settembre 1972
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numero 25
Note sull'arte concettuale - L. Benevolo La recente storiografia della città - Lo storicismo e i confini della semio logia - Città-pubblicità: sul caso Las Vegas - Libri, riviste e mostre edizioni
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Il centro »
Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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Edizioni « 11 centro •
D.
DEL PESCO •
L.
BENEVOLI),
M.
PJCONE,
Note sull'arte conce1t11ale
5
La recente storiografia della città
35
A. CoLOUIIOUN,
Lo storicismo-e i confini della semiologia
55
G. ROMANELLI,
Città-pubblicità: sul caso Las Vegas
76
Libri, riviste e mostre
104
Alla redazione di questo numero lianno collaborato: Urbano Cardarelli, Cesare de' Seta, Giuseppe Fusco, Maria Luisa Scalvini.
Note sull'arte concettuale DANIELA DEL PESCO • MARIANTONIETTA PICONE
Il termine
L'espressione arte concettuale è nata negli anni 1966'67, per designare l'attività di alcuni artisti i quali danno più importanza alle idee e ai concetti che sono alla base ciel loro fare che al prodotto oggettuale. Benché si rea lizzino ancora frequentemente oggetti, si tende a presen tare interventi a livello progettuale o ad esprimersi attra verso azioni e comportamenti o a limitarsi ad· analisi dei problemi dell'arte e del pensiero. La costante comune ed essenziale di tutte queste esperienze è l'evidenziazione del procedimento mentale che vi soggiace. Il termine arte concettuale è stato riferito, in un primo momento, alla produzione di artisti come Kosuth, Barry, André e, in seguito, ai gruppi inglesi Art-Language e Analytical Art, i quali prendevano in considerazione gli attributi tradizionali dell'opera d'arte, non avendo come unico fine quello di sottostarvi, ma per indagarli, per cer care in che cosa essi determinino l'opera 1• Per costoro, l'arte concettuale non significa riduzione dell'opera a una idea, a un concetto, ma «idea» dell'arte, « concetto » dell'arte 2• Oltre a tale accezione restrittiva di tipo analitico, il termine arte concettuale è. venuto successivamente assu mendo un senso più generale, per non dire generico, nel suo associarsi ad esperienze molto diverse tra loro, spesso di tipo comportamentistico. In tal modo, concet tuali non sono solo gli artisti che indagano sull'arte, ma .inche quelli che, attraverso oggetti o, più spesso, com portamenti, si richiamano a concetti di qualsiasi natura. S
Alcuni precedenti del concettualismo com.portamentistico 3 L'origine di questa tendenza risale all'attività svolta, fra la fine degli anni -'SO e gli anni '60, da alcuni artisti, tra cui J. Cage, A. Kaprow, R. Rauschenberg, il gruppo Fluxus, La Monte Young, S. Paxton, Y. Klein, J. Bcuys, P. Manzoni, G. Paolini, P. Pascali, J. Kounellis, i quali, agendo in campi molto diversi - dal teatro all'happen ing, dalla danza alla musica, dalla pittura all'environ ment, dalla teoria all'event - hanno portato l'informale a passare da un stadio contemplativo ad alto quoziente di informazione visiva ... ad uno stadio partecipativo-im plicante 4• L'attenzione si è spostata dal significato del l'umano e del materico all'uomo e alla materia come entità significanti, da intendersi non come mezzi per un discorso « altro » ma come media... 5• In questa . luce prende particolare rilievo il collega mento frequente a Marce) Duchamp, che avviene non tanto per il suo uso di entità oggettuali trovate o fatte esplodere esteticamente - un uso estetico che è servito da giustificazione al naturalismo industriale della pop art e della optical art -, quanto la sua attitudine od il suo comportamento identificabile con un modo di es sere ed un modo di fare e di vivere 6• .Questa convergenza di arte e vita, che in Duchamp acquistava un sapore dissacrante e provocatorio, è stata uno dei temi ricorrenti delle avanguardie: dall'impres sionismo all'espressionismo, a dada, al surrealismo, fino all'action painting, al new dada e alla pop art, ci si è dibattuti all'interno di questo problema, senza uscirne e senza, d'altro canto, risolverlo. Tuttavia, le angolazioni da cui ci si è posti di volta in volta sono molto diverse. All'impressionismo, per esempio, interessava ristabilire il contatto soggetto-natura, sulla base dei problemi otti co-percettivi indagati da Chevreul; all'espressionismo, in vece, importava il rapporto con la vita, intesa come realtà sociale, verso cui l'arte, stravolgendo i suoi ca6 noni formali con un'ottica soggettivistica, doveva indi-
rizzare un'azione corrosiva. Dada, invece, predicava il momento nichilista con le armi dello scandalo e dell'iro nia, in modo da attuare, mediante la distruzione siste matica, una auspicata verginità che fosse nello stesso tempo culturale ed etica. Infine, col surrealismo, l'unione tra l'arte e la vita era affidata all'emergere dell'incon scio, attraverso la scrittura automatica, fino al livello della coscienza. Rispetto alle avanguardie storiche, gli artisti della corrente povera e concettualista si pongono in atteggia mento critico, in quanto salvano di fatto solo Duchamp, coinvolgendo tutto il resto in un giudizio fortemente ri duttivo. Le avanguardie, infatti, avrebbero fallito il loro obiettivo di colmare l'abisso tra l'arte e la vita, polariz zando, tutto sommato, l'attenzione sull'elemento arte che rimaneva pertanto chiuso nella « sfera del separato » e della contemplazione. A questo sostanziale fallimento, col giudizio nega tivo che ne consegue, non sfuggirebbero neanche i movi menti del dopoguerra, cui pure gli artisti fin qui con siderati sono legati storicamente, l'action painting, il new dada e la pop art. Se Pollock aveva posto di nuovo dram maticamente il problema del coinvolgimento esistenziale, considerando la tela come momento del flusso vitale, sta di fatto che, una volta esaurito il processo operativo realizzativo durante il quale il quadro diventava 1'« are na » in cui agire, l'opera riacquistava in pieno la sua statica dimensione contemplativa. D'altra parte ancora più superficiale è il ristabilito contatto con la realtà ur bana e tecnologica operato dalla pop art, in cui l'ottica spersonalizzata e talvolta ironica dell'artista ripropone una situazione di separatezza nell'enfatizzazione rigida dell'oggetto. È proprio parallelamente alla pop art che viene ri preso il problema dell'integrazione dell'arte nella vita, con Rauschenberg, il gruppo Fluxus, Cage, Kaprow etc. negli Stati Uniti, Klein, Manzoni, Beuys etc. in Europa. Infatti questo gruppo eterogeneo di artisti non lotta per 7
asserire esteticamente la carica esistenziale (come faceva l'informale proiettandola sulla tela), ma afferma l'esisten zq... usa... l'arte come campo in cui realizzare ed esaltare tutte le componenti dell'esistere... ; quali il movimento, il tempo, la luce, la voce, lo spazio, il corpo, il nulla. Queste esperienze, tuttavia, accanto all'elemento vitalistico com portano un atteggiamento conoscitivo e, quindi, una com ponente riflessiva, in quanto l'artista non vuole ricoprire il mondo con una duplicazione che metta in dubbio quel la, reale, ma costituire procedimenti di conoscenza 8• Per tanto, è proprio questa attitudine fondamentale che ha fatto considerare gli artisti, cui abbiamo accennato, come sostanzialmente anticipatori di alcuni punti della poe tica dell'arte concettuale intesa nel senso più ampio. Concettualismo comportamentistico e correnti contem poranee Queste esperienze sono venute radicalizzandosi negli attuali movimenti che, dal '67 in poi, hanno assunto i nomi di arte povera, land art, arte di comportamento, conceptual art, body art 9• Evidentemente queste denomi nazioni non sono intercambiabili, in quanto indicano cose differenti. Tuttavia, in pratica, spesso ci si trova nella difficoltà di inserire con precisione un evento este tico in un filone particolare. Sono frequenti i casi in cui arte concettuale e land art (arte di paesaggio) coincidono: per esempio, V. Bur gin, che mette in un punto particolare del terreno la fo tografia del pezzo di terra in questione, fa, nello stesso tempo, un intervento sulla natura e un'operazione con cettuale 10; oppure M. Boezem, un artista olandese, ac quistando un metro quadro di terra in vari paesi del mondo modifica il paesaggio definendo i limiti della sua proprietà, ma, contemporaneamente, demitizza il con cetto di proprietà, rendendola inutilizzabile. Una compo8 nente concettuale ed una di deformazione dell'ambiente
coesistono anche nell'intervento di M. Heizer nel deserto del Nevada (1970), un gigantesco spazio negativo rappre sentato da uno scavo lungo mezzo chilometro, profondo quindici metri, largo dieci, creato smuovendo sessanta mila tonnellate di terra 11• Nell'ambito della land art si muovono artisti come W. De Maria 12 con i suoi films-re portages sulla « presenza » della terra, sul suolo in sé; R. Smithson, che produce valanghe artificiali, tonnellate di terra che sommergono case abbandonate; C. André 13, che esplora geometricamente i pavimenti e, inoltre, D. Op penheim, R. Long, B. Flanagan, J. Dibbets 14, Christo 15• Di fatto, molte opere land passano per concettuali, su scitando le critiche di C. Millet e di C. Harrison, soste nitori di una più rigorosa corrente concettuale (quella di Kosuth, per esempio) che esamineremo più avanti. Le opere della land art, infatti, a giudizio di questi critici, non sarebbero concettuali, perché, invece di investigare le possibilità dell'arte, continuano a trasmettere mes saggi aneddotici e circostanziali 16• Una convergenza di tematiche si ha anche tra alcuni rappresentanti dell'arte povera 17, che sono successiva mente passati al concettualismo. Volendo ragionare per categorie e linee di tendenza, svuotate dei fatti e degli uomini, il concettualismo dovrebbe rappresentare l'anti tesi dell'arte povera, giacché, laddove questa puntava al materiale, quello punta al concetto, laddove questa in gombrava e occupava spazio con le sue materie, quello si è smaterializzato ed è, talvolta, tornato al quadro, lad dove questa si fondava sulla decultura, quello si pre tende « colto ». In realtà lontano dall'arte povera si col loca senz'altro il concettualismo di Art-Language, ma non quello che, per comodità di esposizione, stiamo chia mando comportamentistico. Anzi, quest'ultimo si trova spesso a recuperare, se non a ripetere, gli atteggiamenti di fondo dell'arte povera, soprattutto nella ricerca del primario. In Italia molti artisti « poveri » sono approdati alla conceptual art, come Calzolari, Merz, Fabro, Prini, Kou- 9
nellis, in parte Anselmo etc., conservando o eliminando a stento e gradualmente i segni del retaggio materico. :È esemplare a questo proposito il percorso di Mario Merz che cominciò ad usare il neon come materia, per poi adottarlo in alcune scritte, rendendolo, quindi, vei colo di messaggi e idee che Io avevano colpito. Ma, da un concettualismo esteriore e approssimativo, quale è quello degli slogans del maggio francese aggiunti ai suoi igloo materici e spaziali, Merz è passato a una operazione con cettuale più inerente agli oggetti, quale è quella della se rie Fibonacci, trasformata in strumento di costruzione e di conoscenza 18• Mentre Merz ha in buona parte superato l'arte po vera, altri artisti vi sono rimasti ancora legati: ad esem pio G. Anselmo nella sua produzione, pur dedicandosi a ricerche concettuali nell'investigazione delle leggi della materia (potenzialità dinamica, equilibrio, gravitazione, peso etc.), continua ad assegnare a quest'ultima un ruolo di protagonista. Quando restituisce all'antracite il suo fuoco originario, introducendovi una luce, o quando con cretizza l'idea di tensione, inserendo una spugna fra due sbarre metalliche. di centonovanta chilogrammi ciascuna, tutto sommato, polarizza la nostra attenzione sul dato materico dell'antracite, della spugna, del ferro e non sul principio fisico che viene sperimentato. Dall'arte povera proviene anche Jannis Kounellis che ha sempre dimostrato, sin dai segni alfabetici e nume rici del '60, una propensione a scavalcare il quadro come oggetto 19• Un tema ricorrente della sua problematica è quello della dialettica tra elementi formali e elementi sen sibili, che ritroviamo in un'opera del '70 « Senza titolo », in cui ad un rigido pannello di metallo fa da polo anti tetico una donna (o, in un'altra versione, l'artista) con la bocca e gli occhi incerottati con su scritto « alberi », « al beri », « piombo ». Anche a livello verbale,. ed in questo senso concettuale, torna l'evocazione di realtà contrap poste · dialetticamente. Tuttavia, lo sviluppo successivo 10 di Kounellis non si è svolto tanto in direzione dei con-
cetti, quanto dei comportamenti, dei gesti, in cui solo occasionalmente intervengono elementi concettuali. · L'elemento comportamentistico è nettamente preva lente in Joseph Beuys; in quest'artista tedesco, di cui ri leveremo più avanti il carattere da eroe romantico nietz schiano, il gesto si salda all'ideologia. Ritroviamo in lui il fascino del comportamentismo liberatorio e politico teorizzato da Achille Bonito Oliva e Germano Celant, con tutto il peso dell'individualismo e della carica asce tica che comporta. La parte più interessante della sua produzione è data dalle azioni, tra cui quella chiamata Eurasienstab, du rante la quale Beuys crea, all'interno di una stanza, uno spazio con dei pali ricoperti di fellro e con del grasso raccolto negli angoli in forme geometriche. Questa, come le altre azioni di Beuys, punta l'attenzione sul dato cor porale, sulla resistenza fisica, sull'aspetto esistenziale. Non c'è un significato particolare nell'azione al di là del1'« azione», ma questa, in quanto tale, finisce con l'avere una funzione mistica ed esemplare sul piano dell'auto liberazione politica individuale. Oltre che per la portata ideologica del suo discorso. nel caso di Beuys, si può parlare di concettualismo per la presenza degli scritti, dei progetti, degli schizzi illustrativi, che accompagnano l'azione e finiscono con l'assurgere al livello di opere vere e proprie. Comportamento e concettualismo si. sono fusi com pletamente in due artisti dell'ultima leva: Gino De Do minicis e Vettor Pisani, che hanno cominciato la loro attività nel momento in cui l'arte povera era agli sgoc cioli. Tale comportamento concettualizzato nel primo si esprime nella ricerca dell'immortalità (suo tema di fon do) e del superamento di taluni limiti umani e naturali 20, nel secondo in un'azione di riporto da Beuys, e soprat tutto, da Duchamp. Il ricorso al « plagio » 21 sistematico, annullando l'elemento creativo, che secondo parametri romantici distingueva l'artista dall'umanità volgare, sconfma nella dimensione concettuale di tipo analitico pro- 11
pria del critico. In tal modo, si assiste a un notevole scambio di ruoli: accanto a critici che intervengono nella prassi artistica, compaiono artisti che si appropriano gli strumenti della critica. Questo è, appunto, il caso di Vettor Pisani ed anche di G. Paolini, che opera su qua dri del Lotto e di Raffaello, o di V. Agnetti 22, che elabora veri e propri scritti teorici sull'arte. Negli artisti fin qui considerati ricorre, in forme di verse, uno degli aspetti più frequenti ed anche più este riori, se vogliamo, dell'arte concettuale: l'uso del lin guaggio, della parola scritta che vive autonoma su un pannello, o si appone ad un oggetto o lo sostituisce o si affianca ad un gesto. Tuttavia, proprio nell'uso del lin guaggio verbale si sono verificate le mistificazioni più grossolane, con il ricorso a frasi profetiche, pseudo-let terarie, ermetiche. Con questa applicazione indiscrimi nata del troppo estensivo termine « concettuale » pole mizza Catherine Millet: Per alcuni ... questa pratica non consiste che in una sotto-letteratura; sottoletteratura, nella misura in cui l'interesse dell'opera non risulta tanto da un lavoro sulla parola o sulla costruzione della frase, quanto dalla bizzarria o dall'imprecisione dell'immagine o del fatto evocato dalle parole 23; ed ancora: attualmente, tutto quello che appare sensibilmente ermetico, intellet tuale o poetico è concettuale. Una tendenza italiana vuole che per fare « concettuale », si scelga qualche frase bi blica, che la si conservi, se possibile, in latino, che la si scriva in lettere di bronzo o di acciaio _su dei veri e pro pri quadri o degli oggetti surrealizzanti 24. Basta dare una scorsa ad alcuni titoli (che poi sono anche le opere), « Io sono l'alfa e l'omega il primo e l'ultimo il principio e la fine di tutto quanto » di Agnetti, o « Della Metafisica » di Scheggi, o « Ho cucito il mio vestito per la mia salita in paradiso » di Calzolari, per rendersi conto della gra tuità di certe trovate ad effetto. Ancora più chiara in que sto senso è un'altra opera di Calzolari, costituita dalle parole « mortificatio », .« imperfectio », « putrefactio », 12 « combustio », « incineratio », « calcinatio » scritte al
neon, come se il fascino della lingua latina bastasse a creare un'aura concettuale. Tuttavia, non riteniamo che sia l'aspetto evocativo tout court che si debba rifiutare, come fa la Millet, ma solo un certo ermetismo semplici stico· e grossolano, che non può essere generalizzato. Per esempio, in G. Paolini, un concettuale torinese piuttosto rigoroso, troviamo sì il carattere evocativo, ma privo di ogni allusività, mediato attraverso un linguaggio verbale o Yisivo estremamente scarno, che lo rende scarsamente incline all'effetto suggestivo. Quando Paolini ha scritto le otto lettere dell'espressione « Lo Spazio » sulle quat tro pareti di una stanza, esaurisce con la lettura la rico gnizione spaziale, in modo che il medium evocante e la realtà evocata si identificano senza generare misteri o « aure poetiche» 25• L'elemento evocativo, controllato tuttavia dall'atteg giamento distaccato e obiettivo dell'artista, compare an che in « Stanza per voci», un lavoro recente (1971) di C. Alfano, che è passato alla conceptual art dalle ricerche ottico-percettive. Si tratta di un'opera complessa, in cui si attua l'integrazione di messaggi a più livelli linguistici: àall'interno di un grande ma sottile telaio di alluminio, che ci ricorda nella sua pregnanza strutturale le espe rienze minimal, ci vengono restituite voci registrate su piccoli nastri che, con tono cadenzato, elencano nomi di piante ed animali, ricostruiscono verbalmente ritratti di amici o autoritratti, accennano dialoghi. A fianco ven gono presentati contemporaneamente i progetti delle re gistrazioni e gli astucci marmorei delle bobine, dotati anch'essi come il telaio di una certa carica estetica, su cui sono incisi i nomi di alcuni amici di Alfano e delle persone che entrano nella sua vita. Il concettualismo sot tile di quest'opera ha diverse sfumature, nel .suo asso ciarsi all'elemento progettuale, a quello verbale-descrit tivo e, inoltre, al significato generale che si coglie nella relazione tra realtà diverse, in quanto testimonianza di un'altra relazione, quella tra l'artista e il mondo esterno.
Il mito di un comportamento globalizzante Lo scopo degli artisti fin qui considerati, sia che ricorrano all'azione sia che si servano degli scritti o an cora degli oggetti, è quello di indagare l'uomo come en tità mentale e corporea, e di restituirlo, mediante una presa di coscienza individualistica, alla sua più genuina natura, reintegrandolo in se stesso e nell'universo. Nella prospettiva di questa globalizzazione, l'opera d'arte non si dovrebbe più costituire come distaccata dall'autore, ma. in prosecuzione di esso come traspa renza del movimento individuale dell'uom.o sincronizzato su un movimento più esteso, quello dell'universo biolo gico 26• Egli esperimenta il proprio apparato psico-motorio come zona elastica ed estensibile di reazioni ed azioni a catena nei riguardi dell'esterno 27• Si verifica, quindi, una sorta di auto auscultazione attraverso la quale ... l'arti sta... scopre il proprio apparato interno che, come campo di possibilità permanente, produce e sviluppa una no zione più globale di fantasia, quella di immaginazione... Immaginazione... come funzionamento, integro e non in taccato dall'esterno di tutti i livelli esistenziali 28• Sebbene queste formulazioni non siano dissociate dalla preoccupazione di inserire l'attività di questi arti sti in una rigorosa stn1ttura di motivazioni, ci sembra che si sia talvolta venuti meno a tale assunto, forse per il troppo frequente ricorso alle facoltà conoscitive che più si fondano sulla sensibilità ed anche per il livello for temente riduttivo a cui spesso si pone la ricerca dei va lori primari dell'esistenza. Possiamo pertanto individuare una stretta connes sione con alcuni temi della cultura romantica: nella ten sione a recuperare, in una indeterminazione spazio-tem porale, la totalità dell'uomo in consonanza con quella dell'universo; nel carattere individualistico di tale ricer ca; nella netta prevalenza della sfera immaginativa, come catalizzatrice di tutte le facoltà umane. Tale matrice culturale è evidente, in particolare, nel14
l'opera di J. Beuys, che ha come obbiettivo lo sviluppo della creatività insita nell'uomo come strumento di auto I iberazione. Penso di appartenere a questa linea culturale - af ferma Beuys in un'intervista 29 -. Ma la linea del romanticismo tedesco - Novalis, in parte Goethe - è stata spezzata storicamente dal concetto positivistico di scien za col quale gli uomini hanno realizzato la rivoluzione in dustriale. Però la metodologia che io ho ripreso non si può identi-[icare completamente con quella di Novalis, perché questa lza considerato piuttosto il rapporto tra Z-uomo e le forze trascendenti che non tra l'uomo e la materia. Appare ora scontato un raffronto con Novalis, per il quale temi come la morte o la notte non implicano mo menti di irrazionalità ma sono procedimenti di approc cio conoscitivo alla realtà. Ciò trova pieno riscontro nel discorso di Bonito Oliva: si tratta di ...consegnare l'uomo davanti al nodo primario dell'esistenza: il tempo e la morte. L'artista si è accorto che tale nodo non si scio glie col confronto della cultura e della storia, allora ha recuperato il valore della natura, quale matrice astratta e germinatrice di tracce non artificiali 30• La considerazione degli eventi naturali in tutto il loro arco, dalla nascita alla morte, rientra, appunto, in questo tentativo di raggiungere la materia prima asso luta, come sostanza dell'essere. Basterà ricordare, ad esempio, il ritorno frequente del tema della morte in artisti come Pascali, Fabro, De Dominicis, Ulrichs etc. 31, per rendersi conto di quanto questi motivi siano profon damente sentiti. La tautologia ed il problema dello spettacolo La conseguenza immediata di questa ricerca volta a reintegrare l'uomo nella totalità della sua esistenza è l'atteggiamento tautologico, sintomo, appunto, del pareg-
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giamento tra forma e realtà 32• Si chiude, quindi, il ciclo dei rapporti accidentali tra soggetto e quadro e si apre il ciclo in cui i rapporti non esistono, le entità sono, signi ficano solo se stesse, così il quadro è solo materia, tela 33• In questa luce vanno visti già gli achromes di Man zoni del '67, in cui la tela è da intendersi non come stru
mento portante altri segni, ma segno realtà essa stessa 34•
Questo atteggiamento è ricorrente nella sua opera dal l'assunzione autosignificante dell'alfabeto e della carta geografica, a quella dello stesso corpo, in tutti gli aspetti: escrementi, sangue, impronte digitali, fiato etc. In tal modo il corpo non è un mezzo tecnico per la trasmissione
di un messaggio, ma diventa esso stesso messaggio 35•
Ciò si verifica sia che si attui la produzione di un og getto, sia che ci si fermi al solo comportamento. Nel l'azione, infatti, si vorrebbe realizzare la concretizzazione dello spazio e l'unione tra forma e realtà. Deve essere ben chiaro che non si vuol dare più un «significato» al comportamento, ma solo un « senso » che è quello del /'agire 36• Già nel 1924 Schwitters realizzava un Merz-bau, cioè un environment, sviluppando in una dimensione quadri '. dimensionale il discorso dei collages di Boccioni. Ma l en vironment comporta ancora una componente contempla tiva ed uno stacco nel tempo della fruizione. Negli happenings di Kaprow, Holdenburg, Dine, etc., l'introduzione dell'azione inserisce lo spazio-ambiente nel presente, superando, in una contestualità nuova, la rigida struttura spazio-temporale delle rappresentazioni tradi zionali. In tali azioni, però, in cui la dimensione contem plativa sarebbe superata da una partecipazione realmente attiva del pubblico, c'è ancora il pericolo di produrre spettacolo in cui lo spettatore è portato a leggere il se
gno strutturale del corpo non come comportamento ma come forma 37••• L'artista, dunque, non predispone uno spettacolo che si risolve ancora una volta in un rapporto di contemplazione e quindi in un congelamento di di16 stanza tra pubblico e attore, ma attua una dimensione
diversa a favore di un effettivo comportamento dell'arti sta coinvolgendo se stesso e tutti gli spettatori 38• · In tal modo dovrebbe essere eliminata ogni barriera tra artisti e fruitori in una comune dell'immaginazione in cui si attui il quotidiano del fantastico. Ci sembra piuttosto arduo riconoscere questo appiat timento, questo totale coincidere dell'arte con la vita. Di fatto, le azioni non sono momenti di vita «bruta»: il comportamento degli artisti in quanto «artisti ,,. non si identifica fino in fondo con la loro vita quotidiana, attuandosi di fatto in un tempo di fruizione determinato ed in uno spazio condizionante, particolare, come quello della galleria, realizzando così di nuovo spettacoli. Anche quando si cercano ambienti diversi, la partecipazione consapevole è limitata ad un pubblico d'élite, che ripro pone l'atmosfera tipica delle mostre. Inoltre il distacco tra fruizione ed evento estetico si ritrova anche all'in terno di quest'ultimo rispetto alla vita, nel momento della mediazione conoscitiva analitica che gli è attribuita. In conclusione, ci pare che sia rimasta ancora inat tuata la proposta di un modello di società estetica 39 avan zata da Menna, poiché non è l'arte che si è calata nella vita, ma, nuovamente, nell'opera di questi artisti è la vita ad esser vista in una prospettiva estetica; a questo punto, si dovranno fare i conti con una visione estetizzante ed i suoi rischi. Inoltre, attraverso la concezione dell'arte come tau tologia, l'opera non più rappresentativa ma presentativa rifiuta la sua dimensione metaforica per essere associata al procedimento metonimico, che è la possibilità che l'uomo ha di vivere accostato alla propria opera in modo che questa circolarmente sia presente e non sfugga lungo la tangente dei significati 40• . A questo proposito vorremmo far rilevare come l'uso indiscriminato dei termini linguistici produca una sorta di confusione. Non si capisce infatti come si attui in ma niera esauriente la significazione di un segno che significa se stesso; e, d'altro canto, come possa avvenire la 17
separazione dei due livelli, quello metaforico e quello metonimico, che, viceversa, sono connessi e necessaria mente compresenti nel processo di significazione. Potre mo, infatti; aver messaggi prevalentemente metaforici o metonimici ma, evidentemente, ognuno di questi non im plica il ricorso esclusivo ad uno dei due modelli 41, se non si vuole cadere in un discorso in qualche misura « afa sico», nel senso indicato da Jakobson 42• La concezione dell'arte come tautologia è vista sotto un'altra angolazione da Catherine Millet, forse anche per ché il suo discorso si lega ad artisti che seguono un par ticolare filone nell'ambito dell'arte concettuale. Dice in fatti la Millet: Ciò che l'arte ha in comune con la lo gica e la matematica è che è una tautologia cioè che « l'idea dell'arte» («opera») e l'arte sono una stessa cosa 43. Sostanzialmente questa accezione si pone su un piano metalinguistico, in quanto l'arte è tautologica nella mi sura in cui riflette se stessa, mentre per la corrente com portamentista è tautologica rispetto alla vita, su un pia no, dunque, non di metalinguaggio ma di linguaggio in quanto vorrebbe identificarsi con la vita.
I precedenti del concettualismo puro
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· È interessante rilevare come le esperienze della cor rente comportamentista, secondo J. Kosuth, che fa parte dei concettuali puri, appoggiati dalla Millet e da C. Har rison, hanno avuto un'importanza di rottura, ma non è abbastanza fare un gesto artistico o presentare un qua dro bianco, o dire la mia vita è la mia arte o fare della comunicazione orale... Se l'artista..• non ha allargato o articolato il concetto di arte, non ha contribuito in· nien te, ed il suo gesto, non spiegato, mistico, non ha senso in arte e probabilmente anche nella vita 44• Ciò che interessa questi artisti, quindi, non è il contatto !=On la vita, ma una riqualificazione dell'attività ar-
tistica in senso definitorio,. al fine di un chiarimento ope rativo dell'arte e dei suoi confini. A questo proposito il giudizio negativo sulle avan guardie da parte dei comportamentisti si ribalta in giu dizio positivo. Impressionismo, neoimpressionismo, cubismo, su prematismo hanno avuto il merito dì indagare l'essenza dell'arte. Non è quindi l'adesione (fallita) alla vita l'aspetto interessante dei movimenti del '900 - anzi ne costituisce un limite - ma il loro carattere di auto-ana lisi. Su questo piano si giustifica l'interesse per M. Du champ che ha messo in evidenza questa frontiera dove nasce l'oggetto d'arte 45• Con il ready-made aiutato l'arte spostò il suo obbiettivo dalla forma del linguaggio al contenuto dello stesso... Tale svolta dall'« apparenza» lllla « concezione » dette il via all'arte « moderna», e al l'arte « concettuale » 46• In questa prospettiva la ricerca artistica finiva per polarizzarsi su se stessa. I precedenti più immediati di tale atteggiamento, nel senso in cui viene assunto dall'arte concettuale, li ritro viamo nelle esperienze dell'astrattista « freddo » ameri cano Ad Reinhardt 47 e dell'art minimal. Esponenti di tale tendenza, sviluppatasi negli Stati Uniti dalla prima metà degli anni '60, erano D. Judd, C. André, B. Morris, S. Le witt. Il punto di contatto tra il concettualismo e l'art minimal si individua nell'istanza sostanzialmente cono5citiva di quest'ultima che sfociava in un processo di ri duzione dell'oggetto ai suoi minimi elementi di riconosci mento. A tale scopo l'opera si liberava di ogni carattere rappresentativo e, quindi, di ogni riflesso del mondo e dell'artista, avvalendosi spesso di forme geometriche che non producevano una rappresentazione particolare ed aneddotica della realtà. Il procedimento di produzione perdeva così di importanza, gli oggetti rivelavano solo il loro processo di percezione. Ma, è stata proprio... l'im possibilità di raggiungere il limite mitico della sensibi lità minimale che ha prodotto in qualche modo, lo spo stamento... verso il concettualismo... Poiché il minimum 119
sensibile era sempre sfuggente-trascendente non si pre sentava in sé ma sempre inserito in sistemi, la ricerca minimalista doveva mutare metodi e direzione 48• Il termine di passaggio è costituito dalla land art; secondo R. Wedewer 49, infatti, i solchi nella terra o sulla neve, poiché erano inamovibili dal luogo in cui venivano eseguiti, hanno reso necessaria la documentazione foto grafica o cinematografica insieme alla pubblicazione dei progetti o dei diagrammi delle loro azioni, aprendo, in tal modo la via al concettualismo. · La poetica del concettualismo puro - Con l'art minimal abbiamo assistito alla scomparsa .dell'artista, che cedeva il posto all'oggetto come stimolo all'esercizio della percezione, anche se questo finiva quasi per dissolversi nel suo ridursi al « minimo » della sen sibilità. La corrente concettuale che ora esamineremo, inve ce, oltre all'artista pone in secondo piano anche la per cezione sensibile collegata all'oggetto, secondo le indica _zioni della land art. L'atteggiamento anti-oggettualistico .è, infatti, una costante per questi artisti; il supporto ma teriale, quando persiste, ha una funzione solamente stru mentale. Nel 1966, per esempio, Joseph Kosuth, che lavora a New York, presentava una serie di oggetti d'uso, come una sedia, un orologio, una sega, accompagnati dalla loro fotografia e dalla definizione tratta dal dizionario. Gli ingrandimenti fotostatici - afferma Kosuth 50 - non erano da considerarsi quadri o sculture o anche « opere » nel senso usuale - in quanto il punto era che fossero arte come idea - mi riferivo alla_ natura fisica dell'in grandimento come ad una « forma di presentazione » ••• Le didascalie avevano lo scopo di evitare associazioni mentali estranee alle opere, cioè alle « proposizioni » che 20 assolvevano al loro assunto conoscitivo. Questo atteggia-
mento è venuto radicalizzandosi nella produzione di Ko suth dal 1968 in poi, col ricorso a mezzi di comunica zione sempre più anonimi (giornali, riviste, TV) e con l<\ sostituzione degli ingrandimenti fotografici con i ma nifesti murali, tali da evitare tutti i possibili risvolti for malistici connessi all'idea di quadro. In tali lavori l'aspetto denotativo veniva enfatizzato al massimo, in modo da limitare il senso connotato che poteva portare a degli slittamenti eteronomi del messaggio artistico 51• La preoccupazione dell'anonimato e della spersona lizzazione dell'opera, estremamente rigorosa nel suo in tento conoscitivo, si ritrova anche in Bernar Venet. Que sto artista, infatti, presenta postulati analitici di varie <liscipline scientifiche 52, servendosi di diversi mezzi espressivi come registrazioni, conferenze, dischi, televi sione etc., tra i quali particolare rilevanza ha la « tra scrizione », cioè la riproduzione dei testi scelti attraverso la ricopiatura a mano sulla tela (e qui l'equivocità del « quadro » potrebbe ancora presentarsi) o le fotocopie ingrandite. Ad esempio, nell'opera che ha per soggetto un codice matematico la deformazione, dovuta alla per sonalità dell'artista, al suo ambiente naturale e storico, è ridotta al minimo, sia per il contenuto del messaggio che per la sua rappresentazione da cui sono omesse tutte le .connotazioni tipiche del linguaggio pittorico 53• Il ri corso di Venet alla scienza ha come fine l'analisi allq stato puro, nell'intento- di riconferire all'arte la funzione didattica che essa ha già avuto in altre epoche. A tale scopo le sue opere più recenti non riproducono più in tere parti dei testi scientifici, ma piuttosto il titolo o la prefazione o il sommario, in modo da .stimolarne una lettura diretta. L'artista assume, pertanto, una posizione sostanzialmente anti-individualistica. Afferma, infatti, Ve net: solo l'energia creatrice giustifica la individualizza zione momentanea della coscienza, ma esaurisce la sua motivazione nel momento stesso in cui la svolge. La con clusione dello sforzo creativo· è la negazione o piuttosto l'eliminazione dell'io S4. ii-
-· In questa prospettiva si deve interpretare il rifiuto da parte dei concettualisti della nozione di stile che, tuttavia, ci sembra ritorni nella caratteristica scelta di temi e di linguaggio, che si determina in immagini fa cilmente attribuibili all'uno o all'altro, finendo per ri proporne l'individualità; ciò, nonostante i media mec canici, le « leggende» e il tipo di « scala» che vengono via via adottati. In definitiva, emerge, anche se talvolta in forma ri duttiva, un'esigenza tipica della cultura, o almeno di certa cultura, degli ultimi decenni: quella di sottrarre i pro dotti artistici a metodologie analitiche eteronome che, nel loro frequente ricorrere all'irrazionale, all'individuo crea tore o a parametri esterni alla specificità dell'opera, sono eco di una cultura che ci appare ormai superata. Nella sua esigenza di autonomia questa corrente concettuale si differenzia nettamente da quella che abbiamo chia mato comportamentistica, per cui individualismo e ascen denti romantici sono componenti fondamentali 55• Culturalmente vicini a Kosuth e Venet sono alcuni artisti concettuali che tuttavia C. Millet considera non «ortodossi», nella misura in cui non hanno del tutto rinunciato alla funzione espressiva dell'opera. In Lawrence Weiner, per esempio, tale tendenza si concretizza nei" suoi « Statements»: «dei chiodi di ac ciaio piantati nel pavimento nei punti disegnati al mo mento dell'installq.zione», oppure « una scala di colori standard gettata nel mare» o più recentemente, con tono più astratto « una turbolenza indotta in una massa d'ac qua» o « un'entità indivisibile divisa, ridotta o sepa• rata» oppure « un insulto diretto ad un corso d'acqua naturale». Si tratta di idee di eventi, idee di progetti che sono stati attuati o che potrebbero essere attuati, in un clima di indefinitezza evocativa, estraneo alle interpreta zioni puriste· del concettualismo. Tuttavia, lo spessore al lusivo del linguaggio di Weiner ha uno scopo non troppo distante dai propositi di Kosuth, quello di sfuggire alla 22 presa oggettuale. Ad entrambi, infatti, non interessa
l'esecuzione dei progetti ma solo la loro dimensione men tale. A questo proposito Weiner afferma: 1) L'artista può 1ealizzare la piece; 2) La piece può essere realizzata; 3) Non è necessario realizzare la piece. Essendo ciascuna di queste possibilità uguale e conforme alla intenzione dell'artista, la decisione per quanto concerne le condi zioni di realizzabilità della piece dipende dal ricettore in occasione della ricezione 56• Antioggettualista è anche l'opera di Robert Barry, la cui ricerca si attua, se così si può dire, nel vuoto lasciato dall'oggetto: « qualcosa di cui ero consapevole ma che ora ho dimenticato». Barry afferma che le sue pieces consistono in pensieri dimenticati o in frammenti del suo inconscio. E aggiunge: Utilizzo anche delle cose che non sono comunicabili, che sono inconoscibili, o che non sono ancora conosciute. Le pieces sono effettive, ma non con crete... Così nel '70 Barry pubblica una serie di aggettivi e di proposizioni riferiti, come definizioni concettuali, al l'oggetto che non c'è più: « allusivo, / unico, / persisten te, / armonioso, / composto, / consistente » etc., « cam bia sempre. / Ha un ordine. / Non ha un luogo speci fico. I I suoi confini non sono fissi... I Una sua parte può essere parte di un'altra cosa. / Un poco di esso è fami liare. / Un poco di esso è estraneo. / Conoscerlo lo cam bia» 51• L'antioggettualismo si vela qui di una sfumatura particolare che potremmo definire anti-sensibilistica, e questo in polemica con l'art minimal e con l'intento di superare l'impasse in cui tale ricerca si era cacciata. Anti-oggettualismo e anti-sensibilismo caratterizzano anche le opere di Douglas Huebler: ·« Duration », « Loca tions », « Variable Pieces ». Per esempio, nella « Loèa tion Pieces » n. 8 del 1968 egli presentava un verbale che, con stile notarile, ricordava come nell'aprile fosse stata inviata una lettera (di cui veniva riportata la copia) a circa quattrocento ragazze del Junior College di Brad ford, in cui esse erano state invitate a scrivere un loro importante segreto su un pezzo di carta che doveva· es sere poi bruciato. Dopo di ciò le ceneri erano state spe- 23
dite a Huebler che, come garantiva il verbale, nel mag gio successivo le aveva « sparse al vento ». Il chiarimento di quest'opera ci viene dallo stesso Huebler: Il mondo è pieno di oggetti più o meno interessanti, non è mia in tenzione aggiungervene degli altri. Preferisco, semplice. mente, dichiarare l'esistenza delle cose in. termini di tem po e spazio. Più specificamente, l'opera concerne se stessa (e qui torna la tautologia) in relazione con cose la cui interr�lazionalità è al di là dell'esperienza percettiva di retta. Poiché l'opera è al di là dell'esperienza percettiva diretta, la conoscenza dell'opera dipende da un sistema di documentazione. La documentazione prende la forma di fotografie, mappe, disegni e linguaggio descrittivo 58• Si tratta evidentemente di affermazioni in chiave anti-mini malista cori un netto rifiuto dell'oggetto e della perce zione come strumento conoscitivo: tutto quello che vi può essere di oggettuale, infatti, è solo « sistema di do cumentazione », e quindi strumentale al concetto. • Una posizione particolare, per certi versi, ancora più distante dai puristi Kosuth e Venet, è quella di Vietar Burgin, ingl�se, e David Lamelas, argentino. Costoro, in fatti, riprendono alcune tematiche degli artisti di cui ab biamo già parlato, come il linguaggio verbale, l'istanza c;onoscitiva, l'uso della fotografia, ma vi inseriscono an che l'analisi ambientale e lo stimolo rivolto al compor tamento del fruitore. · Burgin, per esempio; in « Narrative Piece », un'opera del 1970, dispone sui muri di un locale una serie di di ciotto proposizioni allusive a caratteristiche dell'ambien te. Queste inizialmente si presentano .come categorie vuo te; impersonali, ma l'atto esecutivo del lettore, articolan dole con una percezione-visualizzazione della realtà, of fre una via d'accesso all'immagine ambientale. Così« Per formative, Narrative Piece », del 1971, consiste di tre par ti: una narrativa che è rappresentata da un gruppo di proposizioni collegate tra loro secondo ]e. leggi logiche e strutturali del linguaggio, ma tali da descrivere un fatto 24 a livello universale, prescindendo dall'esperienza partico-
lare dell'artista; una parte visuale, fotografica, <love è pos sibile ritrovare elementi di quella narrativa (si raffronta la parola « scrivania» all'immagine di una scrivania); una parte « esecutiva» che costituisce il legame tra le due precedenti. La parte narrativa acquista un senso solo a contatto con la fotografia, grazie all'impulso dato al lettore dall'autore nella parte esecutiva che impone l'ac costamento delle altre due 59• Anche Burgin, quindi, ha un atteggiamento sostanzialmente anti-oggettuale: la realtà ritorna, infatti, nella sua opera, sempre e ·sola mente attraverso l'« esecuzione» del fruitore (e qui vi sono evidenti ascendenti minimalisti) e totalmente mu tata nel suo significato. A questo artista può essere avvicinato, per molti aspetti, l'argentino David Lamelas, che lavora a Londra. Una sua opera dal titolo « Film Script» consiste in un cortometraggio che descrive i movimenti di una giovane donna che percorre le vie della città, rientra a casa e compie le sue faccende domestiche. Il film è accompa gnato dalla presentazione simultanea di tre serie di dia positive, che fermano l'attenzione su alcuni punti del cortometraggio. Una prima serie fornisce una documen tazione paniale e modificata nell'ordine degli atti della protagonista, la seconda una informazione completa, ma sempre modificata, la terza una informazione incompleta ma non modificata. Il punto di contatto con Burgin si individua nell'accostamento al reale, anche se a un li vello « altro», nella convenzionalizzazione dei linguaggi cinematografico e di quello delle diapositive manipolato dall'artista. Ma proprio la scomposizione delle diaposi tive e lo sconvolgimento del filo semantico della realtà, dove ciò che conta non è il riferimento al mondo esterno quanto la relazione sintattica dei segni tra loro 60, resti tuiscono una nuova struttura analitica del reale. Infatti, anche qui, come in Burgin, lo spettatore ha una parte primaria nella realizzazione della piece: ·... la struttura dell'opera esige un atto di completamento ( performatif) da part.e del fruitore... l'atto· della .performance... si espii- 25
ca... al livello della percezione e della memoria: le im magini e la loro combinazione non hanno un valore au tonomo, ma si presentano come mezzi per mettere in moto un processo di riflessione fenomenologica del ri guardante sui propri processi mentali... 61• L'uso del linguaggio verbale nei concettualisti puri Abbiamo visto come nell'opera degli artisti esami nati il linguaggio verbale sia spesso presente. Tale uso non è nuovo all'arte: surrealisti, cubisti, dadaisti e pop artists hanno impiegato frequentemente la parola anche se con modalità e funzioni diverse. Ai surrealisti interes sava il conflitto tra il concetto espresso e un'immagine completamente estranea; i pop tenevano conto soprat tutto dell'impatto visuale delle scritte prese dal paesag gio urbano contemporaneo. I concettualisti, invece, as sumono il linguaggio verbale prima di tutto come mezzo espressivo, come contenuto, nel senso tradizionale del termine, come strumento che rivela gli schemi di oppo sizione e di determinazione dell'opera, attribuendogli o meno, secondo i casi, una dimensione iconica. In artisti come Barry e Weiner o nel gruppo Art-Language, tale dimensione è completamente scomparsa; in Arakawa, Ko suth, Venet, essa, invece, è ancora presente, anche se in modo nuovo. Per alcuni l'uso del linguaggio verbale nasce dalla consapevolezza della sua maggiore precisione comunica tiva rispetto all'equivocità dell'immagine, ricca di ele menti particolaristici; affermazione opinabile, perché sappiamo bene quanti aspetti esso presenti che ne cari cano di ambiguità la referenzialità. Infatti, restando nel l'ambito di messaggi artistici, abbiamo già notato come il linguaggio verbale sia spesso assunto da Weiner, Bar ry e ancora da Arakawa, On Kawara etc. proprio per l'alone evocativo, e poetico», tutt'altro che referenziale, 26 che comporta. Secondo C. Millet, le opere di questi arti-
sti non potrebbero essere considerate propriamente con cettuali, ma solo «denunziatrici», in quanto, portando fino ai limiti estremi le condizioni di esistenza di un'ope ra d'arte... interrogano l'arte, ma questa interrogazione non può essere vista che come un epifenomeno a una elaborazione che potrebbe essere ancora « espressiva » 62• Pertanto, questi interventi sarebbero ancora più letterari e aneddotici che risolutamente analitici 63• Quella dell'analisi e della decodificazione è un'altra delle modalità d'impiego del linguaggio. Ma in relazione a quest'ultima bisogna operare una distinzione: nel ca so, infatti, di artisti come Burgin, Weiner, Barry il lin guaggio non si limita a investigare il campo dell'arte ma si rivolge alla realtà oggettiva, esistenziale, con un tono allusivo che invece di annullarla la esalta; diversamente nell'opera di Kosuth, Art-Language, Art and Analysis la parola serve solo a decodificare l'arte. Quest'ultima, in fatti, per Kosuth è costituita da «proposizioni » che ci dicono che cosa è l'arte. Se le scritte in Kosuth conservano ancora una pre gnanza iconica, nei gruppi di Art-Language e di Art Ana lytical mantengono solo il loro significato concettuale. Il linguaggio verbale, divenuto «linguaggio supporto », costituisce il fulcro della loro ricerca. Ma alla domanda se sia un mezzo specifico dell'arte essi onestamente ri spondono che è un mezzo per conservare il loro lavoro in un contesto di investigazione e di ricerca. E -probabil mente un mezzo specifico dell'arte ma prima noi dovrem mo definire che cos'è l'arte... 64•
Il problema dell'oggetto come problema politico L'uso del « linguaggio-supporto» nasce, per Art-Lan guage, come conseguenza della scelta fra « dematerializ zazione » e «celebrazione plastica ». Se la dematerializza zione può portare all'idealismo e alla « letteratura», la forma, a parte tutti gli altri equivoci, si lega agli oggetti 27
inserendo concretamente gli artisti nel sistema econo mico e produttivo della società. Art-Language accetta, in linea di massima, l'analisi marxistica della materializza zione come sintomo del sistema capitalistico, ma si chie de fino a che punto l'oggetto sia un fatto borghese e comporti necessariamente la mercificazione e, d'altro canto, quale garanzia dia di non essere borghese la scelta di un supporto immateriale come quello linguistico. · Rispetto a tale posizione problematica e aperta, mol to più rigido appare il discorso di Catherine Millet, per la quale l'arte occupa un posto a parte nella società, una zona riservata ed esclusiva di indagine su se stessa in cui non entra nulla del mondo esterno, con il quale, invece, prima o poi bisogna fare i conti. L'origine di questo atteggiamento risiede in una profonda sfiducia verso la società e il ruolo. stesso dell'arte al suo interno: E evidente.. clw se una qualunque azione artistica si svol ge apertamente contro i sistemi in auge... essa è rapida mente sia costretta ai compromessi, sia ridotta all'inef ficacia. Non è essa che impone <,elle condizioni, è manife �tamente ciò a cui s.i oppone che la tollera 65• E più avan ti: Invece se è possibile all'arte di intraprendere metodi camente la propria analisi, la propria critica, se la sua azione non tende a un'altra apertura, può allora privare i sistemi in auge dall'innestarvi i suoi valori e le sue ideoiogie 66• 1 Si delinea in tal modo un'attitudine negativa: l'arte può agire solo sottraendosi all'azione; laddove anche l'at teggiamento dei comportamentisti è negativo - con una impronta che vorrebbe essere marcusiano-adorniana ma in senso opposto, quello di un'azione ipertrofica auto escludentesi dal sistema. Abbiamo già visto come il gesto vitalistico che dovrebbe compensare lo scacco dell'uomo « separato», in una convergenza di arte· e vita, si sia ri solto in una velleità illusoria, e come, d'altro canto, non sia. sfuggito al pericolo dello spettacolò. Ma c'è di più: l'<< azione» superflua dei comportamentisti, continuando 28 a servirsi dell'apparato divulgativo tradizionale (gallerie,
cataloghi, nv1ste, grafica e oggetti d'arte veri è propri), non solo non riesce a risolvere, come un deus ex ma china, l'annoso e complessò problema della proprietà pri vata - mentre Bonito Oliva lo dà per scontato 67 - ma, nella sua pretesa di eliminare l'elaborazione ideologica, si presta ad essere fagocitata dal sistema molto più del l'ideologia che prescinda dalla prassi. In definitiva, cosa preferire fra la concezione immo� bilistica della Millet e l'iperattivismo superfluo ed auto emarginante dei comportamentisti? Entrambe le posi zioni hanno dei limiti: se appare legittima e onesta l'aspirazione definitoria dei. concettuali puri, non si può non segnalare il pericolo che essi finiscano in un cul de sac riduttivo e paralizzante; d'altra parte, il vitalismo estetizzante degli artisti del comportamento li coinvolge, è vero, in prima persona, nel loro sforzo di inserirsi nella realtà storica contemporanea, ma rischia di sconfinare in un velleitario utopismo. 1 C. MILLET, Prefazione al catalogo della Biennale di Parigi, 1971. 2 C. MILLET, L'art conceptue/ comme sémiotique de l'art. in « V H 101 », n. 3, 1970. 3 Tale denominazione è stata adottata per comodità di esposizione, in modo da distinguere questo gruppo di artisti da quelli che più avanti chiameremo concettuali puri. 4 G. CELANT, Conferenza su Piero Manzoni, tenuta il 6 febbraio 1971 alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. s Ibidem.
6 Ibidem. 1 Ibidem.
s A. BONITO OLIVA, Il territorio magico. Comportamenti alternativi dell'arte, Centro DI, Firenze, 1971, p. 26.
9 La body art (arte del corpo) è nata recentemente come sviluppo dei « comportamenti », in ·contrapposizione all'arte concettuale. Il corpo è diventato campo esclusivo di indagine nei gesti di Klaus Rinke o Vito Acconci. Di Rinke, un artista tedesco di Diisseldorf, ricordiamo una sequenza di fotografie (presentata alla Galleria Toselli di Milano nel 1971) con le variazioni dei movimenti delle mani, del viso, delle dita delle braccia. Nulla di nuovo se pensiamo alla tradizione teatrale che 'si fonda sui gesti: dal No giapponese al Living Theatre, dagli hap penings al teatro di Grotowsky. Basti ricordare, per esempio, le straor dinarie maschere degli attori di Grotowsky ottenute senza trucchi, ma col solo sapiente uso dei muscoli facciali, accuratamente studiati e di sciplinali. Più crude, fino talvolta al limite del ripugnante, sono le azioni di Vito Acconci. Le sensazioni fisiche immediate ed irripetibili sono al centro della sua attenzione: dalle più dolorose provocale dai
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morsi (1969) alle più disgustose date dallo schiacciare sulla pelle al cuni scarafaggi (« Rubbings », film 1970), fino a quelle stimolate dal tentativo di imitare attraverso il suo corpo maschile le movenze ed il corpo femminili (1972). Su questo argomento cfr. G. CELANT, Vito Acconci, in «Domus », n. 509, 1972 10 Q uest'opera di Burgin, dal titolo « Photo-Path "• è del 1969. Ve dremo in seguito gli sviluppi di questo artista che si svolgono in di rezione di un concettualismo che risolve in sé l'elemento percettivo (di origine minimal), la funzione rappresentativa, e il linguaggio verbale. Cfr. C. Mn.1.m, Victor Burgin, linguaggio, percezione e funzione rappre sentativa, in «Data,. n. 3, 1972; e anche V. BURGIN, Situational Aesthe tics, in « Studio Intemational•• ottobre 1969. 11 Questi interventi se da un lato si collegano strettamente al clima allarmistico conseguente al problema vitale della difesa del suolo e dell'ambiente, dall'altro conservano spesso una forte impronta este tica, anche nel frequente permanere di schemi formali e percettivi in un contesto spesso uniforme e neutro che ricorda la tela (distesa di terra, di mare, di neve, di sabbia), anche se più ampio e coinvolgente. 12 W. De Maria proviene dalla corrente minimalista, i cui punti di contatto con il concettualismo verranno esaminati in seguito. Forma ridotta agli elementi base della percezione e contenuto concettuale sono gli aspetti principali sviluppati dalle sue opere: ad esempio « Quattro, sei, otto• è costituita da diciotto serie di tre sbarre di al luminio, rispettivamente con quattro, sei, otto lati ciascuna. Fra gli interventi land di De Maria si possono ricordare quelli in cui ha riem pito interi ambienti di terra o di detriti (vedi ad esempio quello alla Friedrich Gallery di Monaco 1968). 13 K. André dopo le esperienze minimal e land approda al concet tualismo. Le sue costruzioni di elementi raggruppati in piramide o distesi lungo il pavimento, in disegni regolari, hanno una componente minimal, come matrice culturale e come immagine geometrica essen ziale, sono land nella modificazione dell'ambiente, che determinano ma implicano una dimensione concettuale, perché conferiscono forma visibile al concetto di « massa e anti-massa "· 14 Tali artisti erano legati alla Dwan Gallery di New York, che at tualmente è chiusa. La sua eredità morale è stata raccolta da John Weber, che si è trasferito al n. 420 di West Broadway che è diventato l'edificio delle gallerie immigrate dal centro (Castelli, Sonnabend, We ber, Emmerich), in seguito alla grossa crisi che si è avuta negli Stati Uniti nel campo del collezionismo e del mercato d'arte come contrac colpo alla crisi finanziaria del dollaro. Per la situazione americana cfr. P. RESTANY, 1972: L'America in crisi e il grande gioco dell'establishment, in e Domus », n. 507, 1972. D. Oppenheim, R. Long, B. Flanagan, J. Dib• bets, R. Smithson, W. De Maria, M. Boezem, M. Heizer hanno parte cipato alla mostra « Land art• (1969-70) tenuta dalla Telegalleria di Gerry Schum di Hannover. La mostra è consistita in una serie di in terventi sul paesaggio documentati da telefilms che poi sono stati tra smessi alla televisione tedesca. 1s Christo proviene dal nouveau réalisme francese ed è all'interno di questo movimento che ha cominciato ad adottare la tecnica del l'impacchettaggio degli oggetti, traendo spunto dall'opera di Man Ray, « L'enigma di Isidore Ducasse •· Quando ha trasferito questo metodo appropriativo della realtà dagli oggetti ai movimenti, agli edifici, fino a grossi spazi naturali come la costa australiana (« Wrapped Coast »), ha realizzato di fatto delle opere land. 16 C. MiilEr, Joseph Kosuth, in « Flash Art"• n. 22, 1970. Nello
stesso articolo si legge più avanti: e Il gesto che continua ancora la land art... non è che denunciatore ... contribuisce sempre più alla mi stificazione dell'arte accrescendone la libertà e il potere appropriativo dell'artista•· Contro il concettualismo «eterodosso,. degli artisti della land art si schiera anche C. HARRISON, « Studio International» ottobre 1970: « Numerosi artisti pretendendo di presentare certe •idee• o • si tuazioni immaginarie • alla nostra attenzione contano in realtà sulle nostre possibilità immaginative per il fatto che noi strutturiamo nel nostro spirito una sequenza drammatica di finzioni la quale non ha alcun rapporto con l'arte, né con il tentativo dell'artista•· 17 L'arte povera si è sviluppata soprattutto in Italia, dal 1967 in poi, ad opera di Pistoletto, Pascali, Kounellis, Merz, Anselmo, Zorio, Prini, Boclli, Fabro, Calzolari, Mattiacci. L'arte povera, scegliendo come punti di riferimento culturali il teatro povero di Grotowsky e gli studi di Piaget sullo sviluppo mentale del bambino, ha basato la sua poetica sul ritorno alle « strutture del primario». In tal modo ha cercato di ristabilire un rapporto fra arte e vita mediante un pro cesso di decullurazione dell'immagine e l'assunzione dei materiali po veri (lana, carbone, neon, stracci, animali, piante), nell'illusione di ricostituire l'unità dell'uomo al di fuori del sistema del mondo tecno logico e consumistico. Per una bibliografia sull'arte povera cfr. V. CoR BI, La poetica dell'arte povera, in «Op. cit. •• n. 14, 1969. 1s Fibonacci è il soprannome del matematico medioevale Leonardo da Pisa, che ha scritto nel 1202 il Liber de Abaci, tramandato nell'edi zione del 1228. Questo matematico osservando la figliazione dei conigli, ha creduto di scoprire in natura una legge di crescita secondo una progressione numerica in cui ogni numero è dato dalla somma dei due precedenti (1-1-2-3-5-8-13-21-34-55-89 etc.). Questa serie è stata riesu mata da Merz che ha cominciato ad applicarla ad ogni tipo di realtà (oggettuale, spaziale, vegetale, biologica): l'igloo, per esempio, ha una struttura di ferro i cui nodi possono essere distanziati in base a questa progressione; la pigna presenta una serie Fibonacci all'inverso in quanto si verifica che dal cerchio più largo con ventuno pinoli si passa a uno con tredici e poi con otto etc.; la lumaca (video-oggetto presen tato alla telemostra « ldentifications» di Gerry Schum del 1970) ha suggerito una spirale costruita secondo la stessa serie e cosl via. 19 J. Kounellis, quando finiva i suoi quadri con le lettere e i nu� meri alla Jasper Johns, li «cantava» in presenza degli amici, intro ducendovi così un elemento vitale di comportamento. Le sue ultime opere sono quadri viventi in cui tornano spesso musica e danza. Ri cordiamo quella presentata nell'aprile 1972 alla Galleria L'Attico di Roma, composta da un violinista che suona, una ballerina che danza e un grosso pannello rosa, che fa da spartito, su cui è scritta una frase musicale. 20 Alcune opere di G. De Dominicis che trattano il tema della morte sono citate più avanti nella nota 31. Qui basti ricordare: «Ten tativo di volo• (1969) e e Tentativo di formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno ad un sasso che cade nell'acqua• (1969). 21 Per questo tema citiamo le seguenti opere di V. Pisani: e lo plagio Marce! Duchamp » (1965); «Scorrevole• (1970), tratto da e L'im piccato femmina• di Duchamp; e L'oriente è rosso l'occidente è nero• (1971), con riporto dalla e Ifigenia• di Beuys; e la mostra «Plagio•, Galleria Sperone di Torino e Galleria La Salita di Roma (1971) in cui Pisani e Pistoletto si scambiano le parti, come era già avvenuto alla mostra e Amore mio•• Montepulciano, 1970, in cui Pisani occupò la sala di Pistoletto.
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· 22 Cfr. lo scritto di V. AGNETII, Copia dal 11erò n. 1, « Domus», nn. 496-497-498, 1971. 2J C. MrLLIIT, Prefazione al catalogo della Biennale di Parigi, 1971 cit. 24 C. MILI.ET, Note s11r Art-Language, in « Flash art», n. 26, 1971. 25 G. Paolini ha intrapreso la via del concettualismo sulla scia di P. Manzoni, focalizzando la sua attenzione sull'idea di vuoto che sta all'origine di tutta la sua attività. Tra le sue opere,. essenziali fino alla rarefazione, ricordiamo: «Io» in cui sulla tela non compare altro che un tondino ritagliato da un giornale con la parola « io» fra le lettere superstiti di parole ormai indecifrabili; « Primo appunto sul tempo•, una frase scritta nell'angolo di un pannello, che concretizza l'idea di tempo in quella frazione di secondo che si impiega a leggerla. 26 A. BoNrro OLIVA, op. cit., p. 19. 21 Ibidem, p. 19. 28 Ibidem, p. 49. 29 A. BONITO OLIVA, e La rivolm.io11e siamo noi», intervista a J. Beuys, in e Domus», n. 505, 1971. JO A. BONITO OLIVA, op. cit., p. 55. 31 Nella produzione di P. Pascali ricorre spesso il tema della morte, che viene affrontato direttamente almeno due volte: in « Requiescat in pace» (1965), e nella sua azione nel film di L. Patella « S KM P 2 » (1968). Inoltre nell'intervista di C. UJNZl, Autoritratto, De Donato, Bari, 1969, Pascali dice: • .. .lo scultore, il pittore... sono gente che stimola dei fenomeni... il fenomeno deve essere sempre stimolato, il fenomeno deve stimolare il fenomeno; l'unico limite, in questa specie di reazione a catena, è la morte. Non ce ne sono altri e perciò, così a un certo punto, razionalmente, uno la rifiuta. Neanche la rifiuti, non la capisci. Una delle cose più mostruose che esistano è la morte, veramente». Di Fabro possiamo ricordare la « Corona d'alloro (Fac-simile)» (1969) o la targa di marmo SO x 5 « Quid nihil nisi minus? » (1969} o « Lu ciano Fabro t 1936 pittore e scultore» a proposito della quale nella di dascalia dell'illustrazione su e Domus •, n. 497, 1971, si legge: e Iden tificazione nascita-morte, la vita come tautologia chiusa, che significa solo se stessa, anche se con segni diversi». De Dominicis, invece, as sume rispetto alla morte un atteggiamento diverso: auspica la libe razione dell'uomo dalla morte e quindi dalla necessità di difesa che provoca sempre una reazione di offesa, « una unione di persone con altre, quasi sempre contro altre o in favore di altre». Pertanto solo con la sconfitta della morte l'uomo ha la possibilità di dare un reale fondamento alla sua vita e alla sua attività. Cfr. G. DE DoMINICIS, testo senza titolo del 10-9-1970 nel catalogo Gino De Dominicis, Galleria L'At tico, Roma 1970; su « Flash art» nn. 25-26, 1971; nell'Album 1968-'71, della Galleria L'Attico, Roma 1971; su « Domus », n. 497, 1971. Dello stesso artista ricordiamo anche il « Manifesto» della sua morte affisso nelle strade di Roma (1970). Infine T. Ulrichs in relazione al tema della morte ha fatto un'opera « Senza titolo• che rappresenta la lapide della sua tomba. 32 A. BONITO OLIVA, op. cit., p. 15. 33 G. CE.LANT, op. cit. 34 Ibidem. 3S A. BONITO OLIVA, op. cit., p. 43. 36 Ibidem, p. 28. 31 Ibidem, p. 48. 38 Ibidem, p. 43. 39 F. MENNA, L'ideologia estetica, su « Cartabianca », novembre 1968. ·..o A. BONITO O1.IVA, op. cit., p. 54. 41 R. BARTHE.S, Elementi di semiologia, Einaudi, Torino, 1956, p. 54.
42 Cfr. R. JAK0IIS0N, Due aspetli ciel linguaggio e due tipi di afasia, in Saggi cli linguislica generale, Fcltrinelli, Milano 1966. In questo sag gio Jakobson esamina quali aspetti del linguaggio sono alterati negli alasici. A tale scopo analizza la struttura del modo di comunicazione, in cui intervengono due aspetti: quello delia «selezione• (metaforico) e quello della •combinazione» {metonimico). Quando uno dei due presenta dei disturbi abbiamo un discorso di tipo afasico. 43 C. M1LLET, L'ari conceptuel camme sémiotique de l'art. cit. 44 P. REST,INY, Tre risposte cli Kos111h a quattro domande di Resta11y, inten•ista a J. Kosuth, «Domus •, n. 498, 1971. 4S C. M1u.cr, L'art conceptuel camme sémiotique de l'art,- ciL. 46 J. Kosurn, Art after Philosophy, in •Studio International», ott. nov. dic., 1%9. La pl'Ìma parte di questa serie di scritti è stata ristampata in « Data • n. 3, 1972; la seconda parte (che è la più im po:rtantcì è stata ripubblicata varie volte: p. es. in Conceptual art and rnncepwal aspects, New York 1970 e in K. Groh, lf I had a mimi, Kiiln, 1971. 47 Ad Reinhardt occupa una posizione particolare nella pittura ame ricana degli anni '50. Fra le denominazioni correnti abbiamo scelto quella di astrattista « freddo », _per distinguerlo dagli espressionisti astratti e dai field painters, cui pure talvolta è stato accumunato. Ha una matrice costrutlivista che lo ha condotto a una progressiva smate rializzazione dei mezzi adoperati, come, ad esempio, il colore ridollo ad uno o al massimo due toni e applicato a forme quadrate. L'essen ziali1à delle forme e dei colori ne hanno fallo un anticipatore della te matica minimal, ma è stato considerato un punto di riferimento indi spensabile anche da parte dei concettuali per la sua radicata convin zione che l'arte debba eliminare i contenuti della vita. Diceva infatti Reinhardt: « La sola cosa da dire dell'arte è... la sua assenza di vita, di morte, la sua assenza di contenuto, di forma, la sua assenza di spa zio, la sua assenza <li tempo. È sempre la fine dell'arte•· Cfr. C. MIL· LCT, 0/J. cii, in « V H 101 », n. 3. 48 E. MIGLI0RINl, Conceptual art, Edizioni d'arte Il Fiorino, Firenze, 1972, pp. 87-88. 49 R. WEDf:WER, K. FISCIIER, Kunz.eptio11-Co11ception, Kéiln, 1969. so P. Rr:sTANY, intervista a Kosuth cit. s1 In questo senso si trova un punto d1 contatto con Duchamp che voleva ridurre il margine dell'ogge!lo fino alla spersonalizzazione. Af ferma, infatti, Duchamp: « Bisogna arrivare a scegliere un oggetto, se volete, con l'idea di non essere impressionati da questo oggetto se condo una dilcuazione estetica di alcun ordine. Di più bisogna anche che il mio gusto personale sia completamente ridotto a zero �s2 Le discipline di cui si occupa Venet sono: astrofisica, fisica nu cleare, scienza dello spazio (1967), matematica, metereologia, borsa (1968), metamatematica, psicocronometria, strategia militare (1970). Per presentare diversi momenti del pensiero analitico egli è ricorso in un primo momento a manuali scolastici, successivamente agli specialisti delle diverse discipline (per es. i professori della Columbia University). Sl Anche il lavoro di Venet è in relazione a Duchamp; ma, mentre in questo artista l'oggetto, come abbiamo visto, poteva essere inter pretato liberamente, ciò non è possibile per una dimostrazione scien tifica che rimane tale nell'opera di Venet. S4 P. RESTANY, La poursuite de l'analyse j11sq11'au dépassement du moi, intervista a B. Venet, « Domus•• n. 491, 1970. ss Cfr. le interviste fatte a Beuys e a Kosuth rispettivamente da A. Bonito Oliva e P. Restany, cit.. Alla domanda relativa al romanti-
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cismo Beuys risponde (la risposta è riportata nel testo) diffusamente riconoscendo sostanzialmente gli ascendenti romantici; Kosuth, invece, non dà nessuna risposta perché evidentemente l'argomento non lo riguarda. 56 E. MIGU0RINI, op. cit., p. 109. Oltre agli « Statements» di L. WEI NER ricordiamo anche lo scritto Tracce, Sperone, Torino, 1970. 57 Ibidem, p. 117; e in Konzeption-Conception, cit.; e in « V H 101 • n. 3, 1970, cit. 58 D. HEUBLER, Dichiarazione del dicembre 1968, in Arte povera, a cura di G. CEL\NT, Mazzotta, Milano 1969, p. 43; e in E. MIGLI0RINI, op. cit., p. 11. 59 C. Mu.LEr, Victor Burgin, cit. 60 F. MENNA, David Lamelas e il suo Film-script, « Il Mattino», 12 luglio 1972. 61 Ibidem. 62 C. MII.LEI', L'art conceptuel comme sémiotique de l'art, cit. 63 Ibidem. 64 C. MII.LEI', Entretien avec Art-Language, in « Art vivant •• n. 25,
1961.
65 C. MII.LEI', L'art conceptuel comme sémiotique de l'art, cit. 66 Ibidem. Tutti gli articoli di C. MILI.ET citati precedentemente sono raccolti in L'art conceptuel, Templon, Parigi, 1972. 67 A. BONITO OLIVA, op. cit., p. 49, cosl afferma: « Si supera in questo modo... il principio strutturale che regge la società neocapita listica e che produce alienazione: il principio della proprietà privata. Ora non è possibile appropriarsi in senso privatistico dell'oggetto este tico né averne soltanto una percezione formale, ma esercitare la no zione di possesso pubblico.
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La recente storiografia della città* LEONARDO BENEVOLO
La parola città si adopera in due sensi, per indicare una organizzazione della società concentrata e integrata, che comincia cinquemila anni fa nel vicino Oriente e che da allora si identifica con la società civile; oppure per indicare la scena fisica di questa società. La distin zione è importante per il motivo pratico che la scena fisica di una società è più durevole della società stessa, e può essere ancora constatata - ridotta in rovine op pure funzionante - quando la società che l'ha prodotta è già scomparsa da molto tempo. La forma fisica corrisponde all'organizzazione socia le, e contiene un gran numero di informazioni sui carat teri della società, molte delle quali conoscibili solo in questo modo, e le uniche che possono essere sperimen tate - muovendosi nella scena della città o meglio an cora abitandovi - oltre che ricostruite a tavolino. Di qui l'interesse e il fascino di studiare il passato attraverso lo scenario edilizio che ancora fa parte del nostro presente; Louis Jouvet ha fatto questo ragiona mento per il teatro, in un saggio intitolato A l'instar de Cuvier: « Io sogno talvolta di potere un giorno, alla ma niera di Cuvier, studiare l'arte teatrale partendo dalla sua architettura, far scaturire da una pietra, come da una vertebra, il gran corpo vivente di un mistero pas sato» (1933). * Relazione presentata al II Congresso Nazionale di Scienze Storiche tenutosi a Salerno dal 23 al 27 aprile 1972.
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Questo studio - che presuppone una corrispondenza perfetta fra evento e ambiente - è stato tentato molte volte per le città del basso Medioevo, quando la forma fisica dell'organismo urbano rispecchia immediatamen te la forma politica della città-stato; quasi tutti i ma nuali di storia medioevale hanno un capitolo sulle città, dove i caratteri fisici sono esaminati in stretta connes sione con i caratteri economici, sociali, amministrativi (basta ricordare The Birth of Europe di Lopez, libro 3, cap. I); alcuni storici hanno pubblicato minuziose inda gini topografiche sullo sviluppo delle città (Ganshof per le città fra la Loira e il Reno, 1 Lacarra per le città della Catalogna 2). La « città medioevale » è un soggetto classico su cui ritorna la discussione storica dall'epoca di Pirenne in poi, ed è anche uno dei problemi più vivi in sociologia, in geografia, in urbanistica; infatti è l'episodio più vi cino a noi in cui possiamo cogliere il pieno significato dell'invenzione urbana: quest'arte misteriosa, schema tizzata e dispersa dal Rinascimento in poi, riscoperta dalla cultura moderna come aspirazione ma ancora im praticabile come esperienza tecnica effettiva. Gli architetti cercano nell'intrico delle strade e delle piazze medioevali il segreto dello spazio civico, come i sociologhi cercano nell'intrico delle istituzioni il segreto della convivenza ·comunitaria: qualcosa di più impor tante dei progetti edilizi e dei programmi settoriali che siamo capaci di fare oggi. Abbiamo cercato di spiegare altrove la differenza fra progetto edilizio e progetto urbano: « Altro è ideare un palazzo sul Canal Grande, altro è ideare il Canal Gran de e una città come Venezia, percorsa dalla grande S del Canale, col centro commerciale a cavallo di Rialto, il centro politico a S. Marco, la grande officina dell'Arse nale razionalmente ubicata verso il varco del Lido, le altre industrie decentrate a Murano, a Burano, a Chiog gia. Se si riflette che la forma e la dimensione dell'or36 ganismo cittadino erano già definite completamente nel-
l'XI secolo, mentre i secoli successivi hanno rimaneggiato e rinnovato, in scala edilizia, ogni zona della città, tanto che della situazione dell'XI secolo non avanza mate rialmente quasi nulla, si può misurare il valore deter minante dell'invenzione originale, persistente oltre tutte le variazioni architettoniche. E se Venezia è un caso limite, tanto che l'invenzione urbanistica sembra sepa rabile e precedente a ogni sistemazione architettonica documentata, in molte altre città europee è possibile co gliere, nei periodi di maggior fervore creativo, un'idea distributiva generale che procede di pari passo con le singole architetture, ma ne sovrasta e ne riassume il significato; così a Firenze nell'ultimo decennio del XIII secolo, mentre si definisce la nuova costituzione politica, l'opera più importante di Arnolfo non è il Duomo, né Palazzo Vecchio, né il tracciato delle terze mura, ma forse l'idea del nuovo organismo urbano dove l'accresci mento periferico è bilanciato dall'ampliamento del nu cleo direzionale, con i due centri, politico e religioso, col locati ai margini della prima cerchia. Può darsi che il nome di Arnolfo sia solo un riferimento convenzionale, come quello di Giano della Bella per gli Ordinamenti di Giustizia, ma esiste senza dubbio un'immagine program matica della nuova città, espressione visibile della nuova realtà politica ed economica, anche se non si tratta d'un piano nel senso moderno della parola. La forza di questa immagine si può misurare pensando che ha consolidato per cinque secoli la forma della città, ed è rimasta fissa nella memoria degli uomini anche quando le condizioni sociali sono cambiate radicalmente. Non è esagerato dire che la maggior parte- delle città in cui viviamo furono inventate - per la parte essenziale - in epoca medioevale. Anche quando gli sviluppi ulteriori sono stati grandissimi, alcuni fatti sta biliti in quel tempo hanno continuato a orientare l'accre scimento recente con singolare persistenza; basta pen sare alla doppia polarità di Londra medioevale, fra la city e Westminster, o alla distinzione di Parigi in tre 37
parti, la ville sulla riva destra della Senna, la cité nell'iso la, l'université sulla riva sinistra ». L'invenzione urbana in certi casi anticipa gli svi luppi del corpo sociale: i monumenti del prato dei Mira coli a Pisa - duomo, battistero e camposanto - sono stati costruiti in questa posizione periferica, perchè forse dovevano risultare al centro di un nuovo organismo cit tadino ampliato verso nord; ma l'ampliamento non è mai stato fatto, perchè la potenza di Pisa è già finita nel XIII secolo, dopo la Meloria. Le ultime cinte urbane di Firenze, di Siena, di Colonia, di Gand, tracciate alla fine del '200 o nella prima metà del '300, non sono state saturate dallo sviluppo edilizio, che si ferma dopo la grande peste, e saranno occupate, in tutt'altro modo, solo nel secolo XIX. In questi casi la forma urbana resta a testimoniare non un passato, ma un futuro scartato d�gli avvenimenti successivi. (Notiamo per inciso che gli strumenti incidenti, ca paci di produrre risultati durevoli, non sono quelli sche matici e imperativi dei re assoluti e dei dittatori, ma quelli flessibili, complessi e contrappesati delle comu nità mercantili: le magistrature fiorentine che duravano in carica pochi mesi hanno costruito un organismo sta bile nei secoli, perchè hanno sviluppato con continuità un programma unitario; persino nel '600 le realizzazioni -Urbane più importanti e più riuscite sono quelle delle repubbliche olandesi, non quelle di Luigi XIV o di Pie tro il Grande). Ma il postulato della corrispondenza incondizionata fra città e società funziona bene solo per le epoche fe lici, dove esiste una misura comune fra le due realtà e un sistema di istituzioni che stabilizza l'una e l'altra. Dobbiamo tornare al paragone di Cuvier e osservare che non è così preciso, perchè dopo tutto lo scheletro del di nosauro è una parte fisica del dinosauro intero, mentre lo scenario urbano è un'attrezzatura del corpo sociale, legata da relazioni funzionali meno dirette e più com38 plicate. Conviene dunque approfondire la distinzione fra
i due significati della parola città, e discutere le inter pretazioni date finora a questo dualismo, che è più sottile e ingannevole di quel che sembra a prima vista. Le interpretazioni sono due: la prima si contenta di una definizione empirica della città - l'insieme dei ma nufatti artificiali introdotti dall'uomo in una porzione dell'ambiente naturale, da quelli in scala umana che for mano i prolungamenti diretti delle membra del corpo (gli utensili di ogni tipo) a quelli in scala più grande che modificano i rapporti fra l'uomo e lo spazio circostante - e non si cura dell'eterogeneità delle esperienze messe in moto anche dal più semplice di questi manufatti, ri guardanti l'ideazione, la fabbricazione e la fruizione. La seconda vuole dare una definizione culturale della città, cioè parte da una organizzazione delle esperienze in set tori prefissati e riconosce nella città la proiezione ester na di ciascun settore, rivelatrice soltanto delle sue va riazioni interne. Nel primo caso lo studio della città opera una se zione su tutti i settori in cui è divisa la struttura sociale e culturale; nel secondo caso lo studio della città deve essere condotto in un settore ben definito - quello che ha prodotto una classe di aspetti della città realizzata - e ripetuto, se occorre, in un altro settore che ha prodotto un'altra classe di aspetti. La nozione discriminante è appunto la classificazio ne dei settori (e degli aspetti della città), che nella se conda interpretazione è una condizione preliminare del l'indagine storica, nella prima è un dato accertato volta per volta; nella seconda è stabilito a priori, nella prima è registrato a posteriori. Si può dire che la tradizione e l'apparato istituzio nale presuppongono la seconda interpretazione, cioè dan no per scontata una classificazione fissa, legittima, dei .settori dell'indagine (artistica, scientifica, tecnica, econo mica, ecc.); invece i recenti sviluppi della ricerca stori ca mettono in dubbio la fissità di questa classificazione, e si orientano decisamente - per la città e per ogni 39
altro soggetto indagabile - verso la prima interpreta zione. Infatti la ricerca storica condotta a fondo riconosce che la pretesa classificazione legittima è solo l'indebita cristallizzazione teorica della classificazione vigente nelb società- contemporanea, connessa agli interessi privile giati in questa società; il tentativo di attribuirle un valore assoluto non serve a interpretare il passato, ma a stabi lizzare le istituzioni e gli interessi collegati, nel presente e nel futuro. Questa ricerca è diventata inevitabile per studiare altre epoche storiche, come il primo Rinascimento, in cui avviene appunto un cambiamento fra due classifica zioni delle attività umane, che compromette la realizza zione di grandi strutture stabili - quindi anche delle città - ma che indebolisce le strutture passate e pre para le condizioni per costruire in futuro nuove strut ture diverse. In questo momento di transizione possiamo cogliere i fattori di mobilità della vicenda umana: l'in venzione; il rischio, la libertà intellettuale e morale, che non sono definibili in nessuna delle due classificazioni perchè producono appunto il passaggio dall'una all'altra. In altra occasione· abbiamo osservato: « L'interesse degli studiosi di storia per il Rinasci mento è improvvisamente cresciuto da quando il Rina scimento si considera non più come l'inaugurazione di un ciclo culturale « moderno » e definitivo - in cui si elaborano le distinzioni legittime fra i settori della cul tura: arte, letteratura, scienza, tecnica, ecc., che si con siderano permanenti e applicabili a tutte _ le epoche ma come un momento in cui si passa da una classifica zione storica di queste attività a un'altra classificazione ugualmente storica e precaria, come è chiaro oggi per noi perchè viviamo un altro momento di trapasso da una classificazione a un'altra. Nel primo caso bastava applicare, settore per settore, le definizioni istituzionali assolute,. cioè studiare l'arte, la letteratura e la scienza 40 ognuna per suo conto. Nel secondo caso occorre· un ra-
gionamento globale che spieghi il trapasso dal sistema istituzionale precedente a quello nuovo, e che non si può fare secondo le distinzioni di partenza né secondo le distinzioni di arrivo, ma che mette in crisi i supposti settori permanenti della vita culturale, i quali diventano oggetti dell'indagine storica, non condizioni preliminari. Questo cambiamento di prospettiva ha ormai com pletamer..te trasformato il quadro degli studi storici sul Rinascimento; basta pensare, in Italia, ai contributi di Cantimor.i e di Garin. Il Rinascimento, dice Garin, " non avvenne né sotto un segno solo, né per schemi rigidi o per continuità lineari, entro settori nettamente separati. Fu anzi, proprio rottura di equilibrio e di schemi. Di qui l'insufficienza di una storiografia che tende a ipo� statizzare le varie discipline, fondandole su pseudocate gorie: là le lettere, qua la filosofia e le scienze; là l'arte e la morale, qua la religione e la politica " 3• La chiave tecnica per questa indagine è l'analisi fi lologica dei testi e delle opere, tanto più precisa e intran sigente quanto più incerte diventano le « sistemazioni» e gli «inquadramenti » tradizionali. I luoghi comuni, i giudizi approssimativi e prevenuti si possono sgombrare solo tornando a guardare i fatti, nelle loro reali e minu ziose articolazioni. Come nel Rinascimento stesso la «grammatica» è il solvente che elimina le costruzioni dottrinali del Medioevo e ristabilisce un contatto genuino con il patrimonio della civiltà. antica, in cui la nuova epoca si specchia per riconoscere la sua originalità, così oggi l'estensione e l'approfondimento dei controlli filo logici sono lo strumento indispensabile per ritrovare la vera complessità del processo· storico, nascosta dagli schemi sommari che derivano appunto dal successivo irrigidimento delle distinzioni settoriali ». Conviene ricordare le tappe di questa ricerca: le opere di sintesi più antiche - quella di Burckhardt del 1860, quella di Pater del '73, il primo volume della Cam .bridge modern history del 1902 - confrontano vari settori di cui non si mette in dubbio la ,separata conti- 41
miità; l'Autunno del Medioevo di Huizinga, del 1919, di scute con insistenza le frontiere fra alcuni settori con tigui (specialmente nel terzultimo capitolo « Immagine ·e parola», e nel penultimo « parola e immagine » ); la tesi di Baron sulla crisi del primo Rinascimento, presen tata nel libro del '55, 4 si basa su una combinazione ser rata di analisi su fatti letterari e politico-sociali, che ha richiesto una vera contaminazione filologica, e l'autore non ha mancato di commentarla: « Forse questo bisogno di combinare metodi di di versi settori scientifici ha un ·significato più vasto. La riluttanza fra gli storici politici di seguire le lezioni im :parate dagli studi letterari e, d'altra parte, l'interesse troppo scarso degli specialisti letterari per l'influenza degli sviluppi socio-economici ci impedisce ancora, su troppi punti della storia del Rinascimento, di precisare la mutua dipendenza fra politica e cultura con la stessa chiarezza che la ricerca tradizionale ha da tempo rag giunta per simili situazioni nelle antiche città-stati » 5• Una indagine filologica combinata su diversi settori della civiltà rinascimentale, e su una singola città, Fi renze, è stata tentata da Becker nel '68 8, da Holmes nel '69, 7 da Brucker nel '69 8; questi confronti sono il pre supposto essenziale dei libri di sintesi di Hay del '61 9, di Garin del '64 (il capitolo della Propyleen Weltge schichte 10), di Lopez del 1970 11• Il settore che resiste tenacemente a questa tendenza è la storia dell'arte. Il tentativo di Antal del 1948, certa mente manchevole, è stato accantonato con fretta straor dinaria; le opere degli storici dell'arte interessate ai le gami con gli altri settori: gli Architectural principles in the age of humanism, di Wittkower (1949), l'Art et humanisme à Florence au temps ·de Laurent le Magni fique (1959) e i più recenti Renaissance méridionale e Le grand atelier d'Italie (1965) di Chastel hanno fatto rumore come eccezioni; un libro scritto nel lontano 1914, The architecture of humanism di Geoffrey Scott e tra42 dotto da Elena Croce nel 1939 (cioè un mediocre pam-
phlet che difende l'indipendenza dell'architettura da tut to il resto) faceva ancora testo in Italia nel dopoguerra. Anche la discussione sui personaggi-chiave della trasfor mazione rinascimentale come Brunelleschi e Alberti che obbligano a un confronto interdisciplinare perchè la loro produzione appartiene a due o più dei successivi settori codificati (l'arte e la meccanica per Brunelleschi, l'arte e la letteratura per Alberti) - si svolge a compar timenti stagni; si vedano le voci rispettive nell'Enciclo pedia dell'arte. 12 Praeger è l'unico che conosce a fondo le esperienze meccaniche di Brunelleschi perchè è un funzionario dell'ufficio americano dei brevetti. II risul tato di questo distacco è lo scarso valore degli studi de gli storici dell'arte sulle città: nella collana di Braziller sulla storia della città spicca per la sua distanza dai no stri interessi il volume di Argan 13 sulle città del Rina scimento (e anche, in misura minore, il libro di Saal man 14 sulle città medioevali; infatti gli altri volumi sulle città precolombiane, 15 sulle città antiche del vicino Oriente, 16 ecc. - utilizzano l'esperienza dell'archeologia, che è attrezzata appunto a ricavare dai suoi reperti le informazioni sulla vita sociale; invece i due sulle città più vicine nel tempo e ancora funzionanti mettono in evidenza l'isolamento e l'inutilità di un approccio formale che si ritiene autonomo. Fanno eccezione alcuni lavori promossi da Francaste! nell'Eco/e des hautes études che è appunto uno strumento ammirevole di scambi interdisciplinari: il saggio su Lisbona di Josè Augusto Franca {1965), 17 gli atti del convegno sull'urbanistica di Parigi e l'Europa organizzato alla Sorbona nel 1966 18; in Italia, il saggio su Napoli di Cesare de' Seta, 19 che ha frequentato l'Eco/e parigina e ha lavorato in con tatto con Galasso. Infatti mentre gli storici dell'arte sono preoccupati di mettere al sicuro la nozione autonoma dell'arte nella sfera teorica (Brandi) o in una prospettiva storica che abbraccia tutto il ciclo della cultura occidentale (Argan -nel lungo saggio sul primo numero della rivista « Storia 43
dell'arte»), gli storici stanno mettendo in chiaro l'ori gine della soluzione istituzionale, in cui vige appunto l'autonomia del lavoro artistico dal resto del lavoro uma no: essa emerge fra la fine del secolo XIV e l'inizio del XV - quando gli aspetti qualitativi dell'ars medioevale sono scorporati dagli aspetti quantitativi e collocati allo stesso livello intellettuale della letteratura - ed è uti lizzata da allora in poi: - nella società rinascimentale, per liberare il la voro creativo individuale dalla tutela dell'apparato cor porativo e per consentire un rapporto diretto con la ·nuova classe dirigente; mette in moto così un nuovo approccio all'universo visibile, da cui procedono sia l' ar te sia la scienza moderna. - dopo la crisi della società rinascimentale, per te nere distinto il lavoro artistico dalla ricerca scientifica che si organizza in modo autonomo. - nella società ottocentesca, per escludere ambe due le categorie di specialisti - gli artisti e i tecnici dalla gestione della città industriale, che dalla metà del secolo XIX è basata su una combinazione diretta fra burocrazia e proprietà. · Appunto le vicende dal Rinascimento in poi impe discono di mantenere il postulato della corrispondenza fra città e società; nasce infatti in questo periodo una nuova definizione della città, che deriva appunto dall'af fermazione dell'autonomia dell'arte: la città è l'insieme delle qualità formali dell'ambiente, quindi l'opera com pleta, autosufficiente, che un artista da solo, come Fila rete, è in grado di immaginare e di progettare. Questa nozione in principio si applica all'organismo incompiuto della città medioevale, e lo fissa in una forma definitiva, quella che oggi ricordiamo e amiamo (basta pensare all'immagine concentrica di Firenze, definita letteraria mente nella Laudatio di Leonardo Bruni e resa con creta, . una generazione dopo, da Brunelleschi che rea lizza il suo centro geometrico, il padiglione ottagonale 44 della cupola); poi non tiene il passo con le trasforma-
zioni successive, e si sposta nella sfera teorica: diventa l'Utopia, la città ideale; poi ancora gli elementi separati di questo irrealizzabile modello culturale sono utilizzati per imprimere un ordine· parziale allo scenario del po tere assoluto (Versailles, non Parigi, perchè la regolarità può essere applicata agli alberi e ai canali, non alle case dove vivono le persone); infine le sue apparenze stabiliz zate e consumate da una lunga consuetudine - l'unifor-· mità, la gerarchia, il decoro - sono codificate per ren dere rispettabile il nuovo scenario, immenso e precario, della città borghese. Alla fine di questa parabola le forme sembrano le stesse, ma la sostanza della città è completamente mu tata, e anche il rapporto fra città e società deve nuova mente essere esaminato. La città borghese che si sviluppa dopo la rivolu zione industriale è certamente diversa da ogni modello precedente, anzitutto per suoi caratteri misurabili: le quantità in gioco (numero di abitanti, numero di case, chilometri di strade, numero e varietà dei servizi e delle attrezzature) e le velocità delle trasformazioni; le diver sità quantitative producono sommandosi una diversità qualitativa, cioè rendono impraticabili gli antichi stru menti di controllo, basati appunto su una limitazione conosciuta delle quantità e delle velocità, e fanno na scere nuove opportunità e nuovi rischi, padroneggiabili solo con nuovi strumenti di progettazione e di gestione: ripropongono quindi integralmente, per la prima volta dopo il Medioevo, il problema della pianificazione urba na; la ricerca scientifica, che ha messo in moto questi sviluppi, deve elaborare gli strumenti per controllarli. Il riconoscimento di queste diversità - che caratte rizzano la città industriale - ha reso possibile una nuova interpretazione di tutto il ciclo storico precedente, dove sono stati individuati, accanto agli aspetti variabili di periodo in periodo, alcuni aspetti costanti che carat terizzano, appunto, la città pre-industriale: è il concetto sviluppato nel libro di Sjoberg del 1960, The pre-indu- 45
striai city, :111 che considera insieme le città europee anti che, prima dell'industrializzazione, e le città del terzo mondo non ancora trasformate dall'industrializzazione. Gli aspetti comuni forse non sono importanti in as soluto, ma certamente · sono importanti per noi adesso, perchè sono quelli che vengono meno per effetto della rivoluzione industriale; il motivo di questo studio è dun que l'urgenza di capire la natura della trasformazione che qtù in Europa è avvenuta nel passato prossimo, al trove sta avvenendo o deve avvenire nel futuro imme diato: rimanda dunque ancora al quesito fondamentale: che cos'è la città industriale e come dobbiamo trattarla? Esistono le risposte degli specialisti che studiano la città attuale e propongono i possibili rimedi ai suoi molti inconvenienti: queste risposte semplificano la definizione dell'oggetto da modificare, ma complicano, in propor zione, le proposte operative. C'è poi la risposta storica, che complica certamente la descrizione della città indu striale (la quale ha wia storia di quasi duecent'anni, ed è passata attraverso varie fasi) ma permette di isolare le componenti eterogenee che sopravvivono insieme nella situazione odierna, e facilita per ognuna di esse Wl trat tamento chiaro e appropriato. Infatti - prendendo come modello la vicenda euro pea, ma distinguendo i suoi momenti tipici che ricom paiono, anche in ordine diverso, in tutte le altre situa zioni - si nota subito la sovrapposizione di due pro cessi: a) lo sviluppo materiale e tecnologico della città, sostanzialmente continuo per l'intreccio dei bisogni cre scenti e delle attrezzature ideate per soddisfarli. b) lo sviluppo delle forme politiche di gestione della città, che invece è discontinuo e presenta decisi cambiamenti, in corrispondenza di alcuni fatti salienti dello sviluppo politico generale. Prendendo le forme di gestione come criterio discri minante, sembra possibile distinguere questi modelli suc46 cessivi:
1. - La città liberale, che registra i cambiamenti materiali prodotti dallo sviluppo economico - la cre scita assoluta della popolazione, la ridistribuzione della ·popolazione dalle campagne alle città, la mescolanza del le industrie coi quartieri di abitazione, l'inizio delle nuo ve attrezzature (impianti igienici, ferrovie, ecc.) - senza però un'ipotesi di intervento pubblico adeguato a con trollare questi fatti; si criticano infatti in linea di prin cipio i regolamenti tradizionali, e si confida nella pos sibilità di un nuovo equilibrio spontaneo, ottenuto dalla libera combinazione delle iniziative parziali. In Europa questa situazione dura fino alla prima metà dell'800, e produce la città disintegrata analizzata da Engels nel 1844 (Manchester), da Blanqui nel 1848 (Lilla), e rac contata da Dickens nel romanzo Tempi difficili del '54 (Coketown). 2. - La città post-liberale, che comincia quando i nuovi regimi conservatori usciti vincitori dalle lotte del '48 - il bonapartismo in Francia, l'imperialismo di Bi smarck in Germania, i nuovi tories di Disraeli in Inghil terra - mettono in pratica un controllo pubblico dello sviluppo urbano complementare e combinato con la li bertà delle iniziative private. I due poteri antagonisti burocrazia e proprietà - trovano un accordo che defi nisce i limiti dei loro campi d'azione, e che supera di colpo la precedente discussione teorica fra un'ipotesi completamente liberale (Spencer) e un'ipotesi comple tamente pianificata (Owen, Fourier). L'interpretazione politica di questa svolta è ben nota: burocrazia e proprietà rappresentano due gruppi d'interessi nella classe borghese dominante (gli interessi di tutto il capitale e gli interessi del capitale immobiliare); essi hanno potuto combattersi a oltranza finchè non è comparsa la minaccia di un avversario comune, il pro letariato urbano sconfitto nel giugno del '48 a Parigi; questa minaccia rende desiderabile un accordo, cioè una limitazione reciproca che mette al sicuro gli interessi fondamentali della burocrazia (risolvere tecnicamente 47
le strozzature dello sviluppo in atto) e della proprietà (trattenere gli aumenti di valore prodotti dallo sviluppo). Questo accordo lascia sussistere una serie di con traddizioni, di cui le più importanti riguardano l'offerta delle abitazioni non corrispondente alla domanda (infatti si esige la presenza degli operai come forza-lavoro, ma non come utenti della città che è fatta solo in funzione dell'insediamento borghese), e il finanziamento degli in terventi pubblici, che non possono esser commisurati ai plusvalori prodotti e diventano stanziamenti a fondo per duto, dipendenti dal credito e dalle sue fluttuazioni. Que .'ste contraddizioni sono inevitabili perchè dipendono dal l'accordo di partenza, ma devono essere corrette parzial mente, volta per volta. 3. - La città post-liberale corretta, cioè lo stesso modello a cui si applica - dal 1890 in poi, nella favo revole congiuntura economica e politica - un razionale sistema di correttivi, che riguardano soprattutto l'of ferta di alloggi popolari costruiti o agevolati dalle am ministrazioni, e l'autofinanziamento dei lavori pubblici attraverso lo stesso meccanismo delle iniziative private (l'acquisto e la rivendita dei terreni demaniali). 4. -'- La città moderna, cioè l'alternativa completa alla città post-liberale elaborata dalla ricerca architetto nica moderna, a partire dal primo dopoguerra. La ricerca parte dagli elementi più semplici - gli alloggi singoli·- e arriva gradatamente a definire gli insiemi: il quartiere, la città, il sistema territoriale. Le realizzazioni concrete, dovendo inserirsi nella città post liberale corretta o no, sono più facili per i singoli edi fici, più difficili per i quartieri (e sempre nell'ambito nei programmi pubblici), quasi impossibili per le città e le sistemazioni territoriali. La resistenza più o meno forte del sistema vigente seleziona così i risultati della ricerca: accetta quelli com patibili con l'accordo degli interessi fondamentali, scarta quelli incompatibili. Nasce così l'ultimo tipo di città, , ·-.. 48 che possiamo chiamare:
5. - .La città post-liberale ricorretta, modernizzata per quanto è possibile ma legata alla permanenza della combinazione politica fra i due gruppi d'interessi, gene rali e particolari. Quel che permane è la combinazione strutturale, non i ceti o le classi che compaiono nell'ac cordo; infatti questa gestione urbana è rimasta pratica mente immutata nei paesi dell'est europeo, cinquant'anni dopo la rivoluzione d'ottobre. La sostanza politica di questa gestione sembra l'uso della città come strumento di controllo e di costrizione, in favore dei gruppi do minanti. Consideriamo, in questa sequenza, come varia il rapporto fra città e società: Il disordine della città liberale è il riflesso imme diato, sebbene solo negativo di una ipotesi politica valevole in generale, e infatti trova riscontro in molti altri campi: nella legislazione sul lavoro, nella scuola, ecc.; perciò Engels e Blanqui presentano il paesaggio urbano come parte integrante della condizione della clas� se operaia alla metà dell'800. Il poco ordine vigente de riva invece dall'elemento anacronistico, cioè dalla per manenza dei metodi tradizionali di controllo già cancel lati quasi completamente negli altri campi, e nel nostro solo indeboliti e screditati. La gestione urbana post-liberale è una delle mani festazioni tipiche del nuovo conservatorismo europeo, dal '48 in poi, e fa parte di un programma politico più vasto. Basta pensare al parallelismo fra il Crédit mobilier e il Crédit foncier nella Francia bonapartista; l'integrazione fra economia e urbanistica, fra la « finanza sansimoniana» e i « conti fantastici di Haussmann » è stata ana lizzata minuziosamente da Louis Girard nel saggio del 1952 21• Perciò la città sistemata da Haussmann ci sembra il quadro adeguato e congeniale della società descritta .dai Goncourt e da Maxime du Camp, dipinta da Manet e da Monet. Quel che distingue la gestione urbana dalla gestione degli altri settori è il suo successo troppo per fetto: gli avversari di Haussmann non sanno contrap- 49
porvi altro che un rimpianto letterario per un passato non ricuperabile (Veuillot, Hugo, Baudelaire) oppure un argomento teorico che esclude l'efficacia di qualsiasi ri forma settoriale e che si dimostrerà efficace solo in un lontano futuro (Marx e Engels). Dunque la pianificazione urbana diventa uno strumento esclusivo della destra avan zata , e la città post-liberale (con tutti i suoi difetti tecnici) si rivela una macchina così efficiente di con trollo sociale che le classi dominanti - quelle al potere nella seconda metà dell'800 e quelle che prenderanno il loro posto più tardi - vorranno conservarla il più a lungo possibile: vi applicheranno alcuni correttivi se il margine di controllo politico sarà considerato sufficien temente ampio, ma accetteranno anche le più vistose contraddizioni tecniche e economiche (aggravate man ma no dallo sviluppo tecnologico e dalla crescita demogra fica) per non mettere in pericolo i meccanismi fonda mentali che difendono i rapporti di potere fra i gruppi e le classi. Così la città post-liberale diventa poco a poco un anacronismo, non accidentale ma necessario nella strut tura politica attuale: talvolta i correttivi applicati tempe stivamente nei momenti favorevoli - fra la fine dell'800 e il primo '900 nei paesi dell'Europa continentale, nel primo dopoguerra nella Germania di Weimar, nel secon do dopoguerra in Inghilterra e in Scandinavia - hanno attenuato o anche quasi cancellato i suoi effetti costrit tivi. Ma negli altri casi - qui da noi in Italia - la questione instaurata cent'anni fa si è conservata in una forma vicinissima a quella originaria, e ha acqui stato una rigidezza eccezionale, quasi impossibile da mo dificare (perciò la riforma urbanistica non sembra fatti bile nemmeno in piccola parte). Bisogna poi considerare che nel terzo mondo - in Sud America, nel Medio Oriente :....._ si svolge ora una urbanizzazione accelerata che riproduce ed· esaspera tutti i caratteri tipici del se condo '800 europeo: · ne dà un'idea l'ottimo saggio di 50 Paul Vieille su Teheran, del 1968. :12
Dunque il rapporto fra città o società è oggi quasi rovesciato rispetto al Medioevo. La città in cui viviamo non è la proiezione adeguata della società nel suo in sieme, ma un meccanismo più rigido, che serve a ritar dare e a smorzare le trasformazioni in tutti gli altri campi, per far durare più a lungo la gerarchia degli in teressi consolidati. Gli inconvenienti tecnici che tutti co nosciamo - la congestione del traffico, la densità dei fabbricati, la scarsità dei servizi, la rovina dell'ambiente naturale - non sono conseguenze inevitabili della vita moderna, ma il prezzo pagato per conservare una gerar chia di poteri già ora contrastante con le possibilità of ferte dallo sviluppo economico e tecnologico. Invece la ville radieuse rimasta nelle pagine dei libri di Le Corbu sier e realizzata solo per campioni isolati non è un'Uto pia, una città del futuro; è la città che già sarebbe attua bile coi mezzi tecnici e economici attuali, ma non con gli strumenti giuridici e amministrativi attuali. Se non si fa questa distinzione, che deriva dall'ana lisi storica, ogni discorso sulla città contemporanea di venta ambiguo e inefficace. Il metodo di Cuvier è oggi inapplicabile, perchè la città contemporanea non è la città moderna, ma una città ideata più di cent'anni fa e imposta come vincolo politico alla società moderna; in tanto la città moderna - cioè la città che la ricerca mo derna ha potuto finora elaborare - resta un'alternativa teorica o una serie discontinua di realizzazioni parziali. Gli studiosi del Sigmund Freud Institut di Franco forte - Alexander Mitscherlich e i suoi allievi, Heide Berndt, Alfred Lorenzer, Klaus Horn - hanno pubbli cato recentemente le più aggiornate analisi psicologiche e sociologiche sulla città contemporanea; 23 ma accettan do il postulato della corrispondenza immediata fra città e società, ritengono che la città contemporanea sia senza altro la « città moderna », il prodotto adeguato della ri cerca. architettonica moderna; perciò criticano giusta mente la « città inabitabile, istigatrice di discordia » in cui viviamo, ma perdono tempo a cercare le origini delle 51
sue disfunzioni nell'ideologia dell'architettura moderna: « l'architettura funzionalista è veramente funzionale? » è il titolo di un saggio della Berndt, che immobilizza una fase della ricerca architettonica e trascura completamen te il problema storico del passaggio dalla ricerca alla realtà costruita. Appunto per la situazione anomala della città nel mondo contemporaneo, la ricerca storica ha da svolgere un compito essenziale anche di natura operativa: il chia rimento del processo che ha condotto alla situazione at tuale è infatti una premessa indispensabile per attaccare questa situazione in modo realistico. La recherche pa tiente degli architetti moderni ha dimostrato in cinquanta anni che la città in cui viviamo non è inevitabile, e ha definito le sue possibili alternative; ma rischia di immo bilizzarsi in questa contrapposizione, di veder invecchia te queste alternative senza aver avuto tempo di speri mentarle e di correggerle, se non si fa una ricerca altret tanto accurata sui meccanismi che impediscono la rea lizzazione delle nuove proposte: questi meccanismi sono scaglionati in cento anni di storia recente, e possono essere isolati solo dall'indagine storica. Una simile indagine è specialmente importante in Italia, dove la gestione urbana post-liberale comincia su bito dopo l'unificazione (la legge del 1865 sull'esproprio per pubblica utilità, che fissa una volta per tutte il rap porto fra gli interessi in gioco, appartiene al gruppo delle leggi fondamentali del nuovo Stato) e rimane stabile fino a oggi, come s'è detto, con scarse correzioni suc cessive. Questo giudizio deve però esser precisato e artico lato studiando le storie particolari di molte città; in fatti resta inoperante se non si conoscono le circostanze che rafforzano o indeboliscono il meccanismo comune, e che producono le disuguaglianze o le anomalie dello svi luppo locale. Non basta registrare un bilancio generale, anche statisticamente corretto, per lamentarsi su di es52 so; occorre scoprire i punti forti ·e i punti deboli, per
sperare di modificarlo. E' un lavoro ancora quasi tutto da fare; infatti le uniche monografie utilizzabili - im postate in termini storici precisi, non in tempi mitici di « forma urbana » eternamente presente - sono fino ra: il libro di Lando Bortolotti su Livorno 24 (1970), il libro di Silvano Fei su Firenze 25 (1971) e il libro di Italo Insolera su Roma moderna 26 (1962, aggiornato nel 1971) che tuttavia è solo un'introduzione all'estesissima ma teria dei cent'anni di Roma capitale. L'urgenza di un simile compito ci mette anche di fronte al passato remoto in una posizione scientifica mente più fruttuosa, perchè obbliga a smontare le abitu dini e le norme istituzionali date per scontate, e impe disce di proiettarle nel passato. La città può essere stu diata come un oggetto normale dell'indagine storica, non privilegiato e non legato in modo speciale al cosiddetto spirito di un'epoca; come una costruzione storica varia bile nel tempo, talvolta all'unisono con gli altri fatti, tal volta in anticipo, talvolta in ritardo, secondo modalità sempre variabili. La storia della città può cessare di essere un campo specializzato, e diventare una sezione della storia comu ne, che studia e confronta appunto le mutevoli specializ zazioni costruite in diversi periodi, tutte contingenti e modificabili. 1 F. L. GANSHOF, Étude sur le développement des villes entre Loire et Rhin au Moyen Age, Paris et Bruxelles, 1943. 2 J. M. LACARRA, El desarrollo urbano de las ciudades de Navarra y Aragon en la Edad Media, Zaragoza, 1950. 3 E. GARIN, Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Bari 1965,
p. VIII.
4 H. BARON, The crisis of the early italia11 Renaissance, Princeton 1955; seconda edizione, Princeton 1966. 5 Ivi, prefazione; seconda ed., pp. VII-VIII. 6 M. B. BECKER, Florence in transition, II, studies in the rise o/ the territorial state, Baltimore, 1968. 1 G. HOLMES, The fiorentine enlightenment, 1400-1450, New York, 1969. s G. A. BRUCKER, Renaissance Flore11ce, New York, 1969. 9
D. HAY,
bridge, 1961.
The italian Renaissance
in its
historical background,
Cam-
53
10 Die Kultur der Renaissance, in Propylaeen Weltgeschichte, VI, pp. 429-534; trad. it. col titolo La cultura del Rinascimento, Bari, 1967. 11 R. S. LOPEZ, The three ages of the italia11 Re11aissa11ce, Charlot tesville, 1970. 12 La voce « Alberti > è stata redatta da B. ZEVI, E. BATTISTI, E. GhRIN, L. Mhl.Lé, la voce «Brunelleschi. da P. ShNPAOLESI, P. PORTOGHESI, E. GAIHN. 13 G. C. A.RGAN, Tlte Renaissance city, New York 1970. 14 H. SMLMAN, Medieval cities, New York 1968. 1s J. HAIU>OY, Urban planning in pre-colu,nbia11 America, New York 1968. 16 P. l..AMPL, Cities and planning in the ancient near East, New York 1968. 11 J. A. FRANCA, Une ville des lumières, la Lisbonne de Pombal, Paris 1965. 1s L'ttrbanisme de Paris et l'Europe, J6()().J680, travaux et documents inédits présentés par Pierre Francastel, Paris 1969. 19 C. DE SETA, Cartografia del/a città di Napoli, lineamenti dell'evo lllzione urbana, Napoli 1969. 20 G. SJOBERG, Tlte preindustrial city, Glencoe 1960. 21
L.
GIRARD,
La politique des travaux publics du Second Empire,
Paris 1952. 22 P. VIEILLE, Mnrché des terrains et société urbaine, Paris 1968. 23 A. MITSCHERLTCH, Die Unwirtlichkeit unserer Stiidte, trad. it. col· titolo Il feticcio urbano, Torino 1968; H. BERNDT, A. LORENZER, K. HORN, Arcltitektur als ldeologie, trad. it. col titolo Ideologia dell'architettura, Bari 1969. 24 L. BORTOLOTTI, Livorno dal 1748 al 1958, Firenze 1970. 25 S. FEI, Nascita e sviluppo di Firenze città borghese, Firenze 1971. 26 I. INSOLER.\, Roma moderna, Torino 1962; seconda ed. 1971.
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Lo storicismo e i confini della semiologia* ALAN COLQUHOUN
Qualsiasi discussione riguardante l'architettura con siderata come un sistema di segni deve fare i conti col fatto che la semiologia deriva, storicamente, dallo studio del linguaggio. La sua validità, di conseguenza, dipende dalla misura in cui la componente di significazione, del l'architettura e degli altri sistemi non-linguistici, è ridu cibile a qualcosa che questi hanno in comune con il lin guaggio. Uno dei fattori di confusione, a proposito della se miologia, sta nel fatto che, per la sua derivazione lingui stica, essa ha manifestato la tendenza ad oscillare fra lo studio del linguaggio e lo studio dell'estetica. Le ricerche sviluppate a Mosca e a Praga nel secondo decennio di questo secolo riguardavano tanto la critica della lettera tura quanto la linguistica, e di conseguenza tendevano ad un fine normativo. Quelle di Saussure, d'altro canto, con cernevano la lingua, e il loro scopo era di natura espli cativa. Ciò che tuttavia unisce le une e le altre, è quel che potremmo chiamare il metodo empirico. La Scuola di Praga studiava dei testi, de Saussure studiava la lingua parlata, ed entrambi miravano ad eliminare quei precon cetti che nell'Ottocento avevano dominato la letteratura e gli studi di linguistica. Da questo punto di vista, la semio logia può essere considerata come un'area di ricerca con tigua a quella del movimento moderno, o addirittura co me parte di esso; di conseguenza risulta strettamente * Relazione al Simposio su « Arquitectura, historia y teoria de los signos,. (Castelldefels, marzo 1972), organizzato dal Colegio Oficial de Arquitectos de Catalufia y Baleares.
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interrelata a quello storicismo che, almeno secondo un certo tipo di interpretazione, esso cerca di negare. Sarebbe interessante indagare sui rapporti fra la cri tica letteraria Russa e Cèca - e gli analoghi studi ispi rati al formalismo e condotti nello stesso periodo per le arti plastiche - e l'architettura in Russia ed in Germania. Ma in questo scritto mi occuperò soprattutto dei rapporti fra l'architettura e la semiologia post-saussuriana - ossia la semiologia basata sulla linguistica strutturale. Cer cherò di mostrare i limiti dell'analogia linguistica - par ticolarmente in relazione ai concetti saussuriani di sin cronia e di diacronia - allorché essa viene applicata a sistemi estetici come l'architettura. Ciò potrà eliminare alcuni equivoci, e permettere di guardare alla semiologia come ad uno strumento riformativo e critico, piuttosto che come ad una scienza esplicativa. In una certa mi sura, Roland Barthes ha cercato · di compiere una tale operazione, ma sfortunatamente i suoi Elementi di semio logia hanno oscurato, anziché chiarito, il rapporto fra estetica e linguistica, e la semiologia corre adesso il ri schio di diventare uno studio accademico senza correla zioni con la pratica applicativa. Viceversa, si vorrebbe che lo studio dell'architettura come sistema segnico po tesse fornire uno strumento critico per superare il vuoto creatosi fra le banalità della sociologia comportamenti stica, e il formalismo aprioristico che sembra costituirne la sola alternativa. Lo studio della semiologia ci ha insegnato che non possiamo guardare al mondo come ad una serie di fatti dati, ciascuno dotato di un proprio simbolo rappresen tativo. Isolando l'aspetto sincronico della lingua, de Saus sure è riuscito a dimostrare che solo operando all'interno della struttura di una lingua data possiamo accedere al mondo reale. Lo studio diacronico o storico della lingua, quali che ne possano essere le utilizzazioni, non riesce a rivelarci come di fatto le persone parlino la propria lingua, e di conseguenza come esse si rappresentino il 56 mondo e comunichino con altre persone, a proposito del
mondo stesso. Questo punto di vista, che ha i pregi tipici del metodo empirico, si basa sul postulato che possiamo scoprire la verità solo assumendo, come oggetto del nostro studio, delle entità osservabili. Saussure non di scute il processo ontogenetico o filogenetico attraverso il quale le persone arrivano a parlare; per quanto impor tanti, questi problemi si collocano al di fuori della sfera della lingua. Egli si limita a focalizzare i fatti del di scorso, e a dedurne una teoria della lingua. In quel parti colare momento dell'arco temporale in cui studia una lingua, egli trova una struttura totale. È perché questa struttura già esiste, che il parlante è in grado di formare dei concetti e di condividere questi concetti con una certa società. Benché Saussure debba postulare che il parlante non sia consapevole della logica della struttura che egli stesso usa, tuttavia ciò non comporta che una tale logica esista a priori come una forma ideale. Egli scarta questa eventualità dicendo che la struttura con siste semplicemente di opposizioni o analogie fra elementi di un codice. Dall'analisi di un sistema infinitamente esteso, è possibile dedurre poche regole fondamentali di trasformazione. Dal nostro punto di vista, tuttavia, ciò che risulta più interessante del pensiero di Saussure è il fatto che egli postula una teoria generale della semiotica, che in cluderebbe la lingua vera e propria, e della quale, in certo senso, la lingua stessa costituirebbe un paradigma. Ma non sembra che Saussure sia stato molto chiaro circa la relazione intercorrente, nei sistemi estetici, fra il segno arbitrario e quello naturale. Egli operò una distinzione fondamentale fra l'indice da un lato - che ha una rela zione causale con ciò che indica - e i simboli e i segni dall'altro. I simboli sarebbero motivati - in altri ter mini, vi sarebbe un legame metaforico fra i simboli e ciò che essi significano - mentre i segni sarebbero arbi trari e convenzionali. Sembra che Saussure avesse ragione nell'affermare che la natura arbitraria di ogni sistema segnico è indispensabile perché esso sia suscettibile di 57
una utilizzazione sociale, giacché i sistemi di segni moti vati (del tipo dei simboli discussi da Jung, e degli oggetti che sogniamo) possono solo essere privati. Ma se può essere vero che i segni usati di fatto nei sistemi estetici sono scelti arbitrariamente fra tutti i possibili segni na turali, ciò non significa, peraltro, che i segni stessi siano arbitrari. E poiché i sistemi estetici sono socialmente fruibili, e possono essere distinti dal linguaggio come· fenomeni sociali (e non solo come costruzioni intellet tuali), si deve tenere conto della loro funzione sociale in quanto simboli. · :È possibile dimostrare che i sistemi estetici posseg gono proprietà che non appartengono al linguaggio così come questo è definito da Saussure; ne darò alcuni esempi: 1) Nel linguaggio, il cambiamento si verifica solo in una parte del sistema, volta per volta. Nei sistemi este tici, il cambiamento si verifica spesso a livello dell'intero sistema, come accade ad esempio nel passaggio dall'ar chitettura gotica a quella classica, o dall'eclettismo al movimento moderno. 2) Nel linguaggio, il cambiamento è sempre non intenzionale. Nei sistemi estetici, il cambiamento è sem pre intenzionale. 3) Nel linguaggio, l'esistenza di una precisa gradua zione differenziale nella percezione dell'oggetto fonico è relativamente priva di importanza, giacché a questa gra duazione non corrisponde alcuna differenziazione a livello dei significati. Nei sistemi estetici, invece, le graduazioni differenziali sono importanti, come ad esempio la diffe renza fra gli intervalli di terza e di quinta nella musica. Nella musica, la capacità di distinguere fra diversi gradi di differenza è usata per costruire una struttura che sia interessante per se stessa. Nel linguaggio, l'abilità nel distinguere fra gradi diversi di cambiamento fonetico non è usata in modo analogo, giacché nel linguaggio l'oggetto 58 fonico è « assorbito » dal suo significato. Ciò che inte-
ressa, nel linguaggio, sono i significati che sono correlati agli oggetti fonici, e non questi oggetti in sé. 4) De Saussure esamina lo scambio economico nella sua analogia con il linguaggio. Egli scrive: « Non è il metallo di una moneta a stabilirne il valore ». Ma in un sistema estetico che comporti l'uso del metallo, è precisa mente la qualità intrinseca del metallo ad essere impor tante (benché, naturalmente, le proprietà semantiche attribuite a tale qualità possano differire da una cultura all'altra). Di conseguenza, intendo per sistemi estetici quei sistemi nei quali la forma sensibile ha interesse per se stessa. Nel linguaggio, la indissolubile correlazione tra significante e significato è funzione del valore arbitrario del significante. Nei sistemi estetici, viceversa, il signifi cato che può essere correlato al segno è dovuto al fatto che il segno è in se stesso motivato e che il significante è investito di una significazione potenziale. Questa moti vazione può assumere la forma di proprietà fisiognomiche, o di analogie tra forma e significato (Saussure cita l'esem pio del simbolo della Giustizia che regge la bilancia). In questo senso, i sistemi estetici includono tutti quei sistemi che tradizionalmente sono raggruppati sotto le denominazioni di belle arti e di arti applicate, nonostante che il loro unico - o anche il loro principale - scopo possa non essere quello della significazione. Queste fondamentali differenze fra arte e linguaggio comportano il fatto che nei sistemi estetici lo studio della dimensione diacronica acquista un'importanza par-. ticolare. Poiché i cambiamenti che si verificano nei sistemi estetici sono rivoluzionari e intenzionali, ne consegue che questi sono direttamente correlati al livello ideologico, e l'ideologia può essere compresa solo nell'ambito di un dato contesto storico. È vero che i cambiamenti che si verificano nel lin guaggio possono a loro volta obbedire a certe regole di trasformazione, e che, di conseguenza, è possibile stu diare l'interrelazione dialettica fra la dimensione sincro- 59
nica e quella diacronica del linguaggio; questa idea è suggerita da Merleau-Ponty nel suo saggio Sulla fenome nologia del linguaggio (in Segni), allorché cerca di co struire un legame fra il linguaggio « in quanto mio» e linguaggio « in quanto oggetto di pensiero». Ciò che egli dice in proposito è di importanza cruciale per l'intera nozione di struttura applicata alla semiologia ed alle scienze umane. Una struttura è per definizione un sistema chiuso, che è studiato da un punto di vista puramente formale. Per esempio, quando studiamo la lingua sincro nicamente, non ci occupiamo dell'elemento semantico indipendentemente dal significante. Il « valore» rappre sentato dal significante è dato per scontato; esso costi tuisce una parte inscindibile del linguaggio che appren diamo, e che consiste di materiali fonici e dei concetti corrispondenti, come fatti dati. Viceversa, in uno qualsiasi dei sistemi segnici non linguistici generalmente usati dalla società, gli assiomi che formano il contenuto della struttura sottoposta ad analisi sono delle guide per il comportamento, e hanno un rapporto immediato con una serie di fatti della nostra vita sociale. Abbiamo a che fare con valori che sono dei fini in sé, e non dei mezzi per altri fini. Di conseguenza, è impossibile rinunciare a cercare di proiettare all'ester no questo sistema, e siamo costretti a prendere posi zione nei confronti dei valori che esso postula. Se ciò è vero in un senso ontologico nel caso del linguaggio, come ha suggerito Merleau-Ponty, lo è ancora di più nel caso dello studio semiologico dell'architettura, dato che un tale studio non può essere disgiunto dall'eserci zio della critica e dalla formulazione di giudizi di valore. Nello stesso linguaggio le modificazioni storiche sono senza dubbio correlate ad un'evoluzione storica le cui leggi sottendono una confusa mescolanza di fatti acciden tali. Ma esse non risultano evidenti all'utente del linguag gio, il quale pertanto non è costretto a creare un meta linguaggio per spiegare il linguaggio che adopera. Di qui 60 la necessità di studiare il linguaggio « in quanto nostro »
- il linguaggio come quel sistema che esiste in ogni mo mento; e di qui le distorsioni che derivano dallo studiare il linguaggio come un fatto puramente storico, indipen dentemente dalle sue diacritiche modalità di funziona mento, come è avvenuto nel secolo scorso. Al contrario, nei linguaggi estetici, un meta-linguag gio è parte del processo creativo, o come puntello mito logico della prassi, o come apparato critico attraverso il quale la prassi può essere giudicata. Ciò significa che l'artista opera sempre secondo procedimenti dei quali egli è consapevole come di un corpus di regole. Queste regole sono normative nel senso che esse riflettono atti tudini, valori e ideologia di una particolare società. Nella civiltà occidentale l'architettura, non diversamente dalle altre arti, ha subìto un processo di modificazione piut tosto rapido, e per comprendere l'architettura in termini di sincronia, che si tratti del presente o di qualsiasi altro periodo, è necessario studiarla prendendo in considera zione un periodo sufficientemente lungo per osservare le modificazioni che l'hanno interessata. Il periodo dal XVIII secolo all'attuale è di particolare importanza nel campo degli studi diacronici, precisamente perché è in questo periodo che il cambiamento storico in sé ha cominciato ad essere visto come il campo nel quale i valori dove vano essere collocati. Così, mentre per un verso l'arte con tinuava ad essere sottoposta a regole e norme, per un al tro verso divenne impossibile guardare ad esse come a fatti immutabili. Dall'inizio alla fine di questo periodo, vi è una tensione crescente fra due opposti punti di vista. Entrambe le posizioni cercano di superare l'architettura come fatto banalmente convenzionale; ma nel primo caso vi è il tentativo di trovare una forma espressiva a priori soggiacente alle convenzioni, e nel secondo vi è il ri fiuto della stessa nozione di valori aprioristici e l'impli cito rifiuto di un'estetica che sia qualcosa di più che un supporto dell'ideologia. La prima posizione fu tipica del Settecento, allorché per la prima volta la distinzione fra convenzione e legge 61
naturale venne posta in termini sistematici. In linguistica, i grammatici operarono una distinzione fra il discorso e le leggi del linguaggio che erano accessibili ad una intro spezione logica. Le numerose incongruenze ed irregola rità che apparivano nel discorso erano ritenute il risul tato di fatti storici di natura accidentale che avevano offu. scato il linguaggio originario. Nella sua Grammaire géné rnle del 1767, N. Beauzée fornisce la seguente distinzione fra grammatica generale e grammatica particolare: « La grammatica generale è una scienza perché il suo unico oggetto è la speculazione razionale sui generali ed immu tabili principi del linguaggio ... la grammatica particolare è un'arte perché considera la pratica applicazione delle istituzioni arbitrarie e abituali di una lingua specifica, ai principi generali del linguaggio ». (La citazione è tratta dalla Linguistica cartesiana di Noam Chomsky). La di stinzione fatta tra lingua-modello e lingue particolari significa che le differenze fra le lingue, in epoche o in luoghi differenti, non hanno importanza fondamentale. La lingua non era, come sarebbe stato per Saussure, arbi traria per sua stessa natura; ma piuttosto arbitraria nella misura in cui si era discostata da supposte norme ideali. In maniera analoga, nello studio della storia il Set tecento distinse da un lato gli 'accidenti ' del processo storico e dall'altro le leggi che li sottendono. « L'uomo, ha scritto Hume negli Essays, è a tal punto lo stesso in ogni epoca e in ogni luogo, che la storia non ci dice nulla di nuovo o di strano nei suoi accadimenti particolari. Essa ci serve soprattutto a scoprire i principi costanti ed universali dell'umana natura ». Persino Rousseau, nonostante il suo impegno di com pleta trasformazione sociale, non è consapevole di alcun ché che possa chiamarsi processualità storica. Nella fa. mosa frase iniziale del Contrat Socia[, - che comincia con « L'uomo è nato libero, ed è dovunque in catene », e prosegue: « Come si è attuata questa trasformazione? Non lo so. Come può essere stata legittimata? A questo, 62 credo, sono in grado di rispondere » (il corsivo è mio), -
Rousseau non si mostra interessato alla trasformazione storica che ha portato la società al suo stato attuale. Ciò che gli interessa, è di applicare ad una società futura le verità che sono state perdute nelle ramificazioni della sto ria - verità che egli ritiene probabile siano state com prese in una qualche remota età dell'oro. In architettura, il sistema Barocco fu radicalmente posto in discussione. Quelle che erano sembrate delle leggi apparvero come mere convenzioni. Vi fu un tenta tivo di ridurre l'architettura ai suoi principi funzionali e formali, e varie formule vennero elaborate, per riconci liare la convenzionalità con i principi razionali. La tra dizione Greco-Romana fu sottoposta ad un radicale adat tamento e smembramento, benché la sua grammatica fon damentale venisse conservata per opere architettoniche impegnative. Tutti questi esempi indicano che il Settecento intese il progresso come un « rappel à l'ordre ». Bastava guar dare al mondo fenomenico e cercare di conciliarlo con la propria ragione, per poter giungere a giudizi di valore, etici ed estetici, validi in qualsiasi epoca. Ciò condusse all'idea che non vi fosse alcuna differenza fra un impar ziale esercizio della ragione, e l'instaurazione di un'ideologia. Nel XIX secolo viene a modificarsi l'intero atteggia mento nei confronti della storia e dell'ideologia; da Hegel in poi la storia non è più vista come un processo ca suale, ma come il campo stesso nel quale la ragione opera. Due conseguenze ne derivano: anzitutto, il relativismo entra nella storia. I diversi tipi di linguaggio estetico, presenti in tempi e luoghi diversi, non sono più visti come altrettanti aspetti parziali di una norma universale (ba sata naturalmente sui valori e le istituzioni di coloro che stabiliscono la norma!), ma come il prodotto delle forze storiche che li determinano. In linguistica, la filologia soppianta la grammatica generale. La storia del linguaggio viene studiata per trovare in essa un principio evolu tivo. Si scopre che una lingua sino allora esotica, il san- 63
scrito, è legata alle lingue romanze e teutoniche, attra verso il postulato dell'esistenza di una lingua-madre. In campo architettonico, l'origine del modello ideale plato nico non è più cercata nella Bibbia o nelle antiche cul ture mediterranee. Lo studio dell'età della fede giustifica l'architettura gotica come il riflesso delle idee e delle norme di questo periodo. Questo relativismo storico è accompagnato dalla pro gressiva consapevolezza del fatto che il XIX secolo non possiede un'architettura adatta al proprio tempo. Boullée aveva discusso circa il 'carattere ' che i diversi edifici avrebbero dovuto avere, ma la scelta deliberata di forme significanti idee particolari non era stata accompagnata da una sensazione di estraniamento rispetto allo stesso linguaggio delle forme classiche. Le diverse forme appar tenevano al lessico del linguaggio, ed erano parte di una struttura sincronica data, analoga alla struttura sincro nica del linguaggio. Queste forme diverse erano tutte racchiuse nell'am bito di un'unica ideologia. Nell'Ottocento, d'altronde, sce gliere una forma significava anche scegliere fra ideologie diverse. Se veniva preferito lo stile Gotico, ciò signifi cava che anche una certa ideologia era preferita; la storia veniva usata come un modello, non per svelare una verità universale, ma per misurare l'ideologia di una cultura storicamente determinata - in questo caso, quella del l'età della fede -, nei confronti della cultura moderna. Parallelamente al revival degli stili storici, cominciò a svilupparsi l'idea che, se il Gotico era lo stile caratteri stico dell'età della fede, e se il neo-classicismo era lo stile caratteristico dell'Illuminismo, allora l'epoca contempo ranea avrebbe dovuto avere un proprio stile, radicato in quel progresso tecnico che ne era il tratto più tipico. Questa idea era un corollario del fatto che il relativismo era solo un aspetto della epistemologia post-hegeliana; l'altro aspetto era rappresentato dall'idea di storia come processo. 64 La storia procedeva dialetticamente auto-trascenden-
dosi, e ciascun periodo che si succedeva' assorbiva' i pre cedenti, e costituiva una nuova sintesi. Che questo pro cesso - come negli ultimi lavori di Hegel - fosse visto come un fatto teleologico, ossia come evoluzione verso la futura incarnazione di quell'Ideale che esiste al di fuori del tempo; o che, viceversa, come accade in Marx, esso fosse interpretato nei termini di una dialettica auto-pro ducentesi dalla lotta di classe secondo il modello darwi niano, non è cosa questa che ci riguardi in questo mo mento. Ciò che importa è l'idea di storia come processo intellegibile, con un futuro che può essere previsto. Una volta che questa idea si fu affermata, divenne impossibile credere che una certa persona in un certo periodo po tesse, semplicemente per introspezione, scoprire una for ma della società, un linguaggio e un credo estetico che po tessero essere validi per ogni epoca. Nessuno poteva, spo gliarsi del proprio condizionamento sociale,· e parlare sub specie aeternitatis. Non esistevano entità, del tipo degli assoluti platonici, alle quali poter fare appello. Piuttosto che tentare di scoprire modelli platonici, com pito dell'uomo era lo studio empirico della storia.- Come disse Engels, parafrasando Hegel, « il mondo non doveva più essere pensato come un complesso di cose già esi stenti, bensì come un complesso di processi nei quali cose apparentemente stabili sono soggette ad un ininter rotto avvicendarsi, fra venire in essere e trascorrer via ». (Ludwig Feuerbach und der Ausgang der klassischen deut schen Philosophie). Definirò come « historicism » tutto il complesso in ·sieme di concetti filologici, sociologici ed estetici testé de scritti. Il termine « historicism » è soggetto a tante inter pretazioni, che è necessario precisare chiaramente il senso nel quale lo uso qui. Nel campo della storiografia architettonica, ad esempio, Nikolaus Pevsner usa il ter mine « historicism » come· sinonimo di eclettismo. A mio avviso tale uso è fuorviante, perché separa due nozioni che sono aspetti diversi di uno stesso tipo di pensiero: l'eclettismo, e il concetto di Zeitgeist. L'eclettismo è il ri- •65
sultato del relativismo storico. Non appena ci si convinse che i· codici estetici erano il prodotto di particolari mo menti storici, essi si mostrarono nella loro effettiva di sponibilità. Non è necessario imitarli, e di fatto- non lo facciamo dal momento in cui crediamo che la loro neces sità sia legata alla loro stessa epoca. Ma essi possono es sere usati, poiché sono stati studiati in se stessi e per se stessi, come altrettanti linguaggi equivalenti. Nel periodo classico si studiava il Greco ed il Latino, per la loro pros simità a quella lingua-modello che si cercava di ricosti tuire. Nell'Ottocento si studiava il sanscrito perché esso non era che un'altra versione di un più generale gruppo di lingue, nessuna delle quali aveva la priorità sulle altre. Una cultura che non era più istintivamente limitata ad un unico tipo di linguaggio architettonico, ma che ancora man.cava di un metodo per svilupparne uno proprio, era costretta ad usare la proprio neonata erudizione storica -per cercare dei modelli nell'ambito della tradizione sto rica. La creazione è impossibile nel vuoto intellettuale. Finché il rifiuto di tutti· i modelli esistenti non ebbe rag giunto una certa intensità - finché questi modelli non furono svuotati di ogni significato - il ripiegare su mo delli esistenti costituì una scelta in accordo con la tradi zione artistica. In un certo senso, gli stili del passato che l'Ottocento impiegava, erano divenuti i suoi stili; la dia cronia della conoscenza era diventata la sincronia del « mio linguaggio». Dopo tutto, lo stesso processo si era verificato, anche se per ragioni diverse, nel Cinquecento, quando l'architettura si era rivolta ai modelli classici e li aveva fatti propri, e quando, anche nel linguaggio, parole latine erano state introdotte nel vocabolario colto. L'eclettismo ottocentesco non fu un evento unico nella cultura europea. Eccezionale fu invece l'inizio di quella perdita di credibilità del passato, che lo stesso studio del passato aveva determinato. Questo processo fu rafforzato dagli altri aspetti dello storicismo che ho già menzionato: la teoria dello sviluppo dialettico, e della 66 storia come flusso irreversibile. ,
Due fattori sembrano avere contribuito, verso la fine dell'Ottocento, al rifiuto dell'eclettismo. Il primo fu il ri fiuto, da parte dell'élite artistica, della cultura borghese; questo rifiuto non fu accompagnato da alcuna esplicita critica sociale o politica. Il secondo fu il materialismo dia lettico marxista, e la diffusione delle idee del socialismo. Il movimento moderno, in tutti i campi artistici, può es sere compreso solo in rapporto a questi due fattori so ciali. L'architettura aveva con questi ultimi una speciale relazione. Il fatto che l'architettura fosse una delle arti 'utili', fece sì che essa, nell'ambito della teoria marxista, si librasse in una posizione precaria, fra struttura e so vrastruttura. L'operazionalismo che era alla base del pen siero marxista poteva essere trasposto letteralmente in campo architettonico, e la funzione poteva diventare il fondamento teorico di una nuova prassi architettonica. Cosa poteva essere più ovvio, in effetti, che analizzare gli aspetti della statica, della struttura, dei nuovi materiali, dei nuovi programmi sociali, e trarre da essi una nuova architettura? Quello che rimane fuori da questa equazione, è il problema se un'architettura così costituita funziona an cora come un segno. E se sì, di quale sorta di segno si tratta? Diventa un segno semplicemente grazie al suo es sere un fatto - e un indice di certe funzioni materiali? O si tratta di un più complesso tipo di segno, che ingloba idee circa queste funzioni e circa il mondo mentale della società che lo utilizza? Ma nel porre questi interrogativi, sto anticipando dei problemi che solleverò alla fine di questo scritto. Un po' prima che in campo architettonico si affer masse la teoria socialista-funzionalista, in tutte le arti e in campo estetico-teorico si era andato sviluppando un movimento, che era basato non tanto su di una critica sistematica delle strutture sociali, quanto sul rifiuto del l'arte borghese. Le conseguenze in campo architettonico possono essere mostrate in un esempio particolare. Nei 67
progetti degli studenti che lavorano a Vienna, sotto la guida di Otto Wagner, nel primo decennio del Novecento, sono presenti, l'uno accanto all'altro, tutti quei temi che ci sono familiari nel simbolismo, nell'espressionismo e nell'Art Nouveau (vedi ad esempio lo studio di O. A. Graf su Die vergessene Wagnerschule ). Ciò che questi progetti hanno in comune, è la disintegrazione e la frammenta zione dell'eclettismo ottocentesco, e il tentativo di creare un nuovo stile. È pur vero che molti di questi progetti si ricollegano ad un qualche tipo di modello esistente, ad esempio dell'architettura folk alpina o mediterranea (e peraltro questi modelli si collocano al di fuori degli schemi convenzionali dell'architettura borghese). Ma molti di essi, e in particolare quelli di Kerndle, e di Hoff mann, non utilizzano alcun modello architettonico preesi stente, e invece partono da certi schemi decorativi Art Nouveau e li dilatano alla scala dell'intero edificio. Que sti schemi sono ortogonali e cristallini, ed evitano l'im piego di motivi naturalistici; non possiamo fare a meno di vederli come anticipatori delle forme semplificate e stereometriche che si sarebbero affermate più tardi, nel l'architettura funzionalista degli anni venti. Queste ten denze in campo progettuale trovano la loro corrispon denza in taluni scritti teorici sull'arte - specialmente in quelli del Lipps e del Worringer, che cercò di fondare una teoria basata: su costanti psicologiche. L'arte, secondo Worringer (Abstraktion und Einfuhlung}, rivela delle di sposizioni universali soggettive; se riusciamo a compren dere queste disposizioni, possiamo giungere ad un'Arte che non usi gli stili come norme, ma che giudichi le sin gole particolari manifestazioni artistiche secondo le re gole, fondamentali ed eterne, dello Stile stesso. Di conseguenza all'inizio del XX secolo troviamo due parallele, e in certo senso contraddittorie, teorie dell'ar chitettura, entrambe derivate dallo storicismo post-hege liano. La prima si fonda su finalità morali e fatti ogget tivi, la seconda sull'estetica e sulla sensibilità soggettiva. 68 Ma entrambe le teorie rifiutano il passato come guida per
il presente, e sono essenzialiste e riduttive. L'architettura che emerse dopo la prima guerra mondiale sintetizzò queste due teorie, collocando il funzionalismo in posizione dominante, e richiamandosi alla teoria artistica del l'espressione naturale e delle costanti psicologiche ogni qualvolta il funzionalismo non era in grado di fornire una soluzione soddisfacente. In termini linguistici, que sta architettura ridusse il segno architettonico ad un in dice di funzione da un lato, e ad un segno puramente na turale dall'altro. Sia che guardiamo agli aspetti sociali di questo mo vimento, sia che ne consideriamo quelli artistici, pos siamo vedere che esso ebbe un carattere fortemente de terministico. Invocando lo spirito del tempo, i teorici moderni presentavano gli oggetti della ricerca storica e psicologica come fatti al di fuori del controllo del sog getto che pensava ed agiva, e che costituivano una sorta di imperativo categorico sociale o emozionale. Un aspetto di questo imperativo era che gli edifici che dovevano ser vire alla nuova società erano considerati analoghi ai tipi biologici affermatisi grazie alle leggi dell'evoluzionismo. In quanto elemento della serie degli strumenti necessari alla società, l'architettura era considerata come apparte nente alla struttura di base del processo storico. La sto ria stessa, attraverso l'azione di un'élite, determinava le caratteristiche morfologiche della nuova architettura, e la « investiva » di una serie di ohjets-type. Questo concetto dell'« oggetto-tipo » era strettamente correlato a quello di norma, o tipo, che si riscontra nello studio delle ,specie zoologiche. Per quanto, nelle parole di Engels, la storia sia vista come flusso eracliteo, ciò nonostante è il venire in essere e il trascorrere dei tipi, che ci permette di mi surare il processo dialettico di passaggio dalle forme in feriori a quelle superiori. Nell'architettura moderna, questa idea della norma biologica fu correlata criticamente con l'idea delle co stanti psico-fisiche. Ciò costituiva il ricorso ad un tipo di determinismo diverso, perché anche se riduceva la crea- 69
zione formale ad una funzione psicologica di livello sub coscienziale, esso operava tale riduzione attraverso il rife rimento a valori culturali costanti, e in questo senso comportava il ritorno a qualcosa di assai prossimo al ra zionalismo settecentesco. In Le Corbusier questi due con cetti sono chiaramente esposti: da un lato, il matematico e scienziato scopre le leggi di causalità; dall'altro, l'ar tista scopre le leggi dell'armonia fra i materiali che gli si offrono (vedi ad esempio la Lettera a Teige, in « Architec ture d'aujourd'hui », n. 10 del 1933). Se applichiamo a questi fenomeni i principi della linguistica strutturale, risulta chiaro che le teorie alla base dell'architettura moderna si contrappongono al con cetto di architettura come linguaggio con un largo mar gine di libertà combinatoria, o di significato associativo. Nella misura in cui l'architettura doveva essere condizio nata dalle forze della storia, le sue leggi dovevano essere fisse, e non vi era posto per il libero giuoco dell'organiz zazione della forma. Di contro, nella misura in cui l'ar chitettura rifletteva leggi psicologiche universali, questa stessa libertà era offuscata dal vecchio mito della bellezza normativa. Se libertà vi era, poteva sussistere solo come una sorta di simbiosi fra l'artista e quelle leggi naturali che egli scopriva grazie all'intuizione. Ma la prassi effettiva degli architetti degli anni venti, in particolare dei Costruttivisti russi e di Le Corbusier, era ben lontana dall'obbedire alle leggi implicate dalla teoria. Di fatto, il loro lavoro era tuttora basato, in larga misura, su modelli esistenti, anche se questi modelli non appartenevano agli stili ' maggiori ' che erano stati co piati nel XIX secolo. In queste nuove opere non solo risul tavano incorporati temi classici e romantici, ma altresì venivano trasposti concetti appartenenti a sfere esterne a quella architettonica. Così, ad esempio, forme mutuate dal mondo dell'ingegneria risultavano presenti nell'opera dei fratelli Vesnin; queste forme costituivano una « pri ma articolazione » estratta dal mondo visibile, ed erano 70 usate in maniera retorica per dimostrare che l'architet-
tura era un fatto di natura costruttiva, e non consisteva nell'impiego di triti schemi compositivi e decorativi. In Le Corbusier, il repertorio delle forme navali è usato per fornire un nuovo modello al linguaggio architettonico, ma anche per affermare le connessioni, a livello profondo e attraverso la storia, con temi del passato dell'umanità; ad esempio con la vita monastica del XII secolo. Ciò non significa che l'architettura moderna· ritorni ad un eclet tismo di tipo ottocentesco. Nell'Ottocento, interi schemi semiologici venivano utilizzati; l'architettura moderna in vece prelevava frammenti della vita di ogni giorno, e frammenti estratti dalla storia. In questo senso, l'archi tettura moderna era essenzialmente 'costitutiva'. Essa frantumava i sistemi semantici nelle unità minime che potevano veicolare un significato, e ricombinava queste unità senza tener conto del sistema complessivo dal quale erano state estratte. Fino a che punto questo fatto rende l'architettura moderna conforme al modello linguistico? In linguistica, osservando in qual modo le persone parlano, è possibile riconoscere delle leggi che non annullano la libertà indi viduale. La lingua esiste prima dell'individuo; ma il fatto che egli deve apprendere la propria lingua, non ne fa pe raltro uno schiavo. In effetti, se la natura, attraverso la mediazione della società, non gli si presentasse tramite l'imperativo categorico del linguaggio, l'individuo non sa rebbe in grado di formare dei concetti; egli applica le re gole del linguaggio istintivamente, e queste· regole sono semplicemente regole di combinazione: non vi è alcun limite a priori ai concetti che può formare. Ma nel lin guaggio questa libertà combinatoria è dovuta, come ho detto prima, alla natura arbitraria della relazione tra sirH) · gnificante e significato .. ! Persino nel linguaggio di ogni giorno, vi è un certo numero di unità complesse, o sintagmi, il cui uso è obbli gatorio. Chiaramente, quanto · maggiore fosse il numero di tali unità, o quanto più grosse fossero queste ultime, tanto più· ridotta sarebbe la libertà del parlante. Ora, ciò 71
è proprio quello che si verifica nella poesia e nella lette ratura: i generi letterari, gli stili, le forme ed i tipi di espressione sono semplicemente dei sintagmi ereditati. La ragione per la quale essi esistono, non è di dare libertà all'utente, ma piuttosto di « cristallizzare » una sorta di sapere, e di fornire dei concetti che in se stessi rappresen tino dei valori paradigmatici. Nella lingua, il valore del segno è neutrale. Fine della poesia è di trasformare dei segni neutrali in segni espressivi. Ma benché il poeta ere diti tali sintagmi, egli non è obbligato ad usarli. Proprio perché ha a sua disposizione un tipo di linguaggio che rappresenta dei valori, egli è in grado di rovesciarli. Que sto è quello che intende Barthes (in Mythologies) quando dice che la poesia è in grado di resistere al mito, mentre il linguaggio non lo è. Il linguaggio comune non dà mai un significato pieno ai propri concetti; essi rimangono ' aperti ' e disponibili per essere ri-combinati. La poesia, d'altro canto, essendo un linguaggio di ordine secondo (superiore), dà ai suoi concetti una precisa significazione di natura emotiva. Mutando l'ordine dei sintagmi che sono stati ereditati, e quello delle parole, rispetto a quanto si verifica nel discorso normale, la poesia riesce a suscitare la consapevolezza della banalità e della falsità dei concetti che la gente usa di solito. Come osserva Barthes, se il mito vuole conquistare la poesia, deve inglobarla nelle sua totalità, e trattarla come un contenuto del proprio stesso sistema. L'attività critica e di smantellamento della poesia sfocia in ciò che Barthes chiama un « sistema se miologico regressivo ». Lo stesso può dirsi a proposito dell'architettura. L'ar chitettura non si manifesta mai come un sistema combi natorio neutrale. I « fonemi » e i « morfemi » architetto nici (possiamo impiegare questi termini solo in senso me taforico) sono motivati e investiti di significato poten ziale. Che cosa potrebbe essere più motivato della fun zione, del metodo strutturale, o delle forme nello spazio? Se vogliamo essere tanto rigorosamente empirici quanto 72 lo è stato de Saussure a proposito del discorso, dobbiamo
ammeltere che l'architettura non può utilmente essere ridotta ad una collezione di elementi arbitrari. L'archi Lettura moderna ha cercato di ridurre i propri elementi all'essenziale, ma non attraverso una loro riduzione ad unità arbitrarie, come avviene nell'analisi linguistica. Nello studio della lingua la riduzione ha un valore pura mente formale, e non altera il modo in cui parliamo. In architettura essa ha un valore riformativo, ed è volta a ricostituire il significato architettonico. In questo contesto, la semiologia appare come un mago che sveli, per mezzo di studi empirici, la comples sità e la ricchezza dei sistemi sincronici. Ma essa appare anche come un possibile strumento prescrittivo, e come un metodo critico. Per questa sua capacità, essa può fa cilmente divenire preda di una qualsiasi delle filosofie che prevalgono nell'architettura moderna, inclusa la teoria del « Kit of parts», avanzata dagli utopici fautori dei si stemi. È questo il risultato di una confusione che nasce da un'applicazione troppo letterale dei principi della lin guistica; questa confusione è stata dimostrata da Lévi Strauss per il campo della musica (in Le Cru et le Cuit), e ciò che egli dice può essere applicato in generale al l'architettura, La musica seriale, egli nota, elimina le strutture significanti del linguaggio musicale ereditato dalla tradizione (per esempio la relazione fra le note e la tonica). Di conseguenza, essa non utilizza più due li velli di articolazione - quello che il compositore trova a propria disposizione, e l'altro, nel quale egli è li bero di creare nuove combinazioni e significati. L'appa, rente libertà assoluta che la musica seriale dà al com positore, lo rende« afasico» a meno che egli non sia tanto vicino al linguaggio esistente da riferirsi ad esso in ma niera obliqua, ovvero. da dare una dimostrazione della sua essenza tentando· di ridurlo ad un « grado zero». Stravinskij e Webern sono esempi di questi due tipi di referenza. Il « Kit of parts» musicale, che gli ultimi se rialisti propongono, avrebbe senso soltanto se il linguaggio della· musica fosse completamente naturale; esso in- 73
fatti conduce ad una musica spontanea ( e questo sem bra essere il punto di vista di alcuni semiologi, come Abraham Moles nel suo saggio Information Theory and Aesthetic Perception). Ciò tuttavia comporta anche che la musica sia simile al linguaggio, perché il linguaggio è il solo sistema se gnico in cui un « Kit of parts » fornisce libertà combina toria. Ma noi sappiamo che questo è possibile solo nel linguaggio, perché in esso le unità significanti posseggono già dei significati arbitrariamente correlati con esse. Giungiamo così ad una conclusione priva di senso: un sistema completamente naturale, e un sistema completa mente arbitrario, sarebbero la stessa cosa. · • · Abbiamo la tendenza a dimenticare che, nell'analiz zare il linguaggio, non lo giudichiamo né lo cambiamo. La linguistica strutturale è un metodo descrittivo, e forse esplicativo; essa si occupa delle strutture formali che sot tendono il linguaggio, · non dei suoi significati o del suo · ;, sistema di valori. Vi è un'ottima ragione per la quale, analogamente, la semiologia deve rimanere ad un livello formale e de scrittivo, e possiamo rendercene conto se prendiamo in considerazione le strutture in termini più generali. Piaget (in Structuralisme) definisce una struttura come un'en tità autoregolantesi, con un gruppo di regole trasforma zionali, e sottolinea che nel campo della logica naturale una tale struttura è sempre ' aperta '. A partire da Godel, ci si è resi conto del fatto che nessun sistema logico può essere auto-esplicativo; un · sistema dato è· sempre co struito su assiomi assoggettabili a ulteriori analisi. La forma di un sistema diviene il contenuto del sistema immediatamente superiore, e· così via. Questa relazione a catena non riguarda il matematico o il fisico; perché ciò che gli interessa è la coerenza interna del sistema all'interno del quale egli ha scelto di operare. Ma essa riguarda il .filosofo, lo studioso di scienze sociali, · e il designer, e interviene in qualsiasi dibattito concernente 74 sia il linguaggio sia gli altri sistemi che hanno un nor-
male uso sociale. In questi sistemi è necessario espri mere dei giudizi di valore; e se un valore è relativo, deve esserlo rispetto a qualcosa, e questo qualcosa deve a sua volta essere un valore. Giungiamo così alle radici del problema, sia della se miologia che dell'architettura moderna. Se un linguaggio di qualsiasi tipo non è altro che l'organizzazione di strut ture minimali, queste strutture devono già essere piene di significati dati, come lo sono nella lingua. Questa è la condizione necessaria perché vi sia comunicazione so ciale. Invece, nei sistemi non-linguistici, ò in quelli che potremmo chiamare sistemi del secondo ordine, è neces sario presupporre un set di sintagmi complessi, e non soltanto una struttura minimale dotata di elevate possi bilità combinatorie. Da sola, la disponibilità di un « Kit of parts » permetterebbe semplicemente una combina zione meccanica, e fornirebbe significati effimeri e rapi damente degeneranti. Il grado zero dell'architettura, che il modello semiologico regressivo comporta, può essere veramente creativo e ricco di significato sociale soltanto se esso è raggiunto attraverso una continua verifica della tradizione di quei segni complessi a cui ci siamo riferiti sopra. In questo senso, mi sembra, la semiologia trova i · suoi confini naturali come strumento operativo.
(traduzione dall'inglese di
M. L:
SCALVINI)
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Città-pubblicità: sul caso Las Vegas GIANDOMENICO ROMANELLI
Abbiamo assistito ultimamente ad un infittirsi di in terventi nel dibattito su Las Vegas e su ciò che, teoriz zato o di fatto (sia sul piano del costume come dell'ur banistica, dell'architettura, della politica, delle arti vi �ive, della pubblicità), il fenomeno Las Vegas è venuto a raccogliere e a manifestare di significati espliciti od occulti. Ci è parso che valesse la pena di tentare di collo care all'interno di una più vasta struttura di discorso una polemica ricca di possibili sviluppi e passibile di con �iderazioni in ordine a gravi pericoli che essa comporta. Tale polemica, analizzata e puntualizzata nei suoi mo menti salienti, è qui inserita nell'ambito di una lettura dell'urbano in senso semiologico. Significante è sempre stato il luogo d'abitazione uma no fin dalle epoche più remote, fin da quando gli esseri hanno preso coscienza della loro vita-presenza collettiva in un sito. Anzi proprio tale carattere di socialità è stato quello che, nella vita primitiva - anche se strutturantesi dapprima in forma nomadica e solo successivamente ur bana - sotto la spinta delle esigenze comunicative, ha determinato il processo di simbolizzazione e significazio ne 1• Tutto ciò che da parte dell'uomo comporta un inter vento, una modificazione o anche una presenza che, a meno che si tratti della esperienza di Robinson Crusoe (ma sarebbe da vedere se anche in un caso come quello 76 narrato da Defoe, cioè di un individuo oramai culturaliz-
zato e condizionato, tutto questo non valga ugualmente) è presenza sociale, tutto ciò che giustifica la qualifica zione generale ma necessaria di ' ambiente umano ' 2 - l'esistenza cioè dell'artefatto, sia esso manuale o lin guistico/simbolico 3 - dà vita anche ad un sistema se condo significante, strettamente connesso e, anzi, dipen dente dal sistema primo degli oggetti e delle funzioni; per dirla con Barthes per il solo fatto che c'è società, ogni uso è convertito in segno di quest'uso 4• Segni che si sono infittiti con il nascere e il sovrapporsi delle culture, con il sorgere di realtà nuove e la scomparsa di altre, spesso anzi determinando evoluzioni e contribuendo alla loro formazione; avvalorando l'opinione che ogni fatto umano si articoli come sistema comunicativo e, da ciò, come conseguenza pressoché immediata, che non c'è nulla di reale che non sia intelligibile 5• Si aggiunga a tale atti vità umana operante in forma quasi di conferimento di significato e formalizzazione dei dati desunti dalla realtà dell'ambiente, l'azione dei mezzi di comunicazione di massa e si avrà un quadro - anche se approssimativo e incompleto -- dell'universo dei segni che costituisce, a livello logico oltre che materiale, la realtà dei fenomeni in cui siamo inseriti. Già questo può essere un punto di partenza per pren dere in considerazione il sociale; vederlo cioè in quanto struttura dinamica di fatti comunicativi, di sistemi se gnici; in tal modo, possiamo dire quasi automaticamen te, questo tipo di approccio ci porterà di preferenza lad dove la struttura sociale si riflette e configura in nodi si gnificativi e comunicativi particolarmente spessi. Nei luo ghi che appaiono forma di presenza sociale e culturale dell'uomo sulla terra, dove cioè questa presenza umana si attua per raggruppamenti e agglomerati; dove si gene rano, si moltiplicano e muoiono cori moto vorticoso sim ·boli, referenze, referenti e i loro sistemi. Se, da un lato, percepiamo di trovarci di fronte ad una vasta realtà articolata e ramificata e pure facente capo ad un unico elemento esistenziale che chiameremo -77
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vivere in»,· « abitare», come modo di presenza e di esistenza in un posto, in un territorio; dall'altro non ci può sfuggire che ciò che struttura e dà significato e forma a tale realtà è un qualche cosa che al contempo la trascende. Realtà vasta e articolata quindi; organiz zata su un duplice asse spaziale e temporale: radicata nella storia (e storia essa stessa) e non meno radicata ad un territorio, ad un « luogo» che modella e dal quale si fa modellare; ed è anche evidentemente un modo di vita, una particolare simbolizzazione e messa in forma del mondo, che s'afferma, con la costituzione di quel che diciamo città: la quale segna propriamente l'inizio d'una rappresentazione del mondo non più fondata su uno spa zio nonzadico o vagante, itinerante, inteso come tragitto, ma uno spazio fermo e totalmente umanizzato, organiz r.ato come cosmo intorno ad un centro, irraggiante in torno ad esso per via di successive integrazioni di carat tere geometrico - cioè razionale, logico - dello spazio stesso, e così via. A questa organizzazione dello. spazio corrisponde parallelamente un'organizzazione del tempo; e infine la costruzione di un codice di corrispondenze, che assimila a poco a poco tutto il campo al suo reticolo: di qui nasce la scrittura, e dunque la conservazione e stra tificazione della memoria dei fatti, cioè la storia: rap portata tuttavia a codesto codice di simbolizzazione, che tisponde ad un processo di omologazione di tutta l'espe rienza 6• Occorre qui ricordare - anche se non sono certo le parole testé citate del Bettini che possono dar luogo a fraintendimenti di tal genere - come, contemporanea mente ad una realtà architettonica ' di edifici ' e di og getti per dir così materiali, il fatto urbano consti di una ben più complessa realtà sociale della quale, anzi, l'aspet to architettonico è in qualche modo la corrispondenza formale e spaziale; e come tale corrispondenza (indub biamente esistente) si presenti più o meno immediata e percepibile, più o meno occultata e mascherata. E forse 78 anche a questo punto varrà considerare i due volti che «
una tale realtà può presentare, i due aspetti sotto cui essa ci si mostra e che, nella loro impossibile convivenza, ne agitano di continuo la vita: a) Il carattere di disponibilità, di libertà e aper tura; quello cioè che fa sì che il fenomeno urbano sia ricco di tutta la storia di cui è stato scenario come di quelle particolari di tutti i suoi abitanti, dei suoi costrut tori e di coloro che lo vivono e di tutti gli avvenimenti che vi succedono e che vi possono succedere; dei mondi pensati e amati come di quelli odiati nell'intelletto di chiunque vi sia passato anche un solo momento e che un solo momento l'ha pensato in qualche modo particò lare; le cui strade sono quelle che portano nome come qualsiasi altro suo luogo, il più nascosto e il più effimero in cui un suo abitante sia stato anche una sola volta; i cui percorsi ognuno segna di minuto in minuto correndo, camminando, aspettando, ognuno dal suo punto di vi suale, ad una data altezza dal suolo, aprendo e chiu dendo per sempre le viste e gli scorci e operando su tutto ciò una mediazione per cercare e darne interpre tazione; b) L'essere la dinamica dell'urbano strettamente connessa e condizionata dall'ordine sociale esistente; non solo, la sua disponibilità a farsi interprete e me• diatrice di tale ordine presso il cittadino e presso i nu clei sociali. Attitudine che Lefebvre chiama la ,,: speci ficità» dei fenomeni urbani 7; cioè il loro essere mo mento di mediazione tra l'ordine remoto - le grandi istituzioni (Chiesa, Stato) e l'ordine prossimo - le re lazioni degli individui in gruppi e dei gruppi tra loro. Il fatto urbano, nei due aspetti che abbiamo ora indi viduato (ma certo se ne potrebbero indicare altli). ci riporta alla natura simbolizzante della città e, conse guentemente, al suo essere sistema di segni sia in quanto· realtà culturalizzata percepita dal singolo, sia nella sua resa oggettiva dei rapporti e legami sociali a tutti i livelli, sia nella funzione di mediazione operata tra questi. La città è allora un insieme significante, un 79 0
sistema di segni che ha come proprio livello dei signi ficati la realtà sociale nel suo complesso e quindi la rappresenta, la simbolizza riducendola ad un insieme di luoghi/tempi significanti. Difficilmente comunque sarebbe univocamente isolabile la natura di un tale sistema che, proprio per il fatto di avere come piano dei significati la realtà sociale, ha di questa l'instabilità, la mutevolezza e la complessità di rapporti interni. A) Sistema composito, dunque: se rivolgiamo l'at tenzione al suo farsi lungo un asse temporale - dia cronico - ne possiamo scorgere alcuni aspetti più evi denti, il suo essere dinamico, in divenire, aperto. Di namicità che si traduce in uno scambio continuo di funzioni significato/significante; in un incrociarsi di li velli e di piani di riferimento; caratteristica propria dei sistemi significanti a contatto con - o che siano essi stessi - il sociale. Ne consegue da un lato l'impossibi lità a definirne uno schema fisso, un rigido modello di evoluzione e, al contempo, che ogni evento. in uno qual siasi degli elementi di ciascun sottosistema si ripercuote sull'intera macrostruttura urbana. · B) Sistema composito: se ne saggiamo la costitu zione e la «capienza» di reale in un momento qual siasi fermandoci nel tempo - sincronicamente - la nostra sonda potrà scendere lungo la fittissima serie degli innumeri piani del sociale e sempre troverà in cor rispondenza un piano di significati; possiamo allora dire che il nostro grande sistema urbano è, nel suo in sieme,. costituito di innumeri sottosistemi di segni e quindi di comunicazione - ciascuno dei quali cor risponde ad un piano fenomenico. che esso traduce e for malizza secondo uno schema di trasmissione e infor mazione. E' naturale che anche tali sottosistemi - corri spondenti ciascuno come s'è detto ad un piano di fe nomeni del sociale trascritti nella dimensione urbana (dimensione di tempi e di luoghi e di. tempi/luoghi 80 itinerari -), ed.anzi costituenti in proprio un sistema
comunicativo - sono assimilabili ancora una volta allo schema significante/significato e sono quindi, nei loro elementi, leggibili quali catena sintagmatica o scompo nibili e ordinabili in un elenco sistematico. Sin qui si è sempre parlato di sistemi di segni, di struttura di comunicazione: sarebbe ora naturale com piere - assieme ormai a molti altri autori - un ulte riore passo su questa linea; passare cioè a considerare la città, nel suo insieme, assimilabile alla struttura lin guistica, e quindi linguaggio 8• Più avanti si avrà anzi occasione di ricorrere più specificamente a un tale me todo di analisi; esso, dalle polemiche e dalle incertezze <li alcuni anni or sono - e pur senza dissipare le une e le altre - è andato vieppiù articolando e affinando i suoi strumenti di indagine fino ad elaborare puntuali e complesse corrispondenze con la linguistica saussu riana specie nei suoi sviluppi strutturalistici. Città come linguaggio e linguaggio della città; lingua e parola ur bane; sintagma e sistema; fonema e monema: sono ter mini entrati di diritto in tutti e due i livelli - con notativo e denotativo - del discorso urbano: in sede quindi di individuazione della struttura dei fenomeni e di discorso critico che su di essi si intende condurre. Discorso tutto applicabile, come facilmente s'intende, oltre che al sistema in generale, con ugual diritto ai sottosistemi che lo compongono. Occorrerà allora procedere ad una rilevazione dei sottosistemi che costituiscono la macrostruttura urba na; i criteri secondo cui individuare e catalogare tali sottosistemi sono quelli che fanno sì che i vari ele menti reagiscano agli stimoli psicologici, culturali od operativi dell'osservatore; il quale ne scorge sponta neamente o in base ad un modello di lettura presta bilito (di maggiore o minore complessità) l'aggregarsi appunto in catene sintagmatiche o in elenchi sistema tici. Ad esempio, alla funzione trasporto/comunicazione corrisponderà il coagularsi di elementi attorno a tutta una serie di sottosistemi interagenti che possiamo ten- 81
tare di individuare nel sistema viario ( di scorrimento o di sosta), in quello dei mezzi di locomozione, in quello della segnaletica; e ciascuno di questi indubbiamente potrà essere ulteriormente sezionato - qualora lo esiges sero altre particolari necessità di decodifica - in suc cessivi sottosistemi o, per converso, potrà entrare a far parte, magari con diversa collocazione all'interno della struttura significante, di un altro sistema ancora. Altro potrà essere il sistema dell'illuminazione; altro quello di vendita - questo con sicura dovizia di ulteriori sud divisioni -; altro ancora quello formato dagli elementi comunemente detti di « arredo urbano». Sistemi parti colarmente complessi e necessariamente importanti sa ranno quelli dell'edilizia d'abitazione e a funzione pub blica o, più in generale, dell'architettura 9• Anche se l'elenco potrebbe continuare assai a lungo, qui ci interessa prendere in considerazione un sistema particolare, quello della pubblicità urbana. Una serie di motivi ci spingono a dedicargli la nostra attenzione: con essi intendiamo riallacciarci a quanto sin qui detto e, al contempo, introdurre l'argomento che formerà l'og getto delle pagine che seguono. 1 - Il sistema della pubblicità urbana è, sul ter ritorio e quindi nella dimensione spaziale e volumetrica, la esplicitazione più immediata ( quella che ricorre a un minor numero di passaggi intermedi e di mediazioni) del potere economico - del sistema, dell'ordine sociale esistente - sul complesso sociale nel suo insieme come pure sul singolo cittadino fruitore. 2 - Analogamente a quanto si può dire della pub blicità in generale 10 la pubblicità urbana assurge oltre che a norma etica per il cittadino fruitore - ad ideologia dell'urbano secondo il sistema di potere.
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3 - La pubblicità urbana· va sempre più acqui stando una sua propria spazialità materiale, di forme e volumi. Spazio articolato che noi quotidianamente viviamo e abitiamo per buona parte della nostra giornata:
anzi, va sempre più configurandosi quale struttura di abitazione e di vita con una sua tridimensionalità, un interno e un esterno, dei percorsi, delle stazioni, dei veicoli, dei centri e delle periferie sia materialmente che nella nostra psiche; è, insomma, un insieme di iti nerari al consumo e di stazioni di consumo. Non solo, tale sottosistema nella sua tentacolarità giunge in alcuni casi a sostituirsi ad altri sottosistemi e tende ad inglobare l'intera macrostruttura urbana, che verrebbe in tal modo a rinascere in una nuova for ma urbano-pubblicitaria. E' l'avvento di una città in teramente pubblicitaria - vera .città-pubblicità - che s'impone, nelle sue incarnazioni, all'attenzione degli ur banisti e del pubblico. L'ipotesi di una città-pubblicità ha assunto un volto oltre che una teorizzazione: tale volto, Las Vegas, è oramai uno dei nodi, oggi e forse ancor più in futuro, del dibattito urbanistico. E' appunto Las-Vegas (prima totale città-pubblicità) che da qualche tempo con non trascurabile frequenza è diventata il banco di prova privilegiato per una let tura e un esercizio di decodifica del materiale pubbli citario urbano così come per una serie di considera zioni che vanno dalla più sfacciata integrazione alla apo calitticità più tenebrosa per quanto riguarda l'architet tura come il planning o addirittura l'atteggiamento del l'uomo d'oggi di fronte all'attività progettuale. · Ciò che Las Vegas è e significa nella sua dimensione reale, nella sua -immagine, nel suo spessore urbano e in quello architettonico dei suoi eterocliti ed eterogenei elementi e la considerazione in cui molti mostrano di tenere tale fenomeno, invita a portare l'attenzione sul più vasto problema, di cui Las Vegas è un esempio in dubbiamente pregnante ed illuminante, quello dei rap porti intercorrenti tra la città in senso lato e, più in particolare, architettonico - e le strutture pubblicita rie che appaiono esserne parte integrante. E se mi pare di poter dire fin d'ora che Las Vegas, per gli autori che se ne sono direttamente interessati, 83
ha svolto funzione di modello utopico, da adottare o combattere a seconda dei casi, ma con il quale è ne cessario confrontarsi per avere la dimensione del li vello della propria « integrazione »; di frontiera avan zata del nuovo modo di mettere in forma la realtà o di degradazione estrema di un nichilismo culturale al ser vizio dello status quo, non si può non rilevare come in genere - e non mancano certo eccezioni anche assai felici - ci sia stata la tendenza a limitare l'analisi e la considerazione alle sue possibilità specificamente " ar thitettoniche " e formali e, cosa forse ancor più grave, si siano ignorate o trascurate le usuali situazioni urbane, nelle quali se i rapporti pubblicità-città non hanno rive stito nè rivestono, come è invece avvenuto per Las Ve gas, carattere di emblematicità, le conseguenze sono però a ben vedere altrettanto choccanti; in questi casi, essendo i confini e i profili assai più sfumati, la valu tazione, il giudizio e financo la lettura dei dati fenome nici .appaiono più difficili e incerti. · Grazie quindi ai suoi esegeti così come ai suoi de nigratori e ai suoi cantori n, Las Vegas (o, meglio, « il fatto Las Vegas ») è assurta ad un ruolo di primadonna in una certa parte del dibattito sul rinnovamento della cultura e dell'architettura urbana: ruolo che potrà con siderarsi attribuitole a ragione o a torto (e, all'interno di ciascuno dei due corni di questo dilemma, accettabile o rinnegabile - a seconda delle premesse teoriche e ideologiche da cui partono i suoi decodificatori -) ma che essa si è trovata in un certo momento a giocare e a sostenere in maniera tanto convincente da imbattersi in chi l'ha indicata ad esempio e l'ha mostrata come « futuro », nuovo modo di organizzare lo spazio urbano e tutto ciò che vi è connesso, ultima utopia. In tal senso Las Vegas riveste. così grande valore emblematico: in essa la struttura urbana è legata a quella dell'apparato pubblicitario in maniera inscindi bile e obbliga chi voglia parlare dell'una a interessarsi 84 anche dell'altra. Cosa che non appare invece ancora in-
dispensabile per altre città - per la maggior parte delle altre città -: ecco perchè abbiamo parlato di Las Ve gas come di modello utopico ed ecco anche il motivo per cui più avanti si parlerà ancora distintamente del sistema urbano e del sistema pubblicitario. La situazione non è però definita, tutt'altro: è pro prio sull'incidenza architettonica - o, meglio, tridi mensionale -'-- della realtà pubblicitaria urbana che oc corre quindi continuare questo discorso: quella città nella-città che va acquistando consistenza concreta o ad dirittura soppiantando la città tradizionale; da alcune voci si inizia a fondarne le basi ideologiche e a tesserne un impianto strutturale, impianto addirittura alterna tivo alla progettazione tradizionale del « paesaggio» ur bano, testa di ponte della nuova cultura della città o definitivo atto di morte della stessa. Si tratta evidentemente di evitare, di fronte a tali voci, un'impostazione deprecatoria e lamentativa ma di condurre un'analisi aperta ad ogni tipo di soluzione e al contempo strettamente ancorata a precise scelte di carattere ideologico e politico: quelle scelte che pur troppo sino ad ora e nei confronti di questo preciso ar gomento sono pressoché mancate a favore di una neu tralità ritenuta corretta e invece soio qualunquista e mistificante; o che si è magari nascosta dietro onnicom prensivi e per questo assai vuoti lamenti indirizzati nei tonfronti dei soliti «mali» del mondo contemporaneo, imputabili non si sa bene a chi, e quindi a nessuno. Da parte nostra anche nel momento in cui ci accingiamo a leggere questa particolare realtà o le riflessioni che altri hanno fatto e fanno su di essa, siamo convinti come il nostro interesse mai deve poter implicare un coinvolgimento. Anzi: ci è chiaro che il pensare adun momento della realtà quale quello pubblicitario se da un lato presenta non pochi pericoli di cadere entro le fauci del drago (quanti sono i «critici» della pub blicità divenuti volontariamente o di fatto «tecnici pub blicitari» in questi ultimi tempi?) dall'altro ci offre la 85.
possibilità di scorgere da un punto di vista privilegiato la pericolosità del più vasto campo in cui tale momento è inserito. In esso la pubblicità coincide con il capitale stesso e quindi con il sistema capitalistico: processo di reificazione e di sublimazione delle persone negli og getti, delle tensioni nei modelli proposti/imposti, dei media nei messaggi, dei significati nei segni e nei sim boli. In tale prospettiva si situa il tentativo di decodi ficare una realtà che, non dimentichiamolo, con la prov visorietà, l'obsolescenza, la breve durata che le sono pro prie, vanta una particolare propensione all'essere sfug gente, proteiforme; all'essere sempre in punto di morte e anzi ad autoeliminarsi in parte per risorgere più forte e aggressiva di prima: araba fenice che dalle sue ceneri trova, oltre che la vita, la formula nuova per essere più bianca del bianco, e per imporre una corsa sfrenata verso i regni onirici della « bianchità » - precipizio in fernale o candida rosa? - nuova gorgone pietrificatrice, essenza ultima del BIANCO da raggiungersi in una mi stica ascesi, catarsi finale invocata e illustrata dall'alto di facciate o affreschi vasti quanto e più che la Cap pella Sistina. Sulla città del Nevada e su tutto il complesso di temi che sono connessi alla sua fortuna critica in questi ultimi anni, vediamo allora di rilevare la natura e la collocazione dei contributi nell'una o nell'altra direzione non tanto col riassumere brutalmente un dibattito a volte accademico a volte addirittura appassionato, quanto piuttosto il loro allogarsi all'interno di più vasti filoni e discorsi e, se possibile, la valenza degli sviluppi futuri che essi sembrano e non sembrano in grado di poter promettere: in particolare per quanto concerne i problemi posti dall'inserimento nei contesti cittadini dei messaggi visivi pubblicitari; il progressivo deterio ramento dei confini architettura/pubblicità; la nascita di un'architettura pubblicitaria; la possibilità di perma nenza di un minimo .di libertà nel cittadino fruitoré al86 l'interno della macchina pubblicitaria urbana.
Come ogni fenomeno anche Las Vegas e l'attenzione che la circonda - che è l'aspetto che più ci interessa per ora dell'intera questione - nascono su un retro terra culturale e storico individuabile e analizzabile con sufficiente precisione; ed è quanto inizia a fare in modo assai brillante e polemico K. Frampton indicando nelle posizioni del " townscape " inglese avanzate per la prima volta verso la fine degli anni '40 dalla rivista "The Ar chitectural Review " 12 - posizioni accolte e diffuse in America negìi anni 'SO - e poi in particolare negli inse gnamenti del MIT e di Kevin Lynch, i più diretti « re sponsabili » nella creazione del clima atto ad accogliere così il fenomeno come le sue interpretazioni. E' indubbio che l'interesse alla possibilità e ai modi di inserimento pubblicitario nel tessuto urbano ha ri cevuto da lavori come quelli del Lynch uno stimolo e un incremento non indifferenti e, d'altro canto, un in teresse programmatico all'immagine della città non può non portare a considerare tutto ciò che concorre alla formazione appunto dell'aspetto, di ciò che appare e colpisce nella realtà urbana; nessuno può negare - in dipendentemente dal giudizio che giungiamo a dare del fenomeno - che il materiale pubblicitario urbano sia un dato di fatto che contribuisce a costruire il volto delle attuali città e dell'immagine che ogni fruitore ne conserva dentro di sè. Altri, da strade diverse e certo anche con diverso atteggiamento, erano giunti a parlare e ad interessarsi attivamente del fenomeno; basterà qui citare da un lato gli artisti Pop, da un altro critici d'arte e di costume 1 particolarmente attenti ai veicoli d'informazione di massa. Su una tale piattaforma e quando la diffusione delle problematiche aperte e adombrate aveva toccato no tevoli indici di popolarità e gradimento oltre che tra gli addetti ai lavori anche a livello di opinione pub blica - anche se, logicamente, in questo secondo caso quasi sempre in forma di brutale semplificazione o di superficiale indignazione - c'è stato quello che potrem- 87
mo definire una sorta di salto qualitativo negli inter venti oltre che una definizione e focalizzazione degli in teressi; vi si giunse lasciando la tradizionale imposta zione del rapporto architettura-pubblicità 13 (cioè siste mazione dell'arredo urbano; all'interno quindi di una logica di contenimento degli elementi pubblicitari; cau to inserimento degli .elementi segnici; ecc.) e ponendosi in modo originale e « fondato » di fronte alla realtà ora mai pressante. Il trampolino di lancio fu appunto Las Vegas; gli acrobati dell'operazione Robert Venturi e Denise Scott Brown: il discorso inizia quindi proprio confrontandosi con l'emblema o, addirittura, con il « futuro » tout court di un nuovo principio organizzante lo spazio urbano. L'articolo, primo di tutta una serie, è appunto quel A Significance for A&P Parking Lots or Learning from Las Vegas 14 che solleverà le già citate ire di K. Frampton - e non solo le sue - e che presenta delle novità di rilievo soprattutto in quanto lascia dietro le spalle un tipo di critica definita purista: Earlier critics empha sized mass and Le Corbusier and Wright have defined architecture in terms of form and light, but the other major theorists of Modern architecture, including Gie dion, Pevsner, Zevi, Kahn and Edmund Bacon today, have focused on space as the essential ingredient which sepa rates architecture from painting, which is pictorial, sculpture, which is formai, and literature, which is sym bolic ( ... ). In the purist approach of Modern architec ture the techniques of structure and programming doI minated the techniques of meaning and image, and a tradition of iconology was abandoned. (p. 73). Gli Au tori, invece, basandosi sull'analisi di alcune realtà ar chitettoniche e urbanistiche americane (in particolare quella di Las Vegas) pervengono ad individuare an im pure architecture of communication: ...This is an archi tecture of styles and signs, it is anti-spatial. It is an ar chitecture of communication over space: here, commu88 nication dominates spaces as an element in the archi-
tecture, and in the landscape (p. 75). Le grandi strade di Las Vegas su cui si affacciano le insegne o le pubbli cità dei grandi Casinos appaiono come luoghi in cui... symbolic images communicate a complexity of meanings through hundreds of associations in a couple of seconds /rom far away. Symbol dominates space. Because the spatial relationships are made by symbols rather than fonn in space. . ..else the build(ng " is " the sign. The restaurant in the shape of a hamburger is a sculptural symbol outside, an architectural shelter inside. Le con clusioni degli Autori non sono negative di fronte alle nuove realtà urbanistiche di tali architetture-insegne (i cui molteplici pacchiani esempi stilistici vengono impie tosamente individuati: si veda l'analisi del Caesar's Pa lace). Ma l'ottica puramente fenomenologica, avalutativa, del saggio ha impedito a Venturi e Scott Brown di im pegnarsi in un discorso che fosse finalmente anche ideo logico, oltre che di analisi. L'interessante articolo termi na fra osservazioni quali: ... I have analyzed it [Las Vegas] only as a phenomenon of architectural commu nication. I have not "questioned its values ". Commer ciai advertising, gambling interests and competitive in stincts exceed my scope . ... I am analyzing method not content. There is no reason, however, why the methods of commercia[ persuasion and the skyline of signs should not serve the purposes of civic and cultura[ enhance ment. But this is not entirely up to the architect. Posizioni queste tutte ribadite e alcune anzi ulte riormente approfondite e polemicamente inasprite nel l'articolo di Denise Scott Brown On Pop Art, Permissi veness, and Planning 15 nel quale l'Autrice propone a modelli culturali degli architects, planners e urban de signers l'operato degli artisti pop così come dei TV commercialmakers, dei billboard designers, dei movie makers fra i quali, non a caso, viene indicato l'Antonioni de La notte, Deserto rosso, Blow-ttp e, aggiungeremo noi certo completando e illustrando il pensiero dell'Autrice, di Zabriskie Point. Loro scopo un épater the buorgeois 89
(sic) a metà strada tra le poetiche· secentesche e i Bea tles - certo influenzato dall'effetto di « straniamento » grazie alla mediazione del Pop -; loro esempi: i Parking lots, le Gasoline stations e i billboards davanti agli edi fici e inseriti nel paesaggio. L'etica sottesa a tali opera zioni: un atteggiamento non-judgemental, permissive, nondirective che la Scott Brown fa risalire tra l'altro ad dirittura a Freud e che relate first to psychiatry. Però, avverte l'Autrice, this is not lo abandon judgement, for planned action implies judgement. Judgement is merely deferred while in order to make it more sensitive. Li king what you hate is exhilarating and liberating, but finally reaffirmin.g for judgement. Analoga posizione per quanto riguarda la progetta zione di Esposizioni e in particolare quella di Filadel fia del 1976 - e certo occorrerà aver presente quanta importanza anche in campo architettonico e urbanistico abbiano avuto le grandi esposizioni dell'Ottocento e No vecento - unita alla proposta di modest buildings with big signs, Venturi e la Scott Brown tengono ne The Bi cen.tennial Commemoràtion 1976 16• La sfida di Venturi-Scott Brown non poteva eviden temente rimanere senza risposta, soprattutto in conside razione delle ambiguità cui poteva dar adito e alla sin golarità di una posizione che coscientemente ammette di non interessarsi dei valori, di trattare del metodo e non dei contenuti e di ritenere tutto ciò fuori dell'atten zione dell'architetto. Atteggiamento tanto più inspiega bile quanto più nuoce - nella sua illusoria tensione ad una asettica avalutatività del « tecnico » - ad una in dubbia originalità e acutezza nella posizione dei proble mi e nella vivida lettura della realtà fenomenica. La ri sposta certamente più chiara e più articolata è quella che ci fornisce Tomàs Maldonado ne La speranza pro gettuale 17• Impostato su una ricca tessitura culturale e filosofica, questo volume di Maldonado dedica un capi tolo in particolare (il 15°) a confutare le posizioni espres90 se da Venturi-Scott Brown cogliendo acutamente una
delle origini delle ambiguità nella identificazione dei «segni» della cultura urbana (di cui da tempo si è parlato e si parla in una accezione della città quale fatto comunicativo) con i « signs», cioè con le «insegne» pubblicitarie commerciali. Ciò che per Venturi-Scott Brown, come si è visto, starebbe ad indicare una vera e propria « ricchezza di significato », è invece per Mal donado la prova di una «povertà comunicativa» parti colarmen tc acuta; i «signs» sono non tanto il prodotto di un'arte popolare, di una ricchezza e fantasia nella elaborazione di nuove spontanee strutture - urbane e non -, quanto lo squallido prodotto della speculazione perpetrata dai proprietari dei «casinos» e dagli opera tori immobiliari. Quindi, lontani dall'essere momento pregnante e privilegiato in un processo di libera comu nicazione e informazione, la loro caratteristica fonda mentale è di offrire informazione unidirezionale, inequi voca, di non dar adito a possibilità di «dissenso inter pretativo». Su Las Vegas - sulla quale si appuntano gli interessi del dibattito e su tutto ciò che la rappre senta, Maldonado non ha dubbi di sorta: Las Vegas non è una creazione "del" popolo, ma "per 11 il popolo. E' il prodotto finale, si potrebbe dire quasi perfetto nel suo genere, di più di mezzo secolo di larvata violenza mani polatrice tendente a formare un ambiente urbano appa rentemente libero e giocoso - come è libero e giocoso un Luna Park - ma dove gli uomini sono completa mente depauperati di ogni volontà innovatrice, · di ogni resistenza agli effetti dell'intossicazione pseudocomuni cativa. La posizione di · Maldonado, · pur nel suo carattere di apocalitticità, è certamente giustificata e fondata; rimane per altro aperto il problema - e già all'inizio se ne rilevava la presenza e la gravità ..:..... dell'esistenza così di Las Vegas come di innumeri situazioni che, nella maggior parte dei casi involontariamente e magari ta lora anche di proposito, raccolgono e propagano il mes saggio di certo seducente che ininterrottamente Las Ve- 91
gas lancia attraverso tutti i possibili canali di informa zione. In senso affatto opposto a quello di Maldonado si muovono le originali elaborazioni di Helmut C. Schulitz in The Message as an Architectural Medium 18• Precede le proposte vere e proprie una serie di considerazioni di carattere generale sulla attuale situazione della pro gettazione e su diffusi pregiudizi di architetti, quali: gli architetti hanno spesso preso gli agglomerati di comuni cazioni grafiche per disordine visuale; oppure: non han no riconosciuto il vernacolo commerciale nella sua vera forza estetica e comunicativa e, se l'hanno fatto, l'hanno immobilizzato e mummificato cambiandone il contenuto e il concetto.. Alla ricerca di un'architettura che, abbandonando i limiti ideologici e i sistemi chiusi, - gli uni e gli altri generanti o una fittizia separazione tra comunicazione grafica e architettura; o soluzioni rigidamente preordi nate nella alternativa tra big architecture with signs as small as possible e small architecture with signs as big as possible (alternativa questa lanciata da Venturi-Scott Brown) - Schulitz postula rintegrazione all'architettura di molti fattori che tuttora non - ne sono considerati parte. Fra essi l'Autore - nelle affermazioni e ancor più nella documentazione illustrativa che accompagna l'ar ticolo - dà particolare rilievo al vernacolo commerciale e al lettering. Tanta attenzione alle comunicazioni com merciali è nell'Autore motivata dalla constatazione del rilievo che tali materiali hanno in molteplici situazioni reali: In Los Angeles a billboard often takes the piace of a building - or a building replaces a billboard. Ma perché abbandonare in tal modo a una proliferazione caotica e casuale un tanto serbatoio comunicativo quan do una integrazione di « communication architecture » e « enclosure architecture » potrebbe portare a nuove ed intrinseche soluzioni del tipo di enormi strutture 92 cartellonistiche che facciano da supporto strutturale ad
abitazioni ed edifici che a loro volta sostengano strutture pubblicitarie? Le proposte di Schulitz incontrano la decisa oppo sizione di Bruno Zevi. Nel suo articolo Michelangelo il lwninato al neon. Architettura e pubblicità 19, egli rim provera a Schulitz di non impegnarsi a studiare metodi atti a contrastare la disgregazione delle nostre città ma di trastullarsi piuttosto con un mito e un'ideologia: il messaggio pubblicitario come espressione architettonica. Già da queste affermazioni appare quale sia quindi la sua posizione; nel corso dell'articolo però Zevi si sforza ancora di dimostrare la nullità di un discorso sullo spes sore architettonico dei mezzi pubblicitari urbani muo vendo - a differenza di Maldonado - una critica non tanto al «significato» culturale e politico che una pub blicità/architettura avrebbe, quanto piuttosto alla sua inconsistenza sotto l'aspetto architettonico. Con Zevi, già del resto nominato nell'articolo di Ven turi-Scott Brown - se ne veda la citazione più sopra - possiamo provare (prima di venire ai più polemici interventi dell'Institute for Architecture and Urban Stu dies su « Casabella») a dimensionare il discorso anche alla situazione italiana, senza pretendere di fornire un quadro completo del dibattito ma rilevandone piuttosto alcuni aspetti; quelli - come sempre - che ci sembrano più funzionali alla nostra esposizione al fine poi,. se pos sibile, di tentare di continuare «in proprio » l'argomento. Non è senza significato - a testimoniare l'incer tezza di atteggiamenti critici fino a poco fa esistente in Italia - che meno di tre anni or sono un numero doppio di «Casabella » :ii fosse dedicato all'Arredo ur bano e che in tale numero coesistessero « letture » della .« immagine della città» alla Kevin Lynch; problemi di segnaletica; La città come sistema di comunicazioni di G. K. Koenig (indice di come una spinta decisiva al porre in evidenza il fenomeno sia giunta dall'approccio se miologico agli elementi grafico e architettonico); un in tervento sulla pubblicità urbana e uno sulla legislazione 93
relativa a tale materiale e, ancora una volta emblema tica, una breve lettura, definita « filmica », di Las Ve gas di giorno e di notte condotta per immagini e qual che riga di testo (Gruppo 1999). I risultati su Las Vegas: - di giorno-: Nulla: non esiste nulla;- di notte-: Una città dove non c'è città. Città pop? Non ci interessa. E' spazio creato dalla elettricità... Città elettrica... Si può progettare con l'elettricità. A tale disconoscimento dello spessore urbano di Las Vegas faceva eco, riconoscendo l'esistenza del problema pubblicitario nel contesto cittadino, l'intervento di G. Illiprandi (Pubblicità infedele) riproponendo però un atteggiamento esecrativo: ... una inutile esibizione di for me ingigantite e di colori contrastanti, rivolti solo a vio lentare ogni prospettiva architettonica o paesaggistica ... Analoga la linea di Luigi Ballini (Lo spazio di nessuno). Possiamo ascrivere a tali posizioni anche il volume (uscito in forma di catalogo di una mostra itinerante) La tigre di carta. Viatico alla retorica pubblicitaria 21 a cura di un gruppo di studenti dell'Istituto di St. del l'Arte dell'Un. di Parma: l'angolazione del lavoro è quin di ancora nei termini (per quanto riguarda il rapporto tra città e pubblicità) di organizzare, localizzandola, la pubblicità medesima, ristabilendo i parametri umani del nostro " centro " storico, dei nostri " centri storici " cittadini; eliminare quindi la città del mito per recu perare quella reale evidentemente ancora all'interno del l'ipotesi di contenimento e riforma, dentro il confine di un « discoprimento » del tradizionale centro urbano. Non si spinge cioè verso le strade della città-pubblicità, dei logotipi tridimensionali, dei simboli-abitazioni o del le abitazioni-simbolo; ma presenta notevoli spunti criti ci, compie alcune analisi e offre un vasto repertorio di immagini. L'impostazione generale del metodo di let tura è quella semiologica e linguistica (come appare nell'introduzione del volume). Già in precedenza taluni aspetti della questione era94 no presenti nel volume curato da Gilio Dorfles Il Kitsch
e, in esso, particolarmente nel capitolo steso da Vittorio Gregotti (Kitsch e Architettura); sempre di Dorfles non possiamo non citare alcuni celebri lavori: ma l'an golazione dalla quale l'Autore affronta l'argomento è al quanto diversa; occorre innanzitutto dire come egli abbia sempre dimostrato un interesse e una sensibilità tutti particolari verso le varie manifestazioni pubblici tarie e, anzi, più di una volta le abbia messe in relazione anche alla architettura e al dibattito sulla necessità di una risemantizzazione delle forme architettoniche at- testandosi su posizioni che hanno sovente anticipato temi affrontati nella attuale disputa su Las Vegas. Citiamo qui Le oscillazioni del gusto, Simbolo comunicazione consumo, Nuovi riti, nuovi miti, Crescita e sopravvi venza nella civiltà tecnologica, Il divenire delle arti, Ar tificio e natura; due brani ci sembrano comunque indi cativi a darci il pensiero di Dorfles a proposito del no �tro discorso: il primo è tratto da Nuovi riti, nuovi miti: ... alla pura e semplice segnaletica del traffico dobbiamo aggiungere ancora tutti gli altri elementi figurativi che co prono le pareti delle case, i muri delle strade, l'interno e l'esterno dei mezzi di trasporto: figure pubblicitarie, scritte, grafici, luci al neon; nonché tutto il vasto pano rama del/'« arredamento urbano» ( ... ). Come si potrebbe pensare che la nostra mente, il nostro gusto, la nostra ca pacità percettiva e rappresentativa, non siano influenzate da codeste figurazioni? 23• Il secondo brano ( tratto da Sim bolo comunicazione consumo) affronta più specificamente il tema pubblicitario in rapporto al fatto architettonico: ma anche se parte da un'angolatura marginalmente di versa da quanto si è sin qui fatto - architettura pub blicitaria piuttosto che pubblicità architettonica ....._ pre senta notazioni e considerazioni indubbiamente originali e interessanti anche ai nostri fini: [La semantizza zione dell'architettura] ci farà intendere come si possa discorrere oggi, senza arrossire, d'una architettura "pub blicitaria " ( esempio tipico quello della Torre Pirelli di Ponti a Milano, o del Seagram Building di Mies .a New 95 22
York), architettura che ha come suo compito quello di pubblicizzare un prodotto, una ditta, un nome attra verso la pubblicizzazione dello stesso discorso architetto nico che gli è sotteso 21. Anche Renato De Fusco in Architettura come mass medium 25 tocca il problema dell'ardùtettura pubblici taria: nel vasto repertorio d'immagini organicamente e funzionalmente inserite nel volume e, nel corso della trattazione, in relazione al dibattito sulla cultura di mas sa e alla legittimità di ascrivere ai mass media l'archi tettura contemporanea; e più in particolare, per quanto concerne la rilevanza anche in tale campo di eventi qua li le Grandi Esposizioni: L'Architettura [ nelle Grandi Esposizioni] diventava così anche una colossale mani festazione propagandistica e la moderna pubblicità na sceva nello stesso periodo (p. 81). E, più avanti, affron tando l'esigenza di risemantizzare il linguaggio architet tonico:. l'unica operazione critica relativa ai mezzi di comunicazione di massa è quella di tentare un loro mu tamento di funzione e di cogliere gli eventuali signifi cati che stanno sotto le negative apparenze (p. 87). (Po sizione che, se non andiamo errati, potrebbe probabil mente essere avvicinata, nel suo impegno di comprensio ne del fenomeno e non certo nella linea ideologica, a quella di Venturi-Scott. Brown). Da ultimo accenno di passaggio anche a un mio contributo; sul n. 66 de « La Biennale di Venezia » ap parve - invero assai in ritardo rispetto all'epoca di stesura - un articolo dal titolo Lingua e " parole " nel messaggio pubblicitario urbano liii. Tale breve intervento riassumeva parte di una più vasta elaborazione stesa nel 1968. L'articolo prende in considerazione talune nuo ve situazioni semantiche createsi all'interno della città con l'adozione di particolari misure tese a limitare gli eccessi nella circolazione e nel traffico stradale e quindi, conseguentemente 1) - i mutati .rapporti fra cittadino fruitore e messaggi pubblicitari giganti derivati appunto 96 da una ·mutata velocità di scorrimento e quindi di let-
tura e fruizione; 2) - il ripercuotersi di tutto ciò sulla realtà architettonica urbana e la nascita e sviluppo di quella che ho chiamato la « città-pubblicità ». Il metodo di lettura proposto nell'articolo è ancora una volta di tipo linguistico: anzi vi è un tentativo di applicare le nozioni di « langue » e « parole » a quello che viene in dividuato come il « linguaggio » della pubblicità urbana. La rilevanza costruttiva e la funzione di delimitazione/ strutturazione di un habitat spaziale e culturale, e quin di la modellazione di un comportamento, sono il mo tivo che con insistenza si è tentato di rendere evidente, sia nei confronti della cartellonistica - nelle sue varie forme - sia della vetrinistica, delle forme pubblicita rie tridimensionali, degli shopping centers, supermarkets e affini. Ed eccoci finalmente giunti all'acme dell'azione: la sciando da parte le esercitazioni o le possibilità virtuali, le opposte posizioni, scontrandosi frontalmente, escono allo scoperto e dichiarano più o meno esplicitamente, le matrici - le teorie - alle quali intendono richiamarsi. E' « Casabella » che sollecita ed accoglie accuse e ri sposte; e, proprio partendo dal fantasmagorico scenario di Las Vegas, D. Scott Brown e K. Frampton scendono in campo a misurarsi direttamente. In Learning frnm pop 27 la Scott Brown riprende i terni che già nei precedenti articoli aveva affrontato: in particolare vedendo nelle multiformi manifestazioni della cultura di massa i modelli per un rinnovamento della sensibilità architettonica. Questo rinnovamento non può avvenire che in base ai bisogni - manifestati o re pressi - della classe per la quale si costruisce; bisogni che hanno il loro riferimento iconografico in tutta la gamma dell'immaginario ambientale suggerito dalla co municazione di massa e pubblicitaria in particolare: mo vies, soap operas, pickle and furniture-polish ads (p. 15). Tutto questo repertorio di immagini, secondo la Scott Brown, fa parte e costituisce la cultura popolare, ciò che il popolo vuole e in cui . deve essere accontentato. 97
Gli architetti quindi devono apprendere a scoprire queste esigenze ed appagarle. Sulle fonti di una tale ispirazione ancora una volta la Scott Brown chiede di sospendere ver ora il giudizio, affinché esso divenga in seguito più sottile (p. 21 ). Queste posizioni ci erano note fin dagli ar ticoli dei quali più sopra abbiamo parlato (e allora se ne erano rilevati taluni punti critici); qui riaffiora con particolare insistenza l'identificazione della qualificazione 'di massa ' con 'popolare ': le conseguenze appaiono ab bastanza chiare. La replica di Frampton (America 1960-1970 Notes on Urban /mages and Theory) 28 dopo l'iniziale stori cizzazione (si veda più sopra) attacca con particolare vigore proprio l'avalutatività - il sospendere per ora il giudizio - che era stato invece l'alibi o lo strumento operativo, a seconda delle opinioni - che aveva consen tito a Venturi-Scott Brown di dedicarsi con tanta pas sione e - occorre dirlo - libertà, alla lettura della ce lebre Strip. La contestazione si sposta poi decisamente sul piano politico e fornisce - finalmente - alla disputa su Las Vegas e in genere al problema del rinnovamento della cultura architettonica americana la chiave di deci frazione più importante.· Anche sul piano della critica estetica, Frampton non è disposto ad accettare l'identificazione di Pop Art e 'cultura popolare consumistica ': assieme a quella af fine in precedenza indicata ('popolare ' / ' di massa ') è questa un'altra identificazione data per scontata dalla Scott Brown e sulla quale l'Autrice poggia il suo ambi guo sistema. Frampton replica: [ Las Vegas] non rap• presenta un'opera di 'Pop Art ',· e questo perché, come ha, fatto ben notare Robert Indiana, il 'Pop è fatto con un'asprezza e una concretezza tale che non fa certo parte degli strumenti abituali dell'arredatore ' (p. 30). Ma è più a monte che il problema va affrontato e risolto: La formazione progettuale che matura nelle uni versità dell'Europa occidentale ed americane si imper98 nia sostanzialmente sull'abilità e sui successi tecnolo-
gici del neocapitalismo; (p. 30). Incastrati in questo tipo di società archi tetti e urbanisti sono impegnati lucrosa mente a razionalizzare in pubblico e post-facto l'inqui namento già operato sui nostri ambienti (p. 30). Ritornando a Las Vegas e al metodo non-judgemen tal, Frampton non ha dubbi di sorta: ... inneggiare in ter mini integralmente visualistici e paesaggistici alla Kitsch midcult di Las Vegas, come a un modello di urbanesimo, rappresenta una risposta che difficilmente ci sentiamo di chiamare progressista. Nonostante si sia dichiarata l'as sunzione dimostrativa di un metodo svincolato dal pro blema dei valori, l'implicita dicotomia tra forma e con tenuto rimane una circostanza priva di validità culturale (p. 32). Infine, la risposta della Scott Brown 29 assai chia ra, questa volta, fin dall'inizio: secondo lui [Frampton] gli architetti dovrebbero dimostrarsi drastici proprio nel modo più sbagliato e cioè ponendo il loro mestiere non tanto al servizio delle riforme sociali, quanto al servizio di una rivoluzione in architettura: il che rappresenta un compito molto più comodo, visto che non vi è la più remota eventualità di poterla realizzare (p. 39). L'au trice, quanto a Las Vegas, risponde alle critiche ri vendicando ulteriormente non solo il diritto ma anche la necessità di letture sul tipo di quella da lei condotta; l'atteggiamento ' riformista ' domina tutta la seconda parte dell'articolo in forma quasi di manifesto e polemiz za con i rivoluzionari da ' boudoir ' che se ne stanno comodamente seduti in una ben imbottita università ame ricana, fino a concludere che il proprio punto di vista si prova con la propria azione. Molte più cose, dopo questo scontro finale, ci risul tano chiare. L'atteggiamento non-judgemental, fondamen talmente: quello che, riportando al livello percettivo e formale i problemi, può poi contrabbandare per ' popo lare ' ciò che è ' di massa ' e ' del' popolo ciò che di fatto è ' per' il popolo. Concludiamo osservando come il discorso si sia am pliato notevolmente nelle varie posizioni dei parteci- 99 1
panti alla disputa: dall'incanto per Las Vegas (Wolfe, Antonioni) alla sua analisi formale (Venturi - Scott Brown, Gruppo 1999), alla sua assunzione come modello ( Scott Brown, Schulitz), al rifiuto filosofico e ideologico (Maldonado), alla contestazione sul piano politico (Fram pton). La città pubblicitaria - e Las Vegas abbiamo detto che ne è l'esempio più completo e realizzato non consente evasioni, né alcuna caduta dell'attenzione critica. Ricchi di questa esperienza, riportiamo allora il nostro discorso là dove l'avevamo lasciato. Tre ci sembrano essere gli elementi distintivi e pe culiari del sottosistema della pubblicità urbana: 1) L'essere il sottosistema della pubblicità urbana la più immediata esplicitazione sul territorio del potere economico, e quindi del 'sistema', sul cittadino/fruitore. 2) Il costituire il sottosistema della pubblicità urbana l'ideologia dell'urbano secondo il potere in atto. 3) La progressiva dimensionalizzazione del sotto sistema della pubblicità urbana e il sempre maggior rilievo della sua consistenza materiale. Tali caratteristiche se valutate alla luce di fatti quali il dibattito su Las Vegas portano a intravvedere un certo tipo di futuro per il sistema urbano. Ma quale futuro? Macrostrutture pubblicitarie si espandono in ma niera tentacolare e inghiottono ogni tempo, luogo, co municazione urbani. Il cerchio della comunicazione urbana - il linguag gio della città - si chiude definitivamente quando la città diviene l'oggetto stesso della pubblicità, rimanda a se stessa. Se Mc Luhan osservava La metropoli oggi è un'aula: gli avvisi pubblicitari ne sono i maestri. L'aula è una stantia casa di detenzione, una cella feudale 30, nella città-pubblicità non sussiste più la bipolarità di questo enunciato: la casa di detenzione si trasforma in un com plesso di itinerari consumistici; quelli che un tempo 100 erano gli avvisi pubblicitari diventano essi stessi case,
palazzi, chiese, musei, quartieri, le nuove 'parole ' del linguaggio cittadino. L'identificazione tra struttura urbana � lato sensu - e struttura di comunicazione pubblicitaria è ormai perfetta; e ciò avviene proprio sulla base della natura comunicativo-linguistica del sistema urbano: è sufficien te operare una facile sostituzione all'origine del processq (laddove gli operatori linguistici pianificano e decidono le esigenze dei consumatori) perchè la catena della comu nicazione si affianchi alla catena di montaggio e si iden tifichi con essa. Al significato urbano-pubblicitario gli operatori pos sono dare con facilità un corrispondente significante ur bano-pubblicitario: Las Vegas-Utopia ha preparato la strada. I « Nel mondo circostante in cui è inserita la intersoggettività umana le cose sono oggetti che ci stanno di fronte come mere cose della circostanzialità fisica: ma divengono oggetti di ordine superiore, oggetti culturali ' attraverso le appercezioni di valore, attraverso le appercezioni pratiche, ecc. '. La manipolazione, la praxis e le variè mo dalità di comportamento nella Umwelt dei rapporti umani danno luogo acl un ambiente strutturato come cultura, significato, forma dotata di senso•· (S. VECA, Morfologia e urbanistica, « Aut Aut• 102 (1967), 2951 ). La citazione è tratta dall'Appendice XIV alla terza sezione di
E. HusSERL,
Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fe• nomenologica, II, Einaudi, Torino 1965, p. 766 e segg.
Tutta questa lunga Appendice XIV offre, fra l'altro, notevoli spunti teoretici riguardo al problema delle morfologie dell'ambiente - arreda mento domestico, armi, religioni, simboli, ecc. - dei soggetti; e risul- · tano estremamente interessanti, a mio avviso, le considerazioni che Veca ne trae in rapporto al problema urbanistico. Si vedano, al propo sito, di « Aut Aut•• oltre al n. 102, anche i no. 104 (E. PACI e P. A. Ro VATII, Persona, mondo circostante, motivazione (1968), 142-71 e 105/6; S. VECA, implicazioni filosofiche della nozione di ambiente (1968) 172-82). 2 Si veda in particolare T. .MAUJONADO, La speranza progettuale, To rino 1970, p. 11 nota I. Tra i saggi ivi citati si veda a tal proposito quello di F. Rossr-LINDI, li linguaggio come lavoro e come mercato, Bompiani, Milano i968. 3 T. MALDONAOO, La speranza progettuale, Einaudi, Torino 1970, ca pitolo 1°. 4 R. BARTHES, Elementi di Semiologia, Einaudi, Torino 1966, p. 39. Barthes porta l'esempio dell'impermeabile la cui funzione è di proteggere dalla pioggia, funzione che è però indivisibile dal segno di una certa condizione ciel tempo atmosferico; questo oggetto-segno imper meabile e tutti quelli di una società che ormai non produce altro che oggetti standardizzati, non costituiscono altro che « le parole di una lingua, le sostanze di una forma significante"· Impossibile sarebbe
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inoltre trovare un oggetto senza significato, cioè un oggetto che sia di nuova specie, che non si avvicini in nulla ad altri già presenti: l'esistenza o la credibilità di tale oggetto è ipotesi irrealizzabile in una qualsiasi società (principalmente e proprio per il fatto di essere so• cietà). 5 R. BARTHES, Elementi cit., p. 39. 6 S. BETTINI, Lezioni di Storia dell'Arte Medievale - Lezioni di Este tica, A.A. 1965/66, Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Padova (dispense ciclostilate), pp. 61-2. 7 H. LEFEBVRE, /I diritto alla città, Marsilio Padova 1970, pp. 64-8. s Fra i numerosi interventi ricordiamo qui quelli che ci sono sem brati i più significativi. In essi sarà possibile reperire un completo repertorio bibliografico sull'argomento. Non sarà fuori luogo partire da alcuni interventi che - ora - appaiono profetici di un certo filone di sviluppo della critica contemporanea: S. BETIINI, Venezia, Ist. Geo. De Agostini Novara 1950; e Critica semantica; e continuità siorica del l'architettura europea, « Zodiac •, 2 (1958) 7-25. C. LEVI-STR,\USS, Tristes Tropiques, Plon Paris 1955 (in esso l'ormai celeberrima analisi del vii-· laggio Bororo). Più specificamente sul nostro argomento: F. C110AY, Sémiologie et urbanisme, « Architecture d'aujourd'hui », 38 (1967), 810; R. BARTHES, Semiologia e urbanistica, « Op. cit. •, 10 (1967), 7-17; G. K. KoENIG, La città come sistema di comunicazioni, « Casabella "• 339/40 (1969), 20-1; T. MALOONAOO, La speranza cit.; H. LEFEDVR!l, li diritto cit.; U. CARDARELLI, Lettura storico-semiologica di Palmanova, « Op. sit." 17 (1970), 42-67. (Altre indicazioni si trovano nei lavori citati nella nota che segue). 9 Anche su questo particolare, sistema, sulla sua configurazione e lettura in senso semiologico e linguistico esiste una vastissima serie di interventi: senza entrare nel merito della questione, ci limitiamo - come s'è fatto per l'urbanistica - a citarne alcuni di significativi: G. K. KoENIG, Analisi del linguaggio architettonico, L.E.F. Firenze 1964; U. Eco, Appunti per una semiologia delle com1micazioni visive, Milano 1967 (poi in La struttura assente, Bompiani Milano 1968); R. DE Fusco, Arcltitettura come mass-medium, Dedalo, Bari 1967; C. BRANDI, Strut tura e architettura, Einaudi, Torino 1967; M. TAFURI, Teorie e storia dell'architettura, Laterza, Bari 1968; G. DoRFI.ES, Simbolo comunica zione consumo, Einaudi, Torino 1962; RODRIGUllZ-ROSSl·SALGARELU·ZIM· llONE, Architettura come semiotica, Tamburini, Milano 1968; inoltre, su vari numeri di « Op. cit. »: n. 2: R. DE Fusco, Architettura come lin guaggio, pp. 93-99; n. 7: DE Fusco-PALMIERI·PASCA RAYMOND!, Note per una semiologia figurativa, pp. 49-66; n. 10: R. BARTHES, Semiologia cit.; n. 11: G. MORPURGO-TAGLIABUE, L'arte è linguaggio?, pp. 4-45; n. 12: R. DE Fusco, Tre contributi alla semiologia architettonica, pp. 5-19; n. 13: M. L. ScALVINI, Per una teoria dell'architettura, pp. 30-45; n. 16: DI! Fu sco-ScALVINI, Significati e significanti nella Rotonda palladiana, pp. 526; G. DoRFLES, Valori iconologici e semiologici in architettura, pp. 2740; n. 17: U. CARDARELLI, Lettura cit.; n. 18: E. GARRONI, Semiotica e architettura. Alcuni problemi teorico-applicativi, pp. 5-33; n. 19: DE Fu sco-ScALVINI, Segni e simboli del tempietto di Bramante, pp. 5-18; n. 20: R. DE Fusco, Utilità storiografica di 1111a dicotomia linguistica, pp. 5-17; M. L. SCALVINI, Meaning in Architecture, pp. l&-43; n. 22: U. Eco, Ana lisi componenziale di u11 segno architettonico, pp. 5-29, poi in Le forme del contenuto, Bompiani, Milano 1971. B. ZEVI, Alla ricerca di u11 co dice per l'architettura, «L'Architettura•, 145 (1967); sulla stessa Rivi sta, dello stesso: Povertà della filologia architettonica, 146 (1967); Verso una semiologia architettonica, 147 ( 1968).
IO LEFEBVRE, Il diritto cit., p. 82: ci La pubblicità diventa l'ideologia stessa di questa società ». 11 II riferimento a Tom Wolfe, già presente in Venturi-Scott Brown _ e n�reso fra gli altri da Maldonado, è d'obbligo in particolare dopo cl�e e apparso anche in italiano un suo secondo libro: L'Acid Test al Ri!1fresko E!eltriko, Feltrinelli, Milano 1970, dopo La Baby Aerodina ''?'ca Kolor Karamel/a, Fcltrinelli, Milano 1969; la letteratura in propo sito non è facilmente localizzabile anche perché proprio i mezzi della cultura di massa, dei cui messaggi Las Vegas è, insieme, la volumiz zazione e il simbolo forse più significativo e allucinante, dopo averla generata s.: ne sono ulteriormente impossessati e tuttora continuano a mercificarne l'immagine in innumeri prodotti. 12 K. FR,1:-t!'TON, America 1960-1970. Notes 011 Urban lmages and Theory, « Casabella • 359/60 (1971), pp. 25-38. Il Cioè sul tipo di quelli di K. LYNCH, L'immagine della città, Mar silio, Padova 1964; L. RoDWIN (a cura di), La metropoli del futuro, Marsilio, Padova 1964; G. KEPES, Note su/l'espressione e la comunica zione nel paesaggio urbano, in La metropoli, cit.; V. GRUEN, The heart of our cities, Thamcs & Hudson, London 1965; J. SUTTON, Signs in actio11, Studio vista, London - New York 1965; e i molti la,vori diretti da G. Kepcs allo Studio Vista di Londra. 14 R. VENTURI - D. Scon BROWN, A Significance for A & P Parking Lots or Leami11g /rom Las Vegas, «Lotus• 5 (1968), pp. 70-91. 1s D. Scon BRowN, 011 Pop Art, Permissiveness, and Pla11ning, « AIP Journal • mav 1969, pp. 184-86. 16 VENTURÌ - Scon 8ROWN, The Bice11ten11ial Commemoration 1976, « Forum • oct. 1969, pp. 66-09. 17 MAUlONAOO, La speranza cit. 18 H. C. SCHUI.ITZ, Thc Message as a11 Architectural Medium, • Fo rum• may 1970, pp. 44-49. 19 B. ZEVI, Michelangelo illuminato al Neon. Architettura e pubblicità, •L'Espresso», 16-VITI- 1970. 20 « Casabella • 339/40, 1969. . . . . 21 AA.VV., La tigre di carta. Viatico alla retorica pubblicttana, Ist. St. dell'arte, Parma 1970. 22 G. DoRFLES li Kitsch, Mazzotta, Milano 1968. 23 G. DoRFLES: Nuovi riti, nuovi miti, Einaudi, Torin�, 1965_. p. 25�. 24 G. DoRFLES, Simbolo comunicai.ione consumo, Emaud1, Tonno, 1962, p. 189. . . . 25 R DE Fusco Architettura cit. 26 G: ROMANE�J, Lingua e 'parole' nel messaggio pubbl1ct1ar,o urbano « La Biennale di Venezia •, 66 (1970), pp. 12-17. 21 Scon BROWN, Learning from pop, « Casabella • 359/60 (1971), pp. 14-23. · . . 28 K FRAMPTON America c1t. 359/60, (1971), 29 o: scon BR�Wl'(, Reply to Frampton, • Casabclla • . pp · 39-46 I"/ respiro, m La CO 30· M."· Mc LUHAN, Cinque dita sovrane tassavano M. Mc LUHAN), La e ER mu111caz1one d"1 massa (a cura di E. CARPENT Nuova Italia, Firenze 1966, p. 254·
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