Op. cit., 38, gennaio 1977

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Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea

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Eclizioni e 11 ceritro '>¡ di Arturo Carola


F. IRACE,

Le licerche di architettura piĂš attuali ed insolite

M.

Dalla fotografia al videotape

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Analisi di un corso di laurea: il Dams

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Libri, riviste e mostre

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PICONE PETRUSA,

R. BARIILI -A. DE PAZ,

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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Alberto Cuomo,

Gabriella D'Amato, Vincenzo Fontana, Benedetto Gravagnuolo, Rejana Lucci, Italo Prozzillo, Maria Luisa Scalvini, Paola Serra Zanetti.



Le ricerche di architettura più attuali ed insolite FULVIO IRACE

La rassegna raccoglie quattro filoni di ricerche archi­ tettoniche aventi tutte in comune l'intento di tradurre le opere in oggetti ad alto potenziale simbolico e semantico. Per tutte, cioè, il tema della risemantizzazione dell'architet­ tura è centrale: rispetto ad esso si pongono come tentativi di reintrodurre nel vivo del fare architettonico quella vita­ lità intenzionale e formale che oggi gli fa difetto 1, riscat­ tandolo dalla neutralità espressiva cui sembra essersi ridotto. Ci proponiamo di raccogliere e classificare le varie espe­ rienze nelle seguenti categorie: a) architettura concettuale; b) architettura come retorica; c) architettura antropomor­ fica; d) architettura della catastrofe. Il territorio in cui queste ricerche svolgono i loro trac­ ciati non assume, infatti, mai la dimensione di un campo omogeneo, risultando normalmente diversi gli esiti dell'ar­ chitettura e i contesti socio-culturali in cui si situano, e spesso fortemente divergenti le poetiche e le teorie degli ar­ chitetti che al suo interno si riconoscono, La classificazione che qui proponiamo intende, appunto, ridurre la molteplicità spesso disorientante delle proposte alla esemplarità di al­ cuni tratti caratterizzanti, individuando i principi comuni in opere, tendenze ed esperienze diverse, nella convinzione che la semplificazione del campo possa costituire utile strumento per la comunicazione di esperienze, altrimenti destinate ad essere fruite nella disattenzione.

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Gli elementi che sembrano più significativamente con­ trassegnare l'ambito di quella che - con un'estensione del termine forse impropria, ma didatticamente efficace - ab­ biamo definito architettura concettuale, possono, a nostro avviso, ritrovarsi nella riflessione analitica esercitata sul si­ stema complessivo dell'architettura e nella accettazione del suo carattere sovrastrutturale, nel ritorno ad un più speci­ fico concetto di disciplina, nell'acquisizione dei metodi della analisi linguistica come strumento di controllo critico, nel­ l'estraneamento infine, che spesso realizzano nei confronti della scena urbana, come atto di rifiuto di un presente con­ testato. Intendiamo riferirci al « rigorismo ,. di Eisenman che, raggelando l'architettura sulla soglia del suo costituirsi in forma, ne trascende i « problemi di contenuto» e ne opera un ribaltamento da repertorio di segni convenzionali a in­ sieme di proprietà archetipiche 2; al « lavoro» di D. Agrest e M. Gandelsonas che, nel ricorso alla pratica semiologica, trova nuovi e perfezionati strumenti per disarticolare « la natura monolitica dell'architettura» nella varietà nascosta del suo sistema di regole. Con il termine architettura della retorica abbiamo inteso rapportarci, invece, alle modalità di un lavoro che, pur non potendosi considerare completamente scisso dal precedente, mostra di preferire alla investigazione teorica la pratica sul campo del concreto fare architettonico. Nel regno della discor­ sività retorica ciò che conta è l'« azione argomentativa», la tecnica compositiva, le ridondanze semantiche, il gioco delle « figure» classiche ricostituito nell'ambito delle immagini, il riferirsi alla molteplicità della storia: la retorica, infatti, non comunica delle verità stabilite anteriormente al suo met­

tersi In moto 3; piuttosto procede alla costruzione di un di­ scorso artificiale, in cui ciò che conta non è il risultato, ma le tappe, la durata e i modi attraverso cui l'artificio si com­ pone e si realizza. L'eclettismo di Moore che, dietro la pia­ cevolezza e l'urbanità della forma, nasconde una ricchezza inquietante e insospettata; la tecnica combinatoria di Iso6 zaki; il gioco al massacro disinvoltamente condotto da Ma-


chado per liberare l'architettura dai « suoi complessi»; sono tutti tentativi di riportare l'architettura nella sfera della di­ scorsività retorica. Il carattere insolito di queste architetture, la radicalizza­ zione delle ricerche - che mostrano troppo spesso di pre­ diligere l'astrattezza del disegno alla concretezza del co­ struito -, l'accentuato carattere intellettualistico delle pro­ posizioni progettuali hanno consentito alla critica, sia pure nell'ambito di diverse interpretazioni, di parlare di condi­ zione manieristica dell'architettura. Per Tafuri, si tratta di una élite intellettuale che tende a separare U proprio lavoro da ogni condizionamento strut­ turale, di un ordine di monaci pazienti, che, nei limbi in cui si confinano, ritrascrivono e commentano I codici della tra­ dWone moderna dell'architettura 4• Nessun valore sociale è da essi riconosciuto all'architettura, che sempre più si iden­ tifica con la dimensione separata di un piacere tutto intel­ lettuale e molto sottile che assoggetta il carattere assoluto della forma 5• Mentre Tafuri riconosce nella serietà dei loro giochi lo stato d'animo di chi si sente tradito e contemporaneamente la condizione di coloro che vorrebbero ancora fare l'archi­ tettura 6, drastica appare l'accusa di tradimento degli ideali etici del M. M. lanciata da Zevi contro alcuni dei personaggi più rappresentativi di queste tendenze. Per Zevi, infatti, · le loro opere possono facilmente riassumersi in una antologia incoerente di progetti, basati sul carattere curioso e strava­ gante dell'approccio, o sulla raffinata manipolazione di ri­ cerche ormai note, ed anzi egli parla di atteggiamento di­ staccato, aristocratico, perplesso, come al manieristi si ad­ dice 7• In realtà, ci sembra di non poter condividere le ragioni di una critica che, evitando la storicizzazione delle espe­ rienze, pretende, sulla spinta di una urgenza operativa, di trasferirle tout court in una astratta dimensione di restaura­ zione espressiva, che non rende certo ragione né della caduta di quegli ideali che -costituiscono la pietra di paragone dei suoi giudizi, né delle caratteristiche di un lavoro sul lin- 7


guaggio che alla necessità dell'invenzione sostituisce il gusto della contaminazione e della citazione. A ben vedere, infatti, l'apparente ritirarsi nel mondo della contaminazione stilistica e della rivisitazione storica, non è solo compiacimento solipsistico o nostalgica rievoca­ zione, la storia cioè riproposta alla luce di una categoria estetizzante, campo inesauribile di forme da liberamente ri­ assumere, da innestare nella attualità di una lingua archi­ tettonica considerata come sterile ed insoddisfacente. Si am­ mira nella storia, è stato notato, e segnatamente nella sua vena classicistica l'esistenza di un codice e con esso la pos­ sibilità di ordinare, classificare e trasmettere fattori, nonne e deroghe di tale codice 8•

Fondare, insomma, una possibilità aperta di parlare; ri­ trovare un codice su cui tentare una ricomposizione della architettura, su cui basare l'ipotesi di una sua rinnovata co­ municatività; un alludere alla necessità dr una fruizione che trascenda le specifiche modalità di uso; questi, a nostro av­ viso, i tratti fondanti, le caratteristiche essenziali di un la­ voro che, per il resto, mostra di intendere e ricercare il rap­ porto con la significazione secondo le più varie e divergenti modalità, anche se talvolta ingenue e difficilmente condivi­ dibili. In confronto all'intellettualismo dei « concettuali »; in­ fatti, la ricerca degli architetti che abbiamo raggruppato nella categoria dell'antropomorfismo, sembra - pur nell'am­ bito di una medesima intenzionalità - caratterizzarsi per un certo referenzialismo ingenuo nei modi in cui tale vo­ lon tà è perseguita; per il ricorso al valore « parlante » della immagine simbolica, spesso considerata nei termini di una figurazione letterale; per il rifarsi, infine, alla tradizione sto­ rica dell'antropomorfismo architettonico, nella varietà dei modi in cui esso è andato, di volta in volta, configurandosi. Ricordiamo che l'assunzione del codice corporeo - uma­ no, vegetale o animale - ha radici profonde. nella storia dei significati dell'architettura, collegandosi ad una varietà di interpretazioni, tutte egualmente allusive alla possibilità di 8 una comunicazione più immediata tra utente ed edificio, tal-


volta ad una precisa esigenza di radicamento ed autoricono­ scibilità. Antropomorfismo e zoomorfismo - nella duplice accezione di razionalità proporzionatrice e deformazione sim­ bolica - si connettono in architettura sotto il segno di una evidente continuità, costituiscono il riferimento ad un codice che, complessivamente, allude all'instaurarsi di un legame di sottile rispondenza, di flusso comunicativo tra la sensiti­ vità del corpo umano e l'artificialità del costruito, attraverso un processo di assimilazione reciproca dei due termini. Il ricorso a tale codice non appare unitario, prestandosi ad essere variamente assimilato alle poetiche individuali: sem­ bra così legittimo distinguere l'antropomorfismo simbolico di Porro dalle deformazioni surreali e mostruose dei giappo­ nesi Maeda ed Akamoto; ci è parso giusto sottolineare inoltre il distacco ironico - quasi in chiave di pop art - con cui Yamashita e B. Quentin mostrano di confrontarsi con il ri­ ferimento alla rappresentazione umana. Segni già di una nuova iconografia popolare, spettaco­ lari messe in scena degli incubi di massa, sono le immagini del disastro che in tutti gli States il gruppo americano Site va costruendo per la Best Company. Edifici in rovina al centro delle città o lungo i bordi delle autostrade si pongono come « semafori di informazione », insoliti ed inquietanti segnali di richiamo per un pubblico che con sempre mag­ giore indifferenza si aggira nel labirinto di immagini della città americana. Nate sulla scia della popolarità dei films ca­ tastrofici, le architetture distrutte di Site esercitano fascino ed attrazione sul pubblico, sfruttandone la ribellione incon­ scia verso il disegno di una programmazione totale che lo sorpassa, la frustrazione e la disaffezione urbana, teatraliz­ zando, infine, un bisogno di punizione e una paranoia che tendono a crescere quando il sistema ... attraversa o sembra • attraversare, una fase di cedimento 9• In tal modo, le « ro­ vine » di Site ribaltano il problema della comunicazione dalla dimensione introversa di chi ricerca nella storia le ragioni di una perdita di contatto, di una caduta di tensione tra fabbrica e pubblico a quella decisamente estroversa di chi amplifica ed esibisce i sogni di una mitologia popolare, tra- 9


sferendoli dalla fantasia di un desiderio alla concretezza della immagine costruita, soddisfacendone, così, il sistema di attese. Compito della nostra rassegna è di fornire una sintesi di queste tendenze, di ripercorrere i modi e i motivi delle diverse ricerche, di sottolineare l'attualità di queste opere insolite perché semantiche, esaminando attraverso il con­ creto delle immagini - siano opere costruite od architetture disegnate - le caratteristiche di un lavoro complessivo di cui esse costituiscono parte emblematica ed emergente. a) Cardboard architecture: progetti per sei case di P. D. Ei­

senman.

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Tentare una descrizione delle architetture di P. D. Eisen­ man senza riferisi contemporaneamente al lavoro teorico che le precede e le riassorbe, si rivela operazione sterile, giacché null'altro esse raccontano se non la meccanica di un astratto intersecarsi di piani e superfici, secondo l'arbitrarietà di una logica che si cela all'osservatore: come è stato, infatti, notato il laboratorio sintattico evocato da oggetti perfettamente cir­ coscritti nel colloquio dei segni tra di loro non ammette in­ trusi 10• Di cosa possono parlare le insolite architetture di Eisen­ man se non della loro sostanziale estraneità ad ogni possi­ bilità di comunicazione? Nelle assonometrie che tracciano le tappe dei diagrammi compositivi delle varie House I, II, ... VI l'occhio trascorre in una gelida sequenza di immagini mute, in cui alcuni ele­ menti primari (il cubo, nella sua duplice accezione di forma piena e di reticolo spaziale; i piani, orizzontali e verticali; i pilastri, punti nodali dello spazio) entrano in controllato contrasto tra di loro, scandendo il volume in una sorta di armonico contrappunto, facendolo slittare - in alto e in basso, a destra e a sinistra - lungo i tagli dei piani, per poi ancorarlo alle indicazioni puntiformi dei pilastri. Il linguaggio, cioè, tenuto nei limiti assoluti della pura analiticità, emette informazioni neutre, lontane da ogni tentazione di poetica, da ogni connotazione semantica del segno:


un pilastro, insomma, non è che un pilastro, ogni riferi­ mento ad un suo eventuale uso stilistico-simbolico è rigoro­ samente bandito. Né, d'altro canto, questo purismo sintat­ tico va confuso con quello del linguaggio razionalista. La realizzazione dell'opera, il suo tradursi dal piano del puro disegno a quello ben altrimenti compromissorio della realtà del costruito, non sembra produrre alterazioni sostanziali. Nella Casa Frank ( fig. 5), l'ultima della serie proposta da Eisenman, nessuna attenzione, in senso architettonico­ percettivo, è rivolta all'uso dei materiali, alla collocazione ambientale, alla continuità e alla articolazione dello spazio interno: la sua estraneità a tutti i fattori tradizionali dell'ar­ chitettura ne fa una perfetta « macchina nel giardino». Vernici plastiche nascondono i materiali, le travi di ac­ ciaio sono nascoste, le stanze sospese al di sopra del terreno, la porta è un semplice boccaporto..., la stanza da letto princi­ pale è spaccata dal taglio vetrato di un piano astratto 11• Insolite rispondenze di posizione tra le due stanze della estremità superiore destra e le due dell'inferiore sinistra, la presenza di false scale in uno degli angoli superiori,... dimo­ strano il tentativo paradossale di trasformare uno spazio reale in « spazio virtuale», la sconcertante sensazione che anche se l'edificio fosse capovolto 12, non cambierebbe la sua immagine architettonica. Dicevamo che le architetture di Eisenman costituiscono la faccia complementare di un lavoro che essenzialmente si esprime per strutturazioni teoriche oltre che progettuali: le numerose « note » di accompagnamento alle immagini con­ tengono, infatti, le necessarie istruzioni d'uso per la loro eventuale lettura. Il lavoro di questo architetto, per sua esplicita ammissione, si articola in quattro fasi, quattro attività parallele piuttosto che consequenziali 13: mentre le prime tre affrontano, in maniera analitica, gli ostacoli epistemologici che si frappongono allo sviluppo di una teoria dell'architet­ tura concettuale, la quarta riguarda l'applicazione della teoria nella prassi; si chiama Architettura di Cartone. Questa non è, allora, « altro» dalla ricerca propriamente concettuale; infatti, nella serie di diagrammi che cercano di chiarire l'iter 11


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progettuale, avvlene un processo dl retroazione nella teoria, rispetto alla quale essa presenta la disponibilità ad una serie di particolari operazioni di trasformazioni nell'uso dell'edi­ ficlo, che a loro volta possono suggerire altre strutture for­ mali per nuovi edifici 14• Tentativi, quindi, di tradurre l'astra­ zione delle ipotesi avanzate nella concretezza singolare di un metodo di lavoro; passaggio da una formulazione generale ad una applicazione speclfica. Ma, se i nodi che si oppongono ad una completa concettualizzazione dell'architettura si pre­ stano ad essere sciolti sul piano del modello di studio, ben altri problemi si pongono nella concreta traduzione del mo­ dello nella realtà del costruito. Nel primo caso, la ricerca di un sistema concettuale de­ scrittivo-esplicativo trova esiti soddisfacenti nel riportare i pro­ blemi della progettazione e delle implicazioni spaziali in una specle di ambito teorico focalizzando l'aspetto di struttura formale che riguarda la relazione tra oggetti, piuttosto che gli oggetti stessi 15; l'astrazione insita nel modello consente ancora di paralizzare la dimensione semantica (il termine indica, per Eisenman, quegli aspetti che possono essere spie­ gati in chiave culturale, percettiva, sensoriale,...) per incen­ trarsi esclusivamente su quella sintattica (che esclude, in­ vece, le nozioni di cultura e percezione, e si fonda su una serie di opposizioni formali di fondo). Nel secondo caso, la concretezza dell'oggetto costruito lascia troppi insolubili re­ sidui nelle maglie dei raffinati filtri che ne tentano la sma­ terializzazione sul piano più rigoroso dell'idea. Eisenman, nei suoi «appunti», è pronto a registrare tali difficoltà : anche se fosse possibile trascurare le imposizioni se­ mantiche apportate alla forma architettonica, le linee che sono colonne e i piani che sono pareti dovranno sempre, per il fatto che la gravità esiste, sostenere qualcosa 16• La dimensione complessiva dell'architettura - aveva pre­ cedentemente notato - si struttura, infatti, secondo una tri­ plice articolazione: pragmatica: la relazione della forma con la funzione e la tecnologia; semantica: la relazione della forma con il significato e l'iconografia; sintassi: la mediazione e l'accoppiamento del significato e della forma attra-


verso una struttura di rapporti formali 17• Come mediare, dunque, la presenza di questi eterogenei livelli in una di­ mensione in cui, all'appiattimento della pragmatica e della semantica, corrisponda una piena articolazione della strut­ tura sintattica, la sola che permette l'accesso all'analisi? In che modo conciliare l'esistenza di dati materiali, inerenti la realtà della pratica architettonica, con l'esigenza di una loro concettualizzazione? Per rendere qualcosa concettuale in ar­ chitettura, occorrerebbe estrarre gli aspetti pragmatici e fun­ zionali dell'oggetto per porli in una matrice concettuale, dove la loro esistenza primaria non fosse più interpretata dal fatto fisico del trattarsi di un bagno o di un armadio, ma dove piuttosto l'aspetto funzionale del bagno e dell'armadio dive­ nisse secondario rispetto a una loro lettura primaria 18• Alla luce di tali considerazioni, le assurde manipolazioni dei dati funzionali nell'organizzazione della Casa Frank co­ minciano ad essere acquisibili sotto una luce diversa, come tentativi, cioè, di allontanare l'osservatore dalla immediata percezione sensoria della presenza di taluni elementi, che giocano un ruolo di disturbo, di distrazione rispetto al piano assoluto delle loro relazioni oggettive. In architettura, infatti, esistono due tipi di rapporti ... Ci sono i rapporti ad un livello reale e concreto di cui l'indi­ viduo prende coscienza attraverso i suoi sensi... e ci sono i rapporti ad un livello astratto e concettuale, presenti nello oggetto stesso 19• Parafrasando la terminologia introdotta da N. Chomsky in linguistica, si può, insomma, parlare di una struttura percettiva e superficiale ed una struttura concet­ tuale e profonda. Tale duplicità di livelli è proiettata da Eisenman -all'interno di ciascuna delle tre categorie in cui si articola l'architettura, per modo che le strutture pro­ fonde, usate con premeditazione..., - per es., nella forma di sequenze spaziali - potrebbero conferire alle richieste fun­ zionali un primario aspetto concettuale 20: questo, infatti, non si definisce in base ad una astrattezza categorica, che, come abbiamo visto, è impossibile in architettura; quanto per l'intenzionalità di trasferire il punto focale dagli aspetti 13 sensibili degli oggetti agli aspetti universali dell'oggetto 21•


L'intenzionalità acquista, così, nella teoria di Eisernann una rilevanza strategica, ponendosi come l'unica saldatura possibile tra la irriducibile estraneità dei dati funzionali del­ l'architettura e la necessità di un'analisi che consenta livelli superiori di conoscenza. Ma, nei sistemi chiusi che con tanta arte Eisernann va costruendo intorno alle sue «case»; nelle variazioni che, con analitica sottigliezza, segnano gli imper­ cettibili spostamenti che permettono l'inserimento del con­ cetto di linguaggio in architettura, una sola conciliazione si rende assolutamente improbabile; quella, ultima, con l'abi­ tare. La presenza dell'uomo dà scandalo: una volta penetrato in quel laboratorio, questi non potrà che distruggere la « to­ nalità sospesa», dando materia all'immateriale 22• a1 } Les Echelles, di D. Agrest a2) Un édifice comme classificateur du corps humain, di M. Gandelsonas.

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Il lavoro di Architettura non risiede affatto nella Verità costruttiva, né nell'Adeguamento funzionale, né nell'Espres­ sione. Al momento, non possiamo che « designare» la que­ stione dell'oggetto d'Architettura come Pratica Significante e come Produzione di Significazione. Ma è possibile pensare con un oggetto? no se lo si considera come prodotto di ar­ chitettura, si se lo si considera come uno dei testi che inte­ gra un particolare lavoro teorico 23• Questa esplicita dichiara­ zione - contenuta in un « testo» teorico di D. Agrest e M. Gan­ delsonas - costituisce la migliore chiave di lettura, la strada per una più pertinente interpretazione dei due paradossali progetti, due « oggetti», appunto, che sembrano apparente­ mente sfuggire ad ogni tradizionale decodificazione. Il primo, ideato dalla Agrest come casa per un musicista a Maiorca, travalica ben presto la realtà del dato funzionale, risolvendola in un pretesto per creare relazioni dialettiche fra i vari «frammenti» culturali, formali, ideologici di cui l'edificio si compone; per proporsi, insomma, come parte di un più generale lavoro di analisi sulla natura dell'architettura


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1, M. Gandelsonas, Un ĂŠdifice comme classificateur du corps humain. 2, A. Isozaki, Gumma Prefectural museum, definizione della struttura cubica. 3, Venus of Chicago, pianta. 4, D. Agrest, Les Echelles. S, P. D. Eisenman, House VI.

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e il suo funzionamento. Una scala di vetro ed acciaio - do­ tata di un sistema di illuminazione dall'interno - attraversa, con la struttura di un autonomo segno, la casa propriamente detta, una serie di cubi che, attraverso opportuni sfalsamenti, creano delle terrazze digradanti. L'insieme della casa, propone la Agrest, diventa cosl una sequenza di giardini; o di frammenti di giardini, elementi na­ turali o culturali che si organizzano intorno a degli elementi come scale, ponti, porte, passaggi 24• Alla semplicità della con­ cezione volumetrica corrisponde la possibilità di una lettura culturale ricca, che sostituisce al rapporto forma-funzione li problema della significazione degli oggetti. La nozione, infatti, di «funzione,. e di «senso intrinseco,. di un oggetto nell'am­ biente, mascherando l'arbitrarietà del linguaggio architetto­ nico a favore di una concezione ideologica del linguaggio come rappresentazione, si pone come strategico «blocco teorico » per ogni ulteriore produzione di conoscenza. Il ricorso a tale nozione, sostiene la Agrest, consente di spiegare la realtà del­ l'ambiente costruito come risultato di domande funzionali, portando così al rafforzamento di quei punti di vista ideolo­ gici che sottolineano il carattere naturale o casuale della for­ ma architettonica, mentre al contempo negano la sua natura convenzionale e socio-culturale 25• Il linguaggio architettonico cui la Agrest ricorre nel pro­ getto «Les Echelles » si propone, invece, di evitare ogni ca­ rattere mimetico-naturalistico, ricorrendo ad un alto grado di «arbitrarietà » ed « artificiosità»; ma anche rifiutando di stabilire nessi organici con la organizzazione del sistema fun­ zionale «casa». Mentre l'articolazione dello spazio interno risulta compressa alla presenza di pochi elementi rappresen­ tativi, ben altra rilevanza viene accordata all'immagine« ester­ na,. dell'edificio; questa 'si -moltiplica nella sequenza lineare degli spazi che, disponendosi lungo la progressiva successiçme della scala di vetro, si propongono come «luoghi significa­ tivi ,. per trasformare la casa da «spazio privato» in una spe­ cie di «scena», in un «oggetto pubblico», e in uri «avveni­ mento culturale». La nozione di arbitrarietà del linguaggio - individuata


in sede teorica come strategia di svelamento ideologico del­ l'accoppiata forma-funzione - viene esplicitamente traspo­ sta da M. Gandelsonas nella matrice figurativa alla base del suo edificio per classificare i corpi umani secondo le loro caratteristiche fisiche e psicologiche, eretto come monumento alla natura progressiva dell'architett.ura occidentale secolare 26• L'idea è quella di trasferire e ricercare nell'architettura la possibilità di organizzare e creare una serie di sensazioni fisiche come la compressione, l'espansione,... e psicologiche, come la tensione, la vertigine 27• Attraverso l'entrata - un quadrato nero al suolo - si accede ad una rampa rettilinea che collega tra di loro, in verticale, una serie di corridoi di lunghezza variabile, che classificano la gente, mediante par­ ticolari dispositivi architettonici, in relazione alle loro carat­ teristiche fisiche (peso, età, sesso... ). Giunti all'estremità della rampa, si procede alla classificazione delle caratteristiche psicologiche attraverso la scelta di una delle tre possibilità di discesa: una scala « monumentale » con pendenza di 45° e scalini alti I.SO mt; una rampa a spirale, che si inoltra nel sottosuolo; una doppia rampa, infine, che attraverso un tor­ tuoso andamento, va a terminare in un cerchio rosso dise­ gnato al suolo. Percorsi pericolosi, allucinanti o interrotti sono i protagonisti della « pièce » di Gandelsonas: come se volessero sperimentare la resistenza psicologica dell'utente virtuale crudelmente attratto in questa macchina kafkiana 21• La presentazione dei disegni (i testi grafici) è accompa­ gnata da Gandelsonas con brevi didascalie riferite alle fon­ damentali definizioni in cui si articola la lunga intestazione progettuale. Mentre la prima - l'edificio come classifica­ tore - descrive il funzionamento dell'edificio, le due se­ guenti - i monumenti e l'architettura secolare - conten­ gono rispettivamente le definizioni di monumento di L. B. Al­ berti e di Architettura secolare in contrapposizione a quella religiosa tratta dai Principi di storia architettonica di P. Frankl. L'origine dei monumenti, ricorda il trattato alber­ tiano, è legata alla volontà degli antichi di celebrare le loro vittorie e definire i limiti delle loro conquiste. Per comprendere un'opera di architettura secolare, spiega

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P. Frankl, bisogna esaminarla nel suo insieme, percorrerla da un capo all'altro... L'entrata, il vestibolo,... le scale... e i cor­ ridoi che menano ai piani sono come le vene del nostro corpo, sono le arterie dell'edificio 29• Ma, se tale definizione rende ragione dell'assimilazione della «nozione di articolazione» tra il corpo umano e l'edificio, a che«vittorie», e a quali«li­ miti» la«enigmatica» costruzione di Gandelsonas - nel suo proporsi come «monumento» - intende riferirsi? Ritornare al linguaggio puro, è stato osservato dalla cri­ tica, significa definire con rigore il dominio dei suoi giochi 30• 11 lavoro all'interno dell'architettura, precisano in un co­ mune scritto la Agrest e Gandelsonas, si effettua come lavoro critico sull'architettura di cui il testo fa parte. Per cui è pos­ sibile... rompere la natura monolitica di questo sistema di regole, e disarticolare l'unità illusoria della sua retorica... 11 · « momento » storico esige che la pratica dell'architettura cambi radicalmente. Invece di aggiungere prodotti architetto­ nici a quelli che già esistono, dobbiamo produrre un sapere sull'architettura e i suoi effetti 31• Le insolite proposizioni grafiche non intendono porsi, cioè, come fantastiche incursioni nel regno dell'arbitrio ar­ chitettonico, evasioni rispetto al lavoro teorico che, intorno ai problemi dell'architettura, essi vanno da tempo svolgendo: attraverso gli «schizzi», si propone l'ipotesi di una saldatura con il lavoro contemporaneamente avanzato sui «testi scrit­ ti», evidenziando le connotazioni ideologiche e strutturali del processo progettuale. Tema centrale della loro ricerca è, infatti, l'analisi del ruolo istituzionale dell'architettura nelle società occidentali e dal rapporto che il «sapere architettonico», nelle sue forme più « sofisticate» di teoria, critica e storia, instaura con l'ideo­ logia. In tal senso, il loro lavoro si salda ad un più generale progetto teorico che verifichi la possibilità di una teoria del­ l'architettura in senso stretto, di un processo di produzione della conoscenza 32, cioè, che, della pratica ideologica dell'ar­ chitettura, sveli il carattere codificatore ed illusorio. Evitando la tentazione di creare nuovi simboli o nuovi sistemi retorici, due architetti argentini si propongono di trasformare la dii 18


sciplina architettonica - maschera destinata a nascondere il reale - in Pratica dell'Architettura come produzione di un sapere specifico 13• b) Piazza d'Italia a New Orleans, di Ch. Moore

Dedicata alla comunità italiana di New Orleans alla ri. cerca di un proprio «luogo» rappresentativo in una città dove le tracce della civiltà francese e spagnola sono forti, la sistemazione della Piazza d'Italia si presta ad essere con­ siderata come una delle opere più emblematiche della pro­ duzione di Ch. Moore, sia perché ne sintetizza in maniera esemplare i principi fondamentali del discorso teorico-pro­ gettuale, sia per il carattere insolito e sconcertante con cui si presenta agli occhi della critica e del pubblico. In un'area della città caratterizzata dalla presenza di un anonimo grattacielo di 22 piani a ritmi verticali e da un in­ sieme di vecchi edifici commerciali del XIX sec. (fig. 9), la «piazza » proposta da Moore si pone il duplice obiettivo di ricucire i rapporti difficili tra il vecchio e il nuovo e di co­ struire un «luogo » capace di dare una risposta concreta al bisogno di « radicamento » dell'architettura 34• Il disegno della piazza, che occupa la parte centrale del­ l'area, è costituito da uno slargo ellittico, formato da una serie di anelli concentrici rivestiti alternativamente di ardesia (fasce chiare) e di granito (fasce scure), che riportano al livello del terreno le bande verticali della preesistente torre di uffici (fig. 10). Nella parte centrale dell'ellisse, trasformata in fontana, è ricostruita a rilievo la sagoma dell'Italia: Moore imma­ gina che le acque che ne percorrono la silhouette scendano dai laghi del nord per gettarsi nel Po, nell'Arno e nel Tevere, e di qui nei mari Adriatico e Tirreno. La Sicilia è concepita a rilievo, in modo da formare un podio al limite tra la piazza e la fontana. Il tutto circondato da sei elementi porticati, sorta di frammenti disposti a semicerchio, con colonne, trabeazioni, iscrizioni in latino, che rappresentano i sei ordini classici del­ l'architettura. Lungo le scanalature delle colonne, intorno ai capitelli e ai fregi decorativi scorre l'acqua, in tubi di acciaio, 19


per poi riversarsi nella sottostante fontana. Ultimo tocco, Moore immagina che tralci di vite possano attorcigliarsi e pendere dagli elementi classici, così trasformati in pittore­ sche rovine sull'acqua. Al centro della piazza sorge una torre di 25 mt., rivestita di policromi marmi italiani, che dovrebbe illuminare, con dei riflettori di scena, un angolo dell'ellisse dove c'è un caffè all'aperto e un palcoscenico : in questo tea­ trale contesto non mancano neanche piccole gondole azionate elettricamente. I riferimenti ai luoghi « classici » dell'archi­ tettura italiana sono evidenti: vanno dalle tradizionali rovine dei fori e degli archi di trionfo romani, ai campanili intarsiati del gotico fiorentino, alla scenografia della città barocca. Ma non è questa la prima volta che Moore punta alla co­ struzione di un ambiente da « operetta » recuperando con­ temporaneamente elementi dell'architettura antica: basti pen­ sare al Kresge College, dove gli spazi pubblici sono caratteriz­ zati dalla presenza di frammenti di colonnati, archi di trion­ fo, fontane monumentali, e alle numerose residenze private, in cui compare una figura tipica del suo lessico, l'« aedicula » sorretta da quattro colonnine ioniche di legno. La ripresa, così apparentemente realistica, degli elementi architettonici del passato può apparire sconcertante ad un primo approccio distratto: ed infatti B. Zevi non esita a de­ finire la Piazza d'Italia come un pasticcio... sgradevole ed aber­ rante.. accozzaglia di gratuite citazioni archeologiche 35• In realtà, niente di più lontano da Moore che l'archeologia e la monumentalità: al contrario, il ricorso ad un simbolismo iro­ nico ed eclettico ci sembra costituisca, insieme alla volontà di riaffermare il carattere « parlante » degli edifici, una più calzante chiave di lettura. Gli edifici, avverte Moore, possono e debbono parlare, trasmettere messaggi ... avere libertà di linguaggio [ ... ]. Gli spazi psicologici, infatti, e le forme degli edifici dovranno aiutare la memoria e costruire relazioni nel tempo e nello spazio... connessioni fra noi e il passato... in modo che cia­ scuno possa avere, attraverso i canali della mente e della memoria... qualcosa che assomigli a quelle radici ritrovate 36. L'allargamento del codice linguistico a quelle componenti 20


storiche, psicologiche, sensoriali, trascurate dall'ortodossia del M.M., consente appunto all'architettura di Moore di rom­ pere con il silenzio di molta architettura contemporanea e di dare una risposta, in termini disciplinari, alla diffusa esi­ genza di radicamento nello spazio della città contemporanea. Il ricorso alla storia, riacquisita alla pratica della progetta­ zione come tramite tra presente e passato, rivela l'intenzione di risemantizzare la produzione architettonica moderna con­ ciliando le ragioni funzionali... e la dùnensione della me­ moria 37. L'uso delle citazioni nella Piazza d'Italia non è gioco tau­ tologico, ma anzi si collega - attraverso il ricorso al sim­ bolismo un po' nai'f dell'Italia - all'attualità di un presente da realizzare. L'immagine, infatti, stereotipata di un'Italia tratta dai miti di massa della cultura americana, da un lato, rientra nel sistema di aspettative del pubblico italiano, per­ mettendogli di «riconoscersi » nel «luogo ,. proposto, dal­ l'altro, si presta ad essere autonomamente declinata come discorso sull'architettura. Il «naturalismo», quindi, e l'«eclettismo pittoresco» - invocati dalla critica come elementi caratterizzanti il «po­ pulismo » di Moore - sono collegati da D. Agrest a quella strategia della verosimiglianza che, nonostante la distanza tra oggetto rappresentato e cosa da rappresentare, ne consente di trasformare il senso in naturale, mascherando così il ca­ rattere codificatore dell'architettura 38• Moore cioè, pur es­ sendo perfettamente consapevole della natura artificiale del linguaggio architettonico, invece di accentuarne l'astrattezza - come propone la ricerca di Eisenman - sembra voler ap­ parentemente risolverla in chiave realistica, attraverso la forma di ciò che appare «verosimile». Questo gli consente di ricorrere all'architettura tradizionale e commerciale per utilizzarne l'alto grado di comunicatività, senza per questo scadere nella banalità di un linguaggio ridotto a slogan di massa ( in questo caso l'immagine, appunto, da rivista del­ l'Italia), e di manovrare lo spazio di una distanza che gli permetta di giocare fino in fondo il ruolo retorico e discorsivo dell'architettura, in modo che slittamenti e sovrapposi- 21


zioni di senso, recupero di memorie antiche, incursioni nel territorio dell'inconscio e del sogno siano resi possibili. Ciò ci sembra particolarmente evidenziato dal carattere di «teatro puro», di scenografica rappresentazione, di spet­ tacolo, insomma - filtrato dal ricordo delle fontane e delle piazze di Roma barocca - che i singoli elementi della Piazza assumono nella loro reciproca interazione. D'altra parte, non va dimenticato che la piazza si scopre gradualmente alla per­ cezione, potendosi l'immagine dell'Italia recepire nella sua interezza solo quando l'occhio si è abituato al gioco delle acque e delle linee colorate che ne percorrono circolarmente la pavimentazione. La «sorpresa», lo «stupore», l'« eccitamento dell'inat­ teso» - elementi ricorrenti con frequenza nel gioco di Moore - sono utilizzati come sapienti strategie che rom­ pono l'illusione di uno spazio direttamente offerto alla per­ cezione, per riaffermare, invece, quel carattere illusionistico e di sottile attrazione da recuperare alla odierna produzione: in tal senso, per la Agrest, egli esplicitamente introduce ... nena sua produzione una dimensione di piacere. L'«eclettismo pittoresco» di Moore, il riferirsi ad una storia multipla, l'aprirsi dell'architettura a un mondo este­ riore, queHo della cultura, ci sembrano costituire le caratte­ ristiche più salienti della «persuasività» retorica del suo di­ scorso architettonico, l'immedesimarsi dello spettatore con l'oggetto del suo riguardare, la base di una simpatia su cui stabilire un organico nesso fra l'edificio e il suo utente 39• Il naturalismo, attraverso il filtro della verosimiglianza, garantisce il piano di questa immedesimazione, di questo li­ bero fluire degli eventi: è la base su cui tra l'uomo e li mondo esterno si genera una certa familiarità 40• Immaginazione [ che] non usi violenza alla sensibilità 41: in questa antica definizione la chiave dell'ironia disincantata di Moore, il senso del suo gioco sottile, il valore dell'imma­ gine storica, l'efficacia del suo «raffinato populismo ». 22


b1 ) Gumma Prefectural Museum e Fujimi Country Club,

di Arata Isozaki.

Architettura irreale, aura totemica che sottrae la vita al­ l'uomo e alla natura, traduzione fisica delle gelide distese geometriche di Superstudio, metaarchitettura 42: questi i ter­ mini che più frequentemente ricorrono nel linguaggio dei critici, in riferimento alle ultime opere del giapponese Isozaki. Il Gumma Prefectural Museum può essere considerato un'architettura che contrassegna il regno della pura forma, fondato sull'azione argomentativa, sugli slittamenti seman­ tici, sul gioco della deroga e della trasgressione alla nonna apparentemente ritrovata. L'edificio è un museo d'arte mo­ derna, un ambiente collettivo, quindi, strettamente collegato al suo uso sociale. Eppure appare subito evidente che l'edi­ ficio progettato risulta del tutto indifferente alla problema­ tica dell'uso, evitando di assicurare la benché minima coin­ cidenza tra il piano della cosa significata (la funzione mu­ seo) e quello della cosa significante (la forma dell'edificio); tra livello paradigmatico (museo come luogo collettivo) e quello sintagmatico (edifici come articolazione di vari spazi interni). Il principio della geometrizzazione successiva è alla base della regola compositiva. La struttura di base, sui cui l'edificio costruisce la sua forma complessiva, è una griglia ed ha come unità primaria di aggregazione un quadrato di 12 mt. di lato: i tre corpi principali, in cui esso si articola, sono costruiti su di un numero preciso di tali unità. Mentre i due maggiori si dispongono in senso ortogonale tra di loro, il terzo è inclinato di 22° rispetto all'asse principale della pianta (fig. 2). Fondata la norma sull'uso del quadrato e sull'ortogonalità delle aggregazioni, la prima deroga è costituita dall'in• clinazione di una delle parti. Ancora, al rivestimento del fronte principale in pannelli quadrati di alluminio e vetro (che assumono varie sfumature di colore col variare della luce), si contrappone la massa retrostante, realizzata in ce­ mento a vista (il cui colore matto rimane inalterato durante 23


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tutta la giornata): si ha così l'impressione di corpi che si sovrappongono 43• All'interno, poi, mentre da un lato le aggregazioni dei vari spazi funzionali risultano connesse in una specie di indiffe­ rente continuità (sottolineata dalla assenza di chiusure e di porte), dall'altro questo orizzontale scorrere dello spazio è visualmente contraddetto e reso ambiguo dalla presenza della scala che, collegando molto lentamente al piano superiore (come un arco di trionfo in -un palazzo barocco, è stato no­ tato) 44 introduce un inaspettato asse di lettura verticale. L'edificio si costruisce, cioè, come un discorso retorico, con precise «figure» o leggi compositive binarie, basate sul­ l'amplificazione, sulla ripetizione, sul contrasto, sull'accosta­ mento, sulla separazione e la eccentricità. Lo stesso lsozaki fornisce una interessante chiave di let­ tura fondata su di una opposizione binaria fondamentale: la struttura cubica definisce lo spazio principale del com­ plesso, e la chiamo perciò struttura di base. C'è poi un si­ stema che può chiamarsi struttura supplementare, che si so­ vrappone e si intreccia alla struttura di base, fondando ele­ menti di contrasto 45• Mentre la struttura di base richiede astrazione ed universalità, quella supplementare è tattile, indi­ vidualizzata, delinea le caratteristiche dei luoghi. Distinzione questa che riecheggia le più famose « note» di Eisenman sull'architettura concettuale. Ma, al di là di certa terminologia, disinvoltamente adoperata da lsozaki, la differenza è sostanziale: Eisenman fonda la sua architettura di cartone esclusivamente sul piano sintattico, nella convin­ zione che la forma architettonica sia un insieme di rapporti archetipici indipendenti dalla concretizzazione stilistica attri­ buita a qualsiasi struttura formale 46; lsozaki non spinge, in­ vece, la primitiva distinzione semantica/sintassi oltre il piano della premessa teorica, recuperando, nella prassi dell'architet­ tura costruita, « una nuova dimensione» fondata sulla poe­ tica spaziale. Naturale, quindi, che K. Taki - che sui lavori di Isozaki ha costruito ampie esegesi critiche - dichiari di essere d'accordo con la teoria sintattica di Eisenman, ma di non condividerne fino in fondo le logiche conclusioni, giacché


non risulta chiaro dal solo sistema sintattico cosa fare del significato prodotto, interrogativo invece che si assume la epistemologia architettonica e la teoria creativa di Isozaki 47 • Al silenzio che Eisenman impone alle sue architetture, Iso­ zaki sostituisce una concezione dell'architettura come og­ getto ambiguo, un ponte - come significativamente la defi­ nisce - steso per superare il crudele abisso 48 ; alla sua ana­ litica Teoria dell'architettura concettuale, contrappone la co­ struzione retorica della Teoria della Maniera, che consente la selezione e la manipolazione di vari codici. Esemplare applicazione di questo approccio pluralistico è il Fujimi Country Club (fig. 11 ). Isozaki parte da un'idea aprioristica di forma - il cubo e il cilindro - come prima materia, ma la manipolazione che essa subisce lungo l'itinerario del processo compositivo, supera ben presto la crudezza del dato iniziale per confron­ tarsi con la citazione storica, la metafora percettiva, una più generale dimensione semantica. L'edificio, sede di un club sportivo, è costituito in pianta da un unico, sinuoso disegno a serpentina, e presenta una copertura continua a volta. L'uso della volta - la figura del semicilindro - è subito associata da Isozaki all'architettura europea, alle rovine architettoni­ che dell'Impero romano, alle opere del Palladio 49• Il riferi­ mento alle ville palladiane diventa, infatti, esplicito nelle so­ luzioni delle due testate. Nella principale, che contiene l'ac­ cesso al club, la volta, prolungandosi oltre i limiti delle pa­ reti laterali, si appoggia a due colonne poste alle estremità, formando così un portico. Isozaki ripercorre l'idea rinasci­ mentale dell'arco sostenuto da colonne, e si sofferma sulla interpretazione che ne dà Palladio nella Villa Poiana, dove l'arco di ingresso poggia su due sostegni murari a sezione rettangolare. La testata posteriore, poi, riprende - nel taglio della grossa apertura centrale e delle bucature laterali l'idea della finestra centrale e il gioco delle aperture della Villa Foscari. La filosofia della maniera rende, infatti, possibile la scelta tra vari stili storici e vocabolari visivi, perché, sebbene cia­ scuno di essi abbia la propria storia e particolari linee di 25


sviluppo, essa lavora su giudizi e manipolazioni di cose come gruppi di codici emergenti simultaneamente 50• Definendo i modi e i metodi del suo lavoro sull'architettura come mani­ polazione di oggetti, la teoria della maniera fonda la sua esi­ stenza sull'accettazione di un pluralismo di elementi, sulla possibilità di saltare da un mondo all'altro... senza mai ri• durre la molteplicità ad un testo, ma affermando la vera ori­ ginarla unità di quella molteplicità... senza pensare di voler riunire tutti quei frammenti 51• Il termine retorica inventiva, avanzato per definire la tec­ nica compositiva di Isozaki, ci sembra felicemente riassu­ mere il senso della sua teoria delle maniere: retorica come creazione di un significato poetico, come sistema discorsivo, cioè, che nella strutturazione del procedimento linguistico recupera la dimensione confortante della storia, il valore ambiguo dell'immagine, il riscatto del dato percettivo, e si apre, attraverso le falle praticate nell'intricato spessore della maglia logica, ad una dimensione più dilatata rispetto alla ascetica purezza in cui Eisenman volontariamente si ritira. b2 ) Façade/Mask House e Fountain House, di R. Machado.

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Questo oggetto racconta una storia sulla nozione di fac­ ciata... Il nucleo concettuale da cui questa casa scaturisce è duplice: ... esercizio sul potere critico dei segni architettonici e proposizione di carattere poetico 52• Oggetto dell'indagine analitica è il linguaggio-oggetto, con la sua vecchia, onnipre­ sente nozione di facciata, con la sua natura e la sua ideologia; termine della proposizione poetica, invece, il concetto di Maschera come concentrato di senso, « parossismo signifi­ cante»: dall'opposizione Facciata/Maschera prende il nome la casa e l'avvio il gioco delle variazioni. Protagonisti della messa in scena evocata da Machado, una serie di schermi trasparenti, autonome facciate, ma• schere appunto, e una casa che misteriosamente si dissolve in un gioco raffinato di ambigue rispondenze, calcolate pro­ gressioni, illusionismi prospettici, deformazioni anamorfiche cui esse danno luogo. La nozione di facciata è così sistemati-


camente scomposta nelle sue categorie costitutive di Fron­ talità, Assialità, Bidimensionalità, Unicità, Limite... : Macha­ do si spinge, quindi, a contestare le categorie ritrovate, ad agirne dall'interno la convenzionalità riduttrice, esasperan­ done le ambiguità e svelandone, in tal modo, il carattere ideo­ logico. Alla bidimensionalità del piano «piatto» contrappone l'illusionismo del piano « in profondità», che generi calcolati trompe-l'reil; l'unicità della facciata tradizionale, prodotto ti­ pico dell'economia e della morale borghese, è prontamente contraddetta: dalla successione delle maschere in parallelo; la distinzione avanti/dietro, interno/esterno, neutralizzata dal­ l'uso ripetuto di coppie antitetiche: sistema sintagmatico, - apertura ad un'altra logica, polverizzazione del senso; la ra­ zionalità antropometrica dell'esatto proporzionamento degli ambienti irrisa nel gioco delle deformazioni prospettiche che, indifferentemente, rinviano dal piccolo al grande. Di maschera in maschera - suggerisce Machado - il lettore-utilizzatore percorre linea per linea, come sulla pagina di .un testo, spazi vuoti, silenziosi. Come è stato osservato, Machado dimostra così di aver perfettamente analizzato il senso delle ricerche del «gruppo argentino». L'architettura « mascherata » è un linguaggio dissimulato che è « altro » da ciò che sembra esprimere... il regno del gioco inesplorato 53• Come nei raffinati congegni di Gandelsonas, l'artificiosità esasperata del linguaggio, che indugia a descrivere se stesso nell'evoluzione dei segni che si moltiplicano e delle imma­ gini che si affollano, svelando il vuoto in cui è « crudel­ mente » sospeso, finisce col trasformarsi nella denuncia del­ l'architettura come illusoria certezza cli regole codificate, falso sapere, che nasconde la sua vera natura di simulacro ideologico. Maschera su maschera... e la faccia? L'inquietante inter­ rogativo di Machado riecheggia, così, la desolante certezza di F. Nietzsche sulla natura dell'architettura: che cosa è per noi oggi la bellezza di un edificio? Lo stesso che il bel viso di una donna senza spirito: qualcosa come una maschera 54• Le maschere ambivalenti della Façade/Mask House sono i segni di una doppia attività, che oscilla nel gioco dello sve- 27


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lare e nascondere, del simulare e dissimulare, strumenti di analisi, ma anche mezzi per comunicare e persuadere. Quadro, pagina, schermo, palinsesto, come le definisce Machado, ... de­ liranti, prodighe, giocose... costruite con materiali ordinari o tessuti raffinati, d'acqua, di fiori, di alberi, si trasformano nella Fountain/House, in frammenti di cortine e immagini architettoniche, assemblaggio di forme seducenti, che evo­ cano i metodi perduti di G. B. Piranesi e Sir J. Soane. La Fountain/House, (figg. 6, 8), infatti, una residenza estiva in California, sembra piuttosto sviluppare il tema della polise­ mia e della proposizione poetica che non la destrutturazione analitica: alla base c'è l'idea di produrre un oggetto che ma­ gnifichi la natura artistica dell'architettura, la volontà di esplorare nuove operazioni formali, l'esigenza di verificare la possibilità di una metafora generalizzata a partire da una immagine 55• Sviluppando e manipolando alcune immagini proposte dal cliente («grotte», padiglioni) il processo pro­ gettuale impostato da Machado si sforza di tradurre la sug­ gestione evocata dalle eclettiche citazioni nella forza di un segno che si imponga all'ambiente, consentendo, allo stesso tempo, la compresenza di multipli livelli di lettura: accade così che all'architettura che si riveste dei panni della storia, nel richiamo degli stilemi del passato, corrisponda una natura sapientemente organizzata nella forma dell'artificiosità co­ struttiva. L'immagine dell'Italia diviene un solarium-giardino italiano; la «grotta-piscina» costituisce elemento focale del­ l'organizzazione interna; le pareti laterali della casa si pro­ lungano a racchiudere un patio, pronte a trasformarsi in sce­ nografiche «cascate» e «fontane». Due archetipi si intersecano: l'interno come «rifugio»; l'esterno come gioco variato dell'acqua. In questa metafora generalizzata, in cui la casa si esprime, il tema del costrutto architettonico è sottilmente associato all'idea della labilità, della mutevolezza, della illusorietà nell'immagine dell'acqua. La Fountain/House si propone, cioè, come lettura mul­ tipla, che nel pretesto costruttivo, si realizza come dialettica di opposte tensioni, di dati contrastanti; frammenti naturali (la fontana, ma anche l'immagine dell'Italia, stranamente


evocante l'uso analogo che ne fa Moore nella sua « piazza ») e culturali (l'eclettismo di chi utilizza fonti inesplorate), ac­ comodamenti funzionali e insoliti avanzamenti formali, ma, soprattutto, esplosione incontrollata del linguaggio per rein­ trodurre nell'architettura le nozioni di seduzione, di erotismo, e di piacere, liberandola così da tutti I suoi complessi 56, Il gioco controllato della Agrest e di Gandelsonas finisce con l'acquistare, nelle riproposizioni di Machado, impreviste aper­ ture, impossibili accelerazioni, sbilanciamenti improvvisi, che, rimuovendo l'« angoscia puritana» e il « pudore della forma», li sostituiscono con il piacere della bellezza ottenuta con ope­ razioni coscientemente poetiche. c) Villaggio turistico a Vela Luka, di R. Porro.

Ikebana school, di T. Akamoto. c1 ) Casa-studi o per designers, di Yamashita. c2 ) Venus of Chicago, di B. Quentin. c3 ) Una attualizzazione dell'architettura antropomorfica.

Ricerca dell'insolito architettonico attraverso l'assunzione della figura umana come matrice figurale e ricorso diretto al valore «parlante» dell'immagine architettonica, conside­ rata come veicolo possibile per una comunicazione immedia­ ta, costituiscono, a nostro avviso, le caratteristiche più signi­ ficative delle ipotesi progettuali che abbiamo qui raccolto. L'esigenza, infatti, di rendere l'architettura maggiormente espressiva sul piano della comunicazione, di facilitarne la decodificazione in assenza di filtri culturali estranei alla sen­ sibilità di un pubblico non specializzato, viene ricondotta, nel ricorso alla tradizione dell'antropomorfismo architetto­ nico, alle intenzioni di un simbolismo ingenuo e letterale o alla esemplarità del segno iconico. Nella terminol0gia corrente dell'architettura è frequente l'uso di espressioni desunte analogicamente dal corpo umano per designare particolarità costruttive (piede, fronte, brac­ cio): eppure l'automatica quotidianità dell'uso tende spesso a nascondere radici profonde nella storia dei significati e del-

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l'interpretazione dell'architettura e dei suoi rapporti con il mondo della comunicazione. La rappresentazione della forma umana e la concezione dell'architettura come riproduzione parziale o totale del corpo costituiscono, infatti, un vero e pro­ prio codice, fondato su di una interpretazione della realtà connessa alla componente simbolica insita in ogni opera, non meno che ad una molteplicità di concezioni filosofiche, co­ smologiche, religiose, ecc. Seguendo un percorso che va ... dalla terminologia e dalla introduzione nella costruzione architettonica di alcune parti del corpo umano, alla concezione dell'intero edificio in chiave antropomorfica e all'uso di sistemi di misura e proporziona­ mento riferiti alla figura dell'uomo, si giunge ad una esten­ sione del concetto all'intero significato dell'opera architetto­ nica, quasi dotata di una qualità organica ad immagine e so­ miglianza dell'uomo 57•

La cultura classica e quella del Rinascimento - ma si tratta di tendenza costante nella storia dell'architettura contengono teorie delle proporzioni degli edifici, ma anche precisi spunti morfologici desunti dalla figura umana: si pensi, infatti, all'uso di figure come le cariatidi e i telamoni, impiegate in termini decorativi o strutturali; alla tipologia vitruviana delle colonne riferite ai sessi e alle caratteristiche delle divinità; ai capitelli « figurati »; alle ricerche dei tratta­ tisti intese a stabilire un rapporto formale tra la pianta del­ l'edificio ed il corpo umano; alla concezione paradossale di Filarete, secondo cui l'edificio corrisponde all'uomo persino nei processi della vita biologica; alle teorie degli esponenti dell'antroposofia tedesca avvaloranti la tesi di una integrale rispondenza filosofico-religiosa ed antropometrica tra uomo ed architettura; al più recente « modulor », infine, di Le Cor­ busier, con la proposta di un canone metrico basato sull'uomo con il braccio alzato. Né l'antropomorfismo può considerarsi come esclusiva tradizione della cultura occidentale, ché anzi la rappresenta­ zione della vita corporea, nella varietà delle sue manifesta­ zioni, è tratto caratterizzante l'architettura religiosa delle ci30 viltà asiatiche ed orientali, non meno che delle popolazioni


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di interesse etnologico. Il biomorfismo si struttura come un fenomeno di carattere ricorrente anche in architetture assai diverse tra di loro, variamente alimentato da volontà di ri­ fondazione e da spinte irrazionalistiche: ma soprattutto ba­ sato sulla convinzione che la figurazione corporea negli edi­ fici funge da tramite tra la coscienza degli uomini, che nella corporeità riconosce appunto una parte di se stessa, e la fredda fisicità del costruito, destinato altrimenti a rimanere estraneo, usato ma non compreso 58•

Ci proponiamo qui di procedere ad una classificazione delle contemporanee ricerche antropomorfiche, rilevando la differenziazione nei modi e nei significati con cui la figura­ zione umana viene ripresa. Nel villaggio di vacanze a Vela Luka (fig. 7), sulla costa iugoslava, Porro fa ricorso al simbolo e alla figurazione come ad elementi strategici del processo progettuale: il primo, per l'opportunità che offre di penetrare nelle origini più lontane dell'uomo e di rivelarne i segreti dell'inconscio; il secondo, perché richiama direttamente nella sua forma qualcosa di concreto 59•

Il luogo stesso, con la suggestione esercitata dal paesag­ gio naturale ed il fascino evocato dal mito locale degli Ar­ gonauti colonizzatori, suggerisce Porro, ha ispirato l'immagine da imporre al progetto, la rappresentazione di un uomo mi­ tico che sorge dall'acqua. Immagine non nuova nelle architet­ ture del passato, se si pensa alle sfingi egiziane, ai mitici « colossi » dell'antichità, alla tradizione dei ritratti scolpiti sul profilo delle montagne ( dalla raffigurazione di Alessandro Magno sul monte Athos, ai Buddha asiatici, alle figure del monte Rushmore), a tutti quei tentativi, insomma, di imporre all'ambiente una dilatata presenza antropomorfica: l'architet­ tura diventa, così, elemento significante, capace di trasmet­ tere all'ambiente una intenzionalità semantica e di consen­ tirne la trasformazione da paesaggio naturale in « luogo sim­ bolico». Su di un terreno in pendio in riva al mare, una concre­ zione di piccole case, ciascuna delle quali ha un aspetto sem32

pllce e dimesso, forma dell'insieme un'immagine tra l'umano


e il bestiale. La tecnica di comunicazione è simile a quella che ritroviamo nella pittura dell'Arcimboldo: un continuo gioco di rinvio dall'ambiguità delle parti a quella dell'insieme, e vice­ versa, con un effetto pendolare tra il fascino e la repul­ sione 60• L'assunzione della figurazione corporea viene utilizzata da Porro come struttura sintattica e semantica della proget­ tazione, mentre il ricorso al simbolismo garantisce la rap­ presentatività e il sistema di riconoscibilità tra le singole parti nell'insieme. L'amministrazione coincide con la testa del gigante, il ristorante con lo stomaco, gli spazi sociali con le mani, le case disseminate a formare lo sterno. Ancora più minuzioso il processo di attribuzione simbolica degli spazi interni, intessuti di continui rimandi ai miti della terra e del cielo, della natura e dello spirito, di tenebrose divinità ctonie e solari simboli celesti. L'edificio diventa così un'immagine dell'antropocosmo, all'esterno l'uomo e all'interno un simboli­ smo della terra e del cielo, quel microcosmo che è l'uomo 61• Antropomorfismo e zoomorfismo appaiono, invece, inter­ pretati dai giapponesi Maeda e Akamoto in una dimensione di aggressività formale e di deformazione mostruosa, cari­ cate al limite dell'espressività 62• Così Akamoto imprime all'edificio della Ikebana School surreali trasformazioni: stravolgendo la necessità dell'assetto funzionale e la usualità dei nessi urbani, egli trasforma l'edi­ ficio nell'immagine di un teschio, sostenuto da tozzi pilastri piegati a formare mostruose zampe animalesche. Analoga­ mente il Gagaku stage ad Osaka - un piccolo teatro per rap­ presentazioni rituali - è concepito da Maeda come la bocca spalancata di un leone, costruita in cemento, ma accurata­ mente dipinta con speciali vernici che simulano il colore della pelle. L'assimilazione del codice antropomorfico in chiave de­ formativa si collega alla tradizione del mostruoso immagi­ nario, quale appare, per es., espresso nell'orrida fauna di gri­ foni, arpie, sfingi, di cui è popolata l'architettura classica; nelle « grottesche » e nei « capricci » del manierismo; nelle figure animalesche del parco dei mostri di Bomarzo; e nei 33


giardini di Bagheria; nelle aggressive allusioni zoomorfe del­ l'espressionista Finsterlin. Più sottilmente ironico e vicino all'iconismo oggettuale dell'arte pop, appare invece, l'antropomorfismo di Yamashita nella Casa-studio per designer a Kyoto e la Venus of Chicago di B. Quentin 63• Tradizionale nell'impostazione volumetrica e nella distri­ buzione degli interni, la casa di Yamashita (fig. 12) si riscatta dall'usualità volgendo la stereometria dell'impianto nello sche­ matismo di un moderno totem. Yamashita trasforma la fac­ ciata principale nella raffigurazione geometrizzata di un volto umano: gli occhi sono finestre circolari, il naso nasconde fori di ventilazione, la porta diventa una bocca spalancata. La fis­ sità dell'espressione, lontana da ogni connotazione simbolica, lo schematismo figurativo sembrano voler mediare la pre­ senza della figura umana con il più generale mondo degli og­ getti, proiettandola nel fuori scala del colosso abitato: si pensi pure all'immagine settecentesca dell'elefante «gentile» proposto come principesca abitazione; ma anche alla percor­ ribile statua della libertà. Un'altra strada si apre, così, più in linea con i tempi per l'uso della rappresentazione corporea in architettura: scar­ tato ogni ricorso alla interpretazione simbolica, rimane, sola possibilità, la riduzione della figura umana all'oggettualità dei segni pubblicitari, l'architettura sospesa al limite tra lo stupore ed il gioco, non senza qualche ammiccamento alla possibilità di una tecnologia alternativa. B. Quentin propone, sullo sfondo luminoso di Chicago, una gigantesca venere pneumatica, che ricorda nello schematismo della sagoma le arcaiche figure di H. Moore (fìg. 3). L'enorme struttura gonfia­ bile itinerante rappresenta l'immagine di una donna sdraiata e delimita una serie di spazi, corrispondenti a varie parti del corpo, destinati a rappresentazioni teatrali, manifestazioni musicali, mostre, ecc. Rimane, a questo punto, da interrogarsi sul significato della ricomparsa del codice corporeo nel sistema figurativo dell'architettura, sulla sua ritrovata presenza tra gli stru34 menti di alcuni architetti contemporanei. Scartata l'ipotesi


razionalista, la ricomparsa di tale codice ci sembra possa senz'altro collocarsi sotto il segno di una rinnovata intenzio­ nalità espressiva e di una volontà risemantizzatrice. Come si è detto, l'architettura per ridiventare «parlante» deve par­ lare allo spirito, commuovere l'anima 64: prescindendo dai ri­ sultati specifici, l'interesse di tali opere consiste, a nostro avviso, nel loro proporsi come possibili risposte alla do­ manda di potenziamento della struttura comunicativa del­ l'architettura. L'assunzione di modelli figurali antropomor­ fici si rivela così come una precisa scelta strategica: la storia stessa del loro stabile radicamento nell'architettura sta a dimostrare la strutturalità di una tale scelta, la sperimen­ tata efficacia della loro presenza nel mondo della comunica­ zione, la risonanza e l'immediatezza con cui tali modelli agi­ scono sulla sensibilità dell'utente, per condurlo ... ad un con­ tatto con l'edificio che va molto al di là del semplice uso 65• d) Peeskill, Houston, Richmond, Baltimore: quattro progetti

del gruppo Site per una

«

iconografia del disastro ».

In due articoli pubblicati nel giugno '75 sulle riviste «A.D. » e«L'architettura, cronache e storia», J. Wines, mem­ bro del gruppo americano Site, teorizza, sulla scia della dif­ fusione dei films«catastrofici » americani, l'esigenza, per l'ar­ chitettura contemporanea, della nascita di una nuova icono­ grafia, fondata sulla consapevolezza del presente stato di in• determinazione, conseguente al deteriorarsi del concetto di istituzione come sistema monolitico che omologa le diversità e sottovaluta le esigenze idiosincrasiche, quotidiane, umili della gente 66. L'esigenza teorizzata da Wines travalica, però, i limiti di una proposizione personale, collegandosi ad una molteplicità di ricerche il cui comune fondo è costituito dal partecipato interesse per i processi di distruzione dell'oggetto architetto­ nico, l'esercitata attenzione per l'universo del relativo, sparso, umile, quotidiano, l'esaltazione dell'ambiente (contesto) come insieme di relazioni che coinvolgono l'edificio progettato, il magnetismo esercitato dal concetto di rudere, il fascino del- · 35


l'indeterminato, l'attrazione verso gli edifici incompleti e le metamorfosi che riconducono l'oggetto di architettura - at­ traverso le successive fasi della sua degradazione fisica e tec­ nologica - allo statuto naturale, per cui da costruito diviene rudere. Si pensi, ad es., alle Sette Porte al Paradiso, lavoro pre­ sentato da R. Abraham alla Biennale '76 di Venezia, che si pongono come sette trasformazioni metaforiche di Una Casa, sette manifestazioni di memorie archeologiche impresse sui muri, ombre e giardini: un'architettura di silenzio, sepolta negli elementi del passato ma che si scontra con le allusioni dell'ignoto 67; ma anche alle programmate distruzioni di G. Matta-Clark, che progetta scientifici crolli di tetti, me­ diante il taglio e l'asportazione, in fasi successive, del loro punto di colmo 68• Cosl, nei suoi disegni per Una proposta di Costruzione � pure presente alla Biennale - C. Pelli gra­ ficizza l'idea di costruire una casa su cui esercitare il suc­ cedersi di vari processi di metamorfosi: essa segna l'accetta­ zione del concetto di precarietà e fragilità, attraverso cui pra­ ticare un allontanamento da una architettura che sfida la morte attraverso la sua solidità e durabilità. Nella indeter­ minatezza del segno si esplicita quella che Pelli definisce attrazione esercitata da edifici incompleti: l'incompletezza so­ stiene e fa scattare la reinterpretazione e il completamento da parte del soggetto... con una rovina noi ricostruiamo il passato; in una struttura incompleta ma finita noi potremmo supporre innumerevoli possibili futuri fil. Ma, mentre per Abraham, Pichler, Wilson-Sillet, ecc. la compresenza di tali interessi si risolve nell'ambito della pura costruzione teorica, nell'indicazione di una possibilità di me­ tafora disegnata di una condizione attuale dell'architettura, per Site la metafora va trasformata concretamente ìn oggetto, spostando l'interesse dalla fantasia d1 una attualità al piano della pura presenza fisica: l'architettura stessa, cioè, deve of­ frire, nel concreto del suo costituirsi come immagine, la vi­ sione della sua destrutturazione. Ai plastici argentati di Abra­ ham, alle fotografie di R. Smithson, ai disegni di Pichler, si 36 contrappongono gli edifici in rovina di Site, che, dietro la su-


perfide metamorfizzata dell'immagine esteriore, ne lasciano intatta l'interna funzionalità d'uso. Site, infatti - il nome indica un gruppo di artisti, scrit­ tori, tecnici formatosi a New York nel '69 per esplorare e sviluppare nuove concezioni nell'arte dell'ambiente urbano si caratterizza per un costante interesse ai vettori fisici della comunicazione nella realtà del contesto urbano: il suo lavoro riguarda l'informazione e il suo medium è la struttura ur­ bana 70• Ci sembra che tale caratteristica vada sottolineata, per­ ché costituisce l'aggancio di queste operazioni al recupero operato dalla cultura pop americana del primato dell'imma­ gine come metodo di rappresentazione della città all'idea della visibilità offerta come spettacolo, alla volontà di con­ figurare, nella «popolarità» delle immagini del vissuto quo­ tidiano, le nuove icone attraverso cui restituire all'architet­ tura la forza perduta di tornare ad essere oggetto comuni­ cante. E, infatti, puntualmente Wines è pronto a proporre come precursori di queste idee inversionistiche in campo ar­ chitettonico le figure di R. Venturi e D. Scott-Brown, per aver liberato il vocabolario architettonico dalle pastoie del fun. zionalismo modernista, aver sostenuto la vitalità delle im­ magini tratte dal paesaggio quotidiano, volgare, sporco, ma soprattutto per aver affermato che l'immagine di un edificio deve derivare dalle forze contestuali esterne e dai simboli della iconografia vernacola. Le pareti degli angoli che si spellano, le cascate tratte­ nute di mattoni che sembrano precipitare attraverso le sbrec­ ciature delle pareti, trasformazioni realizzate dal gruppo tra il '72 e il '74 per la Best Products a Houston, Richmond, Bal­ timore, sono proposte come un semaforo di informazione, ca­ pace di produrre una percezione istantanea, un immediato impatto visivo, secondo l'idea di un'arte che si legga a 120 al­ l'ora dall'auto che passa. Uno dei primi interventi di Site è stato quello di tra­ sformare un quartiere di abitazioni a Peekskill, N.Y., costi­ tuito da massicce strutture in mattoni che escludono ogni riferimento visivo ed ambientale al retrostante paesaggio di 37


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montagne e colline. La soluzione di Site propone di far pro­ seguire le tessiture murarie degli edifici, in modo che il loro blocco rettangolare risulti come « fuso» ed organicamente raccordato al suolo, dando la sensazione di riportare entro la città i movimenti del paesaggio. L'intervento divene così fun. zione del luogo, basandosi le soluzioni sulle caratteristiche fisiche, psicologiche, fenomenologiche del contesto: le condi­ zioni esistenti ( cioè l'architettura, il paesaggio, la funzione) vengono impiegate per sviluppare 'tilla metamorfosi degli scopi iniziali, spesso l'inversione completa dell'intenzionalità originaria di un certo luogo 71• Peekskill fornisce la possibilità di analizzare le relazioni tra contesto urbano (gli edifici) e contesto naturale (il pae­ saggio); gli edifici per la Best Products - una grossa società di vendita al dettaglio e per corrispondenza che costituisce una delle principali fonti di committenza del gruppo - sono studiati per accedere ad un tipo di comunicazione più rapida ed immediata, richlami inconsueti per i distratti automobili­ sti che percorrono le veloci autostrade di cui è intessuta la sterminata periferia americana n. Simboli più stupefacenti che non inquietanti, tesi a suscitare lo stupore dell'inatteso,· più che il brivido di intuire il diverso sotto le spoglie del noto, esibiti come immagini « popolari», nel senso che abil­ mente si connettono e si infiltrano nella popolosa mitologia dei sogni e degli incubi di massa. A Richmond, la scatola di mattoni dell'edificio commer­ ciale (fig. 13) viene sconvolta dalla realizzazione di una pa­ rete che si stacca dalla facciata, arrotolandosi ed accartoc­ ciandosi agli angoli superiori; a Baltimore la tessitura di mat­ toni del solito showroom (fig. 15) viene sbrindellata nell'an­ golo inferiore, al livello della strada, a dissimulare la vetrata retrostante dell'ingresso; a Houston, infine, la proposta di Site comporta la« de-architetturizzazione,. dell'intera facciata e del fianco dell'edificio, ottenuta con l'innalzamento del pa­ ramento di mattoni oltre il livello del tetto e modulandolo ad altezze variabili, in modo da conferire l'idea di una pa­ rete in rovina (fig. 14): l'effetto iper-realistico dell'ingegnoso trompe-l'reil è completato da uno squarcio nella parete princi-


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11, A. Isozaki, Fujimi Country Club. 12, Yamashita, Casa-studio per grafie designer. 13, Site, Best Products Retail Center. 14, Site, 15, Site, Best Products Building. Best Products Showroom.

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pale, attraverso cui si affaccia l'immagine di un mucchio di mattoni che sembrano precipitare sulla sottostante pensi­ lina. L'uso di questi « effetti speciali » è reso possibile dal ri­ corso a tecnologie estremamente sofisticate: si può anzi sen� z'altro ritenere l'aggiornamento tecnologico sollecitato dalle esigenze di realismo rappresentativo. Come la verità del film è identificata con la verità delle sue macchine sceniche 73, così la tecnica si assume il compito, nelle rovine di Site, di garantirne la verosimiglianza, il principio di un realismo as­ soluto, per cui diventano «vere», completamente convincenti nei loro dettagli. L'architettura moderna americana ha costruito la sua im­ magine_ sul mito della tecnologia, proposta prima come tra­ mite tra l'uomo e l'utopia - e quindi legata all'idea di un progresso che dispensa benessere - e assunta, poi, come l'immagine tout-court di se stessa. Il fallimento dell'utopia progressista, riflesso nel disfacimento della città e nella crisi dell'ideologia urbana, ha finito col travolgere, nel suo rovinoso crollo, l'idea stessa dell'architettura. Ecco allora che la rela­ zione dell'umanità con le forze naturali diviene l'ultima ri­ cerca di speranza e, pertanto, di simbolismo: la natura (l'este­ tica del caso) con la degradazione irreversibile della materia e dell'energia dell'universo segna la rivincita dell'uomo sulla perfezione agghiacciante, sull'immobilismo «mostruoso» del­ l'immagine supertecnologica 74• La terra si scuote a ripetere l'ammonimento biblico con­ tro la folle presunzione umana, la pelle di cristallo dei grat­ tacieli dell'« era watergate» si incrina pericolosamente, si sfalda, percorre con bagliori di fuoco il silenzio attonito, l'at-_ mosfera sospesa della « notte americana ». La rappresentazione del disastro... allude, oggi, ad un esterno, si offre come riverbero, ammicca allo spazio sociale colto nella sua crisi ( ... ) si offre come messa in scena di questo fantasma, versione infernale, (ma al tempo stesso· visibile ed attraente) dei conflitti reali degli anni '70 75• La popolarità dei films apocalittici non può considerarsi, per Wines, un simbolico desiderio di morte da parte del pub40 blico, anzi ne incarna la « ribellione istintiva " contro il dise-


gno sotteso del « piano totale ». Dalle ceneri del crollo non si salvano strutture ed istituzioni, solo si intravede, nel fumo del gigantesco rogo, l'indeterminazione del futuro, la fiducia nella capacità purificatrice della calamità e della rovina, la convinzione che l'inversione e l'entropia sono diventate le ri­ sorse generatrici dell'arte per il pubblico dell'architettura. Infatti, l'architettura deve tornare a costruire l'habitat come estensione delle risorse regionali della terra, come parte di un sano continuum ecologico: l'esempio rivitalizzante pro­ viene ancora una volta dell'architettura autoctona e povera, per la sua capacità di fluir� con la natura anziché opporsi ad essa 76 • Al fondo, ecco, insomma, riapparire la natura, li solo antecedente storico di tutta la cultura americana autoctona 77• Coglie nel giusto, quindi, J. Nuttal che, in un editoriale dedicato a Site, accusa il gruppo, sebbene in verità con moti­ vazioni empiriche, di puritanesimo e di boy-scoutismo 71• Non è, infatti, quella di Site, autoflagellazione architettonica, come afferma Zevi, volontà di addossarsi tutte le colpe del mondo 79, ma il raffiorare del disprezzo antico dell'anima puritana per la metropoli moderna, gigantesco luogo di accumulo di vizi e distorsioni; il richiamo allo spirito della prateria; il sogno archetipo dell'americano medio, l'antica casa d'Adamo, la mi­ tica capanna di tronchi del Walden di Thoreau. A conclusione di questo nostro excursus, ci preme sotto­ lineare, nella varietà dei modi in cui si concretizza lo sforzo di rinnovare il mondo della significazione architettonica, la disinvoltura e l'eclettismo teorico che caratterizzano il ri­ corso, da parte di alcuni architetti, alla semiologia e alla lin­ guistica come strumenti di progettazione e di analisi. A parte la rigorosità analitica di Eisenman, infatti, ci sembra che le proposizioni del « gruppo argentino » pecchino di alcune in­ certezze e di un certo ibridismo nel delineare il campo di· un lavoro che, mentre si impegna sul piano di una severa definizione teorica, non disdegna, poi, di misurarsi con la manipolazione e il gioco degli equilibri formali. Il rischio dell'approssimazione teorica e. della disinvolta declinazione di termini desunti da discipline che non appartengono al corpus dell'architettura, ci fanno a·d essi preferire quegli archi- 41 ·


tetti che mostrano, piuttosto, di affrontare il tema della ri­ semantizzazione nel vivo del fare architettonico. La concre­ tezza delle opere - indipendentemente dal loro tradursi in realtà costruita - contiene l'illuminante chiarezza di uno scandaglio esercitato nel corpo stesso dell'architettura, con­ tribuendo così ad aprirla alla molteplicità, spesso trascurata, delle sue componenti; di un esemplare porsi come termine di riferimento e di confronto per chi nel campo della pratica architettonica opera .

I R. STERN, Gray Architecture: quelques variations post-modernistes autour de l'architecture, in e L'Arehitecture d'Aujourd'hui" n. 186,

agosto-settembre 1976.

2 P. D. EISENMAN, Maison VI, in e L'Arehiteeture d'Aujourd'hui •• fase. eit. 3 R. BARIUI, Poetica e retorica, Mursia, Torino 1969, p. 7. • M. TAFURI, Les cendres de Jefferson, in e L'Arehitecture d'Aujourd'hui •• fase. cit. s Ibidem, p. 58. 6 Ibidem, p. 58. 7 B. ZEVI, Piazza d'Italia è uno stivale, in «l'Espresso•• n. 17, a. XXII, 1976. a R. DE Fusco, Storia dell'architettura contemporanea, Laterza, Bari 1974, p. 428. 9 E. UNGARI, Immagine del disastro, cinema, schock e tabù, Arcana editrice, Roma 1975, pp. 34-35. 10 M. TAFURI, Les bijoux indiscrets, in Five Architects, N.Y., Officina Edizioni, Roma 1976, p. 16. 11 R. PoMMER, The new architectural suprematists, in « Artforum • ott. 1976. 12 Ibidem. 13 P. D. EISENMAN, Cardboard architecture,

a. 1973.

14 Ibidem. 15 Ibidem.

in «Casabella », n. 374,

16 P. D. EINSENMAN, Appunti sull'architettura concettuale. Verso una definizione, in e Casabella •• n. 359-360, a. 1971. 11 Ibidem. 18 Ibidem. 19 Ibidem. 211 Ibidem. 21 Ibidem. 22 M. TAFURI, Op. cit., p. 16. 23 D. AGREST e M. GANDELSONAS, Architecture Architecture, « L'Archi­

tecture d'Aujourd'hui•, fase. cit.

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24 D AGREST Les Echelles, Ibidem. AGRI:Sr. e M. GANDELSONAS, Ibidem. 2S

o:


26 M.. GANDELSONAS, Un éd{fice ·comme classificateur du cÒrps·· hum"ain ' in « L'Arehiteeture d'Aujourd'hui •. fase. cit.

n Ibidem.

28 M. TAFURI, Les cendres de Jefferson, in « L'Arehiteeture d'Aujour· d'hui •• fase. cit. 29 La citazione è in M. GANDELSONAS, Op. cit. .lO M. TAFURI, Op. cit. 31 D. ACllEST, M. GALDELSONAS, Op. "cit. 32 D. AGREST e M. GANDELSONAS, Semiotica ed architettura: consumo ideologico o lavoro teorico, in· e Controspazio •, n. -i. sett. 1975. 33 Ibidem. 34 Cfr. Piazza d'Italia in New Orleans, in· • Progressive Arehiteture •• · n. 1, 1976. ·35 B. ZEVI, Op.

36 CH. MooRE, Autoportrait. Moore vs Moore, in « d'Aujourd'hui », n. 184, a. 1976. 37 R. DE Fusco, Op. cit., p. 428. 38 D. AGREST, Portrait d'une artiste. Form diggers, in • L'Arehiteeture d'Aujourd'hui », n. 184 cit. YJ Cfr. CH MooRE, Architettura e luogo, intervista a cura di C. D'Amato e V. Berti, in « Controspazio •• n. 1. 1976. · 40 W. W0RRINGER, Astrazione ed empatia, Einaudi, Torino 1975,. p. 62. 41 R. Assui-i'ro, Stagioni e ragioni dell'estetica del 700, Mursia, Milano 1967, p. 73. 42 R. P0MMER, Op. cit. 43 A. lsoZAKI, The methaphor of the cube, in • The Japan Arehiteet •• n. 229, 1976. 44 CH. JENeKs, Jsozaki's paradoxical cube. Ibidem. 45 A. ISOZAKI, From Manner, to Rhetoric, to...• in • The Japan Ar­ ehitect •• n. 230, 1976. . 46 P. D. EISENMAN, Architettura concettuale, in • Casabella, n. 386, 1974. 47 K. TAKI, Wor/d in a mirror 2, in « The Japan Arehiteet •• n. 230, 1976. Cfr. pure dello stesso autore, World in a mirror, in • The Japan Arehiteet •, n. 229, 1976. 48 A. lsoZAKI, Op. cit.

49 A. IsoZAKI, Rhetoric of the cylinder, in « The Japan Arehiteet •• n. 230, 1976. SO A. MIYAGAWA, In the Blank of the Teory of Maniera, in • The Japan Arehiteet •• n. 229, 1976. s1 Ibidem.

52 Le citazioni sono in R. MACHADO, L'architecture masquée, in • L'Ar­ ehitecture d'Aujourd'hui •• n. 186, 1976. 53 M. TAFURI, Op. cit. 54 F. NIETZSCHE, Umano, troppo umano e Scelta di frammenti po­ stumi, llf76-77, Mondadori, Milano 1976, p. 141. ss R. MACHADO e J. SILVElTI, Fountain House, in • L'Arehiteeture d'Aujourd'hui •• n. 186, efr. pure Fountain House, in • Progressive Ar­ chiteeture •• n. 1. 1976. .56 Ibidem. SI Cfr. la voce Antropomorfismo, in Dizionario Architettura e Urba­

nistica.

58 A. FERRARI, Il sogno e il senso come virtù e come impegno, in « Casabella •• n. 397, 1975. Cfr. pure dello stesso autore, R. Porro: L'immaginazione al potere, in • Casabella •• n. 386, 1974.

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59 R. PORRO, Cinq aspects du contenu en architecture, in • Psicon •• Il. 2/2, 1975. "° A. FERRARI, Op. cit. 61 R. PORRO, Op. cit. 62 Cfr. C. FAWCEIT, How to direct the course of architecture into cartoonform, in « Architectural Design•• n. 7, 1975. 6l C. FAWCEIT, Op. cit.; B. OUENTIN, Venus of Chicago, in e L'Archi­ tecture d'Aujourd'hui•, n. 168, 1973. 64 La citazione di N. Le Camus De Mézierès è in R. DE Fusco, Segni, storia e progetto dell'architettura, Laterza, Bari 1973, p. 57. 65 A. FERRAR!, Op. cit. 66 Cfr. J. WINES, De-architecturizatio11: tlie iconography of disaster, in « Architectoral Design•• giugno 1975. 67 R. ABRAHAM, Sette Porte al Paradiso, in B. '76. Catalogo generale della Biennale II, Venezia 1976, p. 254. 68 Cfr. G. MATTA - CLARK, L'architettura è 1111 ready made, in • Casa­ bella•• n. 391, a. 1974. 1H C. PELLI, Una proposta di costruzione, in B. '76, Catalogo gene­ rale della Biennale II, Venezia 1976, p. 261. 70 What is Site, /ne? in L'intorno scolpito, in « L'architettura, cro­ nache e storia•• n. 211, a. 1973. 11 Ibidem. 72 Cfr. pure Architettura disf11nzionale e prestigio urbano, in « Casa­ bella », n. 371, 1972; Arte urbana. La città come ready made modificabile, in « Casabella•• n. 388, 1974; Site, Indeterminate facade, in « Casabella•• n. 411, 1976. 73 E. UNGARI, Op. cit., p. 61. 74 J. WINES, Iconografia del disastro ( De-architecturization), in « L'architettura, cronache e storia •• n. 236, 1975. 75 E. UNGARI, Op. cit., p. 35. 76 J. WINES, Op. cii. 77 G. Crncc1, La città nell'ideologia agraria di F.Ll. Wright, in La città americana dalla guerra civile al « New Dea/•• Laterza, Bari 1973, p. 381. 78 J. NUTTAL, Site, in « Architectural Design•, maggio 1972. 79 B. ZEVI, Autoflagellazione architettonica, in « L'architettura, cro• nache e storia•• n. 236, 1975.

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Dalla fotografia al videotape' MARIANTONIETTA PICONE PETRUSA

Qualche anno fa ci è stata elargita la glorla della nostra epoca, una macchina che costituisce ogni giorno lo stupore dei nostri pensieri e il terrore dei nostri occhi. Prima che sia passato un secolo questa macchina sarà il pennello, la tavo­ lozza, i colori, l'abilità, l'esperienza, la pazienza, la lestezza, la pregnanza, la tinteggiatura, la velatura, il modello, il compi­ mento, l'estratto della pittura( ... ) 2• Con queste parole nel 1855 Antoine Wierz pronosticava il futuro dell'arte con la crisi dei sistemi pittorici tradizionali da un lato, e l'impiego sempre maggiore degli strumenti fotografici dall'altro. Nel 1839 il pittore Paul Delaroche, intuendo la fortuna che avrebbe avuto la fotografia a discapito della pittura, esclamò: Da oggi la pit­ tura è morta 3• Tuttavia non si creda che la dagherrotipia uc­ cida l'arte, ribatteva alcuni anni dopo Wierz. Dopo un secolo di tentennamenti e compromessi queste profezie si sono, al­ meno in parte, avverate e oggi si può senz'altro dire che, mentre la pittura, sempre sul punto di morire, non è ancora defunta e ogni tanto dà segni di ripresa, la fotografia ha cer­ tamente occupato uno spazio molto ampio prima riservato alla pittura. Senza dubbio è il mercato che di volta in volta recupera la polvere delle tele come i diritti d'autore prolun­ gando l'agonia dell'opera musicale. Se non ci fosse questo fattore e il potere che vi sta attorno, i nuovi mezzi avrebbero dato già da tempo una nuova collocabilltà all'informazione sensoriale 4• Oggi che anche il mercato ha ormai legittimato in pieno la fotografia non c'è più ragione di dibattere se sia vera arte o meno. Tuttavia nell'ottocento e per buona parte del novecento, almeno fino al secondo dopoguerra, la fotogra-

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fia ha condizionato l'arte,· soprattutto la pittura, in negativo, ::senza ottenere un .riconùsciinento di:legittim�tà artistica ·come fatto autonomo. Ora la prospettiva è mutata e si guardano in modo· diverso anche gli sperimentatori del passato: si pensi alla notorietà che hanno oggi Nadar, Bragaglia, Man Ray etc. La comparsa della fotografia e del cinema è senz'altro uno dei fattori determinanti per l'origine dell'arte astratta. Oltre che una reazione alla situazione sociale della fine del­ l'ottocento, dopo il fallimento della Comune, e l'attestarsi della borghesia su posizioni conservatrici, il procedimento .. analitico nei confronti della luce e della composizione dei co­ lori da parte degli impressionisti, e ancor più dei divisionisti, ..erano una risposta, fra l'altro, al miinetismo, o presunto tale dei mezzi fotografici. Che bisogno c'era di fare il ritratto tra-dizionale in .pittura quando. Nadar aveva dimostrato che quella macchina diabolica, inventata da Niepce e perfezionata da Talbot e Daguerre,. poteva dare risultati molto interessanti .ji:i quel campo? Con l'invenzione della fotografia cominciò un'evoluzione nel corso della quale l'arte del ritratto, sotto le diverse·forme di pittura ad olio, di miniatura, di incisione, cosl come era .esercitata per rispondere alle richieste della borghesia media, fu quasi completamente soppiantata 5• D'al­ tro canto la , fotografia e . gH altri mezzi meccanici (cinema, treno, automobile, aereo, etc.) impongono a viva forza e senza troppe reticenze una nuova visione della realtà frantumando . tutto ciò che incontrano strada facendo. Creano, insomma, un . nuovo spazio fisico e mentale 6• Da questo punto di vista il medium non è un oggetto neutro, e, anche se è suscettibile cli usi diversi, ha già in sé un potenziale di condizionamento . nei confronti dei suoi fruitori per cui, secondo Mc Luhan, il «medium» è fl,messaggio, in quanto è- il «medium» che controlla e plasma le proporzioni e la forma dell'associazione e dell'azione. umana 7• In questa situazione le possibilità· che si aprono alla pjttura sono tre: 1 )·: esasperare. l'analisi dei propri mezzi linguistici fino a stravolgerli, in modo .da sot­ tolineare la propria specificità e autonomia (è quanto farà l'astrattismo); 2) fare a gara con le nuove scoperte tecniche _·46 (futurismo); 3) affiancare i nuovi risultati tecnici agli stru-


menti tradizionali, sia nel senso che numerosi pittori si oc­ cuperanno di fotografia o di cinema (ad esempio Léger, Richter, i costruttivisti russi, Moholy-Nagy, Man Ray) sia che l,1 fotografia entra nell'opera pittorica come reperto della realtà (cubismo), o ready made (Duchamp, Schwitters etc.), o ele­ mento di denuncia (Hartfield e i dadaisti tedeschi). Negli anni '60 con l'esplosione pop e il nouveau réalisme, dopo una prima fase in cui si contraffacevano gli effetti fotografici e meccanici mediante gli strumenti pittorici tradizionali, ci si rivolse al mezzo fotografico tout court, con il sistema dei ri­ porti fotografici su tela emulsionata. Pop artisti come Warhol, nouveaux réalistes come Mimmo Rotella e tutto il gruppo della Mec art faranno della fotografia uno strumento espressivo del tutto autonomo, fino ad un uso addirittura virtuosi­ stico di questo medium da parte di Jacquet, Bertini, Bury, Di Bello, etc.. Secondo Daniela Palazzoli la fotografia viene adottata perché essa è il linguaggio del quadro di oggi, cosl come la pittura ad olio lo era per quello di ieri, e aggiunge: non si è solo sostituita al quadro tradizionale ma ha permesso all'artista di vedere più chiaramente la funzione del suo la­ voro 8• Luciano Inga-Pin ritiene che la Mec art non era riu­ scita ad andare fino in fondo ( ... ) era diventata un'« altra» pittura 9, mentre una svolta decisiva si è avuta con l'arte povera e la conceptual art alla fine degli anni '60. Abbandonati gli strumenti tradizionali e la nozione di quadro che ancora sussisteva nella pop e nella Mec art, sono rimbalzati in primo piano le azioni e i procedimenti mentali dell'artista che hanno richiesto sempre di più il contatto diretto arti­ sta-pubblico o, in mancanza di questo, una documentazione precisa ed obbiettiva degli eventi. E. a questo punto che nasce l'esigenza di introdurre, oltre la fotografia, la cinepresa e il video-tape. Rispetto al cinema il video-tape ha una storia molto più recente come medium visivo e fa risalire la sua applicazione in arte al 1965 da parte dell'artista coreano Nam June Paik, appartenente al gruppo Fluxus. Nam June Paik, dopo essersi interessato di musica elettronica, si era dedicato alla TV cominciando a studiare elettronica nel '60-'61. Nel '63 organizza una mostra con 13 televisori che presentano va-

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riazioni diverse della stessa immagine; nel '64 con l'ingegnere Shuya Abe mette a punto il sintetizzatore e nel '65 usa per la prima volta il video registratore a fini artistici. Già a quel­ l'epoca Nam June Paik vedeva chiaramente la portata di questa novità, al punto da affermare in un celebre manife­ sto: Come la tecnica dei collage ha sostituito la pittura cosl il tubo catodico sostituirà la tela 10• In America le sperimen­ tazioni video si affermano abbastanza presto con Piene, Tam­ bellini, Douglas Davis, Kaprow e subito dopo con Oppenheim, Gillette, Dan Graham, Nauman, Acconci, Campus, Levine etc.. Nel '68 la Sony costruisce il primo video-registratore porta­ tile che in USA prende il nome di « portapack », e dà inizio •con questo ad una larga diffusione di tale strumento in arte. Nel '69 il tedesco Gerry Schum apre una « Galerie TV » a Berlino e poco dopo una « Video Gallery » a Diisse\dorf e organizza due mostre di video-tapes, Land art e Identifications, che riusciranno ad essere trasmesse via cavo alla TV tedesca. Successivamente Schum diventa consulente del museo di Essen per la creazione di uno studio video. Nello stesso pe­ riodo anche in Italia cominciano le ricerche sul video-tape: si distinguono presto Baruchello e Giaccari, mentre nel '73 nasce a Firenze il primo centro italiano di produzione video « Art/tapes/22 », che recentemente si è sciolto per dar vita ad una nuova organizzazione con il nome di « Imagine » 11• Nel 1971 la video-arte ha il suo riconoscimento ufficiale con l'apertura della prima sezione dedicata al video nel museo di Syracuse negli USA seguito dai musei di Houston e di Long Beach. Da questa data non c'è rassegna artistica di una certa ampiezza che non preveda un settore video: la Biennale di Parigi, quella di Venezia, quella di San Paolo, Documenta a Kassel e così via. La caratteristica specifica del video tape è, secondo Ber­ ger, quella di rompere con lo spazio come dimensione privi­ legiata per mettere l'accento sul fattore temporale, eteroge­ neo rispetto alla riproduzione fotografica 12• La dimensione temporale è comune anche al fil� ma la video arte si dif­ ferenzia, o vorrebbe differenziarsi, dal cinema. Nel disposi48 tivo video l'emissione dl luce proveniente dall'apparecchio


colpisce l'occhio dello spettatore, la sua intensità diretta è molto elevata,

il

formato dello schermo si incastra perfetta­

mente nel campo di mobilità dell'occhio. L'apparecchio video

mentre il film pre­ senta condizioni diverse: 1) uno schermo di grandi dimen­ sioni; 2) un flusso di luce esce da una fonte posta dietro lo

non è legato ad un luogo determinato 13,

spettatore, la luce riflessa, è dunque meno forte di quella emessa dal video, d'altra parte implica delle condizioni di oscurità assoluta; 3)

il

luogo cinematografico è investito di

una funzione precisa e non mutabile: proiettare films; 4) in­

fine il

film dispone di emulsioni di una grandissima finezza, di

il rilievo delle forme e l'accentuazione del fenomeno di riconoscimento 14• In qual­ che misura video arte e cinema sperimentale, secondo Clau­ dine Eizykman si avvicinano per il fatto che non c'è scarto fra il reale e il visivo 15, mentre il film narrativo rappresenta­ tivo postula questo scarto e se ne nutre 16• Dello stesso parere è anche Wulf Herzogenrath per il quale la televisione sostiene una grandissima definizione che pennette

sempre la realtà, nonostante ogni sua manipolazione. Per con­ trasto un film è sempre finto ed elusivo 17• Non ci sentiamo

di condividere questa posizione in quanto nella televisione anche la ripresa diretta ha il suo montaggio (passaggio a varie telecamere, variazione di punti di vista scelti dal diret• tore della ripresa) che è già un'interferenza sul tempo (per esempio può attribuire ritmi serratissimi ad un evento lento

e noioso o immobilità all'immagine di un fatto drammatico 18• Ci sembra pertanto del tutto fittizia l'impressione che il video sia più « immediato » o « trasparente » rispetto al film. La verità è che spesso soprattutto nel caso di registrazioni di performances ma anche nelle composizioni di effetti speciali, si potevano raggiungere gli stessi risultati con un film per cui si tratta talvolta di old wine, new bottle, per dirla .con Kaprow, solo che il video-tape è semplicemente più econo­

mico e più veloce 19•

In ogni caso la video registrazione può essere usata con due scopi diversi: 1) per documentare gli environments, i comportamenti, l'arte sociologica - e in questo caso il videotape è solo uno strumento -; 2) oppure come fatto impor-

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tante per se stesso, che pe1mette di ricavare effetti partico­ lari mediante la manipolazione del magnetoscopio. Queste due diverse vie d'impiego del videotape nascondono entrambe dei rischi: l'una di assegnare allo strumento una funzione passiva di registrazione di cose già note senza sfruttarne in pieno le doti caratteristiche, l'altra, dato fondo al magazzino certamente sorprendente delle possibilità elettroniche, può condurre a sterili concettualismi 20• Tuttavia, secondo Clau­ dine Eizykman, non solo questa seconda via ma tutta l'arte video è indirizzata verso l'investigazione dello stesso disposi­ tivo e dei suoi elementi (... ): 1) distogliendo i sostrati elet­ tronici dal loro funzionamento normale: l'irregolarità del fa­ scio ottico, del senso e della velocità dell'analisi, della lumi­ nosità, etc.; 2) dando origine a spazi, forze che presagiscono percezioni nuove, anche quando le immagini di partenza sono realiste 21 • Lo sfruttamento delle possibilità tecniche rac­ chiuse nel video si deve soprattutto a Nam June Paik ben presto seguito dallo svizzero Otth, dal francese Aman, dagli americani Serra, !ola, Morris e Jonas etc.. Il coreano Nam June Paik ha costruito in collaborazione con l'ing. Abe il primo sintetizzatore realizzato poi in altre versioni da Rut e Etra, dal francese Marcel Dupouy 22 e da altri. Il sintetizza­ tore basa il suo funzionamento su tre principi: - Primo, generazione e combinazione di forme « sinteti­ che• (cioè generate senza camera), geometriche e astratte. - Secondo, una « colorazione • che pennette di aggiun­ gere ad un segnale video bianco e nero il colore con l'aiuto di una tavolozza elettronica (...). - Il terzo tipo di operazione ci sembra il più importante: concerne la possibilità di apportare al segnale elettronico tutte le operazioni che si possono qualificare di « plasticità• dell'immagine (...). Sono possibili tutte le variazioni in altezza, larghezza, profondità, rotazione, decentramento e inversione orizzontali e verticali (...) 23• Tutto ciò avvicina molto il video a uno strumento musicale e permette di operare direttamente sulla materia visiva, come i musicisti hanno fatto da molto tempo per la materia sonora 2A, Il cambiamento dell'imma50 gine si fa istantaneamente (life): potete suonare il sintetiz-


zatore come un pianoforte 25 • Modulando i sintetizzatori si possono dunque avere effetti molto diversi con la deforma­ zione di immagini prese dalla realtà o con la creazione di nuove per lo più astratte e metamorfiche. Prendendo spunto dalla mostra Vidéo et confrontation vidéo 26, Claudine Eizyk­ man 2 7 individua quattro tipi di ricerche elettroniche nell'ar­ te-video: 1) Prima di tutto ci sono quelle che hanno come punto di riferimento il dispositivo video stesso, sia attraverso la sua ostentazione sia mediante il suo spostamento nel pro­ cesso di realizzazione; ad esempio H elio di A. Kaprow e Tree transitions di P. Camus che, usando più camere moltiplica i punti di vista e indaga le disparità fra la percezione mecca­ nica e la profondità della percezione umana, o ancora R-G-B (1973) dallo stesso Campus che riguarda tre colori rosso, verde e blu e procede dal semplice al complesso combinando i colori prima mediante un intervento fisico poi meccanico, infine elettronico ia. 2) Poi vengono i videotapes che pro­ ducono serie plastiche basando la deformazione soprattutto sul colore: in particolare questo tipo di registrazione è adatta a presentare variazioni di forme geometriche (come in Untitled di S. Sweeney e in Archétron di T. Tadlock) oppure a creare relazioni fra le immagini e la musica o la danza (ad es. Music Image di R. Hayes) proseguendo un tipo di sperimentazioni che furono tentate nel cinema da Viking Eggeling negli anni '30 e più tardi con risultati piuttosto mo­ desti, nel film d'animazione Fantasia di Walt Disney; più com­ plesso si presenta invece Global Groove di Nam June Paik con variazioni di forme, colori e contenuti; si tratta infatti di una specie di festival musicale con pezzi di danza e musica di tutto il mondo che cerca di anticipare quello che suc­ cederà un giorno quando tutto il mondo sarà legato dalla TV via cavo. 3) Ci sono poi i nastri che ricostituiscono uno spazio rappresentativo e narrativo. In tal modo ricreano la forma chiusa di tipo cinematografico; è il caso, ad esempio, di Scape mates di E. Emshwiller, un lavoro sul colore e sulla fuga rit­ mica di oggetti inseriti in scene prospettiche di tipo geome­ trico. 4) Infine ci sono i video-tapes che mettono in crisi le abitudini percettive, rallentando o accelerando la velocità del- 51


l'analisi, in modo che l'occhio si immobilizza e si lascia perva­ dere (Black Sunrise dei Vasulka o Gold e Dolphins degli Etra), oppure creando effetti tattili di fluidi gassosi, materie ribollen­ ti etc.: ad esempio, in Genesis di Stan van der Besk si ha l'impressione di vedere pezzi di immagini che cadono e in 66-73 di Tambellini sembra di assistere ad una sequenza di esplosioni. Quest'ultimo tipo di sperimentazioni genera, se­ condo C. Eizykman, una vera e propria « ipnosi », poiché il cervello è direttamente sollecitato, integra direttamente le eccitazioni videofilmiche. L'occhio « cessa di vedere » 92 • Quando il video-registratore non interessa gli artisti per le sue possibilità elettroniche, ma come strumento per documen­ tare azioni e comportamenti, permette agli artisti del video di produrre versioni credibili del processo di tempo reale ( ... ) :I:: questo l'elemento che attualmente permette all'artista del video di impegnare in modo così intimo il proprio pubblico 30• Secondo Daniela Palazzoli, la vocazione naturale del video• tape sembra essere stata fino ad ora quella di sussidio didat• tico nell'ambito delle tecnologie educative. Tuttavia per le sue caratteristiche di istantaneità riproduttiva, di trasportabilità, di conservazione, superiori al cinema ha cominciato ad essere utilizzato anche dagli artisti 31• Programmaticamente l'uso che ne fanno gli artisti si allontana da quello didattico, soprat• tutto se si pensa ai film didattici sull'arte così come sono stati concepiti fin'ora. Una scultura - ha detto Gerry Schum - non è fatta per un medium come quello del film o della TV. Le sculture sono fatte per il contatto diretto, per girarci attorno, per essere toccate. Così mi sono messo a cercare artisti che fossero capaci di usare la TV come mezzo per creare sculture direttamente concepite per il medium TV 32• Cosa significhi esattamente ciò è chiarito dallo stesso Schum nel corso dell'intervista, quando illustra un lavoro dell'artista land Jan Dibbets: L'idea base di Dibbets è la cor• rezione della prospettiva. Un'idea che può essere realizzata solo mediante il film o la fotografia. Dibbets disegnò un tra• pezio gigantesco, con l'aiuto di un bulldozer, sulla sabbia di una spiaggia. :I:: noto che se voi guardate a due parallele in prospettiva esse sembrano toccarsi nel punto più distante. Fu 52


questo fenomeno ad essere usato da Dibbets nella sua corre­ zione della prospettiva. L'angolo del trapezio fu scelto in re­ lazione all'angolo della lunghezza focale della cinepresa. Il ri­

sultato fu che, visto nel film o alla TV, il trapezio sembrava un quadrato perfetto. Questo quadrato esisteva solo nel film 33 •

Rispetto alla fotografia, già altre volte usata da Dibbets, il film offriva una possibilità in più, quella di mostrare un pro­ cesso: il trapezio che venh•a eseguito dal bulldozer, e poi di­ sturbato e cancellato del sopravvenire dell'alta marea 34.

Oltre che nella land art il video-tape ha trovato un largo impiego nella body art, nella narrative art e, in generale, nel­ l'arte di comportamento e in quella concettuale. Quello che dà unità, a mio avviso, a queste forme d'arte che si servono del video in funzione strumentale è l'indagine conoscitiva che esso assolve rispetto alla realtà umana individuale. Infatti il video si rivela prezioso per quella faticosa e spesso retorica ricerca di identità dell'artista odierno. Questo medium per­ tanto ha contribuito ad evidenziare la comune matrice etica (arte = ricerca di identità) delle operazioni artistiche degli ultimi anni, rivelandone la vocazione teatrale, ed è in questo senso che il video verifica la inesattezza e la convenzionalità delle distinzioni, per esempio, fra happening, fluxus, compor­ tamento, body, land, povera e conceptual 35• Il video-tape sod­

disfa inoltre le esigenze esibizionistiche dell'artista e voyeuri­ stiche del fruitore sia rispetto agli altri che a se stesso; in quest'ultimo caso si rivela come un moderno e più completo specchio di Narciso che consente una immediata autocontem­ plazione (fra l'altro, a differenza del film, è possibile guar­ dare sul monitor anche mentre si registra), senza fermare i gesti e le azioni nel tempo come accade nella fotografia. Sono sintomatici di questo modo di intendere il dispositivo video alcuni progetti di Dan Graham che propone di applicare que­ sto strumento all'architettura. Graham non pensa ad un uso funzionale del video (ad esempio il video-citofono) ma ad un suo impiego critico per mettere in discussione i normali ruoli assegnati alle pareti in muratura, alle finestre, e cosi via, come, ad esempio in Interior Space/Exterior Space dove una persona nella casa può simultaneamente vedere (guar-

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dando attraverso la finestra) l'esterno e (sul monitor) ciò che si vede dal di fuori di lui nel suo spazio interno. L'os­ servatore esterno può simultaneamente vedere (attraverso le finestre) l'Interno e (sul monitor) ciò che si vede dal di dentro di lui fuori 36• Secondo i tentativi di classificazione dei video-tapes da parte della critica i progetti di Graham do­ vrebbero rientrare nelle ricerche sul video in relazione al­ l'ambiente; tuttavia riesce difficile e generico individuare un settore di environments omogenei nell'ambito delle opere vi­ deo, in quanto l'ambiente viene di fatto inteso in modi molto diversi dai vari artisti. In The nature of our looking di Gil­ bert and George lo spazio circostante acquista rilievo nel mo­ mento in cui gli artisti, vere e proprie sculture viventi, assu­ mono un atteggiamento fisso, quasi pietrificato, con rari e so­ bri gesti, inducendo così lo spettatore a spostare lo sguardo da loro all'ambiente che li circonda. Negli artisti land l'en­ vironment si identifica con i grandi spazi della natura su cui agire con interventi formali (Heizer, Dibbets, Hoppenheim etc.); nell'arte sociologica 37 e in alcuni films di Luca Patella come Tre e basta, di suggestione pop, è l'ambiente cittadino il protagonista con l'esame talvolta di gesti e comportamenti sociali: vicini a questo modo di intendere l'environment sono due nastri, uno di Roland Baladi Ecrire Par-is avec les rues de cette ville che è realizzato mediante una video-camera fissata sul manubrio di una moto che segue un itinerario rappresen­ tante la parola « Paris»; l'altro di Léa Lublin Dehors/dedans la Musée, che è una sorta di documentario in cui il pubblico è interrogato sull'« Arte», dopo una proiezione di diapositive dall'impressionismo ad oggi, associate a testi letti da M. Pley­ net, Y. Lambert, P. Sollers, L. Lublin. Infine vi è un'altro modo di usare il video con intenti ambientali che è quello di impiegare, non un solo monitor in cui si vedono environments, ma molti televisori che in senso proprio creano degli am­ bienti: ad esempio, TV Garden (1974) di Nam June Paik pre­ senta una ventina di monitors poggiati a terra con lo schermo verso l'alto in mezzo a numerose piante che trasmettono im­ magini di un precedente lavoro dello stesso artista, Global 54 Groove.


Oltre l'environment un altro soggetto centrale delle video registrazioni è l'individuo, e più spesso l'artista come indivi­ duo. A questo proposito Berger distingue gli artisti che in­ vestigano il corpo e i suoi gesti elementari, come Nauman, Levine etc. da quelli che si soffermano sulle percezioni come P. Camus in lnterface 38• Anche nel caso di video-tapes che indagano il corpo ci sono differenze considerevoli tra le opere, poniamo, di Vito Acconci e quelle di Bruce Nauman : il primo fa un uso ,per lo più ossessivo dei films e dei videotapes, coe­ rentemente con il suo orientamento morboso, volto a dare del corpo un'immagine in termini di « materia », fino al li­ mite del viscerale: ad esempio, Waterways: 4 Saliva Studies o i films Openings (1970) e Trappings (1971) 39• Nauman in­ vece non giunge mai a questi limiti, mantenendosi ad un li­ vello di analisi piuttosto obbiettiva del corpo umano. Dopo i primi films che duravano una decina di minuti, intorno al '68-'69 ha cominciato a fare registrazioni lunghe almeno un'ora, con il conseguente rallentamento dell'azione nella se­ rie di videotapes che esaminano i movimenti elementari del corpo umano, come il camminare, in relazione alle varie posi­ zioni che può assumere la camera di ripresa, l'inquadratura taglia fuori spesso la testa, spersonalizzando cosl al massimo l'azione che diventa una dimostrazione sull'uso del corpo piut­ tosto che un fatto autobiografico «>. La relativa facilità d'impiego del videotape e i notevoli vantaggi pratici che presenta ne hanno consentito una di­ screta diffusione in ambienti diversi e con funzioni diverse. Tuttavia i fautori dell'arte sociologica come Fred Forest si rifiutano di porre delle barriere fra l'arte e le altre discipline: Video estetico, video sociologico, video pedagogico o terapeu­ tico? ( ... ) non ci preoccupa sapere se ciò che facciamo in ma­ teria di video appartiene veramente al campo specifico del­ l'arte oppure a quello delle scienze umane o, piuttosto, ad un discorso sociale 41• Il video è considerato da Forest uno degli strumenti della creazione che ha sostituito il pennello e che è particolarmente adatto per cercare di raggiungere gli obbiettivi che l'arte sociologica si è posta, e cioè: - porre fine all'isolamento dei detentori della cultura; 55


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- aprire l'influenza della cultura artistica al grande pubblico cui richiediamo una partecipazione attiva; - sfruttare i mass media e tutti i mezzi tecnologici; - abolire le barriere fra le arti e le altre attività umane 42• Inoltre il video permette di: - ideare giochi che promuovono la creatività di gruppo; - studiare e favorire i comportamenti ludici; - demistificare la tecnologia; - mettere in guardia contro possibili manipolazioni; - attuare « opere azioni » in cui l'immaginario e la vita siano in presa diretta 43• È evidente che da Forest e dagli altri operatori aderenti all'arte sociologica il video-registratore è considerato uno strumento « popolare », alla portata di tutti. Se si guarda al problema dell'uso del videotape in una prospettiva a lungo termine è giusto indirizzare gli sforzi di tutti verso una demo­ cratizzazione di questo medium da un lato, e un suo uso al­ ternativo rispetto ai canali informativi ufficiali dall'altro; ma nella situazione attuale, come vedremo più avanti, siamo an­ cora lontani da questo traguardo. Un'altra esigenza altrettanto importante è poi quella di tendere alla convergenza degli aspetti didattici, estetici, tecnici, sociologici e politici di que­ sto medium. Fino a questo momento però, l'uso del video da parte degli artisti - tranne i tentativi dell'arte sociolo­ gica - è rimasto abbastanza separato dagli altri modi di im­ piego dello strumento e soprattutto dalle utilizzazioni in campo didattico che da varie parti si propongono. Senza vo­ lerci addentrare nella complessa questione sulla necessità di ampliare l'uso degli audiovisivi a scopo �idattico 44, non si può non rilevare che la separatezza video artistico/video di­ dattico non è casuale perché purtroppo negli ambienti delle avanguardie artistiche (ma non solo lì) si continua a vivere nell'equivoco, con la palese contraddizione fra una fede mar­ xistica conclamata (almeno dai più) e un totale sganciamento delle masse sia proletarie che non. Il rsultato di tutto ciò è un profondo disinteresse - sia da parte degli artisti che dei critici - per i problemi di comunicazione di massa in generale; e questo a dispetto del fatto che non pochi artisti


risultano dall'inchiesta di Prandstraller 45, praticare anche la professione di insegnante. L'esigenza di integrare l'impiego artistico con gli altri possibili usi del videotape emerge chia­ ramente, almeno come esigenza di fondo, anche in una parte della critica che sostiene le sperimentazioni attuali nel campo dell'arte di avanguardia. Significativo in questo senso è il parere di Tommaso Trini, organizzatore della mostra « Arte­ video e multivision » a Milano nel marzo 1975: La partecipa­ zione degli artisti non dovrebbe chiudersi in un settore pri­ vilegiato (quello del mercato dell'arte), bensì aprirsi alla col­ laborazione con altre discipline e altri scopi non solo este­ tici: la creazione di programmi informativi e didattici, edu­ cativi e di denuncia politica ( ... ). Programmi davvero alter­ nativi in circuiti popolari, cioè aperti all'intervento di tutti 46• Tuttavia nella situazione attuale siamo molto lontani da que­ sta apertura e non è ancora vero che col cinema « under­ ground » la video-art è considerata un'arte popolare, che per­ mette a ciascuno di diventare autore: arte per tutti, fatta da tutti 47• Ancora di là da venire è poi l'uso del VT che abbia precisi connotati politici: tanto utopico quanto rivoluziona­ rio sarebbe il suo impiego autogestito in classi sociali subal­ terne, perché potesse per queste verificarsi la possibilità di autocodificare la propria autonoma cultura di comportamento e di segni e quindi di costituire un efficace contributo alla coscienza di classe 48• L'uso del videotape in arte è stato og­ getto di dibattito in una serie di incontri internazionali 49, suscitando discussioni e polemiche di cui si avvertono gli echi sia nella sezione dedicata all'Artvidéo nell'annuale 1975 di Skira, a cura di Berger, sia nell'articolo di Abraham Moles su Arte di sistema e videoarte, che prende spunto dall'incontro all'Espace Cardin di Parigi. Secondo Berger è vero che il nastro magnetico, di cui si serve l'arte-video, ha il privilegio dell'ubiquità e che pertanto permette di superare distanze notevoli, ma a condizione che le « norme • siano compati­ bili ( ... ); a condizione ancora che il nastro possa ( ... ) « essere mostrato ", cosa che implica il possesso di un equipaggia­ mento il cui prezzo si è senz'altro molto abbassato, ma che è lontano dall'essere alla portata di tutti; a condizione che

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l'equipaggiamento « funzioni», cosa che richiede quasi sem­ pre ( ... ), la presenza di tecnici se non di ingegneri 50. Inol­ tre Berger fa notare che nonostante la pretesa ubiquità del nastro magnetico, nella situazione attuale c'è ancora scarsa circolazione di questi nastri per cui per la produzione di vi­ deo gli artisti sono costretti a viaggiare e analogamente anche l'amatore di questo genere d'arte, se vuole essere informato. Tutte queste considerazioni confermano il carattere ancora elitario (altro che popolare!) del videotape, senza dire che quando avrà davvero larga diffusione a basso costo, come ad esempio la Kodak Instamatic, nulla ci garantirà da quel gioco dei gruppi di pressione del marketing che ha portato l'indi­ viduo a diluire gli sforzi in un insieme di apparecchiature incoerenti il cui uso stesso lo rende superficiale 51, in quanto li magnetoscopio è certamente ancora un bel giocattolo costoso con tanti bottoni e porta proprio là, verso la Super 8, verso quell'estrema superficialità che qualche pessimista non ha mancato di individuare 52• Abraham Moles, a sua volta, espri­ me molte perplessità sull'impiego attuale che si fa in arte di questo strumento: prima di tutto si chiede se l'uso del video risponde all'espressione « arte di sistema », che compare so­ prattutto in America Latina, in quanto combinazione di for­ me, elementi o meccanismi che, raggiunto un « grado suffi­ ciente di complessità », si differenziano fenomenologicarnente dall'oggetto posato sul tavolo o dall'immagine appesa al mu­ ro 53; e in proposito si mostra molto dubbioso in quanto, a suo avviso, l'« arte di sistema» non è altro che la nuova tra­ sformazione dell'arte concettuale applicata il più delle volte ad un insieme di opere semplici e prive di nesso organico 54• Per quanto riguarda la dimensione politica dell'attuale video­ oggetto si chiede: basta semplicemente inserirlo in una vo­ lontà di contestazione? E questa contestazione non rischia di diventare l'essenzialità dell'opera a detrimento di una so­ stanza spesso estremamente semplificata? 55 Artefatto, inol­ tre, gli sembra il conflitto con la televisione in quanto da lì provengono i grandi manipolatori dell'immagine, come il francese Avarty, che peraltro nel corso dei dibattiti sul video non è mai stato nominato. Nel suo reportage Moles rileva, 58


poi, l'opposizione da parte di molti all'uso astratto del video­ tape, alle manipolazioni o trasformazioni mediante filtro, di­ storsione, rifotografia, iterazione etc., perché ogni effetto nuovo produce presto una sensazione di « già visto» ( ... ) e a questo punto c'è da domandarsi se nel campo della creati­ vità tecnica non sia una corsa agli ostacoli, e di « talenti », che si allontana più o meno dai propri peculiari confini 56_ In definitiva, ferma rimanendo l'utilità del magnetoscopio sia nel settore artistico che negli altri, bisogna ridimensio­ narne la portata. Pertanto condividiamo fino in fondo la po­ sizione di Pio Baldelli per cui i paragoni con l'importanza dell'avvento della macchina a vapore, del motore a scoppio o della stampa, lasciamoli ai richiami del clamore pubblici­ tario; la videocassetta opera in un altro spazio: quello in cui prosperano la bombola per il gas, il frigorifero, il disco: dilata i consumi ma non sovverte,,.

1 In questa rassegna si tiene conto soprattutto dell'adozione del videotape da parte delle cosiddette avanguardie artistiche, tralasciando quindi sia l'impiego di questo medium in alcuni circuiti cinematografici che in generale come strumento di comunicazione di massa; su questo argomento cfr. Per una nuova politica nel settore degli audiovisivi, Atti del convegno di Ariccia aprile 1972, e R. FAENZA, Seni.a chiedere permesso, Feltrinelli, Milano, 1973. 2 Brano cit. da L. INGA-PIN, / nuovi media in Italia, in « Proposta•, n. 18/19, giugno 1975. J Frase storica ricordata da tutte le storie della fotografia, fra l'altro anche da G. F°REUND, Fotografia e società, Einaudi, Torino, 1976, p. 73. 4 w. BAADER, da « Finanz-Revue,. 1973, cit. da L. INGA-PIN, Op. cit. s G. FREUND, Op. cit., p. 30. 6 L. INGA-PIN, Pittura meccanica per una iconografia, in « Essere •• 1968, di cui un ampio stralcio è ripubblicato in « Proposta », n. cit. 7 M. Mc LuHAN, Understanding media, New York, 1964, trad. ital. Gli strumenti del comunicare, Bompiani, Milano, 1967, p. 12. s D. PALAZZ0LI, catalogo della mostra Fotomedia, Milano, marzo­ aprile 1975. 9 L. INGA-PIN, Op. cit. 10 J. LEDEER, intervista a Nam June Paik in « Art vivant •• n. 55, febbraio 1975. Emerge chiaramente da questa intervista il senso soprat­ tutto ludico che l'artista coreano attribuisce a queste sperimentazioni sul video, laddove A. BONITO OuvA, in Europe/America: the differents avant-gardes, Milano 1976, p. 42, afferma che: « ( ... ) ha impostato il problema sulla possibilità politica di impossessarsi di un mezzo d'infor­ mazione di massa, come quello televisivo, per fondare un tipo alter­ nativo di immagine, non manipolata dal potere, bensì prodotta dal­ 59 l'immaginazione libera dell'artista•·


Il li nuovo centro « lmagine • vuole allargare gli scopi di « Art/ Tapes/22 • e da un livello esclusivamente sperimentale passare, in colla• borazione con l'ARCI regionale alla organizzazione di programmi audio­ visivi di carattere informativo e didattico in un c.impo culturale più ampio. 12 • (.••) c'est de rompre avec l'espace camme dimension privilégiée pour mettre l'accent sur le facteur temporel, hétérogène à la repro­ duction typographique•• R. BERGB!, L'art vidéo, in • Annue) 75 » Skira, Ginevra 1975. 13 • L'émission de lumière provenant du réccpteur vieni frappcr de front l'oeil du spectateur, son intensité directe est très élevée, la taille de l'écr:m s'encastrc parfaitement dans le champ de mobilité dc l'oeil. Le récepteur vidéo n'cst pas attaché à un licu détcrminé •, C. E1ZYKMAN, F/(/111 indépendant) (li)Bl(do) (art vi)DEO. Fibideo, in « Opus intcr­ national•, n. 54, gennaio 1975; in questo numero c'è un ampio dossier sulla video-arte. 14 « ( ... ) un llux de lumière issu d'une sourcc placée clerrière le spectateur, la lumière est rcllétée, elle est donc moins forte quc celle émise par le vidéo, d'autrc part elle implique des conditions d'obscurité absoluc. Le lieu cinématografique est chargé d'une fonction précise et non échangeablc: projeter des films. Enfin, le film dispose d'émulsions d'une très grande finesse, d'une très grande définition qui permettent le détourage des formes et l'acccntuation du phénomène de recon­ naissance•• ibidem. 1; • Il n'y a pas d'écart entrc le réel et le visuel », ibidem. 16 • Le cinéma narratif-représcntatif postule cct écart et s'en nour­ rit•• ibidem. 11 « Television always supports reality, despite all its manipulation. By contrast, a film is always fictional and elusive•, W. HERZOGENRATH, Video art in West Germany, in • Studio international•, n. 981, maggio­ giugno 1976;, questo numero è interamente dedicato alla video-arte. 1s F. COLOMBO, /pertelevision: 2-la faccia molle del mondo, in • D'ars agency•, n. 78-79, aprile 1976; la prima parte di questo saggio è comparsa nel n. 76-TT della stessa rivista e la terza nel n. 80-81. 19 • Videotape is simply cheaper and faster•• A. KAPROW, Video art: o/d wine, new bottle, in • Artforum•, giugno 1974. 20 T. TRINI, Artevideo e multivision, in • D'ars agency•, n. 75, luglio

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21 • (. •• ) tournée vers l'investigation du dispositif lui-meme et de ses constituants ( ...): I) cn detournant les substrats électroniques de leur fonctionnement normai le déréglage du faisceau optique, du sens et de la vitesse du balayage, de la lumincnce, etc... 2) en donnant naissance à des espaccs, des forces qui présagent des perceptions nouvelles, mème quand Ics images de départ soni réalistcs•, C. E1zYKMAN, Communi­ cation-information-impulsion, in « Opus internazional•• n. cit. 22 Il • movicolor » di MARCEL Durouv, esposto alla mostra Vidéo et confrontation vidéo al Museo d'Arte Moderna di Parigi nel Novembre 1974, consente di ottenere tutti gli effetti degli altri sintetizzatori con la possibilità in più di mescolarsi una immagine 1ipresa da una camera, lasciando inalterati il segnale di fondo, cfr. G. FIHMAN, L'imachination: /es macltines à imager•• in • Opus international•• n. cii. 2l « Prémièremcnt génération et combinaison de formes « sinthéti­ ques. (c'cst à dire générées sans camera), géométriques ou abstraites. 24 Dcuxièmement, un e colorateur• qui permrt d'ajouter à un signal vidéo noir et blanc la couler à l'aide d'une palette élcctronique ( ... ) Le troisième type d'opération nous semble le plus important: il concerne la possibilité d'apporter au signal éléctronique toutes les


opérations que !'on peut qualilier de PLASTICITE de l'image (...). Sont possibles toutes variations en hauteur, largeur, profondeur, rota­ tion, décentrement et inversion horizontaux et verticaux ( ...), ibidem. 24 ( •••) d'opérer en direct sur la matière visuelle, comme les mu• siciens l'ont eu depuis iongtemps pour la matière sonore•• ibidem. 25 « Le changement de l'image se fait instantanément (life): vous pouvez jouer le synthétiseur comme sur un piano à lumière•, intervista a Nam June Paik cit. 26 Cfr. nota 22. 21 C. E1zYKMAN, Les quatre po/es de l'art vidéo, in « Opus interna• tional •, 11. cit. 28 Gli interventi fisici consistono nel porre dinanzi all'obiettivo veli di diversi colori, quelli meccanici sono dati dal combinarsi di luci colorate uguali o differenti, complementari o meno che illuminano l'artista rivolto verso un muro; le manipolazioni elettroniche si otten­ gono variando il colore direttamente sul magnctoscopio, mentre l'artista è posto fra due monitor, in modo che lo spettatore vede quattro im· magini; nella quarta fase l'artista compare di colore unico sul monitor su un fondo anch'esso unitario e della stessa luminosità in modo che, se si guarda in bianco e nero, la figura scompare rispetto al fondo. 29 « Le cerveau est directement sollicité, il intègre directcment !es cxcitations filmiques vidéo. L'oeil "cessc de voir" •, C. EJZYKMAN, Fibideo, cit. .JO D. A. Ross, Arte e video-tapes, in « Art dimensionar!•• n. 1, 1975. 31 D. PALIZZ0LI, op. cit. 32 Video-tappa Gerry Schum, intervista a Gerry Shum, in «Data•, n. 4, maggio 1972. 33 Ibidem. 3-1 Ibidem. l5 E. L. FRANCAL�NCI, VT is 1101 TV, presentazione alla mostra Vi­ dcotapes, Galleria del Cavallino, Milano, 1975. 36 D. A. GRAHAM, Architecture/video-projects, in « Studio interna• tional », n. 977, settembre-ottobre 1975. 37 Sull'arte sociologica cfr. « Opus international •, n. 55, aprile 1975 che presenta un ampio dossier sull'argomento. 38 L'opera consiste in un grande pannello di vetro dove si vedono due immagini, una è quella dello spettatore che si riflette e l'altra quella video. Quando lo spettatore si sposta le due immagini vanno in direzioni opposte: a questo punto si pone l'interrogativo, quale imma• gine è quella vera? 39 Di queste tre opere la prima consiste, come dice il titolo, in quattro studi sulla saliva: I) chiudere forte la bocca; 2) la bocca piena di saliva si gonfia; 3) la saliva, non potendo più essere trattenuta, CO· mincia ad uscire; 4) la saliva è raccolta dalle mani. Il film Openings presenta l'artista che si tira i peli intorno all'ombelico e Trappi11gs mostra l'artista chiuso in un gabinetto che è come un magazzino pieno di giocattoli, pezzi di legno, frammenti di oggetti che dialoga con il suo pene rivestito di pezze, vestiti di bambole etc. come se gli fosse estraneo. In altri video-tapes Acconci riscopre le funzioni comunicative che è possibile assegnare al corpo, ad esempio in Pryings in cui Acconci tenta di aprire le palpebre di Kathy Dillon che invece cerca di tenerle chiuse, oppure Comacts in cui una ragazza inginocchiata davanti aJ. l'artista pone una mano dinanzi ad alcune parti del corpo di Acconci il quale bendato tenta di indovinare la zona davanti a cui sta. -IO I nastri che esaminano l'azione del camminare sono quasi tutti in relazione a suoni ritmici e ricordano molto, come lo stesso Nauman ha riconosciuto, la danza dei musicisti di New York City, La Monte

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Young, Phil Glass, Steve Reich, nonché Merce Cunningham e Meredith Monk (cfr. BRUCE NAUMAN: WorK from 1865.)972, catalogo della mostra organizzata dal County Museum e dal Whitney Museum): su passi ca• denzati su schemi ritmici si basa, ad esempio, Stamping in the studio (1968) in cui la video.camera fissa, posta sottosopra, riprende Nauman che cammina su tutta la superficie del suo studio uscendo spesso fuori campo; in Slow angle walk (1968) la video.camera, posta orizzontai• mente, inquadra Nauman che cammina formando via via angoli retti, o alzando una gamba o abbassando il busto e scalciando indietro l'altra gamba; Revolving upside down è simile al precedente, solo con la camera sottosopra; in Walk with contraposto (1969) Nauman costrui• sce nello studio un corridoio stretto e lungo che percorre avanti e indietro con le mani dietro la nuca, mentre la video.camera non in· quadra quasi mai la sua testa e la luce dal fondo del corridoio crea ombre sui due muri. 41 F. FoRESI, li video, in « D'ars agency "• n. 75, cit. 42 Ibidem. 4l Ibidem. 44 Si tratta di un puro mito perché non basta introdurre nella scuola gli audiovisivi, che, tra l'altro, i professori non sanno usare, per risolvere di colpo i complessi problemi legati ad una rifondazione della didattica su basi veramente moderne e serie. 45 G. P. PRANDSTRALLER, Arte come professione, Marsilio, Padova, 1974. 46 T. TRINI, op. cii. 47 M. VERDONE, Dal cinema underground alla video.art, in « Qui arte contemporanea », n. 15, settembre 1975. 48 E. I. FRANCALANCI, op. cit. 49 Il Cayc (Centro de arte y comunication) di Buenos Aires diretto da Jorge Glusberg ha promosso un primo incontro internazionale sul• l'argomento «video» nel novembre 1974 a Londra, successivamente nel febbraio 1975, all'Espace Cardin, un terzo al Palazzo dei Diamanti a Ferrara nel maggio 1975 e il quarto a Buenos Aires nel novembre dello stesso anno. so A condition que !es 'normes' soient compatibles ( ... ); à condition encore que la bande puisse (.. .) 'etre montrée', ce qui implique la possession d'un équipement dont le prix s'est sans doute fortement abaissé, mais qui est loin d'etre à la portée de tous; à condition que l'équipement 'fonctionne', ce qui requiert presque toujours (... ), la présence de techniciens, sinon d'ingénieurs •, R. BERGER, op. cit. 51 A. MoLES, Arte di sistema e video.arte, in « D'ars agency "• n. 75, cit. 52 Ibidem. Sl Ibidem. � Ibidem. ss Ibidem. 56 Ibidem. 51 P. BAU)ELI.l, Informazione e contro.informazione, Mazzotta, Milano. 1972, pag. 35.

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Analisi di un corso di laurea: il Dams·

Il corso di laurea in discipline delle arti, della musica e dello spettacolo (DAMS), istituito circa sette anni fa, si può considerare nel complesso come un atto di vitalità dell'Univer­ sità italiana, come un suo interessante sforzo di rinnovarsi e di adeguarsi alle richieste provenienti dall'evoluzione delle strutture sociali e culturali del paese. Merita quindi sottoporlo a una breve indagine, come qui si tenta di fare, sia sul piano storico (come e quando è nato), sia su quello strutturale (come è fatto attualmente, come funziona). Quando esso nacque, nell'anno accademico 1970-71, risul­ tavano immediatamente evidenti le esigenze didattiche che ne erano alla base: si trattava di coordinare tre grandi settori di insegnamento, appunto ìe arti visive, la musica e lo spetta­ colo, che fino a quel momento vivevano invece di vita sepa­ rata e, soprattutto la musica e lo spettacolo, molto grama, affidata a poche materie (in molti casi non si andava più in là di una generica Storia della musica e Storia dello spettacolo), disperse le une e le altre, o per meglio dire annegate nel tra­ dizionale Corso di lettere, onnivalente e tuttofare. Coordinare, ma ancor prima potenziare, con tutte le nuove articolazioni imposte dallo sviluppo della ricerca, sia sul piano del metodo che su quello di contenuti. Ecco così che non si parla più sol­ tante di «arte», ma di «arti» al plurale (è vero che sarebbe stato più opportuno specificare con l'aggiunta di « visive » ).

* Le considerazioni • storiche • e strutturali sono di Renato Barilli. La raccolta dei dati e il loro commento è a cura di Alfredo De Paz. (Ha collaborato anche Ispano Roventi).

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Questo per tener conto del fatto che, accanto alle vicende della pittura e della scultura, urge ormai prendere in consi­ derazione anche l'architettura, la fotografia:, il disegno indu• striale, l'urbanistica (una novità, quest'ultima, se inserita nel­ l'ambito di una Facoltà di lettere e filosofia). E così si dica per la musica, in cui occorre fare un posto al jazz, alla dram­ maturgia musicale, all'etnomusicologia. Lo spettacolo, a sua volta richiede urgentemente l'enucleazione dei momenti auto­ nomi della cinematografia e dei linguaggi radiotelevisivi. Si aggiunga che, accanto all'introduzione dei nuovi oggetti, o delle nuove tecniche di esercizio, il DAMS prende atto delle nuove metodologie frattanto emerse. Ecco così che, per ciascuno dei tre indirizzi, viene istituita una Metodologia della critica ( delle arti, della musica, dello spettacolo) cui viene anche ag­ ganciato, con analoghe articolazioni, un Problemi di storio­ grafia. E poi è fatto posto alle discipline portanti delle scienze umane: Psicologia, Sociologia, Semiotica, studiate sia su un piano generale, sia nelle applicazioni settoriali a ciascuno dei tre ambiti. Nel complesso le articolazioni propriamente artistiche vengono dotate di infrastrutture volte a fornire un solido retroterra appunto nell'ambito delle scienze umane e delle comunicazioni di massa. Ma per un'esatta informazione sulle discipline istituite nel DAMS, e su quelle attivate, si veda la tabella allegata.

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Cenni storici. Il DAMS è stato concepito nell'Università di Bologna attraverso una progettazione che per qualche tempo venne condotta in comune dalle Facoltà di Magistero e di Lettere e filosofia. Per la prima diedero un contributo attivo Ezio Raimondi, italianista, e Paolo Prodi, allora preside e docente di Storia moderna. L'intenzione che li muoveva era di allargare la tradizionale figura del docente di « materie let­ terarie », fino a costruirne uno nuovo preparato nei linguaggi non-verbali, in modo da poter andare a svolgere una indispen­ sabile opera di « alfabetizzazione » nella scuola secondaria, in accordo anche con le finalità pedagogiche che sono da sempre ben presenti agli interessi delle Facoltà di Magistero (ma è anche vero che da tutte le parti si attende con impazienza il


momento in cui queste vengano finalmente abolite, previa la soppressione degli Istituti Magistrali e l'istituzione di una Media superiore unificata: a quel punto ci sarà posto solo per la Facoltà di lettere e filosofia, o meglio ancora, per diparti­ menti e corsi di laurea tra loro paritetici, senza più discrimi­ nazioni nei titoli d'ammissione). Per la Facoltà di lettere e filosofia le « menti » progettanti furono soprattutto Benedetto Marzullo e Luciano Anceschi: quest'ultimo da sempre molto attento a tutte le articolazioni metodologiche nello studio delle arti: una disciplina come Fenomenologia degli stili (fondamentale nell'indirizzo delle arti del DAMS) appare come molto indicativa degli orientamenti da lui seguiti, e indicativo è anche il fatto che l'Estetica, sem­ pre nel DAMS, abbia raggiunto il ruolo di disciplina prope­ deutica fondamentale. Benedetto Marzullo, grecista, aveva da tempo attinto l'interesse per lo spettacolo, e in particolare per la messa in scena del teatro greco classico, cui aveva portato un preciso contributo in veste di traduttore. Più in generale, Marzullo partiva dalla diagnosi di un esaurimento dei vecchi strumenti filologici, il che lo spingeva a una radicale apertura alle metodologie più nuove e sperimentali. Per giungere a ciò, egli muoveva dal presupposto che occorresse diminuire, o addirittura abolire l'impronta storicistica gravante sull'Uni­ versità italiana. Se quest'ultima, quindi, fa sfoggio, nei suoi statuti, di discipline precedute dall'immancabile« storia di... », nello statuto DAMS le « storie » vennero quasi del tutto can­ cellate, o concesse con estrema parsimonia. Un commento spassionato porta a osservare, a questo proposito, che men­ tre era opportuna l'ansia di rinnovamento, e anche l'intenzione di ridurre il prevaricante strapotere del momento « storico », o addirittura storicistico, nella statuto DAMS si è passato talora il segno in questa direzione, con reazione altrettanto eccessiva quanto il male che si intendeva curare. Evidente­ mente, una buona vita fisiologica della ricerca scientifica vuole che diacronia e sincronia, asse storico e asse metodologico­ descrittivo vivano in equilibrio reciproco. Purtroppo la confluenza di energie delle due parti fu bru­ scamente interrotta da una strozzatura burocratica: una nor-

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ma di legge, infatti, dispone che i corsi di laurea possano es­ sere legati a una sola Facoltà. Prevalse quella di Lettere e di filosofia, anche perché senza dubbio il maggior ruolo orga­ nizzativo e di trattativa con gli organi ministeriali fu svolto allora e anche in seguito da Marzullo, docente di quella Facoltà. Forse con un po' più di buona volontà si sarebbe potuto met­ tere in atto qualche espediente giuridico che di fatto consen­ tisse la cogestione del nuovo corso da parte delle due Fa­ coltà. Ma questo non avvenne, e si ricorse invece, per qual­ che tempo, a un accordo informale, per cui ai rappresentanti del Magistero veniva riconosciuto un diritto di consulenza, ma appunto informale, basato sull'entente cordiale, e dunque non provvisto dello stesso stato giuridico. Si sa che tali for­ mule di « buona volontà » non hanno quasi mai vita lunga, e infatti anche questa ben presto si interruppe, suscitando una certa situazione di attrito tra le due Facoltà: il DAMS divenne pomo di discordia quando invece avrebbe dovuto essere stru­ mento di unione, di progettazione comune, di superamento di vecchie e inattuali divisioni. La « patata bollente » si riversò quindi per intero sulle spalle della Facoltà di lettere e filosofia: le 60 discipline dello statuto DAMS, di cui, intanto, almeno una buona metà erano state attivate, pesavano come un groppo irrisolto, che chie­ deva una soluzione istituzionale. Fu subito chiaro che si apri­ vano due strade opposte: o l'espulsione di questo nucleo nella sua interezza, o la sua assimilazione. Nacquero fazioni parti­ giane per l'una e per l'altra soluzione. Quelli favorevoli alla prima, muovevano da posizioni pressoché opposte, ma si in­ contravano in una diagnosi comune: il DAMS era una strut­ tura troppo « nuova », troppo aliena dal carattere degli altri corsi e discipline presenti in una normale Facoltà di lettere e filosofia, perché si potesse tentare la coabitazione. E questo sia che la novità fosse paventata, o invece auspicata e lodata. Il punto di vista comune era che convenisse farne una Fa­ coltà autonoma, per sancire appunto, sul piano culturale, la diversa « filosofia » di quel corso; e sul piano organizzativo, per dargli una maggiore rapidità di movimento, nonché finan. 66 ziamenti più cospicui e più diretti.


I seguaci dell'altro partito ragionavano con mentalità di­ versa: l'indubbia novità di metodi e di contenuto del DAMS, anche da loro sostenuta e tutelata, doveva entrare in utile dia­ lettica con metodi e contenuti più tradizionali, perché avve­ nisse un contemperamento reciproco, in luogo dell'aprirsi di una frattura pretestuosa e irrelata. Questo sul piano teorico, o della «filosofia» del DAMS (come allora si diceva). Sul piano pratico e professionale, si faceva osservare che agli stu­ denti del DAMS conveniva lasciare aperta la possibilità di in­ tegrare lo studio delle materie nuove con altre più tradizio­ nali, onde accrescere la valenza didattica della loro laurea. E infine sul piano organizzativo, si faceva notare come una probabile riforma universitaria avrebbe portato alla condanna delle « Facoltà », così da sconsigliare la loro proliferazione; e invece al potenziamento degli attuali Istituti, mediante il loro arricchimento e la fusione di Istituti simili, in modo che essi divenissero la prefigurazione di altrettanti dipartimenti; e an­ che i corsi di laurea sarebbero stati a loro volta dotati di or­ ganismi autonomi di dibattito e di gestione. Il problema, evidentemente, non era solo di una singola Facoltà, ma coinvolgeva l'intero Ateneo; e infatti si procedé alla nomina di una commissione interfacoltà per esaminarlo. Prevalse la soluzione dell'integrazione, contro quella del di­ stacco, e più o meno in nome dei criteri che si sono delineati poco sopra. Divenne allora inevitabile ridistribuire lo stock delle ormai 40 circa discipline DAMS attivate negli Istituti già esistenti nell'ambito della Facoltà di lettere e filosofia, e pro­ cedere a crearne alcuni ex novo ove fosse il caso. Nacquero così l'Istituto di discipline della musica, e l'Istituto di disci­ pline della comunicazione e dello spettacolo: quest'ultimo, a dire il vero, non ancora ben articolato, o almeno tale da con­ tenere in sé una triplice anima. Già nel titolo, infatti, si pos­ sono distinguere i due nuclei autonomi della«comunicazione» (che comprende in sé alcune di quelle che poco sopra si sono dette le « infrastrutture » dell'intero DAMS, cioè le scienze umane e le comunicazioni di massa) e dello « spettacolo»; mentre sempre nel titolo non appare un terzo nucleo, pur presente e attivo, quello delle discipline della progettazione 67


ambientale, che invero ha già fatto molti passi per raggiun­ gere una sua autonomia. Tra gli Istituti già esistenti, o in un certo senso «tipici», quello che ha subito il maggior incremento è stato l'Istituto di Storia dell'arte medievale e moderna: ben dieci nuove di­ scipline, contro le poche «tradizionali» che già gli apparte­ nevano (le «storie» articolate secondo le tre ere, moderna, medievale, contemporanea); tanto che esso dovrebbe preci­ sare più correttamente la sua intitolazione nel seguente modo: Istituto di discipline storiche e metodologiche delle arti visive. Infine, certe altre discipline propedeutiche (Italiano, Este­ tica, Psicologia, Lingue straniere) sono rifluite, come era giu­ sto, nei rispettivi Istituti, anch'essi del resto ormai cresciuti fino a dimensioni pre-dipartimentali.

Situazione attuale. Quello riassunto al termine del breve excursus storico è ancor oggi il quadro istituzionale del DAMS,

che quindi lo vede inserito, come corso di laurea paritetico agli altri, nell'ambito, appunto, della Facoltà di lettere e fi­ losofia dell'Università di Bologna. Esiste appieno la cosiddetta «permeabilità» da corso a corso, cosicché uno studente DAMS può inserire nel suo piano di studi le discipline degli altri corsi, e viceversa; ed esiste anche la possibilità di passaggio da un corso all'altro. Per altri dati quantitativi circa le con­ dizioni attuali del DAMS, si rinvia agli specchietti allegati. Urge qui piuttosto affrontare il problema di fondo: che cos'è oggi questo Corso di laurea? Quale la sua «filosofia», e soprattutto quali sono i suoi sbocchi professionali? Dopo qualche incertezza iniziale, esso ha chiarito che suo com­ pito è di dare una formazione di taglio culturale-teorico (il che comprende in sé le due dimensioni della diacronia o storia, e della sincronia o metodo), e non già quello di adde­ strare all'operatività. Detto in termini più espliciti, dal DAMS non escono pittori, scenografi, designers, registi, attori ecc. Le Accademie di Belle Arti e i Conservatori non hanno da temere la sua concorrenza; anche se fa parte della sua «filosofia» par­ tire dal presupposto che oggi una conoscenza teorica in que68 sti vari settori implica anche la conoscenza dei connessi pro-


blemi tecnici. Questo spiega perché, nel suo ambito, siano at­ tivati alcuni « laboratori» (per es. di fotografia, di scenografia) onde accompagnare alla « teoria» un giusto coefficiente di spe­ rimentazione, senza nutrire con ciò la pretesa di dare un pre­ ciso addestramento pratico in quei settori. Da questo punto di vista il DAMS è omogeneo agli interessi nutriti negli altri corsi di una Facoltà di lettere e filosofia; anche se, rispetto ad essi, rappresenta l'apertura a nuovi problemi, e soprat­ tutto la consapevolezza di quanto sia limitante e unilaterale il vecchio universo delle « lettere». Quali gli sbocchi professionali, dato che questi, non va dimenticato, sono il fine precipuo di ogni corso di laurea? Ne risultano ormai enucleati due maggioritari, ravvisabili nella costituzione 1) di una nuova figura di docente; 2) della figura dell'animatore culturale, cui si può accompagnare, 3) quella di un conservatore del patrimonio dei beni artistici e culturali del paese. Anche in ciò sono i segni di una certa rettifica di tiro, perché all'inizio il DAMS era partito con intenzioni di élite: sembrava cioè che esso dovesse: a) dare una maggiore consapevolezza teorica agli operati del campo (registi, pittori, musicisti); b) creare i tecnici addetti all'industria culturale, e in particolar modo il personale qualificato per le comunica­ zioni di massa, radiotelevisive, o per le case editrici, o per le rubriche specialistiche dei giornali. Tali sbocchi di élite re­ stano senza dubbio validi, ma l'esperienza insegna che vi si accede per iniziativa e per meriti personali, tanto che è ben difficile pianificare e « quantificare » in merito ad essi. Inol­ tre ben presto il DAMS è divenuto, per scelta autonoma della popolazione studentesca, un corso di massa, molto frequen­ tato, con incremento regolare di anno in anno, così da obbli­ gare a ipotizzare sbocchi anch'essi di massa: segno che la libera pressione dal basso ha identificato la presenza poten­ ziale di alcune funzioni sociali, prima ancora che queste ab­ biano ottenuto un riconoscimento giuridico. Tali funzioni si identificano nelle seguenti: 1) educazione di fondo della popolazione (« alfabetiz­ zazione») ai linguaggi non-verbali (appunto arti visive, mu­ sica, spettacolo), educazione intesa, più che come operatività 69


pratica e spontaneistica, come formazione culturale, al solito appoggiata ai due assi, storico e metodologico. Una « educa­ zione artistica » ( o « musicale », o « allo spettacolo ») così in­ tesa non si identifica con le discipline omonime come vengono insegnate nell'attuale Scuola media inferiore (ma è già stato presentato un progetto ministeriale per la loro ristruttura­ zione), proprio perché, per ora, queste vengono intese in chiave soprattutto operativa. Essa dovrebbe invece trovare il suo posto nella Media superiore unitaria, e soprattutto nei primi anni del suo curriculum. Infatti col quattordicesimo anno di età si può supporre che il ragazzo superi la soglia dell'atteggiamento critico, e possa quindi essere avviato al­ l'apprendimento storico-metodologico, e non soltanto pratico­ operativo. È decisivo che un'educazione artistica così intesa venga considerata come materia fondamentale della Media superiore, in luogo di essere abbassata al rango di materia opzionale. Per rafforzare il suo ruolo centrale, sarebbe oppor­ tuno concepirla in termini unitari, così da ipotizzare un'unica figura di docente per i tre rami, arti, musica, spettacolo. con danno della specificità nozionistica, ma con sicuro vantaggio nella forrnatività, anche perché un tale docente avrebbe a sua disposizione più ore di lezione. Purtroppo, a contrasto con questa luminosa eventualità, connessa alla riforma della Media superiore, spicca allo stato attuale la totale assenza della laurea DAMS dal novero dei ti­ toli di ammissione alle varie classi di abilitazione all'insegna­ mento. Situazione di stallo dovuta sia a indolenza degli organi ministeriali, sia a timori circa la « novità» di questa laurea e al rischio che essa vada a falciare erba sotto i piedi di altri corsi. Non si può escludere che siano stati di ostacolo anche quei certi equivoci alimentati nei primi tempi (suo carattere «operativo», sua destinazione elitaria). Ma si spera che un energico intervento di quanti lavorano nel DAMS, e degli or­ gani rappresentativi dell'Ateneo, che lo ha istituito, possa sanare in breve questa palese ingiustizia: perché non c'è dub­ bio che, già allo stato attuale, la laurea DAMS appaia più fun­ zionale di altre a certi tipi di insegnamento (p. es., alla «sto70 ria dell'arte » nei licei classici).


2) Animazione culturale. È questa un'altra delle grandi funzioni socio-culturali ravvisate dal DAMS, anche se, al so­ lito, gli «organi» sono lenti a svilupparsi. Si tratta di un ser­ vizio da svolgere presso tutte le strutture pubbliche (della Re­ gione, del Comune, dei Quartieri e di ogni altro Ente locale) in modo da soddisfare la pressante richiesta, che sale dalla popolazione, di poter fruire di manifestazioni di arte, di mu­ sica, di spettacolo. Senza l'intervento di personale tecnico culturalmente preparato, questa richiesta potrebbe prendere la strada dello spontaneismo folcloristico e dilettantesco; o, per timore di questo esito «basso», potrebbe determinare all'estremo opposto un atteggiamento di chiusura nell'eserci­ zio di una cultura dall'alto, affidata a pochi luoghi di grande prestigio, ma scarsamente frequentati. I laureati DAMS do­ vrebbero assicurare, nello stesso tempo, la qualità della pre­ parazione, e la quantità della mano d'opera, in modo da poter istituire una rete capillare di «animatori» veramente a con­ tatto con la popolazione, così da assicurare un indispensabile raccordo tra essa e il momento didattico della Scuola, e quello aristocratico-selettivo della cultura esercitata nei luoghi «su­ periori» (Gallerie, Enti teatrali: la «Scala», per intenderci). Purtroppo, anche su questo fronte, è di ostacolo allo stato attuale, intanto, una certa insensibilità degli organi pubblici, quando non si debba parlare addirittura di ignoranza circa l'esistenza di questi «animatori » qualificati. Dove poi gli enti locali sono sensibilizzati e ben disposti, subentra l'attuale crisi finanziaria che impedisce le assunzioni, o le rende spo­ radiche. Questo n. 2 si può articolare anche in un n. 3, ovvero nel­ l'istituzione di un tecnico della conservazione (musei, biblio­ teche, fototeche, emeroteche, cineteche ecc.), che del resto appare chiamato a lavorare in stretta collaborazione con l'«animatore culturale»; anzi, i due momenti vanno visti come complementari l'uno all'altro. Data l'ampiezza di tali sbocchi ipotizzabili in un futuro non troppo remoto, nasce l'opportunità di far proliferare il DAMS, seppure in via meditata e razionale: non si vede in­ fatti perché esso debba rimanere appannaggio della sola Uni- 71


versità di Bologna, con l'unico seguito di quella della Cala­ bria (dove però hanno proceduto molto cautamente nelle atti­ vazioni). L'unicità della sede era giustificabile finché il Corso stesso viveva la sua prima fase sperimentale, ma questa, a sette anni dalla nascita e a tre dalle prime lauree, si deve con­ siderare ormai superata; e così pure si dica dell'altra giusti­ ficazione per una sua limitazione, quella di uno sbocco eli­ tario che avrebbe richiesto una severa selezione sia nei do­ centi che negli studenti. Il carattere impetuoso di massa che esso ha assunto consiglia di istituirlo anche in altri Atenei molto frequentati, così da evitare il deprecabile « pendola­ rismo» degli studenti (e anche dei docenti). Naturalmente, all'atto di diffonderlo in altre sedi, si potrebbe procedere a quegli opportuni ritocchi statutari che l'esperienza di questi anni consiglia, e che le diverse esigenze locali possono ri­ chiedere.

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IMMATRICOLAZIONI AI DIVERSI CORSI DI LAUREA DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DELL'UNVERSITÀ DI BOLOGNA NELL'ANNO ACCADEMICO 1976-77 Numero comple ssivo Lettere (indirizzi classico e moderno) Filosofia Lingue e letterature straniere moderne Storia (indirizzi orientale, antico, medievale, moderno, contemporaneo) DAMS (arti, musica e spettacolo)

252 181 504 257 701

IMMATRICOLAZIONI AL CORSO DAMS (UNIVERSITÀ DI BOLOGNA) NEI DIVERSI ANNI ACCADEMICI Numero complessivo 115 368 456 540 647 701

1970-71 1971-72 1972-73 1973-74 1974-75 1975-76

A queste cifre va aggiunto, per ogni anno, circa il 20% di nuovi iscritti ammessi agli anni successivi o perché già laureati o perché provenienti da altre facoltà ma non ancora laureati. Dei 701 immatricolati nell'anno accademico 1976-77 sono state esaminate 663 schede attualmente disponibili in Segre­ teria che risultano così ripartite: Numero complessivo .Arti

Musica Spettacolo

179 144 340 663

= 27% = 22%

= 51%

(Totale delle immatricolazioni considerate sul complessivo di 701)

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Da un breve esame di questi dati si può osservare quanto segue: l'incremento numerico degli scritti al DAMS segue grosso modo quello generale di tutti i corsi di laurea della Facoltà di Lettere e Filosofia, con un rilievo maggiore per letterature straniere e il DAMS stesso. Sulla rilevanza quantitativa delle immatricolazioni al DAMS influisce senza dubbio l'unicità del corso stesso a li­ vello nazionale. L'alto numero in percentuale degli iscritti all'indirizzo dello spettacolo dipende soprattutto dal fatto che tale indi­ rizzo è praticamente l'unica istituzione didattica regolare esi­ stente nel nostro paese, in tale ambito di studi, ed aperta a tutti senza limitazioni e preesami (come avviene per le Ac­ cademie di arte drammatica). Gli iscritti all'indirizzo di musica provengono nella quasi totalità dai Conservatori e il corso DAMS costituisce non solo un ottimo complemento teorico-culturale alla loro formazione esclusivamente tecnica, ma altresì uno strumento di maggior qualificazione (in quanto laurea legalmente riconosciuta) ai fini dell'insegnamento nei conservatori stessi. Per il corso di laurea DAMS valgono le stesse nonne vi­ genti per ogni altro Corso di laurea di ogni altra Facoltà: possono iscriversi tutti coloro che siano in possesso di un diploma quinquennale di scuola media superiore. Ogni indirizzo del corso DAMS (arti, musica, spettacolo) prevede ai fini della laurea, 18 esami (ripartiti in altrettante materie) di cui 8 fondamentali e 10 complementari. La bien­ nalizzazione di uno stesso esame ha funzione di materia com­ plementare(*). Riportiamo di seguito l'elenco delle materie di insegna­ mento attivate fino all'anno accademico 1976-77 compreso. Le sigle apposte accanto alla materie vanno lette come segue: M.F.C. M.F.S.

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= materia = materia

fondamentale comune ai tre indirizzi. fondamentale per l'indirizzo spettacolo.

(*) Ripartiti fra le varie materie lavorano numerosi collaboratori (assistenti, contrattisti, assegnisti, incaricati di esercitazioni, tecnici...) che assolvono un ruolo non secondario al funzionamento e all'efficienza del corso DAMS a livello organizzativo, didattico e scientifico.


M.F.A. = materia fondamentale per l'indirizzo arti. M.F.M. = materia fondamentale per l'indirizzo musica. Le materie non siglate sono da intendersi complementari. ELENCO DELLE MATERIE DI INSEGNAMENTO ATTIVATE (CON RELATIVO DOCENTE TITOLARE) RIPARTITE PER ISTITUTO DI APPARTENENZA I. Materie appartenenti all'Istituto di comunicazione e spettacolo Caratteri dell'architettura contemporanea (Pasquale Lovero) Cinematografia documentaria (Giampaolo Bernagozzi) Comunicazioni di massa (Paolo Fabbri) Disegno industriale (Attilio Marcolli) Drammaturgia (Giuliano Scabia) M.F.S. Elementi di scenografia (Gianni Polidori) Istituzioni di regia (Luigi Squarzina) M.F.S. Metodologia della critica dello spettacolo (Ferruccio Marotti) Organizzazione ed economia dello spettacolo (Lamberto Trezzini) Progettazione ambientale (Tomas Maldonado) Semiologia dello spettacolo (Franco Ruffini) M.F.S. Semiotica (Umberto Eco) M.F.A. e M.F.M. Sistemi grafici (Giovanni Anceschi) Storia del cinema (Adelio Ferrero) Storia delle istituzioni e delle strutture sociali (Salvatore Veca) Storia dello spettacolo (Renzo Tian) M.F.S. Struttura della figurazione (Ugo Volli) Teatro di animazione (Maria Volpicelli) Tecnica del linguaggio radio-televisivo (Furio Colombo) Tecniche pubblicitarie (Lamberto Pignotti) Teoria delle forme (Giovanni Muratore) M.F.A. Teoria dell'informazione (Marco Mondadori) Urbanistica (Pier Luigi Cervellati) II. Materie appartenenti all'Istituto di Storia dell'arte Architettura teatrale (Deanna Lenzi) Fenomenologia degli stili (Gianni Romano) M.F.A. Metodologia della critica delle arti (Paolo Fossati) Museografia (Andrea Emiliani) Problemi di storiografia delle arti (Pier Giovanni Castagnoli) Scienza e tecnica del restauro (Alessandro Conti) Sociologia delle arti (Alfredo De Paz) Storia dell'architettura (Anna Maria Matteucci)

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Storia dell'arte contemporanea (Renato Barilli) Storia delle arti (Anna Ottani Cavina) M.F.A. Tecniche della fotografia (Italo Zannier) Inoltre fanno parte dell'Istituto altre discipline dei Corsi di laurea in Lettere e in Lingue e Letterature straniere: Storia del­ l'arte medievale e moderna, Storia della critica d'arte. III. Materie appartenenti all'Istituto di musica Civiltà musicale afro-americana (Giampiero Cane) Drammaturgia musicale (Diego Bertocchi) Elementi di armonia e contrappunto (Franco Donatoni) M.F.M. Etnomusicologia (Roberto Leydi) Forme della poesia per musica (Rossana Dalmonte) Metodologia della critica della musica (Mario Bertolotto) Problemi di storiogralia musicale (Alberto Gallo) Storia della musica (Luigi Rognoni) M.F.M. Teoria musicale (Aldo Cleme!lti) M.F.M. IV. Materie appartenenti all'Istituto di filosofia Estetica I ( 1) (Luciano Nanni) M.F.C. Estetica II (2) (Paolo Ba gni) M.F.C. Psicologia I (1) (Pio Ricci Bitti) M.F.C. Psicologia II (2) (Marina Mizzau) M.F.C. Sociologia (Fabrizio Bercelli) V. Materie appartenenti all'Istituto di Filologia moderna Italiano I (I) (Alfredo Giuliani) M.F.C. Italiano II (2) (Cristiano Camporesi) M.F.C. VI. Materie appartenenti all'Istituto di Filologia germanica Lingua straniera: tedesco (Isabella Berthier) M.F.C. Lingua straniera: inglese (Gianni Celati) M.F.C. VII. Materie appartenenti all'Istituto di Filologia romanza Lingua straniera: francese (Guido Neri) M.F.C. Laureati del corso DAMS

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10 1974 (anno solare) 36 1975 (anno solare) 76 1976 (anno solare) (I) Per gli studenti il cui cognome inizia con lettere dall'A alla L. (2) Per gli studenti il cui cognome inizia con lettere dalla M alla Z.




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