Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della t:ritica d'arte contemporanea
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Edizioni ÂŤ Il centrďż˝,. di Arturo Carola
S. RAY,
Dialettica del "piacere" e identitĂ dell'architettura
F. IRACE,
Assenza-presenza: due modelli per l'architettura
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D. DEL PESCO,
La "storia dell'arte " nelle scuole
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Libri, riviste e mostre
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Alberto Cuomo, Gabriella D'Amato, Rejana Lucci, Agata Piromallo Gambardella, Maria Luisa Scalvini, Paola Serra Zanetti.
Dialettica del "·piacere,, e identità dell'architettura STEFANO RAY
• Restless nights in one-night's cheap hotels » T. S. Eliot « Sono, disse, Dinocrate architetto ma cedone, e ti reco idee e progetti » Vitnffio, II, Proemio Materiale per la costruzione di un modello di « teoria dell'architettura», in schematizzazione nelle linee essenziali. Materiale che si aggiunge ad altro, via via già prodotto 1, e che mano a mano si dispone nelle caselle cruciali dello sche ma; caselle a propria volta destinate a svilupparsi e articolarsi. l n particolare queste pagine rappresentano la rielaborazione di un capitolo di un saggio composto un anno orsono, e la sciato quindi decantare. Perché una teoria dell'architettura? Per un motivo molto semplice. Si è ripetuto fino all'estenuazione che l'architettura � in crisi : se si sposta l'angolo di osservazione, ci si rende facilmente conto che la crisi è soltanto normale dialettica tra la dimensione del convenzionale, del prestabilito, e la dimensione del divenire, del non ancora sperimentato: con dizione tipica delle istituzioni storico-sociali 2• Se allora l'ar chitettura è un'istituzione, essa si costituisce in una disci plina vera e propria, dotata di un oggetto, di un fine e di un metodo specifici; donde l'esigenza di una sistemazione teoretica stabile in una situazione data. D'altra parte, proprio perché la situazione attuale è di una fluidità estrema, inseguire gli stimoli emergenti di con tinuo, le urgenze subito obsolete, diviene, oltre un deter minato segno, nonché inagibile, anche ozioso e, nella so stanza, evasivo. Occorre il coraggio di mirare ad alcune cer- S
tezze, rispetto a riferimenti storici su tempi medio-lunghi. Dal momento poi che, a dispetto di ogni « impossibilità » o « illegittimità » concettuale prospettata, la produzione di architettura si ostina pervicacemente e sfrontatamente a sus sistere, il cerchio si chiude anche a livello fenomenico. In ordine a una ricognizione sulla natura della disciplina, la questione da porre può essere formulata così: che cosa è tipico dell'architettura in una situazione data? Vale a dire, in che cosa nessun altro processo produttivo riconducibile a disciplina specifica è in grado di sostituire l'architettura?
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Nel Piacere del testo ·Barthes si chiede con corbusierana naiveté perché mai piacere e/o godimento debbano essere sintomi di operazioni di « destra »; mentre alla « sinistra» debba per obbligo essere riservato lo spazio del cupo, del tetro, della noia. Privare chi produce l'architettura di un libero piacere e chi ne fruisce di un libero godimento signi fica imporre all'uno una condizione di straniamento e al l'altro una sottrazione di disponibilità, arrogandosi il privi legio di decisioni repressive. Sarebbe un facile atto di cattiva fede travisare il discorso, evocando a questo punto lo spettro di William Morris: non se ne terrà conto. Per quanto ri guarda poi l'uso dei termini «piacere» e «godimento», Barthes ha già avvertito che sono termini ambigui nella stessa proporzione in cui sono aperti: ma, se non si gioca pretestuosamente sull'equivoco, sono anche termini che per mettono di intendersi con sufficiente chiarezza. Il problema avanzato sopra, che cosa sia tipico della di sciplina, può essere inquadrato in maniera più articolata: gli architetti inventano oggetti destinati a essere fruiti, e quindi tra invenzione e fruizione esiste di necessità un rap porto di partecipazione. La particolarità dell'invenzione con siste nel fatto che non si conclude nell'ideare oggetti miranti unicamente a soddisfare esigenze « pratiche » pure; al con trario la fruizione non implica automaticamente la ricezione e l'appropriazione coscienti di quanto non sia solo «pratico ». II rapporto di partecipazione è dunque un rapporto anomalo, esposto a eccessi e cadute di tensione. Tuttavia, poiché si
configura all'atto medesimo del produrre, è inevitabile che precisamente in esso l'architettura si qualifichi e si dequali fichi nella dialettica della storia - è dunque qui che il pro blema va indagato e risolto. La questione che si viene affrontando incomincia ad es sere avvertita nella sua importanza a ogni livello. Per il la voro intellettuale e la produzione artistica in generale, e in modo embrionale anche nel dibattito specifico sull'architet tura. I confini del dibattito sono tuttora piuttosto incerti, e coinvolgono argomenti spesso appena tangenti o addirittura eteronomi. In ogni caso va registrato con soddisfazione che posizioni ancora di recente rigidamente chiuse stiano rapi damente mutando, pur nello sforzo di districarsi da com plesse antinomie. Elencandoli senza un ordine prestabilito, in ragione della natura aperta dei limiti del dibattito più generale, i pro blemi che affiorano con maggior frequenza sono i seguenti: lavoro individualizzato e lavoro socializzato; nozioni di «qua lità », « contenuto », « pubblico», «mercato»; didattica e pe dagogia storico-artistica e relative implicazioni nelle strutture scolastiche; definizione e uso dei beni culturali. Osservato che questi problemi confluiscono in buona parte nella tema tica dei linguaggi non verbali, in particolare visuali; accen nato al pericolo obiettivo che il discorso sui beni culturali dia luogo a un'ondata di moda e di speculazione, analoga mente a quanto ebbe a suo tempo a snaturare e deviare l'argomento «ecologia» - tratteggiato appena l'ambito dove la domanda sul tipico dell'architettura si colloca, soltanto per rilevare l'ampiezza di una problematica che non può più essere rinviata a un dopo sempre posposto: ci si con centrerà su tale domanda, e sulle considerazioni che ne di scendono. Ripercorrendo a grandi linee le vicende dell'architettura contemporanea è addirittura banale notare che essa ha ap plicato sostanzialmente la totalità dei suoi sforzi su momenti del processo di formazione dell'habitat circa i quali speci fiche forze sociali e discipline di altra natura sono perfetta mente in grado di prendere ogni opportuna decisione (scelte 7
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sull'uso del territorio; organizzazione della produzione edi lizia; definizione degli standards funzionali; -tecnica del co struire). Se le decisioni, e i relativi interventi, risultano po sitivi o negativi, ciò dipende unicamente dalla volontà poli tica a cui si collegano. A causa della condizione extradisci plinare ove si è posta, risultati inevitabili per l'architettura sono stati, e sono, insuccesso e impotenza. e chiaro quindi perché si è giunti a dichiarare decaduta la funzionalità storica dell'architettura, e perché ne è stato postulato il dissolversi nelle diverse fasi di un procedimento gestito dalle forze e dalle discipline che, senza possederne i titoli, ha tentato di sostituire. Se si torna ora all'interrogativo riguardante quello che solo l'architettura è capace di produrre, la risposta è quasi traumaticamente semplice: un certo piacere e/o godimento. Naturalmente, nell'affermare questo, si resta ancora ben lon tani dall'aver esaurito la questione: che anzi, a rigore, si apre proprio qui. Innanzi tutto è necessario verificare se la risposta è corretta. In secondo luogo bisogna chiarire il significato di «piacere» e « godimento» in architettura. Per finire occorre tirare le somme, individuare i problemi che hanno trovato soluzione � le conseguenze che si prospettano - il tutto all'interno delle coordinate dialettiche della se quenza (non obbligatoriamente in successione temporale) in \'enzione-fruizione-partecipazione; coordinate che comportano ovviamente un coté strutturale ed uno in divenire, vale a dire costanti antropologiche e varibili storiche. Il primo quesito è anche - relativamente - il più sem plice. Si supponga che l'attività storicamente conosciuta come «architettura» non esista, né sia mai esistita; si supponga inoltre che oggetti, edifici, città, territori abitati, siano pre disposti e realizzati in modo soddisfacente da ogni punto di vista: che, cioè, qualità tecnica, funzionalità, quantità e di stribuzione siano ottimaii. In linea teorica un risultato del genere può essere conseguito nel pieno rispetto della con dizione proposta (inesistenza dell'« architettura»). Disponibi lità economica, competenza tecnologica, capacità organizzativa, informazione esatta ed esauriente sulle esigenze indi-
viduali e collettive, sono del tutto sufficienti per dare luogo a un simile esito (che, sempre in linea teorica, potrebbe benis simo scaturire da un'elaborazione computerizzata degli ele menti suddetti, attraverso un corretto input, controllato da un'opportuna forza e volontà politica): ma unicamente a un simile risultato, e ad esso solo. Il motivo risiede nel fatto che le istanze da soddisfare introdotte nello schema sono tali da esaurirsi integralmente una volta raggiunto il livello in que stione; livello che, sotto il profilo del piacere e del godimento, è completamente neutro. Rimuovendo la pregiudiziale posta all'inizio, il meccanismo del piacere e del godimento si at tiva - è, appunto, soltanto l'architettura, intesa quale disci plina storica specifica, che comporta questo effetto. Ma cosa significano piacere e godimento in architettura? Aggirando la sfera dell'estetica, ove si formerebbe una ri sposta categoriale, e pertanto troppo generale, è necessario stringere l'obiettivo su un'analisi più circoscritta. A tal fine bisogna, lo si è detto, prendere in esame il processo inven zione-fruizione-partecipazione, còlto nello spessore storico-an tropologico che gli conferisce una dimensione concreta. Da un lato piacere e godimento sono esigenze costanti della struttura psicofisiologica; dall'altro, l'esercizio dell'architet tura ha sempre incluso, nel corso della storia, una volontà di piacere e di godimento. Ciò è vero tanto per i produttori quanto per i fruitori di architettura, indipendentemente dalle motivazioni dei primi e dalle modalità di ricezione dei se condi, nonché dai diversi gradi di autocoscienza e di consa pevolezza degli uni e degli altri. Per inciso, è ovvio che nel caso di un Alberti, ad esempio, piacere e godimento si pos sano identificare con la coerenza di un « ragionamento » astratto, perseguito ed esplorato nelle pieghe e nelle sfumature più sottili; mentre in quello, si ponga, di un Borromini, essi possano invece coincidere con lo scavo della forma fisica, in quanto tangibile itinerario nell'ansia - ed è parimenti ovvio che il procedimento possa indifferentemente innescarsi sia nella pura e semplice appropriazione àcritica dei sette nani in gesso colorato, sia nell'esperienza matura e meditata della complessa spazialità di un edificio imperiale romano. Questo 9
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per tenersi entro la sfera del conscio, lasciando di proposito sospesa ogni ricognizione nei territori del profondo: que �tione che condurrebbe per ora troppo lontano. Ciò che introduce a un'individuazione ravvicinata della natura del piacere e del godimento in architettura è, a ben vedere, un'unica, ma decisiva, differenza che sussiste nei confronti degli altri tipi di produzione artistica e, in generale, di produzione intellettuale creativa. L'architettura, nel signi ficato più vasto del termine, non solo si presta ad essere guardata e ad essere letta - nella luce di un linguaggio non verbale -, ma può essere concretamente adoperata, percorsa, penetrata, fruita. Tale differenza, di ordine strettamente ma teriale, rende l'architettura un fenomeno nella sostanza non paragonabile, sebbene ricco di affinità e di analogie, di tan genze e di richiami. Questa agibilità fisica, che caratterizza l'architettura e ne denota l'autonomia e la peculiarità disci plinare, è tuttavia assente, se non quale proiezione immagi naria, nel momento del progetto; momento che pure è strut turale del fenomeno architettonico, non tanto come disegno che predispone la realizzazione, quanto come fase, anche sin cronica, che precede comunque concettualmente, innestan dovisi, la realizzazione. La questione, dunque, si complica, poiché la chiave che apre la porta a una definizione precisa di piacere e godimento - l'agibilità fisica - non sembra potersi impiegare in un nodo centrale del processo; mentre, di converso, piacere e godimento che innervano il fènomeno sono e restano ad ogni livello di un'unica e stessa natura. Come uscire da un intrico del genere? Il problema si scioglie se lo si riconduce entro una duplice dialettica. Du plice dialettica che altro non è se non un approfondimento della polarità invenzione-fruizione. Da un lato la relazione progetto-realizzazione, dall'altro il rapporto realizzazione-agi bilità: l'una e l'altro si inverano all'atto della partecipazione, pur conservando ciascuno la propria identità e la reciproca irriducibilità, sia in quanto nessi sia in quanto singoli ter mini. II momento della partecipazione, per suo conto, mentre vi si annullano le fasi precedenti, innesca di nuovo, per suo conto, l'intero processo. A questo punto la sequenza inven-
zione-fruizione-partecipazione disvela compiutamente la por tata che le compete, nell'estendersi e ramificarsi capillar mente a tutti i livelli e in ogni momento del fenomeno. Inquadrato così il problema, si è sensibilmente ridotto l'ambito di una risposta circa la natura del piacere e del godimento in architettura. Si può infatti asserire che essi derivano e traggono radici da specifiche necessità antropolo giche connesse all'agibilità fisica dello spazio e degli oggetti nel tempo: anzi, meglio, degli oggetti nello spazio in una situazione data. Dalle proposizioni che precedono emerge inoltre un ele mento di fondamentale importanza: la soddisfazione delle suddette necessità si realizza attraverso un sistema di comu nicazione a doppio senso - dall'invenzione alla fruizione e viceversa - individuabile nella partecipazione. Più limpido e sgombro da distorsioni e interferenze sarà questo sistema di comunicazione, più ricchi saranno il piacere e il godi mento. La correttezza dell'assunto si può controllare facil mente analizzando da un consimile punto di vista la storia istituzionale dell'architettura; le opere di spicco, i « capola vori», sono nella quasi totalità (per non dire sempre) inne stati su flussi di comunicazione privi, o sc-arsi tanto da poterli classificare di portata irrilevante, di impedimenti e intralci - ovviamente rispetto alla situazione storica in cui ven gono prodotti. (� vero altresì l'inverso, ma un'antitesi netta e chiara dà pur sempre luogo a un sistema di comuni cazione, sebbene più difficile da decifrare, perché si svolge per contrapposizione). Un esempio. Villa Madama. Una lucida intesa, un dialogo continuo, tra i destinatari della fruizione (il tipo, incarnato in personaggi concreti, del « cortegiano») e i produttori (il tipo dell'artista « principe», calato in Raf faello), in una partecipazione che investe l'operazione a ogni livello, giusta lo schema sopra individuato. Entro questa con figurazione del processo, l'architetto può soddisfare sfrena tamente il piacere di inventare un universo di oggetti e di spazi dalle più svariate connotazioni; di converso il commit tente partecipa di tale piacere, e gode insieme sia della ri cerca sia del prodotto dell'artista. Il prodotto, a sua volta, 11
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procura all'artefice un piacere suppletivo, che si ritrova nel godere della trascrizione in termini individualizzati delle ri chieste del committente, trascrizione soddisfacente tuttavia appieno le istanze del committente medesimo. Il che si veri fica all'intersezione di una piattaforma comune ad entrambi (un codice formale universalmente riconosciuto, che permette la reciproca partecipazione a qualsiasi fase del processo) con la divaricazione tra gli obiettivi individuali dell'architetto e i fini eteronomi del committente. Risultato (nel caso specifico sospeso tra realizzazione e progetto), un'opera che incide sull'assetto materiale dell'habitat in un ambito ove strutture e sovrastrutture trovano un momento reale di connessione e di influsso le une sulle altre, che le investe in duplice dire zione. Questo in una semiosi strettamente architettonica, rea lizzata nel piacere e nel godimento dell'agibilità fisica (e della fisicità virtuale del progetto) di manufatti nello spazio. In particolare, l'ideologia di un certo tipo di potere si fa tan gibile « stile di vita» nel godimento degli oggetti, e il piacere di perseguire un'idea di « bellezza» dà corpo a quell'ideo logia creando uno « stile di vita» soddisfacente per l'ideo logia in questione, e altresì capace di innescare il momento critico di una pre� di coscienza delle antinomie oggettive dell'ideologia (e ciò vale, all'inverso, del pari per l'esercizio della disciplina, nell'incontro con la domanda reale che ne determina la messa in movimento). Il manierismo sui generis (se così lo si vuole chiamare) rintracciabile nella vicenda di villa Madama, è, nello stesso tempo, registrazione da parte dell'architettura della crisi sociale che si profila, ed estendersi della consapevolezza della crisi nel corpo sociale, anche sotto ,,. la sollecitazione delle difficoltà crescenti (e quindi degli arti fici escogitati per aggirarle) incontrate dall'artista nel mante nere aperta la comunicazione indispensabile al piacere e al godimento. Per sintetizzare i punti salienti emersi sino ad ora, si può tracciare uno schema del genere: 1 - se nell'architettura sono riconoscibili i caratteri di un'istituzione storico-sociale, ne discende che, in ciascuna situazione data, ci si trova in presenza di una disciplina esattamente definibile - dotata
cioè di oggetto, fini e metodo precisi e identificabili e non semplicemente di un campo dai confini malcerti; 2 in sé, in ogni situazione ipotizzabile, la disciplina si fonda su due momenti, invenzione e fruizione, in relazione dialet tica; 3 - tale relazione si configura nella fase della parte cipazione, partecipazione che, per natura, è di tipo anomalo, dal momento che si instaura anche quando l'autocoscienza del secondo termine (la fruizione) circa il proprio ruolo risulti di un livello estremamente basso, quando non total mente nuHo; 4 - ciò premesso, occorre innanzi tutto indi viduare oggetto, fini e metodo della disciplina; 5 - quanto all'oggetto esso muta al mutare delle circostanze storico-so ciali donde procede l'istituzione, e tuttavia i mutamenti che si registrano nella storia, a quanto è dato conoscere, mo strano un dilatarsi e un restringersi di competenze, restando queste comunque iscritte nell'ambito della produzione di ar tefatti destinati o comunque connessi all'habitat; 6 - la persistenza del quadro ove l'oggetto della disciplina si col loca, induce a riconoscere l'esistenza di un filo di continuità che percorre la disciplina lungo l'intero arco dei mutamenti istituzionali secondo cui si è via via concretamente realiz zata; 7 - quanto sopra offre preziose delucidazioni in merito ai fini, poiché l'architettura si rivela essere l'unica istituzione storica tramite la quale certe esigenze antropologiche co stanti trovano soddisfazione, e, di converso, numerose altre discipline istituzionali risultano capaci di sostituirsi all'ar chitettura nelle operazioni che si compiono nel medesimo campo, tranne che nel soddisfare le esigenze suddette; 8 dell'analisi di questa constatazione emerge che, in rapporto al proprio oggetto, l'architettura non condivide con istitu zioni e discipline gravitanti nello stesso campo una cosa sola, il piacere e/o il godimento che la produzione dell'oggetto medesimo è in grado di offrire; 9 - la dialettica invenzione fruizione si innesta qui, nel senso che entrambi i termini vedono potenziata la relativa carica di piacere e godimento in proporzione all'intensità e alla qualità della partecipa zione; 10 - il che non significa confusione dei termini fra loro, ma al contrario un massimo di autonomia in un mas- 13
simo di consapevolezza della reciprocità; 11 - libertà di invenzione, dunque, e libertà di fruizione, attraverso il me todo della partecipazione; 12 - in prima istanza, il metodo della partecipazione si può descrivere come un confronto tra ruoli distinti che vitalizza di continuo la disciplina, facen dosi l'invenzione carico della fruizione e viceversa, poten ziando i relativi momenti (caratterizzanti) del piacere e/o godimento; 13 - è evidente che il peso e l'incidenza sociali della disciplina saranno tanto più efficaci quanto più l'in venzione coglierà e susciterà, facendole proprie nel piacere e nel godimento, sempre più vaste, diffuse e rinnovate aree di fruizione; 14 - del pari è evidente che la liceità dell'eser cizio della disciplina sarà tanto più storicamente accertabile quanto più le esigenze di piacere e godimento che scaturi scono nella fruizione innerveranno in profondità l'inven zione, compenetrandone lo specifico piacere e godimento; 15 - d'altronde nulla vieta, in linea teorica, di ipotizzare che la massima individualizzazione (piacere e godimento assoluti, sciolti da qualsivoglia vincolo o pregiudiziale) coincida con la massima socializzazione, almeno tendenzialmente, risolven dosi l'apparente contrapposizione in un rapporto perfetto di informazione, significazione e comunicazione, in una per fetta semiosi.
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Frammenti, si è detto: appunti su tesi e problemi di base. L'analisi non si esaurisce, né intende di certo esaurirsi, in queste note: né obiettivamente lo potrebbe. Il fine è di por tare alla superficie, di trarre in luce, alcune questioni nodali. Una più esatta definizione di piacere e di godimento deve per forza di cose uscire da un discorso ampio e articolato (a cominciare dalla distinzione tra i due termini, che qui, in un iniziale accostamento, sono tendenzialmente riferiti l'uno al momento dell'invenzione e l'altro al momento della fruizione, con le ovvie insoddisfacenti conseguenze di connotare il primo in senso attivo e il secondo in senso passivo). Per ora è sufficiente mostrare e sottolineare la natura cruciale del pro blema e stabilirne le coordinate per una corretta soluzione. L'edificare, poi, un modello di teoria dell'architettura può
appena essere profilato come necessità oggettiva, consci che la costruzione esige una complessa riflessione e una protratta ma turazione. Analogamente, il meccanismo invenzione-fruizione, con tutto ciò che comporta e che ne consegue, resta in larga misura da esaminare analiticamente e in dettaglio. Ciò che, insomma, qui si è impostato, deve essere controllato ampia mente e in profondità in chiave storica, e quindi ricondotto a una ulteriore riduzione teoretica, secondo un processo di « schema e correzione » (per usare una formulazione di Gom brich) che passa per aggiustamenti di tiro e per affinamenti successivi. In rapporto ai dati (e all'abbozzo di connessione tra di essi) venuti in luce dalle osservazioni condotte nelle pagine che precedono, è invece possibile procedere ancora a qualche scandaglio nella problematica che investe la disciplina nella situazione contemporanea; scandagli che offrono una riprova dell'unitarietà della trama costituita dalle suddette osserva zioni, e che al medesimo tempo permettono di individuare determinate questioni, aperte da tali presupposti. Converrà attenersi strettamente alla registrazione dei fatti quali si manifestano, sebbene appaiano banali o scontati. t:: innegabile che, in quanto tale, e al di fuori di una ristretta cerchia, l'architettura contemporanea non suscita un auten tico interesse. La gente soffre e discute le disfunzioni dello habitat senza riferirle al problema dell'architettura, o di un'ar chitettura. Desidera oggetti, edifici, città e territori migliori, prospettandosi tale condizione come diversa organizzazione e diverso funzionamento dell'ambiente, e non come architet tura diversa. Del resto, la gente non « capisce» l'architet tura. � da questa constatazione che occorre muovere, per comprendere la precedente. Se la gente non la «capisce», e se ciò si protrae a lungo, il che in effetti si verifica, è na turale che l'architettura, espulsa dal quadro degli interessi consueti, decada al livello di una pura astrazione, priva di qualsiasi rapporto con i normali orizzonti di ciascuno. L'in terrogativo centrale verte quindi sul perché oggi non si « ca pisca » l'architettura. Ipotesi in proposito non sono certo mancate né mancano, ma non si è ottenuto alcun risultato 15
veramente apprezzabile per avv1cmare la gente all'architet tura. t:. probabile che la questione sia impostata in maniera scorretta: non si tratta di avvicinare la gente all'architettura, e neppure del contrario. t:. necessario invece promuovere e creare le condizioni di un incontro-scontro tra produzione e fruizione; attivare, per l'appunto, la dialettica invenzione fruizione. Se una simile dialettica richiede di essere attivata, è ovvio che attualmente la partecipazione non ha luogo. Per quale motivo? Precisamente perché, dal momento che non la comprende, la gente non prova letteralmente nulla nei confronti dell'architettura, né piacere né godimento. In un precedente scritto 4 si era azzardata per l'architet tura contemporanea la definizione di « silenziosa ». Poiché si è veduto come piacere e godimento esigano una comunica zione biunivoca, si potrà integrare il discorso affermando che l'architettura contemporanea non comunica piacere e godi mento, mancando così al proprio fine istituzionale. Va dunque preso atto che, a rigore di termini, oggi in realtà non esiste architettura. Esistono da un lato intenzioni, offerte di archi tettura, dall'altro necessità, richieste di architettura (labili, peraltro, e in linea generale avvertite, quando lo sono, come un vuoto, un'assenza) - specificamente: offerte e richieste di piacere e di godimento dell'architettura. Se, in un rovesciamento delle concezioni più consuete, si accetta l'ipotesi dell'inutilità dell'architettura (ma, lo si è visto, piacere e godimento sono funzioni di istanze storiche e strutturali di elevata importanza: e perciò il termine « inu tile » va colto nella pienezza di quanto çon esso si intende per contrapposizione denotare, senza lasciar spazio ad equi voche ombre), si spiega sia il crescente distacco tra architet tura e prassi corrente, sia la ragione centrale della frantuma zione in atto della disciplina. L'istituzione architettonica esiste solo quale partecipa zione dialettica all'esperire dinamicamente piacere e godi mento provocati dagli oggetti nello spazio: la vicenda storica, correttamente analizzata, lo rivela e lo conferma. Le cre scenti difficoltà nella comunicazone, verificatesi al passaggio 16 da committenze ristrette a una committenza potenzialmente
ampliata a tutti e a ciascuno, hanno provocato distorsioni, intermittenze e interruzioni nel processo; tale frattura si è venuta via via ampliando e approfondendo a causa del frain tendimento· delle ragioni che l'hanno innescata - fino a ri durre la disciplina sul punto di dissolversi. ll che, dopo tutto, non costituirebbe una grave perdita qualora, per l'appunto, il latitare dell'architettura non provocasse un'autentica as senza, una insoddisfazione gravata da conseguenze sociali e individuali, e dunque politiche, non trascurabili. In una consimile ottica, i problemi che si aprono non sono problemi di rifondazione; al contrario, sono problemi di analisi e di teorizzazione, di riscoperta dell'identità disciplinare nelle co stanti e nelle variabili, e di approntamento di una strumen tazione operativa legata ai risultati dell'analisi e della teoria; al fine di ristabilire una dialettica aggiornata e fluida tra chi inventa e chi fruisce l'architettura - _il che passa anche, e forse in primo luogo, per il riconoscimento della natura e del ruolo dei diversi interlocutori che intervengono nei pro cedimenti di produzione e di uso dell'architettura.
1 Cfr. tra l'altro, p. es., Il «silenzio• dell'architettura contempo ranea e Architettura come istit1tzio11e, in « Op. cit. •, 24 (1972) e 33 (1975). 2 Cfr. Architettura come..., cit., v. supra, n. 1.
3 Tra i numerosi esempi, per i problemi generali v. l'eccellente ar ticolo di AsoR ROSA, La dimensione del sociale, in « Paese Sera », 5 giu gno 1976, e per l'architett�ra il s_intomatic� tito]o del libro ove De Fe� raccoglie 22 suoi progetti: Il piacere del/ arclutettura, Roma 1976 (s1 leggano in part. le righe conclusive della presentazione, pagg. 21-22). 4 Cfr. Il « silenzio» ... , cit., v. supra, n. 1.
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Assenza- presenza: due modelli per l'architettura FULVIO IRACE
Scopo di questo articolo intende essere la formulazione di una proposta di lettura delle vicissitudini attuali della disci plina, delle varie poetiche, delle susseguentisi dichiarazioni di principio, dei contrapposti schieramenti, di tutto ciò, in somma, che costituisce l'intricato paesaggio dell'architettura negli ultimi-. anni: l'avanzamentto, cioè, per l'architettura di due modelli culturali in conflitto, quello della presenza e quello dell'assenza. Inizialmente elaborati da R. Barilli per essere ·applicati alla narrativa, essi sono stati poi estesi a tutto l'ambito della ricerca artistica, con particolare attenzione a quanto è av venuto nelle arti visive o plastiche; e finalmente a una sede generale di «pensiero», ovvero di proposte metodologiche, t:pistemologiche, psicologiche, ...relative almeno alle cosid dette scienze umane 1•
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I due modelli, ottenuti mediante la voluta accentuazione di alcuni aspetti dell'esperienza storica contemporanea, assu mono così un valore semplificatorio nei riguardi della realtà: si tratta di una operazione di semplificazione e quindi di alterazione e parzializzazione, completamente giustificata però dai fini conoscitivi che si propone 2• Giacché, se è vero che una contrapposizione dei due modelli può apparire, in taluni casi, eccessivamente schema tica, dato l'intersecarsi di talune esperienze che sembrano oscillare tra l'uno e l'altro polo, va però considerato che
essa rende, nel complesso, evidente il senso delle opposizioni e meno frammentario il campo delle conoscenze, permetten done la classificazione all'interno di due grossi schieramenti concettuali. D'altra parte non si può dire che manchino nel campo della storia e della progettazione esempi recenti di riduzione, mediante l'inserimento di elementi di catalizza zione delle varie esperienze. La proposta zeviana delle sette invarianti del codice an ticlassico mirante alla riduzione dei testi alla lingua, nella convinzione che il passaggio storia-progettazione deve essere mediato dalla lingua, pena la non comunicazione 3; la fonda zione da parte dì A. Rossi dì una architettura di ter1denza, che sottolinea la propria componibilità e l'esistenza di un ristretto numero di elementi, un mondo rigido e di pochi oggetti, in cui come osserva E. Bonfanti, la riduzione degli elementi... vada a vantaggio della loro intensità◄, sono testimonianze di wi wiico stato di disagio di fronte alla confusione e alla miseria della disciplina: tentativi - sia pure di opposto segno - di ritrovare il filo rosso di una rat:ionalità perduta nei meandri della storia recente dell'architettura. Questa, infatti, dopo lo sgretolarsi dell'apparente fronte unito del M.M. - di fronte ai primi scacchi della storia sembra destinata a consumarsi in un ritmo continuo di giochi oppositivi, tra chi mantiene intatta la fede nella funzione di propulsività sociale dell'opera architettonica, e chi, invece, di tale ruolo intende condurre wia verifica interna, secondo i modi e le tecniche del proprio specifico sapere. In realtà questa dicotomia - resa esasperata in archi tettura dal suo doversi confrontare con il più o meno dichia rato funzionalismo che percorre, a partire da Vitruvio, tutto l'iter 5 del suo pensiero - sembra caratterizzare tutto il campo dell'esperienza estetica in generale: da un lato l'artista si concentra in se stesso, riflettendo sui propri •procedimenti e sulle funzioni mentali che stanno a monte di essi; dall'altro, si sporge sul mondo, penetra nello spazio e in qualche modo lo modifica 6• � una bipolarità, infatti, che nasce all'ombra di una frat tura e interessa l'intero campo del linguaggio nelle sue sva- 19
riate manifestazioni: è la separazione - indicata da M. Fou cault - della primitiva coesistenza delle parole e delle cose nella unità dell'atto linguistico, la rottura dell'antica soli darietà del segno e del significato nel legame del principio ài Somiglianza. La lingua rompe la sua vecchia parentela con le cose. Anzi, cose e parole si separeranno. L'occhio sarà destinato solamente a vedere; l'orecchio solamente ad udire. Il di scorso... non sarà più nulla di ciò che dice 7• La registrazione di questa frattura nel campo del lin guaggio architettonico risulta contenuta nella disputa set tecentesca sulle origini della architettura: nei due termini, cioè, - per natura e per convenzione - in cui si consumava la querelle tra i sostenitori dell'assunto che l'architettura sia un'arte fantastica e di pura invenzione e i sostenitori dell'architettura come imitazione della natura. :f:: appunto in tale dibattito che si cela il tentativo di esorcizzare il peri colo imminente della perdita definitiva della organicità della forma: è l'ideale della totalità e dell'universalità che è ormai entrato in crisi 8• Il passaggio dall'unità rinascimentale dell'atto architet tonico, alla coscienza di una frantumazione della solidarietà delle sue componenti, è così sinteticamente descritto da M. Tafuri: da uno stato di fusione fra codice architettonico e funzioni collettive ( simboliche e pratiche nello stesso tempo) si passa ad una « grammatica generale » fra la fine del '500 e la fine del secolo successivo... per approdare, fra gli inizi e la �e del '700, ad una indagine su ciò che rende possibile l'architettura: sul suo sistema di significati, vale a dire, in relazione a coloro che li fondano 9• All'insegna di tale frattura, l'architettura è apparsa do minata dal desiderio di liberarsi dalla sua coscienza infelice, dalla aspirazione a ritrovare il suo io originario, inseguendolo nello spazio del mito o nella proiezione dilatata dei suoi compiti 10• L'aspirazione alla totalità appare quindi come con seguenza diretta della caduta dei suoi significati, della perdita dell'aura. 20 La nozione di totalità - già di per sé intimamente con-
nessa alla nozione stessa di arte - è stata infatti general mente enfatizzata e posta in posizione di centralità da tutte le poetiche contemporanee, finendo con l'alimentarne spesso pratiche di rievocazione ed illusioni di sconfinamento. Tuttavia, nell'ambito di tale nozione, mi pare giusto di stinguere una fondamentale divaricazione tra due diversi atteggiamenti nell'accogliere questo concetto di totalitàll.
Il primo, quello che R. Barilli chiama l'atteggiamento romantico-idealistico, compendiato nella nozione dell'univer sale concreto 12, impone uno scaglionamento diacronico della vita dello spirito, per cui il tutto conseguito per via di sen timento è necessariamente anteriore a quello conseguito per fasi logiche. Esso porta alla morte dell'arte e al suo dissolversi nella realtà mondana, senza che al suo interno sussista alcun gioco di alternanze ed opposizioni: totalità, insomma, come fusione e sintesi. Di contro, si profila una attitudine diversa che, riallac ciandosi al pluiisecolare quadro precedente delle istituzioni del gruppo didattico-retorico, abolisce la diacronia tra le facoltà umane e teorizza forme di coesistenza tra la cono scenza sensibile e persuasiva della retorica e quella razionale della logica, scongiurando per tale via la morte dell'arte. A tal punto, la nostra proposta dei due modelli culturali, iP.quadrabili nelle posizioni sopra descritte, acquista, se non una piena legittimità, per lo meno un titolo di qualche per tinenza, considerando che la convinzione della odierna sovra stmtturalità dell'architettura tende sempre di più a svin colarla dai legami della sua necessarietà e a legarla, in qualche modo, al generale campo della esperienza estetica contem poranea. Conviene infatti ricordare che entrambe le ipotesi qui esaminate danno per scontato a questo livello materiale-cul turale, il raggiungimento di una tecnologia, di un tipo di rapporti e scambi con l'ambiente tali da consentire un largo afflusso di beni, uno sganciamento quasi totale dal lavoro faticoso e vessatorio, l'acquisizione di un vasto margine per attività immaginative ed estetiche 13• Presenza e assenza non sono, quindi, tanto commensura- 21
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bili alla loro presa effettiva sulla realtà - ché entrambe si pongono nei suoi riguardi solo come modelli di pensiero quanto piuttosto riferibili ad una volontà diversa di rappor tarsi ad essa: la linea della presenza mira ad una conquista della realtà mondana mediante il suo progressivo sconfina mento in essa; quella dell'assenza, invece, giudicando inattuale la credenza in una realtà presente ed accogliente, sposta l'accento sui problemi del linguaggio e della specificità di sciplinare dei campi operativi, accettando di operare in un ambito strettamente disciplinare. La presenza al mondo viene recuperata dal primo atteg giamento attraverso una posizione di sostanziale positività di fronte alle cose, che tende ad istituire con essa un rapporto volto a privilegiare il momento dialettico con la realtà esterna, rispetto a quello analitico con la realtà disciplinare. Lungi dal l'essere un atteggiamento omogeneo, esso piuttosto costituisce il fondo comune a differenti pratiche, tutte fondate, però, sul presupposto che un cambiamento dei rapporti rovesciati archi tettura-pratica del reale sia possibile, attraverso uno sconfina mento dell'architettura stessa dai vecchi parapetti dei suoi già discussi confini disciplinari. L'architettura eventuale, quella tecnologica e l'architet tura come pratica politica sono i tre filoni principali attra verso cui si mira al recupero del reale come raggiungimento di una totalità non distorta. L'architettura eventuale come tecnica della imprevedi bilità tende alla riutilizzazione della pratica del quotidiano nell'attestarsi dell'evento, dell'imprevisto, in un gioco in cui, nella dialettica variabili-costanti, l'accento è tutto spostato sulle prime. I suoi riferimenti sono sempre diretti ad una pro duzione senza architetti, alla non-città, alle pieghe nascoste della realtà ufficiale delle discipline. Il suo fondamento sembra essere etico prima che estetico, teso anzi al recupero della esteticità nella categoria della eticità. La ricerca di una nuova fonte della creatività coincide, quindi, con la ricerca della fonte del rapporto umano, con un modo più originario di essere, di lavorare, di utilizzare le teorie e i metodi già conosciuti. Da questo deriva l'esistenza
e il senso di incontro col mondo. L'ipotesi-fine è quella di una architettura fatta da tutti, in cui, però, entri tutta l'esperienza di tipo scientifico, tecnologico e linguistico del mondo moderno 14_ L'architettura cessa, cioè, di essere un campo specifico per esistere solo come intersezione di elementi ed aree ete rogenee, fatti incontrare e reagire all'insegna dello spreco di sé, secondo una serie di reazioni imprevedibili, verificate in !>ituazioni limite. Così i fitti patterns geometrici nelle architetture dise gnate di Dalisi, pur recando in sé le tracce di una memoria antica dell'architettura per i tracciati regolatori, i giochi intersecati delle linee direttrici sono ben lontani dal va lere come schemi regolatori di prodotti finiti, come mo menti di verifica dell'oggetto architettonico, ma diventano essi stessi elementi del gioco, mossi da impossibili accelera zioni e segmentazioni, in cui il segno, non fermandosi mai, produce solo e sempre altro segno. Coerentemente, infatti, ad una impostazione mirante alla dissoluzione dell'oggetto, viene rifiutato l'uso di forme desunte dalla geometria euclidea (cubo, cilindro, sfera), cer cando un superamento della figura attraverso un suo scon finamento in processo geometrico. La stessa compresenza di elementi di razionalità costruttiva (seppur rivisitata al di fuori degli schemi convenzionali del funzionalismo) e di elementi apparentemente eterogenei appartenenti più alla sfera del vissuto che non a quella del costruito) rievoca per taluni aspetti l'architettura dell'effimero, che pure aspira a disfarsi nella festa, attraverso le libere maglie della sua ambiguità. L'architettura tecnologica, invece, richiamandosi ad una presunta oggettività del reale nei confronti di una pratica ideologica dell'architettura, presume di trovare la sua fon dazione nel proporsi appunto come pratica a-dialettica del l'oggettività dei rapporti di produzione. Essa, ponendosi come neutrale, alienandosi dal piano delle scelte formali, compie, in effetti, una radicale scelta, quella della alienazione totale dal suo corpus storico. Il mito, infatti, è quello della 23
architettura ex-machina, di una ·tecnica dell'architettura, cioè, che si ponga al di là del campo dell'arbitrio e della possibilità, rifugiandosi nell'immagine rassicurante della tecnologia come pratica astorica capace di far discendere la sua necessità d'essere, la sua fondazione dalla oggettività dei bisogni, in relazione alla quale essa neutralmente svolge i suoi servigi. Il limite di tali ricerche è, forse, da individuare nell'in sufficiente grado di' criticismo che le caratterizza, nell'indi !>criminato ed acritico recupero di una utopia di salvezza, nella mancata articolazione dei gradi processuali che legano la realtà presente ai futuri assetti possibili. Atteggiamento più coerente, allora, sembra essere quello cli chi, sospendendo realisticamente il giudizio sull'architet tura come momento conoscitivo, ne riduce di fatto la speci ficità a semplice sussidio della pratica politica. L'architettura diventa strumentazione tecnica per poter agire sui rapporti produttivi, sui meccanismi di consumo e di controllo, sulla città, insomma, come corpo sociale, all'in terno di una visione che la trascende come problema speci fico, spregiudicatamente utilizzandola e finalizzandola ad una pratica politica più generale. In tal modo essa segna il defini tivo . trapasso dalla sfera della sua specificità per alie narsi nella totalità dei suoi modi d'uso. Si perde, infine, come discorso su se stessa, compie un ultimo, perentorio passo verso la sua totale scomparsa come oggetto, per di sfarsi nel divenire continuo del reale, dipendendo la sua stessa possibilità_ d'essere dalla aderenza alle pieghe delle cose. Mentre, quindi, quello che abbiamo definito modello della «presenza» punta complessivamente ad una diffusione nelle strutture del reale, ad un immergersi nel fluire degli avvenimenti, a collocarsi come parte di una totalità già in essere, il secondo modello, quello dell'assenza, mira piuttosto alla creazione di una totalità in vitro, alla messa a punto di un universo artificiale attraverso la composizione di fram menti di universi passati e possibili, allo spazio raggelato 24 del mito, alla ripetizione consapevole di antichi gesti, nella
speranza di riprodurre il meccanismo dimenticato del pia cere. Sulla scorta di tale modello di pensiero, rifuggendo la credenza di una volontà redentrice che si è voluto conferire all'architettura o all'arte, l'architettura tende a riguardare la storia come evento, come distesa di simulacri, con l'atteg giamento laconico di chi si rifiuta di distinguere tra architet tura moderna o no, nella consapevolezza che solo si tratta di operare una scelta tra certi tipi di modelli 15 • Significativamente, quindi, R. De Fusco, introducendo la nozione di codice virtuale per caratterizzare la produzione architettonica più recente, ne indica le componenti fonda mentali negli elementi della storia e dell'utopia, avvertendo che come per l'utopia conta l'intenzionalità, per la storia conta la dimensione della memoria. Una memoria collettiva ed universale senza la specificità di un tempo e di un luogo... 16. I tentativi di ricucire la forma con la ripresa di antiche geometrie settecentesche dei fratelli Krier, negli interventi per Leinfeld ed Echternach; il complesso della Siemens A.G. a Monaco di J. Stirling( con l'introduzione della forte di mensione semantica delle torri circolari e la riproposizione - attraverso la figura della valle sociale - di alcuni temi ricorrenti dell'architettura neoclassica; il centro civico di Derby, dello stesso Stirling, con la sua esplicita volontà di ricreare la tipologia della piazza italiana come fulcro am bientale; gli aaltiani alloggi per la Olivetti di Meier con la ripresa della gradonata dell'architettura rinascimentale, co stituiscono, pur nella diversa declinazione del rapporto storia-progetto, fasi differenziate di una analoga volontà di ricreare la distrutta dimensione amorosa dell'architettura, come spazio del superfluo e dell'artistico. L'architettura, costretta all'autoridimensionamento dalla storia, consuma così il suo dramma di essere pura evoca zione, memoria di se stessa. Significativamente A. Rossi, parlando dei monumenti come di frammenti di una realtà sicura scrive: I monumenti, i palazzi del Rinascimento, l castelli, le cattedrali gotiche, costituiscono l'architettura, sono parti della sua costruzione. 25
Come tali ritorneranno sempre non solo e non tanto come storia e memoria, ma come elementi della progettazione 17• Lo spazio operativo dell'architettura diventa, così, come nella borgesiana Biblioteca di Babele, il luogo di coesistenza di tutti i linguaggi concepiti o immaginati, il riprendere i materiali culturali del passato e riproporli in costellazioni diverse, attraverso abili giochi combinatori 18• È un gioco di ripetizione che assume in blocco tutta la storia attraverso cui l'architettura è andata parlando: infatti il procedimento tautologico, riflettendo l'assunto che il segno non sta più dalla parte del mondo, ma solo e inte1-amente dalla parte del linguaggio 19, tende a ribadire il ca rattere di piena artificialità del costrutto architettonico, il suo dover essere puro linguaggio. Ma l'architettura, per poter essere puro linguaggio, to tale analiticità, deve porsi come pratica dell'impossibilità, co5tringersi nei limiti del disegno, diventare una cardboard architecture, come appunto i modellini di Eisenman, che per primo ha avanzato la sigla di architettura concettuale. In effetti, la sospensione del momento semantico e il privilegiamento di quello sintattico come il solo che permette l'accesso all'analisi 20 - operazioni che sono alla base della House I, II, II, IV di Eisenman - alludono alla possibilità di una sorta di azzeramento linguistico, di ritorno allo stadio 7ero della scrittura, mirante a depurare il meccanismo re torico dell'architettura da tutte le sue incrostazioni stili stiche, per dispiegarlo nella sua nuda modalità di funziona mento, basato sulle figure degli spostamenti, delle rotazioni, delle interpenetrazioni. La forma archetipica del cubo - nei vari diagrammi del processo compositivo - assunta, all'inizio, nella sua feno menologica essenza di struttura primaria, viene, in una se quenza di fasi successive, suddivisa, scomposta, ruotata, so vrapposta, contrapponendo ad una griglia strutturale, vuoto reticolo geometrico di fondo, l'affiorare di bianchi volumi al suo interno sospesi. Giustamente Tafuri parla di spazio vir tuale, che rifiuta ogni percezione realistica, ogni connotazione 26 semantica, per sondare puramente il meccanismo composi-
tivo nelle sue qualità di relazione, nel rapporto che si instaura tra segni e strutture profonde: rapporti che - avverte Ei senman - esistono indipendentemente dalla concretizzazione stilistica attribuita a qualsiasi specifica struttura formale 21.
Il processo muove, quindi, dalla formulazione geometrica del dato e si articola per geometrizzazioni successive, mante nendosi sulla scia di una tradizione culturale ed architettonica tipicamente europea. Ancora una volta la storia diventa una specie di filtro attraverso cui setacciare le relazioni tra forme ed idee, da cui estrarre il senso di quelle che egli stesso definisce relazioni invarianti. Sotto tale luce appare congruente l'attenzione rivolta essenzialmente ai lavori rinascimentali di Palladio e di Vi gnola e a quelli moderni di Le Corbusier e Terragni. Per i primi conviene ricordare il carattere di siste matica analiticità della loro opera, fondata sulla serialità, ri petuta e variata, di un unico corpo tipologico, sull'uso siste matico di una geometria regolatrice come strumento di controllo delle relazioni tra le parti. È giusto parlare, nel caso di Terragni, di tonalità sospesa, ricca di evocazioni magiche e novecentiste, quella dimen sione del magico che reintroduce di soppiatto, nella lucida destrutturazione del segno ridotto a puro significante, la
significazione soppressa 22•
Viene allora il dubbio che una dimensione puramente analitica per l'architettura non sia possibile, giacché essa
110n può rinunciare totalmente alla sua funzione ermeneu
tica, come vorrebbe il progetto più rigorosamente analitico 23• Più esatto, allora, parlare con K. Frampton di edificio come rudere, di passeggiata architettonica in mezzo alle rovine 24, di· una dichiarata convinzione, insomma, che la sola
possibile condizione dell'architettura sia quella di una sorta cli archeologia della architettura stessa, dissimulata in Ei senman dal suo essere concentrata non sulla rivisitazione stilistica, ma sulla sfera dei procedimenti mentali che preesi stono e presiedono agli aggiustamenti progressivi dell'idea di forma. Tale carattere di archeologica rivisitazione dei segni architettonici è ancora più evidente nella One-Half House 10 27
di Hejduk e nella Casa e Studio R. Gwathmey di C. Gwathmey (e R. Siegel), componenti con Eisenman, Graves e Meier del gruppo dei « five». :e. una strategia comune di composizione per frammenti, deformate citazioni dal purismo lecorbusierano, raggelate derivazioni dal neoplasticismo di De Stijl. Ma ciò che in Hejduk appare come raggrumato contrap porsi dell'arbitrarietà dei segni intorno alla nuda piattezza di un evento centrale ( sia esso il tema del muro come nella Wall-House; o del percorso come nella Bye-House), diviene nella Casa-studio Gwathmey esplosione del segno nella so spesa indifferenza del vuoto circostante, metafisico trascor ·rere dello sguardo sulla inutile purezza dei frammenti. Testimonianze tutte di una tendenza a trascendere l'or dinario, di una volontà di creare lo straordinario, senza la quale non c'è arte, ma solo esperienza rigidamente limitata, giacché l'arte è una risposta a tutti i dati, la definizione di priorità pratiche ed estetiche 25• Sorta di historical graffiti dell'architettura moderna, le opere dei «five» rappresentano, complessivamente, il tenta tivo di costruzione di una linea critica e poetica attraverso cui recuperare la concretezza del lavoro intellettuale, arrestarlo sull'orlo della voragine che ne stritola lo scheletro stesso, im pietrirne, su quell'orlo l'immagine 26• Ma sono essi davvero - i «five» come A. Rossi, Stirling, Krier,... - solo gli ultimi portatori di spazi indicibili, o non piuttosto i realistici edificatori di una pratica diversa della architettura; coloro che, nella accettata sovrastrutturalità del proprio ruolo, cercano di indicarne i limiti e allo stesso tempo le possibilità, trascurate da una critica spesso, a tal proposito, reticente? Le alternative, allora, tra un codice da reperire per l'ar chitettura moderna e quelli dell'architettura classica, tra la necessità di dover sempre creare forme nuove e la ripeti zione «differente» di tutte le forme, tra la volontà comunque di essere dell'architettura e l'anatema ideologico da parte della critica appaiono in tal luce come astuzia di una ragione 28. nascosta, opposizione figurata di una retorica del reale che
mima i procedimenti del fare e della critica al fare, attraverso la messa in forma di figure che riempiono lo spazio vuoto tra la totalità confusa del senso comune e quella frantumata della disciplina. Non si dà, infatti, reale opposizione tra i due termini ·del'l'antinomia, se non nei limiti di una comune retoricità discorsiva, giacché, come avverte R. Barthes, tutto ciò che è toccato dal linguaggio è... in un certo modo, rimesso in causa: la filosofia, le scienze umane, la letteratura v. La critica stessa, le·gata a filo doppio all'oggetto del suo contendere, ne segue, comunque, le medesime oscillazioni: se si ammette, infatti, una dialettica della prassi progettuale tra un modello della presenza e un modello dell'assenza, è fa cile comprendere le analoghe oscillazioni della critica, a sua volta costretta a giocare il suo ruolo tra uno sconfinamento nell'aperta compromissione con l'oggetto del suo giudicare e un complementare ritagliarsi una sua sfera di autonomia valutativa. La crisi dell'oggetto si accompagna, insomma, alla crisi del commento. La critica, da un lato, si oggettivizza, diviene operativa, si pone come pratica che sostituisce al rigore analitico giu dizi di valore già costituiti, validi per l'azione immediata 28• D'altra parte, però, tende a radicarsi nel mondo della storia, a divenire pratica di analisi che, nel respingere la tentazione _di lasciarsi coinvolgere a· prospettare indirizzi, ritrova, in una rinnovata efficacia valutativa, il suo statuto fondante, un suo autonomo esistere. All'architettura che assorbe in sé già gli strumenti della critica, questa risponde con un suo rilanciarsi come progetto o ritagliandosi un ruolo su posizioni di autonomo distacco dall'oggetto della sua analisi. In realtà, testo e critica come elementi di un discorso separato sorgono a partire da una premessa comune che entrambi li coinvolge. L'ordine classico del linguaggio, identificato da M. Fou cault come la matrice epistemologica del XVII e XVIII sec., si è ora chiuso su se stesso, perdendo la sua trasparenza 29
e la sua funzione primaria, che consisteva nel dato per cui le cose del mondo potevano essere conosciute solo at traverso la sua mediazione, in esso ricevevano i loro primi segni, ritagliavano e raggruppavano i loro tratti comuni, instauravano rapporti di identità o d'attribuzione 29• A partire dal XIX secolo, col ripiegarsi del linguaggio su se stesso, si registra l'affermarsi della consapevolezza di una sua trasformazione da entità strumentale ad entità au tonoma, di un suo distacco dall'oggetto della rappresenta zione, per divenire da strumento noetico oggetto di cono-, scenza tra tanti altri. Sulla base di questa caduta, si inne stano i sottili meccanismi di reazione, le compensazioni al livellamento del linguaggio, le tecniche correlative della in terpretazione e della formalizzazione, le due grandi forme di analisi del nostro tempo. Le due tecniche, in realtà, si fronteggiano: la prima con la pretesa di far parlare il linguaggio al di sotto di se stesso e il più vicino possibile a ciò che in esso, senza di esso, viene detto; le seconde, con la pretesa cli controllare ogni even tuale linguaggio, e di dominarlo mediante la legge di ciò che è possibile dire 30• Un eguale destino li accomuna, entrambi parte di un medesimo testo, figure di una comune retorica che li con suma nella finzione di tale opposizione. La scelta non è fra il passato che credeva al senso e il presente (l'avvenire) che ba scoperto · il significante, fra chi crede di farsi protagonista ad occhi aperti della tragedia e chi l'avverte invece già consumata, già tutta recitata. In realtà il silenzio dell'architettura è il silenzio della critica: come per l'architetto, anche al critico non resterà, allora, che scrivere, tacere 31• Bisognerà invece evitare di esorcizzare il pericolo della morte, impegnandosi, tra critica e testo, ad esplorare fino in fondo il senso della propria crisi : non viverlo nello spazio disincantato del proprio distacco, né in quello ipnotico di uno sterile lasciarsi andare. Ancora una volta non si tratterà di ricercare la parola 30 originaria perduta nei meandri della storia, nell'al di fuori
del mito, ma di turbare le parole che diciamo, di denunciare la piega grammaticale delle nostre idee, di dissipare i miti che animano le nostre parole, di rendere di nuovo fragorosa ed .udibile la parte di silenzio che ogni discorso porta con sé nell'enunciarsi 32•
1 R. BARJU..I, Tra presenza ed assenza, Bompiani, Milano '74, pp. 5-6. L. GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico, voi. VI, Garzanti, Milano '72, p. 943. J B. ZEVI, La riduzione culturale in architettura, in L'Architettura, cronache e storia, n. 198, apr. 72. ◄ E. BONFANTI, Elementi e costruzione, note sull'architettura di A. Rossi, in Controspazio n. 10, ott. '70. s A. Rossi, Architettura per i musei, in Scritti scelti sull'architet tura e la città, Clup, Milano '75, p. 325. 6 F. MENNA, La linea analitica dell'arte moderna, Einaudi, Torino '75, p. 3. 7 M. FouCAULT, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano '67, p. 57. 8 M. TAFURI, Progetto e utopia, Laterza, Bari 73, p. 17. 9 M. TAFURI, Teorie e storia dell'architettura, Laterza, Bari '68, p. 96. 10 Caratteristica, infatti, la ricorrenza del tema della capanna primitiva, pronto a proporsi, ogni volta che l'architettura pone in forse se stessa, come punto di riferimento per una riflessione sull'essenza del costruire. La ragione prima, naturale dell'uomo primitivo di Le Cor busier quando erige il tempio e costruisce la sua casa; la saggezza tel lurica del contadino di Loos sono solo apparentemente divergenti: in realtà se l'architettura andava rinnovata ... un ritorno allo stadio pre conscio del costruire... avrebbe rivelato quell'idea primaria da cui sa rebbe scaturita una viva comprensione delle forme architettoniche (J. RYKWERT, La casa di Adamo in Paradiso, Adelphi, Milano 72, p. 32) cfr. pure sul dibattito architettonico settecentesco, R. DE Fusco, Archi tettura e linguaggio nel '700, in Segni, storia e progetto dell'architettura, Bari '73. 11 R. BARIU..I, Poetica e retorica, Feltrinelli, Milano '69, pp. 275-276. 12 Ibidem, p. 277. 13 R. BARIU..I, Tra presenza e assenza, p. 11. 14 R. DALISI, Oltre il vernacolo, in Casabella n. 401, '75. 15 Le citazioni di A. Rossi sono contenute in M. SCOLARI, Avanguar dia e nuova architettura, in Architettura razionale, Franco Angeli, Mi lano '75. 16 R. DE Fusco, Storia dell'architettura contemporanea, p. 378. 17 A. ROSSI, op. cit., p. 333. 18 R. BARIIJ..I, op. cit., p. 7. Cfr. pure R. BARTHES, Saggi critici, Einaudi, Torino '72, p. XXIII: se li desiderio di scrivere non è che la costellazione di alcune figure ostinate, allo scrittore non resta che wia attività di variazione e combinazione: non cl sono mal creatori, solo combinatori... 19 F. MENNA, op. cit., p. 66. 20 M. GANDELSONAS, Linguistics in Architecture, in Casabella 71 n. 374, pp. 17-30 21 P. D. EISENMAN, Architettura concettuale, in Casabella '14 n. 386, 31 p. 25. 2
22 M. TAFURI, Five architects N.Y., Officina, Roma '76, p. 17. 23 F. MENNA, op. cit., p. 99. 2� K. FRAMPTON, Five arcliitects, in Lotus '75, n. 9, p. 146. 25 Le citazioni di C. GwATHMEY sono in Casabella '75, n. 385, pp. 22-23. 26 M. TAFURI, op. cit., p. Il. 27 R. BARTHES, Critica e verità, Einaudi, Torino '69 p. 43. 28 M. TAFURI, Teorie e storia dell'architettura, p. 183. 29 M. FOUCAULT, op. cit., p. 320. JO Ibidem, p. 323. 31 Cfr. G. GENETTE, Ragioni della critica pura, in Figure II (La parola letteraria), Einaudi, Torino '72, p. 21: come lo scrittore - come scrit• tore - li critico non si riconosce che due compiti che sono poi uno solo: scrivere, tacere. 32 M. FOUCAULT, op. cit., p. 322.
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La "storia dell'arte,, nelle scuole DANIELA DEL PESCO
Nel programma di riforma della scuola secondaria superiore che dovrebbe essere discusso dal Parlamento, è previsto che la « storia dell'arte ,. si trasformi da materia obbligatoria in opzionale; provvedimento che sancirebbe in modo defini tivo l'emarginazione della funzione formativa della disci plina. Questo assurdo progetto ha suscitato tra gli storici dell'arte e tutti coloro che sono interessati ai problemi dell'istruzione artistica un ampio dibattito di cui cercheremo di documentare i punti salienti e gli aspetti più costruttivi al di là delle numerose argomentazioni polemiche. Se è vero che, com'è noto, nell'organizzazione didattica attuale la « storia dell'arte ,. nei licei classici e scientifici e nelle magistrali ha un peso culturale, all'interno dei pro grammi, estremamente limitato e segue scadute metodiche romantico-idealistiche, se è vero altresì che nel liceo arti ·stico, pur occupando quantitativamente un posto rilevante, essa è insegnata privilegiando il momento operativo secondo una concezione irrazionalistica della creatività e senza fornire un quadro culturale generale, questi anacronistici orienta menti sembrerebbero giustificare il ridimensionamento della disciplina nel programma di riforma in discussione. D'altra parte, ove sl ammetta che quella estetica è una delle poche dlmenslonl disponibili all'immaginarlo individuale e collettivo dell'uomo, l'educazione artistica e la storia dell'arte do-
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vrebbero essere materie obbligatorie per ogni ordine e grado di scuola 1• Oltre a ciò, va detto che l'emarginazione della « storia àell'arte » dall'istruzione secondaria comporta la rinuncia alla conoscenza critica del patrimonio artistico ed ambien tale, di quei beni cultuarli cioè, per i quali è stato recente mente istituito un apposito Ministero. Come rileva Argan, la storia dell'arte deve rimanere nell'area comune delle materie obbligatorie perché comune è il patrimonio di cose di cui la storia dell'arte si occupa 2• Lo spazio urbano con i suoi ma nufatti artistici dev'essere apprezzato da ognuno come te stimonianza della propria « cultura » e non soltanto per il suo valore conomico: alla classe dirigente non piace che l ragazzi imparino a conoscerlo e rispettarlo quel valore: devono venir su cinici e affaristi, considerare la città, i monumenti, le opere d'arte come beni economici, che chi li possiede li sfrutta come gli pare anche se lo sfruttamento è prostituzione e morte 3• Una riforma della scuola che for nisca gli strumenti per la riappropriazione del patrimonio ambientale e culturale da parte dei suoi naturali fruitori sarà quindi anche il segno di una precisa e nuova volontà politica. Tra i fautori del potenziamento delle discipline storico artistiche nei programmi scolastici si rileva una doppia ten denza: da un lato c'è chi sottolinea la necessità di una cultura visiva di base, che permetta di decodificare soprat tutto i messaggi visivi e di cogliere l'artisticità diffusa della dimensione quotidiana, dall'altro si propone una conoscenza critica e, quindi, storica dell'ambiente attraverso un contatto con le esperienze artistiche intese nel senso più ampio e comprensivo del termine e volta a ricostruirne globalmente il contesto. Afferma Benevolo, a titolo di provocazione, pro poniamo l'abolizione dell'insegnamento di storia dell'arte dalle scuole di ogni ordine e grado, purché possa essere sostituito da un altro insegnamento che sviluppi le stesse istanze in una formula istituzionale più aderente al problema contemporaneo. 34 Bisogna promuovere, secondo Benevolo, un'educazione
visiva sull'habitat fisico facendo riferimento agli oggetti del l'esperienza quotidiana, facendo nascere il bisogno di cono scere questi oggetti: le rappresentazioni dell'ambiente co struito sono già pronte e già diffuse nell'ambiente... infatti servono a veicolare una quantità di messaggi utili e dannosi tra cui la gente non sa distinguere perché non è in grado di analizzare i loro supporti ... Tutto il mondo delle immagini visive dai segnali stradali alle opere d'arte dei musei può essere così smontato, digerito e, in definitiva padroneggiato, cioè cor rettamente riferito al mondo reale degli oggetti circostanti 4• Dal canto suo U. Eco, da un lato aderisce alla linea, per così dire, dell'artisticità diffusa, ed afferma: l'insegnamento &rtistico non è solo la trasmissione dottrinale di nozioni circa l'arte; è insegnare al ragazzo a scoprire che la nostra vita quo tidiana è intessuta di operatività artistica... potrebbe essere un insegnamento che anziché svolgersi «accanto» agli altri insegnamenti li «attraversi » tutti. Dall'altro si chiede se da un punto di vista metodologico è necessario mantenere l'insegnamento per successioni sto riche oppure l'insegnamento potrebbe via via partire da esperienze concrete e di lì continuamente rifarsi ai fenomeni storici 5• La risposta a questo quesito potrebbe contemplare due momenti, quello di apprendimento di una pratica ma nuale e tecnica da parte degli studenti, come strumento conoscitivo delle modalità linguistiche delle opere d'arte e quello dell'inquadramento storico di esse da parte dell'in• segnante. Alla corrente che sostiene soprattutto il valore disci plinare della « storia dell'arte » appartiene Argan, che, in polemica con un approccio che prevede una commistione di teoria e pratica, afferma: lo studio dell'arte non è una disci plina artistica, ma storica 6 •••non ci si venga a raccontare che meglio dell'insegnamento storico sarebbe un insegna mento artistico, che stimoli le facoltà creative dei ragazzi, che già non si sa bene che cosa siano e poi, quando ci fos sero, non avrebbero niente a che fare con l'arte, che non è estro o genio creativo ma disciplina ben radicata nella storia e dotata di chiare metodologie 7• 35
Si tratta di rispettare una questione di priorità: se nella scuola dell'obbligo il primo contatto con le discipline arti stiche è di tipo tecnico-pratico, nella scuola secondaria il compito più specifico dell'istruzione artistica è quello di educare ad una visione critica poiché non si tratta di for mare degli specialisti ma di fornire una conoscenza della fenomenologia dell'arte generalizzata ad un vasto pubblico di studenti. In tal senso, se la conoscenza teorica delle tecniche è punto di partenza essenziale per la decodificazione dei mes saggi visivi, quest'ultima comporta tutta una serie di livelli successivi per ristabilire la fitta rete di relazioni che permet tono l'analisi del loro particolare linguaggio. La proposta di Barilli è quella di mediare l'atteggiamento storicistico con l'interesse teorico metodologico: parlare di taglio critico dell'educazione artistica vuol dire, certo, ri conoscere la necessità di fame e insegnarne la storia, senza però arrivare all'estremo di chi sembra credere che o si fa la storia dell'arte o non si fa nulla•. D'altra parte, se la di mensione storica è indispensabile, lo è pure quella legata a questioni di metodo, unita alla consapevolezza che l me todi cambiano di continuo. Il taglio diacronico, insomma, va correlato con quello sincronico. A queste istanze teoriche, Barilli associa una indicazione d'ordine pratico. Egli si chiede, sia pure in forma dubitativa, se non sia Il caso di impostare .una battaglia comune, cioè di proporre un insegnamento unificato, ma obbligatorio che congiunga... le arti visive alla musica e allo spettacolo. L'alter nativa è che queste tre articolazioni, presentandosi alla spic ciolata, vengono ancor più agevolmente ricacciate nel quadro della opzionalità, a sostenere una dura gara con discipline inferiori per incidenza formativa 9• Qual è stato, invece, il punto di forza dell'insegnante di lettere, questa figura che ha determinato finora il solido privilegio umanistico della nostra scuola? Quello di concentrare in sé l'italiano, storia, geografia, spesso anche latino: con danno della specificità del singoli campi, ma con enormi vantaggi di economia in36 terna e di continuità di presenza 10• Proprio la possibilità
di veder compromesso un sufficiente approccio specifico per la scarsa affinità tra le materie associate in un unico inse gnamento ha suscitato non poche perplessità verso la pro posta di Barilli, una delle poche, d'altra parte, che non af fronti solo problemi di fondo o tematiche generali cui spesso la rifondazione della disciplina limita i contributi al dibat tito di cui ci occupiamo. Accanto agli orientamenti sopra sintetizzati ve ne sono altri che, nell'ambito della tendenza ad un approccio critico alla materia, tenendo fermo l'obiettivo di superare la sepa razione tra conoscenza ed esperienza diretta degli oggetti artistici, associano la storia dell'arte allo studio del terri torio. Previtali scrive: l'insegnamento deve aiutare a tornare all'oggettività, alle cose... Perché ciò sia possibile su tutto il territorio nazionale sarà necessario evidentemente abban donare il vecchio concetto di « Arte » per una più modesta « figuratività » che comprenda accanto ai capolavori degli Uffizi, manufatti preistorici ed arte contemporanea, arti mi nori, design ed urbanistica, manifesti ed illustrazioni del libro. La situazione attuale per cui in città piene di opere d'arte di tutti i generi si spingono i giovani a considerarle indifferenti o secondarie rispetto ad una « storia dell'arte » che comprende il palazzo reale di Cnosso e la Venere del Botticelli, ma « non » quelle opere d'arte ll che si possono vedere ogni giorno, è. paradossale ed assurda 11• Ad un ana logo orientamento si associa anche Emiliani: una nuova no zione di educazione artistica deve... riconquistare gli spazi originali ( fuorl dalle selezioni museografiche o editoriali ed entro l'ancora gigantesca vitalità del tessuto -urbano e rurale) che l'organizzazione culturale e scolastica le hanno fatto trascurare o addirittura perdere 12• Da più parti si affaccia, quindi, la proposta di affiancare ad un piano di studi a livello generale, piani differenziati regionalmente: un programma di istruzione storico-artistica dev'essere fortemente ancorato alla specificità del luogo: in un paese cos} profondamente differenziato come la nostra penisola non si può pretendere che lo studente della Sicilia segua un programm a pluriennale 37
in tutto e per tutto identico a quello di uno studente del Veneto... si dia cioè il giusto peso al particolarismo della nostra storia 13. Ciò comporta un ampliamento dei limiti della disciplina quasi in polemica col programma ministeriale che tende a ridimensionarla. Tali indicazioni andrebbero intese come impostazione di metodo e non in senso quantitativo: nei pro grammi scolastici si dovrà attuare indubbiamente una sele· zione da riferirsi però, probabilmente, più alla quantità dei fenomeni trattati che alla qualità del_ modo di trattarli. L'apertura della storia dell'arte nelle proposte degli stu diosi è, quindi, duplice nel senso di un allargamento della materia e nel senso di una apertura interdisciplinare. Il primo aspetto prevede, come abbiamo visto, la sostituzione della nozione di «arte», intesa come disciplina a sé stante, con quella di « arti visive » o «spazio-visive» e l'attenzione sia ai fatti « emergenti » che a quelli più quotidiani ai limiti della « cultura materiale». In secondo luogo, la proposta di un'apertura interdisciplinare 14, riallacciandosi al concetto di cultura inteso in senso antropologico, si esprime nell'in teresse per quelle tematiche che contribuiscono a ricom porre in unità l'identità storica dell'uomo contemporaneo. Cosicché di un manufatto artistico si potrà privilegiare la comunicatività e la funzionalità sociale, culturale ed eco nomica rispetto al suo valore formale. Un approccio non esclude l'altro, ma nel formulare i programmi il primo proba bilmente appare non trascurabile rispetto ai fini formativi della scuola secondaria che siamo venuti delineando. Il tema dei rapporti interdisciplinari e della collocazione della storia dell'arte tra i vari settori dell'indagine storiografica è stato affrontato anche da Tafuri: fino a che punto è lecito parlare dl storia politica, storia della letteratura, storia dell'arte senza chiedersi se tali separate discipline hanno ancora un senso scisse fra di loro e prive dl riferimenti a parametri più generali? La proposta è di impostare una storia del lavoro intel lettuale in generale e in esso cercare « poi » articolazioni e 38 differenziazioni... Si tratta dl far scontrare in una dialettica
spietata discipline che da tale scontro salutare dovranno uscire ridimensionate alle radici fino - per ipotesi a mutare del tutto i loro connotati istituzionali 1s. Questa
continua « osmosi critica» fra le attuali storie differen ziate non esclude le analisi settoriali, ma coinvolge queste ultime in una accentuazione delle relazioni che le connet tono dialetticamente e delle « valenze produttive » delle espe
rienze storico-artistiche 16• Quanto al proposito di trasformare la storia dell'arte in tutt'altra esperienza, afferma De Fusco, ci trova dissen-
1:ienti ... è, a nostro giudizio, ripetere il solito errore di con fondere una riforma di struttura di una materia semplice mente con la sua tematica. Riteniamo che l'insegnamento della storia dell'arte vada modificato radicalmente ... senza tuttavia perdere la sua specifica autonomia disciplinare.
Per De Fusco il corpus della materia deve essere am pliato sia in base agli interessi espressi dalla cultura scien tifica che in base ai valori interessi degli studenti legati alla cultura di massa e a quella dei mass media. Ma come risolvere concretamente il contrasto tra l'esi genza diffusa di apertura disciplinare e quella dei limiti e della selezione richiesti oggi ad un'istruzione generalizzata? Si tratta di operare nella materia una « riduzione », non una sorta di sconto ma una critica scelta rispetto alla quantità
ed alla qualità, una semplificazione nel senso etimologico di J"educere, di ritorno alle strutture essenziali di una data espe rienza. La natura stessa della riduzione sarà rapportata al fine che si vuole raggiungere: dall'ambizione di individuare un codice che formalizzi
il linguaggio dell'arte al proposito
cli estendere al maggiore numero di persone quelle che si ritengono le strutture essenziali della fenomenologia arti
e, aggiungeremmo, al concetto di cultura ed all'ipotesi politica che, implicitamente o esplicitamente, soggiacerà a queste scelte. Il dibattito, quindi, è aperto sia sui metodi che sui contenuti che la storia dell'arte deve assumere nel nuovo assetto della scuola secondaria. II problema non è solo quello di riformare i metodi listica
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mitandosi agli strumenti di comunicazione disciplinare: come afferma Argan la comunicazione, per quanto tecnica mente avanzata, dl cultura lstltuzlonalizzata, sarà cultural mente regressiva 18• La socializzazione della cultura è troppo spesso intesa come massificazione culturale, semplice estensione di un privilegio intellettuale. Anche il discorso sui contenuti non va mistificato: non è sufficiente sostituire l grandl maestri con le artl minori o con l'artigianato, con la cosiddetta cultura materiale, quando anche questa verrebbe riproposta sempre nell'ambito di una -cultura elitaria 19• Si tratta di intervenire non solo sugli am biti di ricerca, ma sui modi di ricerca, sul metodo in senso stretto... 20• Solo mettendo in luce attraverso la riflessione sto rica i nessi tra strutture e sovrastruttura è possibile cogliere la portata ideologica dei fenomeni artistici. Non si tratta di riproporre la teoria del 1ispecchiamento, ma di esaminare con un'ottica strutturale le soluzioni tecniche e culturali esclusive dell'attività artistica per individuare il ruolo, anche mistificatorio, che essa ha avuto nell'ambito dell'attività pro duttiva generale e dei rapporti di classe. Una rinnovata istruzione storico-artistica comporta anche un nuovo tipo di insegnante destinato ad esprimerla. Per l'ope ratore culturale sl tratta di trasformarsi in un sollecltatore culturale che mette a disposizione ed in crisi il proprio ruolo e le proprie competenze specifiche per rinnovarle anche nel dialogo con la città, col quartiere, col territorio, con le forze lvi operanti 21• Si profila, così, la figura dell'alfabetizzatore 22 atto a fornire al pubblico quella preparazione di base che per metta di apprezzare i valori ambientali e le manifestazioni ar tistiche. Bisogna badare però a non limitarsi a formulare tecnocratiche e separate soluzioni operative. Afferma Tafuri: inefficace sarà ogni riforma universitaria o dell'insegnamento superiore che non tenga presente la necessità di una organizzazione degli intellettuali « dentro • I processi di produzione... Nessun cambiamento sarà inci dente senza tale marcia dentro le Istituzioni 23• Un simile 40 rapporto produttivo tra conoscere e trasformare ci sembra
debba legarsi a posizioni estremamente critiche, ad un la voro intellettuale che si collochi in continua dialettica con i rapporti di produzione inserendovi quegli· elementi di crisi e quei bisogni che producono storicamente rinnovamento e trasformazione. Ciò non nel senso di porsi su posizioni anarchiche 24 ma di rifiutare comportamenti in definitiva funzionali al sistema dato, realizzando così, nei fatti, una identificazione tra progresso e sviluppo i cui frutti finireb bero per riproporre logiche di potere più efficienti ma, in sostanza, non molto diverse dalle attuali.
I R. DE Fusco, La 'riduzione ' culturale e i manuali di storia del l'arte, intervento al convegno su « Temi e problemi dell'istruzione sto
rico artistica preuniversitaria », Napoli, 6-8 maggio 1976. 2 G. C. ARGAN, Allarme per la storia dell'arte, in e Paese Sera•, 1• maggio 1976. 3 G. C. ARGAN, L'arte, mettila da parte, in «L'Espresso•, n. 19, 9 mag gio 1976, cfr. un altro intervento di Argan: La proprietà (dell'opera d'arte) è un furto, in « Corriere della Sera», 8 maggio 1975. 4 L. BENEVOLO, I manuali per la scuola media. Diagnosi di un'espe rienza, intervento al convegno su « Temi e problemi• cit. 5 U. Eco, in Ma allora chi ha più ragione?, in «L'Espresso•• cit. 6 G. C. ARGAN, L'insegnamento della storia dell'arte 11011 può essere mescolato ad altri, in « Corriere della Sera•, 4 aprile 1976. 7 G. C. ARGAN, Allarme per la storia dell'arte, cit. 8 R. BARILLI, in Se dipendesse soltanto da loro, in e L'Espresso•• cit. 9 R. BARILLI, Non c'è contraddizione tra DAMS e storia dell'arte, in e Corriere della Sera•, 14 aprile 1976. 10 R. BARILLI, in Se dipendesse soltanto da loro, cit. 11 G. PREVITALI, Attività didattica, tutela del patrimonio artrst1co e
ricerca scientifica nella prospettiva della costruzione del dipartimento,
intervento al convegno su e Temi e problemi• cit. Cfr .anche G. PRE· VITALI, L'educazione artistica in Italia, in «Prospettiva•, n. 1, aprile 1975, sulle conclusioni del convegno su questo tema svoltosi a Firenze 10-12 gennaio 1975. 12 A. EMILIANI, in Se dipendesse soltanto da loro, cit. 13 C. DE' SETA, Spazio storico, cultura materiale e civiltà artrst1ca: un'ipotesi metodologica, intervento al convegno su e Temi e problemi• cit. 14 Cfr. oltre all'intervento di De' Seta cit. l'impostazione metodolo gica in A. EMILIANI, Una politica dei beni culturali, Torino 1974, in A. CARANOINI, Archeologia e cultura materiale, Bari, 1975 e G. KUBLER, 'Storia' o 'Antropologia' dell'arte?, in « Prospettiva•, n. 4, 1976. 15 M. TAFURI, Storia dell'arte e gestione del territorio, in e Paese Sera•, 12 giugno 1976. 16 M. TAFURI, Storia dell'arte e riforme di struttura, in e Paese Sera• 26 giugno 1976. Polemico con le posizioni espresse da Tafuri è l'inter vento di G. BRIGANTI, 1=. storia vecchia quel certo isolamento, in « La Repubblica•• 20-21 giugno 1976.
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17 R. DE Fusco, La ' riduzione ' culturale e i manuali di storia del l'arte, cit. 18 G. C. ARGAN, in Ma allora chi ha più ragione?, cit. 19 C. CIF.RI VIA, Il destino della storia dell'arte, in • Paese Sera», 22 maggio 1976. 20 G. PREVITALI, 'Storia• o •Antropologia• dell'arte?, in « Prospet tiva», n. 4, 1976. 21 F. Bou:x;NA, D. DEL PESCO, A. FITTIPALDI, V. PACELLI, M. PICONE, P. SANTUCCI, Analisi dei manuali di storia dell'arte: carenze e prospet tive, intervento al convegno su « Temi e problemi •, cit. 22 R. BARILLI, Non c'è contraddizione tra DAMS e storia dell'arte, cit., cfr. anche M. CALVESI, Avvicinare gli italiani all'arte con una nuova figura di docente, in « Corriere della Sera», 2 maggio 1976, intervista con Barilli sulle conclusioni della « Prima conferenza nazionale dei do centi di discipline storiche dell'arte», Bologna, 23-25 aprile 1976, ed anche C. CIERI VIA, Per un futuro della storia delle •arti', in • Paese Sera», 10 aprile 1976. 2l M. TAFURI, Storia dell'arte e gestione del territorio, cit. 24 E. BATTISTI, Troppa diffidenza per la storia delle idee, in « Paese Sera•, 17 luglio 1976.
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