico lare spicco un corso sui modelli matematici nella pianifica zione (marzo 1969), ed in ordine al quale il Centro trattiene rnpporti con un gran numero di amministrazioni locali, con lo scopo di aiutarle a migliorare le loro tecniche di gestione, individuando, al tempo stesso, nuovi temi di ricerca. Del resto, i temi prescelti e sviluppati esprimono abbastanza chiara mente l'ambito culturale in cui il Centre for Environmental Studies agisce. Uno degli argomenti ricorrenti è quello della localizza zione delle industrie nelle aree metropolitane (Gordon Ca meron) come processo decisionale degli investimenti, accom pagnato da una socia[ area analysis (Barry Cullingworth), in cui, secondo il procedimento analitico messo a punto in 67
tali ricerche, ciascun elemento del territorio studiato viene descritto in termini di caratteristiche socio-economiche della popolazione che vi risiede; gli elementi di territorio aventi caratteristiche sensibilmente uguali possono poi essere com binati per formare aree sociali, definibili tramite particolari indici e parametri. Adoperando questo metodo si compone una mappa, detta « social area map », della città e della co nurbation, la quale può essere adoperata in tutta una serie di ricerche successive, anche di carattere progettuale 15• Altri argomenti di ricerche esaurite oppure in corso riguardano il contesto sociale del rinnovamento urbano (Peter Norrnan), lo studio comparato della stratificazione sociale in Gran Bre tagna ed in Svezia (Richard Scase), lo studio dei patterns che, nelle aree metropolitane, tende ad assumere l'attività lavorativa e ricreativa della famiglia (Michael Young e Peter Willmott), con particolare riferimento alla Greater London ed all'anello agricolo che la circonda. A quest'ultimo tema si ri connette lo studio diretto da Ray Pahl sui patterns di vita nelle aree limitrofe alle regioni metropolitane, mentre altri due filoni, della igiene ambientale e della mobilità fisica e so ciale delle popolazioni e delle relative strutture motivazionali, emergono negli studi sull'inquinamento atmosferico (Alice Garnett) e sulle strutture motivazionali e tipi di mobilità (Rex Taylor). Il settore della ricerca di metodo è stato svi luppato poi da Peter Hall, con uno studio sui modelli spa ziali nelle sub-regioni metropolitane, in cui viene discussa una nuova metodologia capace di fomire modelli di sviluppo regionale, permettendo altresì al planner di verificare le con seguente di alternative strategie d'intervento 16• Diamo, infine, notizia di uno dei più importanti risultati delle ricerche coordinate svolte nel Centre for Environmental Studies a partire dal novembre 1967, dal gruppo di ricerca per lo studio dei developing patterns of urbanisation, ossia dei « modi di sviluppo del fenomeno città ». I documenti re lativi alla prima fase della ricerca sono stati pubblicati nel novembre scorso 17 e comprendono numerosi saggi dedicati, fra l'altro, a: le risorse e la struttura economica (Peter 68 Stone), i trasporti (Peter Hall), la struttura sociale (Peter
Willmott), le comunicazioni (Peter Cowan), l'istruzione (Ce dric Price), razzismo e diritti dell'uomo (Nicholas Deakin), risorse e limitazioni dell'ambiente (Emrys Jones), tempo libero e svago (Brian Rodgers), tecnologia (David Bayliss), pianifica zione delle previsioni (Alan Wilson). Il gruppo sta ora prov vedendo a condurre avanti la seconda fase dello studio sullo sviluppo culturale, sociale, economico e geografico della ur banizzazione, sullo sviluppo delle strutture dei trasporti e dell'amministrazione pubblica. Mentre di estremo interesse appare il carattere interre lato di alcuni studi, che realmente consente il maturarsi di una concezione globale dell'environment, va altresì sottoli neato il contenuto di un saggio, comparso recentemente nella rivista New Society 18, firmato dal nuovo direttore del Centro, David Donnison, in cui sono riassunti metodi e finalità del l'organismo. Una delle principali motivazioni per uno sviluppo relati vamente facile del Centro consiste, egli scrive, nel fatto che
oggi gente di ogni tipo ed estrazione si interessa sempre più agli argomenti che il Centre far Environmental Studies è indotto ad approfondire. Si è finalmente compreso che il planning, un tempo considerato come qualcosa che aveva a che fare con le cinture verdi e le licenze edilizie, può in realtà determinare fatti rileval'lti come la localizzazione di molte famiglie, le opportunità di lavoro, la possibilità di recarsi da un punto all'altro del territorio in un tempo ragionevole. Il rumore, l'inquinamento atmosferico e la congestione stanno diventando argomento di programmi politici, cui il governo deve prestare la massima attenzione. Ma vi sono, al tempo stesso, ragioni che rendono più complesso il compito di ri cerca del Centro: saremo sempre più preoccupati, nel pros simo futuro, per la «qualità» dell'ambiente. A mano a mano che diventiamo più ricchi, il problema centrale si sposta dal volume alla distribuzione delle risorse. Lo sviluppo economico e la crescita delle città hanno profondamente intensificato la tendenza alle ineguaglianze, alla segregazione fra ricchi e po veri, alla esclusione delle minoranze dalla gestione pubblica, ed infine alla disintegrazione del corpo sociale, tendenze 69
queste che sono state a volle soppresse ma mai invertite dal moderno planning e dal « welfare state ». Sarebbe molto più facile contrastare queste tendenze se potessimo per un momento dimenticare il processo di sviluppo di cui siamo testimoni e procedere alla redistribuzione delle risorse di cui disponiamo. E. quello che avviene, esattamente, mediante una guerra o una rivoluzione, ma ad un costo, per altri versi, troppo elevato. In un clima di pacifica democrazia, continua Donnison, questa ridistribuzione dipende in larga misura dal ritmo dello sviluppo economico. Come accordare il ritmo di
sviluppo ad una migliore e più equa ripartizione dei beni è uno dei quesiti fondamentali cui dovrebbe rispondere la pianificazione occidentale; esso contribuisce a fornire il con
testo alle scelte prioritarie che si operano nel Centre for En vironmental Studies, ... riguardo la evoluzione dell'insedia mento umano, il suo sviluppo, la decadenza ed il suo rinnova mento, la sua struttura ed i nessi che legano l'uno all'altro i vari settori di attività, nonché i processi economici, sociali e politici che ci rendono conto di questi patterns. Ogni disci plina ha bisogno del supporto dell'altra; e in questo quadro, la distinzione fra ricerca « di base » e ricerca « applicata » perde di significato. L'altro punto particolarmente significativo, sottolineato in questo articolo, riguarda la posizione del Centro nei con fronti delle altre strutture culturali e sociali: il Centro si
trova fra il governo, le università ed i professionisti che la vorano nel campo della pianificazione. Lo svantaggio di essere esposti al tiro da tre distinte posizioni è largamente compen sato dal vantaggio della indipendenza: un reale contributo alla politica della pianificazione deve essere fondato su di una solida ricerca e su di una indiscussa indipendenza. Il Centre for Environmental Studies non sarà mai l'esecutore di deter minate direttive strategiche: trincerandosi dietro una posi zione di assoluta obiettività, Donnison conclude che il Centro
esprime un gruppo di pressione sociale e culturale, che agisce nell'interesse esclusivo dei fatti (the centre is not a pressure
group for anything except for the facts). 70
Una altrettanto chiara dichiarazione di centrismo cultu-
raie non è dato ritrovare nei documenti programmatici del-
1'/rzstitut de l'Environnement. Meglio definito appare invece l'orientamento pedagogico: lo studio di analoghe istituzioni straniere, si legge nel programma 1969-70 19, induce a ricercare una nuova strada compresa fra le due interpretazioni estreme del concetto di en.vironment; l'interpretazione estensiva, che tende ali' enciclopedico, alla super-università; l'interpretazione restrittiva, che riduce l'environment ad uno statico assem blaggio di prodotti e di immagini, e tende a dissociare l'uomo dalle cose e gli uomini tra loro. La stessa analisi critica mostra l'insufficienza di una cooperazione limitata al livello creativo e rivela le difficoltà concrete di rapporti fra discipline nel momento in cui la gran massa di studenti quasi impone la chiusura in compartimenti. Per questo motivo, l'lnstitut de l'Environnement deve restare un centro sperimentale di pic cole dimensioni, che si propone di sviluppare e mantenere in cerferenze permanenti fra due indirizzi : quello della « cono scenza », che classifica gli obiettivi, i mezzi e le conseguenti linee d'azione possibili; quello dell'« azione», che esegue le scelte e le rende operanti. Il confronto permanente fra le at titudini speculative e pragmatiche deve poi render conto, senza pregiudizi né animosità, delle modalità di ricerca e progettazione in équipes pluridisciplinari; dei rispettivi limiti di scienza ed arte, degli apporti specifici degli esperti dei pro blemi generali o particolari 20• Un enunciato, come si può riscontrare, basato con car tesiana chiarezza sulla composizione dell'antitesi fra teoria e pratica, che informa l'intero ciclo di preparazione alla ri cerca e all'insegnamento, il quale si articola in seminari, corsi teorici ed esercitazioni, conferenze-dibattito, addestramento alla ricerca. Ma veniamo al-l'oggetto dello studio, l'ambiente. L'am biente dell'uomo, si legge in uno dei documenti di aper tura, comprende un insieme di elementi molto diversi: esseri
viventi, oggetti, fenomeni naturali e sociali. Parafrasando Au guste Perret, si potrebbe affermare che tutto quanto - mobile o immobile - occupa uno spazio appartenga all'am biente. Agli elementi spaziali bisognerebbe poi aggiungere le 71
relazioni, i comportamenti, i conflitti risultanti dalla compo sizione dell'insieme, che fanno ugualmente parte dell'am biente. Fra le altre interpretazioni più restrittive vi è, invece, quella proposta dall'Università di Rennes, ad esempio, con la creazione di una Unità delle Scienze del comportamento e del l'ambiente. I temi di ricerca ed i programmi d'insegnamento di questo organismo toccheranno i comportamenti dell'uomo e degli animali nel loro rispettivo ambiente fisico-chimico, biologico e sociale. l'unità comprenderà dipartimenti arti colati fra ecologia, etologia, psicologia e pedagogia. In un settore di studi più vicino al nostro, alcuni istituti americani ed europei si sono serviti della nozione di envi ronment per raggruppare e trasformare alcuni insegnamenti, un tempo affidati esclusivamente alle scuole di arti plastiche. La cultura americana tende a distinguere fra « environmental control » (controllo dell'ambiente) ed« environmental design» (sistemazione dell'ambiente). Il controllo dell'ambiente si occupa delle trasformazioni coscienti del contesto naturale dell'uomo nei suoi aspetti climatici, geofisici ed ecologici. La sistemazione dell'ambiente si riferisce, invece, esclusivamente alle strutture materiali artefatte dall'uomo per il proprio uso. Entrambi i campi hanno caratteristiche interdisciplinari 21• Pur rappresentando un notevole progresso rispetto a strut ture più tradizionali, Berkeley, Harvard oppure Ulm presen tano ancora notevoli inconvenienti, soprattutto nel campo della collaborazione fra le varie discipline: alcuni insegnanti sono i primi ad ammettere che i contatti fra le sezioni sono, di fatto, molto rari e che il beneficio che risulta dalla loro vicinanza è difficile da valutare; spesso, inoltre, il raggruppa mento stesso delle discipline risulta arbitrario. Ciò dipende quasi sempre dalle strutture amministrative, dalle tradizioni accademiche e dalle risorse locali ereditate, loro malgrado, da tali scuole. L'Jnstitut, invece, ha il vantaggio di non partire da strutture preesistenti e può formare raggruppamenti ex novo intorno ai temi interdisciplinari. La preoccupazione principale è dunque nell'ampiezza da conferire al raggio degli interessi di studio: poiché non di12 sponiamo ancora di una teoria dell'environment e della sua
progettazione, è preferibile riferirsi al contesto storico in cui si è sviluppata l'idea di environmental design, per delinearne i contorni con maggiore precisione. La necessità di dominare le trasformazioni ambientali prodotte dall'industrializzazione, dall'aumento demografico e dalla progressiva urbanizzazione, è stata ben presto riconosciuta. Questo problema riguarda oggi tutti i paesi, indipendentemente dal loro grado di svi luppo e dal loro sistema economico. Ultimamente, un rap porto stilato dalle Nazioni Unite ha lanciato un vero grido d'al larme contro la degradazione dell'ambiente umano. Nel 1972 si terrà una conferenza internazionale per tentare di organiz zare una strategia mondiale in questo delicato settore. Con queste istanze di base, comuni, fra l'altro, a tutte le iniziative per lo studio e la progettazione dell'ambiente, è chiaro che se si vuol dare un senso concreto all'idea di environmenlal design bisogna prima di tutto riferirsi alla urgenza di soddi sfare i bisogni sociali, i quali riguardano, essenzialmente: lo sviluppo regionale, la pianificazione degli alloggi, i luoghi e i posti di lavoro, i servizi pubblici, le attrezzature collettive, l'informazione e la comunicazione. E ci sembra che in questo quadro, sensibilmente coincidente con gli interessi econo mico-sociali del primo centro analizzato, l'environmental de sign si configuri soprattutto come pianificazione urbanistica del ten-itorio, perché esso non deve essere considerato né come un ricettacolo privo di discriminazione, né un alibi per una pedagogia incompleta o dilettantistica, né come il rilancio dell'ormai defunta sintesi delle arti, e tanto meno come un ideale di unità formale. E non deve rappresentare neppure una nuova professione per sognatori onniscienti 22• Il contributo fornito, per il momento, da questo Istituto ai problemi della formulazione teorica dell'environment e della relativa metodologia d'approccio, sembra compensare la mancanza· di studi, ricerche o progetti già conclusi, la cui elaborazione assorbe tempi necessariamente lunghi. Riservan doci di discuterne, più tardi, i primi risultati concreti, vor remmo concludere la rassegna degli studi sull'ambiente con il riferimento ad un lungo lavoro di Philip Thiel, iniziato nel 1952 presso l'M.I.T., circa la possibilità di sviluppare un 73
sistema di segni grafici - analogo alla notazione musicale come mezzo tecnico di lettura e progetto dell'ambiente fi sico 23• Lo studio è chiaramente confinato nei limiti della strut tura visiva dell'environment, anche se non mancano riferi menti alla notazione di stimoli sensoriali d'altra natura; ma, a parte il fatto che i problemi della rappresentazione dello spazio visivo sono tuttora vivi nella cultura urbanistica ed architettonica 24, esso rivela un tipo di approccio globale che lo rende affine agli altri studi sulle strutture ambientali, che abbiamo illustrato, pur nella chiara derivazione Beaux-Arts. La globalità dell'indirizzo si manifesta già nella nomenclatura adoperata: envirotecture è ogni forma d'intervento volontario sull'ambiente, che faccia appello ad una esperienza spaziale « totale »; ... envirotect è il tecnico che studia e prefigura le esperienze spaziali che possono scaturire dalla associazione di diversi elementi ambientali: case, giardini, arredi urbani, paesaggi naturali, collegati in una sequenza temporale 25• Piut tosto che il disegno delle singole parti della scena ambien tale, interessa qui la regìa dei rapporti fra queste entità; ciò che crea un environment di particolare significato non è il valore dei singoli segni, ma il modo come essi si associano. In tal senso è allora possibile sostituire questi ultimi cia scuno con una nota che ne caratterizzi il tipo e la intensità, secondo un codice prestabilito, ordinandoli poi in una se quenza temporale, fornendo loro, cioè, il terzo elemento ti pico, la durata. Così è possibile procedere parallelamente, su vari canali d'informazione, riferiti al tempo in cui avviene lo sposta mento, alle distanze orizzontali lungo la traiettoria descritta, alla velocità dello spostamento ed alla sua direzione (nel piano orizzontale e nel piano verticale). Gli elementi ripor tati progressivamente sui canali sono stati dal Thiel mutuati dagli studi empirici di Lynch e Kepes, e classificati in cin que tipi: elementi piani bidimensionali (quartieri o parti di città, incroci); elementi lineari ad una dimensione (strade, bordi); elementi unitari, o punti, privi di dimensione geome trica, pure situazioni di riferimento. Tutti questi elementi 74 possono essere utilizzati, nell'esperienza dell'ambiente, o
come obiettivi o come indicazioni,· cioè come guide per rag giungere altri obiettivi. L'anatomia dello spazio visuale continua con la defi nizione di altre categorie di ambienti: lo spazio primario, che si identifica con il più piccolo ambiente abitabile, la ca mera; lo spazio secondario, coincidente, al limite, con il pae saggio. Spazi meno chiaramente definiti compongono una serie intermedia fra i precedenti. Questo concetto introduce un'altra classifica dello spazio in base al suo grado di determinazione: le caratteristiche di di esso variano dallo spazio ambiguo e imprecisato dell'am biente « suggerito » da pochi elementi quasi privi di legami fra loro, fino al « volume », che è uno spazio ben delimitato da superfici in diverse posizioni, e collegate fra loro, attra verso ambienti più o meno «abbozzati». Gli spazi interni degli edifici sono generalmente dei volumi o degli spazi for temente abbozzati; gli spazi esterni delle città moderne ap partengono alla categoria degli spazi appena abbozzati (men tre lo spazio della città medioevale tende al volume), e gli spazi semplicemente suggeriti si ritrovano soprattutto nel l'ambiente paesistico naturale o in certe zone particolar mente dilatate delle città contemporanee 26• La variabilità descritta deriva, oltre che dalle caratteri stiche morfologiche dell'ambiente, anche dalla possibilità di fruire di esso in modi diversi. Più lo spazio è chiuso, deter minato nel volume, più è univoca la sua fruizione e l'espe rienza spaziale connessa. Lo spazio semplicemente suggerito, invece, richiede da parte di colui che ne fa esperienza uno sforzo complementare che gli permetta di organizzarlo in una visione organica. Naturalmente, tale visione è assai meno univoca che nel caso precedente: vi possono essere, secondo il Thiel, spazi che suggeriscono diverse strutture segniche proprio a causa della loro indeterminatezza fisica, spazi che traggono forza e suggestione proprio dalla ambiguità dei sensi riposti dietro la loro apparente vaghezza. Spazi, dun que, aperti anche in senso estetico, in quanto hanno la loro origine nel mondo della realtà fisica, oggettiva, ma trovano il loro completamento quali immagini con un salto nella sfera 75
psichica, individuale e collettiva. Gli spazi abbozzati, poi, sono gli ambienti il cui grado di indeterminazione viene gra dualmente ridotto nella misura in cui aumentano i vincoli, in cui, in altri termini, ci si avvicina alla chiusura, alla ele mentarità del segno spaziale. Particolare attenzione dedica poi il Thiel alla analisi degli elementi di raccordo fra i vari ambienti: condizioni di fusione si hanno quando due o più spazi suggeriti si incon trano senza che vi sia tra di loro un ben determinato punto di collegamento, quando uno degli spazi « scivola» nell'altro e si confonde con esso. In tal caso una parte dell'ambiente appartiene indifferentemente all'uno e all'altro spazio. Al l'altro estremo, è lecito parlare di porta, quando il passag gio da uno spazio all'altro si effettua dopo una certa chiusura. Lo studio continua con l'approfondimento di altre caratteri stiche dell'environment: oltre il numero (ritmo), la posizione, la direzione, la dimensione e la forma degli elementi, se ne analizzano il colore, la tessitura, la luce, la scala. Per quanto utile alla sistemazione disciplinare della materia, questa se rie di osservazioni ci appare elusiva proprio sotto il profilo metodologico, in quanto lega in un modo, a nostro avviso, troppo semplicistico e diretto il dato fisico dell'ambiente con la sua struttura figurativa. La prova di tale debolezza è che, malgrado l'assoluta generalità della formulazione teo rica, essa spesso non regge aHa applicazione in alcuni casi particolari, che, per rappresentare appunto situazioni-limite, possono fungere da pietra del paragone per ogni nuovo me todo di lettura o di indagine conoscitiva. Basterebbe rife• rirsi, ad esempio, ad un environment particolarmente com plesso e problematico come lo spazio del ricetto della Lau renziana, per notare subito che, almeno in quel caso, affer mare che la esperienza spaziale che può farne il fruitore sia univocamente determinata sol perché si tratta di un am biente fisicamente chiuso, è quanto meno mistificante. Dal panorama osservato - sufficientemente ampio per una disamina dell'argomento, ma non esente forse da omis sioni che si devono attribuire unicamente a un nostro difetto d'informazione - si può dedurre una considerazione di fon76
do: che siamo, cioè, ancora ben lontani dalla formulazione completa di una metodologia generale dell'environment, ove si dimostri che ve ne possa essere una. Dopo aver fornito queste informazioni, ci appare infatti legittimo avanzare un dubbio: la tendenza alla globalità, che all'inizio di questa rassegna viene indicata come la caratteristica peculiare del l'environmental design, se per un verso riflette una esigenza obiettiva di coordinamento e di sintesi disciplinare, presente anche nella nostra cultura, per altri versi può, con estrema facilità, tradursi in un ennesimo tentativo di evasione ideo logica. Riconosciuta la crisi dell'intervento progettuale nella dimensione edilizia o, tout-court, tradizionale, si cerca di ag girare l'ostacolo di un ambiente « disintegrato » rinviando il superamento delle contraddizioni con il semplice trasferi mento degli stessi metodi progettuali ad una dimensione più ampia, coincidente al limite con tutto l'ambiente umano, nelle sue strutture morfologiche ed organizzative, ad una dimen sione pur sempre governata dalle medesime strutture tecno cratiche, dove l'uomo è oggetto piuttosto che soggetto d'in tervento, dove ancora vigono, in definitiva, le stesse regole del gioco. URBANO CARDARELLI
1 C. A. DoXIADIS, Oecumenopolis: ville mondiale de l'avenir, in lmpact, science et société », Unesco voi. XIX, n. 2, aprile-giugno 1969, pp. 199-215. 2 Ibidem, p. 211. 3 U. CARDARELLI e F. STARACI!, L'« environmental design,. e il suo in segnamento, in « Op. cit. », n. 13, settembre 1968, pp. 5-29. 4 G. C. ARGAN, Relazione al e XVII Convegno internazionale Artisti, Critici e Studiosi d'Arte» sul tema: Strutture ambientali, Cappelli 1969, pp. 36 e segg. s Ibidem, p. 38. 6 Tale schema è diffuso soprattutto nella cultura nord-americana, che contribuisce agli studi suU'environment con le scuole di Berkeley e di Harvard. 7 Si veda, per questo indirizzo, soprattutto il lavoro dei geografi francesi, da Pierre George a Jean Labasse. 8 D GoLDSCHMIDT « Architecture ou Révolution? », in « L'Architec ture d'�ujourd'hui », 'n. 145, settembre 1969, pp. 14-29. 9 W. GROPIUS Scope of Total Architecture, New York 1962, p. 150. 10 J. ZmrouN' La notion de Paysage, in « L'Architecture d'aujour d'hui », n. 145, ;eltembre 1969, pp. 30-38; Y. BETOLAUD, Urbanisation et nature, Ibidem, pp. 43-46. «
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11 Cfr. nota 3. 12 Il primo centro ha sede a Londra, 5 Cambridge Terrace, Re gents Park, NWl; il secondo a Parigi, rue Erasme 14-20, V•. n CENTRE FOR ENVIR0NMENTAL SruDIES, Second Annua/ Report, April 1968 lo Marc/1 1969, London 1969, pp. 8 e segg. 14 Ibidem, p, 9. 1s Ibidem, p. 12. 16 Ibidem, p. 15. 11 Riportiamo integralmente la bibliografia dei lavori pubblicati dal Centre for Environmcntal Studies fino al dicembre 1969. Lavori pubblicati fino al 31 marzo 1969: WoRKING PAPERS: WP 1. The use of entropy maximising models in the theory of trip distribution, mode split and route split (A. G. Wil son); WP 2. Centrai piace theory I. A review (K. Szumeluk); WP 3. Mo dels in urban planning: a synoptic review of recent literature (A. G. Wilson); WP 4. Notes on some concepts in socia! physics (A. G. Wilson); WP 5. The future of the city region: SSRC/CES joint conference pa pers, Volume I; WP 6. The future of the city region: SSRC/CES joint conference papers, Volume II; WP 7. A discussion of some of the fac tors influencing the income distribution of households within a city region (M. J. H. Mogridge); WP 8. Some changing characteristic of research in environmental studies (D. Bayliss); WP 9. Centrai piace theory II. lts role in planning with particular reference to retailing (K. Szumcluk); WP 10. Spatial structure and socia! structure (R. Phal); WP 11. The integration of accounting and location theory frameworks in urban modelling (A. G. Wilson); WP 12. Population growth and m<> vement (J. Willis); WP 13. An introduction to factor analysis and its application in regional science (T. A. Broadbent); WP 14 Problems of Jocation: Jinear programming (D. Massey); WP 15 Problems of location: game theory and gaming simulation (D. Massey); WP 16. Retail loca tion models (M. Cordey-Hayes); WP 17. Some recent trends in forecast ing (D. Bayliss); WP 18. Beyond the industriai age. Permissive plan ning (M. M. Webber); WP 19. lnter-regional commodity flows: entropy maximising approaches (A. G. Wilson); WP 20 Research for regional planning (A. G. Wilson); WP 21. The effects of changes in travel costs on trip distribution and moda! split (G. M. Hlman and A. G. Wilson); WP 22. Developments of some elementary residential location models (A. G. Wilson); WP 23. Some techniques for regional economie ana Jysis (T. A. Broadbent); WP 24. Some simple models for distributing changes in employment within regions (D. Massey); WP 25. Data and retailing (K. Robinson); WP 26. Entropy in urban and regional model ling (A. G. Wilson); WP Zl. On a class of market share functions (A. J. Blackburn); WP 28. The housing market (D. B. Martin); WP 29. House> hold income and household composition (M. J. H. Mogridge); WP 30. Urban systems analysis and transportation planning (D. Bayliss and A. G. Wilson). INFORMATI0N PAPERS: IP 2. The organisation of urban and regional planning research in European countries (C. Cockburn); IP 3. The struc ture of urban and regional planning research in Britain (C. Cockburn); IP 5. The future of the city region: report of SSRC/CES conference, July 1968; IP 6. CES research grants 1967/1968.
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Lavori pubblicati a partire dal J• aprile 1969: WoRKING PAPERS: WP 31. The calibration of trip distribution models (G. M. Hyman); WP 32. The use of analogies in geography (A. G. Wil son); WP 34. Planning, incomes and increasing prosperity (M. J. H.
Mogridge); WP 36. New directions in strategie transportation planning (A. G. Wi!son, D. Bayliss, A. J. Blackburn & B. G. Hutchinson); WP 37. Disaggregating elementary residential locating models (A. G. Wilson); WP 38. Forecasting ' planning ' (A. G. Wilson); WP 39. The economie evaluation of urban transportation investments (B. G. Hutchinson); WP 40. Suburban housing estates: socia! composition and socia! cha racteristics (J. and R. Darke); WP 41. Physical and socia) factors in neighbour relations (J. and R. Darke); WP 42. Socia) class and socia! status (J. and R. Darke); WP 43. Measures of benefit in the evaluation of urban transport improvements (A. G. Wilson & R. M. Kirwan); WP 46. A kinetic theory of traffic distribution and similar problems (S. G. Tomlin); WP 47. Time-dependent traffic distributions (S. G. Tom lin); WP 52. Calibrating and testing the SELNEC transport model (A. G. Wilson, A. F. Hawkins, G. J. Hill and D. J. Wagon). UNIVERSITY W0RKING PAPERS: UWP 1. Regional earnings and regional dcvelopmcnt (K. McLeod & E. Watkin); UWP 2. Urban systems: towards an exploralive model (M. Echenique); UWP 3. Regional conversions of agricullural land to urban use in England and Wales, 1945-1967 (R. H. Bcst & A. G. Champion); UWP 4. Housing classes and the socio-ecolo gica! system (Roslin H. Barbole!); UWP 5. Urban sociology and plan ning: urban socia! theory and research (R. E. Pani); UWP 6. Urban sociology and planning: examples of sociologica! research relevant to -planning problems in some European countries (J. Musi!); UWP 7. Ur ban sociology and planning: sociology of planning and urban growth (H. Gracey), INF0RMATI0N PAPERS: IP 7. Population growth and movement; IP 8. Information and urban planning. (Pubblicato in due volumi). Il primo volume comprende i seguenti saggi: Bachground paper to the conference by Ortrude White and Jeffrey Willis, C.E.S.; Information availability for regional plannig, by Professor Peter Hall and Eric Cripps, Department of Geography, University of Reading; Current use of infonnation in urban planning, by Brenda White of the Library As sociation; Aerial suveying and its potencial in urban planning, by Dr. W. G. Collins Department of Civil Engineering, University of Leeds. Il secondo volume contiene: Data banking for urban planning, by Owe Salomonsson, Centrai Bureau of Statistics, Stockholm; The fu ture om models and data in urban analysis and design, by Professor Britton Harris, Department of City Planning University of Pennsylvania; The future of the Census, by C.A.F. Russell, Census Division, Generai Register Office; The future of national infonnation systems, by M. Lawer, National Data Processing Service, G.P.O. IP 9. Urban sociology and planning (R. Darke); IP 10. Developing patterns of urbanisation. li D. DoNNIS0N, Pressure Group for the Facts, in e New Society •, London, 11 dicembre 1969. 19 Dai documenti ciclostilati diffusi dall'Institut de l'Environnement all'atto della sua costituzione. Cfr. anche: Un Institut de l'Environne. ment en France, in « L'Architecture d'aujourd'hui •, n. 145, settembre 1969, pp. V-VII. 20
Ibidem.
21 L'environnement et son aménagement, ciclostilato diffuso dal, l'lnstitut de l'Environnement, Parigi 1969. 22 Ibidem. 2l PH. THIEL, La notion de l'espace, in « L'Architecture d'aujour d'hui "• n. 145, settembre 1969, pp. 49-58, ed inoltre, dello stesso autore: A Sequence-Experience Notation, in « Town Planning Review "• aprile
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1961; Processional Architecture, in « AIA Journal », febbraio 1964; Notes on tl1e Experience of the Physical Environment, Dept. of Architecture, University of Washington, Seattle, 1969; An Experiment in Space N0tation, in « Architectural Review », maggio 1962; To the Kamakura Station, in « Landscape », autunno 1961; An Old Garden, A New Tool and Our Future Cities, in « Landscape Architecture», luglio 1962. 2� Ricordiamo i contributi pervenuti al « XVI Convegno Interna zionale Artisti, Critici e Studiosi d'Arte», Rimini-Urbino, settembre 1967, i cui atti sono stati pubblicati, per le edizioni Cappelli nel 1969. Tema era appunto Lo spazio visivo della città. zs Pn. THIEL, La notation de l'espace, cit. , p. 49. 26 Ibidem, p. 53.
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