Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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Edizioni « Il centro •
U. Eco,
Analisi componenziale di un segno architettonico
G. Fusco, Nomi, luoghi, immagini di città nella di Proust
F.
CALVO,
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Percezione ed esperienza estetic�
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Libri, riviste e mostre
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Analisi componenziale di un segno architettonico* UMBERTO ECO
0.1 Uno dei compiti principali della semiotica consiste nel riuscire a studiare tutti gli aspetti della cultura come processi comunicativi. Questo non significa dire che tutti gli aspetti della cultura sono soltanto processi comunicativi ma che (a) essi possono essere visti eme processi comunicativi; (b) essi funzionano culturalmente proprio perché sono anche processi comunicativi. È ovvio che - in questo senso - una semiotica del l'architettura rappresenti uno dei momenti cruciali della ri cerca semiotica. 0.2. L'architettura consiste di oggetti fisici concreti (ma nufatti) che delimitano degli spazi (esterni e interni agli oggetti) in modo da permettere funzioni: scendere, salire, entrare, uscire, ripararsi dalle intemperie; riunirsi, dormire, mangiare; pregare, celebrare avvenimenti, incutere riverenza... 0.3. Nel nostro libro La struttura assente I abbiamo cer cato di definire genericamente i segni architettonici (e rima ne da vedere cosa si intende per / segno/ quale « unità di un codice architettonico ») come un sistema di manufatti e di spazi circoscritti i quali comunicano, in base a sistemi di convenzioni (codici) delle funzioni possibili. Abbiamo distinto semplici processi di stimolazione (uno scalino in cui inciampo nel buio e che mi obbliga ad alzare una gamba) da processi di significazione: una /scala/ consiste nell'articolazione di al* Questo saggio è un capitolo del voi. Le forme del contenuto di .i::: prossima pubblicazione per i tipi di Bompiani. Y
cuni elementi morfologici che vengono riconosciuti nel loro complesso come « macchina per salire». Se la scala viene riconosciuta come tale, viene usata. Essa può essere ricono sciuta senza essere usata. Può persino comunicare la funzione possibile«salire» senza peraltro consentirla realmente (come nei casi di trompe-l'oeil). Questo significa che l'aspetto comu nicativo, in architettura, prevale sull'aspetto funzionale, e lo precede. 0.4. Da questo punto di vista quindi le funzioni signifi cate dall'architettura non sono necessariamente dei referenti: non sono delle funzioni necessariamente espletabili e non sono delle funzioni espletate. Non sono dei tokens (il mio atto concreto di salire hic et mmc questa scala) ma dei types. Sono delle classi di funzioni possibili. Sono quindi delle unità culturali, prima che degli atti pratici. Un oggetto archi tettonico è quindi un significante che denota un significato. ' 0.5. Sempre in La struttura assente avevamo anche di stinto due tipi di funzioni: le funzioni prime, che sono quelle che la tradizione funzionalistica riconosce come le funzioni propriamente dette (salire, affacciarsi, prendere aria, rice vere luce, vivere insieme, ecc.); e le funzioni seconde, che sono quelle che la storia delle ani o l'iconologia hanno piut tosto classificato come i «valori simbolici» della architet tura: una cattedrale gotica consente alcune funzioni prime come «stare insieme » ma comunica nel contempo alcuni valori «ideologici» come «elevazione al cielo», «sentimento mistico», « diffusione della luce come simbolo della presenza divina», oppure «raccoglimento», «deferenza» e così via. Abbiamo distinto così nel segno architettonico un processo di denotazione di funzioni prime e un processo di connota zione di funzioni seconde. Naturalmente, per molti oggetti architettonici la comunicazione delle funzioni seconde è più importante (socialmente e ideologicamente) della comunica zione delle funzioni prime. Per questo il termine « funzione» non va inteso nel senso restrittivo che gli assegna il funzio6 nalismo classico.
0.6. Tuttavia in La struttura assente abbiamo lasciato aperti alcuni problemi. Uno dei principali è: quali sono i livelli di articolazione dei segni architettonici e quale è l'uni tà significativa in architettura? 1.1. Il primo problema è assai ampio e difficile, perché si corre il rischio di riconoscere nell'architettura elementi di seconda articolazione (figurae, nel senso di Hjelmslev) che non sono esclusivi dell'architettura. Ad esempio gli ele menti della geometria euclidea, che abbiamo chiamato « stoichéia », e che sono elementi differenziali, codificati, in dubbiamente privi di significato, ma che non appartengono esclusivamente al linguaggio architettonico (potrebbero es sere elementi di seconda articolazione in un quadro di Mon drian o in una riproduzione fotografica stampata mediante un «retino» 2). Questo problema è oggi dibattuto da varie parti e sino ad ora il tentativo più interessante ci sembra quello compiuto dalla scuola di semiologia dell'architettura della Facoltà di Architettura di Buenos Aires 3• 1.2. Il secondo problema, di cui ora ci occupiamo espli citamente, è: quali sono le unità significative in architettura? Se fosse lecito (e non lo è) tradurre in termini di semiotica architettonica i concetti della linguistica, dovremmo chieder ci: cosa è una «parola» architettonica? Possiamo però chie derci: « cosa è un semema architettonico», e cioè «quali significati in architettura comunicano un significato speci ficamente architettonico?». 1.3. Il problema ulteriore sarà: una volta identificati dei sememi si deve provare a svolgere una analisi componenziale (o una analisi semica) per mostrare che il significato del si gnificante architettonico è composto di altre unità signifi cative minori, non necessariamente architettoniche, che con tribuiscono a formare il semema. 1.4. Sia chiaro che il semema è una unità culturale, ed è oggetto di una semantica strutturale dell'architettura. Il 7
significante archltettonico ( equivalente a quello che in lingua sarebbe il lessema) sarà chiamato invece «morfema». L'ana logia con la terminologia linguistica questa volta è giustifi cabile etimologicamente: un morfema archltettonico è un complesso di qualità formali. È l'oggetto di studio di una morfologia dell'architettura. I trattati classici di archltettura che identificavano per esempio gli ordini dell'architettura erano dei trattati di morfologia e identificavano morfemi o complesse catene sintagmatiche composte di morfemi. 2.1. Prima di procedere nella nostra analisi bisogna però eliminare un equivoco che domina molti tentativi attuali di semiotica dell'architettura (per la maggior parte compiuti dalle scuole italiane) 4• Questo equivoco deriva da una «deformazione estetica » comune ai critici e agli storici dell'architettura, i quali fanno quasi sempre una distinzione tra edilizia e architettura. L'edilizia sarebbe la costruzione di manufatti che circoscri vono spazi destinati a promuovere funzioni pratiche (un pol laio, un hangar, una casa «brutta »). L'architettura invece consisterebbe nell'articolare spazi i quali possono anche per mettere delle funzioni pratiche ma sono valutati anzitutto per la loro autoriflessività estetica. Secondo questa teoria, una opera di architettura significa anzitutto la propria strut tura. Ciò vuole dire identificare il linguaggio architettonico con la sua funzione poetica (nel senso di Jakobson). Iniziare una semiotica dell'architettura dalle funzioni poetiche del l'architettura significherebbe studiare la struttura della lingua inglese partendo solo dai sonetti di Shakespeare e arrestan dosi a quel punto. Significherebbe studiare solo l'uso ambi guo (la deviazione della norma) di un codice che non si conosce ancora. 2.2. Una delle principali deformazioni estetiche della semiotica archltettonica consiste nell'affermare che gli og getti dell'archltettura sono dei significanti i cui significati 8 sono degli spazi. Lo spazio (o meglio, una nozione astratta
di spazio come « spazialità») diventa allora il fine della comunicazione architettonica. 2.3. E facile capire che, da questo punto di vista, diventa irrilevante stabilire quali siano le unità significative in archi tettura. Un'opera di architettura, per esempio la Rotonda del Palladio, comunica quello spazio particolare che è lo spa zio concepito dal Palladio. Chiedersi cosa significhino i gradini della scalinata o le colonne che delimitano quello spazio diventa inutile. Essi sono elementi intermedi 5 che servono a significare una concezione estetica dello spazio. Non a caso questa semiotica dell'architettura si appoggia ad opere espli citamente costruite per fornire anzitutto delle esperienze estetiche, ricche di « funzioni seconde» e povere di « funzioni prime» (o meglio: sacrificano totalmente le funzioni !)rime alle funzioni seconde). 2.4. Per risolvere questo problema bisogna rifarsi a una distinzione di Hjelmslev, quella tra piano dell'espressione e piano del contenuto, a loro volta divisi in sostanza dell'espres sione e forma dell'espressione, sostanza del contenuto e forma del contenuto, secondo Io schema seguente: s
E
f
s
2.5. Studiare l'architettura come comunicazione di una particolare concezio'le dello spazio equivale a studiare la lingua solo come un mezzo per esprimere dei rapporti sin tattici. Invece i rapporti sintattici, nella forma immediata che assumono, sono un aspetto della forma dell'espressione che significa un contenuto a sua volta suddiviso in unità per tinenti (riunite in sistemi semantici). Dunque in architettura il fatto di articolare un certo spazio in un certo modo signi fica suddividere tutte le possibili articolazioni e disposizioni spazia-li (sostanza dell'espressione) secondo un sistema di 9
opposizioni significanti (forma dell'espressione) al fine di co municare, tra tutte le possibili funzioni che l'uomo può espletare nel contesto della cultura (sostanza del contenuto) una serie di funzioni precisate e definite da un sistema di unità culturali (il sistema dei sememi) che rappresenta la forma del contenuto. 2.6. Un uomo pianta un bastone per terra. Può farlo per misurare la posizione del sole, per fissare una meta, per indicare un punto di riferimento... Il bastone è un oggetto che non racchiude uno spazio interno (un'altra deformazione estetica è quella per cui si crede che lo spazio «architetto nico= estetico» sia quello delimitato dagli oggetti architet tonici, al loro interno), ma che dà un nuovo significato allo spazi_o esterno (che diventa « spazio intorno al bastone, spa zio prossimo al bastone e spazio lontano dal bastone, ecc.»). Ora, lo spazio così delimitato dal bastone, non è il signi ficato che il bastone comunica: è uno degli elementi del significante, insieme al bastone, che serve per comunicare alcune funzioni possibili permesse da quel punto di riferi mento 6• 2.7. Occorre inoltre aggiungere che lo spazio (o meglio i rapporti spaziali, le distanze, come elementi già formalizzati della sostanza indeterminata «spazio») rappresenta un mate riale pre-architettonico già carico di suoi significati, come ci insegna la prossemica 7• Questo materiale significante, coi significati che veicola, viene riutilizzato dall'architettura come significante per significare nuovi significati, nuove unità cul turali, i sememi architettonici. 3.1. Immaginiamo allora un processo di significazione del tipo: s-------+ K
I x,-----➔Y
nel quale 10 - x1 è l'unità pertinente di un sistema di configurazioni
spaziali pre-architettoniche (ad esempio la distanza lineare di 2-3 metri). Ne La struttura assente abbiamo chiamato queste unità spaziali « choremi » - dal greco chora, spazio; - Y è l'unità di un sistema (non spaziale, bensì antropolo gico) di funzioni fisiche: come spiega Hall, alla distanza di 2-3 metri è possibile percepire la grana della pelle, i capelli, le condizioni degli abiti, ma non i dettagli minori del viso; - K è l'unità di un sistema di funzioni socio-antropologiche, per esempio nel caso della distanza di 3 metri, l'unità « distanza sociale-fase allontanata». 3.2. Il processo di significazione contempla un signifi cante spaziale che denota una funzione fisica. Entrambi di ventano a loro volta (in quanto segno nel suo insieme, cfr. Saussure) il significante di una funzione connotata, la funzio ne socio-antropologica. Come si vede, in questa fase l'archi tettura non interviene ancora: un rapporto del genere può essere instaurato anche da due esseri umani in una pianura deserta. 3.3. L'architettura· interviene quando un oggetto fisico (ad esempio il piano di un tavolo) incorpora (realizza) come forma della propria sostanza dell'espressione, la distanza .- poniamo - di 1 metro e mezzo (atta a stabilire tra due interlocutori un intervallo di 3 metri). Lo spazio in tal senso non è un significato dell'oggetto architettonico ma ne è una caratteristica morfologica (una marca morfologica), cosl co me in lessicologia il lessema / scrivania/ possiede la marca grammaticale « singolare»). A questo punto si realizza un processo di significazione di questo tipo: s-------K
m,-----t
nel quale - m1 è l'unità pertinente di un sistema morfologico; - Y è ancora l'unità pertinente di un sistema di funzioni :11
fisiche, già considerata in prossemica; ma questa volta Y è significata non da una distanza spaziale ma da un oggetto che impone come stimolo questa distanza spaziale e che non comunica la distanza spaziale stessa ma la funzione fisica Y; - K è ancora l'unità di un sistema socio-antropologico (a es.: « distanza sociale-fase allontanata). 3.4. Non si può tuttavia affermare che m 1 sia, come ele mento morfologico, il significante di un possibile semema « scrivania nell'ufficio di un dirigente» (cfr. Hall, pag. 115). Infatti, perché si possa cogliere il significato « scrivania » non basta che ci sia m1 (superficie della larghezza di un metro e mezzo), ma occorre che appaiano anche altri tratti morfologici, come per esempio quattro sostenitori verticali (le gambe del tavolo) che a loro volta comunicano funzioni fisiche (dell'ordine di Y) come a esempio « sostegno». Dire mo allora che m1 è solo uno degli elementi (forniti di marca spaziale x1) di un morfema architettonico M, più complesso, a cui corrisponde come unità semantica il semema _architet tonico A ( « scrivania nell'ufficio di un dirigente»). 3.5. Per comprendere meglio questo processo, si pensi dunque a un morfema M che possegga tratti morfologici m, a loro volta forniti di tratti spaziali x: M [ m, (x,), m, (x., x.) .... m. (x..)] Diremo allora che M esprime un semema architettonico A (fornito di tratti semici a1, a2 •••• a,,). Il morfema M avrà alcune marche morfologiche, il se mema A avrà alcune marche semantiche o semi.
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3.6. Ciascuna di queste marche semantiche può appar tenere immediatamente alla categoria di Y (funzioni fisiche denotate) o alla categoria di K (funzioni socio-antropologi che connotate). Ciascuno dei tratti della famiglia di K connoterà a sua volta, in base a precise convenzioni culturali, altre fun-
zioni socio-antropologiche di ordine più complesso (e dunque altre funzioni seconde) quali ad esempio «potere», « rispet to », «manager », eccetera. Ciascuna delle funzioni seconde connotate deve appoggiarsi a tratti morfologici della fami glia di M: ad esempio « lusso» sarà un tratto semico an espresso da un tratto morfologico m 1 che potrebbe essere dato dalla presenza di un legno pregiato. 3.7. Queste ipotesi teoriche implicano la possibilità di una analisi componenziale degli oggetti architettonici e sono sta te verificate nel corso di un esperimento condotto durante un seminario che ho diretto per l'Instituto Interuniversitario de Especialisacion en Historia de la Arquitectura (La Plata, Argentina, luglio-agosto 1970), con la partecipazione di se miologi, critici e storici de l'architettura 8• 4.1. Come si vedrà, per tentare una analisi componen ziale di un semema architettonico si e usato un albero a stemmi che ricorda quello proposto da Katz e Fodor e da Katz e Postal 9• Questo metodo è stato da noi sottoposto ad alcune critiche in Le forme del contenuto, « I percorsi del senso», perché Io riteniamo eccessivamente schematico. Tut tavia riteniamo che per un primo approccio ai problemi del l'analisi componenziale; in mancanza di sistemi di notazione e rappresentazione più elaborati, esso possa avere una effi cacia didattica. 4.2. Va tuttavia precisato che negli alberi che seguono si noterà l'introduzione di alcuni nodi che sono esclusi dalla ipotesi di Katz-Fodor-Postal. Essi ritengono infatti che non sia possibile elaborare una « theory of settings », e cioè che non sia possibile considerare tra le componenti semantiche di un lessema anche i possibili eventi contestuali che asse gneranno a quel lessema un persorso di lettura piuttosto che un altro. L'argomento afferma che una « theory of sett ings» implicherebbe la considerazione di tutti i possibili con testi e quindi di tutti gli eventi dell'universo. Riteniamo invece che nella rappresentazione semantica di un elemento 13
si possano considerare degli eventi privilegiati e cioè delle inserzioni contestuali in cui esso ricorre abitualmente. In tal senso è lecito considerare che queste inserzioni conte stuali siano codificate e riconosciute come « canoniche » e che pertanto possano far parte di una analisi componenziale. 4.3. L'ipotesi Katz-Fodor-Postal non considera neppure come componenti semantiche di un lessema le sue possibile connotazioni, e per gli stessi motivi per cui rifiuta una teoria dei contesti. Infatti, in principio, le possibili connotazioni di una unità semantica sono infinite. Ma se si può considerare delle circostanze contestuali precise (privilegiate rispetto alle altre, perché più facilmente ricorrenti) sarà allora possibile inserire nella rappresentazione componenziale di una unità anche le connotazioni che più facilmente genera - e che ap paiono pertanto già codificate. 4.4. Queste precisazioni servono soltanto a spiegare (a) perché si adotta un sistema di rappresentazione componen ziale per . alcuni versi simile a quello di Katz-Foror-Postal, (b) perché il nostro sistema se ne discosta e (c) perché tutto sommato riteniamo questo sistema di rappresentazione del tutto provvisorio e semplicistico.
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5.1. L'esperimento argentino è nato da una serie di di scussioni in cui alcuni architetti - legati a concezioni affini a quelle di semiologi dell'architettura italiani - cadevano facilmente nella deformazione estetica, ritenendo che il si• gnificato di una unità architettonica fosse la sua significa zione estetica globale in termini di Spazio. La ripugnanza del critico di architettura per l'edilizia era manifestata dal fatto che essi tendevano ad analizzare opere d'arte (per esem pio edifici di Frank Lloyd Wright) invece di costruzioni co muni. In quei casi quelle che potevano essere unità signifi cative elementari perdevano il loro potere significante perché dovevano essere viste come gli elementi di un sintagma più vasto. Per reprimere questa tentazione si era persino deciso di condurre una inchiesta presso bambini (liberi da pregiu-
dizi culturali-estetici) per domandare loro cosa fosse una porta, o una finestra. Si trattava insomma di vedere se per un destinatario «selvaggio» - privo di cultura universita ria - esistevano unità minime fornite di senso come un gradino, un architrave, uno scalino. 5.2. Il progetto assumeva talora la forma di una proposta paradossale: quali istruzioni dovrei dare a un marziano per fargli costruire una porta? Dovrei necessariamente fargli co struire tutto l'edificio, o la città, o potrei fornirgli tali input che in output (considerando il marziano come black box) for niscano un oggetto « porta » o « finestra » che il marziano possa semanticamente riconoscere come tali? L'obbiezione più frequente era: « non vogliamo chiederci il significato di una colonna; una colonna in sé non significa nulla; è il complesso di colonne che chiamiamo Partenone che acquista un significato architettonico; una colonna non comunica fun zioni possibili, è un elemento neutro che concorre a costituire catene morfologiche più complesse le quali finalmente hanno significato architettonico ». 5.3. Durante le discussioni ci accadde di trovare sul quo tidiano « La prensa » (del 26 luglio 1970) un articolo: Eterni dad de la columna, di Dora !sella Russell. Lo riportiamo integralmente, sottolineando le espressioni in base alle quali abbiamo poi tentato di redigere una lista delle unità seman tiche denotate e connotate: ETERNITÀ DELLA COLONNA L'aria dei secoli la circonda. L'aria abbraccia il tronco levato che sfida il tempo. I secoli sono passati -senza toccare quel suo corpo svelto, erto tra le rovine, e la colonna aflerma il suo permanente destino.
Uno sguardo verso il passato ci mostra il vasto scenario, co stellato di venerabili rovine, dal quale emergono colonne solitarie,
ultimi testimoni superstiti di estinte grandezze. Vaga tra di esse l'ombra della. malinconia. Rotolate nella polvere le civiltà formi
dabili che accompagnarono l'albeggiare della coscienza umana,
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altri uomini e altre forme di vita alzarono sopra le culture affaticate la speranza delle risurrezioni. (segue un lungo drammatico elenco di civiltà scomparse)
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Però qui e là in angoli remoti dell'Oriente, per le strade d'Europa, rimasero in piedi i menhir, i dolmen tracce per la ricostruzione. E in Egitto, in Grecia, a Roma come a Palmira o nelle remote isole oceaniche qualcosa poté sfuggire alla ine sorabile ecatombe: l'ergersi aristocratico della colonna, pezw stupendo, sacro residuo, documento intatto. Il primo tronco di albero, il primo palo che un remoto abi tante del pianeta piantò di fronte alla sua caverna, furono i suoi precursori più lontani. Dall'albero nacque la colonna. È un elemento a cui l'imma ginazione ricorre senza sforzo, cosl semplicemente e logicamente che non v'è popolo che non sia ricorso alla colonn� come appoggio e come ornamento. Essa sostiene senza che nulla la sostenga, e ha come una patina di millenni. Allegorizza il mira colo della sopravvivenza, smentendo quella sua apparente fragi litd che la fa toccare in un solo punto con la terra. Furono rari i monumenti egizi che non contenessero al loro interno delle colonne. Di solito essa si abbraccia al capitello, e lo sostituisce con un pennacchio rigido di foglie di palma, di loto o di papiro, che già costituiva tutta una audacia della fantasia per quel popolo dalle formule solenni e ieratiche. L'India al contrario lascierà che per le sue colonne si iner pichino foglie, fiori, allegorie, figure favolose; l'esuberanza men tale della sua mitologia si dirama su per esse sino al tetto dei colossali santuari. Ma al culmine dello splendore greco l'uomo artista dell'Ellade pota ogni fronda, lascia nudo il corpo liscio, appena rastremato, della colonna dorica, oppure aggiunge più tardi le volute agili che imbelliscono l'ordine ionico. La colonna si solca di striscie, di scanalature che accentuano la sua assenza di gravità, in una gioia all'aria aperta che conferisce armonia alle costruzioni. Quando la colonna corinzia si carica di foglie di acanto e di olivo; quando si aggiungono grifoni, pegasi e sfingi; quando il capitello fiorisce in una profusione di forme intrecciate, la fine è vicina. Quel barocchismo, benché bello, annunciava l'occaso: uno splendido crepuscolo era ormai inevitabile per dare epilogo al « miracolo greco ». In Asia Minore corpi di animali fantastici rimpiazzavano in molte occasioni la colonna tradizionale. In Persia cammelli
inginocchiati: in India i pachidermi di Ellora, scolpiti nella pietra della montagna, servivano di basamento a templi prodigiosi, men tre teste taurine coronavano le colonne del palazzo di Susa. Gli egizi, prima ancora che i greci avevano dispiegato la maestà sontuosa degli ipostili come quelli del tempo di Kamak, ed erano arrivati a scolpire /orme umane nei capitelli di Denderah, ripro ducendo le maschere di Iside. Però furono i greci del secolo di Pericle che si azzardarono a sostituire interamente la colonna assimilandola al corpo umano e alle sue funzioni, appoggiando l'architettura dei templi ora su statue di uomini (i talamoni) or sopra corpi femminili che gracilmente e senza sforza sosten gono l'edificio senza perdere la loro femminea squisitezza. Le cariatidi ergano i loro contorni soavi e le loro vesti flut tuanti e da secoli sopportano il loro pesante dovere con quella lievità diafana con cui il cielo della Grecia conferisce· nobiltà ai sacri residui della sua storia. Per tutte le latitudini e in tutte le età le colonne arricchi scono i monumenti, danno solidità e sontuosità alle facciate, prestan grandezza agli interni, e sopra di esse si levano torri e cupole che reiterano la loro intenzione ascensionale, quella ver ticalità così tipica e caratteristica dell'arte gotica. La colonila gotica non ha modulo, non si rende indipendente dall'edificio: si abbraccia ad altre colonne, si raggruppa in fascie che salgono vertiginosamente verso l'alto puntando al cielo, come se attra verso di esse montasse la fede degli uomini verso regioni misti che vicine agli angeli e ai santi, che si sono metamorfosate· in artistiche vetrate. La cattedrale del Medio Evo assorbe le colon ne, in quella ossessione di pietra rampante che fa germogliare architravi, frondose creste, lancie di pietra, dominate da un im pulso ascendente. Ogive, archi e colonne non appartengono solo al gotico: mentre il medioevo europeo erge le sue- città con il prodigio delle guglie dei campanili, l'arte musulmana fa nascere a Gerusalemme la Moschea di Omar, al Cairo le moschee di Amru e di Touloun e in Spagna la famosa mezquita di Cordoba e il Palazzo di Zara, edificato sopra quattromila trecento colonne. La poetizza un raptus lirico. L'assottiglia il suo potere sugge stivo. La cantano gli anonimi poeti arabi, identificandola con la palma « colonna nel deserto». · « Svelta come una colonna e gli occhi come ·stelle», dicono dell'amata. li suo collo è una « colonna di alabastro», la litania della bellezza la utilizza come similitudine per la morbida gola, per il braccio dolcemente tornito, per le gambe di linea perietta. « Le sue gambe, colonne di marmo· su· basi di oro fino», si legge nel Cantico dei Cantici. I popoli levano le colonne affidando loro le grandi commemo- :11
razioni: feste, fasti, eroi, la colonna trajana, la colonna di Piace
Vendòme, la colonna di Trafalgar Square, che evoca Nelson ... Poiché non è facile sradicarle, gli uomini le ereggono per ricordare. Una missione estetica, una missione storica, hanno que,. ste colonne ostinate, ariose e arroganti, alzate sopra le ore che passano. Perché il Tempo è una nave dalla chiglia affilata che lascia dietro a sé tutto quel che passa. - _ E la colonna che attraversa i secoli pare l'albero eterno di questo grande vascello. 5.4. A prima vista l'articolo appare come una raccolta di ovvietà sul tema retorico della colonna, un repertorio di banalità con intenti pseudo-poetici. La tentazione dell'archi tetto con formazione umanistico-estetica, e dotato di senso critico, sarebbe quella di respingerlo come un esempio di Kitsch· critico. · _ Rileggendo però l'articolo ci si rende conto che queste « ovvietà » rappresentanò esattamente un repertorio di quel lo che la tradizione corrente pensa intorno alla colonna. Esso costituisce il meraviglioso protocollo di una immaginaria in dagine sul campo che raccolga da un campione di utenti co muni dell'architettura tutti i . significati che essi associano all'unità «colonna». 5.5 Anzitutto si può dedurre da una serie di affermazioni che corrispondono a quelle che Aristotele avrebbe chiamato « endoxa », opinioni comuni, definizioni acquisite da una so cietà, e quindi codificate. La società, cioè, riconosce nella colonna alèuni tratti morfologici ovvi, come la verticalità, la presenza di fusto, basamento e capitello, eccetera. Cosl da molte affermazioni di carattere «poetico» si può estra polare la persuasione che la colonna presenti alcuni tratti (che chiameremo semantici) quali la verticalità, l'appoggio, eccetera.
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5.6. In secondo luogo è possibile raccogliere un reper torio di connotazioni dell'unità colonna, che protocolla in tre rubriche una analisi dei contenuti connotativi dell'articolo:
e.
connotazioni arcllitettoniche
connotazioni storiche
connotazioni estetiche
A. tronco di albero B. apparente fragilità C. sostiene senza che nulla la sostenga D. assenza di sforzo E. arricchisce i monu menti F. dà solidità alle fac ciate G. dà sontuosità alle facciate H. dà grandezza agli interni I. unità nella varietà ripetitiva L. unità nella varietà modulare M. inamovibile N. albero cli nave O. ariosa P. dà armonia alle co struzioni
1. l'aria dei secoli la circonda 2. venerabile 3. ultimo testimone in piedi di estinte gran dezze 4. documento intatto 5. commemorazione di fatti, fasti, eroi 6. albero della nave del tempo 7. ha la patina dei mil lennii 8. allegoria del mira colo della sopravvi venza
I. afferma il suo destino perma nente II. vaga tra esse l'ombra della melanconia III. si erge aristo cratica IV. universale V. pura VI. favolosa VII. audacia della fantasia VIII. intenzione ascensionale verso il cielo IX. poetizzata da un raptus li rico X. collo dell'ama ta Xl. corpo svelto XII. braccio tornito XIII. gamba cli linea perfetta XIV. ostinata XV. arrogante XVI. solitaria XVII. sacro residuo XVIII. miracolo greco XIX. stupenda
Tutte queste connotazioni potrebbero essere riassunte in formule più precise, ma per il momento ci pare più comodo mantenere le formule contenute nell'articolo. Per spiegare meglio i punti (I) e (L), diremo che nel primo caso si pensa a colonnati in cui si susseguono colonne una uguale all'altra, nel secondo colonnati di tipo gotico in cui possono stabilirsi dei ritmi del tipo AB-AB, oppure ABC ABC. 6.1. A questo punto si pongono 3 problemi: (a) fornire una rappresentazione morfologica della co lonna; questa deve essere composta di marche morfologiche e di indicazioni combinatorie pari a quelle che si fornirebbero
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a un marziano (o a un· robot) dovendogli fare costruire una colonna; la possibilità di tale operazione dimostrerà la pos sibilità di costruire (e quindi di definire) un oggetto archi tettonico isolato folJl.ÌtO di significato autonomo; (b) fornire una rappresentazione semantica di questa colonna isolata; vedere se le varie marche semantiche si ap poggiano su marche morfologiche precise, e cioè quali marche morfologiche sono necessarie perché venga individuata una .. marca ·semantica; (e) inserire là colonna isolata in un contesto, per ve dere se questa inserzione carica l'oggetto di nuovi significati. Questa operazione pone una serie di problemi di rappresen tazione, dato che i contesti in cui l'oggetto architettonico può inserirsi sono molteplici. Il contesto può essere visto (i) come alzato, e cioè la facciata (o uno dei lati) dell'edificio, sia in rapporto verticale che orizzontale; (ii) in sezione ver ticale dell'edificio; (iii) in altre sezioni, che diano conto della profondità dell'edificio, (iv) in pianta. Per comodità di ana lisi, per ragioni di chiarezza didattica, si è deciso di limitarci a una situazione di laboratorio e di esaminare_ solo la possi bilità (i). · Negli schemi che seguono bisogna tenér conto delle se guenti regole di lettura : (A) la rappresentazione del segno isolato viene data attraverso un albero orizzontale, quella del segno in contesto viene data attraverso alberi verticali;
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(B) i termini tra parentesi rappresentano marche mor fologiche; gli altri tra virgolette rappresentano marche se mantiche; i numeri arabi, i numeri romani e le lettere del l'alfabeto rimandano al repertorio delle connotazioni elen cato in 5.6. Ci pare cioè che la funzione prima denotata in un parti colare nodo morfologico diventi il significante di una funzione seconda connotata solo in· quel particolare nodo, solo cioè se il morfema appare analizzabile in termini di date marche morfologiche e semantiche e solo · se appare inserito in un dato contesto;
di tipo anàlogico (rappresentazione iconiche da riprodurre al pantogr�fo) ma nulla vieta che si possa raggiungere un sistema di notazione digitale capace di imporre al robot la costruzione di un capitello dorico standard. Lo stesso vale per istruzioni morfologiche come (liscia) o (scanalatura) o (con figure) e (cariatide). Gli ultimi due sono anzi casi di codice iconico che si sovrappone a quello architettonico. Naturalmente anche qui lo spettro componenziale potrebbe essere più complesso. 7.3. Si potrebbe osservare che molti dei semi (o marche semantiche) denotati dalle marche morfologiche apparten gono a quelle che in architettura si chiamerebbero « funzio ni ». Sono certamente funzioni «appoggio » e « sostegno » ma sono funzioni, nello stesso senso, « verticale » o « impe netrabile »? Qui si tratta di stabilire se le funzioni comuni cate dalla architettura sono solo funzioni bio-fisiologiche (appoggiarsi, uscire) o anche funzioni costruttive (sostenere, elevarsi verticalmente, eccetera). Si sarebbe tentati di chia mare le seconde funzioni sintattiche e le prime (rozzamente) funzioni semantiche. Ma, a parte che le cosiddette funzioni semantiche sono invece funzioni bio-fisiche, le cosiddette fun zioni sintattiche svolgono indubbiamente un ruolo nell'auto sostegno dell'edificio, o dell'oggetto singolo (cf. colonna), ma vengono percepite dall'osservatore anche come comunicazio ne (semantica) di unità culturali. La colonna comunica {e l'artico!o di D.I. Russell lo dimostra) marche semantiche come «verticalità», «impenetrabilità». Occorre quindi che, alla fase preliminare di analisi in cui ci muoviamo, si consi• deri irrilevante la distinzione tra funzioni bio-fisiologiche e funzioni costruttive. Una rappresentazione più accurata do vrebbe però poter distinguere questi due momenti. 7.4. Ci accorgiamo pure che, delle connotazioni o funzioni seconde individuate nell'articolo di D.I. Russell, pochissime ci paiono entrare in questa rappresentazione. Come vedremo, la maggior parte di_ queste connotazioni si associa invece 24 alla colonna messa in contesto, spaziale e temporale. Alla
colonna singola si associano, come si vede, le connotazioni C («sostiene senza che nulla la sostenga»: tipica connotazione poetico-Kitsch, che si applica al rapporto fusto-capitello, sen za tener conto del rapporto fusto-base); D («assenza di sfor zo ») e di conseguenza X («collo della donna amata», per chiare ragioni analogiche). Il rapporto fusto-base, genera la connotazione analogica XIII ( « gamba » ). D e O ( « assenza di sforzo» e « ariosa ») ci paiono applicarsi al tratto morfolo gico (scanalutura), come anche il contesto dell'articolo di Dora !sella Russell lascia intendere. Ovvio che alla presenza di cariatide si associ XI (« corpo svelto») che peraltro può associarsi alla intera colonna. In ogni caso l'associazione delle connotazioni è stata fatta solo in base al buon senso. Occorrerebbe compiere controlli sul campo attraverso inter viste per poter stabilire l'esatta risposta psicosemantica media. 8.1. Ecco ora il modello di analisi componenziale del se gno /colonna/ in contesto: 8.2. Questo secondo albero, indubbiamente più comples so del primo, richiede alcune precisazioni, che daremo in riferimento ai singoli nodi morfologici: - (Relazione verticale) si considera la colonna in rap porto con l'alto e col basso. - (Relazione orizzontale) si considera la colonna in rela zione con i segni architettoni laterali. - (Relazione in alto) la colonna può reggere un timpano o altre colonne; in tal caso (si prolunga) la funzione, e cioè il sostegno è trasmesso ad altre colonne poste sopra che so stengono a loro volta qualcosa, oppure la funzione (trova un limite) nel timpano o altro elemento architettonico che chiude, pei- così dire, il processo. Il prolungamento della funzione può essere (in verticale) quando la colonna sostiene altre co lonne, come in una facciata con più livelli di colonnati, op pure (in profondità): con questa espressione si è· voluto indicare il tipico prolungamento della funzione che avviene per esempio nella colonna gotica della volta ogivale, che si curva in profondità per unirsi ad altre colonne nella chiave ,;is
di volta, sommando· il proprio sforzo a quello delle altre. Per questo si rimanda alla pianta, perché nella rappresen tazione in alzato non si può rendere conto di questo tratto morfologico. -,- La (relazione in basso) pone la colonna in contatto o direttamente con la terra, o con altri elementi della base (scalini) oppure· con altre colonne sottostanti sulla facciata. ---' (Relazione orizzontale): la colonna può essere. o a relazione orizzontale zero (e cioè sola) (o con altre colonne). Nel primo caso questa colonna sola può essere una colonna antica sola [tra rovine] o una colonna sola [nuova] eretta per fini commemorativi. Si veda come a questo livello dei nodi i tratti morfologici sono stati messi tra parentesi qua dra. Infatti questi sono tratti morfo-storici, e cioè contempo raneamente sincro-diacronici. Che una colonna appaia antica e che appaia tra rovine è indubbiamente una sua caratteri stica ·morfologica: ma per definirla occorrono riferimenti al tempo. Questi tratti morfo-storici sono tipici dell'architettura e probabilmente di altre comunicazioni visive in cui i signi ficanti non si consumano nel momento dell'emissione, come il flatus vocis del linguaggio verbale, ma permangono nel tempo. Queste osservazioni valgano anche per marche come
[antica in contesto archeologico intatto]. - (Sopra vuoto) significa che una colonna «plurale»
e cioè associata ad almeno un'altra, circoscrive un vuoto permettendo e comunicando la funzione «passaggio». (Sopra pieno) significa che la colonna funziona come rinforzo di un muro. In tal caso comunica un « non passaggio», ma può essere con (vuoto circoscritto) e cioè inquadrare una fine stra, comunicando una possibile o effettiva «penetrazione di luce», oppure circoscrivere un pieno, nel qual caso, anche se strutturaimente non è vero, comunica una funzione di «rin forzo» del muro stesso. Le due marche (semplice) e (complessa) che lateralmente distinguono due possibilità di collegamento plurale di più colonne si riferiscono al fatto, già accennato in 5.6. che le colonne possono succedersi tutte uguali, o con modulo rit:26 mico di alternanza, del tipò AB-AB o ABC-ABC, eccetera.
in cui entrambe le entità devono venir indicate attraverso altri significanti linguistici. Pertanto una semiotica dell'architettura potrà riuscire utile anche agli studi semiotici in generale.· In Le forme del contenuto adottiamo la nozione peirciana di « interpretante » per sottolineare il fatto che ogni marca grammaticale o semantica di un lessema è a sua volta un lessema che richiede una propria analisi componenziale. Una analisi componenziale dell'architettura ci prova che ogni marca semantica è un interpretante verbale (o di altra na tura) e ci dimostra che l'analisi semica non può mai chiu dersi ma deve rinviare a una continua definizione semantica dei propri strumenti, realizzando una semiosi illimitata. Ciò non toglie che in certi momenti, sperimentali � di laboratorio, il processo illimitato della semiosi possa essere convenzionalmente arrestato. In questo caso lo abbiamo fat to per dimostrare che certi oggetti architettonici, sia fuori contesto, sia in contesto, ma sempre in quanto oggetti sin goli, possono essere portatori di significato e quindi vanno considerati le unità pertinenti di una semantica dell'archi tettura, segni che la cultura riconosce e organizza in un si stema strutturato. Ma se e come il- sistema sia strutturato rimane da dimo strare.
·2s
t La struttura assente - Introduzione alla ricerca semiologica, Mi lano, Bompiani, 1968. I vari rimandi nel corso del testo si riferiranno alla nuova edizione (ili gran parte inedita) che apparirà in inglese come The Semiotic Threshold, The Hague, Mouton, in francese come· La structure absente, Mercure de france, Paris; e in tedesco presso la Wihlelm Fink Verlag, Miinchen. La parte inedita apparirà in Italia col titolo Le forme del contenuto, Bompiani, 1971. _2 Cfr. M. KRAMPEN & P. SEITZ ed., .Design and Planning, Hasting House Publishers, New York, 1967; e la nostra comunicazione negli atti del congresso e Stato· e tendenze attuali della ricerca sulle comu nicazioni di massa con particolare riferimento al linguaggio iconico", Milano, Istituto e Gemelli», ottobre 1970. 3 Cfr. in particolare lo studio ancora manoscritto di ROBERTO Do BERTI, Sistema de figuras, Catedra de semiologia Arquitectonica, Universidad de Buenos Aires. 4 Cfr. in particolare gli studi di R. DE Fusco e M. L. SCALVINI, Si gnificanti e significati della rotonda palladiana e di GILLO DORFLES, Va lori iconologici e semiotici in architettura, entrambi in e Op. Cit. », 16
·settembre 1969; URBANO CARDARELu; Lettura storico-semiologica di Pa[: manova, in «Op. Cit. •• 17 gennaio 1970. s DE Fusco (cit.) chiamerebbe «simboli• quegli elementi di arti colazione architettonica che possono avere un valore semantico (ad esempio una colonna, o l'ordine dorico) ma che «sono privi di quella spazialità interna che abbiamo ipotizzato essere il vero significato del l'architettura• (pag. 11-12). 6 Questa funzione dello spazio come significante è stata compresa ·molto bene invece da GIOVANNI Kuus K0ENIG, Architettura e comunica: zione, Firenze, Libreria editrice fiorentina 1970 (che riprende e sviluppa alcune nostre proposte de La struttura assente, prima edizione, la quale a sua volta era debitrice ai precedenti studi di Koenig di molte idee.). Anche Koenig però tende a pensare che una unità architettonica come ad esempio la colonna non possa considerarsi un chorema perché (a) occupa un luogo ma non crea nessun spazio; (b) non denoterebbe nulla e non rivestirebbe alcuna funzione «se non una funzione statica (sin tattica e non semantica, quindi): di reggere qualcosa• (p. 162). A parte che la colonna per esempio può connotare anche «appoggio da parte di un corpo umano»; a parte il fatto che già denotare sostegno non è conunicazione da poco; abbiamo cercato di mostrare ne Le forme del contenuto, «I percorsi del senso•• che anche quelli che in lingua sono detti termini sincategorematici denotano qualcosa, e appunto la loro funzione sintattica (che permette l'articolarsi di significati contestuali). In tal modo Koenig cade nell'errore degli altri studiosi italiani citati, e attribuisce valore di unità significativa solo a sintagmi complessi che creano una spazialità articolata. 7 Cfr. EDWARD T. HALL, The Hidden Dimension, New York, Double day, 1966 (tit. it., La dimensione nascosta, Bompiani). s La ricerca che segue è stata discussa con tutti i partecipanti al seminario, ma è stata elaborata in particolare con la partecipazioné degli architetti ANDRES GARCIA, MARIANA UZIELLI e EVELIA PERALTA del l'Università di Tucman. Ringrazio qui in ogni caso la Professoressa Ma rina Weisman, presidente dell'Istituto Interuniversitario che ha orga nizzato il seminario rti La Plata e ha reso possibile le discussioai che hanno dato origine alla ricerca. 9 Cfr. J. J. KATZ e J. A. FoooR, The structure of a semantic theory, in J. J. Katz e J. A. Fodor eds., The Structure of Language, Englewood Cliffs, Prentice Hall, Inc., 1964; J. J. l(,\TZ e P. M. POSTAL, An Integrated Theory of Linguistic Descriptions, Research Monograph n. 26, M.I.T., Cambridge, 1964.
Norni, 1uoghi, immagini di città nella « Recherche » di Proust GIUSEPPE FUSCO
In questi anni, in margine alla disciplina urbanistica, sempre aperta ai più disparati contributi da qualsiasi parte provengano, ha assunto particolare rilievo un concetto, intuito nell'ambito di ricerche empiriche, del cui significato si vanno ormai in tutti i sensi allargando e distinguendo i campi: quel lo di immagine della città. L'esistenza di una tale immagine, privata o pubblica, statica o dinamica, è stata sostenuta con due ordini di ipotesi: uno fondato sulla presunzione di una chiara definizione oggettuale della città, della quale l'immagine si pone come controllo e metro, e dalla quale a sua volta atten de verifica ed oggettivazione; un secondo eh�. nella sospensione di ogni postulato circa il suo referente, offre l'immagine stessa come punto di partenza per una indagine aperta sull'intera fenomenologia dei rapporti fra l'uomo e l'ambiente. È evi dente che, al di là delle inevitabili interrelazioni culturali e storiche che condizionano una concreta oggettivazione del la città come un'assoluta sospensione dei postulati, il pri mo ordine parrebbe di pertinenza strettamente settoriale, urbanistica e, in termini semiologici, denotativa, il secondo più apertamente fenomenologico, connotativo. K. Lynch, cui si deve la più larga e sistematica sperimen tazione e divulgazione di questo tipo di ricerche, parte proprio dall'assunzione della città come oggetto di percezione, pur se non si nasconde le innumerevoli implicazioni e i limiti 30 che un tale assunto comporta. Come un'architettura, egli af-
ferma, una città è una costruzione nello spazio, ma di scala
e.norme, un artefatto che è possibile percepire soltanto nel corso di lunghi periodi di tempo. 1• Ma s'avvede, subito dopo, che già in termini fisio-psicologici, un tale atto percettivo che abbracci lunghi periodi di tempo, di giorni, cioè, di mesi e di anni è inconcepibile. Spesso la nostra percezione della città non è distinta, ma piuttosto parziale, frammentaria, mista ad altre sensazioni. Praticamente ogni nostro senso è in gioco e l'immagine è l'aggregato di tutti gli stimoli 2• Una tale defi nizione, a dir poco, approssimativa, conduce tuttavia l'autore ad una ricerca assai stimolante e, per molti versi, proficua sul carattere visivo di alcune configurazioni della città; at traverso una discutibile analisi dell'immqgine mentale che di essa avrebbero gli abitanti, egli cerca di dimostrare che la chiarezza e la leggibilità della struttura fisica rive stono un'importanza fondamentale per la sua fruizione funzionale, psicologica ed estetica: dunque per compren dere questo, noi dobbiamo considerare la città non come un oggetto a sé stante, ma nei modi in cui viene percepita dai suoi abitanti 3• Fra questi egli giudica primariamente il senso di orientamento relativo alle emergenze prospettiche, ai punti di riferimento, ai confini, ai percorsi ed ai diaframmi che im pediscono la vista o il movimento verso determinate dire zioni. Ma si capisce che la mira di tutti i suoi sforzi è quella di ricostituire al limite, nella sua individualità, la città-oggetto presupposta: un compito, egli afferma, reso difficile, in Ame rica, per qualsiasi aggregato che superi le dimensioni di un villaggio sì che non sorprende che la maggioranza dei suoi connazionali abbia poca idea di che cosa può significare il vivere in un ambiente siffatto 4• Sembra che la latente ma fondamentale rigidità di una tale posizione sia ·sfuggita alla maggior parte dei critici del Lynch, compiaciuti spesso della loro stessa benevolenza nei confronti delle sue più palesi ingenuità, riscattate, peraltro, come abbiamo detto, da alcuni proficui sviluppi. In questo senso, alquanto· più' meditato ed elastico ci sembra quel· concetto di luogo, relativo a:d uno spazio esisten ziale che si verrebbe geneticamente configurando in ciascun 31
individuo nei modi che Piaget 5 e la sua scuola vanno da de cenni sperimentando e divulgando. In particolare Norberg Schulz, già noto in Italia per il suo più ampio saggio Inten zioni in Architettura 6, in un interessante articolo 7, di fronte all'alternativa categorica che paiono proporre alcuni architetti tra qna New Babylon dove tutti saranno sempre in viaggio e non sèntiran110 mai la necessità di tornare al punto di par tenza, dato che anch'esso avrà subito una trasformazione 8 e una chiara e permanente struttura percepibile della città, si pone la domanda: cosa si deve esigere dall'ambiente perché l'uomo possa continuare a chiamarsi tale? 9 Egli propone un concetto di luogo esistenziale come coincidenza isomorfica
fra spazio esisteI;lziale e ambiente fisico-architettonico, il primo non potendo psicologicamente formarsi al di fuori di un ambiente sufficientemente stabile, di una struttura con cepibile, e conclude con una citazione letteraria che giudica ancora di attualità: Sono un costruttore di città, ho arrestato la carovana lungo la strada. Era solo un seme nel vento. Ma io mi contrappongo al vento e sotterro il seme co.s1 che gli alberi di cedro possano crescere ad onorare l'Altissimo 10•
Questo ci riporta al secondo ordine di ipotesi che trae �empre nuovo alimento proprio dagli studi 11 volti ad inter rogare la produzione letteraria, particolarmente i romanzi dell'Ottocento e del Novecento, onde scoprire analogie strut turali e trarre testimonianze significative di una realtà refe rente, sottratta pregiudizialmente alle discipline specifiche, di cui è il tradizionale oggetto. In questo senso si è pertanto rilevata la necessità di distinguere, nelle opere analizzate, gli aspetti poetico-letterari da quelli filosofici e documentari, con l'adozione di categorie non storiche, sociologiche ed epi stemologiche 12 bensì metaforiche. Ed è proprio in virtù di questa scelta che ci proponiamo di suggerire un dubbio circa il valore strumentale di quella immagine della città e la impostazione del problema topologico illustrato da Norberg Schulz, riportandone i termini al loro significato originario in seno alla coscienza temporale, con l'invito ad una lettura 3? pressoché inedita, pur se qui inevitabilmente rapida, di Alla
ricerca del tempo perduto di Marce! Proust, un'opera parti colarmente illuminante. Di fatto se le cose di cui parlano usualmente i libri d'uno scrittore valgono a indicare quel che suscitava la sua ispira zione e ad apprenderci quel che s'imponeva con forza al suo spirito13 Proust con quella perspicacia che, nascendo da un'intima partecipazione, gli fa spesso intuire negli altri il senso di una sua medesima naturale inclinazione, decifra già il Wilhelm Meister e le Affinità elettive mediante codici che, più o meno consapevolmente, va elaborando all'orizzonte ancora lontano della Recherche. Egli afferma che in Goethe hanno grandissima importanza i luoghi 14, e che tutte le de scrizioni degli ambienti, dei paesaggi, dei riti e dei costumi non sono messe là soltanto per procurare piacere, ma che furono in un rapporto estremamente serio con la vita intel lettuale dello scrittore: che il problema della sua intelligenza, la sua mira più reale era di rendersi conto di quanto ci fosse di reale nel piacere che gli causavano... e di determinarne L'influsso sulla vita spirituale 15• Nella Recherche hanno grandissima importanza i luoghi e i nomi, legati come sono indissolubilmente a un medesimo destino nel tempo, che li vive insieme come percezione e come memoria, dunque come rappresentazione. Egli stesso ce lo rivela in queste giovanili note su Goethe, scritte sembra quasi un decennio prima della intuizione della madeleine e della memoria involontaria 17, più lucidamente che nelle più tarde pagine esp!icative della sua filosofia. A questo proposito, come osserva acutamente Merleau-Ponty anche per Stendhal e Balzac, l'opera di un grande romanziere è sempre sorretta da due o tre idee filosofiche... ma è nondimeno sorprendente che, quando s'interessano deliberatamente alla filosofia gli scrittori riconoscano tanto male le loro parentele, sì che ad esempio Pro_ust traduce la sua intuizione del tempo ora in una filosofia· relativistica e scettica, ora in speranze d'immor talità che la deformano ugualmente 18• Proust intesse magistral mente tutta l'opera di questo apparente incalzare della me moria, di questa potenziale presentificazione di un passato c..he sfugge al dominio e al controllo dell'intelligenza e �he 33
sembra affiorare in episodi frammentari alla nostra co scienza. Qui non interessa decifrare il senso e discutere della na tura di queste intangibili sacche di esperienza vissuta che, a capriccio del caso o sottostando a leggi sconosciute, ver rebbero talvolta squarciate davanti ai nostri occhi, rivelando il loro prezioso contenuto, reso suggestivo dalla nuova pro spettiva temporale (la psicologia ha da tempo classificato e relegato questi fenomeni fra quelli cosiddetti di déjà-vu o fra le immagini eidetiche); noi sappiamo che la coscienza del passato, anche quando sembra immobilizzarci nell'incanto mistico di unà esperienza totalizzante, è sempre coscienza presente, presenza a un mondo che solo dà senso anche a quel passato. Nella struttura dell'opera proustiana quel suo con vincimento, pur se psicologicamente opinabile, assume un va lore positivo in virtù del discorso poetico che svolge e della ·realtà che disvela metaforicamente. In quelle pagine son proprio la struttura della nostra più intima esperienza del l'ambiente e i modi della sua processualità che vengono acutamente evidenziati, attraverso l'intuizione e l'esplicita zione della fitta rete di relazioni fisiche e psichiche che leg� il nostro corpo e il mondo nell'unità della nostra coscienza. Viviamo in un ambiente di oggetti costruiti dagli uomini, afferma Merleau-Ponty, tra utensili, in case, strade, città e il più delle volte non li vediamo se non attraverso le azioni umane di cui possono essere i punti di applicazione. Ci abi tuiamo a pensare che tutto ciò esiste ed è incrollabile 19 Ma Proust ci dà esattamente la misura di questo spessore che le cose acquistano in virtù delle nostre azioni, attraverso una prospettiva il cui centro, momento dopo momento, è occu pato dall'uomo, mentre i fuochi si spostano nella direzione del tempo, abbracciando sempre nuovi orizzonti. Se infatti, come ha rilevato Curtius 20, la prospettiva ottica delle sue descri zioni è di tipo impressionistico - i campanili di Martinville si spostano a seconda delle curve della strada e i movimenti dei viaggiatori, e i monti saltellano come agnelli e perfino le cose ricordate mutano posizione 21 sicché ogni intero si fran34 turna come sotto il rallentatore del cinematografo 22, ·è an-
cora il tempo che determina le modalità di mutazione e di fluttazione delle cose l'una nell'altra. Combray, Parigi, Balbec, Venezia: ecco alcuni nomi, i principali luoghi della Recherche. Non importa in questa sede se il nome di Combray è ispirato all'autore da quello di Com bres o di Combourg, di Cambrai o di una Combray che esiste davvero in Normandia 23, né mette conto riconoscere nei luoghi evocati da quel nome i ricordi di Autei'l o di Illiers 2-1. Poiché impressioni come quelle che cercavo di fissare, afferma il narratore, non potevano che svanire al contatto d'un godi mento diretto che era stato impotente a farle nascere 25• Combray non è un luogo, non è una città, ma un mondo, e non solo in senso metaforico, contestuale all'opera letteraria, poiché per ciascuno di noi esistono innumerevoli Combray, e le esperienze e il ricordo che ne abbiamo sono allo stesso tempo uguali e diverse da quelle del narratore, così come uguali e diverse paiono le esperienze che abbiamo in co mune con tutti gli altri. Combray, di lontano, a dieci miglia all'intorno, veduta dalla ferrovia quando vi arrivavamo nell'ultima settimana prima di Pasqua, non era che una chiesa, che riassumeva tutta la città, la rappresentava, parlava di lei e per lei alle persone lontane 26• Il segno chiesa denota con la sua configu razione precisamente emergente la città Combray in una im magine nitida ma, per così dire, delimitata, schematica, esterna ai luoghi, come una cartolina. Pertanto, a partire da questo primo, si vanno svolgendo nella Recherche, con una sequenza insieme percettiva e rievocativa di immagini, sempre più ravvicinate e tuttavia più ricche e sfumate, i temi cari all'autore: le strade contrassegnate dai gravi nomi di Santi 27, strette e grige come le case, i colori della Pasqua, gli odori delle cucine, i silenzi delle camere, i gesti rituali, le conver sazioni essenziali e sempre ripetute. E come la chiesa riassume tutta la città, così il campanile parla in nome della chiesa ad ogni suo punto: a tutte le occupazioni, a tutte le ore, a tutti i punti di vista della città dava un aspetto, un compi mento, una consacrazione 28• Le cinque pagine consecutive dedicate alle esperienze visuali offerte dal campanile, eia- 35
scuna a suo modo colorata da connotazioni ora colte ora affettive, non ne esauriscono la potenziale carica semantica: vi è ancora, ci informa poco più avanti il pedante curato 29 , la vista che si offre dalla sua sommità donde si abbracciano in un sol tempo con gli occhi cose che d'abitudine è impos sibile vedere se non l'una senza l'altra 3il, Nella Recherche come in ogni esperienza riflessa le immagini appaiono stati camente isolate e unitariamente compiute ma traggono dal rapporto con le altre e con i pensieri e i ricordi, anche solo possibili o negati, il senso della loro processualità. Così la forte percezione tattile delle pietre del portico della chiesa, ricche d'un uso antico e ripetuto, lega l'esperienza soggettiva, presente del narratore a quella collettiva d'una comunità della quale egli si sente partecipe pur nell'assenza, nel disagio o nel rifiuto di più stretti rapporti interpersonali. Allo stesso modo la chiesa, che da lontano stringe intorno a sé le case in una con.figurazione unitaria, da vicino, con le sue pietre sepolcrali, le vetrate, l'abside, pur saldato alle mura delle case vicine, si distingue come entità a sé, sacra, isolata: tutto questo e, più ancora gli oggetti preziosi venuti alla chiesa da gente che per me eran quasi personaggi leggendari... faceva di essa qualcosa di assolutamente diverso dal resto della città: un edificio che occupava, se così si può dire, uno spazio di quattro dimensioni - la quarta era quella del tempo che spiegava attraverso i secoli la sua nave, che di galleria in galleria, di cappella in cappella, pareva oltrepassare e s·u perare non 'pochi metri soltanto, ma epoche successive donde usciva vittoriosa 31, Già dalle prime pagine emergono dunque tre modalità apparentemente distinte della nostra esperienza temporale: quella intrinseca alla nostra percezione dell'ambiente me diante la molteplicità e la sequenzialità dei punti di vista: quella che dà spessore alle nostre rappresentazioni come memoria: in.fine quella più squisitamente storica attraverso la quale soltanto può estrinsecarsi la nostra partecipazione ad una società di uomini, una partecipazione che non si esau risca in uno stereotipo rapporto interpersonale. Il richiamo 36 alle teorie di Einstein, che lusingò lo stesso Proust in vita,
è dunque solo parzialmente pertinente, anche in considera zione di tutte le riserve, d'obbligo in tal genere di confronti tra concetti scientifici e immagini poetiche, quali già Rag ghianti ha acutamente posto in altro contesto lZ, cui senz'altro rimandiamo il lettore. Quelle tre distinte modalità, pur fa cendo capo ad una medesima dimensione in seno alla nostra coscienza, perché sono di fatto indistinguibili nelle rappresen tazioni mediante le quali l'uomo vive il mondo, contribuiscono tuttavia in misura diversa, per individui e per circostanze, alla determinazione delle esperienze. Nel contesto dell'opera quelle prime pur ricche e vivide immagini non definiscono ancora i luoghi, mancano di un preciso orientamento, attendono ancora un senso. L'espe rienza del narratore si approfondisce e si individua quando, fissato un primo punto preciso di riferimento, la casa della zia che lo ospita con la sua famiglia, le camere cosparse di una atmosfera granulosa, pollinizzata, commestibile e de \.'Ota "• vi va rapportando tutti i moti, per dirla con l'autore, del corpo e dello spirito, tutte le vicende che ritmano la sua vita in una rappresentazione tanto fortemente strutturata da condizionarne ogni successivo ricordo in una duplice pro spettiva. La casa del narratore divide infatti il paese in due parti che sono insieme due direzioni opposte, due passeggiate distinte, due mondi diversi, ma non due luoghi: la parte di Swann, in direzione di Méséglise e la parte dei Guermantes. li rapporto fra nomi e luoghi si fa dunque più complesso e sfumato, perché i primi non denotano più immagini precise, o dati di esperienza, ma evocano mondi mitici, mete irrag giungibili, confini metaforici. Sono i luoghi dell'adolescenza, soggettivamente legati a quelle fantasie personali destinate, per un verso, a mutare nel tempo in relazione alle nuove esperienze vissute, per un altro, a stabilire punti di riferimento per tutti i ricordi successivi: Di Méséglise-Ia-Vineuse, a dire il vero, non ho mai conosciuto altro che la 'parte ',... Quanto a Guermantes, un giorno dovevo saperne di più, ma soltanto assai più tardi; e nel corso di tutta la mia adolescenza, se Mé séglise era per me qualcosa di il:iaccessibile come l'orizzonte, ,·elato allo sguardo per quanto lontano ci si spingesse, attra-
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verso gli anfratti di un terreno che già sembrava diverso da quello di Combray, Guermantes non mi apparve che come il termine più ideale che reale della sua propria ' parte ', quasi un'espressione geografica _astratta come la linea dell'equatore, come il polo, come l'oriente 34• E se la parte di Méséglise, in
virtù di Swann, finisce per legarsi alle vicende della sua vita a Parigi, il nome di Guermantes acquista successivamente nella coscienza del narratore sette od otto figure diverse: al mitico confine di una delle parti di Combray succede infatti l'immagine di un feudo ereditario i cui stemmi adornano le vetrate di una chiesa gotica; poi l'incontro con Saint-Loup fissa una data precisa, l'acquisto del castello da parte dei Guermantès nel secolo XVII, trasferendo il nome da un tempo mitico ad uno storico; appare quindi a Parigi il Palazzo Guermantes, limpido come il suo nome, perché nessun ele mento materiale e opaco veniva ad offuscarne la trasparenza 35, finché la famiglia del narratore non vi si trasferisce, occu pandone uno degli appartamenti in cui• è stato diviso. Era
una di quelle antiche dimore come se ne trovano forse an cora in città, nelle quali la corte d'onore - sia per le allu vioni della crescente marea democratica sia per lasciti di tempi antichi in cui i diversi mestieri si raggruppavano in torno al Signore - ospitava spesso sui fianchi dei retrobot tega, dei laboratori, e magari qualche botteghino di caliolaio o di sarto, come quelli che possiamo vedere contro i fianchi delle antiche cattedrali che l'estetica dei nostri ingegneri non ha ancora 'isolate' 36• I Guermantes, dunque, da feudatari
divenuti locatari assai recenti di una parte del loro palazzo, finiscono per identificarsi con il loro salotto, sia pure il primo salotto, la prima casa del Faubourg Saint Germain, ben poca cosa, insomma, a paragone di quelle favolose dimore che io
avevo successivamente fantasticate :r1.
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Ma mentre a Parigi l'ambiente fisico regredisce a scena, la compagine sociale, che a Combray fa tutt'uno con la chiesa, le case e il paesaggio, si costituisce e si articola tipologica mente nei salotti come nelle famiglie più umili: il piccolo clan dei Verdurin così come la casa dei Guermantes sono governati da codici più variati ed astratti ma non meno rigidi
ed operanti di quelli atavici di Combray 38• Ed è proprio dalle imprevedibili, poliedriche, spesso ambigue modalità di variazione dei rapporti con i diversi mondi che i personaggi della Recherche, pur chiusi ciascuno nella propria lingua come in un castello 39 , acquistano quella vita che li rende veri, universali, al pari dei luoghi. Abbiamo detto che, a Parigi, l'ambiente fisico regredisce a scena; di fatto sembra importante rilevare come manchi, fra le descrizioni così frequenti e dettagliate delle camere che occupa, volta a volta facendone il principale punto di riferi mento, proprio quella della sua camera di Parigi, nella quale pur trascorre la maggior parte della sua vita; questa omissione crea un vuoto proprio al centro di quel mondo, una lacuna che alcune fuggevoli immagini scorte dalla sua finestra non riescono a colmare. Si tratta di quella finestra in uno dei quartieri più brutti della città... dalla quale dopo un primo, un secondo e pure un terzo piano costituiti dai tetti accastellati di parecchie strade, si vede una cupola viola, a volte ros sastra, a volte anche nei più nobili esperimenti che ne trae l'atmosfera, di un nero diluito di ceneri, che non è altro che la cupola di S. Agostino, e che dà a quella veduta di Parigi il carattere di certe vedute romane di Piranesi 40• Prima del palazzo dei Guermantes, pertanto, solo gli Champs-J::lysées e il Bois de Boulogne, nei cui pressi è la casa di Swann, sono delegati a rappresentare l'ambiente fisico della capitale. E già proprio dal confronto implicito fra il verde di questi parchi cittadini e quello dei giardini e dei paesaggi di Combray, emerge chiaramente la diversa natura del rapporto fra scena fisica e relazioni sociali. I giardini di Combray sono luoghi raccolti e privati, invitano alla sosta e agli ozi pur parteci pando intimamente del paesaggio e della vita del paese: i parchi di Parigi costituiscono, viceversa, sfondi distinti, scene staccate, le cui possibilità di variazione derivano dai toni di luce e di colore delle diverse stagioni, che ne sottolineano altresì il sostanziale isolamento nel contesto della città. Questa distinzione evidentemente non è casuale né circostanziale, ma risponde ad una diversa dimensione sociale, colta ed esaltata dall'autore, fra l'antico borgo medioevale e la complessa, fram- 39
mentaria struttura della capitale, fra i luoghi evocati dalla sua immaginazione e lo sfondo neutro della sua vita quotidiana, che inevitabilmente sfugge ad ogni tentativo di abbracciarlo in una immagine unitaria. Del resto, anche da una visuale puramente realistica, i paesi che noi desideriamo tengono in ogni istante assai più posto nella nostra esistenza vera dei paesi dove abitiamo in realtà 41 • Se, dunque, i nomi, nella Recherche, precedono sempre i luoghi, dei quali costruiscono in anticipo un senso immagi nario, intessuto dei discorsi, dei desideri, dei rapporti con altri nomi e luoghi, quello di Balbec compare la prima volta come meta di una possibile vacanza, e il senso gli deriva da una descrizione del paesaggio normanno offerta dall'erudito snob Legrandin: Balbec! L'ossatura geologica più antica del nostro terreno 42• Poi, Swann lo arricchisce con l'immagine di una chiesa, per metà romanica e per metà gotica, così bizzarra da sembrare architettura persiana piuttosto che nor manna. E quei ·luoghi che fin allora non m'erano apparsi che come natura ·immemorabile, rimasta· contemporanea ai grandi fenomeni geologici.... era stato un gran.de incanto per me ve derli entrare d'improvviso nella serie· dei secoli, dato che avevan conosciuto l'età romanica, e sapere che la rosa gotica a tre foglie era venuta ad innervare anche quegli scogli sel i•aggi 43 • In conseguenza di ciò Balbec diventa la tappa di un progettato pellegrinaggio ruskinian.o 44 secondo un itinerario che comprende le principali chiese della Normandia e della Bretagna, sotto la guida autorevole e suggestiva degli scritti di Bergotte-Ruskin 45 • Così, nella coscienza del narratore, architettura e scogliere gotiche e selvagge, i nomi armoniosi dei paesi citati dall'orario ferroviario, finiscono per espandere a dismisura il significato del nome di Balbec, allo stesso modo in cui i discorsi, le letture e i progetti di un primaverile viaggio in Italia colmano i nomi di Firenze e di Venezia fino a farli traboccare di immagini e di connotazioni. Ma se i nomi assorbirono per sempre l'immagine ch'io avevo di quella città, ciò avvenne solo trasformandola, sottomettendo la sua riapparizione in me alle loro proprie leggi ... Quelle immagini 4Ò erano false anche per un'altra ragione; perché erano necessa-
riamente assai semplificate 46• Per Balbec, quando finalmente vi si reca, la prima delusione deriva al narratore dal consta tare che la chiesa non è vicino al mare, come se l'era imma ginata, e dal commisurare la sua architettura e le sue statue nel banale e provinciale ambientamento alle riproduzioni e ai calchi che ne ha ammirato a Parigi 47• Il nome di Balbec è destinato pertanto, a contatto con la realtà, a mutare le sue connotazioni geologiche e gotiche in quelle più « mon dane», ma non meno pregnanti nel contesto della Recherche, legate al Grande Albergo della Spiaggia, con la sua sala da pranzo vetrata come un immenso e meraviglioso acquario dinanzi al quale, di sera, la popolazione operaia di Balbec,
i pescatori e anche le famiglie piccolo-borghesi, invisibili nel l'ombra, si schiacciavano contro i vetri per scorgere, lenta mente oscillante fra i risucchi d'oro, la vita lussuosa di quelle persone, straordinaria per i poveri quanto quella dei pesci e dei molluschi strani 48• Infine, più avanti, il mare, che a Balbec lambisce la spiaggia pettinata e morde le scogliere selvagge, a Venezia si ' urbanizza ' inserendosi fra le sontuose file dei palazzi del Canal Grande, facendo pensare a luoghi naturali, ma di una natura che avesse creato le proprie opere con una immagi nazione umana 49, ovvero insinuandosi· nello spazio avaro delle povere case che, senza di esso, avrebbero formato un tutto compatto 50• Qui, i confronti con Combray ritornano, continui, incalzanti; le medesime familiari impressioni, intessute però di un materiale prezioso, vestite di forme da sempre celebrate e illustrate, fruite attraverso itinerari fiabeschi nella labirin tica rete di straducole e di calli, che disvela a tratti, impreve dibile, un vasto e sontuoso campo, uno di quei complessi architettonici verso i quali, in altre città, le strade si dirigono, vi conducono, designandoli 51• Talvolta egli cerca invano di ritrovare la bella piazza, confuso da quelle stradine e da quelle calli così simili le une alle altre, ma, da turista, non se ne rammarica soverchiamente ché già in quella ricerca un· falso indizio lo conduce a nuove scoperte; talaltra attribuisce alla mano misteriosa di un genio la guida che · i canali offrono alla sua gondola, aprendole un cammino scavato nel cuore .-ii1
di un quartiere 52• Giova qui ricordare, fra parentesi, com.e Lynch citi questa descrizione come un vivido esempio della sensazione di un sistema di riferimento per percorsi 53; ma il
narratore trae proprio dall'accidentalità di questi itinerari il piacere di vagare in un mondo incantato pieno di sorprese e di magici disorientamenti. Painter, l'informatissimo biografo di Proust, rileva come le fantasie del narratore relative alle città italiane, siano tutte nate dalla familiarità dell'autore con le opere di Ruskin, e come lo stesso viaggio a Venezia vada considerato come la continuazione ideale di quel pellegrinaggio ruskiniano che già ha condotto Proust e il narratore in Normandia e in Bretagna. Tuttavia l'episodio. della lite con la madre 54, che conclude il soggiorno veneziano del narratore così come quello dell'autore, è esteticamente necessario nel contesto della l.{echerche, per rompere l'incantesimo di Venezia come già è accaduto per quello di tutti gli altri luoghi e nomi. Dunque per Proust il rapporto fra la realtà dei luoghi e quella dei nomi e delle immagini, si riduce a quello che l'ul timo Merleau-Ponty definisce nei termini del visibile e del l'invisibile: Nessuno si è spinto più lontano di Proust nella
fissazione dei rapporti del visibile e dell'invisibile, nella descri zione di un'idea che non è il contrario del sensibile, che ne è il risvolto e la profondità 55• L'esperienza del mondo visi
bile è insieme l'esplorazione di un universo di idee. Ma questo, tradotto in linguaggio pragmatista è proprio ciò che Lynch si attende di verificare attraverso quella immagine della città, interrogando i suoi abitanti, interpretandone le impressioni e i ricordi, sollecitandone descrizioni e schematizzazioni; egli tuttavia riesce solo a. dimostrare che quel che cerca non esiste in sé al pari della città-oggetto che dovrebbe denotare, e ciò non tanto per debolezza di struttura o per eccessiva complessità e disordine dell'ambiente fisico, quanto per la natura alienata delle nostre rappresentazioni. Insomma, af ferma il narratore, io dovevo studiarmi di interpretare· le
sensazioni come segni d'altrettante leggi e idee, cercando di pensare, cioè di fare uscire dalla penombra ciò che avevo 42 provato, di convertirlo in un equivalente spirituale... Ora tale
lo esige. Non sacrificate uomini a pietre la cui bellezza deriva appunto dell'aver fissato per un attimo alcune verità umane 59 '. E chi ancora tacciasse Proust d'astratto idealismo o di sterile scetticismo, relegandolo fra i decadenti o fra i pervertiti, do vrebbe a questo punto ricredersi di fronte ad una così lucida ed esplicita, moderna e umana partecipazione. Noi fermiamo qui la nostra rapidissima lettura, ma la Recherche costituisce una fonte inesauribile di stimoli intellettuali. La continuità col passato, dichiarava or sono pochi anni uno dei più prestigiosi scienziati del nostro tempo, dipende non solo dalla conoscenza della storia scritta, ma anche dalla presenza e"'1ntinua delle case, delle strade, delle fattorie e delle città costruite dalle generazioni passate e dalla familiarità con il modo di vivere in cui si svilupparono r,o_ Ma la constatazione che la degradazione dell'am_biente avviene in modo molto più marcato nelle zone culturalmente arretrate dimostra che non è tanto la velocità e la radicalità delle trasformazioni a deter minarla, quanto l'incapacità degli uomini di prenderne co scienza; e se non si può ipotizzare né proporre seriamente di costruire un museo per ogni oggetto e per ogni luogo, è necessario far sì che la memoria, non più o non solo affidata ai singoli edifici, piazze e strade, la presenza fisica dei quali è sterile se non vi sono uomini capaci di fruirla esteticamente, ritorni ad essere un capitale circolante, in quello che è il suo ambito naturale, la coscienza dei rapporti umani e sociali nel tempo. La durata della memoria sociale, concludeva apocalit ticamente Wiener, che occorre per l'azione omeostatica di un senso della storia è troppo grande per la gente di passaggio o per chi si ferma solo per breve tempo. Eppure senza questa durata, le regioni che sono nate dal deserto e dai fianchi bru ciati delle colline in una magnifica sfida alla natura, sono una sfida alla natura troppo grande per possedere gli elementi necessari alla continuazione della loro esistenza. Per rispettare il futuro dobbiamo essere· consapevoli del passato; e se le regioni dove questa consapevolezza del passato è reale si sono ·ristrette a una capocchia di spillo sulla nostra carta geogra fica, allora peggio per noi, e per i nostri figli e per i figli dei 44 nostri figli 61•
I tenninf del problema posto da Norberg-Schulz vanno dunque, una volta per tutte, rovesciati, e la sua domanda va così riproposta: Cosa si deve esigere dall'uomo perché l'am biente possa continuare a chiamarsi tale? 1 K. LYNCH, L'immagine della città, Padova, 1969, p. 23. Ibidem. Ibidem, p. 25. � Ibidem, p. 24. S Di J. PIAGET, uno dei più grandi studiosi di psicologia ed episte mologia genetica, ricorderemo qui solo, per segnalarla ai lettori, l'edi zione italiana del suo più recente, sintetico saggio L'epistemologia genetica, Bari, 1971, mentre per la copiosissima bibliografia riman diamo alla letteratura specializzata. 6 C. NoRBERG-SCHULZ, Intenzioni in architel/ura, Milano, 1967. 7 C. NoRBERG-Sc1-IULZ, II concetto di luogo, in « Controspazio», Bari, 2 3
1969, n. 1.
a C. NIEUVENHUIS, New Babylon, in « Architectural Design», June
1964, cit. in C. NORBERG-SCHULZ, Ibidem, p. 20. 9 c. NORBERG SCHULZ, Ibidem, p. 20.
10 A. DE SAINT-EXUPÉRY, Citadelle, Paris, 1948, cit. in c. NORBERG SCHULZ, Ibidem, p. 23. 11 Cfr., anche per la ricchissima documentazione bibliografica, P, SICA, L'immagine della ciltà da Sparta a Las Vegas, Bari, 1970. 12 D. WEIMER, The City as a Metaphor, Random House, N.Y., 1966, cit. in P. SICA, Op. cit., p. 285. 13 M. PROUST, Goethe, in Giornate di lellura, Milano, 1965, p. 48. 14 Ibidem. 1s Ibidem. 16· L'altra sera, ·ero rincasato int1nzz1to a causa della neve e non riuscivo a riscaldarmi: mi ero messo a leggere nella mia camera, sollo la lampada, e la mia vecchia cuoca mi propose di prepararmi una tazza di tè, bevanda che non prendo mai. Il caso fece sl che mi portasse anche alcune felle di pane abbrustolito. Inzuppai il pane nella tazza di tè, e, nel momento in cui lo portai alla bocca, ebbi la sensazione del suo ammollimento impregnato del sapore di tè contro il mio palato, sentii un turbamento, degli odori di gerani, di aranci, una sensazione di luce straordinaria, di felicità. Me ne rimasi immol1ile, per timore di arrestare, con un solo movimento, quanto avveniva in me e che non capivo, a/laccandomi saldamente a quel pezzo di pane inzuppato che sembrava producesse tante meraviglie, quando, d'improvviso, le chiuse già scosse della mia memoria cedettero; e nella mia coscienza fecero irruzione le estati trascorse nella casa di campagna di cui ho parlato, con le loro mattinate, trascinando con sé la sfilata, la carica incessante delle loro ore felici. Allora mi ri cordai: ogni giorno, appena vestito, scendevo nella camera del nonno, che si era da poco svegliato e stava bevendo il suo tè. Egli vi bagnava un biscotto e me lo dava da mangiare. E, quando quelle estati furono passate, la sensazione del biscol/o ammollito nel tè fu uno dei rifugi in cui le ore morte, morte per l'intelligenza, finirono col rin cattucciarsi, e dove non le avrei certamente ritrovate se, quella sera d'inverno, essendti rincasato tutto infreddolito a causa della neve, la cuoca non mi avesse portato la bevanda cui era legata la risurrezione, 45
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in virtù d'un patto magico a me ignoto. M. PROUST, Memoria involon taria e resurrezione poetica, in Giornate di lettura, cit. pp. 291-292. In Du c6té de chez Swann, il primo volume della Recherche, il pane abbrustolito diventa la madeleine, una di quelle focacce pienotte e corte che paiono aver avuto per stampo la valva scanalata d'una con chiglia di san Giacomo, il nonno materno Nathé Weil si trasforma nella zia Léonie, e la casa di Auteil in quella di Combray. 17 La memoria involontaria sembra basarsi anzitutto sulla somi glianza tra due sensazioni, tra due momenti. Ma più profondamente la somiglianza si traduce in una stretta identità: identità d'una qua lità comune alle due sensazioni, o d'una sensazione comune ai due momenti, l'attuale e il passato. Cosl per il sapore potremmo dire cl1e esso contiene un volume di durata che lo estende contemporanea mente su due momenti. Ma, a sua volta, la sensazione, la qualità identica, implica un rapporto con qualche cosa di differente. Il sapore della madeleine ha imprigionato e avviluppato nel suo volume Com bray. Finché ci limitiamo alla percezione cosciente, la madeleine ha soltanto un rapporto di contiguità tutta esteriore con Combray. Fin ché ci limitiamo alla memoria volontaria, Combray resta al di fuori della madeleine, come il contesto separabile dalla lontana sensazione. Ma la memoria involontaria ha questa proprietà peculiare: di inte riorizzare il contesto, di rendere il contesto antico inseparabile dalla sensazione presente... « Un peu de temps à l'état pur». E cioè: non una semplice somigliàm.a tra il presente e il passato, tra un presente che è attuale e un passato che è stato presente; e nemmeno un'iden tità dei due momenti; ma, al di là di questo, l'essere in sé del pas sato, più profondo di ogni passato che è stato, di ogni presente che fu. « Un peu de temps à l'état pur», vale a dire l'essenza del tempo localizzata. G. DELEUZE, Marcel Proust e i segni, Torino, 1967, pp. 59-60. Quello della memoria involontaria va dunque ricondotto nel più am pio .concetto fenomenologico di intenzionalità, sì che non si giustifica, se non per una fondamentale incomprensione o per una inconscia rimozione, l'aspra, direi rabbiosa, esplosione di Sartre: Eccoci libe rati da Proust. Liberati nello stesso tempo dalla « vita interiore», che conclude il suo saggio, Une idée fondamentale de la phénomé nologie de Husserl: l'Intentionalité, in Che cos'è la letteratura, Mi lano, 1960. 11 M. MERLEAu-PoNTY, Il romanzo e la metafisica, in « Senso e non Senso •• Milano, 1962, p. 45. 19 M. MERLEAU-PONTY, Il dubbio di Cézanne, Ibidem, p. 35. 20 Cfr. E.R. CuRnus, Franzosischer Geist im neuen Europa, 1925, cui L. SPITZER nel suo saggio Sullo stile di Proust dichiara di ispirarsi largamente. 21 L. SPITZER, Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna, Torino, 1959, p. 308. 22 E.R. CURTIUS, Op. cit., in L. SPITZER, Op. cii., p. 308. 23 G.D. PAINTER, Marcel Proust, Milano, 1970. 24 Cfr. Ibidem, pp. 21-56. 2S M. PROUST, Il tempo ritrovato, Milano, 1962, p. 174. Tutte le ci tazioni italiane della Recherche si riferiscono alle edizioni di A. Mon dadori, su licenza della « Giulio Einaudi Editore». 26 M. PROUST, La strada di Swann, Milano, 1957, vol. I, p. 53. n Ibidem, p. 54. 28 Ibidem, p. 70. 29 Il narratore riferisce l'intenzione del curato di scrivere un libro sulla parrocchia di Cambra�, e, come ci in�orma il Pai!"ter, �el 1_907 Joseph Marquis, curato, poi abate e canoruco, della chiesa di Samt-
Jacques a llliers pubblica un grosso e dotto volume che narra la storia della città fin dai tempi preistorici. JO M. PROUST, La strada di Swann, cit., voi. I, p. 111. 31 32
1962.
Ibide111, p. 66. Cfr. C.L. RAGGHIANTI, Mondrian e l'arte del XX secolo, Milano.
M. PROUST, La strada di Swann, cit. voi. Il, p. 203. Ibidem, voi. I, p. 139. 3S M. Pnousr, / Guermantes, Milano, 1959, voi. I, p. 14. 33 34
Ibidem, p. 15. Ibidem, p. 26. 38 Cfr. oltre al notissimo saggio di E. Wn.SON, Il castello di Axel, Milano, 1965, R. GIR,\RD, Struttura e personaggi nel romanzo moderno, Milano, 1965, in particolare il cap. IX, e il già citato G. DELEUZE, Marcel Proust e i segni. Quanto al presunto limite dell'orizzonte so ciale della Recherche che Sartre, per un verso, e Lukacs, per un altro, hanno rimproverato a Proust, risponde implicitamente già il Nostro quando, ne Il tempo ritrovato (p. 185) afferma: Non imitiamo i rivoluzionari c/ie per civismo disprezzavano, se pur non le distrug gevano, le opere di Watteau e di La Tour, pittori che onoravano la Francia meglio di tutti quelli della Rivoluzione messi i,isieme. L'ana tomia, probabilmente, un cuore tenero non la sceglierebbe, se avesse facoltà di scelta. Non è stata la sensibilità del suo cuore retto, che era in lui grandissima, a indurre Choderlos de Laclos a scrivere Les Liaisons Dangereuses, né è stato il gusto per la piccola borghesia - piccola, o grande - a indurre Flaubert a scegliere come argomentà il mondo di Madame Bovary e dell' Education sentimentale. Certuni dicevano che l'arte d'un'epoca di fretta sarebbe stata concisa, come quelli che, prima della guerra, avevan predetto ch'essa sarebbe statà breve. Cosl la ferrovia doveva uccidere la contemplazione, era inutile rimpiangere l'epoca delle diligenze; ma l'automobile adempie atta. loro funzione e di nuovo fa sostare i turisti presso le chiese abbandonate. Per un commento alle critiche di Lukacs cfr. G. DELLA VOLPE, Critica del gusto, Milano, 1966, pp. 217-220, che tratta allo stesso titolo anche 36 37
di Joyce e di Kafka. Va rilevato tuttavia che la posizione di Lukacs appare molto più moderata nella sua più recente Estetica, Torino, 1970, pp. 745-749. 39 Come rileva Benoist-Méchin, la lingua speciale di ogni perso
naggio corrisponde in generale alla sua chiusura all'interno dell'unità sociale in cui è cresciuto ... il mondo di Proust è. come la grande sala a vetri della Gare d'Orsay di Parigi, dove i diversi gruppi di viaggiatori ci appaiono contemporaneamente, ·ma separati da vetri. (Questa immagine, del resto, può anche accennare alla disposizione e alla divisione dei diversi piani della Recherche). / personaggi di Proust vivono chiusi nella torci lingua come · in un· castello. L. SPITZER, Op. · cit., p. 820 n. -40 M. PROUST, La Strada di Swann, cit., voi. I, p. 71. 41 Ibidem, voi. Il, p. 210. 42 Ibidem, voi. I, p. 136. Al nome di Balbec il Painter fa corri
spondere, ciascuno per un motivo, sia pur _l'iniziale, _i seguenti . nomi della geografia reale: Beg-Meil, Cabourg, D1eppe, Ev1an, Trouv1lle. 43 Ibidem, voi. Il, pp. 204-205.
44 Vorrei scorrere una niano ... Noi dov'è morto· ammirava �
dare al lettore il desiderio ·e il mezzo di recarsi a tra giornata ad Amiens in una- specie di pellegrinaggio ruski visitiamo la località dove. un grand'uomo è nato. e. quella ma non abitava molto di più i luoghi che maggiormente di cui amiamo la bellezza nei suoi libri? M. PROUST,
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·4s
Ruskin ad Amiens, in « Giornate di lettura», cit. p. 57. L'influenza che le opere di Ruskin esercitarono sul Nostro, e il modo originale in cui questi ne ha reinterpretato il pensiero, merita uno studio appro fondito e criticamente aggiornato; per quanto riguarda la parte do cumentografica, oltre ai suoi scritti Ruskin ad Amiens, già citato, e Ruskin, raccolti in « Giornate di lettura •• cit. confronta tutto il cap. XIV, parte I, del Painter, che con il consueto acume, mai disgiunto da un lievissimo humour, così riassume il corso di questa affinità elettiva: Tranne per il fatto che gli diede gioie non contaminate da sofferenze, la passione di Proust per Ruskin segui lo stesso corso dei suoi amori o delle sue fervorose amicizie. Ci fu un preludio di rap porti tiepidi, come fra semplici conosce11ti, poi una cristalliu.azione e un prender fuoco ,infine un venir meno dell'amore, da cui Proust emerse libero, ma trasformato e arricchito in modo permanente. 45 Se Bergotte (il « grande scrittore,. ammirato dal narratore nella Recherche) ha l'abitudi11e di visitare antiche cattedrali, essa non si spiega tuttavia col fatto che abbia raccolto en passant ... una caratte ristica di Ruskin. Come nella presenza sociale Bergotte è A11atole France, cosi nell'effetto delle sue opere sul Narratore egli è Ruskin. G.D. PAINTER, Op. cit., p. 278. 46 M. PROUST, La strada di Swann, cit. vol. II, pp. 207-209. Il dottor Cottard che vuole co11oscere il significato di modi di dire come « le quart d'heure de Rabelais, une vie de batons de chaise », e il parroco che prowede ogni nome di luogo della sua etimologia, sono appena la versione caricaturale di un problema filosofico: qual'è il significato dei dati linguistici, e come si può sciogliere l'incongruenza fra la parola e la cosa? La forza magica che è racchiusa e dà peso alla parola è appunto questa possibilità di creare - o di rispecchiare la realtà ... Il nome, questo segno linguistico, diventa cosi una ma gica formula di evocazione ... per usare un'espressione di Curtius 1 nomi propri sono degli « assegni in bianco », che Proust può riempire a suo piacere, siccome essi non sono stati ancora razionalizzati dalla lingua. Curtius ha parlato soltanto dei nomi di città ... ma si puo dire che nella Recherche non c'è nome proprio in cui Proust non abbia letto una « leggenda spirituale». L. SPITZER, Op. cii., pp. 281-283. 47 M. PROUST, All'ombra delle fanciulle in fiore, Milano, 1958, p. 216. 48 Ibidem, p. 236. 49 M. PROUST, Albertine scomparsa, Milano, 1%2, p. 190. SO Ibidem, p. 189. SI Ibidem, p. 205. 52 Ibidem, p. 18':I. 5J K. LYNCH, Op. cit., p. 144. 54 Cfr. M. PROUST, Albertine scomparsa, cit., pp. 207-209 La città che mi stava dinanzi aveva smesso di essere Venezia. La sua persona lità, il suo nome, mi parevano bugiarde finzioni che non awvo più il coraggio di imporre alle pietre. I palazzi mi parevano ridotti alle loro pareti, mucchi di marmi simili a tutti gli altri; e l'acqua a una combinazione di idrogeno e di ossigeno, eterna, cieca, anterwre ed esterna a Venezia, ignara dei Dogi e di' Turner. 55 M. MERLEAU-PONTY, Il visibile e l'invisibile, Milano, 1%9, p. 176. 56 M. PROUST, Il tempo ritrovato, cit., pp. 175-176. 51 Ibidem, p. 169. sa In realtà lo strumento di scambio iniziale non è la percezione, come i razionalisti hanno troppo facilmente concesso all'empirismo, ma l'azione stessa nella sua ben più grande plasticità. Certo, le per cezioni hanno un ruolo essenziale, ma esse dipendono in parte dal l'azione 11cel suo insieme. e alcuni meccanismi percettivi che avremmo
potttto credere innati o molto primitivi (come l'« effetto tunnel• di Michotte) 11011 si costituiscono che a un certo livello della costruzione degli oggetti. In linea di massima ogni percezione giunge a conferire agli elementi percepiti significati relativi all'azione, ed è dunque dal l'azione che conviene partire. J. PIAGIIT, L'epistemologia genetica, cit., pp. 12-13. 59 M. PROUST, Il tempo ritrovato, cit., p. <n. Il narratore in questa sua conversazione con Charlus fa riferimento alle contemporanee vi cende belliche che minacciano da presso i monumenti francesi, ma il senso della sua proposizione è molto più generale. 60 N. WIENER, Omeostasi nell'individuo e nella società, in « Dio e Golem S.P.A. », Torino, 1967, p. 133. 61 Ibidem, p. 134.
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Percezione ed esperienza estetica FRANCESCO CALVO
Vorremmo qui sviluppare un suggerimento di Vitaliano Corbi 1 circa la funzione e l'importanza da assegnare al momento percettivo ai fini di una più precisa individua zione delle componenti che concorrono a determinare la co sidetta esperienza estetica. Le ragioni che ci inducono ad affrontare un tale argomento, sia pure nel ristretto spazio di un articolo, sono molte e di vario genere. Due le principali. La prima consistente nella necessità di superare l'artificiosa frattura tra un momento puro e un momento semiotico del l'esperienza (distinzione che sarebbe poi alla base dell'espe rienza estetica, così come questa si configura p. es. nella teoria di Cesare Brandi); la seconda, che per certi versi in globa la precedente come sua causa, originata dall'esigenza di verificare ad un livello sia pur relativamente microsco pico l'ipotesi di analiticità e/o riformulabilità secondo mo delli semiotici adeguati. Che ingloba la precedente, dice vamo, infatti è pur presente nell'istanza di semioticità il pericolo di perdere di vista il primo momento sostanziale e insopprimibile di approccio all'oggetto; ove è proprio que sto momento che Brandi tende a rivalutare (e l'esigenza è del tutto legittima) nella sua concettualizzazione di uno stato puro di coscienza, « presenza » o, meglio ancora, « astanza » in cui verrebbe a costituirsi la specificità estetica dell'og getto 2• Ciò non significa però, come meglio vedremo in se guito, che nel riconoscere la legittimità di un siffatto ten50 tativo noi ne accettiamo anche, pur nella consapevolezza di
conseguenza che gli stimoli sensori vengono registrati e fissati nelle aree già eccitate solo a condizione che si presentino come elementi di variazione compatibili con la struttura funzionale di quelle. Ci si potrebbe forse contestare l'opportunità di estra polazioni siffatte, né noi vi insisteremo più a lungo, il nostro scopo essendo principalmente· quello di enucleare l'aspetto più vistoso· dei fenomeni percettivi. vale a dire la loro azione di strutturazione e organizzazione degli stimoli. Questi· dati, inoltre, sono tanto più interessanti in quanto nell'uomo; con la . comparsa del linguaggio, organizzazione percettiva e organizzazione linguistica vengono a costituire i due poli di un unico universo semiotico. · · A differenza delle ·specie inferiori, nelle quali la risposta a uno stimolo si fonda eminentemente su un tipo di selezione casuale del genere descritto da Thorndike (il processo « tria! and error » ), nell'uomo - ·cosa di cui si avvide anche Pavlov 7;· che di Thomdike doveva sviluppare i suggerimenti più fe condi - la comparsa del linguaggio doveva apportare muta menti profondissimi allo schema di selezione casuale sia per là capacità di evitare larghe frange di « error » attraverso la trasmissione dell'esperienza, sia per la possibilità di ela borare meccanismi di selezione estremamente sottili ridu cendo in tal modo, continuamente,. il campo di variazione casuale 1• Nell'uomo così, grazie al linguaggio, assistiamo a una maggiore elasticizzazione di quel rapporto che, in ter mini biologici, potremmo dire genotipo-fenotipo. Ovvero, co me osserva Fusco, l'immagine visiva è da porsi come una
configurazione limite nell'ambito di processi che coinvolgono sempre percezione, intellezione ed emozione, e che ammettono d'altra parte come limite opposto un simbolo coincidente per intero con una relazione strutturale 9•
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· L'avvento del linguaggio ha così prodotto una situazione nuova, certo del tutto sconosciuta anche alle più evolute tra le scimmie. antropomorfe. Senza per questo dover accettare in tutte le sue implicazioni la cosidetta ipotesi Sapir-Whorf 10 secondo. la· quale « la percezione che abbiamo del mondo è programmata dalla lingua che parliamo• 11, è certo che l'au-
necessità di una ·riassunzione alla tipicità attraverso campi correlativi di equivalenza tra la normatività (relativa) del rapporto segno-referente, e la normatività atipica del pro cesso di condensazione polisemica 24• Per ciò che riguarda l'opposto aspetto della percezione prognostica o univocamente diretta, si è già visto come l'implicito risulti tanto più limitato quanto più la tendenza della catena comportamentale tenda a mettere in parentesi, come non pertinenti, le altre possibili determinazioni del percetto. Con ciò non si vuol sostenere che anche nella per cezione prognostica non permanga un certo residuo di de generatezza, ma semplicemente che questo assumerà caratte ristiche tali da poter essere considerato del tutto irrilevante e trascurabile ai fini della determinazione del significato ge nerale del messaggio veicolato dal dato di percezione. A questo punto dovrebbe risultare chiaro che la imme diata transitività e collocabilità di un fenomeno all'interno di una catena sintagmatica non ne è già la prova più di retta di semioticità, ma se mai ne costituisce l'indice più basso. :t:. inoltre necessario non confondere con la tipica po lisemia dell'oggetto estetico quei casi in cui, per il mancato riconoscimento -immediato del locus da assegnare al feno meno all'interno del sintagma, si verifichi una inusuale esten sione delle funzioni dell'implicito, per cui il fenomeno viene genericamente indicato come ambiguo: in verità si tratta di una ambiguità sui generis, da non confondersi certamente con la cosidetta ambiguità estetica 25• Giova ora rifarsi proprio al concetto di ambiguità este tica nel tentativo di individuare le ragioni profonde che de terminano, fatto a prima vista curioso se non contraddit torio, la permanenza di un messaggio plurisignifìcante in stato di organicità percettiva globale. Contraddittorio solo in apparenza, o almeno finché non si sia convenuta una tale possibilità nei processi di percezione ovvero non si possa riferire a questi una collocazione precisa nell'ambito dell'in tera personalità. E qui, perché in seguito la nozione di am biguità estetica non debba apparire ingiustificata, occorre 58 fare un breve preambolo da cui possa risultare chiara tale
pre come multideterminata, partecipa tuttavia della tendenza generale dell'Io al progressivo distacco da quella stessa realtà. :È. a questo punto che si affaccia la nozione psicoanalitica di sovradetenninazione (da cui, appunto, l'ambiguità estetica) e si affaccia quasi naturalmente, ci pare, come la più pre gnante riprova dell'importante ruolo assolto dai processi ·psichici preconsci, e tra questi primariamente dalla perce zione, tra il mondo della realtà, inteso come tutto ciò che è altro dall'Io, e quei processi psichici caratterizzati da inve stimento attenzìonale. La nozione di sovradeterminazione è di importanza fon damentale per la teoria psicoanalitica 29: nella teoria di Freud essa compare per la prima volta negli Studi sull'Isteria "JO e "iene successivamente ampliata e approfondita nella fonda mentale Interpretazione dei Sogni 31 ove essa viene intesa come la risultante dell'attività condensatrice del processo primario dalla. quale deriverebbero, appunto, immagini oni riche sovradeterminate: nella meccanica del sogno sarebbero infatti riscontrabili processi di compressione e condensazione di materiali rimossi tanto che alla fine non ci si troverebbe più di fronte a singoli derivati di repressione ma a « nodi di pènsieri onirici » descrivibili, in quanto tali, come sovra determinati, ambigui. Ma dove la nozione di sovradetermi nazione assume per noi un interesse veramente rilevante è nel saggio sul Motto di Spirito 32, ed è proprio questo studio, assai più che le vere e proprie ricerche sull'arte (peraltro sporadiche e da Freud stesso considerate come attività lar gamente marginali) che, come è stato osservato da Kris 33, può essere di grande aiuto nello studio sulla formazione e sulla fruizione dei fenomeni artistici. :È. nota la definizione del motto di spirito data da Freud: un pensiero preconscio
viene lasciato per un momento alla revisione dell'inconscio ed il risultato di ciò è subito afferrato dalla percezione con scia 34• Seguendo l'ulteriore elaborazione di tale definizione
operata da Kris, potremmo delineare la dinamica dei pro cessi artistici come un controllo di regressione funzionale dell'Io sul processo primario, secondo fini omogenei alla di60 namica dell'Io stesso. L'importanza del. controllo operato dal
vuta all'interrelazione dinamica tra i contenuti preconsci e un meccanismo tendente a un tipo di elaborazione derivante da processi organizzativi arcaici, quando questi contenuti saranno riattirati .in superficie, essi potranno opportunamente essere recepiti solo attraverso la mediazione di uno stadio ove i processi di neutralizzazione siano almeno incompleti, e che quindi sia un momento non direttamente soggetto a regole di decodificazione istituzionalizzate. Intendiamoci, il fatto non è casuale, ed è assai probabile che si tratti di un con trollo esercitato dall'Io su un tipo di regressione funzionale all'istituzione di più efficaci forme di neutralizzazione dei materiali rimossi. Ma è altresì evidente che il materiale pre conscio esposto alle spinte di condensazione del processo pri mario può tornare alla coscienza, in una forma di semioti cità più complessa, solo attraverso la mediazione di un momento che per le sue caratteristiche di non tendenza al l'univoco sia in grado di recepire simboli sovradeterminati (offerti cioè in forma plurisignificante), accogliendoli nella loro totalità e ritrasmettendoli come materiale d'analisi, previa una ulteriore ristrutturazione preconscia (esplicito), in cui però la sovradeterminazione possa essere indotta solo per correlazione. Abbiamo cercato, per quanto possibile, di accostare la nostra problematica dei due momenti della percezione a un discorso psicoanalitico, perché, visti sotto questa particolare angolazione, potesse risultarne più chiara da un lato la ne cessaria interrelazione e dall'altro il loro carattere distinto. E ne risultasse anche più chiara la funzione di mediazione (organizzazione e riformulazione) tra la realtà e i processi psichici superiori, funzione resa possibile proprio dal duplice affaccio della percezione: da un lato la capacità di acco gliere stimoli-simboli multideterminati (per i quali nel caso di una notevole coesione interna, com'è per l'opera d'arte, ci si è valsi della nozione più forte di sovradeterminazione); dall'altro la riconversione automatica della multidetermina zione in relativa univocità a fini generalmente adattivi, e di qui l'affaccio ovvero la possibilità per il pensiero cosciente di un aggancio mediato con la realtà, e di un recupero at62
fisiologia del cervello. Una obbiezione di non pertinenza risulterebbe comunque superficiale, perché non terrebbe conto del fatto che non si tratta mai di una estensione di tipo materiale, ma di un riferimento per analogia che tiene certamente conto del salto che c'è tra l'uomo e le specie inferiori, senza per questo precludersi a più importanti scoperte a partire dallo studio di strutture meno complesse. 6 K.S. I..ASULEY, Alla ricerca dell'engramma, in «La fisica della mente•• cit. 7 FROLOV, Introduzione a Pavlov, Firenze, 1%5. a Per quanto detto non possiamo concordare appieno con l'ipotesi di D.T. CAJ\,IPBELL, Variazioni alla cieca e sopravvivenza selettiva come strategia generale dei processi conoscitivi, in «La fisica della mente•• cit., almeno nella misura in cui l'A. non mette suflicientemente in luce la capacità del linguaggio di istituire strutture di prngettazione forte mente limitanti il processo di selezione casuale. 9 G. Fusco, Note per una epistemologia della rappresentazione visiva, in « Op. cit.•• n. 21, 1971, pp. 22-23. 10 B.L. WHoRF, Linguaggio, pensiero e realtà, Torino, 1970. Si parla in genere di «ipotesi Sapir-Whorf », dobbiamo però avvertire che gli apporti di Sapir sono assai dubbi e problematici, certamente assai difficilmente rintracciabili nei suoi scritti. Per una discussione gene rale su tale ipotesi cfr. F. ROSSI LANDI, Programmi della comunica i.ione non verbale, in « Nuova Corrente• 46-47, 1968, e dello stesso Ideologie della relatività linguistica, in «Ideologie» 4, 1968. Si veda inoltre la interessante premessa di A. MIONI alla raccolta di saggi di Whorf (cii.), Presenza e attualità di Whorf nella linguistica, e ancora C.T. ALUN, Considerazioni sull'ipotesi Sapir-Whorf, in «Sociologia» 3, 1%9. Per le critiche cfr. C. LÉVY STRAUSS, Antropologia strutturale, Milano, 1966, pp. 89 ss.; e R. ARNHEIM, Verso una psicologia dell'arte, Torino, 1%9, pp. 173 ss. 11 F. ROSSI LANDI, Programmi della comunicazione"... cit., p. 305. 12 Citato in E.H. GoMBRICH, Arte e illusione, Torino, 1965, pp. 359-362. n J. MoNoo, Il caso e la necessità, Milano, 1970, p. 109. 14 E. LENNEBERG, Fondamenti biologici del linguaggio; Torino, 1971. Quanto sin qui osservato non crediamo che contrasti "con le ipotesi genetiche, ma anzi le integri. Cfr. le osservazioni al proposito nel re cente saggio di J. PIAGET, L'epistemologia genetica, Bari, 1971, alle pp. 19-21. 15 AA.VV., La psicologia transazionale, a cura di F.P. Kilpatrick, Milano, 1967. 16 W. KOHLER, La psicologia della Gestalt, Milano, 1968, pp. 163 ss. 11 Per il termine «assunzione• si veda ciò che ne dice W.H. ITTELSON in La psicologia transazionale, cit., p. 144. 1a Per esprimerci con M. Merleau Ponty (che in ciò si richiama ad Husserl), la percezione immette in un campo di presenza che si articola in due dimensioni: la dimensione qui-là e quella passato presente-futuro. «Attraverso la ritenzione e la protensione il presente è aperto a un passato e a un avvenire, non è chiuso in sé, ma è, come dice Husserl, fluente•· Cfr. M. MERLEAU PoNTY, Fenomenologia della percezione, Milano, 1%5, pp. 431-432. L'l citazione è tratta da A. BONOMI, Esistenza e struttura, Milano, 1967, p. 94. 19 J. MoNOD, cii., p. 122. 20 Per un'introduzione di carattere generale al problema della sele zione percettiva, cfr. E.R. Hn.GARD, Psicologia (cap. 7, in particolare le pp 241 ss.), Firenze, 1971. • 21 Si vedano le interessanti ipotesi di L.S. Kue1E nell'articolo 66
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logia del messaggio oggettuale, Milano, 1970, pp. 41-42); qui Maltese giunge proprio al cuore del problema che è il concetto di scalarità da applicare ai processi percettivi, anche se in seguito non ci sen tiremmo più di concordare con lui quando viene a parlare di infor mazioni immediate, l'informazione essendo sempre conseguenza cli un processo segnico e quindi di una mediazione. Per quanto sin qui detto risulterà anche chiaro che non ci pare possibile aderire al l"impostazione critica di Fusco (art. cit., p. 30), che vorrebbe ridurre l'arte a progettazione, quando questa funzione, proprio per la sua tendenza all'univoco, è l'unica, come abbiamo osservato, che con traddica la caratteristica eterogeneità dell'oggetto estetico (cfr. E. GARR0NI, L'eterogeneità dell'oggetto estetico e i problemi della critica d'arte, in « Op. cit.» n. 12, 1968; poi anche in « Semiotica ed estetica», Bari, 1968). 2J N. SALANITR0, Peirce e i problemi dell'interpretazione, Roma, 1969, p. 110: « Insomma (per avvicinarci a una definizione formale della degeneratezza semiotica), tra il processo di interpretazione e la funzione semiotica da un lato, i 'representative characters ' che concorrono a costituirli dall'altro, può esservi eterogeneità: i primi esistono in virtù cli abiti, cli sistemi (impliciti o espliciti) e di una tecnicità più o meno evoluta ed estesa, sono sempre delle terzità - laddove i • caratteri rappresentativi ' (intendendo con questo ter mine quei caratteri oggettivi in riferimento ai quali e in virtù dei quali avviene l'interpretazione) nel caso della degeneratezza non sono delle terzità, non implicano di per se stessi il pensiero e la legge e la convenzione, bensì sono semplicemente Secondnesses e (nella pre scissione della 'ecceità ') Firstnesses». 24 Un'analisi approfondita del problema può essere trovata in SALANITR0, cit., alle pp. 109-123. 25 Sulla tendenza all'istituzionalizzazione e sulla rapida riconver sione di questo tipo di ambiguità alla legalità-normatività dei pro cessi semiotici, cfr. U. Eco, La struttura assente, Milano, 1968, p. 280; e J. MUKAR0VSKY, Standard language and poetic language, in « A Prague school reader», a cura cli P.L. Garvin W,ashi.ngton D.C., 1964, p. 19. 26 E. KR1s, A. KAPLAN, L'ambiguità estetica, in E. KRis, Ricerche psicoanalitiche sull'arte, Torino, 1967. 21 H. HARTJ\'1ANN, Psicologia dell'Io e problema dell'adattamento, Torino, 1971, pp. 61h'13. 2B Ivi, pp. 94-100. 29 D. RAPAPORT, Struttura della teoria psicoanalitica, Torino, 1969, pp. 50-52. 30 S. FREUD, Studi sull'isteria, in «Opere,. 1886-1895, Torino, 1967, pp. 325 ss. 31 S. FREUD, L'interpretazione dei sogni, «Opere» 1889, Torino, 1966, pp. 143 ss. 32 S. FREUD, / motti di spirito e il loro rapporto con l'inconscio, Roma, 1970 (la traduzione a partire dal titolo non e sempre corretta). 33 E. KRis, Accostamento all'arte, in «Ricerche», cit., pp. 16-17. 34 S. FREUD, I motti di spirito, cit., p. 224. 3S C.G. JUNG, La psicologia analitica e l'arte poetica, in « Il pro blema dell'inconscio nella psicologi.a moderna», Torino, 1967, pp. 45-46. Si consiglia, al proposito, E. GLOVER, Freud o Jung?, Milano, 1967. 36 Cfr., A. HAUSER, Le teorie dell'arte, Torino, 1969, pp. 44-102; R. ARNHEIM, Simboli artistici: freudiani e altri, in « Verso una psico logia dell'arte" cit. Entrambi gli autori, pur con motivazioni diverse, criticano la preponderanza, nell'interpretazione psicoanalitica, dell'in flusso dell'inconscio sulla formazione dei fenomeni artistici. Ciò li