Op. cit., 31, settembre 1974

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Grafica: Almerico de Angelis

Edizioni " Il centro Âť


s

G. Zou.o;

Elementi della progettazione scientifica

R.

Il segno indefinito della semiologia urbanistica

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Note sulla cultura a

41

VINOGRAD,

A.

PIROMALLO GAMBARDELLA,

c.

LENZA,

e

mosaico»

Arbitrarietà e motivazione del linguaggio architet­ tonico Errata-corrige

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Elementi della progettazio ne scientifica GIUSEPPE ZOLLO

1. Già nel 1931 H. Meyer definiva il bisogno di un rap­ porto più stretto tra analisi architettonica e metodologia scientifica, auspicando la fondazione dell'architettura come scienza: 1) L'architettura non è più architettura, costruire è divenuto una scienza. L'architettura è scienza del costruire. 2) Costruire non è un problema di sentimento, ma di cono­ scenza. Costruire non è perciò un'operazione compositiva, ispi­ rata al sentimento 1• Ma solo dopo la seconda guerra mon­ diale si realizzano le condizioni storiche e le premesse co­ noscitive che permettono lo sviluppo sistematico dell'ipotesi di scientifizzazione della disciplina architettura. Infatti, ac­ canto ai motivi di fondo originati dalle disfunzioni dello svi­ luppo del secondo dopoguerra ( constatazione della perdita dei significati pubblici dell'architettura..., esigenza di con­ trollo delle trasformazioni dell'ambiente fisico e antropogeo­ grafico.. , esigenza di... un metodo oggettivo, logico e anali­ tico) 2, vi è la diffusione di una serie di ricerche applicate e teoriche dalla Ricerca Operativa alla Analisi dei Sistemi, dalla Cibernetica alla Scienza dei Computer, che definiscono un nuovo universo culturale. L'obiettivo comune di tali ricerche è la messa a punto di processi conoscitivi atti non tanto ad una descrizione delle singolarità, quanto un far ordine dei fatti e una elaborazione di generalità 3• In sostanza per le scienze sociali si definiscono due esi­ genze specifiche: necessità di un approccio che acquisisca il reale come totalità, e il bisogno di eseguire esperimenti controllati secondo i criteri comuni del metodo scientifico. 5


Nel conseguimento di tali obiettivi acquistano un ruolo es­ senziale concetti quali quelli di sistema e di modello. 1.1. Il concetto di sistema Il concetto fondamentale intorno a cui ruota la riorga­ nizzazione scientifica delle discipline sociali è quello di si­ stema. Tale concetto riesce a circoscrivere i fenomeni sociali eliminando le notevoli riduzioni e schematizzazioni dell'ap­ proccio razionalista, che ha impedito il trasferimento dei metodi scientifici dalle scienze naturali alle scienze sociali. Il sistema è definito come un insieme di oggetti e delle relazioni tra di essi e tra i loro attributi 4, dove gli oggetti sono semplicemente le parti o le componenti di un sistema, e queste parti possono essere assai varie, ... gli attributi sono le proprietà degli oggetti, ... le relazioni a cui noi ci riferiamo sono quelle che tengono unito Il sistema 5• Praticamente in ogni sistema è possibile definire delle relazioni (per esempio, si può considerare come relazione la distanza tra due og­ getti) 6, ma è assolutamente impossibile definire tutte le re­ lazioni esistenti, per cui verranno definite solo le relazioni si­ gnificative. In tal senso possono essere descritti in termini sistemici sia oggetti reali e le loro relazioni (sistemi fisici), sia concetti e le loro relazioni (sistemi astratti o concettuali). Allorché viene definito il concetto di ambiente di un si­ stema si passa dal sistema come molteplicità al sistema come totalità: l'ambiente è l'insieme di tutti gli oggetti in cui il cambiamento di attributi influisce sull'intero sistema, e di quelli i cui attributi a loro volta sono cambiati dal comporta­ mento del sistema 7• La doppia definizione della realtà costi­ tuisce la peculiarità dell'approccio sistemico: da una parte la realtà è molteplicità (insieme di oggetti, attributi e rela­ zioni); dall'altra .la realtà è totalità e unità inscindibile. Ber­ talanffy confronta tale approccio con quello analitico: « Pro­ cedura analitica » significa che una certa entità, sottoposta a indagine, va risolta in parti, e che può pertanto essere costi­ tuita da queste, o ricostituita a partire da esse, dovendosi 6 intendere che queste procedure sono considerate sia in senso


materiale che concettuale. I!: questo dunque il principio fon• damentale della scienza « classica », e lo si può delimitare in modi diversi: risoluzioni in treni causali isolabill, ricerca di unità « atomiche » nei vari settori scientifici, ecc....L'appli• cazione della procedura analitica dipende da due condizioni. La prima è che le interazioni tra le « parti » non esistano, o siano talmente deboli da poter essere trascurate per certi scopi della ricerca. Solo a queste condizioni le parti possono essere « lavorate », realmente, logicamente e matematica­ mente, ed essere poi « messe insieme ». La seconda condizione è che le relazioni descriventi il comportamento delle parti siano lineari; solo allora è data la condizione di sommatoria, vale a dire la condizione per cui un'equazione che descrive il comportamento del complesso ha la stessa forma delle equazioni che descrivono il comportamento delle parti; i pro­ cessi parziali possono venire sovrapposti per ottenere il pro­ cesso complessivo, ecc. Queste condizioni non sono soddisfatte da quelle entità che chiamiamo sistemi, che sono cioè costi• tuite da parti « in interazione » • .•. Il problema metodologico della teoria dei sistemi è pertanto quello di provvedere a dei problemi che, se confrontati con quelli di tipo analltico-som­ mabile della scienza classica, sono di una natura più ge­ nerale 8• Secondo la natura degli elementi, attributi e relazioni del sistema, e del rapporto tra sistema e ambiente è possi­ bile definire sistemi particolari: si distinguono così sistemi chiusi e aperti, a seconda se esistono o non scambi di infor­ mazioni tra sistema e ambiente; sistemi adattivi, che cioè pos­ seggono la capacità di reagire al loro ambiente in modo che esso sia favorevole al comportamento del sistema 9; sistemi stabili, se le variabili del sistema variano entro determinati limiti; sistemi con feedback (retroazione), se alcune infor­ mazioni tra sistema e ambiente; sistemi adattivi, che cioè pos­ correggere le informazioni di entrata (inputs). Se il concetto di sistema riesce a dare una lettura omogenea dei fenomeni più differenziati, è con l'uso degli isomorfismi che tale fatto assume una particolare importanza. Infatti l'isomorfismo è una corrispondenza uno-a-uno tra oggetti che conservano le 7


relazioni tra gli oggetti 10 • In tal modo è possibile definire modem, principi e leggi che si applicano ai sistemi generaliz• zati indipendentemente dal loro genere, dai loro elementi particolari e dalle« forze» implicate 11• Questa similarità strut­ turale permette il trasferimento di concetti conoscitivi da una branca disciplinare ad un'altra. In questo senso, afferma Ber­ talanffy, noi postuliamo una nuova disciplina che chiamiamo Teoria Generale dei Sistemi. Il suo oggetto di studio consiste nella formulazione e nella derivazione di quei principi che sono validi per i « sistemi » in generale. ... Ne risulta allora che una teoria generale dei sistemi costituirebbe un utile strumento capace di fornire, da un lato, modelli che possano essere impiegati in campi diversi e trasferiti dall'uno all'altro di quest'ultimi, e, dall'altro lato, di difenderci da quelle vaghe analogie che hanno spesso danneggiato i progressi interni a quegli stessi campi di ricerca 12• Esistono vari tipi di approccio alla realtà in termini sistemici quali: la teoria « classica » dei sistemi, che applica le matematiche classiche con lo scopo di stabilire dei principi che siano applicabili ai sistemi in ge• nerale oppure a delle sottoclassi definite Il; la simulazione al calcolatore, che apre campi dove non esistono teorie matema­ tiche o metodi di soluzione 14; la teoria degli insiemi, che permette l'assiomatizzazione delle proprietà formali del si­ stema; la teoria dei grafi, che analizza le proprietà struttu• rali e topologiche dei sistemi ( una figura è un grafo allorché è costituita di certi punti A, B, C, D, E, F, che si dicono vertici e di certi segmenti congiungenti vertici, come AB, EC, ecc., che si chiamano spigoli del grafo) 15; la cibernetica, che è una teoria del controllo dei sistemi basata sulla comu• nicazione (trasporto di informazione) tra il sistema e l'am• biente circostante, nonché interna al sistema stesso, e sul controllo (retroazione) della funzione del sistema rispetto all'ambiente 16•

1.2. Il concetto di modello 8

La parola modello è spesso usata in modo ambiguo: Essa può significare una teoria, una legge, un'ipotesi, un'idea strut•


turale, un ruolo, una relazione, un'equazione, una sintesi di dati ( Skilling, 1964); oppure « come nome significa rappre­ sentazione; come aggettivo, grado di perfezione; come verbo, dimostrare» (Haggett, 1967) 17• Nella progettazione la parola modello è usata come sostituito della parola teoria, e può essere definita come uno schema o un sistema di idee o come una definizione per spiegare un gruppo di fatti o di feno­ meni 18 • Più precisamente Echenique definisce il modello come una rappresentazione della realtà osservata, dove la realtà consiste degli oggetti o dei sistemi che esistono, sono esistiti o possono esistere 19• Il rapporto che si stabilisce tra modello e realtà è un rapporto uno-a-uno; è tale corrispondenza che determina e caratterizza un modello: Due teorie le cui leggi hanno la stessa forma sono isomorfe o strutturalmente simili tra loro. Se le leggi di una teoria hanno la stessa forma di quelle di un'altra, allora si può dire che una è modello del­ l'altra. Questa definizione di modello in termini di isomor­ fismo tra teorie definisce il termine in modo non ambiguo. Come possiamo vedere se due teorie sono tra loro isomorfe? Supponiamo che un'area, indicata da .un insieme di concetti descrittivi, sia il modello di un'altra area su cui si sa ancora poco. I termini descrittivi della teoria dell'area meglio cono­ sciuta sono posti in corrispondenza uno a uno con quelli del­ l'area nuova. Per mezzo di tale corrispondenza, le leggi di un'area sono « passate » nelle leggi dell'altra 20• In sostanza il modello è un sistema astratto analogo ad un sistema con­ creto, su cui è possibile seguire esperimenti controllati. Il modello diviene quindi uno strumento conoscitivo essenziale alle scienze sociali, in quanto lo scopo principale di un mo­ dello è dare un quadro semplificato ed intellegibile della realtà per poterla capire meglio. Dovrebbe essere possibile manipolare il modello in modo da proporre dei miglioramenti della realtà 21• Echenique indica tre modi di classificazione del modello, rispetto a ciò per cui un modello è fatto, da ciò di cui è fatto, e come è trattato il fattore tempo. Per quanto riguarda il primo aspetto, un modello può essere descrittivo, previsio­ nale, esplorativo e di planning: L'intenzione principale del 9


modello descrittivo è capire la realtà, di solito per stabilire come avviene un particolare fenomeno e per descrivere le relazioni tra i fattori rilevanti. ... Lo scopo del modello previsionale è prevedere il futuro... Il modello esplorativo vuole scoprire altre realtà che possono essere logicamente possibili variando sistematicamente i parametri di base usati nel mo­ dello descrittivo... Con il modello di planning si introduce una misura della ottimizzazione in termini di criteri scelti per determinare i mezzi per raggi-ungere gli obiettivi del planning 22• Rispetto ai mezzi scelti per rappresentare la realtà si individuano modelli materiali e modelli concettuali. I modelli materiali sono iconici e analogici: iconico, dove le proprietà fisiche sono rappresentate da un cambiamento di scala ... analogico, dove le proprietà fisiche del mondo reale sono rappresentate da proprietà differenti (Haggett) secondo alcune regole di trasformazione 23• I modelli concettuali si dividono in due classi: modelli verbali, dove la descrizione della realtà è in termini logici... matematici, dove la descri­ zione della realtà è fata con simboli e le relazioni espresse in termini di operazioni 24• Un'ultima classificazione relativa al trattamento del fattore tempo distingue modelli statici e mo­ delli dinamici: modello statico che si interessa principalmente dell'equilibrio delle caratteristiche strutturali ( passate pre­ senti e future), della posizione e delle possibilità al tempo dato; e modello dinamico che si occupa dei processi e delle funzioni nel tempo 25•

2. Il processo progettuale L'approccio scientifico ai problemi della progettazione e del planning non si presenta omogeneo. In generale lo scopo del processo di progettazione di tipo scientifico è la realizza­ zione di un iter progettuale controllato, onde evitare gli alti costi economici e sociali sempre più frequenti in un am­ biente complesso. Rispetto a tale obiettivo generale si pos­ sono definire vari sviluppi del processo progettuale, in cui il concetto di sistema e la totalità acquistano un ruolo sempre 10 più significativo. Christopher Jones distingue all'interno dei


nuovi metodi di progettazione tre punti di vista: 1) quello della creatività, 2) quello della razionalità, e 3) quello del controllo sul processo progettuale ... Dal punto di vista crea­ tivo il progettista è una black box (scatola nera) dal quale fuoriesce il misterioso salto creativo; dal punto di vista ra­ zionale il progettista è una glass box (scatola trasparente) all'interno del quale è possibile distinguere un processo ra­ zionale completamente esplicabile; e dal punto di vista del controllo il progettista è un sistema auto-organizzato capace di tracciare scorciatoie attraverso territori sconosciuti 26.

2.1. Il processo creativo parzialmente automatizzato La progettazione parzialmente automatizzata tenta di esplicitare la logica del progettista e delle sue presunte ope­ razioni mentali, dove il cervello è concepito come mecca­ nismo semiautomatico che è capace di risolvere incompati­ bilità tra inputs (per es., capace di risolvere problemi) assu­ mendo una configurazione che è compatibile non solo con gli inputs immediati, ma anche con i molti inputs precedenti di cui è composta la memoria 27• Esemplificativa in proposito è l'indagine di Krauss e Meyer, che tentano di determinare quali operazioni siano la chiave del processo di creazione delle forme e quali caratteristiche dovrebbe avere un com­ puter system per realizzare tali processP•. Ma, allorché essi analizzano il progetto di un asilo, rilevano che l'obiettivo ini­ ziale appare logicamente irraggiungibile in quanto il pro­ gettista sembra adoperare una buona parte del suo tempo manipolando e generando forme secondo parametri perso­ nali 29• Infatti, il progettista, dopo aver formulato un pro­ gramma, considera prima la forma generale, quindi la scom­ pone, analizza le alternative, riformula il programma secondo un processo che non è né ripetibile né sistematico, e la sua realizzazione non può essere determinata fin dall'inizio: Il ruolo più importante del progettista è l'esercitare giudizi sog­ gettivi su un problema e sulla soluzione geometrica 30• Su tali risultati Krauss e Meyer dimensionano le possibilità di una progettazione controllata, prevedendo non un sistema

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automatico che si sostituisca al progettista, quanto piuttosto un sistema computerizzato sofisticato utilizzabile dal pro­ gettista per localizzare più efficacemente le proprie istanze, quali: 1) la programmazione del progetto, 2) la generazione e la manipolazione di forme, 3) l'esame dei problemi tec­ nici 31• In base a tali istanze il computer system dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: 1) dovrebbe permettere la composizione di forme geometriche e una visione tridi­ mensionale della soluzione adottata; 2) dovrebbe permettere al progettista di scegliere la scala più opportuna, di conside­ rare parte o tutto il progetto, ... e procedere con operazioni nell'ordine che egli crede più opportuno; 3) il sistema do­ vrebbe permettere il trattamento di un grande numero di variabili, molte delle quali sono conosciute dopo che il pro­ cesso è cominciato, ed inoltre per molte di esse non è possi­ bile una definizione numerica o logica, ma solo una rappre­ sentazione formale; 4) il sistema dovrebbe tenere il proget­ tista in stretto contatto con il processo di risoluzione del problema attraverso la presentazione di materiale che au­ menterà la sua comprensione e stimolerà la sua creatività 32• Il problema della scientifizzazione del processo proget­ tuale è in tale ipotesi eluso: l'operatività massima è nella formulazione di un programma che media le istanze del pro­ gettista con le capacità della macchina. L'ideale di molti pro­ gettisti sembra essere un sistema di interazione grafica in cui si comunica con il computer per mezzo di un dispositivo te­ levisivo e una « penna luminosa », che è usata per disegnare su di esso. Il computer può essere programmato per raddriz­ zare le linee di uno schizzo rozzo, per correggere una pro­ spettiva, per disegnare una prospettiva da pianta e prospetti, e per ruotare l'oggetto in prospettiva così che possa essere visto da differenti punti di vista. Una singola prospettiva può essere anche duplicata per formare una coppia stereo. Si pos­ sono disporre simboli standard sullo schermo per rappresen­ tare porte, finestre, pannelli di parete e cosi via, e muoverli da posto a posto come si desidera per provare differenti confi­ gurazioni di pianta. Si possono domandare altre informa12 zioni di queste configurazioni di aree, il rapporto tra su-


perficie e pareti perimetrali, costo e così via. In alcuni casi la disposizione include un « menù » di cose di cui si può do­ mandare. Si indica con la penna luminosa la parola appro­ priata e la disposizione cambia di conseguenza 33• Su tali in­ dicazioni sono stati sviluppati presso « The Computer Aided Design Centre » di Cambridge programmi per il computer quali GINO (Graphical INput and Output), THINGS, HID­ DEN LINES, GREYSCALES, MEDALS, che compiono una serie di operazioni grafiche ( cambiamento di scala, proie­ zioni, rotazioni di assi, ecc.) su informazioni di tipo geo­ metrico. 2.2. Il processo razionale Un cambiamento di uso delle possibilità offerte dal com­ puter si determina allorché, pur ammettendo la presenza di aree incontrollabili accanto ad aree controllabili, tale fatto non viene considerato oggettivo e irrevocabile, ma un limite da superare con opportuni strumenti conoscitivi. Il problema del controllo della prassi progettuale si definisce non più come impostazione di algoritmi 34 strumentali ma come espli­ citazione della logica del processo stesso. È chiaro che ri­ spetto a tale obiettivo la ricerca deve articolarsi su ipotesi che coinvolgono il rapporto generale tra uomo e ambiente. L'obiettivo viene raggiunto attraverso due fasi: 1) definizione di un modello teorico del rapporto tra uomo e ambiente che esplicita in modo sistematico alcuni aspetti della realtà com­ plessa e inesplicabile; 2) l'elaborazione di concetti operativi deduttivamente riferiti al modello e pertinenti a particolari problemi progettuali. Un primo modello proposto da Alexander assimila il pro­ cesso di progettazione ad una sequenza di operazioni che annullano gli attriti tra forma e contesto, dove la forma è la parte del mondo sulla quale abbiamo controllo, e il contesto è quella parte del mondo nella quale insorge il problema di questa forma 35• Il discorso è scandito con conseguenzialità logica: posto il reale uguale al fenomeno e il contesto uguale al comportamento, Alexander individua innanzitutto le va-

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riabili comportamentistiche del fenomeno. Nell'esempio del villaggio indiano, stabilito come obiettivo la riorganizzazione del villaggio in modo da soddisfare le presenti e le future condizioni che si sviluppano nell'India rurale 36, Alexander elenca 141 variabili di non adattamento che riguardano l'or­ ganizzazione del villaggio. Esse sono definite nella loro forma positiva; cioè, come necessità e requisiti che devono essere positivamente soddisfatti in un villaggio che funzioni per­ fettamente 37• Quindi dopo aver notato che le disattitudini in­ terferiscono una con l'altra... che altre sono in contrasto; che altre hanno implicazioni fisiche comuni..., che altre an­ cora non interagiscono affatto 38, raggruppa in insiemi le di­ sattitudini che interagiscono fortemente. All'interno di tali insiemi è ancora possibile fare altri raggruppamenti (sottoin­ siemi), fino a definire ogni singolo elemento. Tali sottoinsiemi si qualificano come macroelementi che risultano individuabili nella totalità allorché vi è un certo grado di identificazione del problema. In sostanza essi sono sottoinsiemi sempre più piccoli e numerosi con un grado di identificazione sempre maggiore, fino a raggiungere in un livello di massima identi­ ficazione gli atomi della struttura ambientale 39• Il risultato complessivo di tale analisi è un grafo ad albero 40, seguendo il quale è possibile scomporre e ricomporre il sistema ini­ ziale 41• Così definito, il processo di progettazione assume un carattere razionale e si.stematico. Il progettista lavora come un computer solo con le informazioni che gli sono state date (variabili) che elabora secondo la sequenza prevista di tre fasi-analitica (scomposizione dell'insieme), sintetica (ricom­ posizione degli elementi), valutativa (analisi delle prestazioni del prodotto), che ricicla fin quando non sono massimizzate le qualità dell'insieme 42• Christopher Jones definisce in quattro punti le caratte­ ristiche di questo metodo: 1) gli obiettivi, le variabili, i cri­ teri sono fissati in partenza; 2) l'elaborazione è completata... dopo che è stata tentata una soluzione; 3) la valutazione è prevalentemente linguistica o logica non sperimentale); 4) le strategie sono fissate in partenza; esse sono prevalentemente 14 sequenziali, ma comprendono anche operazioni parallele, ope-


razioni condizionali, e riciclaggio 43 • Con tali prerogative l'ana­ lisi progettuale, se da una parte acquista una notevole chia­ rezza intellettiva, d'altra pa_rte perde una vasta area di pro­ blemi che le erano propri e che non possono essere ricondotti a schemi razionali e funzionalisti. 2.3. Il processo cibernetico

Il discorso razionalista parte dalle funzioni per derivarne una forma che rappresenti la sua condizione di esistenza nello spazio. La situazione più semplice per tale processo si realizza allorché tra funzione e componente fisica esiste una corrispondenza biunivoca, cioè se si postula per ogni funzione una differente componente fisica (è la logica del grafo ad albero di Alexander). Il rapporto stabilito tra funzione e com­ ponente fisica risulta legittimo per i « sistemi flusso », in cui informazioni specifiche (persone, auto, elettricità, acqua... ) corrono lungo reti differenziate. In tal caso la composizione di elementi distinti risulta agevole, né produce distorsioni ri­ duttive del fenomeno. Ma per molti problemi progettuali è difficile o impossibile scomporre il sistema totale senza pregiudicare l'insieme della rappresentazione in modo so­ stanziale. Nel proposito di superare gli irrigidimenti dell'approccio razionalista, Archer tenta l'analisi di modelli autovalutativi di progettazione. Come Alexander, egli esamina il processo pro­ gettuale nei suoi più elementari componenti: l'uomo dà dif­ ferenti valutazioni in condlzioni differenti. Queste valutazioni possono variare nel tempo. Quando l'uomo si accorge che vi è contrasto tra una condlzione reale e la condizione voluta egli è insoddisfatto, quando tale insoddisfazione è abbastanza forte egli compie azioni atte a cambiare le condizioni in modo tale che esse siano le più approssimate possibili a quelle de­ siderate. La condizione che dà origine al desiderio è definita come una proprietà dell'ambiente; il raggiungimento di uno stato di soddisfazione in risposta a tale proprietà è definita come attività direzionata verso un obiettivo. . .. L'attività di progettazione è perciò una attività direzionata ad un oblet-

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tivo e normalmente un'attività che risolve problemi riferiti a obiettivi specifici 44• Ciò premesso, è necessario individuare un processo che simuli l'attività .reale. Innanzitutto si rileva che il modello sistematico (descrittivo), che definisce la struttura del problema, è incapace di definire autonoma­ mente quale possa essere la soluzione: in un sistema dato i modi con cui variano gli outputs in risposta ai cambiamenti degli inputs sarà governato da opportune leggi. È difficile individuare le leggi operanti in un particolare caso, o, se la forma generale della legge è conosciuta, è difficile predirne un risultato. Un sistema la cui precisa connessione tra varia­ zioni di inputs e outputs è sconosciuta è chiamato « black box ». Un modo per determinare l'effetto del vari inputs sugli outputs di una black box è usare come modello un altro si­ stema di cui si conosce che si comporta nello stesso modo 4s_ In generale, si usano modelli analogici perché sono facili da impiantare e da regolare per esplorare soluzioni alternative. I disegni e le formule matematiche producono una effettiva progettazione analogica 46• Archer propone di usare il modello sistematico in congiunzione con -uno o più modelli analogici, per costruire un modello operativo, cioè un modello che pro­ duce autonomamente predizioni sulle soluzioni del problema che rappresenta. In tal modo, oltre alla connessione tra reale e modello, che è rigida in Alexander, Archer permette una flessibilità di approccio attraverso un circuito, in cui si può rappresentare parte o tutto del modello sistematico del mondo reale 47• In sostanza l'accoppiamento dei due modelli produce un sistema cibernetico autoregolato, che assimila la realtà ad un meccanismo. Attraverso tale sistema vi è .la possibilità di utilizzare i sistemi flusso come sonda per studiare il mec­ canismo dell'organizzazione totale o per esplorare parti non conosciute del sistema stesso. Archer si mantiene su un livello generale di definizione in quanto il suo obiettivo è di stabilire una struttura comune per ogni problema di progettazione (architettura, ingegneria e disegno industriale), per dimo­ strare che la logica di progettazione è largamente indipen­ dente dall'oggetto della progettazione 48 • Conseguentemente 16 egli, attraverso l'uso del modello sistematico e del modello


analogico, può standardizzare il processo di progettazione nelle dieci fasi seguenti, che investono il rapporto comples­ sivo progettazione/produzione: 1) formulazione delle poli­ tiche; 2) ricerca preliminare; 3) progettazione schematica; 4) progettazione dettagliata; 5) costruzione di un prototipo; 6) analisi del marketing; 7) progettazione della produzione; 8) pianificazione della produzione; 9) attrezzature; 1O) pro­ d-uzione e costi 49 • In realtà molte delle fasi descritte da Archer sono irrealizzabili nella progettazione architettonica, come, per esempio la costruzione di un prototipo possibile solo nel caso della produzione in serie.

3. Modelli di progettazione I modelli progettuali, che si muovono all'interno del campo definito da Alexander e da Archer, possono essere di­ visi in due grandi gruppi: nel primo gruppo sono inclusi gli studi sulla realtà urbana e territoriale, che definiscono mo­ delli di localizzazione e di attività; nel secondo, i modelli di forma relativi alla scala architettonica.

3.1. Modelli di localizzazione e di attività A livello più generale, la città viene considerata come un sistema complesso di parti interrelate, tali che un singolo cambiamento può avere ripercussioni in tutta la città 50• Ma a causa del numero di elementi e della complessità delle loro interrelazioni, comunque, molti ricercatori hanno rag­ giunto la conclusione che solo usando modelli matematici per simulare il sistema urbano gli intricati processi, per mezzo dei quali .un elemento ha effetto su un altro, possono essere analizzati e capiti 51• Il sistema può essere dunque conosciuto solo attraverso il modello che immette una logica di orga­ nizzazione nell'esplicitazione sistematica del fenomeno reale: in un primo momento il sistema viene scomposto in sotto­ sistemi: innanzitutto si riferisce la struttura fisica alle atti­ vità, quindi si distinguono due tipi di attività: « in luogo• e « tra luogo• (vedi Chapin 1965 e Weber 1964). La prima

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sl riferisce alle attività localizzate-industriali, commerciali, ricreazlonall e residenziali. La seconda al flussi di ogni tipo che corrono tra le attività in luogo di informazione, di de­ naro, di persone o beni 52• Definiti gli elementi si immette un'ipotesi di interazione tra i sottosistemi e si costruisce un modello di tali ipotesi. In sostanza si costruisce un mo­ dello di flusso, cioè un modello che prevede la diffusione della quantità di informazione (energia, persone, cose ... ) nei vari sottosistemi secondo una certa legge. Per quanto grande possa essere il numero delle variabili, la logica con cui sono mani­ polate è abbastanza semplice: il sistema è costituito da sotto­ sistemi; tali sottosistemi sono punti in cui confluisce una rete di canali; l'energia che viene dall'esterno sotto forma di forza-lavoro, materia prima, finanziamenti, ecc., si distribuisce attraverso i canali· secondo leggi ipotizzate; l'informazione proveniente dall'esterno organizza così il sistema e ne dimi­ nuisce l'entropia totale 53• Se alla scala urbana l'analisi dei flussi permette di descrivere il sistema totale e di manipo­ lare un meccanismo che regola la localizzazione spaziale delle varie attività la cosa appare più complicata allorché si agisce su un sistema a scala minore. I sottosistemi del sistema ur­ bano possono essere definiti in vari modi: essi possono essere descritti come aree spaziali definite della città; alternativa­ mente potrebbero essere delimitati come -unità operazionali, per esempio organizzazioni di uffici, impianti industriali o istituti educativi 54• Bullock, Dickens, Steadman, Taylor, Willoughby descri­ vono una ricerca da essi compiuta su un limitato sottosistema urbano, il sistema universitario, che, essendo abbastanza ampio per contenere al proprio interno istituzioni ben defi­ nite, si presta particolarmente ad un'analisi di questo tipo 55• L'obiettivo è Ja realizzazione di un modello che descrive come determinate attività siano distribuite nello spazio e nel tempo. II primo problema riguarda -l'opportuna strumenta­ zione matematica atta a descrivere l'organizzazione delle at­ tività. Infatti, allorché la ricerca si muove a livello di piccoli gruppi, l'improbabilità del comportamento individuale ac18 quista un peso rilevante. Comunque, poiché è sufficiente co-


noscere la probabilità che una persona usi una determinata attrezzatur� in una certa ora, o sia impegnata in una certa attività 56 è possibile scrivere il comportamento di gruppo a livello stocastico. Il metodo consiste nel descrivere le attività di .un grande numero di individui rappresentativi di un gruppo 51 , quindi considerare tutti insieme tali comporta­ menti, e dall'organizzazione dei dati aggregati derivare le pro­ babiltà di comportamento. Ma se il metodo stocastico riesce a definire regolarità nella organizzazione delle attività, non riesce a determinare in quale luogo gli studenti esercitano tale attività. Infatti, un'attività quale « studio individuale » può essere svolta in una stanza, nella biblioteca universitaria, nella biblioteca cittadina, o in un altro luogo non prevedi­ bile. L'ipotesi di un rapporto biunivoco tra elemento fisico e funzione, che è una delle premesse essenziali dell'approccio razionalistico ai problemi progettuali, si dimostra insuffi­ ciente. L'unica possibilità entro tale razionalità è considerare, come fanno Bullock e gli altri, le strutture delle attività rela­ tivamente indipendenti dal particolare ambiente fisico 58 in cui sono svolte. Comunque, anche se non vi è una relazione diretta tra attività e luogo è possibile usare il modello per dimensionare i limiti dello spazio edificabile, predisponendolo a contenere tutte le possibili organizzazioni di orari. Inoltre, dal modo con cui gli studenti usano i servizi urbani e univer­ sitari si possono valutare gli effetti delle differenti scelte di localizzazione dell'università; valutazione che può essere fatta sulla minimizzazione, per esempio, della distanza totale co­ perta dai viaggi o dei costi di trasporto in ogni caso previsto.

3.2. Modelli di forma Per i problemi che interessano la scala architettonica l'analisi della forma non può essere elusa; essa viene affrontata secondo due linee di ricerca: 1) descrivere fa forma at­ traverso una sua logica che la rappresenti; 2) derivare la forma da una logica esterna che la presiede. È chiaro che i due problemi sono intimamente connessi, ma mentre il primo tende a studiare le leggi strutturali che regolano la morfo-

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logia dell'insieme, e quindi una serie di operazioni logiche biunivocamente connesse alle operazioni geometriche, il se­ condo problema tende a riferire le operazioni geometriche a cause esterne (ambientali, sociali, economiche). Nel primo caso quindi è necessario determinare opportune analogie tra leggi logico-matematiche e leggi geometriche della forma costruita, nel secondo è necessario controllare la relazione tra caratteristiche dell'ambiente antropo-geografico e qualità della forma costruita. March e Steadman analizzano le possibilità derivanti dalla descrizione delle forme con una certa precisione mate­ matica 59 • Essi precisano che non è stato fatto nessun tenta­ tivo per defuùre un metodo unico o universale di descrivere la forma. Sembrerebbe ragionevole essere pragmatici su tale materia, e scegliere il metodo più appropriato in una data si­ tuazione o per un particolare scopo. Un sistema che può solo far fronte a forme rettangolari sarà più economico nel descri­ vere tali forme di un sistema più generale capace di trattare forme non rettangolari 60• March e Steadman cominciano con la descrizione modulare, che ha le importanti qualità di sem­ plicità, economia e vasta applicazione. La descrizione modu­ lare serve come utile introduzione ad alcune idee basi nella teoria degli insiemi, in particolare insiemi di punti 61• In tal caso forse le più facili configurazioni da descrivere sono quelle modulari e rettangolari, cioè forme che possono essere com­ poste di un piccolo elemento rettangolare come un quadrato in due dimensioni e un piccolo cubo in tre 62• L'elaborazione matematica della forma è realizzata mediante i concetti della teoria degli insiemi ed operazioni quali unione, intersezione, prodotto cartesiano 63: allorché si opera in 2 D, per esempio, ogni area viene descritta attraverso le coordinate iniziali e finali di due Iati consecutivi in modo che ogni elemento di area risulta descritto da quattro numeri 64• Quindi matemati­ camente si deduce dall'area generale di un piano le aree dei vari ambienti e si produce così la configurazione reale. Un secondo tipo di descrizione logica fa uso della teoria dei grafi e del concetto di dualità: l'operazione consiste nel definire un grafo duale ad un'operazione geometrica (nella dualità ad


area corrispondono punti e viceversa, a rette corrispondono rette). Nel caso della pianta di un edificio il grafo contiene in­ formazioni sulla contiguità, comunicazione, e dimensione fi. sica degli elementi geometrici... Tale grafo è costruito po­ nendo un vertice in ogni spazio quindi unendo i vertici che sono in spazi contigui e dimensionando le linee di unione sulla lunghezza delle pareti che attraversano 65• Usando op­ portune notazioni è possibile stabilire un rapporto biunivoco tra pianta dell'edificio e grafo e quindi passare dal grafo alla pianta e viceversa. Attraverso tali procedimenti è possibile astrarre e valutare solo alcune proprietà della forma costruita; per esempio nel grafo duale si isolano le proprietà topologiche della configurazione generale. Successivamente, l'analogia esi­ stente tra il grafo di una pianta e le reti elettriche pennette l'utilizzazione delle leggi di Kirchhoff per i flussi elettrici dove la conduttanza di ogni cavo ( approssimativamente la facilità con cui l'elettricità passa) è la proporzione del cor­ rispondente rettangolo, cioè il rapporto tra la sua dimensione orizzontale e verticale 66• L'utilizzazione di tale analogia per­ metterebbe il controllo di ogni possibile permutazione delle stanze: il processo realizzato su tale ipotesi collauderebbe la planarità di ogni grafo di « requisiti di adiacenza » e rifiute­ rebbe immediatamente tutte quelle permutazioni inammissi­ bili, senza procedere ulteriormente in planning più dettagliato. Esso terrebbe conto non solo di vincoli dimensionali, ma di vincoli sulla proporzione ed area delle stanze ( usando la prima legge di Kirchhoff) 67• Comunque, tali rappresentazioni matematiche sebbene enucleano alcuni problemi dell'organizzazione della forma, non definiscono ancora una logica che li presiede. Tale ten- . tativo è effettuato dalle analisi che valutano le prestazioni della forma costruita rispetto determinate condizioni ambientali. La misura delle prestazioni di un edificio si realizza attraverso la definizione di modelli di situazioni ambientali (per esempio le situazioni fisiche riguardanti la luce naturale ed artificiale, la temperatura, l'acustica), in cui l'edificio è considerato come un insieme di volumi chiusi in uno spazio cartesiano 68• Nel L.U.B.F.S. Environmental Model l'architetto 21



compromessa allorché da variabili fisiche si passa a consi­ derare variabili comportamentistiche. :e. il caso dei modelli che valutano la circolazione all'interno di un edificio. Tali modelli definiscono le prestazioni dell'organl.Z7..azione degli spazi rispetto alla minimizzazione dei percorsi totali 12 con una serie di algoritmi basati su considerazioni di carattere economico. Al di là dei vari approcci usati per risolvere il problema della circolazione, possono essere distinti due me­ todi molto differenti. Tabor in un suo lavoro definisce i due metodi «additivo» e «permutazionale», e altri autori Ii hanno definiti « costruttivo » in confronto a « miglioramento ». Con­ sideriamo prima il metodo di « miglioramento » o « permu­ tazionale »: la caratteristica importante di questo tipo di me­ todo è che all'inizio del processo si produce, in un modo o in un altro, anche a caso, una pianta completa. Quindi le posizioni delle attività - stanze o altro - sono permutate e scambiate in modo da ridurre progressivamente il costo della pianta. Il metodo in questo senso consiste in un pro­ cesso di miglioramento di una pianta iniziale di partenza definita arbitrariamente. D'altra parte, un metodo tipico del tipo additivo » o « costruttivo » comincia con un luogo o un piano vuoto e vi realizza una pianta a basso costo, dispo­ nendo ,un'attività o una stanza alla volta. I criteri secondo cui ogni unità di attività successiva è posizionata sono dipen­ denti da una qualche misura dell'associazione della suddetta unità con tutte le altre unità già posizionate. Il primo tipo di metodo comincia con una pianta non particolarmente buona che tenta di migliorare. Il secondo tipo tenta di rea­ lizzare una buona pianta per stadi, una unità alla volta 73• 4. In realtà, dai modelli di localizzazione a livello urbano ai modelli di valutazione ed organizzazione del building il tentativo di definire la razionalità del processo di trasfor­ mazione dell'ambiente e di controllare la prassi di progetta­ zione si rivela parzialmente fallito. Le ragioni di tale risultato sono da reperire nelle contraddizioni del tecnicismo modelli­ stico e degli ambigui ed insufficienti postulati positivisti, che mediano il trasferimento di strumenti scientifici dall'universo naturale nell'area sociale. Esiste tuttavia la possibilità di su- 23


perare i chiusi schematismi del razionalismo attraverso una problematizzazione rigorosa delle premesse scientifiche della conoscenza. Nelle scienze naturali infatti si vanno indivi­ duando una serie di contraddizioni del classico procedimento scientifico, fondato su concetti di oggettività e neutralità. Ll:!, meccanica quantistica, la teoria della relatività, la genetica ed altri studi hanno messo in crisi una serie di assiomi scien­ tifici ritenuti da sempre validi: il concetto di fenomeno, di materia, di causalità risultano profondamente snaturati e non più sufficienti ad interpretare l'interazione tra uomo e natura. Tale situazione di crisi delle scienze naturali, da una parte rende più problematico il tentativo di un'indagine scientifica dei fenomeni sociali, dall'altra elimina gli equivoci di un ri­ porto sistematico ed acritico di concetti delle scienze natu­ rali per formulare teorie ad hoc dei fatti sociali. La consape­ volezza della mancanza di paradigmi, di metodi sicuri, diviene il necessario punto di partenza per l'eliminazione di false barriere tra scienze fisiche e scienze sociali, e per la costru­ zione di una scienza naturale dell'uomo che si confonda con una scienza umana della natura 74• In tal senso gli studi di Piaget sulla causalità, di Lewin, di Ashby sulla cibernetica e sui sistemi viventi, i concetti di entropia e di necessità de­ finiti in fisica e in genetica, le ipotesi di Havernann sulla cono­ scenza, le elaborazioni della epistemologia francese vanno visti come tentativi per la definizione di una nuova raziona­ lità che sappia interpretare in modo più completo e corretto il rapporto tra uomo e natura, tra lo spazio di agibilità dei suoi bisogni e l'uso e la trasformazione degli elementi fisici, insomma che sappia riconoscere nella forma storicizzata la prassi che tale forma ha prodotto o definito.

I H. MEYER, Architettura o rivoluzione, scritti del 1921-1942, Padova, 1969, p. 159. 2 M. TAFURI, Teorie e storia dell'architettura, Laterza, Bari, 1969,

p. 202. J

L.

VON BERTALANFFY,

1971, p. 297.

'.4

4 A. D. HAU. - R. E. I (19.56), pp. 18-29.

s Ibidem.

Teoria Generale dei Sistemi, ili, Milano,

FAGEN,

Definition of System, in Generai SystelllS,


6 Ibidem. 1 Ibidem.

8 L. V0N BERl'AI.A!';FFY, op. cii., pp. 45-46. 9 A. D. HALL• R. E. FAGEN, op. cii.

ID Ibidem.

11 L. V0N BERTALANFRY, op. cit., p. 67. 12 Ibidem.

13 Ibidem. Ibidem, p. 14. 1s Ibidem. t6 Ibidem. 14

17 M. ECHENIOUE, Mode[s: A cliscussion, in L. MARTIN e L. MARCH (edited by), Urban Space and Struclllres, Cambridge, 1972, pp. 164-174.

1s Ibidem. 19 Ibidem.

zo M. BR0DBECK, Models, Meaning and Theories, 1959. 21 M. ECHENI0UE, op. cii.

Z2 Z3 24 25

Ibidem. Ibidem. Ibidem. Ibidem.

26 J. CRISTOPHF.R JoNES, The State of the Art in Design Methods, in G. T. MOORE, (edited by), Emerging methods in Environmental Design and Planning, the MIT Press, Cambridge, 1970, pp. 3-7. 21 Ibidem. 28 R. I. KRAUSS and J. R. MYER, Design: A case Hystory, in G. A. MooRE, op. cit., pp. 11-20.

29 Ibidem. 30 Ibidem. 31 Cfr. R. I. KR,\USS and J. R. MYER, op. cit. 32 Ibidem. 33 G. BR0ADBENT, Design in Architect11re, Wiley, London 1973, pp. 316-317. 34 Per algoritmo si intende un elenco di istruzioni che specificano una serie di operazioni mediante le quali è possibile risolvere ogni problema di un dato tipo (TRAKHTENBR0T, 1964). lS C. ALEXANDF.R, Note sulla sintesi della forma, Il Saggiatore, Milano 1967, p. 26.

36 Ibidem, p. 137. 37 Ibidem. 38 Ibidem, p. 85.

39 Cfr. C. ALEXANDER and B. PoYNER, The Atoms of Environmental Strncture, in G. T. MooRE, op. cit., pp. 308-321. 40 Diamo alcune definizioni della teoria dei grafi: « ARCO: Per­

corso in un grafo che non passa per alcun vertice più di una volta. SPIGOLO: Arco di curva collegante due vertici di un grafo e non contenente altri vertici. CIRCUITO: Arco che ritorna al suo punto di partenza, cioè percorso che tocca di nuovo soltanto il vertice iniziale. GRAFO CONNESSO: Grafo in cui ogni vertice è collegato ad ogni altro mediante un arco. ALBERO: Grafo connesso privo di circuiti». (OYSTEIN ORE, / grafi e le loro applicazioni, Zanichelli, 1965). 41 Si apre a questo punto tutta la problematica del rapporto tra • alcune variabili fenomeniche » e il reale. Ma Alexander sorpassa tale questione e si impegna ad ordinare astrattamente il suo universo attra­ verso una gerarchia logica. Il funzionalista che non ha risposto alla domanda « funzionale a che? » è costretto alla neutralità, ad assumere

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uguale ogni elemento del reale, divenuto variabile di un confuso fe­ nomeno. 42 J. CRISTOPHER JONES, op. cit., p. 6. 43 Ibidem. '" L. B. ARCHER, An Overvicw of t/ze Structure of the Design Proces, in G. T. MOORE, op. cit., pp. 285-307. 4S Ibidem. 46 Ibidem. 47 Ibide111. 48 Ibidem.

49 G. BROADBEST, op. cit., p, 295. 50 D. CROWTHER e M. ECI-IENIQUll, Development of a model of 11rba11 spatial structure, in L. MARTIN e L. MARCH, op. cit., p. 175. 51 Ibidem. S2 /bide111, p. 176. 53 A un livello generale il termine ' entropia• è usato per denotare il passaggio dall'organizzazione alla disorganizzazione o la casualità in un sistema chiuso (COLE and Krnc, 1968). 54 L. MARCH, M. ECHENlQUE, P. DICKENS, Models of E11vironment, in « Architectural Design», Maggio 1971. ss Ibidem. 56 Ibidem. S1 Ibidem. sa Ibidem.

59 L. MARCH and P. STh\OMAN, The Geometry of e11viro11me11t, RIBA Publications Limited, 1971, p. 121. 60 Ibidem. 61 Ibidem, p. 122. 62 Ibidem, p. 123. 63 L. MARCH, M. ECHENIQUE, P. DICKENS, op. cit. 64 Ibidem. 65 J. GRASON, A D11al Linear Graph Representatio11 /or Space-Filling Location Problems of t11e Floor Type, in G. T. MooRE, op. cit., pp. 170-178. 116 L. MARCH and P. STEAOMAN, op. cit., p. 271. 67 Ibidem, p. 284. 68 L. MARCH, M. ECHENIQUE, P. DICKENS, op. cit. 69 Land Use and Built Form Studies, LUBFS: Environmental Model, Information Note 3, pp. 5-6. 70 L. MARCH, M. ECHENIQUE, P. DICKENS, op. cit. 11 Land Use and Built Form Studies, op. cit., p. 6. n L. MARCH, M. ECHENIOUE, P. DICKENS, op. cit. 73 L. MARCH and P. S1EAD11,lAN, op. cit., p. 303. 74 K. .h,L\Rx, Manoscritti Economico-Filosofici del 1844, Torino, 1968, p. 122.

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Il segno indefinito della semiologia urbanistica ROBERTO VINOGRAD

Che per uno studio semiologico dell'urbanistica si debba in primo luogo tentare di definire il segno relativo a questo sistema ci sembra indubbio, specie dopo che tanti autori hanno parlato genericamente sul valore significativo della città. E poiché mancano delle definizioni esaustive e perti­ nenti, mentre abbondano scritti angolati dalle più diverse visuali sul fenomeno urbano, nella presente rassegna tente­ remo di cogliere quelle indicazioni che più si avvicinano ai nostri interessi di critici, architetti ed urbanisti. Una delle cause per cui gli stessi semiologi non hanno ancora prodotto una soddisfacente definizione del segno ur­ banistico può facilmente rintracciarsi nella loro diversa con­ cezione generale del segno e particolarmente nella confusione fra l'idea di segno secondo la scuola americana (Peirce-Morris) e quella europea (de Saussure), ovvero fra l'atteggiamento comportamentistico e quello strutturalistico. È evidente che la complessità, specie d'ordine sociale, propria ai sistemi ar­ chitettonici ed urbanistici abbia indotto in modo quasi ine­ vitabile ad occuparsi dei comportamenti sollecitati da quei segni e ad affrontare i problemi da un punto di vista socio­ logico, psicologico, di psicologia sperimentale con l'uso di questionari ed inchieste. Alla base di quest'ultimi, il problema di una semiotica urbana si pone nei termini di come gli abi­ tanti reagiscono di fronte agli stimoli della morfologia ur­ bana; e già parlare in generale di morfologia della città vuol dire allargare a tal punto il numero degli elementi, degli sti­ moli, sia pure diversamente privilegiati, da far perdere l'obiettivo di definire gli elementi come unità segniche, proprio cioè 27


quelle unità segniche che strutturano alla base la conforma­ zione urbana. Certo, la riduzione della semiotica americana a mero comportamentismo è un errore degli operatori, che è già stato rilevato dalla critica; come pure erroneo è ridurre la semiologia d'ispirazione saussuriana a mero formalismo. Questa, infatti, non rifiuta ovviamente né sociologia, né psi­ cologia, ma tende a definire in primo luogo un campo di pertinenza per il sistema d'aggetti preso in esame. A parte la nota definizione di de Saussure di semiologia come scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale, come osserva Barthes, si interrogano certi oggetti unicamente sotto il rapporto del senso che essi detengono, senza chia­ mare in causa - almeno in via preliminare, cioè prima che il sistema sia ricostituito nella misura più ampia possibile le altre determinanti (psicologiche, sociologiche, fisiche) di tali oggetti. Queste determinanti, ciascuna delle quali appar­ tiene a un'altra pertinenza, non vanno certo negate ma vanno trattate anch'esse in termini semiologici: si deve cioè situare il loro posto e la loro funzione nel sistema del senso 1•

Limitandoci a dire che mentre la linea comportamenti­ stica si addice più ad un'analisi a posteriori del fenomeno urbano, mentre quella strutturalista si rifà ad un modello soggiacente, finzionistico, « costruito » e quindi assai pros­ simo ad una previsione progettuale, tralasciamo questo argo­ mento perché non vogliamo nella nostra rassegna limitarci al confronto fra due scuole, bensì citare quegli autori che più direttamente si sono soffermati sul problema del segno urbano, quale che sia la loro formazione ideologica. Apparentemente vicina al nostro argomento è l'opera di Kevin Lynch. Il suo obiettivo è quello di esaminare il carat­

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tere visivo della città americana, analizzando l'immagine mentale di essa che l cittadini posseggono e la sua ricerca si concentra soprattutto su una particolare qualità visiva: la chiarezza apparente o leggibilità del paesaggio urbano. Con questo termine intendiamo la facilità con cui le sue parti possono venire riconosciute e possono venire organizzate in un sistema coerente 2• Ma il passo in cui egli sembra acco-


starsi ad una definizione di segno urbanistico è quello in cui elenca alcuni elementi strutturanti l'ambiente umano in genere. Il mondo può venir organizzato intorno ad un gruppo di punti focali, o suddiviso in regioni cui si dà un nome, connesso attraverso la memoria di percorsi. Pur diversi come sono questi sistemi, ed inesauribili le possibili indicazioni di cui uno può servirsi per differenziare il suo mondo, essi danno interessanti illuminazioni sui mezzi che noi usiamo oggi per individuare la nostra ubicazione nell'ambiente ur­ bano. Nella maggior parte, questi esempi sembrano curiosa­ mente echeggiare le categorie formali di elementi tipo in cui possiamo strumentalmente dividere l'immagine della città: percorso, riferimento, margine, nodo, quartiere 3• Dal canto suo la Choay si chiede come si organizza la « leggibilità» di cui parla Lynch ed osserva: L'esperienza di· mostra che non bisogna pensare in termini di elementi, ma di forme e di fondo. E il ruolo di forma, ben lungi dall'essere sostenuto da oggetti plastici viene dato invece da tempi forti ( opposti a dei tempi di riposo): punti di riferimento, limiti, percorsi, nodi di direzioni. Una città deve dunque essere strut­ turata su fondo neutro, dal dinamismo di un certo numero di figure significative che variano secondo la topografia, la popolazione, la sua composizione, i suoi interessi. La ric• chezza dell'immagine sarà funzione della ricchezza e varietà degli elementi significativi che la compongono... L'orizzonte del rendi.mento, la nostalgia del passato, l'egemonia dell'este­ tismo hanno fatto stranamente ignorare il fatto che l'ambiente costruito, dove si muove l'individuo umano, ha per qualità specifica quella di essere significativo. Ora, quali che siano gli obiettivi dei costruttori delle città... bisogna che le inten­ zioni vengano rivelate ed appaiono decifrabili per gli abitanti. Nessuna pratica delle arti plastiche, nessuna conoscenza della geometria può condurre alla concezione di un progetto leggi­ bile; solo l'esperienza della città può farlo. Le opere di Lynch si limitano volontariamente ai significati più immediati, più elementari. Ma ci sembra che questo campo dovrebbe venir ampliato in futuro, in modo da integrare sistemi di significati più mediati e complessi 4•

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Ma se queste sono le riserve che la Choay avanza sulle teorie di Lynch - delle quali peraltro si serve per svilup­ pare il suo proprio discorso - le critiche che Barthes muove all'autore americano sono assai più marcate. Egli se da un lato riconosce il merito di queste ricerche miranti a ritro­ vare l'immagine della città nei suoi lettori, operazione con­ dotta notoriamente attraverso alcune inchieste, tuttavia, nota che, in realtà le ricerche di Lynch, dal punto di vista seman­ tico rimangono abbastanza ambigue: da una parte, c'è nella sua opera un vocabolario della significazione (per esempio, egli dà grande importanza alla leggibilità della città, e questa nozione ci importa molto) e, da buon semantico, ha il senso delle « unità discrete »; ha cercato di ritrovare nello spazio urbano unità discontinue che, fatte le debite proporzioni, rassonùglierebbero un po' a fonemi e semantemi. Unità che egli chiama cammini, limiti, quartieri, nodi, punti di riferi­ mento. Queste sono classi di unità che potrebbero facilmente diventare classi semantiche ma, d'altra parte, malgrado questo vocabolario, Lynch ha della città una concezione che rimane più gestaltica che strutturale 5• Poiché abbiamo citato questo ormai celebre saggio sulla semiologia urbanistica, paradigmatico data l'assenza di studi analoghi e citazione d'obbligo per chiunque voglia trattare il nostro argomento, mette conto rilevare fra i numerosi pregi e le varie indicazioni anche quelli che sono i suoi li­ miti; anche se Barthes avverte che per lo studio della se­ miologia urbanistica è necessario il concorso di una équipe interdisciplinare. Quanto ai contributi positivi, Barthes rileva la preminenza nella città dell'aspetto comunicativo su quello funzionale; la necessità di una semiologia urbana che non si arresti al livello metaforico; il fatto che una città è un tessuto non composto di elementi uguali (di cui si possono contabilizzare le funzioni), ma di elementi forti e di elementi neutri, o come dicono i linguisti di elementi segnati e di elementi non segnati (si sa che l'opposizione tra il segno e la mancanza di segno, tra grado pieno e grado zero è uno dei grandi processi dell'elaborazione del senso) 6• Queste ul30 time osservazioni, anche se diversamente formulate si ri-



l'organizzazione del lavoro, al sistemi di parentela e alle norme di matrimonio... In una parola, essa [struttura del villaggio] implica e determina la totalità del comportamento sociale; il sistema costruito viene saturato di significati 9• Secondo l'autrice, il sistema sopra descritto, unitamente a quello della città greca e medievale, sarebbero « sistemi puri » e « ipersignificanti ». Infatti, L'« agorà» che contiene l'« Hestla Koinè» è il luogo sacro, il centro, l'elemento prin­ cipale che fornisce significato e in connessione al quale viene dato un nuovo tipo di organizzazione agli elementi minori, le case (che sono da allora identiche e caricate di un iden­ tico significato semantico). Questa struttura del sistema ur­ bano è analoga a quella del sistema politico, cioè « isonomia » (uguaglianza politico-giuridica dei cittadini)... Ma l'organizza. zione dello spazio non si riferisce solo alle consuetudini po­ litiche. Non è connessa soltanto col rituale religioso ma si riferisce anche ad un modello di conoscenza, ad una espe­ rienza matematica che ha in seguito elaborato i concetti di uguaglianza, di simmetria, di reversibilità e ad una cosmo­ logia derivata dalle filosofie ionie 10• Passando all'altro « sistema puro», quello della città medievale, l'A. scrive: Questo tipo di agglomerato può essere caratterizzato dalla doppia connessione che lega gli elementi fondamentali l'uno all'altro, e quindi gli elementi semantica­ mente gravidi della chiesa, del castello e dei muri protettivi. Per quanto riguarda il primo tipo di connessione gli elementi fondamentali (anche se minori), come ad esempio le case in­ dividuali, si differenziano tra di loro specialmente per le fac­ ciate con i vari tetti, frontoni e foggie di finestre; la loro eterogeneità si manifesta lungo la via in un rapporto di pros­ simità che verrà chiamato qui sintagmatico 11• Riassumendo i caratteri dei tre tipi di sistemi chiusi, ipersignifìcanti nella misura che coinvolgono il comporta­ mento di tutti, sopra esaminati, la Choay osserva: In tali sistemi ogni spazio vuoto è tuttavia dotato di significato. Una prova di ciò viene data dalla lingua greca, che non pos­ siede alcuna parola corrispondente al nostro concetto astratto 32 di spazio. Esiste solo la parola luogo, « topos », il che signi•


fica... che soltanto i « luoghi • possono fornire dei sistemi semiologici puri. Laddove, sempre secondo la Choay, il si­ stema urbano cessa di far riferimento all'intero arco dei comportamenti sociali, si effettua il passaggio dal «luogo• allo «spazio », che comporta una desemantizzazione del si­ stema rendendolo iposignificante e deve ricorrere ad altri sistemi simbolici di « supplemento ». Il primo stadio di questo processo può essere trovato nella città barocca. Qui l'orga­ nizzazione spaziale è contaminata dallo spazio pittorico che corrisponde ad una analisi della vista. Nel processo di acqui­ sizione di questa qualità estetica e di trasformazione In spet­ tacolo, la città acquista anche una dimensione ludica, ed è vissuta ad una distanza che è l'esatto opposto di quel rap­ porto di Intimità e di legame che è caratteristico dei si­ stemi puri 12. Il sistema della città moderna, come nota l'A. altrove 13 non ha più i caratteri d'un primitivo sistema globale razio­ nalizzato, non è più lo spazio di contatto a prevalenza meto­ nimica, non possiede più un codice da tutti condiviso, non è più quindi un alto grado di comunicazione come nei sistemi puri. Né, rispetto al modello classico-barocco, si presenta come un sistema semiologico iconico radicalizzato, a predo­ minanza metaforica, diretto ad una élite, con valenze preva­ lentemente visuali. Esso è un sistema di circolazione stru­ mentale: uno spazio di circolazione che ha perso di seman­ ticità ed induce ad una monosemia: è il sistema dell'efficienza economica. A livello dell'espressione - della significatività -

si caratterizza per la sua povertà di vocabolario (unità inter­ cambiabili che devono assumere diversi significati) e la sua sintassi rudimentale che procede con la giustapposizione di sostantivi, senza disporre di elementi di .collegamento; ad esempio, Io stesso spazio verde viene usato come sostantivo allorquando dovrebbe solo avere una funzione di coordi­ nazione 14• Indubbiamente dai diversi contributi della Choay emer­ gono stimolanti suggerimenti sulla semiologia della città e una fiducia che questo tipo di approccio possa dare un serio apporto alla generale esperienza urbanistica, tuttavia come

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lei stessa osserva parlando del suo tipo di studi, il ne s'agis­ sait - explicitement - que d'une approxlmation, d'un en­ semble de rapprochements suggestifs permettant une sorte de mise en piace globale. Pas question systématique de concepts, terme à terme, à la manière italienne. Encore moins envisageait-on la constitution d'un « corpus » et la détermi­ nation de critères de pertinence 15• Ma, è proprio in tale at­ teggiamento, encomiabile come tutte le posizioni prudenti e riflessive, che vediamo un limite del suo contributo, il quale ancor prima di farsi indicazione operativa - come è ormai nell'attesa di architetti e urbanisti - non tenta neanche una sistemazione teorica. Il concetto di segno urbanistico è più volte sfiorato, mai decisamente affrontato. Assai più deciso a suggerire concretamente alcuni stru­ menti metodologici di semiologia urbana è H. Lefebvre. Per questo autore la città è una « mediazione » tra le mediazioni. Poiché contiene l'ordine prossimo, essa lo mantiene; intrat­ tiene i rapporti di produzione e di proprietà; è il luogo della loro riproduzione. Poiché è contenuta nell'ordine remoto, essa lo sostiene, lo incarna, lo proietta su un territorio (il liito) e su di un piano, quello della vita immediata; la città iscrive questo ordine, lo prescrive, lo « scrive », testo in un contesto più vasto e inafferrabile come tale se non nella riflessione 16• Nel brano citato l'espressione « ordine pros­ simo » vuol dire le relazioni degli individui in gruppi e l'espressione « ordine remoto» vuol dire la società regolata da grandi e potenti istituzioni. Non basta pertanto esaminare il testo senza ricorrere al contesto. Scrivere su questa scrit­ tura o su questo linguaggio, elaborare il « metalinguaggio» della città non significa conoscere la città e l'urbano. Il contesto, ciò che esiste al « di sotto • del testo da decifrare (la vita quotidiana, le relazioni immediate, l'inconscio del1'« urbano », ciò che si dice appena e si scrive ancor meno, ciò che si nasconde negli spazi abitati, la vita sessuale e familiare, e non si manifesta nelle relazioni dirette), ciò che esiste al di sopra di questo testo urbano (le istituzioni, le ideologie), tutto ciò non può essere trascurato, nell'opera di decifrazione ... Dunque la città non può concepirsi come « un 34



mente non esistono). « Il problema è dunque quello di esco­ gitare metodi adeguati per discretizzare » l'oggetto architet­ tonico continuo, o meglio di costruire modelli caratterizzati dalla discrezione e applicabili adeguatamente all'oggetto ar­ chitettonico che così diviene propriamente analizzabile te­ nendo conto del fatto che la sua continuità può anche essere un aspetto formalmente rilevante della sua struttura 19• Le difficoltà che acutamente vede Garroni non furono· d'altra parte estranee alla linguistica stessa. Come osservò de Saus­ sure, allorché una scienza non presenta unità concrete imme­ diatamente riconoscibili, significa che esse non sono essen­ ziali. In storia, per esempio, l'unità concreta è l'individuo, l'epoca, la nazione? Non lo sappiamo, ma non ha importanza. Si può fare opera storica senza avere chiarito questo punto. Ma, proprio come nel gioco degli scacchi tutto sta nella com­ binazione dei differenti pezzi, così la lingua è un sistema basato completamente sull'opposizione delle sue unità con­ crete. Non si può evitare di conoscerle, né è possibile fare un passo senza ricorrere ad esse; e tuttavia la loro delimita­ zione è un problema tanto delicato che ci si domanda se esse sono realmente date. La lingua presenta dunque questo carattere strano e stu­ pefacente di non offrire entità percepibili immediatamente, senza che si possa dubitare tuttavia che esse esistono e che proprio il loro gioco costituisce la lingua. In ciò vi è senza dubbio un tratto che la distingue da tutte le altre istituzioni semiologiche 20. Per parte nostra, come abbiamo già detto all'inizio, se non si ammette l'esistenza di un tipo di segno, non si può in alcun modo parlare del relativo sistema semiotico ammet­ tendo semmai solo un approccio semantico. Quanto poi alla questione della discrezione, si tratta di intenderci: se vo­ gliamo un grado di discrezione pari ai linguaggi più forma­ lizzati, è chiaro che l'architettura e l'urbanistica, la cui dina­ mica è ancor più marcata, risultano dei sistemi prevalente­ mente continui. Delle due l'una: o è concepibile una scienza dei segni che si attua anche in assenza di essi o se l'una .implica inevitabilmente la definizione degli altri, vuol dire che 36


tale definizione non potrà essere impedita dal grado di di­ screzione del sistema esaminato. Un saggio dove si propone una vera e propria definizione del segno urbanistico, s.ia pure al livello di town-design, è quello di De Fusco, Segni, storia e progetto dell'architettura, in cui un intero capitolo è appunto intitolato Ipotesi per il segno urbanistico. Sebbene il discorso di De Fusco sia tutto rivolto alla semiologia architettonica, tuttavia, proprio per l'impostazione «spazialistica» della sua teoria, l'A. non può fare a meno di trattare il nostro argomento per la comple­ mentarità, almeno sintagmatica, dei sistemi architettonico ed urbanistico. Nel parlare del segno architettonico, l'origi­ naria idea, per cui lo spazio interno- equivale al «significato » e quello esterno al «significante », è stata successivamente precisata distinguendo lo spazio esterno «della» architettura dallo spazio esterno «alla» architettura; donde, ferma re­ stando l'equivalenza fra interno e «significato», il «signifi­ cante» si materializza nelle facce esterne dell'involucro mu­ rario, cioè appunto nell'esterno «della» architettura. Lo spazio esterno «ad » essa, non più riguardante piani, ma assunto nella totalità delle sue dimensioni, rientra a tutti gli effetti nel dominio dell'urbanistica 21• Viene così applicata una logica analoga a quella del segno architettonico, ipotiz­ zandosi a tale scopo tre punti di osservazione per l'analisi dell'oggetto urbanistico: a) condizione topografica che corri­ sponde ad una visuale planimetrica e/o all'atto progettuale; b) condizione tettonica, corrispondente ad una visuale pro­ spettica e all'atto costruttivo; c) condizione percettiva, in corrispondenza ad una successione dinamica di percezioni e quindi all'atto fruitivo. In base alla prima condizione si os­ serva un sistema composto da due fattori: un tracciato di spazi scoperti fra loro comunicanti, cioè una rete di strade, piazze, slarghi, giardini, ecc., e una massa più o meno com­ patta di fabbriche o di altri elementi artificiali o naturali che delimitano, recingono e comunque condizionano gli spazi sco­ perti suddetti. Da questa visuale risulta che le due parti descritte sono perfettamente complementari: le possiamo leggere l'una come il negativo dell'altra, perché di fatto si 37


conformano vicendevolmente. Inoltre, poiché la caratteristica esponente del tracciato degli spazi scoperti è quella d'essere Wl organismo fatto di « vuoti», possiamo acquisire la prima nozione del segno urbanistico dicendo che ogni ambiente vuoto, a cielo scoperto ed aperto planimetricamente su uno o più lati, indica la presenza di un segno urbanistico, il cui « significato » è dato da quel vuoto, mentre il « significante» che lo conforma è dato dalla massa del fabbricato al con­ torno 22• Questa prima condizione mostra solo una figura del « significato » del segno urbanistico, quella planimetrica; la seconda condizione, quella dei muri al contorno mostra le altre figure (verticali) dello spazio «significato». Tuttavia, sempre all'interno della stessa logica, dove si trovano le fi­ gure del «significante» del segno urbano? Qui l'autore a[­ fronta un complesso ragionamento teorico, ricorrendo alla ultima condizione, quella fruitiva e considerando che la per­ cezione dello spazio urbano è di natura dinamica, indica il «significante » del segno in esame come una realtà che bi­ sogna, per così dire, « andare a cercarsi » ovvero trovare quel « verso opposto al « recto » della strada o della piazza da cui (il fruitore) inuove per la più completa conoscenza del segno o del sistema segnico che intende esperire 23• Osserviamo intanto che, a differenza degli altri sistemi comunicativi dove, per quanto appare a prima vista, il rice­ vitore è fisso, mentre il «testo» ha carattere dinamico, il si­ stema urbanistico ba come caratteristica dominante quella per cui il ricevitore deve assumere un'attitudine di sposta­ mento di fronte alla catena dei «significanti» immobili. Tut­ tavia, pur consentendo con le indicazioni di De Fusco, va notato che questi per rispondere alla domanda prima formu­ lata, propone una casistica che pur prendendo in esame dei tipi emblematici, non fornisce - a meno di quella ricerca dinamica da parte dell'osservatore - una più esauriente de­ finizione generale. In sostanza nel contributo di De Fusco sulla definizione del segno urbanistico ci pare che manchi o sia data per implicita una più vasta condizione. Infatti, non si tratta solo di considerare il vuoto degli spazi scoperti e 38 il pieno di quelli fabbricati. che l'A., forse per riduzione di-


dascalica chiama rispettivamente «urbanistica» e « architet­ tura», come l'una complementare dell'altra, come un binomio positivo-negativo, ma di considerare il sistema urbanistico come uno che ingloba quello architettonico. Certo, non siamo in presenza di un semplice rapporto del tutto con le parti, ma di una realtà assai più complessa e talvolta con aspetti contraddittori; infatti, che vi sia una complementarità fra i due tipi di spazi appare indubbio se ci poniamo dalla visuale che intende cogliere un tessuto fatto di spazi coperti e sco­ perti alternativamente; ponendosi da una diversa ottica e volendo cogliere l'oggetto architettonico come elemento del contesto urbano, quello sarà in funzione di questo, fino al punto che in certi casi l'architettura, fuori da tale contesto, può essere analizzata in tutta la sua autonomia, ecc. Pertanto, il compito di definire il segno urbanistico non può risolversi ricorrendo alla stessa logica utilizzata per il segno archi­ tettonico. Sostenere che il sistema urbanistico ingloba quello archi­ tettonico vuol dire chiamare in causa per la definizione dei suoi elementi segnici, molti e più complessi fattori, termini opposizionali per éiò che attiene all'asse sintagmatico e della più diversa ed imprevedibile natura per ciò che attiene al­ l'asse associativo; vuol dire individuare come unità segnica una entità spaziale e significativa che ne contiene altre (i segni architettonici), condizionata da esse e da altre. Tale entità è stata intuita da quasi tutti gli autori qui menzionati, ma non ancora fissata con rigore sistematico. 1 R. BARTHES, Elementi di semiologia, Einaudi, Torino 1966, p. 84. 2 K. LYNCH, L'immagine della città, Marsilio Editori, Padova 1964, p. 24. 3 Ibidem, pp. 29-30. . . 1973, voi. I, 4 F. CHOAY, La città, utopie e realtà, Einaudi, Tonno p. 71. . bre s R. BARTHES, Semiologia e urbanistica, in « Op. c1t. •, settem 1967, n. 10. 6 Ibidem. 1 Ibidem. s Ibidem. . . · significato in arehI'tettura 9 F. CHOAY, Urbanistica e semiologia in Il 32-33. pp. 1974, Bari Dedalo libri, 10 Ibidem, p. 35.

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Il Ibidem. 12 Ibidem, p. 3S.37. 13 F. CHOAY, Remarques à propos de sémiologie 11rbai11e, in l'« Archi-

tecture d'aujourd'hui •, dicembre 1970 - gennaio 1971, n. 153. 14 F. CHOAY, La città, utopie e realtà cit., p. 77. 15 F. CHOAY, Remarques a propos de sémiologie urbaine cit. 16 H. LEFEBVRE, Il diritto alla città, Marsilio Editori, Padova 1970, p. 65. 11 Ibidem, p. 74.

Il Ibidem. 19 E. GARRONI, Progetto di semiotica, Laterza, Bari 1972, p. 87. 20 F. DE SAUSSURE, Corso di linguistica generale, Laterza, Bari 1967,

pp. 129-130.

21 R. DE Fusco, Segni, storia e progetto dell'architettura, Laterza, Bari, 1973, p. 145. 22 Ibidem, p. 146. 23 Ibidem, p. 153.

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Note . sulla cultura a «mosaico» AGATA PIROMALLO GAMBARDELLA

Sulla definizione del concetto di cultura esiste, com'è noto, una vasta letteratura; qui, semplificando al massimo, ci riferiremo al binomio cultura = esperienza storico-filosofico­ scientifica, acquisita in strutture didattiche tradizionali e cultura = modo di vivere di un gruppo sociale, pertanto an­ tropologicamente intesa. La prima accezione del concetto di cultura, che prevede lo sviluppo della maturità dell'individuo e la sua capacità di porsi come « altro • di fronte all'espe­ rienza, ha subito in questi ultimi decenni un approfondi­ mento ed un ampliamento di prospettiva soprattutto nel­ l'opera di E. Cassirer. Questi, nella sua ricerca di una definizione dell'uomo in tennlnl di cultura, mette in evi­ denza soprattutto la tendenza, peculiare all'essere umano, a frapporre fra sé e il mondo una mediazione, costituita da formazioni simboliche, che rappresentano le forme culturali stesse. Inserito tra il sistema ricettivo e quello reattivo... nel­ l'uomo vi è un terzo sistema che si può chiamare « sistema simbolico ».... Esiste una notevole differenza tra le reazioni organiche e le risposte umane. Nel primo caso lo stimolo esterno provoca una risposta diretta e immediata, nel se­ condo caso la risposta è differita; essa è arrestata e ritardata in seguito ad un lento e complesso processo mentale... Invece di avere a che fare con le cose stesse ... (l'uomo) si è cir­ condato di forme linguistiche, di immagini artistiche, di simboli mitici e di riti religiosi a tal segno da non poter vedere e conoscere più nulla se non per il tramite di questa artificiale mediazione 1• Questa capacità dell'uomo di creare la sua vita 41·


attraverso le forme simboliche, giacché egli non può vivere la sua vita senza esprimere la sua vita attraverso appunto costruzioni intellettuali sempre più alte e significative, lo pone in un inscindibile rapporto dialettico con la società nel suo insieme. La quale tuttavia non è una forza determinante dall'esterno, ma una realtà, a sua volta, suscettibHe di es­ sere trasformata al suo interno. Quindi l'uomo non si forma ma forma continuamente schemi interpretativi della realtà in cui è immerso attingendo ad un patrimonio stabile di segni, di testimonianze, di abitudini stratificate nel gruppo sociale di appartenenza. A. Moles, che nel suo libro Sociodinamica della cultura ha soprattutto il merito, secondo Paolo Terni, di aver ripor­ tato la nozione di cultura all'universo specifico della comu­ nicazione dei simboli, piuttosto che a quello generico dei rapporti sociali 2, non considera infatti il problema della cul­ tura nella sua duplice angolazione: cultura = formazione del­ l'uomo e cultura = modo di vivere di un gruppo sociale. Egli parla, piuttosto, di cultura vivente e cultura acquisita poste tra loro in un rapporto di interdipendenza, a livello percet­ tivo prima ancora che comunicativo. Nel ricevere i messaggi che ci offrono i nostri sensi... l'immagine degli oggetti circo­ stanti viene prelevata dai nostri occhi, poi « riproiettata >> - ed è questa operazione che si può chiamare percezione su una specie di schermo costituito dall'insieme delle cono­ scenze a priori che dà il suo valore, il suo significato e la sua importanza al messaggio ricevuto 3• I messaggi che si riflettono sullo schermo di riferimento dell'individuo gli provengono o dalla memoria del mondo, termine con cui Moles indica la somma di tutti i musei e le biblioteche esistenti - quasi una sorta di Museo universale o di Biblioteca universale - dove è racchiusa e cristallizzata tutta la produzione culturale del passato; oppure dal flusso continuo delle comunicazioni di massa; i quali sono anche denominati dall'A. rispettivamente quadro delle conoscenze e quadro socio-culturale. I messaggi provenienti dal quadro delle conoscenze sono a senso unico, non richiedono cioè una 42 risposta immediata dall'individuo ma si sedimentano nella


sua memoria fino ad assomigliare quasi al patrimonio ere­ ditario di tipo genetico. Essi tendono quindi ad essere stabili, a perpetuarsi nelle generazioni attraverso il processo edu­ cativo ed a costituire il substrato più profondo dello schermo di proiezione sul quale, in un circolo chiuso, si rifletteranno altri messaggi. Per quanto riguarda il quadro socio-culturale il tipo di messaggio che proviene da esso risponde a caratteristiche al­ quanto diverse. Anzitutto presuppone la presenza di un pub­ blico relativamente vasto, eterogeneo ed anonimo. Quindi i messaggi indirizzati a determinati individui non possono venir considerati comunicazioni di massa 4; le quali, tra l'altro, sono transitorie in quanto usualmente destinate all'immediato con­ sumo e non ad essere conservate come testimonianze dure­ voli. D'altra parte, però, la simultaneità del_ messaggio, cioè la sua capacità di raggiungere un vasto pubblico in breve lasso di tempo, suggerisce una potenziale forza sociale nel suo «impatto» s. Per questa ragione concordiamo con Moles quando af­ ferma che ormai ciò che l'individuo incorpora nel suo tessuto mentale gli giunge assai piit con l'« impregnazione» della mente immersa nella sfera dei messaggi che attraverso il pro­ cesso razionale dell'educazione, più ordinato e metodico certo, ma operante soltanto per un breve periodo della sua vita 6• Inoltre, poiché la transitorietà della comunicazione di massa ha portato in alcuni casi ad accentuare fortemente la tem­ pestività e la sensazionalità del contenuto 7, un contenuto che riguarda quasi sempre il presente e la realtà socio-economica nella qua:le l'individuo vive calato, il ricettore del messaggio reagisce spesso con una decisa presa di posizione nei riguardi dei contenuti che gli vengono proposti. E se da un lato rece­ pisce una parte dei messaggi che vengono poi a costituire il suo entroterra culturale e lo schermo attraverso cui .filtrare i successivi items, dall'altro rimanda questo messaggio, modi­ ficato, all'emittente in un continuo processo socio-dinamico. Il flusso ininterrotto delle comunicazioni di massa ha ap­ portato delle profonde modifiche non solo al tipo di messaggio che viene emesso, ma anche allo schermo di riferimento 43


sul quale viene proiettato e quindi, di conseguenza, al con­ cetto di cultura, essendo appunto la funzione della cultura quella di fornire alle percezioni dell'individuo che guarda il mondo esterno, uno schermo di concetti sul quale egli proietta e reperisce le proprie percezioni a.

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La cultura umanistica offriva all'uomo un insieme di co­ noscenze, predisposte secondo una gerarchia per cui si pro­ cedeva per gradi, dai concetti generali a quelli particolari: questi concetti generali sono chiamati da Moles anche con­ cetti-incroci nel senso che sono disposti secondo una salda struttura che costituisce una rete razionalmente organizzata e squadrata nei cui spazi vengono ad inserirsi i nuovi con­ cetti che continuamente fanno riferimento a questo sistema di assi di coordinate. Bastava quindi per l'uomo colto, entrare in possesso di questi concetti-incroci per sapersi districare con una certa abilità nel campo dello scibile e comprendere e valutare (anche se talvolta in maniera unidirezionale) gli eventi proiettati su questo schermo di riferimento a strut­ tura reticolata razionale, organizzata in modo quasi geome­ trico (p. 41 ). . Il tipo di messaggio che ci proviene dai mass media ha invece profondamente modificato la stessa struttura del nostro pensiero. Il flusso di notizie che ci pervengono è continuo ed ininterrotto per cui è impossibile sottrarsi, se pure in minima parte, al suo martellamento; è superiore, quantitativamente, alla capacità di assorbimento di un singolo individuo; e so­ prattuto è indiscriminato nel senso che non c'è nessun nesso logico né alcuna precedenza per ordine d'importanza alle no­ tizie le più disparate, come ad esempio, il matrimonio della principessa di Persia o gli ultimi sviluppi dell'energia ato­ mica. Di conseguenza, la mancanza di ordine gerarchico non permette fa formazione di alcun punto di riferimento fisso per cui i messaggi, invece di disporsi sul nostro schermo concettuale secondo un ordine razionale, costante e in un certo senso predeterminato, si sovrappongono in maniera pletorica, confusa ed aleatoria e quindi la trama del nostro schermo di conoscenze risulta profondamente mutata: diremmo .. che essa tende piuttosto verso una specie di sistema


fibroso, di

« feltro »: i frammenti della nostra conoscenza sono

minuzzoli senza ordine, legati a caso da semplici relazioni di prossimità, di epoca di acquisizione, di assonanza di associa­ zione d'idee, senza una struttura definita dunque ma con una

coesione che può... assicurare una certa densità dello schermo delle nostre conoscenze (p. 43 ). Analogamente il concetto di cultura risulta mutato. Moles parla di cultura a mosaico ca­ ratteristica dell'epoca moderna, che non ci deriva più da un'attività orientata dalla nostra personalità che prolunga lo slancio della nostra educazione ma da un flusso continuo di items granulari, più o meno agglomerati dal funzionamento generale dell'attività culturale, provenienti essenzialmente non

da uno « sforzo » di conoscenze articolate, ma da un « ap­ » permanente dell'ambiente esterno a noi in tutti I suoi aspetti (p. 129). Cultura a mosaico poiché si presenta porto

come .un insieme di frammenti giustapposti senza costruzione,

senza punto di riferimento, in cui nessuna Idea è necessa­ riamente generale ...; cultura a mosaico perché s'identifica con uno schermo concettuale di riferimento strutturato a feltro, su cui cioè il flusso disparato dei messaggi provenienti dai mass media si è disposto in una serie di fibre unite a caso: alcune lunghe, altre coi-te, talune spesse, altre fini, al limite, in un disordine totale (p. 41 ). Il problema più importante posto da questo nuovo tipo di cultura è quello di stabilire se si può ritrovare al suo in­ terno una struttura o una possibilità di strutturazione. Ro­ siti, nel dibattito seguito sul libro di Moles, osserva che la parola mosaico richiama alla mente un insieme bene orga­ nizzato e strutturato e poiché la cultura di massa si presenta invece in maniera estremamente fluida, il concetto di mo­ saico deve riferirsi all'attività di coloro che ricevono i mes­ saggi e li dispongono come tanti tasselli, in un determinato pattern; quindi si potrebbe parlare di un'attività strutturante del fruitore. C'è però da osservare che lo schermo concettuale di ri­ ferimento non permette più una disposizione ordinata e com­ posta, anche se non necessariamente gerarchizzata, degli ele­ menti; e cultura a mosaico sta probabilmente ad indicare 45


che i vari items si susseguono attraverso una serie di con­ nessioni in cui la precedente è immediatamente legata alla seguente secondo le leggi dell'associazionismo cioè del con­ trasto, della somiglianza, della contiguità (i matematici usano il concetto di ordine prossimo per questo nuovo tipo di cul­ tura a mosaico, in contrapposizione al concetto di ordine lontano in cui i concetti sono ordinati in strutture d'insieme). Inoltre, mancando ogni criterio di priorità e di organizza­ zione, sembra quindi escluso e che la cultura a mosaico abbia una sua intrinseca struttura e che il ricevente possa, data la costituzione a feltro del suo schermo di riferimento, dare ai vari items una struttura di tipo razionale, gerarchizzato, nella quale s'integrino ordinatamente le varie esperienze. Moles afferma esplicitamente che la forza della cultura dipende essenzialmente da « possibilità di associazioni » e che la cultura si misura dall'estensione dei culturemi pos­ seduti dall'organismo 9 moltiplicata per l'importanza delle associazioni compiute dall'organismo tra questi culturemi (pp. 47-49). L'individuo che possiede un gran numero di cul­ turemi ma non riesce a stabilire tra essi delle relazioni frequenti e forti sarà soltanto un erudito. È possibile intraprendere un discorso di tipo struttura­ lista solamente a livello di comunicazione, cioè a livello di scambio dinamico emittente-ricettore. Quando quest'ultimo riceve un messaggio esso viene decodificato sulla base di un sistema di segni comune tanto all'emittente quanto al ricet­ tore; nel momento in cui il messaggio viene decodificato esso riceve una forma ed un significato tanto più evidenti e pre­ gnanti quanto minore è la distanza culturale tra i due poli entro i quali si sviluppa il processo di comunicazione; il messaggio, cioè sarà « percepibile » e cioè intelligibile come una forma, nella misura in cui il ricettore vi discernerà un sistema di segni che può identificare nel proprio repertorio. Infatti tanto l'emittente che il ricettore possiedono ... due re­ pertori di segni che possono avere parti comuni; la parte comune di questi repertori, pur non essendo mai del tutto rigorosa, è ciò su cui si basa essenzialmente la comunica46 zione (pp. 137-139).


Nel processo di comunicazione, tuttavia, bisogna distin­ guere messaggio da informazione, la quale è la quantità di imprevedibilità portata da un messaggio. II Moles, parafra­ sando Mackay, aggiunge, ad ulteriore chiarificazione, che in­ formazione è tutto l'insieme che viene dall'esterno e contri­ buisce a « modificare » l'ambiente del ricettore, e cioè tutto ciò che vi è di nuovo nel messaggio e non parte integrante e immutabile di questo ambiente (p. 144 ). L'informazione però è la parte più informale di tutto il processo comunica­ tivo: essa rappresenta la possibilità di scelta tra l'infinito numero di elementi e di relative combinazioni che esistono al punto di partenza del messaggio. L'informazione misura dunque una situazione di equiprobabilità, di distribuzione sta­ tistica uniforme che esiste alla fonte 10• L'informazione, quindi, è « senza rapporto » con il « significato », poiché è, parados­ salmente, un messaggio che contiene il « massimo » d'infor­ mazione per segno che, per il fatto stesso della sua straor­ dinaria novità, è totalmente inintelligibile e sprovvisto di significato (p. 147). Bisognerebbe quindi riconoscere che la pura informazione non fornisce alcuna comunicazione al ri­ cettore e la sua funzione sarebbe unicamente quella di met­ tere in azione un determinato medium. Ma a questo punto interviene la funzione strutturante del codice che, tra le combinazioni dei vari elementi le quali seguono una curva esponenziale a tendenza crescente, sceglie quelle che presen­ tano maggiore possibilità di essere trasmesse in quanto ri­ spondenti a determinate leggi o dimensioni delle strutture culturali, come quelle di « importanza frequenziale », « astra­ zione », « vicinanza », « pregnanza » 11• Il codice, quindi rap­ presenta un sistema di probabilità sovrapposto alla equipro­ babilità del sistema di partenza, per permettere di dominarlo comunicativamente 12. Alla maggiore intelligibilità del messaggio contribuisce pure il principio della ridondanza: esso consiste nel limitare, nello strutturare l'informazione cioè l'originalità presente nel messaggio con una aggiunta di segni che supera ampiamente il numero di quelli richiesti per il processo di comunicazione; maggiore è il numero di segni, maggiori saranno le probabi- 47


lità del ricettore di recepire con chiarezza il messaggio; la nozione di ridondanza appare dunque come -una misura della forma, contrapposta all'informazione; stabilisce una dialet­ tica tra l'originalità del messaggio, ciò che porta di nuovo, e la sua intelligibilità, ciò che il ricettore vi riconosce, e cioè ciò che conosceva già (p. 156). Codice e ridondanza costituiscono pertanto le strutture intorno a cui si organizza il processo comunicativo. Il pro­ blema della cultura di massa ovvero della cultura a mosaico si può risolvere in chiave strutturalista solo a livello socio­ dinamico, a:l di fuori del quadro fenomenologico dei vari culturemi e dello schermo concettuale di riferimento di cia­ scun individuo; nel momento in cui cioè il codice impone una struttura significativa alla comunicazione e la ridon­ danza permette al ricettore di costruire delle forme sul messaggio. È quindi in una prospettiva spazio-temporale del messaggio e in una dimensione sociologica del rapporto emit­ tente-fruitore - processo socio-dinamico - che bisogna porre la misura strutturalistica delle comunicazioni di massa. Un medesimo criterio strutturalista presiede alla for­ mazione dell'intero ciclo socio-culturale, ben oltre cioè il binomio emittente-ricettore; tale ciclo è il processo su larga scala di andata e ritorno delle idee che nel loro iter dagli emittenti o, per meglio dire, dai creatori al pubblico e vice­ versa subiscono delle modifiche che, nella prima parte, sono di tipo riduttivo, poiché il loro tasso di originalità e di astra­ zione viene diluito attraverso la diffusione di massa, e nel percorso inverso invece si connotano delle reazioni dei frui­ tori e influenzano la successiva produzione dei messaggi. Cosicché si tratta di un « ciclo chiuso » in cui ogni nuova idea trae origine dall'entroterra culturale esistente che, in questo caso è la cultura di massa, e in cui nello stesso tempo viene sottolineata l'importanza dei mass media che servono da ca­ nali di efflusso e irrorazione della società (p. 129). Il ciclo culturale si presenta quindi come una struttura il cui senso si ritrova nel processo dinamico il quale si configura come una Gestalt la cui globalità, com'è noto, non rappresenta la 48


somma delle parti ed è sottoposta, come tale, ai principi del­ l'economia e dell'equilibrio. Nel suo porre in crisi il pensiero razionale la cultura a mosaico accentua la frattura di quell'aspetto di esso legato a ciò che Moles indica come «catene di ragionamento» che permettevano di legare tra loro i punti del campo dei seman­ temi con una linea di costrizione che obbliga lo spirito ad accettare un'estremità della catena se ne accetta un'altra (p. 204 ). Questo ora non è più possibile soprattutto perché ci vuole del tempo per percorrere queste catene ed il fattore tempo contraddice la natura stessa dei mass media. L'intel­ lettuale, il cultore disinteressato di studi umanistici rappre­ sentano delle eccezioni. Come osserva E. Morin, la cultura di massa è media nella sua aspirazione e ispirazione, perché è la cultura del comune denominatore tra le età, i sessi, le classi, i popoli, perché è legata al proprio ambiente naturale di formazione - la società in cui si sviluppa un'umanità media, ai livelli di vita media, al tipo di vita media 0• Questa mediocrità, intesa nel senso proprio di medietà, rientra nel più vasto discorso critico sulla cultura di massa e nella va­ stissima letteratura sociologica sull'argomento. Ne abbiamo dato un cenno per inquadrare in un contesto socic:Kulturale ben definito un habitus mentale che, sotto la pressione del­ l'eterodirezione e l'urgenza dei falsi bisogni, si allontana sempre più da una certa attitudine alla speculazione. Senza voler entrare nel merito della questione, che non per questo ci dispensa dal prender posizione su un problema che non ammette «neutralità», preferiamo in questa sede seguire il discorso di Moles nella sua angolazione più specificamente «tecnica». Cosicché, riguardando l'argomento delle «catene di ra­ gionamento» da un punto di vista più analitico, dato che l'in­ dividuo è continuamente esposto all'influenza delle comuni­ cazioni di massa, non ha mai la possibilità di percorrere interamente tali catene, perché molto prima di raggiungerne l'estremità, la sua attenzione è sviata da messaggi che si sus­ seguono incessantemente e non lasciano quindi alcuno spazio 49


ad una rielaborazione o ad una strutturazione in schemi lo­ gico-formali. Essi vengono sostituiti da sistemi meno pre­ cisi... da fenomeni « vaghi », che cioè non obbediscono a leggi che, per li fatto di essere vaghe non sono meno importanti e si assiste, come faceva osservare Lévi-Strauss, al risorgere di un certo associazionismo come espressione dominante dei fe­ nomeni del pensiero (p. 384). Questo carattere di contingenza della cultura a mosaico diventa meno condizionante al livello di ciclo culturale dove la presenza di individui creatori o di gruppi di opinione, il frutto della cui attività è appunto la cultura, garantisce al­ l'ambiente una continua evoluzione, anche se dall'ambiente essi traggono le idee, gli stimoli, le parole per i loro mes­ saggi. 1=. in questo scambio, in questo ciclo socio-dinamico che l'aleatorietà della cultura a mosaico subisce un ridimen­ sionamento; e ancora di più ciò si verifica a livello di cir­ cuiti culturali i quali rappresentano l'amplificazione relativa ai vari media (editoria, teatro, musica, radiodiffusione) del­ l'intero ciclo socio-culturale. Moles per quanto riguarda l'aspetto specifico della dimi­ nuzione di ritenzione nella strutturazione logica degli indi­ vidui ricorre a delle tecniche compensatorie (per es. l'istru­ zione programmata) che dovrebbero portare attraverso la riduzione del pressappoco e dell'errore d'interpretazione e attraverso un controllo assai forte per retroazione... a un au­ mento della tenacia del pensiero e dello sforzo di coe­ renza (p.' 389). Per quanto concerne il ciclo socio-culturale in genere e i relativi circuiti di diffusione, l'A. pone l'esigenza di una politica culturale perché è proprio qui che entrano in fun­ zione i meccanismi di selezione semi-aleatori. Il discorso esula a questo punto dai limiti della presente nota che si propone soltanto di illustrare il concetto di cul­ tura a mosaico nel suo aspetto fenomenologico e tutt'al più d'indicare qualche spunto suscettibile di ulteriori approfon­ dimenti ed ampliamenti. Ci sembra però opportuno sottoli­ neare che ogni soluzione relativa al problema delle comuniSO cazioni di massa - Moles parla di dottrina dell'educazione


adulta e di creazione di una nuova categoria di ingegneri delle comunicazioni sociali che dovrebbero garantire, la prima, la ricezione corretta del messaggio e la seconda una selezione corretta e non distorta degli eventi più significa­ tivi - non deve prescindere dai rapporti di produzione che si stabiliscono all'interno di un gruppo sociale. Sono questi infatti che stabiliscono la possibilità che emittente e ricet­ tore si servano nel processo di comunicazione di un unico codice. Come osserva P. Bourdieu la cultura nel senso oggettivo di cifra o di codice, è la condizione dell'intelligibilità dei si­ stemi concreti di significati che essa organizza e ai quali resta irriducibile ... mentre la cultura nel senso soggettivo di padronanza, più o meno completa, del codice non è altro che la cultura (oggettiva) interiorizzata e divenuta disposi­ zione permanente e generalizzata a decifrare gli oggetti e I comportamenti culturali utilizzando il codice secondo il quale sono cifrati 14• Se quindi il creatore di messaggi culturali usa un codice diverso da quello del fruitore perché diversi livelli economici hanno creato diverse possibilità di utilizzazione dei beni cul­ turali, questi non può recepire in maniera corretta ed in­ telligente il messaggio che gli viene trasmesso e resta in tutto o in parte escluso dal processo di comunicazione. In tal caso si viene a verificare uno squilibrio non solo a livello indivi­ duale, ma anche a quello sociale con grave pregiudizio per l'intrinseco dinamismo dell'intero ciclo cultur�le, che è tanto più valido e vitale quanto più frequenti e totali sono i pro­ cessi di scambio con tutti i componenti del gruppo dell'intera sfera sociale.

1 E. CASSIRER, Saggio sull'uomo, Armando Editore, Roma 1969, pp. 79-08. 2 P. TERNI, in appendice al voi. A. MoLES, Sociodinamica della cul­ tllra, Guaraldi, Firenze 1971, p. 415. 3 A. Mm.Es, Sociodinamica della cultura cit., p. 46. 4 CH. R. WRIGHT, La comunicazione di massa, Armando Editore, Roma 1970, pp. 11-12. s Ibidem, p. 13. 6 A. MoL.ES, Op. cit., pp. 45-46.

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7 CH. R. WRIGHT, Op. cit., p. 13. 1 A. MoUlS, Op. cit., p. 41. Le citazioni successive tratte da questo volume saranno contrassegnate nel testo col solo numero della pagina. 9 Con questo termine l'A. indica l'oggetto da prendere in esame (l'individuo, la società, o la memoria di una calcolatrice). 10 U. Eco, introduzione a AA.VV., Estetica e teoria dell'informazione, Bompiani, Milano, 1972, p. 14. 11 « Dimensione di importanza frequenziale » sta ad indicare la frequenza con la quale la mente umana usa un concetto; « dimensione di astrazione• è la capacità di apprendimento della mente in genere; « dimensione di vicinanza • è il rapporto spaziale che si stabilisce fra campi di un determinato settore della conoscenza; « dimensione di pregnanza• rappresenta il grado di significazione di una struttura cul­ turale. 12 U. Eco, Op. cit., p. 17. 13 E. MORIN, L'industria culturale, Il Mulino, Bologna 1963, p. 45. 14 P. Bm.iRDIEU, La trasmissione dell'eredità culturale in AA.VV., Scuola, potere e ideologia, Il Mulino, Bologna 1972, p. 160.

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Arbitrarietà e motivazione del linguaggio architettonico CBTTINA LENZA

Un'impostazione di ricerca che parta da una prospettiva semiologica e che, pur senza rinunciare ai caratteri specifici della materia, tragga ispirazione dal modello linguistico, porta inevitabilmente ad affrontare la questione dell'arbitrarietà del segno; denominazione, quest'ultima, che si riferisce ad un problema tutt'altro che univoco, ma che, al contrario, si arti­ cola su più livelli, investendo tutta una serie di relazioni. Fra queste la prima - cronologicamente e logicamente può considerarsi quella che si instaura tra sistema linguistico e realtà. Appare evidente - come ha rilevato il Benveniste che la parola non sia avvertita affatto come arbitraria dal parlante che la considera appartenente materialmente alla cosa: il nome è nell'oggetto, o, addirittura, in una primitiva concezione magica, crea ciò su cui verte. E quand'anche si riconosca - già con Aristotele - che la parola, quale corpo fonico, è creazione convenzionale dell'uomo, resta però non tale il rapporto tra il significato della parola e la cosa; la serie dei segni linguistici denoterebbe così, con una corri­ spondenza biunivoca, nozioni e oggetti che sono « gli stessi per tutti». Saussure osserva: per certe persone la lingua, ricondotta al suo principio essenziale, è una nomenclatura, vale a dire una lista di termini corrispondenti ad altrettante cose 1; ma non è solo la posizione superficiale del gran pubblico; anche secondo il Russel di Logie and Knowledge e di Mysticism and Logie e il Wittgenstein del Traetatus, la parola è una immagine della cosa; fra oggetto e segno esiste una corrispon- 53


denza perfetta... « Il nome ,. scrive Wittgenstein « significa l'oggetto. L'oggetto è il suo significato» (3.203) 2• Una tale posizione, tendente, dunque, a riscontrare nella lingua il riflesso di un ordine naturale, ha diametralmente al suo opposto il radicale relativismo di molti autori contem­ poranei quali il Martinet, per cui il mondo, o, meglio, la nostra esperienza del mondo, si organizza in cose a seconda del sistema linguistico di riferimento che adoperiamo. Addi­ rittura, un mutamento nella lingua può - per Whorf - tra­ sformare la nostra concezione del Cosmo 3• All'origine di simili teorie riguardanti il rapporto lin­ guaggio-realtà, parola-cosa, può, però, sempre considerarsi l'annoso problema dell'attribuzione dei nomi del Cratilo pla­ tonico; la corrente eraclitea, che vedeva nella parola una oscura rivelazione del vero, asseriva l'esistenza di un rap­ porto natura tra nomi e cose designate, o, almeno, che senza tale rapporto il nome non potesse considerarsi autentico, ove, all'opposto, quella democritea, ispirata ad una concezione relativista, si faceva sostenitrice dell'arbitrarietà. Il legame che unisce parola e oggetto ne era, quindi, definito frutto di legge, di istituzione, di convenzione. Quando, ai nostri giorni, Saussure riprende con tanta fermezza la tesi dell'arbitrarietà del segno linguistico, è mosso da un'esigenza già avvertita dagli analogisti: la volontà, cioè, di assimilare la lingua ad un sistema, con una propria orga­ nizzazione interna. Se ogni segno fosse in effetti un'imitazione del suo oggetto, sarebbe di per se stesso spiegabile, indipen­ dentemente dagli altri, e non avrebbe una relazione necessaria con il resto della lingua 4, nella quale, per Saussure - ricor­ diamolo - non vi sono che differenze senza termini positivi 5• Insomma, le unità del linguaggio sono innanzi tutto entità oppositive, relative e negative tra le quali si istituisce una rete particolare di rapporti, un determinato tipo di articola­ zione che altro non è se non l'essenza di quella lingua 6; senza considerare che, negando del tutto la natura arbitraria della relazione che unisce parole e cose, si verrebbe anche a ri­ fiutare il condizionamento storico e sociale delle varie 54 espressioni.


Giustamente il Benveniste osservava, però, che l'asser­ zione saussuriana di arbitrarietà era invalidata dal ricorso ... a un terzo termine, che non era compreso nella definizione iniziale. Questo terzo termine è la cosa stessa, la realtà 7, che diviene, ogniqualvolta si riproponga all'interno dei problemi del linguaggio, elemento di insanabile contraddizione. L'opi­ nione secondo cui esistono dirette relazioni di significato tra parole e cose è all'origine di quasi tutte le difficoltà nelle quali il pensiero si imbatte ... la parola « significa ,. viene costante­ mente impiegata come se implicasse una relazione semplice e diretta tra parole e cose, frasi e situazioni 8• È proprio per superare una tale difficoltà che Ogden e Richards negarono una connessione diretta di tal genere; per O. e R. un simbolo non simboleggia la realtà, ma un atto di riferimento, in quanto non esiste la realtà indipendentemente dagli atti di riferi­ mento, dalle interpretazioni, dalle operazioni della soggettl­ \'Ìtà 9• Solo impropriamente, quindi, il simbolo viene assunto come segno di ciò al cui posto sta, cioè, di ciò cui si riferisce il riferimento che esso simboleggia 10• Trasposta all'interno di una semiologia architettonica - partiamo dai presupposti di De Fusco sistematizzati nel volume Segni, storia e progetto dell'architettura - la que­ stione proposta perde gran parte della sua problematicità; il segno architettonico non deve rimandare ad una realtà che è «altro» da sé, ma può risolversi all'interno delle sue com­ ponenti. Infatti, a differenza del segno verbale, non assolve esclusivamente ad una funzione comunicativa o, meglio, refe­ renziale; si può affermare che, analogamente a quanto Gui­ raud nota per il messaggio estetico, esso n'a pas la simple fonction transitive de mener au sens...; c'est un objet, un mes­ sage-objet 11• Questa ipostasi del segno architettonico, l'essere, cioè, una realtà sostanziale per sé sussistente, sembra ricalcare il carattere fondamentale di quella che Jakobson definì: «la fonction esthétique ,. per cui le référent c'est le message qui cesse d'etre l'instrument de la communication pour en devenir l'objet 12. Se, insomma, come annota Ricoeur, « l'in­ tention première du langage» è quella di «dire qualcosa su qualcosa» (è il tema del Frege del senso e del significato), 55


il linguaggio dell'architettura mantiene il Sinn (che concerne il « dire qualcosa »), ma elimina la Bedeutung (il « dire su qualcosa»). A questo punto si potrebbe, in effetti, obiettare che la questione, com'è stata posta finora, riguardante, cioè, la rela­ zione tra segni verbali e realtà circostante, interessi più da vicino la teoria della conoscenza; ma, a ben guardare, essa coinvolge il concetto stesso di significato e, soprattutto, i rapporti tra il segno e il significato, problemi questi di ben precisa competenza linguistica. Dopo quanto si è detto, sem­ brerebbe infatti lecito chiedersi se sia ancora possibile so­ stenere che le parole abbiano dei significati, - ciò che ri­ manderebbe ad una materia extra-linguistica - o non che siano, piuttosto, dei significati, anche se non soltanto tali. Malinowski polemizza contro tutti coloro che sono por­ tati a concepire il significato come un'entità reale contenuta in una parola o In un'espressione 13• Una tale conclusione ci pare, invece, inevitabile per il segno architettonico; ma non vorremmo che il problema apparisse troppo semplificato: pure eguagliato il significato allo spazio interno, esso non si identifica, però, meramente con l'incorporato. La qualificane di internità o di esternità è conferita dalla più generale zione significativa e dal processo di comunicazione e non base ad u:n criterio meramente tettonico; si comprende, così, come risulti spesso complesso il poter stabilire con pre­ cisione il passaggio da un livello ad un altro. Per realizzare la difficoltà cui si va incontro, in campo linguistico, nell'individuare il significato, basti ricordare che Ogden e Richards (in un testo divenuto ormai classico sul­ l'argomento) ne elencano ben 23 accezioni distinte e, spesso, assai diverse. Ma, anche più semplicemente, è immediato ve­ rificare come ogni parola ammetta un significato lessicale, grammaticale, sintattico, e principale o marginale, distinzioni, quest'ultime, che si riferiscono a fenomeni peculiari dei segni verbali (polisemia, omonimia, antinomia) e concernenti la proprietà, che presentano alcuni vocaboli, di assumere più significati, simili, differenti o, addirittura, opposti. Si può dire, in definitiva, che il problema sfugge ad un'in56

f.


dagine precisa; la credenza comune secondo la quale cia­ scuna parola possiede un « senso esatto ,. è errata. Lo spirito manipola simboli che non hanno riferimento fisso, ma che rassomigliano piuttosto ad assegni in bianco, da riempire se­ condo le necessità; si può conferire a tali simboli « qualsiasi valore,. di una variabile data, come gli x, y, z, dell'algebra 1•. Proprio per questo Husserl distingueva un « significato inten­ zionale » e un « significato riempito », per sottolineare l'esi­ genza che il significato si ponga come un'idea limite, un senso infinito che i singoli significati riempiti e raggiunti, pur nel loro tendere ad esso, non riescono ad esaurire mai; il riem­ pimento, cioè, non si verifica in maniera definitiva; si do­ vrebbe, piuttosto, parlare di una successione di riempimenti, di una corrente progressiva di significati che scorrono verso un « telos» sempre nuovo rispetto alle posizioni via via raggiunte 15 • In effetti, una volta riconosciuto che, per il segno archi­ tettonico, ad ogni significante corrisponde un significato ed uno solo, e, inversamente, ogni significato non si conforma che attraverso un unico significante, se ne potrebbe conclude­ re che la comunicazione architettonica è particolarmente effi­ cace e monosemica (qualità che è propria dei codici logici). Ma lo stesso « significato» dello spazio architettonico non è univocamente inteso dai teorici; secondo il Prak, parte della confusione registrabile negli scritti di architettura deriva dal fatto che lo spazio architettonico viene considerato come un semplice oggetto visibile. Occorre invece distinguere tre tipi di spazio: quello ·fisico ( ll volume d'aria di cui si occupa l'in­ gegnere degli impianti termici), quello concettuale (lo spazio che vediamo e visualizziamo) e quello comportamentale 16• Sembrerebbe lecito, allora, ammettere che lo spazio assuma una molteplicità di « significati», considerando ora la rela­ zione con gli ambienti contigui o con l'esterno, ora i fattori virtuali, ora l'allestimento, ecc.; e questo distinguendo sempre· la nostra definizione di segno architettonico da quella di « segno estetico» che, per il Wheelwright, si pone, per defi­ nizione, quale plurisegno, opposto al monosegno referenziale, e da quella morrisiana di « segno iconico » in cui il rimando· 57


semantico... si arricchisce continuamente ogni qual volta sia fruito 17• In realtà, già per il linguaggio il Kurylovich notava: secondo me, la cosa più importante è il significato « prin­ cipale », quello che non è definito da un contesto, mentre i restanti significati (parziali) aggiungono gli elementi del con­ testo agli elementi semantici del significato principale 11• Cosl, se riconosciamo che la particolare apertura del linguaggio risiede proprio nel tendere del senso del significato (lo Streben nach Wahrheit di Frege), non possiamo certo defi­ nire chiuso semanticamente (nell'accezione, stavolta, più ge­ nerale del termine) il segno architettonico. La sua particolare disponibilità si fonda, invece, sul procedimento inverso, per cui un determinato «significato » può assumere un diverso «senso» a seconda dei vari parametri (percettivo, compor­ tamentale, ecc.) con cui viene esaminato. La nozione di arbitrarietà investe, poi, anche il rapporto tra linguaggio e società; essa exclut dans cette acception la possibilité pour le sujet parlant de faire dépendre de sa vo­ lonté personnelle le choix de la forme exprimant tel signifié ou le choix d'un signifié pour telle forme 19• Approfondendo - si legge nel CLG - vediamo che in effetti proprio l'arbi­ trarietà del segno mette la lingua al riparo da ogni tentativo tendente a modificarla. La massa, anche se fosse più cosciente di quel che è, non potrebbe discuterne. Perché, per mettere in questione una cosa, è necessario che questa sia fondata su una norma ragionevole..,; ma per la lingua, sistema di segni arbitrari, questa base fa difetto e con essa ci è sottratto ogni terreno solido di discussione; non c'è nessun motivo per pre­ ferire « soeur » a « sister », « Ochs » a « boeuf » 20• Il linguaggio dell'architettura si trova, ancora una volta, in una posizione particolare: come ha osservato Barthes, si tratta di un sistema non elaborato da una «massa parlante », ma da un gruppo decisionale. I vari progetti, anche quelli a carattere utopistico, nel momento stesso che·vengono attuati - è stato scritto - riducono le possibilità combinatorie, vengono ad essere coerclzzatl dalla logotecnlca che l'urba58 nista o l'architetto (In quanto manipolatori di regole sociali)


sono «costretti » a elaborare e ad «imporre» all'utente 21. D'altra parte, proprio l'essere l'architettura una logotecnica, e, cioè, esplicando una ragione funzionale prima che comuni­ cativa, imporrebbe che i suoi prodotti risultassero più duttili, condivisi e immediatamente comprensibili da tutti coloro che ., non « parlano» architettura, ma la fruiscono, con un'azione «riduttiva» che - annota De Fusco - ci sembra caratteriz­ zare semioticamente il Movimento moderno 22. Infine, il terzo tipo di relazione che vogliamo esaminare in base al concetto di arbitrarietà, si attua tra le componenti stesse del segno. Tralasciamo i tentativi del Darmesteter o del Guiraud, per i quali la parola, segnale eventualmente ar­ bitrario nella sincronia non lo è, però, mai nella diacronia, per riportare la questione ai termini in cui la pose Saussure, secondo cui, fin dall'origine, l'immagine acustica risulta im­ motivata rispetto al concetto, col quale non ha nella realtà alcun aggancio naturale 23; lo provano le differenze tra le lingue e l'esistenza stessa di lingue differenti: il significato «bue» ha per significante «b-o-f» da un lato e «o-k-s»... dal­ l'altro lato della frontiera 24• A seguito di tale affermazione si è potuto accusare Saussure di concepire egli stesso la lingua co­ me una nomenclatura. Come ha osservato il Lucidi, essendo il significato unicamente la contropartita del significante, non si può parlare di un significato «boeuf» in contrapposizione contemporaneamente ai significati «b-o-f» e «o-k-s», ma di un significato «boeuf» e di un significato «Ochs» 25• Sono motivazioni analoghe a quelle avanzate dal Benveniste nel ri­ badire che, inversamente, il rapporto tra significante e signi­ ficato è «necessario» e non già arbitrario: nella mia co­ scienza di francese il concetto... «bue » è necessariamente identico all'insieme fonico... bof... L'uno e l'altro sono im­ pressi insieme nella mia mente; e insieme si evocano in ogni circostanza 26• È una posizione, questa, chi si ritrova, con più rigore, nei marxisti, sostenitori dell'unità organica tra suono e si­ gnificato nei segni verbali. E ciò perché il pensiero e il lin• guaggio formano un tutto unico, indivisibile, organico 27; ne risulta, così, puramente illusorio il ritenere che si possa pen- 59


sare senza ricorrere al linguaggio, come vogliono tutti coloro che, da Platone in poi, affermano la tesi di un'unione mistica tra soggetto conoscitivo e oggetto della cognizione. Non vi è pensiero che possa esistere isolatamente né linguaggio che possa esistere isolatamente, vi è soltanto pensiero-e-linguaggio. Non vi è alcun concetto che esista isolatamente o alcun segno che esista separatamente, vi è soltanto concetto-e-segno-ver­ bale 28• Ma la concezione della connessione arbitraria tra suono e significato (stabilita, cioè, in base ad una conven­ zione), è criticata anche da linguisti di diversa tendenza, quali il Rubinstein, che tenta di dimostrare che il segno ver­ bale ha una propria vita « sociale » indipendente da noi, una propria storia indipendente dalle nostre convenzioni, ed è connesso con la natura oggettiva della nostra conoscenza 29• Naturalmente si riconosce che, però, la dichiarata unità organica tra significato e suono non è assoluta, ma relativa, il che vuol dire che può essere infranta in alcuni casi partico­ lari: (che un significante non implichi necessariamente un significato è evidente nel caso di una lingua straniera non nota, quando, cioè, non conosciamo il codice che è alla base della relazione tra immagine acustica e concetto, o nelle ar­ ticolazioni foniche che si esauriscono esclusivamente in una ricerca di sonorità, o in casi più complessi di alterazione del processo comunicativo, quali l'afasia, ecc.). Tuttavia, perché la comunicazione possa avvenire, occorre trovarsi in presenza di un segno, ovvero della inscindibile unità delle due compo­ nenti, e si conferma, quindi, l'esigenza di un legame ne­ cessario.. Bisogna,. però, esaminare, a questo punto, in che modo si verifichi una tale connessione: la teoria associazionista sostiene che suono e significato esistono indipendente­ mente l'uno dall'altro e che il loro combinarsi nel segno verbale si basa sull'associazione tra un determinato suono e un determinato significato. Questa era l'opinione di Dela­ croi.x, secondo cui tutto in definitiva si riduce a un'associa­ zione nella memoria umana tra suono e significati, associa­ zione arbitrarla per sua natura 30; il segno verbale sarebbe, 60 così, dotato di un significato.•• « autonomo •, cioè elaborato



leur substance ou leur forme; elle est « analogique » dans le premier cas, «homologique » dans le second 37• Identificato il significante con lo spazio esterno della architettura, per approfondire il discorso circa l'arbitrarietà che può presentare nei riguardi del significato, ci pare oppor­ tuno scinderlo nelle sue componenti; l'immotivazione è, ovviamente, da escludersi per le sue facce interne che, per la legge della reciprocità, risultano anche figure del signi­ ficato. Il problema continua, però, a sussistere per quelle esterne; volendo, allora, ricercare un rapporto di analogia, ricordiamo che questa si verifica, per Guiraud, allorché le signifiant et le signfié ont des propriétés communes qui per ­ met de les assimiler ou sont associés par un lien de con­ tiguité dans l'espace, dans le temps 38• Ci sembra allora lecito affermare che i significanti architettonici possono presen­ tare, con i significati, un'analogia metaforica o metonimica (un rapporto, cioè di «trasferimento» per similitudine o di parte a tutto), nel senso che, assai spesso, le facciate di un edificio hanno valore riassuntivo o di indizio dei caratteri dello spazio interno ( ne suggeriscono la forma, ne eviden­ ziano le aperture, sottolineano la presenza degli ambienti più segnati semanticamente, ecc.), o, almeno, riflettono una figura del significato, l'altra faccia della parete. Ovviamente la motivation n'exclut pas la convention 39 ( Guiraud parla, anzi, di «barrière schématisée » che segnala il passaggio da un livello ad un altro) e, inoltre, l'analogie - comme la con• vention - a des degrés; elle est plus ou moins forte et immédiatement évidente 40• Ad un suo tipo particolare può ricondursi la stessa omologia che è «une analogie structurelle »; essa si riscontra allorché les signifiants étant entre eux dans la meme relation que les ·stgnifiés 41; così nei vocaboli: chien/chienne, lion/ lionne, chat/chatte, dove l'opposizione dei sessi si riflette chiaramente nella forma stessa delle parole, a differenza di casi come cheval-jument. In definitiva, si può sostenere che lo sforzo che si vor­ rebbe operare nell'architettura attuale è proprio indirizzato 62 alla ricerca di questi rapporti analogici e omologici: è la


metodologia progettuale dell'elenco di cui parla Zevi e che esclude la nozione di « facciata » 42 ; si tende a risemantizzare i singoli elementi costitutivi dell'edificio, a fare sì, insomma, che dall'esterno sia possibile leggere i significati e, cioè, non già le funzioni ( che alcuni autori vorrebbero identificare con i significati architettonici), ma gli spazi, evidentemente con­ formati per assolvere a determinate funzioni ( e che, come dice De Fusco, ne costituiscono la traduzione gestaltico spa­ ziale) 43 , le loro reciproche relazioni, l'articolazione, l'incastro. La visione scatolare, a pacco, è superata. Non siamo più interessati nell'epidermide, vogliamo conoscera le ossa e gli organi, Gli architetti esprimeranno all'esterno tutte le com­ ponenti degli edifici, magari separandole affinché l'osserva­ tore possa penetrare in profondità ... La facciata, nel senso tradizionale del termine, scomparirà per dar luogo ad una trama di cellule abitabili librate nello spazio; un mosaico di facciate, un bombardamento di immagini 44• Insomma, il rapporto significante-significato architetto­ nico, pur ridotto, come abbiamo visto, per semplicità di trat­ tazione, a quello facciata-interno, resta uno dei più complessi. Brandi annota che, nella storia dell'architettura, il problema si presentava... a scadenze fisse, che provocavano un travaglio, spesso durato dei secoli e rimasto irresoluto tuttavia 45• Che a regolare tale relazione intervenissero spesso moti­ vazioni simboliche è innegabile; così la perfetta coerenza della cattedrale gotica è vista, da Panofsky, come la conse­ guenza, sul piano dell'architettura, del principio della « mani­ festatio » dell'Alta Scolastica: se il campo della fede resta sempre separato da quello della ragione, ma non più impe­ netrabile, anzi, comprensibile in modo chiaro, allo stesso modo, per l'equivalente principio della « trasparenza », l'archi­ tettura Alto Gotica, separando dallo spazio esterno un volume interno, insiste che questo proietti se stesso, come avviene, attraverso la struttura che lo circonda; sicché per esempio, la sezione trasversale della navata può essere letta dalla facciata 46• Analogamente, allora, oltre la considerazione che le maggiori difficoltà si incontrano a livello di copertura che, non per altro, è la figura del significante che più di tutte si 63


carica di valenze simboliche, si dovrebbe tener conto del valore assunto dalla prospettiva nel Rinascimento, della poe­ tica della sorpresa nel Barocco e così via. Resta, comunque, sempre verificato che il problema ha imposto, in ogni caso, delle scelte precise ed ha fortemente condizionato il «fare» architettonico. L'« idolatria della fac­ ciata», la ricerca, cioè, di una regolarità di scansione, ha spesso costretto l'interno a suddivisioni a-funzionali, a meno che la conformazione esterna non si rispecchiasse affatto nella parete, che risultava, così, addossata, un prospetto tirato su con dietro il vuoto 47• :E:. un caso, quest'ultimo, che defi­ niremmo un esempio di immotivazione o arbitrarietà, riscon­ trabile ancora in tutte le fabbriche in cui l'esterno, comunque si configuri, si pone proprio come un « tradimento» del­ l'interna organizzazione spaziale; appare tuttavia evidente che, pure le soluzioni che definiamo arbitrarie rispondono ad una logica ben precisa, anche se questa prescinde del tutto da quella dello spazio interno. Si tratta, allora, di stabilire in che modo avvenga, in tali circostanze, la dialettica spazio interno-significato, spazio esterno-significante. Una risposta ce la fornisce Brandi: l'opera di architet­ tura avrà ... un interno ed un esterno, ma l'interno dovrà essere anche esterno a se stesso, e l'esterno interno a se stesso: l'esterno di-un interno non sarà l'esterno dell'edificio, né l'interno di un esterno sarà l'interno effettivo dell'edificio stesso 49• In tal modo, i casi su considerati, risulterebbero frutto dell'intuizione di questa struttura fondamentale del­ l'architettura, per cui l'esterno di un monumento, e se archi­ tettura sia», non deve essere il semplice rovescio dell'in­ terno 49• Più in particolare, una facciata non avrà come interno l'interno del palazzo o della chiesa, ma, come facciata, dovrà possedere strutturalmente un suo interno 50; da questa norma, che diviene, come abbiamo visto, vero e proprio criterio discriminante, l'assoluta legittimità dell'autonoma facciata contro Il cieco razionalismo architettonico 51• Ma, a proposito di uno fra i numerosi esempi offerti, e, cioè, la doppia cupola brunelleschiana, Brandi attribuisce la nota soluzione all'in64 tuizione della legge individuata seppure - aggiunge poi -



caso, quindi, gran parte delle soluzioni cosiddette arbitrarie si ritrovano nelle opere legate ad intenti scenografici, nei prodotti del!'« architettura delle facciate », o, ancora, nei casi in cui la fabbrica viene ad inserirsi in un complesso preesistente, per cui l'architetto è spinto, forse, ad operare su due livelli - del singolo edificio e dello spazio urbano con una diversità di atteggiamento che non è dovuta solo, ovviamente, a precisi vincoli pratici e diremmo tettonici; essa risponde a differenti criteri che intervengono nell'orga­ nizzazione dello spazio per cui, ad esempio, le figure del significato urbanistico sono legate ad una visione da lontano, sono, o sono state, meno legate alla funzione e più soggette alla rappresentatività, ecc. Una simile conclusione ci sembra, d'altronde, intuita dallo stesso Brandi; infatti, allorché ribadisce il proprio cri­ terio che l'esterno debba, cioè, risultare un interno, chiarisce: interno a se stesso, al proprio avvolgimento spaziale 58; interno al segno urbanistico - diremmo noi - che contribuisce a configurare. Il concetto di arbitrarietà va, a questo punto, integrato con quello di relazione, di peso fondamentale nei problemi della significazione e verbale e architettonica. Per inciso, notiamo che ci pare anche parzialmente ricalcabile, nel nostro sistema, la distinzione tra segni autosemantici, cioè autonomi, e sinsemantici, che, viceversa, possono assolvere alle loro funzioni significative solo se accompagnati da altri segni, come aggiunte o parti di essi; (fra quest'ultimi pensiamo, evidentemente, che si possano annoverare tutti quegli am­ bienti secondari o di collegamento creati proprio in funzione di altri segni architettonici, per i quali - sebbene essi siano sempre dotati di proprio « significato ,. :- il valore semantico, in senso lato, si precisa solo in virtù dei rapporti che vengono a stabilirsi). La relazione può sussistere - ed è un modo a sé stante d'intenderla - tra parole appartenenti al medesimo « campo semantico », che, cioè, sono dello stesso ambito concettuale; si verrebbe così a cancellare, per alcuni autori, l'arbitrarietà vocabolo isolato. Di qui cogliamo il suggerimento che la del 66


motivazione di ogni singolo edificio vada anche ricercata facendo riferimento ai caratteri particolari della tipologia edilizia che rappresenta. Inoltre, proprio l'instaurarsi di diverse relazioni porta a distinguere, nella parola, un signi­ ficato lessicale da uno grammaticale, ove il secondo, pur sempre connesso al primo, si riferisce, in più, alle proprietà e alle relazioni dei segni verbali ..., e attraverso di essi alle proprietà e alle relazioni degli oggetti reali che si riflettono nel linguaggio-pensiero (per esempio, genere, numero, caso, relazioni varie, ecc.) 59; (tralasciamo qui la questione se le strutture della lingua riflettano o meno quelle della realtà, mentre riteniamo che si possa affermare che rispecchiano, almeno, quelle del pensiero). Ancora maggiormente il signi­ ficato sintattico si fonda suUe relazioni e si modifica in base ad esse: nel caso del significato sintattico abbiamo sempre a che fare con qualche significato aggiunto al significato les­ sicale e riferentesi a determinate relazioni, proprietà, e così via, di oggetti, azioni, ecc. (,O. Teniamo, naturalmente, a sottolineare che il problema del significato viene qui ripreso da una prospettiva diversa: non interessa più l'essenza del significato, non ci si chiede « che cosa ,. il significato sia, ma « come ,. le entità assumano significazione. Si deve allora evidenziare il ruolo estremamen­ te importante che assume la relazione col contesto. Il fatto era già, in parte, intuito da Saussure nell'affermare: Il tutto vale per le sue parti, le parti valgono altresì in virtù del loro posto nel tutto, ed ecco perché Il rapporto sintagmatico delle parti al tutto è tanto hnportante quanto quello delle parti tra loro 61• Addirittura, per Whorf, Il significato delle parole è in se stesso meno hnportante di quanto si abbia, con notevole ingenuità, tendenza a credere. Sono le frasi, non le parole, a formare l'essenza del discorso, esattamente come sono le equazioni e le funzioni, e non i numeri in se stessi, a formare Il contenuto reale della matematica... La parte di significazione che si trova nelle parole e che si può chiamare « referenza » non è fissa che in grado relativo. La referenza delle parole dipende dalle frasi e dalle forme grammaticali in cui esse si trovano 62.

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Certo, nel proporre che la struttura sintattica possa of­ frire una certa penetrazione nei problemi del significato e della comprensione siamo entrati - nota Chomsky - in un campo pericoloso. Non c'è nessun aspetto dello studio lin­ guistico più soggetto a confusione e più bisognoso di for­ mulazioni chiare di quello che si occupa dei punti di con­ nessione tra la sintassi e la semantica 63• Ma è anche vero che per lungo tempo i lessicografi hanno avuto la tendenza a considerare le parole come fenomeni isolati, e a dimenti­ care che la parola isolata è un'astrazione ( « un fait de langue », nella terminologia di Saussure) che sempre, nel discorso e nella scrittura, si presenta in un contesto che ne modifica e precisa il significato 64• Ovviamente, poi, i rapporti rela­ zionali influiscono anche sui significanti delle parole, e si riflettono in desinenze, suffissi, prefissi, alterazioni tema­ tiche ecc. A questo punto ci è consentita una prima osservazione, e, cioè, che, quanto più si instaura relazione, tanto più l'arbi­ trarietà viene ad attenuarsi; lo stesso Saussure distingueva un'arbitrarietà radicale da una relativa: anzi, l'intero mec­ canismo della lingua non è che una correzione parziale di un sistema naturalmente caotico e va quindi studiato come una limitazione dell'arbitrarietà... In un certo senso - che non bisogna precisare troppo, ma che rende sensibile una deJle forme di questa opposizione, - si potrebbe dire che le lingue in cui l'immotivato raggiunge il massimo sono più « lessicologiche » e quelle in cui si abbassa al minimo sono più « grammaticali ». Non che « lessico » e « arbitrarietà » da un lato, « grammatica » e « motivazione relativa » dall'altro siano sempre sinonimi; ma vi è qualcosa di comune nel fonda­ mento 65; nel che ci sembra di vedere che lo stesso autore voglia sottolineare l'importanza, per il concetto di motiva­ zione, delle regole di costruzione e dei rapporti relazionali. Ma quello che qui ci interessa soprattutto rilevare è come, allorché i segni si combinano fra loro, venendo a far parte di un'unità più grande, si modificano necessariamente, e come i rapporti tra le nuove unità e le singole componenti, fortemente dialettici. Diremo, allora, che, pur esclusiano 68


dendo una corrispondenza di termine a termine, ma volendo solo segnalare un'analogia di rapporto, sussiste la propor­ zione: parola: sintagma = segno architettonico: segno urba­ nistico (ove si tenga presente che la terminologia è assunta con intento puramente esemplificativo e che la frase è il tipo del sintagma per eccellenza) 66• Anche la frase può, infatti, considerarsi un'unità, una Klangeinheit und Sinneinheit (unità di suono e di significato), come è stata definita; addi­ rittura il Lucidi proponeva di riservare il termine «segno» alla frase, proprio considerando che il singolo vocabolo era un'entità in possesso d'una valenza semantica solo in quanto inserito in una frase. E, in effetti, essa presenta alcune carat­ teristiche, quali l'inscindibilità di forma e contenuto proprie del segno: la frase non esprime l'enunciato ... ma è da esso inseparabile: un enunciato senza la sua forma verbale non può essere espresso e non può essere neppure formulato nella mente. Quindi, enunciato e frase non sono categorie differenti e nemmeno insiemi distinti e separati 68• Se la frase

ha, dunque, un proprio significato, esso è legato sì a quelli delle singole parole, ma non ne costituisce una semplice somma; allo stesso modo il significante si fonda sui singoli suoni delle parole, organizzandoli e modificandoli, però, non solo in virtù dei rapporti reciproci, (fenomeni d'elisione, alterazioni d'accento, ecc.), ma anche in relazione al nuovo significato assunto (basti pensare all'importanza che assume, per la stessa significazione, l'intonazione della frase in certe lingue). Insomma: il valore del termine totale non è mai eguale alla somma dei valori delle parti 69• Analogamente, il segno urbanistico, pur inglobando i segni architettonici, è qualcosa di più della loro semplice giustapposizione; la sua natura, come quella del sintagma, è indissolubilmente legata alla relazione di più unità (il sintagma... si compone sempre di due o più unità consecutive) 70 che lo determinano, ma che, nel conformarlo, si modificano a loro volta ( altera­ zioni la cui causa va ricercata, nuovamente, nel rapporto col contesto). Appare allora evidente che la motivazione di tali entità costitutive vada da ricercarsi soprattutto all'interno della nuova articolazione. Insomma, per una più chiara 69


comprensione dei fenomeni, si impone in ogni caso un'allar­ gamento da un primo sistema ad uno più ampio e compren­ sivo del precedente; così l'architettura si prolunga neces­ sariamente nell'urbanistica ed in tale dimensione rinviene il suo completamento; ed allora, in una visione integrata, quegli elementi che in una prima e parziale indagine avremmo definito arbitrari trovano, invece, un loro posto ed una loro giustificazione all'interno del messaggio più comprensivo che l'uomo crea nel corso della sua vita sociale.

70

I F. DE SAussuRE, Corso di linguistica generale, Laterza, Bari 1970, p. 83. 2 A. PONZIO, Fenomenologia del significato, in « Aut Aut», marzo 1967, n. 98. J....B. L. WHORF, Mutare lingua per mutare il cosmo, da Language, Thought, and Reality, in « L'architettura cronache e storia», gennaio 1970, n. 171. 4 O. DucROT, T. ToooRov, Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio, ISEDI, Milano 1972, p. 147. 5 F. DE SAUSSURE, Op. cit., p. 145. 6 L. HEILMANN, Dallo storicismo allo strutturalismo da Le correnti della linguistica contemporanea, in « Terzoprogramma » n. 1 ERI, To­ rino 1970. (La conclusione è giustificata da varie asserzioni di Saussure il quale, però ha anche ribadito: « benché il significato e il significante siano, ciascuno preso a parte, puramente differenziali e negativi, la loro combinazione è un fatto positivo»; F. DE SwssuRE, Op. cit., p. 146. 7 E. BENVENISTE, Natura del segno linguistico in Problemi di lingui­ stica generale, Il Saggiatore, Milano 1971, p. 62. a C. K. OGDEN, I. A. RlCHARDS, Il significato del significato, Il Saggiatore, Milano 1966, p. 38. 9 A. PONZIO, Op. cit. IO C. K. OGDEN, I. A. RICHARDS, Op. cit., p. 229. li P. GUIRAUD, La sémiologie, Presses Universitaires de France, Paris 1972, p. 62. 12 Ivi, p. 11. u B. MALINOWSKI, Il problema del significato nei linguaggi primitivi, da c. K. OGDEN, I. A. RlCHARDS, Op. cit., p. 347. 14 B. L. WHORF, Op. cit. 1s Cfr. E. PAcI, Decezione conflitto e significato, in « Aut Aut», luglio 1967, n. 100. 16 N. L. PRAK, The language of architecture • A contribution to architectural theory, cit. in B. ZEVI, Il linguaggio moderno dell'architet­ tura, Einaudi, Torino 1973, p. 208. 17 U. Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano 1962, p. 76. 11 E. R. KURYLOVICH, Note sui significati delle parole, cit. in A. ScHAPF, Introduzione ala semantica, Editori Riuniti, Roma 1965, p. 280. 19 J. DUBOIS, L. GUESPIN, M. GIACOMO, CHR. et J. B. MARCELLESI, J. �­ MEVEL, Dictionnaire de linguistique Larousse, Librairie Larousse, Pans 1973 voce arbitraire, p. 45. 20 F. DE SAUSSURE, Op. cit., p. 91.


21 A. M. RACHELI, li prodol/o comunicativo dell'architettura, in « L'architettura cronache e storia•• dicembre 1973, n. 218. 22 R. DE Fusco, Segni, storia e progetto dell'architettura, Later.za, Bari 1973, p. 185. 23 F. DE SAUSSURE, Op. cii., p. 87. 24 lvi, p. 86. 25 M. LUCIDI, Saggi linguistici, Napoli 1966, p. 49. 26 E. BENVENISTE, Op. cii., p. 63. 27 A. SCHAFF, Op. cii., p. 184. 2s Ibidem. 29 lvi, p. 188. JO Ivi. p. 186. 3 1 Ibidem. 32 Ivi, p. 187. 33 C. BRANDI, Strul/ura e architettura, Einaudi, Torino 1967, p. 47. 34 Ivi, p. 163. 35 Ivi, p. 47. 36 I vi, p. 163. 37 P. GUIRAUD, Op. cii., p. 33. 38 Ibidem. 39 Ibidem. 40 Ibidem. 41 Ivi, p. 42. 42 B. ZEVI, Op. cii., p. 16. 43 R. DE Fusco, Op. cit., p. 131. 44 J. JOHANSEN, cit. in B. ZEVI, Op. cii., p. 206. 45 C. BRANO!, Arc.adio o della Scultura, Eliante o dell'Architettura, Einaudi, Torino 1956, p. 160. 46 E. PANOFSKY, cit. in F. STARACE, Architettura gotica e filosofia scolastica: una tesi di Envin Panofsky, Napoli 1972, p. IO. 47 C. BRANDI, Op. cii., p. 162. 48 C. BRANDI, Struttura e architettura, cit., p. 47. 49 Ivi, p. 106 (il corsivo è nostro). so Ivi, p. 163. 51 Ibidem. 52 C. BRINDI, Eliante o Architettura, cit., p. 193. 53 R. DE Fusco, Op. cit., p. 310. SI R. DE Fusco, li codice dell'arclzitettura, antologia dei trattatisti, Napoli 1968, p. 152. 55 cit. Ibidem. , 56 R. DE Fusco, Segni, storia e progetto dell'architettura, cit., p. 310. 57 Cit. in C. BRANDI, Struttura e architellura, cit., p. 240. 58 c. BRANDI, Eliante o dell'Archit ettura, cit., p. 162. 59 A. SCHAFF, Op. cii., p. 277. Ivi, pp. 277, 278. 61 F. DE SAUSSURE, Op. cii., p. 154. 62 B. L. WHORF, Op. cii. 63 N. CHOMSKY, Le strutture della sintassi, Later.za, Bari 1970, p. 138. 64 B. MALMBERG, La linguistica contemporanea, Il Mulino, Bologna 1972, p. 186. 65 F. DE SAUSSURE, Op.cii., p. 160. 66 Ivi, p. 151. 67 T. DE MAURO, Introduzione alla semantica, Later.za, Bari 1970, p. 216. 68 A. SCHAFF, Op. cii., p. 262. flJ F. DE SAUSSURE, Op. cii., p. 159. 10 Ivi, p. 149.

"°

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Errata corrige

Uno spiacevole equivoco in sede di correzione di bozze lta provo­ cato, come spesso accade in casi del genere, un piccolo pasticcio nella mia rassegna Problemi di semiotica dell'arte contemporanea apparsa 11el 11. 30 (maggio 1974) di questa Rivista. Mi sembra pertanto inevita• bile, nei limiti del possibile, rimellere le cose a posto ripubblicando, con quella parte del testo che direttamente vi si ricollega, quanto è stato involontariamente soppresso. Mi rifaccio perciò al periodo che precede il pe11ultimo capoverso di p. 33 per riallacciarmi, alla fine, col primo capoverso di p. 34:

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" Se pensiamo che anche i segni cosiddetti espressivi 54, c1oe emessi involontariamente, sono «leggibili» cioè «interpretabili» da qualcuno, indipendentemente dalle intenzioni comunicative dell'emittente, non si può certo concludere che le operazioni degli artisti poveri e dei com­ portamentisti si diano come puro «esserci ». Anche se essi artisti non hanno come obbiettivo il processo di rap­ presentazione della vita, ma vogliono solo sentire, conoscere, agire la realtà e cercano di ricondursi agli elementi prùnigenl della natura 55, noi siamo in grado di leggere comunque i loro, diciamo, segnali (dato che i segni comportano un'intenzionalità comunicativa dell'emittente e i segnali no). Spiega Germano Celant che per questi artisti comunicare con le persone e le cose vuol dire essere in comunicazione estatica e simpa­ tetica del mondo 56, vuol dire cioè recuperare il momento fantastico­ immaginativo, la propria totalità all'interno della vita dell'universo e vuol dire anche fare, come opera, qualcosa che si costituisce come una specie di prolungamento del proprio essere immaginativo e corpo­ reo e che non presenta perciò che il livello metonimico. Vivere nella dimensione della sola metonimia e non anche della metafora significa quindi totale avversione al discorso e aspirazione all'afasia, alla immo­ bilità, per una progressiva comunicazione di coscienza e praxls 57. « Aspirazione all'afasia», si dice; ma l'artista vuol diventare afasico, non è un afasico, assume intenzionalmente, nel suo « fare arte •, le caratteristiche dell'afasia, ma nella sua vita quotidiana comunica invece per mezzo di segni che gli consentono di vivere in una società, o meglio di sopravvivere, dato che è per mezzo di codici che avviene ogni nostra esperienza del mondo; non solo: egli giunge perfino a verbalizzare - con dichiarazioni orali o scritte - le proprie azioni, la propria « partecipazione al mondo», che definisce « arte povera» S8. Allora, a questo punto, il semiologo rileva nel concettualismo «vitalistico» una serie di problemi tutt'altro che semplici, e, anzi, un banco di prova per la sua disciplina. L'apparente afasia dell'arte povera e di certo concettualismo scatena dunque una serie di significazioni sia sul piano denotatvo, sia su quello connotativo, ma soprattutto ripro­ pone una serie di questioni semiotiche che vanno da quella dei segni


iconici a quella dei segni indicali, a quella della semiotizzzadone del referente, ecc." Di conseguenza � necessario un aggiornamento delle note, che cor­ rettamente si riportano qui sotto per la parte mancante e per quella che direttamente la precede: "54 Per la distinzione fra segni comunicativi e segni espressivi si veda U. Eco, Op. cit., 1973, p. 39. 55 G. CELANT, Arte povera, Milano, Mazzotta, 1969, p. 229. 56 Ibidem, p. 227. 57 Ibidem, p. 227. Sulla stessa linea di Celant: A. BONITO OLIVA, Il territorio magico. Comportamenti alternativi dell'arte, Firenze, Cen­ tro DI, 1971. 58 Talvolta si assiste addirittura alla documentazione fotografica di «eventi» e di «gesti», con una certa contraddizione della dimensione «magica» - come ha rilevato, a più riprese, Gilio Dorfles -, oltre che con l'inevitabile compromesso della mercificazione. Sulla positività, poi, del ritorno alla forma-oggetto, sia pure ricondotta alla documentazione fotografica, per affermare la «dimensione storica » di esperienze che, altrimenti, sarebbero effimere e confinabili solo «nella nostra memoria pratica, nella fiaba e nel mito», si veda invece C. MALTESE, Attività

formante globale e critica dell'oggetto-forma nelle opere di ambizione artistica pubblicizzate negli ultimi dieci anni, in «L'uomo e l'arte», n. 8, 1972, pp. 5-7. (Dello stesso Maltese si veda anche Semiologia del messaggio oggettuale, Milano, Mursia, 1970)." Si tenga conto anche che le note numerate 54, 55, 56, 57 a p. 39 vanno rinumerate quali 59, 60, 61, 62. GIUSEPPINA DAL CANTON

Direttore responsabile: RENATO De Fusco Autorizzazione del Tribunale di Napoli o. 1734 del 13 dicembre 1964 Tipografia • La Buona Stampa • - Via Roma, 424 - 80134 Napoli • Telef. 328.141



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