Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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Edizioni " Il centro Âť di Arturo Carola
R.
BARILLI,
Difficoltà di un approccio semiotico alla cultu rologia
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G.
DAL CANTON, Attualità dell'iconologia: alcune questioni metodologiche
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P.
BELFIORE,
L'editoria architettonica
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Libri, riviste e mostre
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato:
Gabriella D'Amato, Cettina Lenza, Italo Prozzillo.
Pasquale Belfiore,
Difficoltà di un approccio semiotico alla culturologia RENATO BARILLI
C'è da scommettere che la disciplina del futuro, di moda tra qualche tempo e provvista del più baldanzoso spirito espansionistico, sarà la « scienza della cultura •, o culturologia. A occhio e croce, si possono indicare subito due vasti ordini di ragioni che consentono alla culturologia di fare una specie di en plein : da un punto di vista orizzontale, essa è tenuta ad assicurare, nel modo più ampio, i rapporti e le connessioni fra le varie discipline: è cioè l'ambito in cui si può meglio realizzare la tanto auspicata impresa interdisciplinare; da un punto di vista verticale, essa potrebbe risolvere il fondamen tale problema del rapporto tra strati materiali (la produzione, il lavoro, la tecnologia) e strati.«ideazionali », o«superiori,. nel senso vecchio e falso-umanistico del termine; ovvero, adottando la terminologia marxiana, tra struttura e sovra struttura, con il grande vantaggio, visibile già in partenza, che essendo l'uno e l'altro strato abbracciati da una stessa disciplina, il confronto avviene«per fila interne,. e tra entità largamente omogenee. Ma su questo nesso cruciale dovremo tornare anche in seguito. Qui è necessario sgombrare subito il campo da una possibile obiezione, che cioè una disciplina del genere sia già largamente considerata e di moda, benché non sotto l'etichetta di culturologia, ma sotto l'altra, meno
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sofisticata eppure equipollente, di antropologia culturale; e certo in buona misura quest'obiezione è azzeccata, non si vede cioè una sostanziale differenza intrinseca tra le due etichette; questa nasce solo nell'applicazione, perché l'antropologia cul turale sembra rivolgersi prevalentemente allo studio delle culture lontane e a carattere statico; la culturologia, dal canto suo, potrebbe caratterizzarsi per 1.µ1a volontà di sottoporre a indagine le culture (e le loro sottospecie e articolazioni innu• merevoli) in rapido stato di trasformazione, come sono quelle della nostra storia occidentale, almeno da parecchi secoli a questa parte. Stando così le cose, è comprensibile che le discipline, e all'interno di esse (o trasversalmente ad esse) le metodologie più prestigiose stiano già svolgendo opera di adattamento e di pre-tattica per mostrarsi le più adatte a introdurre a una simile « super-disciplina ». E non c'è da stupirsi nel rilevare che la disciplina, o metodologia, oggi più aggressiva e impe rialistica fra tutte, cioè la semiotica, abbia già avvistato questa « nuova frontiera» di incalcolabile estensione, questo Far West da invadere e colonizzare. Ecco allora gli studi di tipologia della cultura del russo Juri Lotman 1, e l'attenzione sempre più fitta alla dimensione culturale, quale risulta nel recente Trattato di semiot,ica generale di Eco 2• Ma qui cer cheremo di mostrare, con particolare riferimento al libro di Lotman e qualche conferma o integrazione tratta da quello di Eco, che si danno le due seguenti alternative: o la semio tica si propone di mantenere qualche tratto di disciplina o metodologia specifica, e allora non appare posta in una situa zione di particolare vantaggio al fine di stabilire un suo pro tettorato sulla culturologia; o rinuncia in misura via via cre scente a tale specificità, come appare avvenire nel Trattato di Eco, fino al limite della smobilitazione, e allora c'è sì una quasi totale congruenza con l'interesse culturologico, ma sulla base di una specie di truismo, o di tautologia, sul tipo di « la cultura è cultura», oppure « ••• si fa con strumenti cul turali». Naturalmente, il primo oggetto da porre sotto inchiesta, in quest'ordine di 6 da parte di chiunque si voglia muovere
interessi, è la nozione stessa di cultura. Lotman non pre tende meriti particolari cli originalità, in tal senso, ma ricorre abbondantemente agli studiosi dell'antropologia culturale, ammettendo quindi, sulla loro scorta, che l'attività culturale poggia su due strati: uno materiale di produzione (lavoro, esercizio di tecniche, incontro-scontro con l'ambiente), e uno « ideale », di acquisizione, organizzazione, tramando di infor mazioni. Ma è tutta sua (o più in genere, cli ogni approccio semiotico) la tentazione di ridurre il primo strato al secondo, cioè di considerare la produzione non nel suo darsi in atto, nel suo aggredire-lavorare-trasformare l'ambiente, ma nel momento in cui essa diviene un « fatto », cioè un dato infor mativo, codificabile e trasmissibile (con una trasmissione, ben inteso, extraorganica, a prescindere cioè dal codice gene tico: è questo un punto ampiamente chiarito dall'antropologia culturale; anzi, una delle frontiere del culturale sta proprio nel passaggio da ciò che è organico - fisiologico, biologico a ciò che è extra, o super-organico). Il culturale viene così coartato nel solo aspetto conservativo, nell'accumulo, nella banca o « memoria » dei dati 3• E nasce anche quello che si potrebbe chiamare « effetto cinematografico», per cui la cul tura è come una serie cli apparizioni che sfilano rapide e labili su una specie di schermo. Ma perché si muovono, perché cambiano? Perché c'è del nuovo? Il privilegiare la dimensione informativa porta a registrare nel modo più attento i muta menti, a organizzarli tra loro; ma a questo modo sfugge com pletamente la possibilità di tentare ipotesi sul loro conto, ne risulta cioè una totale incapacità a far fronte al problema del nuovo, quasi che le novità stesse fossero una questione extra-culturale, posta oltre una delle varie soglie che si devono pur tracciare anche per un continente così smisurato come quello della culturologia. Ma prima di ritornare su questo nodo cruciale, conviene dare un'occhiata anche alle più attente e sottili considerazioni di Eco, per parare l'obiezione che i limiti di cui sopra non siano tanto da imputare alla semiotica, quanto a un esercizio di essa un po' frettoloso, un po' · ellittico, bencM pionieri stico nell'ambito della ctùturologia, come è quello praticato 7
in proprio da Lotman. E in effetti il Trattato di Eco rimedia a molte semplificazioni e lacune dello studioso russo, comin ciando subito coll'avvertire i limiti del concetto stesso cli informazione (che può essere anche inintenzionale), per cui più calzante· appare quello di comunicazione; ma anch'esso limitato, perché appare subito evidente che non tutti i fatti culturali sono di ordine comunicativo; per cui la soglia più opportuna, per la semiotica, e in vista del suo rendersi con gruente all'intero dominio culturale, viene ravvisata nella significazione (cfr. p. 20). Inoltre Eco è ben attento a non lasciarsi chiudere in strati sovra-strutturali, e quindi allarga il discorso fino a comprendervi la produzione dei segni : questa una novità dei suoi ultimi lavori, che è anche una spia, appunto, del loro intento sempre più manifestamente cultu rologico. A questo punto, dunque, dovremo ammettere che un'im presa semiotica attestata suHa dimensione molto ampia della significazione, e capace cli annettersi anche lo strato della produzione materiale, è completamente abilitata a trasfor marsi in impresa culturologica, o addirittura a sussumere quest'ultima entro il .proprio orizzonte? La risposta resta negativa, perché anche qui continua ad essere assente la capa cità cli dar conto della. produzione del nuovo. O almeno, una tale capacità, e sensibilità, è assente nelle prime parti del Trattato, mentre farà la sua comparsa più tardi 4, ma appunto con un ruolo cli sempre più accentuata apertura o smobili tazione, come già si diceva prima, dell'intera impresa semio tica. Una simile carenza risulta particolarmente evidente dal l'esempio che Eco propone a p. 37, e proprio per climostrare il carattere semiotico che sarebbe inerente anche alla produ zione cli strumenti d'uso. L'esempio, come conviene in questi casi, è scelto a un livello elementare, consistendo nell'assun zione, da parte cli un « essere pensante »; cli una pietra per spaccare una noce. La soglia culturale, ad avviso di Eco, sarebbe varcata al darsi cli tre circostanze concomitanti, che crediamo cli poter riscrivere nel seguente modo: 1) l'atto in questione, dell'usare la pietra, deve essere di ordine inten8 zionale, e non casuale; 2) deve essere inoltre accompagnato
da una capacità denotativa, di denominare la pietra; 3) e da una capacità connotativa, di cogliere in essa una funzione generale, cosl da poterla affidare anche ad altre pietre. Cominciamo col rilevare che questi tre aspetti o pro prietà dell'«usare la pietra» potrebbero essere anche com pendiati in uno solo, e fin qui, addirittura, a vantaggio dei propositi annessionistici della semiotica (ma già pericolosa mente allargata}, perché quest'unico aspetto o proprietà cor risponderebbe alla significazione. Dire che l'uso della pietra non è casuale e momentaneo ma consapevole, vuol dire ap punto che gli viene conferito un significato. Il significato, se almeno si seguono le buone epistemologie contemporanee, risulta sempre istituito da una pratica, da un atteggiamento operativo; e inoltre appare sempre provvisto di una capacità generalizzante, cosicché in esso la connotazione, o capacità di intendere il «generale», precede, o tutt'al più accompagna la denotazione. L'«essere pensante» in questione, prima che vedere « una» pietra, vede la pietra-che-serve-a-spaccare-una noce, non avendo così difficoltà a riconoscere le varie occor renze materiali (le varie pietre fenomeniche). Se l'atteggia mento generalizzante non viene assunto d'emblée, come una proprietà intrinseca all'esperienza (al rapporto funzionale tra l'« essere pensante» e l'ambiente}, diviene tremendamente dif ficile ritrovarlo a posteriori, e manipolando tra loro i singoli dati fenomenici (i singoli « denotati»). Su questa strada si ritroverebbero tutte le classiche aporie in cui sbattevano il capo gli empiristi (dire che due pietre si rassomigliano non vuol dire avere già in testa un criterio di similitudine, e dunque un «generale»?), e in cui in effetti è andato a sbat. tere il capo un epistemologo molto rozzo e « candido» come Charles Morris, che Eco fa molto male a privilegiare nel suo Trattato 5, in cui invece, almeno « strada facendo», acquisisce tante sottigliezze, «ritornando» a buoni pensatori (se non altro, c'è sèmpre nelle retrovie il grande Peirce). Ci siamo attenuti, nel riferire l'esempio di cui sopra, alla dizione generica « essere pensante» usata da Eco (già intenzionalmente, c'è da supporre), perché in effetti fino a questo punto, se è stata passata una soglia di culturalità, 9
non si è però varcata ancora quella di una cultura specifica mente umana. Tutte le operazioni accennate sopra, infatti, rotrebbero essere compiute anche da un animale, capace anch'esso 1) di dotare la sua rete cinestetica di un corpo aggiunto extra-organico (cani ammaestrati, scimmie); 2) di dargli un significato generale, di disporre anch'esso cioè di un abito generalizzante. Dove si varca allora la soglia speci ficamente culturale-umana? In primo luogo, in un punto che potrebbe essere a favore dell'approccio semiotico, in quanto consiste nella capacità umana di fissare i significati e di tramandarli per via extra-organica (mentre nel mondo ani male esiste solo la tradizione attraverso il codice genetico o l'addestramento pratico); ma proprio per la necessità di una tale caratteriz.z.azione differenziale appare urgente riac creditare la nozione di simbolo, contro quelle generiche di segno e di segnale (il simbolo essendo appunto la proprietà di fissare con pochi e ridotti elementi fisici vaste noziorù generali : se anche gli animali sono capaci di segni, solo l'uomo gode della facoltà simboliz.z.ante). E infine, e soprat tutto, il varco si dà in un secondo punto, cioè nella capacità di mutare l'assunzione strumentale nel corso stesso dell'agire. L'uomo cioè è l'unico animale che a un certo punto si accorge quanto sia meglio dotare la pietra di un manico, o assicurare l'intervento sinergico di due pietre. Il proprio dell'uomo non è tanto di prolungare la propria rete organica con protesi (pro prietà goduta, seppure in misura molto debole, anche da al· cuni animali), ma di modificare, rinnovare, rivoluzionare le protesi stesse. Se cosl stanno le cose, la produzione del nuovo diviene un tratto centrale della cultura umana, e proprio a cominciare dallo strato materiale, cioè dal rapporto lavorativo aggressivo-trasformativo dell'uomo con l'ambiente: è qui che si manifesta lo scatto emergente, la diversificazione nell'am bito strumentale; ed è qui che si pone la biforcazione tra un materialismo animale, o naturale, e un materialismo cul turale (umano) 6.Quest'ultimo non si comprende, se non do tandolo di una tale capacità intrinseca al mutamento, che poi non è una proprietà che si autogenera, ma che deriva dal continuo commisurarsi dell'intervento umano produttivo10
lavorativo su un ambiente, che a sua volta muta, sia per ragioni naturali che per ragioni culturali. Ben inteso, non è· che a Lotman sfugga un simile carat tere dinamico spettante alla sfera produttiva. Ma c'è in lui la tendenza che si è detto «cinematografica», come a con templare su schermo il balletto delle mutazioni, consideran dole per lo meno non pertinenti agli interessi semioticicul turologici, e a rivendicare comunque il buon diritto di chi si muove negli ambiti culturali «superiori» ad ammettere luoghi e occasioni in cui il nuovo si genera da sé, e come fine a se stesso. A titolo d'esempio, Lotman ci rinvia subito ai territori della moda e dell'estetica 7• Ora, è vero che in tali ambiti la ricerca del nuovo diviene assai spesso un carattere intrinseco, una finalità seguita in proprio, che sarebbe errato voler agganciare, ogni volta, a qualche rinnovamento inter venuto in strati inferiori (materiali-tecnologici), o in strati adiacenti (le altre scienze). La funzione estetica stessa, ci hanno insegnato i migliori estetologi in ogni tempo, può essere considerata come un addestramento sistematico al nuovo, come un salutare esercizio ginnico in cui l'uomo si allena a sciogliere l'adipe della routine e a far scoccare le emergenze. Ma anche qui, se non vogliamo chiuderci nella totale passività della contemplazione cinematografica, come non riconoscere che la ricerca del nuovo appare così indi spensabile alla funzione estetica, e questa a sua volta all'in tera attività culturale dell'uomo, se non appunto per il fatto che ci allena a coltivare, magari a freddo e in astratto, quella tendenza alla produzione del nuovo, che risulta _essere esi genza indispensabile alla nostra stessa vita culturale nella globalità del suo esercizio? Concediamo pure, cioè, deroghe momentanee, talora anche abbastanza lunghe, al principio di una correlazione troppo pronta e puntuale tra novità estetiche e novità tecnologico-materiali, o ctilturali in genere. Ma sta di fatto che le prime non si danno se non come «forme sim boliche », progettazioni in laboratorio delle seconde, e dunque non può mancare una seppur trasposta, non schematica, non puntuale corrispondenza reciproca. Questo anche il succo dell'esame fin qui condotto: 1) la novità è tratto centrale nella 11
cultura, e quindi la culturologia ha il compito primario d; darne conto; 2) inoltre il darsi del nuovo avviene già al livelle, primario-materiale, e anzi è proprio questa «formatività » della tecnologia ciò che meglio consente di renderla paritetica agli strati «superiori », così da sanare ogni apparente iato tra struttura e sovrastruttura. La rivoluzione, insomma, non è affatto un evento «extra», posto fuori della soglia culturale; al contrario, ogni rivoluzione, sia che avvenga nell'ambito tecnologico-produttivo, in quello epistemologico, in quello est�tico-artistico, è sempre anche una rivoluzione culturale. Gli approcci semiotici avrebbero avuto una valida imposta zione di partenza per riconoscere tutto ciò, se avessero fatto un uso più accorto degli strumenti proposti da un « padre fondatore », il Saussure, con la sua benemerita coppia lingua• parole. Ma in realtà gli omaggi al capostipite sono divenuti sempre più freddi e di circostanza, lasciando filtrare chiara mente le perplessità, le riserve, i dubbi che si nutrono ap punto per un avo rozzo e grossolano, se non altro per imma turità dei tempi. Il fatto è che, auspici Hjelmslev e Morris, la semiotica, nell'illusione di eliminare un fattore difficile da maneggiare come l'asse dei mutamenti, si è precipitata pari pari nei vecchi rompicapi dell'empirismo classico. La sicu rezza, l'apparente grinta di scientificità, è stata pagata con una arbitraria riduzione o addirittura eliminazione di pro blemi, che ora riemergono alla luce del sole in tutta la loro importanza 8•
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Una volta constatate queste carenze dell'approccio semio tico nel dar conto dei nessi verticali tra strati materiali e strati ideazionali, vediamo se le cose funzionano meglio per quanto riguarda il nesso orizzontale tra le varie discipline, quando cioè si tratta di considerare l'organizzazione del !'«informazione» in sistemi ordinati. A questo proposito il Lotman può ricorrere a tutta una serie di termini-nozioni di grande prestigio e rigore: lingua (o super-lingua, dato che auella della cultura nella sua globalità dovrebbe essere una ; lingua delle lingue»), testo (testo della cultura), codice, messaggio, piano déll'espressione, piano del contenuto ecc.
(pp. 29 e 30). E tuttavia, nel passare dall'ambito della lin guistica, in cui in genere sono stati concepiti, a quello più ampio della culturologia, tutti questi termini sono destinati a perdere per strada il rigore originario, per limitarsi ad assumerne uno assai vago e sfumato, quasi soltanto analogico, per cui, di fatto, essi non comportano nulla di più avanzato, o di più « sistematico», di altri termini consapevolmente imprecisi e approssimativi, quali istituzione, organizzazione, forma simbolica, protocollo, lessico, repertorio, inventario ecc. In altre parole, l'apparente rigore e potere stringente di un termine come lingua, trasferito nel terreno culturologico, diviene una specie di bluff, o di intimidazione psicologica: si trascina dietro un'aura di precisione, cui però manca la possibilità di un riscontro obiettivo. Succede infatti che certe proprietà specificp.e del campo linguistico, rintracciabili anche in taluni altri campi, sono tuttavia ben lontane dal poter esser rinvenute universalmente in ogni ambito disciplinare. Queste proprietà tanto specifiche alla linguistica, che hanno permesso nell'ultimo secolo di darle una sistemazione « forte », sappiamo bene quali siano: la discrezione, cioè la capacità di secernere un numero ridotto di unità di base; la doppia articolazione; la doppia catena sintagmatica e paradigmatica (che però, delle tre, è la proprietà più facilmente rinvenibile anche in altri ambiti di esperienza, quella cioè che può essere più agevolmente esportata o addirittura « omologata» ). Anche in questo caso, Lotman ricorre a una specie di « glissato » o di preterizione ellittica, perché, subito dopo aver proposto di estendere alle vaste proporzioni della cultu rologia i termini precisi e rigorosi di lingua, testo, codice ecc., si guarda bene dall'applicarli con un minimo di rispondenza alla portata che hanno in linguistica; non pretende affatto, cioè, di trasferire anche nell'ambito della super-lingua o del « testo della cultura» i caratteri di discrezione e di doppia articolazione. Bisogna riconoscere che Eco, anche qui, fa di più, cioè esplicita quel processo di liberalizzazione che Lotman si limita ad applicare in sordina, più con l'arma del silenzio che dell'ammissione palese. Lo· stock delle concessioni che troviamo nel Trattato è sbalorditivo, e appunto assomiglia,
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al limite, all'impresa liquidatoria, all'apertura tanto accen tuata da rasentare la smobilitazione. Una alla volta, cadono tutte le pretese della linguistica di imporre altrove i suoi caratteri «forti»: a) non è necessario rintracciare in altri ambiti la doppia articolazione: ci può essere un'articolazione sola, o tre, o quattro... o enne; b) non è neppure necessario puntare sulla discrezione, i sistemi possono essere anche co stituiti di tratti continui, e in tal caso si dovrà parlare di ipo-codici; e) perfino la convenzionalità con cui si istituiscono i codici è proprietà da considerare in modo fluido e arti colato 9•
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Così facendo, Eco dimostra una buona sensibilità cultu rologica, poiché in effetti su questa strada un male da evitare è quello dell'imperialismo di una disciplina o di una metodo logia su tutte le altre; conviene cioè tener conto di due prin cipi salutari: il processo di unificazione non deve essere coercitivo, talora è bene amministrare saggiamente una con vivenza di sistemi, piuttosto che prodursi in sterili sforzi per giungere al sistema dei sistemi (saggezza, questa, che tra spare anche da Lotman, quando parla della possbilità che la super-lingua sia in effetti una simbiosi di lingue diverse, p. 31); non conviene imporre a ciascun ambito un'organiz zazione più «forte » ed economica di quanto quello stesso ambito non riesca a tollerare. In parole povere, ci sono am biti disciplinari refrattari, per esempio, all'organizzazione matematica, ma non per questo privi di una propria siste maticità, e quindi anche di un grado di scientificità. Oggi molti sono convenientemente vaccinati contro il pericolo di indulgere all'imperialismo fisico-matematico, ma non altret tanto numerosi sono forse quelli che riescono a resistere al fascino della linguistica : forse per la buona ragione che quest'ultima epidemia è di data più di recente, e quindi non ne esiste ancora un vaccino. Se dunque Eco salva il suo discorso in vista di traguardi culturologici corretti, ciò avviene tuttavia a scapito della spe cificità semiotica, dato che, si consideri un momento, una semiosi che perde per strada il fatto che a) i suoi sistemi 0 codici poggiano su elementi discreti e di numero finito;
b) si prestano a un gioco combinatorio; e) sono di ongme convenzionale; non ha più alcun tratto distintivo rispetto ad altri strumenti usati in altre epoche o in altri contesti da altri studiosi dei fenomeni culturali. Codice, per esempio, o istituzione, lessico, repertorio? Se il codice è in realtà un ipo-codice, ha ben poco da spartire con l'accezione «forte» dell'alfabeto Morse, e invece tanti punti in comune con la nozione, poniamo, di codice napoleonico, cioè di un sistema fondato su criteri, principi, postulati di carattere generale descrittivo. A questo punto, non si vede perché si debba mantenere il tennine stesso di codice, se non per l'operazione equivoca di volerne sfruttare la portata « forte », pseudo scientifica, di cui gode nell'accezione dell'alfabeto Morse, o in genere delle lingue artificiali. E non si vede neppure per ché non si debba adottare, piuttosto, la nozione cassireriana di forma simbolica, che in effetti ha consentito a Panofsky di darci tanti eccellenti contribuiti culturologici, .di correla zione tra arti visive, filosofia, epistemologia 10; e che è pure alle origini delle ben note impostazioni della Langer, il cui simbolismo presentativo viene a trovarsi non troppo distante dagli ipo-codici, o sistemi semiotici continui di cui parla Eco. Di passo in passo, poi, non si vede perché non si debba retrocedere fino a Kant e alle sue forme sintetiche a priori, straordinari strumenti di codificazione, ben inteso, di tipo « debole» 11• Se dunque Lotman non può sfruttare troppo uno dei caratteri peculiari della zona linguistico-semiotica, cioè l'ap poggiarsi a elementi discreti e il farli entrare in un gioco com binatorio, ne sfrutta abbondantemente un'altra peculiarità, quella di valersi di « coppie » collegate col classico vincolo del «versus». La tipologia della cultura cioè, a suo avviso, può ricorrere in larga misura a coppie quali fisso-mobile, unità-pluralità (p. 64); eppure, con ulteriore furto dalla lin guistica di Hjelmslev, culture dell'espressione-culture del contenuto (p.48): imponendosi, per le culture del primo tipo, una successiva dicotomia corretto-erroneo; e per le altre, tante coppie affini tra loro: ordinato-non ordinato, cosmo-caos, cultura-natura; al limite, cultura-non cultura, essendo carat-
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terizzate le culture di questo gruppo da uno spirito che Lotman chiama di «proselitismo», e che potremmo anche dire di annessione mondana, di conquista progressiva e illi mitata del mondo. Che il ricorso economico a simili coppie sia utile ed effi cace è tanto evidente, che anche il sottoscritto vi ha fatto abbondante ricorso, proponendo di recente che modelli alter nativi, quello della presenz� (modello fondato sul primato del «piano del contenuto», dal punto di vista lotmaniano), e quello dell'assenza, fondato sulla verifica interna, così da vanificare l'idea stessa che da qualche parte ci sia un «mondo» o un ambito di esteriorità. Ma, ancora una volta, c'è da dubitare che il ricorso alle «coppie», proprio per la sua frequente comparsa in chiunque, in ogni tempo, abbia abbozzato studi vagamente riportabili a un interesse cultu rologico, si debba considerare specifico di una zona disci plinare linguistico-semiotica, da cui si diffonderebbe a macchia d'olio in altre discipline. Basti considerare che sulla coppia unità-pluralità, almeno a livello di pensiero filosofico, insisteva già abbondantemente W. James; e che Wolfflin ebbe a pro porre l'altra coppia notissima forme chiuse-forme aperte, nata inizialmente in un ambito ristretto di arti visive, ma con buone possibilità di estensione ad altri_campi (ne sa qualcosa lo stesso Eco). Una certa difesa di Lotman potrebbe essere che, se il binarismo s'incontra di frequente presso quanti siano stati desiderosi di sintesi culturologiche, vi appare tuttavia in un clima facoltativo, di liceità fluida; se invece esso si puntella sull'insegnamento linguistico-semiotico, ne trae un'impronta «forte», di rigore scienti.fico. Ma siamo ancora una volta di fronte a una «scientificità » assai dannosa, proprio per la sua coartazione, da cui la stessa semiotica tenta ora di libe rarsi; una delle tante liberalizzazioni del Trattato di Eco col pisce infatti il «binarismo», come proprietà non estendibile al di fuori delle acque territoriali della linguistica (p. 237). E in effetti perché chiudersi nella camicia di forza del bina rismo? Può darsi che in molti casi una logica « a due» sia la più economica e rispondente; ma in altri casi converrà
ricorrere a una logica a tre (basti pensare alle clamorose comparse di una dialettica ternaria, nella storia della cultura), a quattro, a... enne. L'unico principio che veramente funzioni in sede modellizzante, è evidentemente quello di una certa economia; ci muoviamo, potremmo dire, tra due limiti estremi, che regolano verso l'alto e verso il basso la prolife. razione delle variabili di ogni equazione della culturologia: in alto, vale una specie di principio che « gli enti non sono da moltiplicare oltre il necessario »; in basso, quello già in travisto e menzionato sopra, che non bisogna unificare più del lecito, che la scientificità non consiste in una semplifica zione e riduzione a tutti i costi, fino a sacrificare gli indi spensabili punti d'appoggio. Valga una similitudine algebrica: certi sistemi di equazioni divengono irresolubili se si scende sotto un numero preciso di incognite (che, se ben ricordiamo, deve essere almeno pari al numero delle equazioni stesse). Ma c'è di più: non è neppure indispensabile ragionare esclusivamente con la mentalità di termini posti in tensione (in dialettica reciproca), sia essa binaria, o ternaria, o ... en nupla. Si possono adottare schemi di tipo continuativo, con cepiti come una catena di scatti differenziati. Per esempio, ritornando alla fondamentale dicotomia lotmaniana tra cul ture del conte,nuto e culture dell'espressione, mentre le prime, rispondenti alla domanda « com'è organizzata?» (p. 152), ri producono al loro interno la dicotomia dell'ordine che aggre disce il non-ordine, le seconde, che invece rispondono alla domanda « che cosa e come avviene, che fece lui?», esigono uno schema lineare-sequenziale. Tutto ciò si può vedere ancora meglio ricorrendo all'uso dei grafi, che è certo un merito del Lotman aver proposto e applicato con particolare sistematicità 12 (è evidente d'altra parte che ad essi, in misura più o meno larga, hanno dovuto ricorrere quanti si sono preoccupati di questi problemi). Ora, mentre le culture del primo tipo ammettono di essere descritte con grafi « centrici », di inclusione-esclusione reci proca, le altre richiederebbero grafi di altro genere, fondati su una continua possibilità eccentrica, e quindi su progressioni sequenziali. 17
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· In sostanza, la morale che se ne può trarre è che sarebbe pericoloso stabilire campi privilegiati da cui ricavare gli schemi economici utili alla modellizzazione culturale: si potrà far ricorso di volta in volta a tutte le forme dialettiche, mono, bi-, tri-polari; a tutti i grafi, alle varie nozioni e simboli (sistemi, equazioni, simboli di calcolo differenziale...) 13 che ci fornisce la matematica. Occorre cioè· liberare tali assun zioni strumentali da ogni pretesa di cogenza. Esse avverranno pur sempre a titolo analogico, affidate in buona misura per fino alla fantasia e all'estrosità del ricercatore. Ma attenzione: sarà analogico, di vaga e non scientifica similitudine, il rap porto tra il grafo, o la formula dialettica o matematica in sé, e il modello culturale cui verrà associata e che dovrà visua lizzare, simbolizzare. Non sarà invece analogico, bensl al con trario omologico (tale cioè da postulare un'identità di funzio namento, una congruenza strutturale) il rapporto che dovrà legare i vari ambiti disciplinari tra loro, se almeno potranno essere veramente raccolti entro un unico modello. Ritornando alla ricerca degli schemi-grafi-formule, diremo che questa è una parte necessaria di ogni impresa culturo logica, tenuta infatti a dare un'oreanizzazione economica al fluire delle varie culture; ma non sufficien.te, anzi largamente insufficiente. Se infatti ci arrestassimo al puro rilevamento di queste ricorrenze, come sembra fare il Lotman (che del resto, bisqgna riconoscerlo, parla di una ricerca sulla tipo logia delle culture, piuttosto che sulla culturologia vera e propria, la differenza non è di poco conto), non andremmo molto oltre i traguardi già acquisiti, poniamo, da un Wolfllin, con i suoi pregi e con i suoi limiti; pregi, perché la coppia chiuso-aperto è felicemente economica e illustrativa di tanti dinamismi nella storia della cultura; ma limiti, perché essa dimostra a) una particolare tendenza a fissarsi al solo livello superiore o sovra-strutturale, prestandosi cioè a verifiche limi tate ai soli campi delle arti, della letteratura, della filo sofia ecc.; b) una conseguente tendenza all'effetto « cinema tografico », come se, cioè, di questa animata vicenda noi fossimo gli spettatori passivi e la vedessimo « ricorrere » regolarmente. Ci sembra che, in sostanza, la tipologia lot-
maniana sia solo più complicata, cioè più ricca quantitativa mente, di quella di un Wolfflin, ma senza un efficace rimedio ai limiti sopra ricordati. L'unica giustificazione potrebbe es sere quella, anch'essa già accennata, che in fondo lo studioso russo ha voluto fermarsi a un momento ausiliario-strumentale, apprestando cioè una tipologia della cultura, un canovaccio astratto, che poi la vera e propria culturologia dovrà « inve rare » di volta in volta. Un modo di ovviare ai due limiti « formalistici ,. sta in sostanza nel riallacciarsi a quanto si diceva all'inizio, nel ricordare cioè che anche lo strato materiale-produttivo tecnologico è in continuo movimento, che anch'esso è inven tivo e istitutore del nuovo, alimentando un circolo continuo con gli strati «superiori» ideazionali (epistemologici, etici, estetici ecc.): in sostanza, omogeneo ad essi, così da poter procedere a tentativi di aggancio omologico. I vari schemi formali del chiuso-aperto, uno-molti, espressivo-contenutistico potranno così essere « inverati» da uno strato portante capace di differenziare enormemente tra loro le occorrenze di super ficie. In parole povere, tra due epoche che appaiono entrambe « aperte », se si conduce un rilievo sui tratti morfologici esteriori, potrà esserci un abisso di funzionamento, se entrerà nella considerazione anche lo strato tecnologico. Valga in merito un esempio conclusivo, prendendo lo spunto iniziale dallo stesso Lotman: tra le « coppie ,. senz'altro utili, e anzi spesso affascinanti di cui egli è così fertile, figura anche quella che distingue le culture basate sul circuito io-egli da quelle del circuito io-io 14: le prime, potremmo dire con altro linguaggio, culture dell'« avere», dell'efficienza, del principio di prestazione, della transitività, volte cioè ad acquisire dati, a sviluppare oltre ogni limite l'intelletto e la conoscenza. Le altre, culture dell'« essere», dell'intransitività, dello svi luppo auto-remunerativo delle proprie qualità e facoltà.. Culture a impronta scientifica le prime, e a prevalenza estetica le seconde. A lume di naso, si potrà dire che le une riguardano tutto l'arco « occidentale ,. della rivoluzione industriale-borghese e dello sviluppo senza precedenti delle scienze fisico-matematiche ('700 e '800). Le altre si ritrovano 19
invece nelle fasi arcaiche-primitive. Ora, si dà il caso (non contemplato invero da Lotman) che questo modello arcaico statico, intransitivo, auto-compensatorio ecc. del circuito io-io ricorra anche nei nostri tempi, o per lo meno venga teoriz zato come auspicabile da molti. Come intendere un simile «ricorso»? Come una tappa di arresto e di involuzione sulla vfa del «progresso»? Necessità, quindi, di concepire una storia ciclica, o al contrario di negare le «ricorrenze » come false o soltanto apparenti? Se interroghiamo lo strato materiale-tecnologico, e coloro che nei nostri anni ne sono stati i migliori studiosi, pronti anche a farlo entrare come parte costitutiva nell'impresa culturologica, cioè McLuhan e Marcuse (due numi ispiratori di tutte le presenti consi derazioni), la risposta è agevole: non c'è affatto ritorno o ricorso, perché le condizioni sovrastrutturali (etiche, este tiche ecc.) di tipo io-io delle età· arcaiche poggiavano su una tecnologia pre-industriale, e avvenivano quindi in un clima di povertà di risorse, di «penuria», di rinuncia, di conten tezza del poco; quelle che si profilano in un eventuale e non improbabile futuro poggiano su una tecnologia post industriale di tipo elettronico, che consente un'abbondante e facile acquisizione di dati e di beni, implicando anche una generale ristrutturazione qualitativa del modo di fruirne. Le ·basi materiali-tecnologiche, quindi, non potrebbero essere più diverse, ma nello stesso tempo è anche vero che sussistono alcune similitudini formali, per cui, almeno in sede di eco nomia di discorso, e di opposizione ad altre culture ben diverse, può essere illuminante, comodo, efficace condurre appunto alcune assimilazioni tipologiche: per dirla con McLuhan, culture del « freddo» vs culture del «caldo». E il necessario rinvio anche tecnologico che implicano tali nozioni elimina in partenza il rischio che due epoche del freddo, o del. caldo, lontane nel corso della storia, siano esattamente congruenti l'una all'altra e quindi costringano ad abolire la nozione stessa di una storia, o divenire dinamico delle culture.
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I Trad. it. a cura di R. FACCANI e M. MARZADURI, Milano, 1975. Il li bro è composto di vari saggi, di cui alcuni scritti in collaborazione con A. USPENSKIJ, ma le considerazioni che seguono, del resto di ca rattere molto generale, sono rivolte soprattutto ai contributi a firma del solo Lotman. 2 Milano, 1975. 3 Cfr. Tipologia, cit., p. 28: « [la cultura èl l'insieme di tutta l'in formazione non ereditaria e dei mezzi per la sua organizzazione .e conservazione »; e a p. 43: «... memoria non ereditaria della colletti vità». Cfr. anche quanto il Lotman afferma nel saggio Il problema di una tipologia della cultura in AA.VV., / sistemi di segni e Io struttu ralismo sovietico, traci. it., Milano 1969, p. 309. 4 Nella terza parte, Teoria della produzione segnica, e in partico lare in 3.6.8. Invenzione come i.�tituzione di codice. s Cfr. p. 27, ove è accettata ·1a definizione morrisiana che il segno è «qualcosa che sta al posto di qualcos'altro». Rimando in proposito alle osservazioni che ho svolto nel mio Tra presenza e assenza, Milano, 1974, parte II, cap. I. Proprio nel caso in questione la singola pietra non «sta per» nulla, ma incorpora in sé, «porta» una funzione (un «generale» }, cioè in sostanza « significa», come viene a dire anche Eco, e non «sostituisce». L'idea di sostituzione implica un baratto tra cosa e cosa, privilegiando i «denotati» sui «connotati». �uanto alla fal lacia paleo-empirista di Morris di anteporre la denotazione alla con notazione, è facile osservare che, nel suo esempio classico del campa nello che, nell'esperienza di un cane dovrebbe «stare per» il cibo, il cibo stesso è già un significato generale, un connotato, dato che il cane non mangia mai due volte lo « stesso» cibo. Deve essere in lui, cioè, un ambito generalizzato che lo porta ad assimilare d'emblée le varie occorrenze materiali del cibo: abito non piovuto certo dall'alto, .come per riflesso da un'idea platonica, ma imposto dalla e matrice biologica dell'esperienza», per dirla con Dewey. Del resto, se ci si ricordasse un po' di più che viviamo, dopotutto, in epoca strutturalistica, non do vrebbe fare scandalo che il tutto venga afferrato prima delle parti, e la funzione prima delle «occorrenze » su cui poggia. Allo stesso modo (secondo una suggestiva ipotesi di rapporto omologico con la tecno logia dei nostri tempi) nel circuito elettrico lo stato di apertura o di chiusura si diffonde pressocché all'istante lungo tutti i punti, esclu dendo la logica della progressione e della somma, che era propria dei sistemi di comunicazione anteriori all'elettrotecnica. 6 Per questa nozione di un materialismo culturale sono fondamen tali i contributi degli statunitensi L. WHITE, p. es. La scienza della cui tura, trad. it., Firenze 1969; e M. HARRis, L'evoluzione del pensiero an tropologico, trad. it., Bologna 1971. 1 Tipologia, cit., p. 61: e ... a un colore ne subentra un altro sole, perché quello era vecchio e questo è nuovo». a La riscossa dell'asse dei mutamenti, ovvero del punto di vista «etico" contro quello «emico» (la fonetica contro la fonematica) t ampiamente sottolineata nel corso di tutta l'opera di HARRIS, cit., e si possono anche considerare le Teorie dell'evento riproposte a cura di E. MORIN, trad. it., Milano, 1974. 9 Trattato, cit., p. es. p. 237, Entità discrete e continua graduati; t. ancora p. 257: «è possibile dire che certi tipi di segni sono culturat· mente codificati senza per questo assumere che essi siano del tutte. arbitrari, restituendo cosi alla categoria di convenzionalità una mag giore flessibilità;, a p. 280 è la distinzione tra codici forti e codici d� boli; p. 281: «con le immagini noi abbiamo a che fare con blocchi macroscopici, testi, i cui elementi articolati sono indiscernibili». i; poi
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lodevole il rigore con cui Eco elimina il problema del « segno iconico •. ma anche in questo caso si tratta di un « problema mal posto» pro prio da certi settori della ricerca semiotica, a cominciare dallo stess<> Morris. Fuori delle acque della semiotica la nozione di iconismo non ha goduto di particolare credito; il problema era piuttosto quello di articolare sufficientemente la tipologia dei segni (o per meglio dire. dei simboli) connotativi, giocando sulla differenza tra simbolismo di scorsivo (discreto, convenzionale) e simbolismo presentativo (continuo, a codice debole ecc.). Cfr. il mio Per un'estetica mondana, Bologna, 1964, in cui mi facevo diligente sostenitore di chi (da Dewey alla Lan ger) svolgeva tesi di questo tipo, e proprio in polemica, il più delle volte, con le soluzioni di Morris. IO Cfr. la recente trad. it. del notissimo Studi di iconologia, Torino, 1975, e anche la mia recensione, Panqjsky dall'iconologia alla culturo · logia, • Libri nuovi», gennaio 1976. 11 Anche il Trattato si occupa della differenza kantiana tra giudizi analitici e giudizi sintetici, ma con un passo indietro rispetto ad altri punti sensibili ali'• invenzione del nuovo». Cfr. p. 212: « Chiamiamo allora SEMIOTICO un giudizio che predica di un dato contenuto ... le marche semantiche già attribuitegli da un codice prestabilito; e chia miamo FATTUALE un giudizio che predica di un dato contenuto mar che semantiche non attribuitegli precedentemente dal codice "· La con seguenza sarebbe molto grave: la semiotica si occuperebbe solo dei giudizi analitici-tautologici, lasciando quelli sintetici, che aumentano la conoscenze, alla dimensione fattuale ( « etica», dell'evento, delle pa role?). Ma in tal senso si riavvalora il sospetto della passività « cine matografica •, ovvero di una cultura che « conserva ,. e non produce. 12 Nel saggio Il metalinguaggio delle descrizioni tipologiche della cultura, in Tipologia, cit. 13 Usati in modo suggestivo da G. DELEUZE, che appunto oppone il simbolo dx al non A, intendendo quest'ultimo come il tipico simbolo di un divenire per contrapposizioni dialettiche, siano esse binarie o ter narie. Cfr. Differenza e ripetizione, trad. it., Bologna, 1971, p. 277. 14 Cfr. il saggio I due modelli della comunicazione nel sistema della cultura.
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Attualità dell'iconologia: alcune qu estioni metodologiche GIUSEPPINA DAL CANTON
La recente traduzione italiana di una delle opere più importanti di Erwin Panofsky, Studies in Iconology. Huma nistic Themes in the Art of the Renaissance 1, accolta con entu siasmo dagli studiosi, immediatamente recensita 2, perché, sebbene largamente conosciuta nella lingua originale, rite nuta capace di suscitare vivaci interessi. e di stimolare inter rogativi sulle attuali metodologie storico-artistiche, è, anche per noi, un'occasione per riproporre una serie di questioni cli critica d'arte e per condurre alcune riflessioni inerenti al dibattito metodologico odierno. Come avverte Giovanni Previtali nell'introduzione all'edi zione italiana degli Studi di iconologia, la fortuna di Panofsky nel nostro paese ha avuto alcuni ' momenti forti ' negli anni cinquanta con la traduzione di Idea 3 e soprattutto poi, negli anni sessanta, a partire dalla traduzione di alcuni saggi gio vanili, tra cui il famosissimo e benemerito La prospettiva come « forma simbolica » 4, seguita dalle traduzioni di altre importanti raccolte di saggi, quali Il significato nelle arti visive 5, La vita e le opere di Albrecht Dii.rer 6, Rinascimento e rinascenze nell'arte occidentale (dal 1971) 7• Il rilancio di Panofsky segna anche il recupero degli studiosi legati al l'Istituto Warburg, da Fritz Saxl 8 a Edgar Wind 9 ed il fio- 23
rire, anche in Italia, di ricerche ispirate al metodo iconologico. Contemporaneamente, in ambito teorico, la critica degli anni sessanta si interroga sul valore e sui limiti di tale metodo 10, sul suo rapporto con altre metodologie ugualmente già affer mate, come quelle facenti capo allo strutturalismo e alla semiologia 11, alla psicologia dell'arte 12, alla critica sociologica e anche alla critica dell'ideologia 13, mentre, nell'ambito praticerapplicativo, il neoiconologismo di fatto spesso si fonde con altri strumenti metodologici, più o meno aggiornati. Le varie questioni, talvolta presentate allora come veri e propri dilemmi 14, potrebbero oggi sembrare un po' fuori moda, ma ciò non implica che esse siano state tutte risolte teoricamente e superate praticamente, magari intersecando tra loro, nella lettura delle opere d'arte, diversi piani di lettura, ispirati a diversi metodi, con il risultato di una ottimale,. pacifica convivenza degli stessi. Alcuni problemi permangono e, anzi, si sono maggiormente pronunciati ed articolati sia in rapporto all'allargamento degli orizzonti estetici sia in rap porto ai prodotti del neoiconologismo che, come si accennava più sopra, consistono per lo più in saggi nei quali i risultati dell'iconologia vengono integrati o pretendono all'integrazione con apporti metodologici non esplicitamente inclusi o tal \lolta affatto assenti dalla critica panofskiana. Senza passare in rassegna e riesaminare dettagliatamente tutte le vexatae quaestiones degli anni cinquanta e sessanta . e delle soglie del '70, e preferendo invece rimandare, per un approccio generale ai diversi nodi critici, almeno alle pagine di Gilbert 15, Paecht 16, Bialostocki 17, Tafuri 18, De Fusco 19, Gombrich 20, Argan 21, e dello stesso Previtali 22 sull'argomento, converrà ora prender in considerazione soltanto alcuni dei punti-chiave e rivisitarli alla luce degli interrogativi sollevati dai più recenti contribuiti teorici e applicativi. 1.
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Panofsky tra antiformalismo e' strutturalismo storicistico'
Il successo dell'iconografia panofskiana è legato alla tanto sottolineata « contrapposizione » di quel metodo all'analisi formale 23, ma anche alla interpretazione che ne è· stata data
di analisi strutturalistica ante litteram e precisamente già im postata nella dimensione di uno strutturalismo non sganciato dalla storia 24 e «produttivamente» orientato 25• Giova tut tavia precisare in che senso, effettualmente, possiamo oggi interpretare le immagini ormai mitizzate di un Panofsky antiformalista o strutturalista precursore, con tutto ciò che esse comportano. Anzitutto bisogna constatare che la separazione delineata dal Panofsky fra i tre stadi della sua ricerca, cioè fra il mo mento preiconografico, quello iconografico in senso ristretto e quello iconografico in senso più profondo 26 o, più propria mente, iconologico, cioè simbolico-interpretativo, è sempre una distinzione teorica di comodo, mentre in realtà Panofsky non ha mai nettamente e rigidamente separato, nelle sue ricerche, il significato delle opere dal loro valore formale; infatti, come egli stesso avverte, le tre categorie impiegate hanno in realtà riferimento ad aspetti diversi di un feno meno unico, e precisamente l'opera d'arte nella sua totalità 11• Ma fondere organicamente i tre momenti nella concreta let tura del fenomeno artistico significa fare dell'iconologia - come è stato opportunamente osservato - una interpre tazione globale 28 ovvero un modello metodologico generaliz zabile 29• Non solo: unire indissolubilmente le forme ai con tenuti equivale - a nostro avviso - all'esigenza di una critica semiologica non puramente formalistica e preoccupata, piut tosto, di legare indissolubilmente i significanti ai significati, come quella che recentemente è andata imponendosi anche in Italia 30• Oltre agli Studi di iconologia, si legga ad esempio, il saggio, di molti anni anteriore, intitolato Il problema dello stile nelle arti figurative e presentato da Guido Neri, assieme ad altri scritti, nella seconda parte dell'edizione italiana de La prospettiva come « forma simbolica»: già nel 1915 il Pa nofsky, criticando il formalismo, confuta, per certi aspetti, , la separazione wolflliniana tra forma e contenuto, tra valori formali e significati nelle opere d'arte. Quando afferma che uno stesso contenuto in epoche diverse non può affatto essere espresso, perché la forma che esso assume in un'epoca parte- 25
cipa in modo tale alla sua essenza che, in un'altra epoca, esso non sarebbe più lo stesso contenuto 31 , egli sembra già pro porre una posizione che media, dialettizzandolo, il binomio significante/significato ovvero forma/contenuto. Come osserva il Neri, recuperata dunque la « forma» al mondo della signi ficanza e dell'espressione, fuori di essa rimarrà non già il • contenuto», ma l'« oggetto» empirico 32, cioè quello che, in termini semiotici, è il referente. Così, oltre all'affermazione della inseparabilità fra analisi dei contenuti ed analisi delle forme in cui i contenuti si presentano e all'istanza di stabilire costantemente momenti omologici tra forma dell'espressione e forma del contenuto, che avvicina le posizioni di Panofsky a quelle sostenute da alcune tendenze dell'attuale ricerca semiotica, si può osservare, nelle sue teorie, anche un altro parallelismo con le semiotiche non referenziali : lo scarso rilievo attribuito, tanto dall'iconologia quanto dalla semio linguistica in generale, ai referent,i, cioè agli oggetti reali a cui i segni, organizzati in immagini, rinviano; questo non perché le cose e gli eventi non costituiscano dei problemi importanti, ma perché essi si collocano oltre i confini parti colari della semiotica, la quale, nel suo aspetto di semantica strutturale, si occupa di contenuti, cioè delle nozioni attra verso le quali una cultura organizza la propria visione del mondo, suddividendo e sistemando le proprie esperienze 33, piuttosto che degli oggetti in quanto tali 34•
2.
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Fra idealismo e « concettualismo »
A questo punto si potrebbe anche malignamente far no tare che, come l'esclusione dell'« oggetto» empirico dalle ana lisi del Panofsky è riportabile alle matrici idealistiche della sua cultura, così anche il non trattare o il trascurare i fatti materiali per privilegiare invece lo studio delle condizioni comunicative, che caratterizzano la semantica strutturale, è riconducibile, magari contro le stesse professioni di materia lismo dei semiolinguisti, alla persistenza dell'idealismo soggettivistico, osservazione, quest'ultima, che coincide, in fin
dei conti, con il capo d'accusa della recente critica di Maldo nado alla semiotica di Eco 35• Tuttavia è doveroso precisare che, mentre l'idealismo panofskiano è un fatto oggettivamente verificabile, data la formazione neo kantiana del critico tedesco 36, l'idealismo di cui Maldonado taccia indiscriminatamente i semiolinguisti non è tale, come ha dimostrato lo stesso Eco, che, essendo direttamente imputato, si è difeso dall'accusa argomentando abilmente contro conclusioni dettate, in fondo, da un certo riduzionismo critico r1. C'è anche un altro punto in cui paiono incontrarsi la metodologia panofskiana e certe analisi semiotiche: la man canza, in entrambe, di una indagine capace di legare le opere al momento della loro costituzione percettiva. Il Neri, ad esempio, nell'introduzione all'edizione italiana de La prospet tiva come « forma simbolica », muove al Panofsky la critica di un eccessivo « concettualismo » e fa sua l'esigenza di una nuova impostazione dei problemi della percezione e di una nuova e più ricca « estetica trascendentale •, per cui le opere ·vengano legate alla loro genesi materiale 38• Il Panofsky avrebbe invece un po' troppo escluso dal e movimento • spi rituale la sfera del sensibile, considerandola come un mero e presupposto• 39• Le istanze del Neri sono indubbiamente legittime e corrispondono, in fondo, alle esigenze che serpeg giano nel sottosuolo di certe ricerche semiotiche 40 e che di tanto in tanto emergono particolarmente nei momenti appli cativi, quando il critico affronta l'opera in tutta la sua con cretezza e la sua complessità: è allora che, proprio per e far parlare• di più e meglio il fenomeno esaminato, si avverte l'esigenza di individuare, al di sotto dei modelli strutturali conosciuti e delle categorie semiotiche impiegate, i processi generativi capaci di spiegarne il divenire. Ma nel momento in cui si applicasse anche a questo problema, l'esercizio semio tico cesserebbe di essere tale, uscirebbe dal proprio specifico, collegandosi con le fenomenologie della percezione, con la psicologia della percezione, in una direzione di ricerca ibrida, benché senz'altro feconda sotto il profilo conoscitivo. Se nei saggi di Panofsky non. si ritrova una ricerca inte- 27
ressata al problema della formazione delle percezioni e, pari menti, nelle attuali letture semiotiche dell'arte, mentre ven gono affrontate le opere come sistemi di comunicazione, viene però tralasciato il problema dei processi generativi che ren dono possibile la comunicazione stessa, è però legittimo, nella concreta lettura dei fatti artistici, cercar di soddisfare il bisogno di ricuperare al valore significativo la « totalità » della funzione conoscitiva e costitutiva umana 41• Ogni eser cizio critico porta naturalmente a porsi questioni di estetica e di psicologia della percezione ed è giusto affrontarle anziché eluderle, per non contribuire a quella separatezza della pro pria disciplina, che è spesso causa di povertà conoscitiva; accade però generalmente che, nell'attuale fase delle ricerche, l'opportunità e talvolta anche la necessità di approfondire il più possibile un certo taglio metodologico determinino una limitazione dell'orizzonte di ricerca e consiglino di lasciar in sordina, almeno -provvisoriamente, il tanto auspicato ed indi spensabile approccio ec globale ,. alle opere, fondato sulla complementarità disciplinare.
3.
«
Forme simboliche » e « connotazioni »
e II significato intrinseco o contenuto, oggetto dell'icono logia, si coglie - scriveva Panofsky nel 1939 - accertando quei principi interni che evidenziano l'atteggiamento fonda mentale di una nazione, di un'epoca, di una classe, di una convinzione religiosa o filosofica: principi che una singola personalità inconsapevolmente (il corsivo è nostro qualifica e condensa in una singola opera 42• Di questo enunciato due pl.lllti sono particolarmente inte ressanti: da un lato l'identificazione della meta dell'icono logia con la scoperta e l'interpretazione di « valori simbolici » della storia della cultura e delle idee, che qui metteremo in rapporto con le mete della critica semiologica, dall'altro il senso di quell'avverbio inconsapevolmente e cioè le sue impli zioni in rapporto al neoiconologismo che, nel rifarsi alle indi cazioni panofskiane, lo ha storicizzato o non lo ha storicizzato 28
affatto, interpretandolo in diverse maniere.
Ai valori « simbolici » delle singole opere, dipendenti da un preciso universo ideologico, da una precisa Weltan schauung, l'iconologista attinge conoscendo le idee, i valori culturali, filosofici, religiosi di una certa nazione in un certo periodo ed andando, sinteticamente, oltre i dati classificatori, descrittivi e analitici. Ma l'individuazione, in questa o in quell'espressione artistica, della « forma simbolica » di una cultura è assai prossima alla lettura semiotica di questa o di quella visione del mondo, di questa o di quell'ideologia, riflettute dai sistemi di segni attraverso i quali la cultura ha sistemato ed organizzato le proprie esperienze 43• Infatti i si stemi di segni denotano e simultaneamente anche connotano 44: dal divello denotativo siamo rinviati a quello connotativo, sul quale la critica spesso rintraccia certi elementi che pos sono illuminare sulla cultura collegata ai sistemi denotativi. Come abbiamo avuto modo di dimostrare altrove 54, il rinvio semiologico dai significati denotati a quei significati ulteriori, che dipendono dalla visione del mondo implicita nell'opera, mostra dunque di coincidere, almeno complessivamente, col rinvio panofskiano dalla lettura preiconografica ed iconogra fica a quella iconologica. Panofsky inoltre intende garantire il rigore dell'interpre tazione iconologica e sventare il rischio dell'arbitrarietà cri tica introducendo la nozione di « contesto storico » 46• Que st'ultimo può mostrarsi incompatibile solo con letture semiotico-strutturalistiche radicali, mentre in realtà, anche in una larga parte delle analisi di ispirazione semiotica, il con cetto di « contesto storico » riveste un'importanza fondamen tale ed una delle principali operazioni critiche è proprio quella di recuperare l'ideologia sottesa all'opera, ricostruendo il com plesso di conoscenze entro cui si muoveva il suo autore, cioè, in pratica, facendo ricorso alla storia della cultura. � proprio per· il ricorso a ciò che è storicamente attendibile che lo « strutturalismo ,. panofskiano è sempre parso calato nella tradizione critica storicistica, non gravato da ipoteche meta fisiche ed in particolare dalla credenza in strutture eterne ed immodificabili dell'operare umano.
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4.
La necessità di integrazione con la critica ideologica
C'è poi un'altra coincidenza fra il metodo iconologico e quello semiologico, anche se, storicamente, le due disci pline hanno diversa origine e, almeno inizialmente, diversi campi di applicazione: essa consiste in un limite comune ad entrambe, sottolineato in differenti occasioni e con differenti sfumature di t!:>no per ciascuna di esse, ma riconducibile, secondo noi, al comune denominatore della sempre più avver tita necessità di attuare una critica ideologica 47• Il Previtali, nell'introduzione citata, rileva come al Pa nofsky, che, pure, da autentico storico, riusciva di fatto a raggiungere nei suoi saggi migliori una comprensione orga nica dei fenomeni storico-artistici, sfuggisse però che la con nessione fra i fenomeni non può essere cercata fra le « forme simboliche• e le «epoche• o le «Weltanschauungen » ma solo fra le opere dell'uomo e l'uomo-artista, tra questi e gli altri uomini, fra dl loro solidali o contrapposti, risalendo attraverso dl essi alla differenziata, ma logica e unitariamente comprensibile, struttura economica della società divisa ln classi 48• Insomma è qui posta l'istanza di un'integrazione del metodo iconologico con il metodo marxiano, con una critica sociologica non ' volgare '.
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La semiologia, dal canto suo, è stata fatta oggetto di ac cuse talvolta anche da chi, in un primo tempo, l'aveva accolta intravvedendone le possibilità d'impiego per una critica ope rativa. e realmente demistificante 49• e il caso di Tafuri che, nel suo saggio Progetto e utopia 50, sferra un violento attacco alla semiologia condannandola perché essa si pone oggi come ideologia; e più esattamente come ideologia della comuni cazione s1, direttamente collegata all'estensione dell'uso capi talistico della scienza e dell'automazione e nata a partire da un piano di sviluppo 52, contemporaneamente all'informatica e alle teorie del linguaggio con le quali si salda. Ma bisogna chiedersi se quelfo che Tafuri definisce tout court come me todo semiologico e/o strutturalistico non si identifichi di fatto con una semiotica volta a studiare e ad analizzare soltanto l'aspetto morfologico dei segni e non il loro aspetto
semantico, preoccupata solo dei significanti e non già dei significati; prova ne sia il fatto che l'Autore mette in diretto
rapporto le pretese delle avanguardie del primo Novecento con quelle delle avanguardie degli anni sessanta, entrambe effettuanti la sperimentazione critica dell'articolazione del linguaggio 53 con un metodo puramente formalistico. :B pur vero che molto spesso lo strutturalismo e la semio tica hanno teso a chiudersi nell'esercitazione astorica e che una buona parte della critica, ultimamente, sembra regredita a quello che Eco definirebbe uno strutturalismo di tipo « ontologico » 54 o addirittura ad una ontologia pura e sem plice 55, ma è anche vero che un'altra parte della critica semio tica ha deciso di occuparsi dei significati, perché studiando e criticando l'universo dei significati si arriva a studiare e a criticare l'universo delle ideologie 56• A questo livello la critica semiologica, anziché esser una critica perfettamente neutrale, un esercizio evasivo ed inoperante (e proprio perciò carico di ideologismo), può saldarsi alla critica ideologica di ispirazione marxista: il buonsenso insegna che non bisogna lasciare un'arma in mano al nemico, ma che bisogna imparare ad usarla a proprio vantaggio. L'impossibilità di un abbraccio conciliatore tra marxismo e strutturalismo 57, prospettata da Tafuri, come da altri, è tale solo qualora alle metodologie di ispirazione strutturalistica non si congiungano alcune operazioni complementari di critica storico-sociale e soprattutto qualora non si tenti anche di rendere conto dell'aspetto costitutivamente ideologico dei lin guaggi, o, in altri termini non ci si occupi del problema della produzione linguist,ica. Se, come spiega Marx, la produzione è sempre socialmente determinata 58, anche la produzione linguistica è tale nel senso che avviene in relazione ad una determinata organizzazione sociale del lavoro che ne condi ziona le qualità e le modalità. t:. necessario insomma che un'analisi dei sistemi significativi non si esaurisca nella de scrizione dei segni e dei processi di comunicazione, ma bisogna piuttosto che venga preso in considerazione, per dirla con Augusto Ponzio, il lavoro linguistico (l'aggettivo va inteso in senso lato e va riferito quindi anche ai linguaggi non verbali) 31
mediante il quale certi significati si costituiscono, le sue motivazioni, l'organizzazione nei rapporti sociali, gli interessi, le condizioni sociali ed economiche, l bisogni storicamente precisati dei soggetti che impiegano determinate parole 59• Non solo: sono i sistemi cli significazione che, come abbiamo visto, trasmettono le diverse visioni del mondo e perciò anche le ideologie: è dunque analizzando semioticamente la strut tura ed il meccanismo dell'ideologia (intesa pure nel senso marxiano di ' falsa coscienza ', cioè come processo intellet tuale che ignora e nasconde le 'forze reali ', i fatti materiali che lo determinano) che si può porre le basi per la demisti ficazione dell'ideologia. Quindi, come già prospettava Rossi Landi 60, la semiotica, se non vuol ridursi ad una scienza spe cialistica, dovrebbe appoggiarsi ad una dottrina delle ideo logie, così come una dottrina delle ideologie, che non voglia mostrarsi arretrata ed inadeguatamente articolata di fronte alla complessità dei fenomeni segnici della società odierna, dovrebbe ricorrere agli strumenti offerti dalla semiotica 61• Quindi, tornando al punto da cui eravamo partiti, cioè alla critica alla prima parte dell'enunciato cli Panofsky sulla meta finale delle operazioni critiche, si può concludere che, come per il metodo iconologico, così anche per altre meto dologie, si impone oggi la necessità, segnalata da più parti, cli letture che mettano in luce il carattere ideologico dei lin guaggi artistici: non basta cioè portar alla luce « forme sim boliche » o significati, ma occorre collegare i segni alla pratica sociale e cogliere la natura essenzialmente politica di alcuni fenomeni culturali.
5.
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L'oscillazione fra significati inconsci e significati consci in Panofsky
Veniamo ora al secondo punto dell'enunciato cli Panofsky riportato all'inizio del paragrafo 3.: il senso da attribuire e quello cli fatto attribuito all'avverbio inconsapevolmente. Sull'interpretazione cli quest'avverbio si basa la vicenda stessa della penetrazione del « warburghismo » nel mondo anglosassone, che il Previtali esamina nell'introduzione citata.
Il prezzo pagato dal metodo panofskiano per affermarsi e radicarsi in America fu infatti la perdita progressiva del carattere peculiare dell'iconologia, intesa come sonda capace di penetrare nei fenomeni artistici per portar alla luce una trama di relazioni inconscie, un insieme di strutture profonde a quelli soggiacenti: l'iconologia, che era stata un metodo di interpretazione integrale 62 e addirittura una interpretazione del mondo 63, finì per coincidere, banalmente, con l'icon<r grafia. E fu allora che Otto Paecht 64 - ricorda Previtali sottolineò, con accenti di rimprovero, che, mentre il Panofsky de La prospettiva come « forma simbolica » o della stessa prima edizione degli Studi di iconologia andava alla ricerca dei valori « simbolici » generalmente ignorati 65 dall'artista, il Panofsky più recente evidenziava il significato conscio e razionale, anche se spesso volutamente mascherato, della creazione artistica. Il cambiamento di rotta delle ricerche panofskiane ha indubbiamente delle motivazioni storic<rpsicologiche e giu stamente Previtali ha collegato la tendenza alla « razionaliz zazione » dell'arte al movimento abbastanza vasto di resistenza e di repulsione verso quello che Gombrich ha chiamato l'« espressionismo storiografico» (Worringer, Dvorak, Sedl mayr) 66, mentre ha fatto risalire la rinuncia graduale del l'iconologia a porsi come strumento di comprensione globale del processo storico 67 al sospettoso timore con cui si riguar dava ad ogni pretesa di inserire i risultati delle singole « scienze dello spirito» nella totalità del processo storico» (Mannheim) 68, in un momento in cui il tennine « totalita rismo » andava caricandosi di connotazioni funestamente negative. Quando l'iconologia panofskiana, per i motivi storici e psicologici appena riferiti, ha di fatto rinunciato alla pretesa di porsi come lettura globale delle opere d'arte, si è limitata all'identificazione, propriamente iconografica, di immagini, di storie e di allegorie, o si è ridotta, in ogni caso, allo studio di repertori simbolici codificati e razionalmente sistemati. Così intesa, la metodologia panofskiana può anche arrestarsi davanti ad alcuni fenomeni dell'arte moderna, come i quadrati �3
di Malevic o le strutture geometriche di Mondrian, che sem brano non aver alle spalle una tradizione simbolica compa rabile a quella dell'antichità (ma non è chi non veda anche in queste espressioni artistiche una certa carica simbolica,. naturalmente fondata su dati diversi da quelli del simbolismo antico). Da quanto si è detto appare, fra l'altro, evidente che chi accosta il Panofsky a Lévi-Strauss @ o a coloro che, nell'inve stigazione sull'arte e le altre attività culturali, intendono portar alla luce le strutture profonde e soggiacenti, le moti vazioni inconscie ed intersoggettive che di volta in volta hanno informato i codici artistici e culturali, si riferisce non tanto all'attività critica complessiva di Panofsky, ma solo ad una parte di essa, quella indubbiamente più ricca di premesse per il futuro. :E!. anche certo però che chi è portato a cogliere nelle indicazioni del primo Panofsky l'aspetto di proposte innovatrici nella direzione a cui si è appena accennato, non può nascondersi che tali indicazioni sono, al tempo stesso, le più gravide di conseguenze rischiose, come ora avremo occasione di dire a proposito della tendenza di una parte del neoiconologismo all'integrazione con la psicologia e la psico analisi. 6.
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Tendenze del neoiconologismo
Una tendenza diffusa nel neoiconologismo è quella che, rifacendosi all'ultimo Panofsky, privilegia il momento conscio e razionale dei messaggi artistici. Allora il lavoro critico non pretende di fornire spiegazioni profonde, ma è un lavoro di ricostruzione dei codici, storicamente determinati, nel cui contesto rientrano le opere o gli autori in esame: si ricuperano le conoscenze filosofiche, religiose, i modelli sociali, i miti di una certa cultura -per giungere all'interpretazione dei sin goli messaggi artistici. Così, ad esempio, lo studioso del l'Umanesimo e del Rinascimento, ben sapendo che, in questi periodi, accanto alla mitica rinascita delle humanae litterae e al perseguimento del rigore razionale, esistono, come aspetti integranti della cultura, il pensiero ermetico e l'alchimia,
dovrà recuperare, fra gli altri, i testi di un sistema culturale che concepisce il mondo come foresta simbolica. Invece una linea iconologica che voglia ispirarsi al Pa nofsky delle interpretazioni « integrali », che diano ragione dei « significati profondi », non dovrebbe accontentarsi del l'amena decifrazione di significati nascosti né della ricerca di rapporti fra le opere d'arte ed i testi letterari, filosofici ed ermetici coevi per spiegare le prime mediante i secondi, ma dovrebbe evidenziare l'esistenza di un codice culturale soggiacente comune tanto alla produzione artistica che a quella letteraria, e, anzi, a tutto il pensiero ed il costume di quel particolare momento storico. Infatti dal Panofsky si ricava in genere che le opere letterarie, filosofiche e scien tifiche non spiegano le arti visive e l'architettura, ma che le une e le altre costituiscono manifestazioni parallele di un unico Kunstwollen ( ed infatti gli artisti e gli architetti po trebbero anche non aver letto certi testi) 10• Inoltre la tendenza dell'iconologismo, che, rifacendosi generalmente al primo Panofsky, si propone l'interpretazione dei significati inconsci delle opere artistiche, finisce inevita bilmente col ricorrere alla psicologia dell'arte. In realtà, dalla lettura dei saggi applicativi di Panofsky, per lo più si ricava che i significati non intenzionali, inconsapevolmente con densati dagli artisti nelle opere, quali egli le intendeva, non si identificano tout-court con i significati inconsci nel senso freudiano o nel senso di altre correnti psicoanalitiche, ma vanno posti piuttosto in relazione alla filosofia cassireriana delle « forme simboliche », estrinsecazioni, mediante simboli, appunto, dello spirito che si autoesplica attraverso la cultura. Tuttavia se, da un lato, bisogna non dimenticare la forma zione idealistica e particolarmente neokantiana che è alla base delle concezioni e delle definizioni del critico tedesco, per non attribuirgli direttamente posizioni che appartengono piuttosto ai suoi seguaci (ed è per questo che al paragrafo 3. si parlava di storicizzazione dell'avverbio inconsapevolmente, riferito all'operare artistico), dall'altro, bisogna riconoscere che certe evoluzioni, come quella del neoiconologismo inte• grantesi con la psicologia e addirittura con la psicoanalisi, 35
si possono legittimamente far risalire ad alcuni suoi assunti ed affermazioni, magari molto generali, ma pur sempre im plicanti indicazioni suggestive destinate a non restare lettera morta. :e. così allora che ·diventa possibile interpretare una . proposta .di carattere generale, come quella di adottare il termine « iconologia » ogni volta che l'iconografia sia sottratta al suo isolamento e integrata con ogni altro metodo, storico, psicologico o critico, che possa servire per tentare di risol
vere l'enigma della sfinge 71, come una definizione nella quale, oltre ad esser avanzata l'esigenza ·di un'indagine corretta mente storica, vengono poste le basi per la fusione con la psicologia dell'arte. Ma quando, per trattare delle immagini inconscie, si ricorre a precise correnti psicologiche e psico analitiche, il campo della investigazione iconologica, nell'allar garsi e nell'arricchirsi, assume indirizzi nuovi o revisioni totali, per cui - è il caso ·di ripeterlo - Panofsky resta solo un punto di passaggio obbligato, un riferimento neces sario, ma talvolta più idealmente che realmente presente in analisi che coinvolgono livelli interpretativi solo parzialmente reperibili nella sua ricerca e spesso estranei ad essa. Inoltre, mentre Panofsky aveva preso posizione contro le interpretazioni psicologistiche dell'opera d'arte chiarendo, a proposito del concetto di Kunstwollen, che questo non an dava inteso né come « intenzione » dell'artista né come « intenzione » dell'epoca, e conferendogli piuttosto un carat tere metaempirico 72, nelle ricerche di cui si è appena detto spesso riaffiora uno psicologismo che rimette in gioco parec chie delle questioni e delle impasses critiche che Panofsky aveva di fatto superato.
7. Incontro alla psicologia e alla psicoanalisi
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i:: certo che oggi, come non si può far a meno degli apporti della critica di ispirazione marxista e, più particolarmente, della critica dell'ideologia, non si possono ignorare i contri buti della psicologia e della psicoanalisi, ma la fusione dei metodi è meno semplice, in concreto, di quanto possa sembrare in teoria, perché in effetti ogni corrente psicologica e
psicoanalitica implica una particolare visione del mondo, uno sfondo ideologico e filosofico preciso. Siamo d'accordo con Maurizio Fagiolo che la fusione delle metodologie può attuarsi reintegrando l'opera in una corretta prospettiva storica 73 ed è un programma senz'altro suggestivo e pienamente condivisibile quello della rivista di architettura Psicon che, nell'esigenza di attuare una critica il più possibile •operativa ', propone di fondere l'iconologia, la critica ideo logica e le valenze positive dell'analisi psicologica 74, inten dendo per analisi psicologica un uso corretto della metodo logia junghiana 1s. Argan ha anche precisato che, sviluppando le possibilità implicite nel metodo iconologico e dilatandone la portata, si riporta l'arte dal piano « intellettuale » al piano della psi cologia individuale e collettiva, si apre la via ad una confluenza della ricerca psicoanalitica e della ricerca sociologica, cioè quell'incontro dialettico della linea freudiana e junghiana con la linea marxista, che è uno dei traguardi essenziali della cultura odierna. Il piano del raccordo è il piano fenomeno logico: in questo senso, il metodo iconologico deve non poco, malgrado l'apparente discrepanza, al metodo della pura visi bilità, poiché ovunque un'immagine viene portata alla per cezione c'è sicuramente intenzionalità o volontà dell'arte 76• Non si vuol mettere in dubbio che l'apertura ad ogni apporto offerto alla storia dell'arte dalle diverse discipline odierne sia senz'altro la via più redditizia per interpretare in tutta la loro complessità e la loro polivalema i fenomeni artistici, specie se tale apertura è finalizzata a mettere le basi per una « critica operativa » ed impegnata nel presente; soltanto intendiamo qui richiamare gli storici dell'arte alla necessità di valutare e soppesare accuratamente le possibilità di conciliazione tra le diverse prospettive psicologiche e psico analitiche ed il Joro taglio metodologico fondamentale: a ciascuno è chiaro che non si può ricorrere indiscriminata mente a Freud o a Jung, a Lacan o a Deleuze, perché il con cetto di inconscio dell'uno non è lo stesso di ognuno degli altri e così pure il concetto di segno, quello di simbolo e via dicendo. Un controllo attento e costante . delle implicazioni 37
storiche e dei risvolti ideologici di ogni strumento impiegato è infatti la premessa indispensabile e coerente ad una critica che voglia realmente qualificarsi tale. 8.
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Cenni sul rapporto con lo junghismo
L'opera di Jung, ad esempio, presenta parecchi aspetti con traddittori, per cuì se, per alcuni versi, essa è fatta rientrare nella cosiddetta destra freudiana n, per altri versi, operate le debite distinzioni nel riportarvisi, è recuperabile anche dalla critica di ispirazione marxista. La teoria dell'inconscio collettivo e degli archetipi, la concezione del simbolo non come semplice « rivelatore del l'inconscio » 78, ma come l'operatore di una trasformazione il cui luogo è l'inconscio come processo 79, la nozione· di psiche come totalità, il concetto di Ombra sono alcuni dei punti chiave. del pensiero junghiano da rivisitare senz'altro per la ricchezza delle loro indicazioni&>. L'importanza di Jung per la storia e la critica d'arte è rintracciabile non tanto nei suoi stessi saggi applicativi spe cifici (quelli su Picasso e su Joyce), quanto piuttosto nei suoi contributi sparsi e soprattutto in quei saggi che propriamente psicologici e strettamente scientifici non sono, ma piuttosto stimolanti studi sulla storia delle religioni, sulla mitologia comparata, sull'alchimia e l'ermetismo 81; ma è certo che chi attinge a Jung dovrà anche distinguere criticamente i diversi aspetti della sua psicologia, storicizzarne continuamente le idee e controllarle attentamente dal punto di vista scienti fico 82• Da un lato lo Jung degli studi di storia della cultura e delle religioni può quindi esser utilizzato dall'iconologia per arricchire il proprio 'campo di ricerca 83, dall'altro, la sua concezione della vita psichica, riesaminata alla luce di alcuni interrogativi fondamentali del pensiero contemporaneo, si mostra inusitatamente attuale ·e ancora capace di provocare valide risposte. Basti pensare, a quest'ultimo proposito, come nel pensiero junghiano, spesso così sfuggente ed ambiguo, si siano invece potute trovare soluzioni anticipatorie del dilemmatico rapporto processo/struttura ovvero storia/struttur a.
La sua psicologia può pertanto fondersi anche con ricerche di ispirazione strutturalistica e più precisamente con quelle in cui venga affermata la complementarità fra storia e strut tura, fra modello e processo. Infatti, come ha osservato Mario Trevi, chi legga Jung utilizzando costantemente la metodo logia del principio di correlazione, mai del tutto esplicito ma sempre presente nelle sue opere, ne può ricavare Wl.a conce zione dell'inconscio che implica di necessità la correlazione di struttura e processo 84, concezione che riesce a comporre insieme termini ritenuti inconciliabili da buona parte del pensiero occidentale odierno. La dottrina del simbolo, che sintetizza dunque unitaria mente inalienabilità di forme originarie e storicità dell'indi viduo 85 e porta alla fusione fra storicismo e strutturalismo, e il concetto di Selbst come totalità psichica, che si fonda sulla coppia di opposti correlati costituita dall'archetipo e dalla forma individuale 86, sono i due momenti del pensiero junghiano che permettono meglio la comprensione di quello che potremmo definire il suo « strutturalismo relativo ». A questo punto si potrebbe continuare con l'analisi del rapporto processo/struttura in Jung, ma non intendendo oltre passare i confini entro cui ci siamo proposti di condurre la presente analisi, ci limitiamo a rilevare che chi innesta Jung nello strutturalismo lo fa con « cognizione di causa » :- a tutti è ormai abbastanza chiara la distinzione fra un concetto di struttura come ipotesi fittizia 87, puramente strumentale e del tutto provvisoria, tale perciò da escludere l'esistenza con dizionante di strutture inconscie, un concetto di struttura come meccanismo inconscio costituente e determinante l'uomo in ogni tempo ed in ogni luogo (prospettiva decisa mente antistoricistica) ed infine un concetto di struttura la quale, pur essendo in qualche modo presente nell'inconscio, non è tale da condizionare necessariamente l'uomo, poiché l'inconscio è considerato « luogo » del processo inteso come costruzione dell'irrepetibile o come emergere dell'individuo dalla matrice collettiva che lo sottende 88, cioè come trasfor mazione innovatrice e storicità reale. Senza tornare su questioni ormai obsolete e a suo tempo
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affrontate da altri in maniera esauriente e convincente 89, quello che qui preme è, insomma, ancora una volta, il ri chiamo della critica d'arte alla coerenza dei propri assunti. 9.
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Cenn i sul rapporto con il lacanismo
Anche chi, preoccupato di non perdere di vista i rapporti storici e sociali, propende per l'assunzione della struttura come ipotesi puramente operativa, oggi non può non fare i conti con le tesi di Lacan e della psicocritica di ispirazione lacaniana, specialmente francese, o liquidarle con drastica brevità di argomentazioni, solo perché in quella tesi è por tato - giustamente - a riconoscere una fondamentale anti teticità allo storicismo e magari al pragmatismo che sono, invece, alla base delle sue scelte; piuttosto, poiché l'indirizzo lacaniano va sempre più imponendosi nelle applicazioni cri tiche, bisognerà prendere in seria considerazione i contributi più recenti di quelli che genericamente si definiscono il ,: post-strutturalismo » e la « psicocritica », per confrontarsi in maniera diretta e puntuale con le tesi in essi sostenute e basare sul vaglio diretto le proprie posizioni nei confronti dei nuovi indirizzi delle interpretazioni psicoanalitiche. In questa sede non è possibile tracciare, nemmeno per sommi capi, un quadro vero e proprio di tali indirizzi e delle loro applicazioni alle teorie estetiche, e vogliamo perciò solo ricordare brevemente alcune tesi e riportare alcune afferma zioni, che potranno esser esaminate e discusse approfondi tamente altrove: esse costituiscono il fulcro di un discorso, variamente sfumato, ma di cui unica è la paternità. Se in Lacan l'inconscio è strutturato come linguaggio e si afferma pertanto la preminenza del significante sul sog getto 90, il quale, anziché parlare è parlato, se si constata l'autonomia del significante rispetto al significato, così che il senso si produce nel continuo rinvio da significante a signi cante, interpretare psicoanalticamente comporta scomporre i testi « letterali » per produrre, con alcuni degli elementi ricavati, una coerente tessitura di pensieri inconsci, sulla scia dello spostamento continuo del desiderio.
Sulla strada del lacanismo si arriva allei « scritturalismo» e al « testualisrilo », alle tesi di Derrida, della Kristeva, del l'ultimo Barthes, per cui la lettura di un testo significa ri-scrittura del testo. Sulla strada del lacanismo il Barthes di S/Z può affer mare: La valutazione fondatrice di tutti i testi non può venire né dalla scienza, giacché la scienza non valuta, né dall'ideo logia, giacché il valore ideologico di un testo ( morale, este� tico, politico, di verità) è un valore di rappresentazione, non di produzione (l'ideologia « riflette », non elabora). La nostra valutazione può solo esser legata a una pratica, e questa pra tica è quella della scrittura 91• e più tardi, ne Il piacere del testo: « Testo » vuol dire « tessuto »; ma laddove fin qui si è sempre preso questo tessuto per un prodotto, un velò già fatto dietro al quale, più o meno nascosto, sta il senso (la verità), adesso accentuiamo nel tessuto l'idea generativa per cui il testo si fa, si lavora attraverso un intreccio perpetuo; sperduto in questo tessuto - questa tessitura - il soggetto vi si disfa, simile a un ragno che si dissolva da sé nelle secrezioni costruttive della sua tela. Se amiamo i neologismi, p�1remmo definire la teoria del testo come una « ifologia» (« hypos», è il tessuto e la tela di ragno) 92• Sulla strada del lacanismo inoltre si può pretendere al superamento della critica dell'ideologia ed affermare che L'unico terreno di una lotta« non» Ideologica all'ideologia di venta allora la psicanalisi 93 e, sposando la rivoluzione mar xiana con la rivoluzione freudiana, Lenin con Lacan, si può sostenere che alla critica dell'ideologia che riconduce l'Ideo logia all'attività pratica reale si aggiunge l'analisi che ricon duce non l'ideologia, ma il « s »-0ggetto stesso al lavoro del l'inconscio che finalmente lo mette in questione 94• Il rapporto fra lacanismo e marxismo 95. e quello fra psi canalisi, ideologia e critica dell'ideologia non può esser esa minato e tanto meno risolto in queste pagine, ma vi si • è voluto accennare solo per cogliere le estreme conseguenze a cui può giungere ogni attività critica che, operativamente, in un pr:ogetto globalizzante, tenda ad allargare i propri orizzonti con l'apporto cii discipline diverse. Se non vuol 41
trovarsi invischiato in una serie di aporie, il critico dovrà dunque sapere bene, fin dall'inizio, dove conducono le strade che le varie scienze gli dischiudono e ponderare le impli cazioni di ciascuna scelta; se vuole essere coerente, una volta imboccata una strada, come quella del lacanismo, ad esempio, dovrà percorrerla fino in fondo: allora, nel consequenziale ascolto della parola dell' essere - di heideggeriana ascen denza - certe aporie si bruciano nella predicazione di una ontologia pura 96• Ma a che prezzo? A qualcuno potrà sembrare che con questo interrogativo siamo andati lontani dalle riflessioni sull'iconologia da cui eravamo partiti: d'altra parte, se il denominatore comune alle varie prospettive metodologiche è il fatto che ognuna di esse implica una particolare visione del mondo, la critica icono logica è senz'altro, come speriamo di aver dimostrato, un punto ideale di riferimento per chìunque voglia prendere coscienza di questa elementare, ma non mai abbastanza sot tolineata, verità.
1 E. PANOFSKY, Studi di iconologia. I temi umanistici nell'arte del Rinascimento, Torino, Einaudi, 1975 (edizione americana, New York,
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Oxford University Press, 1939). 2 Si veda, ad es. G. C. ARGAN, L'immagine e suo zio, in « L'Espres• so», n. 34, A. XXI, 24 agosto 1975, p. 39. 3 ID., «Idea», ein Beitrag zur Begriffsgeschichte der iilteren Kunst theorie, Lipsia-Berlino, 1924 (trad. it. a cura di E. Cione, Firenze, La Nuova Italia, 1952). 4 ID., Die Perspective als « symbolische Form », « Vortrage der Bi bliothek Warburg », 1924-25, Lipsia-Berlino, 1927 (trad. it., La prospet tiva come « forma simbolica» e altri scritti, a cura di G. Neri, con una nota di M. Dalai, Milano, Feltrinelli, 1961, 2• ed. 1966). s ID., Meaning in the Visual Arts. Papers in and on Art History, New York, 1955 (trad. it., Torino, Einaudi, 1962). 6 ID., The Life and Art of Albrecht Diirer, Princeton, 1955 (ed. it., Milano, Feltrinelli, 1967) . 7 ID., Renaissance and Renascences in Western Art. Stoccolma, 1956 (2 voll.) (ed. it., Milano, Feltrinelli, 1971). a F. SAXL, Lectures, The Warburg Institute, 1957 (ed. it., La storia delle immagini, Bard, Laterza, 1965). 9 E. WIND, Pagan Mysteries in the Renaissance, Londra, 1958 (2• ed. 1968) (ed. it., Misteri pagani nel Rinascimento, Milano, Adelphi, _ . 1971). 10 Basti vedere J. BIALOSTOCKI, voci Iconografia e iconologuz, m « En ciclopedia Universale dell'Arte", vol. XVII, Firenze, 1963 (in particolarf
il pa�agrafo �ritiche al metodo iconologico, coli. 174-175) e M. TAFURI. Teorie e storia dell'architettura, Bari, Laterza, 1968 (2• ed. 1970), in pai ticolare pp. 219-235, 251 della 2• edizione. 11 Si vedano M. TAFURI, Op. cit., 1968 (Cap. V . Gli strumenti della critica) e soprattutto R. DE Fusco, Storia e struttura, Napoli, E.S.I. 1970 (Cap. IV - Storicismo e strutturalismo); inoltre: C. Uvi:-STRAusi. �trutturalismo e critica, risp�sta all'inchiesta a cura di Cesare Segre, m Catalogo generale Il Saggiatore, 1958-1965, Milano, 1965, particolar• mente pp. LI-LIII. 12 Si vedano, ad esempio, J. BIALOSTOCKI, voci citate in E.U.A. ed E. GoMBRICH, Vom Wert der Kunstwissenschaft fur die Symbolforschung, in Wandlungen des Paradiesischen und Utopischen, in « P1obleme der Kunstwissenschaft », II, a cura di Herman Bauer e altri, Berlino, W. de Gmyter & Co., 1966 (tr. it., Gli studi sull'arte, strumenti validi per lo sviluppo dei simboli, in Freud e la psicologia dell'arte, Torino, Einaudi,
1967).
13 In particolare, M .TAFURI, Op. cit., specialmente pp. 231-235 della 2• ed. e G. C. ARGAN, Iconologia, psicanalisi e metodo marxiano (1969), ora in « Psicon », n. 1, 1974, pp. t'>-10. 14 Per wia rapida rassegna delle stesse si veda G. PREVJTALI, Intro duzione all'ed. it. cli E. PANOFSKY; Studi di iconologia, cit., pp. XIX
X:XXII. 15 C. Gn.nERT, On Subiect and Not-Subiect in ltalian Renaissance Pictures, in « The Art Bulletin », XXXIV, 1952, pp. 202-216. 16 O. PAECHT, Panofsky's « Early Netherlandish Painting •, in « The Burlington Magazine», XCVIII, 1956, pp. 278-279. 17 J. BIALOSTOCKI, voci citate, in E.U.A. 1s M. TAFURI, Op. cit., capitolo V, cit. 19 R. DE Fusco, Op. cit., capitolo IV, cit. 20 E. GoMBRICH, Gli studi sull'arte, strumenti validi per lo sviluppo dei simboli, in Op. cit., pp. 71-109. 21 G. C. ARGAN e M. FAGIOLO, La storia dell'arte (guida a), Firenze, Sansoni, 1974, pp. 35-38. 22 G. PREv!TALI, Introduzione a E. PANOFSKY, Studi di iconologia, cit. Valori e limiti dell'iconologia vengono anche messi a fuoco in alcwie delle risposte all'Inchiesta sul simbolo nella cultura italiana, a cura di Rubina Giorgi, in « Marcatrè •, nn. 19-20, 1966 e nn. �33, 1967. 23G. PREvlTALI, Introduzione, cit., p. XXI. 24 In questo senso si vedano le interpretazioni di C. Uvl:-STRAuss, Strutturalismo e critica, cit., pp. LII-LIII, di R. DE Fusco, Op. cit., pp. 222-231 (il quale però sottolinea anche quelle che, a suo avviso, sono le differenze sostanziali fra ricerca iconologica e ricerche strutturali stico-semiologiche), cli U. Eco, La struttura assente, Milano, Bompiani, 1968, pp. 81-273 e cli M. TAFURI, Op. cit., particolarmente pp. 225-226, 232 (2• ed.). 25 M. TAFURI, Op. cit., pp. 225-227. 26 Le tre denominazioni sono quelle di E. PANOFSKY, Op. cit., 1939, pp. 3-20 dell'ed. it., mentre il termine « interpretazione iconologica» al posto di « interpretazione iconografi.ca in senso più profondo • appare in Il significato nelle arti visive, cit. (Iconografia e iconologia, Introdu
zione allo studio dell'arte del Rinascimento). 7:1 E. PANOFSKY, Op. cit., 1939, p. 19 dell'ed. it. 28 G. PREv!TALI, Introduzione, cit., p. XXIX. 29 G. C. ARGAN, L'immagine e suo zio, cit., p. 39. JO Si vedano, ad esempio, U. Eco, Le forme del contenuto, Milano, Bompiani, 1971, e ID., Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975. Il « punto di partenza • dell'indirizzo seguito da Eco in en-
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trambi i ·testi è dato dalla doppia bipartizione hjelmsleviana fra piano del contenuto e piano dell'espressione (cfr. L. HJELMSLEV, Prolegomena to a Tl1eory of Language, University of Wisconsin, 1943 - tr. it., I fon• <lamenti della teoria del linguaggio, Torino, Einaudi, 1968). 31 E. PAN0FSKY, Il problema dello stile nelle arti figurative, ora in La prospettiva come « forma simbolica•, cit., p. 148 della 2• ed. it. 32 G. D. NERI, Il problema dello spazio figurativo e la teoria artistica di E. Panofsky, in E. PAN0FSKY, La prospettiva, cit., p. 20. l3 U. Eco, Op. cit., 1971, p. 9. 34 Sull'oggetto di investigazione della semantièa non referenziale si vedano in particolare U. Eco, Op. cit., 1975 (specialmente il capitolo Contenuto e referente, pp. 88-97) e Io.,Chi ha paura del cannocchiale? in « Op. cit. •, n. 32, 1975, pp. 5-32. l5 Cfr. T. Mwx>NADO, Avanguardia e razionalità, Torino, Einaudi, 1974 (il saggio intitolato Appunti sull'iconicità, specialmente alle pp. 276-
297).
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36 Per l'influenza esercitata da Cassirer su Panofsky e sugli studiosi dell'Istituto Warburg in generale si veda G. D. NERI, Il problema dello spazio figurativo e la teoria artistica di E. Panofsky, cit., soprattutto pp. 8-10, 13 della 2" edizione. 37 U. Eco, Art. cit. Nello stesso articolo Eco ha fatto presente che, proprio per ovviare alle carenze costitutive di una semiotica decisa mente antireferenziale, negli ultimi tempi ha prodotto alcuni saggi at tenti anche al problema del riferimento o menzione della realtà mate riale, quali Is the Present King of France a Bachelor? in «VS•, n. 7, 1974 e quelli costituiti da diversi capitoli dello stesso Tr2ttato di se miotica generale, cit. :ia G. D. NERI, Il problema dello spazio figurativo ecc., in E. PAN0F SKY, La prospettiva come « forma simbolica•• cit., p. 18. 39 Ibidem, p. 19. 40 Per la posizione del problema si veda, ad esempio, U. Ec.o, Op. cit., 1968, soprattutto pp. 374-380. 41 G. D. NERI, Il problema dello spazio figurativo, cit., pp. 18-19. 42 E. PAN0FSKY, Studi di iconologia, cit., p. 7. o Come spiega Eco: « La semiologia ci mostra nell'universo dei se nni sistemato in codici e lessici, l'universo delle ideologie, che si ri flettono nei modi precostituiti del linguaggio» (Op. cit., 1968, p. 95). 44 Per l'uso dei termini denotazione e connotazione si rinvia alle definizioni di U. Eco, Op. cii., 1968, p. 37 e dello stesso in Segno, Milano, ISEDI, 1973, pp. 152-153. 4S Cfr. Per una lettura semiotica della prospettiva, in « Op. cit. •, n. 29, 1974, particolarmente alle pp. 9-11. . . . 46 Si veda, al riguardo. E. PAN0FSKY, Early Netherlandtsh Pa111t111g, 142-143. pp. 1966, (Mass.) Its Origins and Character, Cambridge 47 Per necessità di applicare la critica dell'ideologia agli studi sto rico-artistici basti vedere, ad esempio, M. TAFURI, Op. cit., 1968;. ID., Progetto e utopia, Bari, Laterza, 1973; M. FAGIOLO, Il metodo sociolo gico, in G. C. ARGAN e M .FAGIOLO, Op. cit., 1974, pp. 108-110; G. C. ARGAN, Art. cit., in « Psicon •, n. 1, 1974. 48 G. PREVITALI Introduzione a Studi di iconologia, cit., p. XXXI. 49 M. TAFURI, Op. cit., 1968 (Cap. V • Gli strumenti della critica): so M. TAFURI, Op. cit., 1973, Cap. 7 • L'architettura e il suo doppio: semiologia e. formalismo, pp. 139-157. SI Ibidem, p. 154. sz Ibidem, p. 140. S3 Ibidem, p. 151.
54 La definizione ricorre ne La struttura assente, cit. specie nella parte D., a proposito di Lévi-Strauss. 55 U. Eco, Op. cit., 1968, p. 343. Secondo Eco, in Lacan e nei suoi seguaci si celebrano « l'ipostasi dell'Assenza • e l'autodistruzione dello strutturalismo ontologico, ma in una prospettiva decisamente antisto ricistica e perfino metafisica. 56 Si vedano le indicazioni contenute nella nota 30 e l'osservazione di Eco riportata alla nota 4J. 57 M. TAFURI, Op. cit., 1973, p. 157. 58 K. MARX, Lineamenti fondamentali della critica de/l'economia po litica, voi. I, Firenze, La Nuova Italia, 1969, p. 5. 59 A. PONZIO, Produzione linguistica e ideologica sociale, Bari, De Do nato, 1973, p. 188. 1JJ F. Rossr LANDI, Semiotica e ideologia, Milano, Bompiani, 1972. 61 Sempre a proposito del rapporto semiotica/ideologia, oltre al l'auspicata complementarietà fra gli studi semiotici e la dottrina delle ideologie, è stato fatto presente che, peraltro, poiché lo stesso lavoro di « produzione segnica » può e produrre ideologia e critica delle ideo logie», è possibile concludere che « la semiotica (come teoria dei co dici e teoria della produzione segnica) costituisce anche una forma di CRITICA SOCIALE e quindi una delle forme di prassi•· (U. Eco, Op. cit., 1975, p. 370). 62 J. BIALOSTOCKI, Voci citate, col. 170. 63 G. PREVITALI, Introduzione, cit., p, XXIV. 64 O. PAECHT, Panofsky's « Early Netherlandish Painting•, cit. 65 O. PAECHT, Art. cit., tradotto e riportato da G. Previtali nell'In troduzione, cit., p. XXV. 66 G. PREVITALI, Introduzione, cit., p. XXVI. Le definizione di Gom brich, riportata del Previtali, trovasi in André Malraux and the Crisis of E;r;pressionism, in e The Burlington Magazine•.. 1954, ora in Me ditations on a Hobby Horse and otlzer Essays on tJ1e Theory of Art, London 1963, pp. 78-85 (tr. it. in A cavallo di un manico di scopa. Saggi di storia dell'arte, Torino, Einaudi, 1971, pp. 119-130). 67 G. PREVITALI, Introduzione, cit., p. XXVI. 68 Ibidem, p. XXVII. 69 Cfr. M. TAFURI, Op. cit., 1968, particolarmente pp. 217-227 della 2· ed. 70 Per tali assunti si veda in particolare E. PANOFSKY, Cothic Archi tecture and Scolasticism, Wimmer Lecture, 1948, Latrobe (Penn.), The Archabbey Press, 19563 (introduzione a paragrafi I-II). Un'interpreta zione del testo panofskiano nel senso da noi accennato è quella di M. TAFURI, Op. cit., 1968, pp. 230-233, 2' ed. 71 E. PANOFSKY, Iconografia e iconologia. Introduzione allo studio dell'arte nel Rinascimento, in Il significato nelle arti visive, cit., pp. 3637. n G. D. NEJU, Il problema dello spazio figurativo· e la teoria arti stica, cit., p. 22. Sul concetto di Kunstwollen si veda, oltre alle pp. 2028 del Neri (paragrafo 2. La polemica contro il formalismo, lo psico logismo e l'empirismo storiografico), A. MAsuuo, Kunstwollen e inten zionalità in E. Panofsky, in e Op. cit. •• n. 3, 1965, pp. 46 sgg. 73 M. FAGIOLO, in G. C. ARGAN e M. FAGIOLO, Op. cit., 1974, p. 110. 74 Editoriale Promemoria, in e Psicon •• n. 1, 1974, p. 3. 1s Ibidem. 76 G. C. ARGAN, Art. cit., in e Psicon•• n. 1, 1974, p. 10. 77 Cfr. G. JERVIS, Prefazione a C. G. JUNG, Il problema dell'inconscio nella psicologia moderna, Torino, Einaudi, 1959, pp. XVII sgg. 45
78 M. TREVI, Struttura e processo nella concezione junghiana del in « Rivista di psicologia analitica•• Anno IV, n. 2, 1973,
l'inconscio,
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p. 532. 79 Ibidem. so Cfr, ad esempio, G. Am.ER, Aspetti della personalità dell'opera di Jung, in « Rivista di psicologia analitica», Anno IV, n. 2, 1973, pp. 291321 e, in genere, gli atti del Convegno Internazionale dedicato a « Jung e la cultura europea•• raccolti nello stesso numero della rivista. In particolare, sul concetto di Ombra, si veda: M. TREVI ed A. ROMANO, Studi sull'Ombra, Padova, Marsilio, 1975. ai Contributi junghiani all'estetica si possono considerare: La psi cologia analitica e l'arte poetica, in Il problema dell'inconscio nella psicologia moderna, cit.;, Tipi psicologici, Roma, New Compton, 1963; Realtà dell'anima, Torino, Boringhieri, 1970 (che raccoglie anche gli scritti su Joyce e su Picasso); Psicologia e poesia, in La dimensione psichica, Torino, Boringhieri, 1972; C. G. JuNc ed altri, L'uomo e i suoi simboli, Firenze-Roma, 1967. Per la religione citiamo soltanto: Psicolo gi.a e Religione, Milano, Ediz. di Comunità, 1%2 (2" ed.); per la mito logia: Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Torino, Bo ringhieri, 1948; per l'alchimia: Psicologia e alchimia, Roma, 1949 e La psicologia del transfert, Milano, Il Saggiatore, 1%1. &2 Si vedano, al riguardo, le osservazioni di G. JERVIS, Prefazione, cit., pp. XIX-XX. In particolare per la critica alle concezioni junglùane sull'arte e sulla funzione del linguaggio (concezioni, per molti aspetti, tutt'altro che attuali) e per la dimostrazione della loro coincidenza con alcune posizioni di Freud, si veda A. TRIMARCO, Jung: arte linguaggio ar chetipi, in MAC, n. 12, 1974, pp. 15-17. 83 Su questa linea basti vedere alcuni recenti saggi italiani, quali: M. CALVESI, La « morte di bacio•· Saggio sull'ermetismo in Giorgione, in « Storia dell'arte•• nn. 7/8, 1970, pp. 179-233; M. FAGIOLO, Il Parmi gianino. Un saggio sull'ermetismo nel Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1970; M. CALVESI, Ducl1amp invisibile. La costruzione del simbolo, Roma, Of ficina, 1975. 84 M. TREVI, Struttura e processo, cit., p. 528. as Ibidem, p. 532. 86 Ibidem, p. 536. r7 U. Eco, Op. cit., 1968, p. 359. sa M. TREVI, Struttura e processo, cit., p. 529. 89 Cfr. U. Eco, Op. cit., 1968, pp. 251-389. 90 J. l..ACAN, Ecrits, Parigi, Ed. du Seui! ,1966, p. 39. 91 R. BARnms, S/Z, Torino, Einaudi, 1973, pp. 10-11. 92 R. BARnms, Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1975, p. 63. 93 S. FINZI, 4 discorsi 4 codici, in « Il piccolo Hans•• nn. 6/7, 1975, p. 20. Dello stesso autore si veda, in particolare, il saggio Lavoro del l'inconscio e comunismo, Bari, Dedalo libri, 1975. 94 C. CALLIGARIS, Posto militante e ascolto delle masse, in • Il pic colo Hans "· n. 4, 1974, p. 58. Dello stesso autore segnaliamo la rac colta di saggi di critica psicoanalitica della pittura (in chiave lacaniana), intitolata Il quadro e la cornice, Bari, Dedalo libri, 1975. 95 Ancora una volta fra le prime recensioni italiane di testi in cui vengono fusi Lacan e Marx, dobbiamo indicare alcune significative pa gine polemiche di Eco ne La struttura assente, cit. e precisamente quelle di critica al saggio di L. SBIAG, Marxisme et Structura!isme (Pa: rigi, Payot, 1964) (pp. 319-322) e di critica, per quanto solo in forma di spunto per ulteriori esami più puntuali, a Lire le Capitai di L. ALT· HUSSER & E. BALIBAR (Parigi, Maspero, 1965 - tr. it., Leggere il Capitai�. Milano, Feltrinelli, 1%8) (p. 360). Dopo il 1970 anche in Italia s1 regi-
stra un p1u vivo riscontro critico ed un aumento delle recensioni dei testi ispirati contemporaneamente a Lacan e a Marx (riletto da Althus ser) e quindi dei testi dei « semanalisti,. e del gruppo di e Te! quel ». Non essendo possibile fornire, in questa nota, un resoconto sufficiente delle pubblicazioni inerenti a quei saggi e ai relativi problemi, ci limi tiamo a rinviare a « Nuova Corrente• nn. 61-62, 1973 (numero unico sulla negazione freudiana), a « L'ARC • n. 34 (trad. it. di S. Dorigotti, Per Freud, Verona, Bartani, 1973, con con introduzione di F. REl.u), nonché alla nota introduttiva di U. SILVA ed AA.VV., Scrittura e rivo luzione, Milano, Mazzotta, 1974 (saggi di J. Derrida, P. Sollers, J. Kri steva, I. I. Goux, J. Risset J. L Houdebine, J. L. Braudy) e M. CRARVET & E. KRUMM, Tel Quel, un'avanguardia per il materialismo, Bari, De dalo libri, 1974. 96 U. Eco, Op. cit., 1968, p. 343.
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L'editoria architettonica PASQUALE BELFIORE
Di fronte all'ipertrofia della pubblicistica architettonica, per un lettore comune, quello cioè che non faccia del « leg gere» il suo mestiere - come ebbe a dire Tentori qualche anno fa - esistono tre possibilità: considerare tutta la massa di carta stampata... al pari di un'enorme enciclopedia, ossia al pari di quei volumi che, di norma, nessuno si sogna di leggere integralmente ma che si vanno a consultare... Questo metodo però toglie il piacere della lettura e presuppone un munitissimo apparato di archiviazione... Accanto alla prima alternativa che, sia pure a malincuore appare la sola logica, vi sono due altre possibilità di lettura. Fare finta di leggere, ossia consultare la suddetta caterva di carta stampata « a striscio di pollice sul dorso ». È un modo di comportarsi chiaramente riprovevole e tuttavia molto praticato tanto da raccogliere la stragrande maggioranza dei lettori dei nostri giorni. Terza ed ultima via, sempre secondo l'A. citato, è quella di praticare dei tagli, delle linee di sezione particolari, secondo idiosincrasie e componenti di gusto del tutto sog gettive o seguendo quel gran criterio di scelta che è sempre stata la casualità 1• La prima delle tre indicazioni, oggi ancor più che « a malincuore» di allora, sembra la sola possibile da assumere e razionalizzare per far fronte ad una situazione sempre più insostenibile. Di questo discuteremo nella presente nota che tende a sviluppare quell'indicazione sia sul piano teorico che operativo.
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Anzitutto, il settore in esame, quello cioè della pubbli cistica architettonica, ha la particolarità propria che si in contra nella storiografia dell'arte: mentre infatti le vicende degli altri campi storici sono narrate sulla scorta di docu menti e memorie - ritrovandosi l'immagine solo come ulte riore e non indispensabile aggiunta ai fini comunicativi, che aiuta peraltro a ridondare il discorso dal momento che con ferisce contorni più concreti a fatti o personaggi e riesce ad evocare con maggiore pregnanza particolari luoghi o climi epocali - la storia della vicenda artistica invece, com'è noto, si fa, per così dire, sempre in presenza dell'oggetto storico, restituito nei suoi tratti salienti attraverso una documenta zione grafica o fotografica, che può tanto corredare il testo quanto avere, al limite, una sua autonoma esistenza, poten dosi narrare un periodo, un autore, uno stile, una fabbrica anche solo per immagini. Per grandi linee, la funzione della stampa avente per oggetto l'architettura si può dividere in tre settori che ora descriveremo brevemente e senza la pretesa di essere esau stivi, limitando le osservazioni solo a quegli aspetti che, a nostro avviso, più degli altri manifestano i -segni di una crisi. Il primo settore è quello « storico » tout-court, che ha lo scopo di fissare immagini e giudizi su una produzione del passato, remoto o recente che sia.· Quanto alle metodiche oggi applicate alla storiografia dell'arte, e per essa all'ar chitettura, come è stato osservato: gli studi moderni di storia dell'arte si sviluppano secondo quattro direttive metodolo giche fondamentali: « formalistica », « sociologica », « icono logica », « semiologica o strutturalistica ». La metodologia « formalistica » muove dalla teoria della ' pura visibilità ' che sul piano teorico, ba avuto il suo maggiore esponente in Konrad Fiedler e, sul piano dell'applicazione storica, in Heinrlcb Wolfllin... Il metodo « sociologico » ha la sua origine nel pensiero positivistico del secolo scorso; ma la prima storia sociale dell'arte, quella di H. Taine, più che una storia del- ' l'arte è una storia della società vista nello specchio del l'arte... Il metodo « iconologico », Instaurato da A. Warburg e sviluppato specialmente da E. Panofsk.y per le arti figura- _49
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tive e da R. Wittkower per l'architettura, muove dalla pre messa che l'attività artistica abbia impulsi più profondi, a livello dell'inconscio individuale e collettivo... L'attività arti• stica è essenzialmente attività dell'immaginazione ... La storia dell'arte ( dal punto di vista iconologico) è, dunque, la storia della trasmissione, della trasmutazione delle immagini ... Lo « strutturalismo linguistico » ha dato l'avvio, nel campo degli studi sull'arte, a ricerche che sono ancora ad uno stadio sperimentale e che, finora, si sono specialmente localizzate nel campo dell'architettura... Lo studio del segno ( « semio logia ,.) sembra tendere a sottrarre lo studio dell'arte alle metodologie storiche per fondarlo come scienza assoluta, sostituendo alla mutabilità dell'interpretazione la rigorosa decifrazione dei segni mediante la determinazione dei giusti «codici» 2• Non entreremo nel merito della quadripartizione sopra accennata, investendo tali assunti un ambito metodo logico che cercheremo, per quanto possibile, di lasciar fuori dal discorso che conduciamo, qui limitandoci ad osservare che, sul piano della produzione di libri di storia dell'architettura, non sempre si avverte chiaramente all'interno di quale di questi filoni l'autore si muove, riducendosi i parametri inter pretativi propri di un metodo a tenui tracce, talvolta am bigue, talaltra del tutto assenti, e ci troviamo, in quest'ultimo caso, in presenza di quella storiografia cosiddetta descrittiva e sulla quale più oltre torneremo. Quanto invece alla conformazione didascalica di tali studi, e spesso indipendentemente dai metodi sopra accennati, pos siamo distinguere monografie dedicate a singoli autori, tal volta a singole opere, da monografie su periodi storici o età del gusto; monografie, viceversa, incentrate su produzioni regionali o nazionali e talvolta, in opere di grande sintesi, riguardanti l'intero arco di una civiltà. La stessa monografia intesa come biografia di un singolo autore sembra oggi affran carsi dalla dimensione vasariana delle Vite per assumere significati ed intenzioni ben più vasti chiamando in causa tutte quelle condizioni al contorno, quelle relazioni inter disciplinari e quelle estensioni che mettono in primo piano l'appartenenza dell'architetto a quello che, usando libera•
mente un termine di origine gramsciana, potremmo chiamare il « blocco storico»: con tutte le sue rispondenze, ma anche con tutte le contraddizioni che danno origine alla sua interna dinamicità. In questo secondo tipo di storiografia - che si distingue da quella «eroica» incentrata sull'individualità del l'artista - (che è quello più diffuso ed autorevole, sia pure con accentuazioni metodologiche ed ideologiche diverse, nella cultura del nostro tempo) il rapporto arte-cultura e quello arte-società trovano la loro mediazione nell'azione degli ar tisti, nel nostro caso degli architetti 3• :e. questa, in definitiva, l'operazione tentata nel 'SI da Argan con il suo Gropius - ove l'opera del Maestro era inquadrata nella crisi dei grandi ideali che caratterizzavano la cultura tedesca di quel periodo - che resta, al di là del suo altissimo valore storico critico, un paradigma nel settore degli studi monografici. Quanto all'apparato iconografico dei libri di storia del l'architettura, il discorso torna al rapporto tra testo ed imma gine. Qui evidentemente esiste un equilibrio tra i due registri; equilibrio da non intendere in senso meramente quantitativo quanto piuttosto con la necessità che le immagini si « ap poggino » al testo e viceversa, in una reciproca interazione che, senza trascurare nella documentazione visiva alcun termine che gioca un ruolo fondamentale nelle tesi esposte, renda più pregnante la comunicazione. A tal fine poi è da registrare, specialmente in quei lavori che dedicano maggiore attenzione a questo problema, come una selezione ed una impagina zione particolare del materiale grafico e fotografico sia già di per sé una scelta critica che si esplica attraverso i rapporti di associazione o opposizione che le immagini stabiliscono sulle pagine. Entrando nel vivo del nostro tema, problemi di non mi nore importanza sono quelli editoriali in senso stretto - costo, veste tipografica, impaginazione, limiti imposti dalla standardizzazione dei formali delle collane, titoli fuori col lana, etc. - e quelli connessi al più ampio sistema della rete distributiva. Il libro di storia dell'architettura ha, media mente ed in relazione a libri di pari impegno editoriale ma di altra natura, un più alto costo spiegabile intanto con una 51
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più sontuosa veste tipografica - formato; qualità della carta, copertina, uso del colore, rilegatura etc., (fenomeno questo che favorisce la scelta del libro di architettura con funzioni di strenna), - ma soprattutto con il gran numero di illustrazioni, solitamente di ·tono qualitativo soddisfacente. Il progetto grafico del libro poi, un tempo prerogativa di vecchi tipografi passati col tempo a compiti più creativi, assolti peraltro egregiamente in molti casi, è oggi il risultato dell'applicazione di un team di specialisti che confezionano, per così dire, il libro avvalendosi dei più avanzati criteri grafici e tipografici. Segnatamente ai libri di storia dell'ar chitettura, pur non disconoscendosi il valore e l'importanza di un buon livello estetico, quanto mai necessario in un libro d'arte, è essenziale che nulla in termini di chiarezza o facilità di lettura del libro venga sacrificato all'esigenza del « bello ». Il secondo settore è quello che possiamo considerare « teorico » in senso lato, ambito naturale per una riflessione sulla disciplina, sul suo corpus specifico e sulle implicazioni che questo determina con la politica, l'estetica, l'economia, le scienze sociali e· con tutte le aree culturali ad esso più prossime. Gli autori operanti in questo settore appartengono a vari campi di specializzazione se non addirittura a diversi settori disciplinari. Essi sono ancora storici dell'architettura, teorici della stessa, architetti, urbanisti, autori di poetiche, estetologi, semiologi, sociologi che fanno dell'architettura uno dei loro campi d'inchiesta e d'indagine, critici militanti, antropologi e tutti quegli esperti operanti in campi cosid detti limitrofi o di frontiera. Appare chiaro che questo settore della teoria dell'arte è il terreno più proprio alla dimensione interdisciplinare. Quanto all'apparato iconografico, i libri appartenenti a questo settore hanno una netta prevalenza del testo sulle immagini che tuttavia non sono eliminabili -dovendo soste nersi quasi ogni elaborazione teorica su esemplificazioni di fabbriche, di progetti, di schemi. Dal punto di vista editoriale tutto il settore rientra nel più vasto campo della saggistica, nei formati standard delle collane e quindi il loro costo è proprio commisurato a quello di un qualsiasi libro di saggi-
stica. Tanto l'editoriale storiografica quanto quella dei saggi teorici ha trovato una sua soluzione « popolare » nelle collane tascabili che hanno ridotto i costi di produzione a vantaggio di una più larga diffusione. Tuttavia, a questa riduzione tecnicereconomica non sembra aver fatto ancora riscontro un più « popolare » modo di scrivere, essendo il linguaggio di tali libli ancora legato al presunto « rigore » dei testi di formato normale e comunque d'alto impegno editoriale. Una diffusione quindi d'ordine tecnico, piuttosto che d'ordine sostanziale, di contenuti, di veri interessi popolari. La natura difficile del libro di teoria architettonica, oltre che dovuta ad. un malinteso rapporto tra impegno critico e difficoltà del testo, si spiega, tra l'altro, con la mancanza in Italia, tranne qualche ottima eccezione, di autori che adoperino una prosa per così dire « giornalistica », più delle altre in grado di abbassare i registri a toni di più larga ed immediata com prensione. Di solito invece sono sempre gli stessi autori, pe� raltro bravi e bene informati, che scrivono, e. naturalmente sempre allo stesso modo, testi scolastici, pockets e saggi destinati esclusivamente agli addetti ai lavori, con quale ri sultato è facile immaginare. . Il terzo settore è quello delle riviste di architettura aventi la funzione di aggiornare in primo luogo i tecnici e quindi i1 pubblico su quanto viene offerto dalla produzione più at tuale. Non c'è dubbio che le riviste hanno svolto il ruolo preminente nel dibattito architettonico contemporaneo se gnando, con ogni sorta d'implicazione, la storia-nel suo farsi del Movimento Moderno. Dei tre settori in esame questo è quello nel quale l'immagine prevale nettamente· sul testo talvolta ridotto a qualche didascalia. Circa la natura delle riveste possiamo distinguere: quelle dedicate ad opere rea lizzate; quelle che lasciano ampio spazio a proposte e progetti; quelle che mirano a tenere insieme esempi di produzione, rubriche storiche, discorsi di poetica, dibattiti critici, etc; In sostanza, nelle riviste di architettura, assai spesso si tende a riprodurre con una scadenza più immediata la tematica e la problematica degli altri due settori, quello storico e quello critico-teorico, finalizzati tuttavia all'infonpazione sulla 53:
produzione in atto che è o dovrebbe essere lo specifico oggetto del periodico; il quale si caratterizza altresl, come vedremo, per un apparato pubblicitario talvolta sovrastante quantitativamente il nucleo stesso del fascicolo. E veniamo ora a discutere nel merito di ciascun settore nel tentativo di rintracciare le cause del distacco sempre maggiore tra le funzioni che l'editoria architettonica dovrebbe svolgere e quelle che invece di fatto esercita.
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Già dalla descrizione del settore della storia dell'architet tura ne emergono chiaramente alcuni limiti: alto prezzo di copertina, tendenza a produrre libri « belli » piuttosto che utili ·e scientifici, ridondanza di contributi su taluni argo menti e scarsa letteratura su altri, etc. Accanto a questi non è difficile cogliere ulteriori difetti del campo dell'editoria storica. A meno di non trovarsi in presenza di quelle rare e riuscite opere divulgative - ed in Italia, come abbiamo accennato, siamo oggettivamente carenti in fatto di divul gazione - i libri di storia dell'architettura prodotti nel nostro paese sono generalmente difficili ed accessibili ad una ri stretta schiera di specialisti anche quando hanno la volontà di non esserlo. Essi infatti presuppongono un dato di infor mazione generale sia sul periodo trattato sia su quello che lo precede cronologicamente che in generale manca al lettore. Quest'ultimo non viene mai immaginato da chi scrive libri di storia se non nella figura di un proprio collega e la narra zione storica, chiusa in questo ambito di specialisti, altro non è che un contributo dato ad un vasto ed ideale patri monio storiografico che fa astrazione dal rapporto socialè, dal compito comunicativo, per essere una sorta di corpus cui attingeranno solo quelli in grado di fornirsi dei mezzi e delle chiavi interpretative. Oltre a ciò, nei testi di storia, per quanto attiene in particolare al rapporto tra testo ed immagini, esiste un'aporia di fondo: o si dà grande valore alle immagini ed in tal caso risulta inutile la descrizione di quanto è già palesemente desumibile da queste o tali immagini hanno mero valore di riferimento ad un discorso che voglia sottolineare qualcosa di più di ciò che le immagini da sole non riescono a dire. In altre parole ci sembra irrisolta
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del passato calandosi nella mentalità coeva e quella dell'in tellettualismo modernista che, mal interpretando il principio della contemporaneità della storia, non si limita a leggere il passato secondo le idee del nostro tempo ma sovrapponendo ad esso la nostra ideologia. Un modo di risolvere questo du plice errore viene proposto da De Fusco quando, in un libro che tratta di storia e di semiologia, scrive: Poiché il nostro parlare di codice, stile, modello tipico-ideale, etc. tutti sino nimi di uno stesso concetto, riguarda una costruzione arti ficiale, ciò Implica evidentemente una presa di posizione (significato positivo del termine« ideologia»). Ma se è questa a determinare il postulato che il codice sia una struttura soggiacente ad una serie di opere concrete, riconoscibili e de codlficablll proprio rispetto ad essa, non si ricade in una storiografia pregiudiziale ed « ideologica »? La risposta è ne gativa perché quel postulare un codice per gli eventi concreti è dato, nonché come polo dialetticamente correlato alle fab briche, soprattutto come ipotetico, tipico-ideale. valendo solo nella misura In cui rivela gli eventi e non sl serve di essi per « giustificare » una ideologia. La presa di posizione sta dunque proprio nel rifiutare, da un lato la presunta obietti vità del fatti... e dall'altro l'ideologia per tentare di cogliere il valore relazionale delle opere e del relativo stile nella pro spettiva storica attuale 6• Naturalmente non vogliamo arri vare ora alla conclusione che solo una storiografia ideal-tipica sia in grado di affrancare i libri di storia dagli equivoci sopra segnalati, ma di certo da una sua corretta applicazione di scendono un chiarimento ed una semplificazione notevoli: essa, infatti, fissa un parametro di riferimento, per così dire, le regole del gioco rispetto alle quali autore e lettore po tranno in ogni momento verificare le tesi esposte con una evidente garanzia di scientificità del testo storiografico; essa poi, almeno nella sua definizione più corrente e condivisa, è una nozione positivamente riduttiva. Anticipando una con clusione, diciamo subito che quest'attitudine « riduttiva » costituisce, a nostro avviso, una delle chiavi (che andrebbe integrata alle esperienze metodologiche e didattiche più interessanti che si sono venute compiendo in questi ultimi anni)
per far fronte tanto sul piano teorico che su quello pm propriamente applicativo ( editoriale, nel nostro caso) all'at tuale condizione di difficoltà. Per il secondo settore dell'editoria, quello che abbiamo definito teorico in senso lato, valgono molte delle conside razioni fatte sopra, naturalmente tradotte nei termini propri a questo ambito, dissimile, per funzioni e contenuti, da quello storico. Segnatamente al discorso editoriale, è da considerare che, se da un lato non costituisce grande problema il rap porto tra testo ed immagini, fra linguaggio e metalinguaggio dell'architettura con tutte le semplificazioni che questo com porta appunto sul piano editoriale, dalJ'altro i testi teorici mancano in gr-\n parte di quel riferimento alla presenza degli oggetti storici. Il che comporta, in assenza di tali puntelli, un testo che abbia una sua autonoma strutturazione ed una sua logica interna quasi pari a quella dei testi filosofici ( non a caso ancora una gran parte dei saggi di questo genere appartiene all'ambito estetico) sociologici, purovisibilisti, iconologici o semiotico-strutturali, giusta la quadripartizione delle tendenze in atto nelle ricerche storico-teoriche riportata all'inizio della presente nota. Ma nonché ad un rigoroso ri chiamo della loro struttura interna, il linguaggio comunica tivo del settore in parola deve essere improntato alla massima intellegibilità in quanto il testo teorico non può essere solo consultato ma letto in tutta la sua globalità, un postulato teorico legandosi al precedente ed al seguente in un conti nuum, pena la perdita del senso generale di quanto si vuol comunicare. Cosicché, una volta riconosciuta la necessità che il libro di teoria venga letto integralmente, l'autore di que st'ultimo deve essere in grado di interessare il lettore anche con la sua abilità di scrittore. E passiamo ora al settore delle riviste. Quelle di archi tettura, oltre alle ragioni pratiche e funzionali cui abbiamo accennato, nascono con un preciso programma, sono il docu mento di una determinata poetica o tendenza, una · sorta di manifesto di continuo aggiornato con i dati della produ� zione più recente. Ma in questo sta il loro primo congeniale limite: infatti, mentre un manifesto di poetica riflette le
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un nuovo gruppo di opm10ne farsi spazio in una tal sorta di periodici così collaudati, stabilizzati e con alle spalle rassi curanti gruppi editoriali? E dal canto loro, chi darà credito, attrezzature e pagine pubblicitarie ad un gruppo privo delle suddette garanzie? In altre parole, il settore delle riviste di architettura è assai simile al credito bancario: l'ottiene solo chi, già nel giro del danaro, dà garanzia di poterlo restituire. Ma vediamo più da vicino il periodice>-tipo della pubbli cistica architettonica, a cominciare dalla copertina. Da essa si richiede: il rispetto della testata ed una certa coerenza stilistica che accomuni ogni fascicolo agli altri; che la com posizione grafica, anche se di gusto astratto, sia in qualche modo legata al contenuto del fascicolo; che abbia una forte pregnanza visiva che serva come elemento di richiamo. A voler soddisfare tutte queste esigenze ne vien fuori un'ela borazione grafica che finisce per essere assai ibrida ed insi gnificante, spesso decisamente brutta. Segue poi l'editoriale, il pezzo dove si misura il tono « politico » del periodico. Anche in questo caso l'intento mira ad essere polivalente: da un lato preannunziare il meglio contenuto nel numero e dall'altro partecipare a lettore alcune idee del direttore, come a dire « il pensierino del mese » che nulla ha in comune con il contenuto del fascicolo. Il nucleo centrale è dato dalla presentazione di due o tre opere realizzate, illustratissime, coloratissime, stampate sulla migliore carta patinata e corre date da una relazione tecnica o da una presentazione critica che generalmente scomoda prestigiose ascendenze per ar chitetture a quegli avi neppure lontanamente apparentabili o si risolve in un'occasione per il presentatore di esporre, a prescindere dal merito dell'opera che pur dovrebbe illu strare, le sue personali convinzioni sui grandi temi dell'ar chitettura. Ma anche nella migliore delle ipotesi, cioè in quella di una esauriente illustrazione e di una pertinente presen tazione, il lettore non è comunque in grado di cogliere le vicende e l'ambiente che valgono a contestualizzare il pr<> getto o la realizzazione delle opere. Viceversa, con l'attuale modo di procedere, gli unici ad avvantaggiarsene sono coloro 59
che sfogliano una rivista di architettura giusto per trarre uno «spunto ,. o copiare un dettaglio, quest'ultimo assur gente al rango di «citazione» qualora desunto da un'opera particolarmente nota o importante. Proseguendo nel nostro excursus troviamo, prima o dopo la presentazione delle opere o dei progetti, un articolo di carattere storico, di solito tra scurato dagli architetti militanti e spesso inutilizzabile an�he da parte di chi si occupa di storia in quanto le immagini, per adeguarsi al tono spettacolare della rivista, prevalgono sul testo il quale accusa in tutti i modi il suo carattere un po' spaesato alla stessa stregua delle rubriche di architettura che nei rotocalchi a grande diffusione precedono gli scacchi e seguono, magari, la gastronomia. Riteniamo perciò che in questo genere di testi si possa dire di più e meglio sulla terza pagina di un quotidiano dove almeno il linguaggio non è spe cialistico e gergale come quello del periodico di architettura.
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Le pagine conclusive della rivista poi hanno generalmente una funzione informativa - una selezione o un'anticipazione sul panorama dell'architettura internazionale, notizie relative a convegni, premi, concorsi - assolta egregiamente in alcuni casi, lacunosa ed inutile in altri, specie quando, per il cronico ritardo con cui il numero esce in libreria, notizie ed antici pazioni di concorsi o convegni sono ormai ampiamente supe rate nei tempi. I rilievi da muovere a questo settore potrebbero allun garsi indefinitamente ma ciò sarebbe ingiusto in un mo mento di crisi come quello attuale in cui si produce poca e scarsamente qualificata architettura fra - il disinteresse di tutti. Le riviste non possono non risentirne né d'altra parte possono «inventare » gli oggetti delle loro illustrazioni. Ep pure entro i limiti attuali qualcosa potrebbe farsi per miglio rarne il tono generale. Intanto adottare un maggiore rigore critico nella selezione delle opere da pubblicare; cercare di aprire i periodici a tutta una serie di saggi brevi di parti colare rilevanza teorico-critica pensati e scritti in funzione della loro apparizione su di una rivista, con tutte le modi ficazioni e semplificazioni del ·caso; pubblicare dibattiti e resoconti di convegni anche su temi non specificamente ar-
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sitari, gruppi di tendem;a, piccoli o grandi centri di cultura, dedicate esclusivamente all'architettura o aventi sezioni di architettura, sono apparse nelle edicole e nelle librerie o spedite in abbonamento. Fermo restando grosso modo il numero delle riviste che, pur essendo soggette a rapide apparizioni e bruschi eclissamenti sono tuttavia abbastanza stabili nel loro nucleo fondamentale, è lecito supporre, ed i dati parziali lo confermano, che per il decennio '70-'80 la cifra dei quattrocento titoli è destinata a triplicarsi 7• In a!> soluto non sono cifre da capogiro, soprattutto se paragonate da altri campi quali la saggistica letteraria, la letteratura sulle scienze economiche e sociali, la narrativa, etc. Ciò nono stante resta pur sempre una considerevole mole di carta stampata nei cui confronti si impone - e veniamo all'aspetto propositivo di queste note - una doverosa operazione di «riduzione». Che cosa intendiamo con la parola« riduzione»? Diciamo subito che per noi essa vale anzitutto per critica scelta rispetto alla qualità e alla quantità. Quali criteri devono presiedere a tale riduzione? Criteri, rispondiamo, di ordine strutturale. Assumiamo cioè per riduzione strutturale di una disciplina la sua organizzazione e semplificazione in base ad un ordine relazionale di leggi e criteri, sia ad essa peculiari, cosl· come si sono venuti storicamente determinando, sia appartenenti ad altri campi di_ esperienza, purché ipotizzabili come pertinenti ed operativamente utili agli sviluppi di quella disciplina nel settore della ricerca e della didattica 7• Che cosa comporta l'adozione di tale definizione? In primo luogo l'immissione nel procedimento riduttivo dei criteri ·di eco nomia - i soli in grado di assicurare una incisiva azione didattica - che vanno da quelli relativi all'accumulo di dati, nozioni ed esperienze facilmente traducibili nei più pregnanti linguaggi offerti dalle nuove tecnologie e dai mezzi di comu nicazione di massa, a quelli relativi alla individuazione di un corpus specifico della disciplina che, senza nulla perdere della sua interezza, anzi quest'ultima esaltata dalla sua riduzione alle leggi prime, è predisposta in tal modo all'incontro con altre discipline analogamente strutturate, realizzandosi in pari tempo una corretta interpretazione della esigenza di
1 F. TBNlORI, Le editrici di architettura e il rinnovamento delle uni versità, in «L'Architetto», 1967, n. 4. 2 G. C. ARGAN e M. FAGIOLO, Guida a la storia dell'arte, Sansoni, Fi renze 1974, p. 31 sgg. 3 R. AssuNro, voce « storiografia ,. in Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, voi. VI, Roma, 1969. 4 R. DB Fusco, Storia e struttura, E.S.I., Napoli 1970, p. 137. s R. DE Fusco, Segni, storia e progetto dell'architettura, Laterza, Bari 1973, pp. 197-98. 6 I dati si riferiscono a quelle pubblicazioni che hanno raggiunto una certa diffusione sul piano nazionale. Una soddisfacente bibliografia è quella pubblicata nel 1971 da: Libreria La Città di Milano - Gabriele Mazzotta Editore, con prefazione di Vittorio Gregotti. 7 R. DE Fusco - G. Fusco, La riduzione culturale, in « Op. cit. », gen naio 1972, n. 23. a Per un'analisi dei meccanismi e dei supporti delle nuove tecnolo gie audiovisive vedi: P. BAU>ELLI, Informazione e contro informazione, Mazzotta, Milano 1972. 9 V. GREGOTTI, Prefazione alla Bibliografia di Architettura e Urba nistica, Milano, 1971.
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