Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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Edizioni e Il centro ,. di Arturo Carola
A. o'AVOSSA,
L'idea della pittura in LĂŠvi-Straus
M. Unu,
Sul concetto di gusto
G. DAL CANTON, Alcuni contributi alla critica dell'iconismo Libri, riviste e mostre
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Rosanna Cioffi
Martinelli, Renato De Fusco, Fulvio Irace, Agata Piromallo Gambardella, Francesco Rispoli, Maria Luisa Scalvini, Paola Serra Zanetti, Sandro Sproccati, Angelo Trimarco.
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L'idea della pittura in Lévi-Strauss ANTONIO o'AVOSSA
Delimitazione del campo Attraversiamo in diagonale l'opera di Claude Lévi-Strauss a partire dall'articolo The Art of Northwest Coast at the American Mu.seum of Natural History, apparso nel 1943 nella « Gazette des Beaux Arts » di New York, sino alla più recente ricerca, pubblicata nel 1975, La voie des masques. Sicuramente le tracce, a volte disperse, di questo percorso concorrono alla configurazione di una teoria dell'arte, e più ancora di un sistema della pittura, nell'opera dell'antropo logo francese. Singolarmente, infatti, a più di trent'anni di distanza, l'analisi delle maschere della Costa del Northwest ripropone, ma con una metodologia ormai accertata, una polemica attenzione alle produzioni estetiche di quelle po polazioni. I capitoli XIII e XIV dell'Antropologia strutturale, uno studio comparato delle arti dell'Asia e dell'America, e l'ana lisi della pittura facciale dei Caduvei, contenuta in Tristi Tropici, aprono l'orizzonte di un'ipotesi di grande interesse per comprendere l'evoluzione del suo pensiero estetico. Ne Il pensiero selvaggio l'arte viene situata a metà strada tra la conoscenza scientifica e il pensiero mitico o magico 1• Nel l'Ouverture a Il crudo e il cotto, dopo alcune importanti con siderazioni sulla pittura e la musica, Lévi-Strauss riprende la comparazione innescata nell'Antropologia strutturale per la lettura delle strutture dei miti come una partitura d'or chestra trascritta da un dilettante perverso 2, così come tutta 5
la materia della Mitologica è organizzata sul modello della struttura pluridimensionale e sincrodiacronica delle forme musicali quali la cantata, la sonata, il preludio, la fuga, etc. La musica viene a costituire, così, una via mediana tra l'eser cizio del pensiero logico e la percezione estetica 3• Il Finale della Mitologica è interamente dedicato a una sorta di po lemica chiarificazione-difesa di quelli che sono stati i temi sviluppati dallo strutturalismo lévi-straussiano fino a quel momento. Non a caso, la controcritica si snoda sulla fortuna che lo strutturalismo ha ricevuto in questi ultimi anni e procede per linee d'attacco, a volte feroce, verso le arti fi gurative contemporanee, le ultime tendenze della ricerca letteraria, e le critiche ad esse collegate, per finire con una lucidissima analisi del «Bolero» di Ravel svolta con stru menti squisitamente strutturali. - Ma l'interesse dell'etnologo per l'arte non si ferma qui. Nel 1959 Lévi-Strauss concede alla radio francese una serie di Entretiens con Georges Charbonnier, che sono per la maggior parte dedicati specificamente al tema dell'arte. In Anthropologie structurale deux, con un articolo sull'opera di Pablo Picasso, l'autore ci offre la possibilità di comple tare la trama degli scritti e dei momenti in cui la sottoli neatura dell'importanza dello studio dell'arte come una espressione, tra le altre, della cultura di una società, mo tiva i suoi interessi per questi temi. Infine, ne La voie des masques, due volumi ricchissimi di riproduzioni scultoree, il tentativo di analisi è diretto verso una lettura strutturale delle maschere di alcune popolazioni del Nordamerica, con un metodo già sperimentato nell'investigazione sui miti. I personaggi soprannaturali che esse rappresentano, la loro forma, i colori, i dettagli dei loro ornamenti, arbitrari ad una osservazione separata, trovano un senso se ogni tipo di maschera non viene osservata in se stessa e per se stessa, ma in funzione di altri tipi che presentano gli stessi ele menti plastici, anche se in altro modo combinati 4• Certo, questi interessi per l'arte possono sembrare na turali in un etnologo: l'arte è una espressione, tra le altre, 6 della cultura di una società, merita perciò la sua attenzione..
Ma ci sembra che gli interessi dello strutturalismo lévi straussiano vadano al di là di queste attenzioni alle produ zioni estetiche dell'uomo, e che essi si pongano sicuramente ad un livello più alto, con la segreta, ma in parte dichiarata, ambizione di essere nello stesso tempo un metodo di co noscenza scientifico e un modo di lettura estetica del reale 5• È a questo proposito che Simonis scrive: Lo strutturalismo si rivela come arte e si ridefinisce da scienza in arte 6. Per Simonis, uno dei più acuti lettori di Lévi-Strauss, lo strutturalismo è prima di tutto una logica della perce zione estetica e il suo desiderio è di dire scientificamente ciò che è percepito esteticamente nell'arte. E la conferma a tale ambizione viene data dello stesso Lévi-Strauss quando scrive: Ora il tipo di analisi alla quale mi affido tende pre cisamente a svelare nel mito un oggetto di un'essenza par ticolare prodotta precisamente dall'unione che si opera nel racconto mitico del sensibile (poiché dopotutto ogni mito racconta una storia) e di un messaggio intelligibile che può prendere forma di equazione quasi matematica. E ancora, ciò che chiamiamo il sentimento, l'emozione, che non è solo qui. Questa ci viene non da un mito ma da un'opera musi cale o da un quadro o da una scultura, l'emozione nasce da questo accesso immediato ad una certa intelligibilità (senza passare per le strade complicate del ragionamento), l'emozione è questa specie di urto in piena faccia che ci infligge la prensione globale di una configurazione sensibile. Ed io penso che il mito, lo studio del mito possa dunque aiutarci a risolvere uno dei problemi più irritanti delle scienze umane, ossia: « che cosa è il Bello,. 7•
Pittura e linguaggio Per iniziare un discorso sull'attenzione riservata da Lévi Strauss alla pittura, è necessario mettere in primo piano l'insieme dei rapporti che fanno individuare nella pittura fi gurativa l'unica forma pittorica che abbia un potere di si gnificazione. La pittura merita di essere chiamata linguaggio solo nella
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misura in cui, come ogni linguaggio, si compone di un co dice speciale i cui termini sono generati per combinazione di unità meno numerose e dipendenti anch'esse da un codice più generale 8• Così munito dell'apparato linguistico ereditato dalla fonologia 9, Lévi-Strauss si appresta, nell'ambito della pittura, ad una riflessione sui due livelli del linguaggio che ne garantiscono la significazione. Ma seguiamo l'Ouverture e cerchiamo di vedere come procede Lévi-Strauss in questa analisi: C'è però una differenza rispetto al linguaggio arti colato, dalla quale risulta che l messaggi della pittura sono ricevuti prima dalla percezione estetica, poi dalla percezione intellettuale, mentre nell'altro caso è il contrario. Trattan dosi del linguaggio articolato, l'intervento del secondo co dice, oblitera l'originalità del primo. Di qui il « carattere arbitrario » riconosciuto ai segni linguistici. I linguisti sot tolineano questo aspetto delle cose quando dicono che « (i) morfemi, elementi di significazione, si risolvono a loro volta in fonemi, elementi d'articolazione privi di significazione » (Benveniste). Di conseguenza, nel linguaggio articolato il primo codice non significante è, per il secondo codice, mezzo e condizione di significazione: cosicché la significazione stessa è isolata su un piano. La dualità si ristabilisce nella poesia, che riprende il valore significante del primo codice per integrarlo al secondo. Infatti, la poesia, opera sulla si gnificazione intellettuale delle parole e delle costruzioni sin tattiche, e al tempo stesso su proprietà estetiche, termini in potenza di un altro sistema che rafforza, modifica o contrad dice questa significazione. 1:: la stessa cosa in pittura, dove le opposizioni di forme e di colori sono accolte come tratti distintivi che dipendono simultaneamente da due sistemi: quello delle significazioni intellettuali, ereditato dall'espe• rienza comune, risultante dall'articolazione e dall'organizza zione dell'esperienza sensibile in oggetti; e quello dei valori plastici, che diviene significativo solo a condizione di mo dulare l'altro e integrandosi ad esso. Due meccanismi arti• colati si innestano l'uno sull'altro, e ne determinano un terzo in cui le loro proprietà si compongono. Si comprende allora 8 perché la pittura astratta, e più in generale tutte le scuole
che si proclamano « non figurative », perdano il potere di significare: esse rinunciano al primo livello di articolazione e pretendono di accontentarsi del secondo per sussistere 10. Questo passo, tra i più celebri e commentati dell'opera di Lévi-Strauss, è certamente emblematico di una visione del l'arte strategicamente linguistica. La lettura Iévi-straussiana fa cadere la censura sull'arte astratta (e più in generale tutta l'arte non figurativa), la musica seriale, la musica con creta, che viste in questa prospettiva pagano la mancanza di uno dei due livelli di articolazione con la perdita del loro potere di significare. Il non rispetto delle esigenze del codice corrisponde nell'opera alla perdita di significazione. Le esigenze del codice assumono perciò, in questa linea, una posizione di incontrastato dominio. Dall'avanguardia storica in poi, sembra invece che tutta l'operazione che è stata alla base dello sviluppo dei fatti artistici sia consistita in uno spostamento continuo dei due livelli di articolazione. Sulla « guerra fredda» tra lo strutturalismo lévi-straus siano e le poetiche contemporanee l'attenzione è stata no tevole, anche perché non si comprendeva bene come una metodologia così rinnovante, anche nel campo dell'estetica, rifiutasse di avere un qualsiasi rapporto con l'arte del suo tempo. La radice del conflitto - scrive Annette Michelson sembra risiedere, in primo luogo, nell'applicazione del mo dello linguistico e della funzione semantica alla nostra pit tura e scultura contemporanee, le quali invece si ribellano alla nozione di qualsiasi autorità o modello, a qualsiasi no zione di codice e messaggio nella loro testarda pretesa di autonomia, immediatezza e assolutezza 11 • Ora, in quasi tutta la letteratura che si è mossa intorno a queste tematiche, troviamo una messa in discussione di questo rifiuto delle avanguardie contemporanee e delle este tiche ad esse collegate. Un'attenzione tutta particolare è quella che riserva a questo passo Umberto Eco. È il mito della doppia articola zione 12 che genera - per Eco - il rifiuto da parte dell'an .- tropologo, di ogni scuola non figurativa. La critica di Eco, · eh.e è attenta soprattutto ai fatti di ordine linguistico, fa del 9
mito della doppia articolazione, che caratterizza la lettura dell'arte non figurativa, l'oggetto di un'analisi tesa a rile vare che le assunzioni lévi-straussiane possono ridursi a: 1) Non c'è linguaggio se non c'è doppia articolazione; 2) La doppia articolazione non è mobile, i livelli non sono sosti tuibili e intercambiabili: essa riposa su alcune convenzioni culturali che però si appoggiano ad esigenze naturali più profonde. A queste affermazioni dogmatiche si devono op porre - continua Eco - le seguenti affermazioni contrarie: 1) Ci sono codici comunicativi con vari tipi di articolazione o nessuna e la doppia articolazione non è un dogma; 2) Ci sono codici dove i livelli di articolazione sono permutabili; e i sistemi di relazioni che regolano un codice, se sono do vuti a esigenze naturali, lo sono a un livello più profondo, nel senso che i vari codici possono rimandare a un Ur co dice che tutti Ii giustifica 13• Fermiamoci a questo punto, e cerchiamo di elaborare una riflessione sui modi del processo analitico che fanno ri fiutare a Lévi-Strauss la pittura astratta o non figurativa. Intervengono qui le opposizioni di natura e cultura e i rap porti tra il mito, la musica seriale e la pittura. Il mito ricava da una serie illimitata di eventi conside rati come storici, un numero ristretto di elementi; ugual mente la musica si costruisce su di una gamma che è una scelta di altezze sonore di numero limitato tra le possibilità dei suoni fisicamente realizzabili; sotto un altro aspetto in vece, il mito agisce sui tempi psico-fisiologici dell'uditore: la lunghezza della narrazione, la ricorrenza dei temi, le altre forme di ritorno e di parallelismo ... esigono .che la mente dell'uditore spazi in lungo e in largo, se cosi si può dire, nel campo del racconto a mano a mano che esso si dispiega di fronte a lui 14; nello stesso modo la musica fa appello, per essere compresa, al fisiologico e al viscerale sui quali essa si muove. Il primo e il secondo livello di articolazione, impiegati da Lévi-Strauss per la musica e la pittura, rinviano recipro camente alla griglia fisiologica che è dell'ordine naturale, e - 10 al sistema di interventi derivanti dalla gerarchia dei gradi
della gamma che è dell'ordine culturale. L'analogia con il livello fonologico del linguaggio è ancora più evidente se comparata a questo passo di Roman Jakobson: come le scale musicali, le strutture fonematiche costituiscono un in tervento della cultura sulla natura, un artificio che impone principi logici all'ininterrotta sostanza fonica 15• La compara zione si introduce nella pittura, e Lévi-Strauss scrive: In fatti, se nella natura esistono « naturalmente » dei colori, non esistono però, se non in modo fortuito e transitorio, suoni musicali: ci sono solo rumori. I suoni e i rumori non si trovano quindi allo stesso livello, e il paragone può es sere legittimo solo quando avvenga fra i colori e i rumori, cioè fra modalità visive e acustiche che appartengono en trambe all'ordine della natura ... Pittura e musica non si situano dunque sullo stesso piano. La prima trova nella na tura la propria materia: i colori sono dati prima di essere utilizzati, e il vocabolario attesta il loro carattere derivato perfino nella designazione delle sfumature più sottili: blu pavone o blu petrolio; verde acqua, verde giada; giallo paglia, giallo limone; rosso ciliegia, etc. In altri termini, in pittura non esistono colori se non perché ci sono già degli esseri e degli oggetti colorati, ed è soltanto per astrazione che i colori possono essere staccati da questi sostrati naturali e trattati come i termini di un sistema separato ... Questo asservimento congenito delle arti plastiche agli oggetti ci sembra derivare dal fatto che l'organizzazione delle forme e dei colori in seno all'esperienza sensibile (che, ovviamente, è già una funzione dell'attività inconscia dello spirito), esplica, per queste arti, la funzione di primo livello di ar ticolazione del reale. Solo per merito suo esse sono in grado di introdurre una seconda articolazione, che consiste nella scelta e nell'ordinamento delle unità, e nella loro interpre tazione conformemente agli imperativi di una tecnica, di uno stile o di una maniera: cioè tr�ponendole secondo le regole di un codice, caratteristiche di un artista o di una società 16• Lévi-Strauss costruisce dunque questa doppia articola zione della pittura in opposizione a quella della musica, 11
ponendola in un preciso rapporto con le nozioni di natura e di cultura. Ma, ci potremmo chiedere se Lévi-Strauss non ceda al piacere di una configurazione troppo perfetta? Come ammettere, per esempio, che all'inverso di ciò che accade per la musica, i colori dell'opera pittorica sono esclusiva mente quelli della natura? Ci sembra, tutto sommato, che, almeno in questa analisi, si lasci andare ad una sorta di abuso comparativo, soprattutto sullo stretto legame che la pittura, più della musica, intrattiene con il reale. Questa combinazione dei due livelli di articolazione coin volge dunque anche il rapporto con la natura da un lato, e con la cultura dall'altro. A questo proposito Tagliaferri, nell'Estetica dell'oggettivo, scrive: II dogma della doppia ar ticolazione ... è introdotto più o meno di soppiatto negli scritti di numerosi teorici e critici della pittura moderna, ed è addirittura al centro di wta più complessa dogmatica in quanto implica, anzitutto, una scissione fra natura e cul tura, fra contenuto e forma, fra sentimento ed espressione 17• Nei Colloqui con Charbonnier, con più precisione, tro viamo: G. C.: Per lei l'artista è qualcuno che aspira al lin guaggio? CI. L.-S.: � qualcuno che aspira l'oggetto al lin guaggio, se mi è permesso esprimermi così. Egli si trova di fronte a un oggetto, e veramente di fronte a quest'oggetto vi è un'astrazione, un'aspirazione che fa di quest'oggetto una entità culturale nonostante sia soltanto un'entità naturale; ed è in questo senso ... che il tipico fenomeno a cui s'inte ressa l'etnologo, cioè la relazione e il passaggio dalla natura alla cultura, trova nell'arte un modo di manifestarsi privi legiato 18• Anche Mireille Marc-Lipiansky insiste su questo punto: Se la pittura e la musica offrono entrambe la possibilità di vivere il passaggio dalla natura alla cultura, Lévi-Strauss lascia tut tavia intuire la sua predilezione per la musica che meglio della pittura riconduce alla natura, significa il naturale nel l'uomo 19• La relazione natura/cultura è sempre stata al centro degli interessi dell'opera di Lévi-Strauss e tutti i suoi scritti 12 e la sua vocazione di etnologo rivelano una nostalgia ed in-
sieme una coscienza dolorosa dell'impossibile ritorno al pa radiso perduto dell'esistenza naturale. L'arte, ma più parti colarmente la musica, rappresentano gli strumenti che per mettono di effettuare questo ritorno sul piano dell'imma ginario. Yvan Simonis, quasi a giustificare la posizione lévi-straus siana nei confronti della pittura astratta, riprende un passo di Leroi-Gourhan: Lévi-Strauss rifiuta la pittura non figura tiva. La posizione è poco sostenibile nello strutturalismo coerente ma difendibile in estetica, perché la pittura non figurativa è legata a un macchinismo e il suo rifiuto è il richiamo di ciò che la supera: una certa libertà tra la forma e la funzione. Leroi-Gourhan sul quale ci appoggiamo dice: « Nella fase attuale, gli individui sono permeati, condizio nati, da una ritmicità che ha raggiunto lo stadio di una mec canizzazione (più che di una umanizzazione) praticamente totale. La crisi del figuralismo è il corollario del predominio del meccanicismo ... Colpisce vedere che nelle società in cui scienza e lavoro sono valori che escludono il piano metafi• sico, viene fatto il massimo sforzo per salvare il figuralismo, trasponendo i valori mitologici: pittura storica, culto degli eroi del lavoro, deificazione della macchina. Sembra infatti che un equlibrio costante come quello che coordina dalle origini la funzione della figurazione e quella della tecnica non possa venire infranto senza che sia messo in discussione il senso stesso dell'avventura umana •· Più in alto, Leroi Gourhan scrive della tendenza propriamente estetica che essa « risponde a una certa libertà nell'interpretazione dei rapporti tra forma e funzione •· Pensiamo che il rifiuto del non figurativo è un'affermazione della libertà, un rifiuto del ritmo puro, salvataggio delle possibilità della libertà 20• Il rimprovero fatto alla pittura astratta dunque è quello di avere un legame con il naturale estremamente precario. Un aspetto ci sembra importante: precisare che cosa intende Lévi-Strauss con la nozione di natura sulla quale si fondano i .sistemi di base che assicurano ad ogni opera d'arte il potere reale di comunicare. Per Lévi-Strauss la natura, che prende un senso strettamente positivista, si confonde con 13
questo reale oggettivo comune sul quale si aprono i nostri sensi e che l'intelletto maggiormente spiega e l'inserisce in una rete di leggi sempre più dense. Ora questo punto do mina l'idea che ci si fa della natura del mito, dei rapporti di quest'ultimo con la musica e finalmente sino alla signi• ficazione che si riconosce all'arte 21• Nei Colloqui con Charbonnier, Lévi-Strauss ammette che la sua indifferenza per la pittura astratta possa essere il risultato della sua formazione personale, la conseguenza della biografia di un amatore i cui ultimi oggetti di entusiasmo, della serie delle innovazioni della storia delle arti, gli sem brano essere i quadri cubisti e le esperienze surrealiste. Si curamente, nel determinare una presa di posizione tanto dura nei confronti delle ultime tendenze artistiche, il momento biografico è importante. Ma, ci sembra che ridurre tutta l'analisi e la successiva condanna a fatti di ordine perso nale (come hanno fatto alcuni commentatori quali Caillois o Leach, e per alcuni aspetti anche Sergio Moravia) signi fichi sminuire il senso e l'ampiezza del pensiero lévi-straus siano, che trova radici profonde non solo nelle ricerche etno logiche, ma in tutta la costruzione della sua tesi. In un capitolo dei Colloqui, dal titolo « Le tre differenze», Lévi-Strauss considera la maggior parte della pittura occi dentale, storicamente data, soggetta a tre caratteristiche do• minanti. Le prime due sono: l'individualismo della produ• zione e il figurativismo. La terza è l'accademismo, l'imita• zione dei modelli figurativi stabiliti. Così, l'impressionismo viene a rappresentare la liquidazione dell'accademismo, e il pittore impressionista colui che cerca di sfuggire alla vi sione dell'oggetto visto tramite la scuola 22; ma appena il cubismo, ritrovando la verità semantica dell'arte 21, va· al fondo delle cose, nasce una delle tendenze della degenera-• zione: la perdita di significazione. In più il cubismo non è stato capace di superare l'ostacolo decisivo: l'assenza di funzione collettiva dell'opera d'arte. La ragione di ciò - ci spiega Lévi-Strauss - è che l'accademismo e il figurativismo sono stati superati perché appartengono a ciò che i mar14 xisti chiamerebbero ordine delle sovrastrutture, mentre ... la
funzione collettiva dell'opera d'arte, appartiene alle infra strutture. Ormai non basta un'evoluzione puramente for• male, non basta il dinamismo proprio alla creazione estetica per superarla. Nel momento in cui ci scontriamo con questa opposizione, l'arte, se m i consente l'espressione, s'innesta sulla realtà sociologica e si rivela impotente a trasformarla 24• L'accademismo della pittura preimpressionista era, per usare il linguaggio dei linguisti, un « accademismo del signi ficato»: gli oggetti stessi - viso umano, fiori, vaso - che si sforzavano di rappresentare, erano visti attraverso una convenzione e una tradizione; mentre con l'abbondanza di maniere che vediamo sorgere in una certa epoca e in un certo momento nei creatori contemporanei, l'accademismo del significato sparisce, ma a profitto di un nuovo accade• mismo che chiamerei « l'accademismo del significante». Che poi è l'accademismo del linguaggio; in uno Stravinsky o in un Picasso, osserviamo una consumazione quasi bulimica di tutti i sistemi di segni che sono stati e che sono utilizzati dall'umanità da quando possiede un'espressione artistica e ovunque ne possieda una. L'accademismo del linguaggio prende il posto dell'accademismo del soggetto: essendo ri maste individuali le condizioni della produzione artistica, non vi è nessuna possibilità che un vero linguaggio s'instauri, poiché il linguaggio è un fatto di gruppo e un fatto stabile 25• Questo nuovo accademismo sta alla base della critica che Lévi-Strauss rivolge alla pittura astratta, non tanto nei Col loqui con Charbonnier, quanto ne Il pensiero selvaggio e nel
l'Ouverture a Il crudo e il cotto. Scrive infatti in una nota del Pensiero selvaggio: La pittura non figurativa usa « ma niere,. in guisa di «soggetti»; essa pretende di dare una rappresentazione concreta delle condizioni formali di ogni pittura. Ne risulta paradossalmente che la pittura non figura tiva non crea, come crede, opere altrettanto reali (o addirit tura più reali) degli oggetti del mondo fisico, ma imitazioni realistiche di modelli inesistenti. � una scuola di pittura ac cademica, in cui ogni artista s'ingegna a rappresentare la ma niera in cui eseguirebbe i quadri, se per caso ne dipin• gesse 26•
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t:. nell'analizzare la produzione pittorica di Picasso che l'antropologo, cercando di adoperare una strumentazione linguistica, scrive: Il problema che pone Picasso - e il cu bismo, e la pittura in generale al di là del cubismo - è di sapere fino a che punto l'opera compie essa stessa un'analisi strutturale della realtà. In altri termini, è essa per noi un mezzo di conoscenza? � un'opera che apporta meno per quanto riguarda il messaggio originale che per quanto essa sl dedichi a una specie di triturazione del codice della pit tura. Una interpretazione al secondo livello; un ammirevole discorso sul discorso della pittura, molto più che un discorso sul mondo. Ecco per quanto riguarda il punto di vista sin cronico 27 • Ma non è forse questo il senso del passaggio del l'arte moderna e delle attuali ricerche estetiche? Passaggio da un livello espressivo ad un livello analitico, passaggio dal fare arte al fare un discorso sull'arte 23• Discorso sul discorso della pittura, momento critico dell'artista teso a individuare le possibilità pratiche, e quindi teoriche, fornitegli dalla materia. Ma, purtroppo, questa felice intuizione del livello sincronico dell'opera di Picasso, ed è facile intendere con essa anche tutta la produzione artistica che si è inserita in questa linea, non è oggetto di ulteriore analisi. E, per Lévi Strauss, la pittura di Picasso diventa semplicemente interior decoration, decorazione per l'interno delle abitazioni 29• Che il cubismo abbia influenzato lo strutturalismo per il modo stesso di individuare un'Immagine più vera dietro il mondo, quali che siano i mezzi che ha impiegato 30, sembra un fatto innegabile anche per lo stesso Lévi-Strauss. Ma è qui che la separazione di due linee diventa determinante. La possibilità di riconoscere a queste due direzioni una matrice comune nelle procedure cubiste è, da Lévi-Strauss, decisamente negata: Tra i miei colleghi strutturalisti, alcuni considerano che il cubismo e altri aspetti della pittura mo derna abbiano esercitato su di loro una influenza determi nante, incitandoli a ricercare dietro le apparenze sensibili un'organizzazione più solida del reale, situata a un livello profondo. Nel mio caso, l'influenza decisiva è venuta dalle 16 scienze naturali: ciò che mi ha reso strutturalista, è meno
lo spettacolo delle opere di Picasso, di Braque, di Léger o di Kandinsky, che quello delle pietre, dei fiori, delle far. falle o degli uccelli. Ci sono dunque, all'origine del pensiero strutturalista due stimoli molto differenti: l'uno più umani stico, direi volentieri, l'altro volto verso la natura 31• Questo riferimento costante alla natura, nella prospettiva da noi presa in considerazione, diventa un riferimento costante alla pittura figurativa e più precisamente a quella surrealista e a quella nai'f da un lato, ed alla pittura intesa come ridu zione di modelli dall'altro 32 • L'accento posto a più riprese sulla imprevedibilità del l'operare artistico, sul caso, il « rischio oggettivo», tipico dei surrealisti, è un'altra faccia di questa concezione. Già nel Pensiero selvaggio Lévi-Strauss si era espresso al riguardo: Una volta realizzato (il risultato, l'opera), questo divergerà inevitabilmente dall'intenzione iniziale (un semplice schema, d'altronde), effetto che è stato chiamato dai surrealisti con espressione felice « rischio oggettivo » 33• E in un articolo scritto in occasione della mostra « Hommage à Picasso» del 1966: Spesso si crede che poiché esistono delle leggi che ren dono conto della natura e della struttura dell'opera d'arte, si possano creare delle opere d'arte applicando delle leggi o fingendole, o scopiazzando delle ricette, mentre il vero pro blema che pone la creazione artistica risiede, per quanto mi pare, nell'impossibilità di pensare in anticipo il suo ri sultato 34• Anche nel Finale dell'Uomo nudo, l'intervento a questo proposito sembra andare nella stessa direzione, in questa sorta di condanna di ogni operazione artistica che partendo dalla struttura mira alla realtà oggettiva: C'è purtroppo da temere che molte opere contemporanee, non soltanto in let teratura ma anche in pittura e nella musica siano vittime dell'ingenuo empirismo degli autori. Visto che le scienze umane hanno evidenziato certe strutture formali dietro le opere d'arte, ci si precipita a fabbricare opere d'arte par tendo da strutture formali. Ma non è affatto certo che queste strutture coscienti e costruite artificialmente alle quali ci si ispira siano dello stesso tipo di quelle che hanno agito nella 17
mente del creatore, di solito a sua insaputa, e che si ven gono scoprendo quando l'opera è terminata 35• Le radici di questa critica all'arte che pretende di conoscere in anticipo i suoi risultati, e all'arte che parte da strutture formali per la costruzione dell'opera, possiamo ritrovarle già nei Colloqui con Charbonnier, dove esprimendosi sulle motivazioni del l'emozione estetica dice: Il fatto è che all'improvviso que st'oggetto ci appare come struttura, e il riconoscere la strut tura nell'oggetto ci procura l'emozione estetica, ma questo è un effetto del caso 36. L'analisi di Lévi-Strauss non si ferma però a questo punto, anzi, egli sembra voler fornire all'arte contemporanea le chiavi per l'apertura delle porte di ferro della gabbia in cui è andata a cacciarsi. Le « tensioni » che si sono svilup pate all'interno delle correnti artistiche di questi ultimi de cenni, hanno creato - per l'antropologo francese - un falso o inesistente o scorretto rapporto con la natura. Quindi, tutte le speranze di una possibile ripresa dell'arte, sono da considerare in realizzazione se essa riprende contatto con la natura allo stato bruto, impossibile nel senso stretto del termine; insomma, diciamo uno sforzo in questo senso 37• Che cosa voglia significare questo contatto con la natura, diventa sicuramente una riflessione obbligatoria, soprattutto perché - per Lévi-Strauss - una delle esigenze principali per l'inserimento dell'arte· in questa traiettoria rigenerativa, sembra essere la distruzione del mercato e delle sue leggi. Soffermiamoci sul primo punto: la ripresa di contatto con la natura. Questa indicazione di sapore tipicamente rousseauiano, si situa come l'implicazione dell'aspetto già esa minato prima per la significazione del linguaggio pittorico. :E:. sotto questa luce che la stessa separazione tra natura e cultura, che è alla base delle tesi delle Strutture elementari della parentela, diventa complementare alla divisione ope rata per il linguaggio: Questa frattura, oltre che essere con siderata riscontrabile nel passato dell'arte, viene prescritta da Lévi-Strauss come schema insuperabile per qualsiasi arte futura. Perciò Lévi-Strauss azzarda anche una formulazione 18 teorica del fenomeno estetico, e ciò lo costringe ad intro-
durre nel suo discorso la valutazione estetica, divenendo necessario rendere ragione dei motivi per i quali un'opera odierna, informale o comunque non naturalistica, ad arti colazione unica, non è un'opera artistica (mentre artistici sarebbero, naturalmente, quei dipinti di Ingres e di Joseph Vernet di cui egli parla con tanta nostalgia nei« Colloqui») .38. Un'arte tutta «culturale» e che, in definitiva, non si pone il problema del rapporto con la natura o con la naturalità è destinata inevitabilmente a perire: Infatti, l'arte tende attualmente a non essere più ... l'oggetto sfugge completa mente, e tende a non essere più che un sistema di segni 39• E ancora: G. C.: In questo caso, direbbe che l'arte è sempre un linguaggio? Che costituisce un linguaggio? Cl. L.-S.: Cer tamente. Ma non un linguaggio qualunque. Abbiamo già par lato di questo carattere artigianale che, forse, è il denomi natore comune a tutte le manifestazioni estetiche: cioè il fatto che, nell'arte, l'artista non possa mai integralmente do minare i materiali e i procedimenti tecnici che impiega. Se avesse questa capacità - e qui entreremmo nella ragione della generalità del fenomeno •.• G. C.: Se l'avesse non ci sarebbe più arte! CI. L.-S.: Se l'avesse, giungerebbe a un'hni tazione assoluta della natura. Ci sarebbe identità fra il mo dello e l'opera d'arte e, di conseguenza, riproduzione della natura, non più creazione di un'opera �ulturale vera e pro pria; d'altra parte però, se il problema non si ponesse, cioè se non dovesse esserci relazione alcuna fra l'opera e l'og getto che l'ha ispirata, non ci troveremmo più di fronte a . un'opera d'arte, ma a un oggetto di ordine linguistico. La caratteristica del linguaggio - come Ferdinand de Saussure ha ben dimostrato - è di essere un sistema di segni senza rapporti materiali con ciò che devono significare. Se l'arte fosse un'hnitazione completa dell'oggetto, non avrebbe più il carattere di segno. Tanto che possiamo considerare l'arte come un sistema significativo, ossia un Insieme di sistemi significativi, però, sempre a metà strada fra il linguaggio e l'oggetto 40• La relazione tra l'opera ·d'arte, la natura e la cultura, proprio come tale, non può non far intervenire l'etnologo 19
che non può certo disinteressarsene, prima di tutto perché l'arte fa parte della cultura, e poi forse anche per una ra gione ancora più precisa: l'arte rappresenta al massimo grado questa presa di possesso della natura tramite la cul tura, e cioè un tipico esempio del fenomeni studiati dal l'etnologo 41. Ma se l'arte è un fatto di cultura, perché mai dovrebbe aspirare ad un rapporto con la natura? Questo rapporto, per la pittura, non esiste già nell'uso dei mate riali? 42. La relazione con la natura è, per Lévi-Strauss, innanzi tutto un fatto di immediatezza, di freschezza, di naiveté, una natura, in ultima analisi, priva di manipolazioni e interpreta zioni, e non è un caso che sia il protagonista maschile del film di Wiler « The Collector » ad attirare tutte le sue sim patie 43• Lui è la natura, lei è la cultura. Lui non ha mai visto quadri e non si è mai interessato ai libri (che non sa leggere), lei non s'interessa che a libri di arte ed alle ripro duzioni di quadri che si trovano all'interno (soprattutto Pi casso). Lui colleziona farfalle e dedica la sua passione solo alle bellezze della natura che può possedere (insetti, far falle, uccelli, la bella ragazza), lei vive attraverso le ripro duzioni di opere (i cui originali non può possedere perché troppo cari). In sintesi, lui vive l'immediatezza, la veracità e il possesso della natura, lei vive la falsità, la reinterpre tazione, la manipolazione ed infine il non possesso della cultura 44• Ora, Lévi-Strauss, in questa schematica opposizione dei personaggi del film di Wiler, è tutto schierato dalla parte di lui, cioè per la riappropriazione della naiveté, della fre schezza, in fondo, della natura. Dall'altro lato non sarebbe difficile incasellare Picasso che, visto in questa prospettiva come un testimone del nostro tempo, diventa una media zione verso il falso sentimento del bello (la riproduzione al posto della realtà), e il rappresentante del falso gusto del tempo in cui viviamo. Nel protagonista maschile invece (ra• pisce e sequestra la bella ragazza che gli abbiamo contrap posto), che vive l'immediatezza del rapporto con la natura, 20 è facile rilevare un sentimento più giusto del vero e del ·
bello 45 • Un'altra testimonianza, se così possiamo chiamarla,
di Picasso è rappresentata dal suo rapporto con la società, e con questo veniamo al nostro secondo punto: il mercato dell'arte. Queste opere, troppo care, non si possono posse dere e, per Lévi-Strauss, se non si possono possedere non si possono godere. Infatti il momento del possesso, al centro dell'ipotesi lévi-straussiana, diventa fondamentale per la frui zione estetica: tutto il resto è falso. Senza il possesso del l'oggetto artistico, il godimento viene, per forza, a puntarsi sulla sua riproduzione, che non è la tela del maestro, ma la falsa immagine che questa società ci fornisce: l'elemento di possesso che appartiene al campo della sessualità, è anche un aspetto essenziale della nostra relazione al bello 46•
L'incontro col surrealismo Come sfuggire a delle condizioni che sembrano insupe rabili, lo indica lo stesso Lévi-Strauss, che vede nelle tele di Max Ernst e di Paul Delvaux una freschezza inesistente presso Picasso. L'antidoto pare essere questo: una pittura minutamente figurativa, ma in cui l'artista, invece di mettersi davanti ad un paesaggio e di dame una visione più o menò trasposta e interpretata, comincerebbe a creare dei super paesaggi, come del resto la pittura cinese non ha mai smesso di fare. È piuttosto in questa direzione che vedrei una so hIZione della contraddizione attuale: una specie di sintesi della rappresentatività, che potrebbe di nuovo essere spinta a un punto estremo, e della non rappresentatività, che agi rebbe sul piano della libera combinazione degli elementi 47•
Bisogna, però, fare attenzione a non inserire la nozione lévi-straussiana di arte nella casella della restaurazione, anche se molti fili della tela che stiamo costruendo· ci ten tano in tale direzione. A nostro avviso infatti per comple tare il discorso sull'attenzione riservata dal padre dell'an tropologia strutturale alla pittura, è necessaria anche una messa a fuoco sull'influenza e l'interesse ohe il surrealismo ha esercitato sulla sua opera. Più reale che supposta, questa influenza dovuta alla determinante amicizia con André Bre- 21
ton, trova certezza nel clima culturale che si sviluppa in Francia intorno al movimento surrealista tra il 1920 e il 1935. I rapporti di Lévi-Strauss con i surrealisti, anche se sporadici ed occasionali, determinano, in ultima istanza, una rete di convinzioni che, non a caso, fanno riconoscere nel sogno, nell'invenzione, e nell'immaginazione, i temi cen trali di un'ipotetica pittura. Non volendo, qui, ricostruire l'intero clima di rapporti che legano la nascita della « nuova etnologia » agli sviluppi del movimento surrealista, operazione, del resto, già perfet tamente compiuta da Sergio Moravia ne La ragione na scosta 48, ci limiteremo ad individuare quei temi che, traendo origine dall'area surrealista, diventano negli scritti di Lévi Strauss oggetto di interesse e fondano le relazioni che con tribuiscono, ed in misura non irrilevante, ad una configura zione di una teoria dell'arte, per alcuni aspetti, vicina a quella surrealista. Le notissime pagine di Tristi Tropici in cui Lévi-Strauss rende conto delle origini della sua vocazione di etnologo, sono, per lo più, dedicate all'evoluzione intellettuale che gli stimolarono le letture di Freud, la scoperta di Marx e la passione per la geologia. Quando conobbi le teorie di Freud, esse mi sembrarono semplicemente l'applicazione di un metodo di cui la geologia rappresentava il canone. Sia nel caso della psicanalisi che in quello della geologia, infatti, lo studioso si trova subito davanti a fenomeni in apparenza impenetrabili; in tutti e due i casi, per catalogare e valu tare gli elementi di una situazione complessa, egli deve met tere in opera qualità raffinate: sensibilità, intuito, e gusto. Eppure, l'ordine che si stabilisce in un insieme, a prima vista incoerente, non è né contingente né arbitrario. A diffe renza della storia degli storici, quella del geologo come quella dello psicanalista, cerca di proiettare nel tempo, un po' come in un quadro vivente, certe proprietà fondamentali dell'uni verso fisico o psichico ... D'accordo con Rousseau, e in forma che ml pare decisiva, Marx ha insegnato che la scienza so ciale non si edifica sul piano degli avvenimenti, cosi come 22 la fisica non è fondata sul dati della sensibilità: lo scopo è
di costruire un modello, di studiare le sue proprietà e le sue diverse reazioni in laboratorio, per applicare poi quanto si è osservato all'interpretazione di ciò che avviene empiri camente e che può essere molto lontano dalle previsioni. A un diverso livello di realtà, il marxismo mi sembrava pro cedesse allo stesso modo della geologia e della psicanalisi intesa nel senso che il suo fondatore le aveva dato: tutti e tre dimostrano che comprendere vuol dire ridurre un tipo di realtà ad un altro; che la realtà vera non è mai la più manifesta: e che la natura del vero traspare già nella cura che mette a nascondersi 49 • Se i grandi ispiratori della vo cazione etnologica lévi-straussiana sono Marx e Freud, nel l'esperienza surrealista accanto ai padri riconosciuti come Rimbaud, Jarry e Lautréamont, non ci risulta difficile in serire, con posizione fondante, Marx e Freud. Marxismo e psicoanalisi per i surrealisti, marxismo e psicoanalisi per il giovane antropologo. Ma è sul rapporto tra queste due scienze che ci sembra determinante l'influenza del surrea lismo. Il gruppo raccolto intorno alla rivista « La Révolution Surréaliste » fu il primo a cercare di elaborare un rapporto tra il marxismo e la psicoanalisi, e il gruppo, proprio in questi anni, di cui ci parla Lévi-Strauss quando scrive, il periodo dal 1920 al 1930 in Francia è stato quello delle teorie psicoanalitiche 50, cercò di praticare più intensamente questa relazione. Ma se i surrealisti troveranno come campo di pra tica del marxismo e della psicoanalisi l'immaginario e il meraviglioso, Lévi-Strauss troverà nell'etnologia il campo di pratica delle tre scienze (psicoanalisi, marxismo, geologia) attraversate però dal fecondo incontro con Roman Jakobson e quindi dalla fonologia e dalla linguistica strutturale 51• Ora, una volta individuate addirittura le matrici comuni, alle quali sia lo strutturalismo di Lévi-Strauss che il sur realismo fanno capo, ci chiediamo perché la risposta al pro cesso intentato da Caillois contro la nuova etnologia e sull'influsso avuto dal surrealismo su di essa, è così irri verente e violenta. In primo luogo, perché nel suo scritto Caillois non sembra, o non vuole, essere molto informato sulla vita giovanile di Lévi-Strauss; in secondo luogo, perché 23
l'apparentamento con etnologi (Marce! Griaule, Alfred Me traux, Michel Leiris, Georges-Henri Rivière) che realmente e con una certa continuità hanno avuto rapporti con il sur realismo e i cui nomi realmente, come scrive Caillois, figu rano nel sommario cli riviste come « La Révolution Surréa liste », « Documents » e « Minotaure » 52, è sotto molti aspetti non preciso: Lévi-Strauss, come scrive nella sua risposta 53, non ha mai collaborato a nessuna di queste riviste. Ma nonostante l'avventura surrealista, con le sue implicazioni teoriche e filosofiche, sia entrata in diretto contatto con Lévi-Strauss solo nel 1941, tramite l'amicizia con André Breton, il carattere che si attribuiva all'uso della psicoana lisi da parte dell'animatore del surrealismo e del giovane antropologo, come ci ricorda Moravia, non sembra essere dissimile: Quanto ad André Breton, egli scopre con preveg gente luddità l'importanza rivoluzionaria della psicanalisi freudiana nella prospettiva di una conoscenza non deformata dai diaframmi intellettualistici dell'uomo « autentico ». Pro prio negli stessi anni in cui Marcel Mauss auspicava l'avvento cli una psicologia non intellettualistica e rilevava l'impor tanza dello studio antropologico dei fenomeni inconsci, Bre ton saggia i modi e le forme di una analisi sistematica del l'io. « Sta a noi - scriverà nel secondo « Manifesto » - ••• cercare di discernere sempre più chiaramente ciò che si trama all'insaputa dell'uomo nel profondo del suo spirito ». Anche se le fonti ispiratrici dichiarate sono altre, il compito che Lévi-Strauss assegnerà un giorno all'antropologia strut turale non risulterà diverso da quello indicato qui 54• Ma, in realtà, dei suoi rapporti con il surrealismo, per Lévi-Strauss, tutto sembra risalire alla sµa partenza per l'America del 1941 e alla sua amicizia con André Breton: La « marmaglia » come dicevano le guardie, annoverava fra gli altri André Breton e Victor Serge. André Breton, molto a disagio su questa galera, deambulava in lungo e in largo nei rari spazi vuoti del ponte; vestito cli felpa, sembrava un orso blù. Un'amicizia che si prolungò per parecchio tempo nel corso cli questo interminabile viaggio, cominciò fra noi 24 con uno scambio di lettere nelle quali discutevamo dei rap-
porti fra bellezza estetica e originalità assoluta 55• I frequenti richiami a Rimbaud, ai nai'fs e soprattutto a Max Ernst, a Paul Delvaux e Henri Rousseau, si spiegano· solo con questa « amicizia », poiché si tratta o di pittori surrealisti, o di artisti, come Rousseau o Rimbaud, che ricevettero dal sur realismo il più grosso tributo e la più specifica rivalutazione. Ma la più importante conferma di questa presenza, direi esplicita, del surrealismo nell'opera di Lévi-Strauss, ci è fornita da una delle più solenni occasioni: la Lezione Inaugu rale del 1960. Certo, abbiamo acquistato una coscienza di retta delle forme di vita e di pensiero esotiche, che ai nostri predecessori mancava; ma ciò non dipende anche dal fatto che il surrealismo - cioè un momento evolutivo interno alla nostra società - ci ha trasformato la sensibilità, in quanto ha avuto il merito di scoprire, o di riscoprire, in seno ai nostri studi, un lirismo e una probità? 56• Lo stesso interes samento per la pittura figurativa sembra essere uno dei ri cordi di questo scambio di lettere con il padre del surrea lismo, il sentirsi vicino al surrealismo dal punto di vista del gusto estetico, l'amore per l'arte naif, si inseriscono in questa linea: direi che l'arte naif mi riguarda più dell'arte astratta, che non amo; l'arte astratta non mi interessa, mentre l'arte naif mi dà certe emozioni. E qui, se vuole, qui riconosco che devo un debito ai surrealisti, perché per questo è veramente Breton che mi ha insegnato a non interessarmi che ad un'arte figurativa ,.,_ 1 C. LM-STR�uss, ./l pensiero selvaggio, trad. it., Milano 1964, p. 35. 2 C. LÉVI-STRAuss, Antropologia strutturale, trad. it., Milano 1966,
p. 239.
J C. LÉVI-STR,\USS, Il crudo e il cotto, trad. it., Milano 1966, p. 30. 4 C. Lllvr-STRAUSS, La voie des masques, 2 tomi, Genève 1975. Su questo testo si v. A. o'AvossA, Claude Lévi-Strauss. Dai miti alle ma schere, in « Art Dimension », n. 11-12, settembre-dicembre 1977, pp. 20-24. s Questa tesi viene sostenuta da M. MARC-LIPIANSKY nell'ultimo capitolo (Esthétique ou science?) del suo Le structuralisme de Lévi Strauss, Paris 1973. 6 Y. SIMONIS, C/aude Lévi-Strauss ou la « passion de l'inceste "• Paris 1968, p. 318. L'ultima parte di questo libro è tutta giocata attorno alle nozioni di inconscio, di arte e di scienza nello strutturalismo di Lévi-Strauss. Così come risulta importante per l'aggancio tra l'aspetto estetico dello strutturalismo e l'aspetto scienti.fico.
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7 C. UVI-STRAuss, Lo. grande aventure de l'ethnologie, in « Le Nouvel Observateur •• n. 166, 17 gennaio 1968, p. 36. 8 C. UVI-STRAuss, Il crudo e il cotto, trad. cit., p. 38. 9 Sul debito dello strutturalismo lévi-straussiano alla fonologia si può utilmente vedere quanto l'antropologo scrive nell'Introduzione a R. JAKOBSON, Lo. linguistica e le scienze dell'uomo, trad. it., Milano 1978, pp. 7-20. 1° C. UVI-STRAuss, Il crudo e il cotto, trad. cit., pp. 38-39. 11 A. MICHEI.S0N, L'arte e la prospettiva strutturalista, in AA.VV., Sul futuro dell'arte, trad. it., Milano 1972, p. 58. Dl fronte all'unico li vello di articolazione dell'astratto, U pensiero strutturalista si ritrae. (I:. significativo, fra parentesi, che lo strutturalismo non sia stato né assorbito né contestato dalla critica d'arte e dalla storia dell'arte fran cesi). Cost come Freud volse le spalle all'espressionismo, Lévl-Strauss volge le spalle alla tesi critica dell'Illusionismo e del linguaggio che sta alla base dell'epistemologia del modernismo, ed auspica, alla lettera, U ritorno ad un'arte di paesaggi Immaginari In « trompe l'oell», Invo cando, con rousseauiana nostalgia, la restaurazione di un'armonia na turale mediante l'arte di puro diletto (ib., p. 62). 12 U. Eco, Lo. struttura assente, Milano 1968, p. 131. 13 U. Eco, Ibidem, cit., p. 133. Su questo problema si v. G. MouNIN, Lévi-Strauss e la linguistica, in Introduzione alla semiologica, trad it., Roma 1972. L'autore è molto critico nei confronti dell'uso disinvolto che Lévi-Strauss fa della linguistica e della fonologia. Sulla questione della « doppia articolazione» si cfr. L. J. PRIETO, Lineamenti di semiologia, Bari 1971; E. GARRONI, Progetto di semiotica, Bari 1972. 14 C. Uv:r-STRAuss, Il crudo e il cotto, trad. cit., p. 33. 1s R. JAK0BSON, Saggi di linguistica generale, trad. it., Milano 1966, p. 92. 16 C. Uvx-STRAUSS, Il crudo e il cotto, trad. cit., pp. 37-38. 17 A. TAGLIAFERRI, L'estetica dell'oggettivo, Milano 1968, pp. 78-79. Si tratta di un testo che è tutto rivolto ad indagare all'interno dell'opera di Lévi-Strauss una teoria dell'arte. L'intero sistema « estetico » lévi straussiano, per Tagliaferri, fonda e valuta l'opera con due parametri oggettivistici, quello di una realtà strutturale dei contenuti e quello di una rilevabilità scientifica di norme formali. t:. questa estetica che viene indicata come « estetica dell'oggettvo •· Su questo problema del rapporto natura/cultura, rinviamo al capitolo primo di C. Uvx-STRAUSS, Le strutture elementari della parentela, trad. it., Milano 1969. 18 G. CHARBONNIER, Colloqui con Lévi-Strauss, trad. it., Milano 1966, p. 114. 19 M. MARc-LIPIANSKY, Le structuralisme de Lévi-Strauss, cit., p. 317. 20 Y. S1M0NIS, Claude Lévi-Strauss ou la « passion de l'inceste », cit. p. 331. La citazione di Leroi-Gourhan è tratta da A. LER01-GouRHAN, ]l gesto e la parola, voi. Il, Lo. memoria e i ritmi, trad. it., Torino 1977, p. 363. 21 R. CoURT, Musique, mythe, langage, in « Musique en jeu "• n. 12, octobre 1973, Paris, p. 53. Numero speciale di questa rivista interamente dedicato alla teoria della musica dell'antropologo francese. 22 G. CHARBONNIER, Colloqui con Lévi-Strauss, trad. cit., p. 67. 23 G. CHARBONNIER, Ibidem, p. 70. 24 G. CHARBONNIER, Ibidem, p. 76. 2s G. CHARBONNIER, Ibidem, p. 72. 26 C. I..ÉVI-STRAUSS, Il pensiero selvaggio, trad. cit. , p. 47.
27 . C. L!lvr-SrRAuss, A propos d'une rétrospective, in lo., Anthropolog1e structura/e deux, Paris 1973, p. 326. 28 F. MENNA, La linea analitica dell'arte moderna, Torino 1975, p. 91. 29 C. LllvI-STRAuss, A propos d'une rétrospective, cit., p. 326. 30 c. Lllvr-STRAUSS, Ibidem, p. 327. 31 C. LtVI-STRAuss, Ibidem. 32 A questo proposito si veda la teorizzazione dell'opera come e mo dello ridotto,, in C. Lllvr-SrRAuss, Il pensiero selvaggio, trad. cit., pp. 35-43. 33 C. LllVI-STRAuss, Il pensiero selvaggio, trad. cit., p. 34. 34 C. LtvI-Sll!Auss, A propos d'une rétrospective, cit., p. 327. 35 C. Ltvr-STRJ1uss, L'uomo nudo, trad. it., Milano 1974, p. 604. 36 G. CHARBONNIER, Colloqui con Lévi-Strauss, trad. cit., p. 113. 37 C. LllVI-STRAUSS, A propos d'une rétrospective, cit., p. 327. 38 A. TAGLIAFERRr, L'estetica dell'oggettivo, cit., p. 79. 39 G. CHARBONNIER, Colloqui con Lévi-Strauss, cit., p. 81. 40 G. CHARBONNIER, Ibidem, p. 101. 41 G. CHARBONNIER, Ibidem, pp. 100-101. 42 C. LllVI-STR,\USS, Il crudo e il cotto, trad. cit., p. 37. 43 C. UVI-STRAUSS, A propos d'une retrospective, cit., pp. 328-329. 44 c. Uvr-STRAUSS, Ibidem, p. 329. 45 C. Ll!VI-STRAuss, Ibidem. Tutta l'opera di Picasso, allora, ap pare come un'opera retorica, che perfettamente inserita nella di mensione di una natura al secondo grado, non ha sbocchi o vie d'uscita (ib., p. 328). 46 C. LllVI-STRAuss, Ibidem, p. 328. 47 G. CHARBONNIER, Colloqui con Lévi-Strauss, trad. cit., p. 90. Questa affermazione, recentemente rispolverata da alcuni critici francesi, ha fatto dire che Lévi-Strauss avesse profetizzato l'avvento della corrente iperrealistica. L'antropologo ne ha decisamente negato la validità so stenendo che gli Iperrealisti non hanno alcun mestiere. Essi cercano di far credere che hanno un mestiere, sono del truccatori, ma non sanno dipingere esattamente (A. o'AvossA, Colloquio con Lévi-Strauss, in C. Lévi-Strauss: pittura, linguaggio e teoria dell'arte, Istituto di Storia dell'Arte, Università di Salerno, 1977, pp. 128-129). 48 S. MORAVIA, La ragione nascosta, Firenze 1969. Il primo capitolo di questo libro, Verso il concreto. Lévi-Stra11ss e la cultura francese fra le due guerre, risulta particolarmente stimolante per l'analisi dei rapporti tra il surrealismo e il sorgere della e nuova etnologia • (Griaule, Leiris, Bataille, Lévi-Strauss, etc.). 49 C. Uvr-STRAuss, Tristi Tropici, trad. it., Milano 1960, pp. 55-56. so c. UVI-STRAUSS, Ibidem, p. 53. 51 In Tristi Tropici cosi si esprime Lévi-Strauss sul rapporto tra psicoanalisi e marxismo: Fra il marxismo e la pslcanallsl che sono scienze umane a prospettiva sociale l'una, individuale l'altra, e la geo logia, scienza fisica - ma anche madre e nutrice della storia, sfa per il suo metodo che per il suo oggetto - l'etnologia trova spontaneamente il suo regno (p. 57). E ancora, in un colloquio con Caruso: Anche Freud assume un duplice ruolo rispetto alla mia formazione, come gli etnologi americani (benché il parallelismo sia solo accidentale). Egli ml ha insegnato anzitutto la critica del significato, per cui nessun si gnificato deve essere preso cosi come si presenta, in quanto dietro di esso ce n'è un altro che si nasconde, e dJetro quest'altro un terzo, e cosi via, finché non si sia giunti ad enucleare il significato vero, che 27
non è quello di cui gll uomhù hanno coscienza. E questa è stata per me una specie di conferma di quel che li marxismo m'aveva già inse gnato: che gli uomini sono sempre vittime d'inganni propri e altrui, e che se ci si vuole occupare di scienze umane, bisogna cominciare con Il rifiuto di lasciarsi ingannare (LÉVI-STRAUSS, FOUCAULT, LACAN, Con versa?.ioni, a cura di P. Caruso, Milano 1969, pp. 50-51). 52 R. CAILLOJS, lllusions à rebours, in « La Nouvelle Revue Fran çaise », n. 24, 1954 e n. 25, 1955. 53 C. Lév1-STRAUSS, Diogène couché, in « Temps Modernes », X, 1955, pp. 1218-19. Non va del resto dimenticato, anche se Lévl-Strauss lo tace, che sia pure solo negli Stati Urùtl e sia pure con articoli non Impegna tivi il futuro autore di « Tristes Tropiques » concesse la sua collabora zione ad una rivista surrealista: e precisamente a quel « WV » che Breton fondò e diresse con altri nel 1942-44 (S. MOR,\VIA, La ragio11e nascosta, cit., p. 77). Di questa collaborazione sono frutto gli articoli Fards indiens e Souvenir o/ Malinowski. 54 S. MOR,\VIA, La ragione nascosta, cit., p. 74. 55 C. LÉVI-STRAUSS, Tristi Tropici, trad. cit., p. 22. S6 C. Lév1-STRAuss, Lezione inaugurale, tenuta il 5 gennao 1960 al Collège de France, ora col titolo Elogio de/l'antropologia, in lo., Razza e storia e altri studi di antropologia, trad. it. a cura di P. Caruso, Torino 1967, p. 77. Anche per A. Trimarco questi rapporti tra antropo logia e surrealismo non sembrano affatto epidermici, ma sono scambi in profondità, intenzioni mal rimosse, dove il punto In comune, In de finitiva, va colto in questo bisogno di acquistare, soffrendo, una realtà «altra», occultata rimossa o combattuta dalla ragione ufficiale. Una vita evocata oltre gli strumenti e le maschere della ragione ammalata, aridamente scientifica o strumentalmente politica, oltre la quiete del mondo costituito (A. TRIMARCO, Ragioni di una rilettura, introduzione a F. Awu1é, Filosofia del surrealismo, trad. it., Salerno 1970, p. 15). 57 A. o'AvossA, Colloquio con Lévi-Strauss, in C. Lévi-Strauss: pit tura, linguaggio e teoria dell'arte, cit., p. 111.
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Sul concetto di gusto MARIELLA UTILI
La maggiore o minore importanza che il concetto di gusto ha assunto nel tempo è fortemente legata alla storia del� l'estetica più in generale, che ne ha accentuato o meno la portata in stretto riferimento all'elaborazione complessiva dei suoi temi. Teorie dell'arte e del gusto si intrecciano al punto da rendere difficile il riferimento ad uno solo dei termini. Questa rassegna vuole essere, tuttavia, il tentativo di individuare alcune posizioni rappresentative, isolando nel discorso più generale, per quanto è possibile, tratti specifici che caratterizzano il gusto in particolare. La tentazione di sviluppare le vaste implicazioni che il problema comporta sfocerebbe, altrimenti, in storia dell'estetica, ambizione spro porzionata ai limiti di questo intervento. Senza alcuna pre tesa di esaustività, si prenderanno perciò in considerazione, con un ordine prevalentemente cronologico, quegli autori in cui più esplicita è la trattazione del concetto. Già Croce nella sua Estetica nota che il concetto di gusto aveva origini molto antiche sia in Italia che in Spagna nel significato di «piacere» o «diletto», come dimostrano le espressioni del tipo averci gusto, dare gusto, andare a gusto. Altrettanto antico è l'uso metaforico del termine nell'acce zione di «giudizio» sull'arte e gran copia di esempi, tratti da scrittori del Cinquecento (Ariosto, Varchi, Michelangelo, Tasso) ne offrono i vocabolari 1• 1=. nel Seicento che il con cetto viene a designare la facoltà di discernere il bello e il brutto. E probabilmente è in Baltassar Gracian, teorico del concettismo nella Spagna della prima metà del XVII sec., che lo si ritrova per la prima volta in questa accezione. 29
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Croce ricorda inoltre che il Gracian attribuiva al termine più che altro il significato di « accorgimento pratico », che sa cogliere il « punto giusto » delle cose; e per « uomo di buon gusto » intendeva quel che oggi si dice « uomo di tatto » nella pratica della vita 2• Nelle Notizie de' professori del disegno (1681) del Baldi nucci la parola assume una duplice significazione, sia come facoltà che riconosce l'ottimo, sia come modo di operare di ciascun artista 3• Per Leibniz (1684) invece, il gusto va concepito piuttosto in un senso naturale, istintuale, che va educato ed esercitato: il gusto, distinto dall'intendimento, consiste nelle percezioni confuse di cui non ci si sa rendere conto a sufficienza. :f:. un qualcosa che si avvicina all'istinto. Il gusto è formato dal naturale e dall'abitudine: e, per averlo buono, bisogna esercitarsi a gustare le cose buone, che la ragione e l'esperienza hanno già autorizzato: ed in questo 1. giovani hanno bisogno di guida 4• Una accezione più propriamente estetica è quella di La Bruyère il quale, mostrando di credere in un gusto asso luto capace di cogliere la perfezione nella natura, afferma nei suoi Caractères (1688): c'è nell'arte un punto di perfe zione, come di bontà o di maturità nella natura; colui che lo sente e lo ama ha il gusto perfetto; colui che non lo sente e che ama un po' al di qua o ·al di là, ha il gusto difettoso. C'è dunque un buono ed un cattivo gusto, ed è con fonda mento che si disputa dei gusti 5• Agli inizi del Settecento ritroviamo in Italia un'accezione di gusto che si richiama ad una concezione estetica norma tiva e classificatoria. Nel suq sforzo di sistematizzazione della nuova cultura arcadica e dei suoi fondamenti, il Muratori, identificando il gusto con il consenso universale al bello ideale, lo definisce come quella virtù dell'intelletto che cl insegna a fuggire e a tacere tutto ciò che disconviene o può pregiudicare all'argomento da noi impreso, e a scegliere ciò che gli si conviene o può giovarli 6: definizione, questa, an cora saldamente ancorata ad uno spiccato oggettivismo. con la filosofia inglese del Settecento che il concetto comincia àd acquistare una rilevanza propria nel contesto
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della riflessione sul bello e il sublime, e a diventare uno dei perni della concezione estetica per tutto il secolo. Punto di partenza è il tentativo di cogliere il bello non in carat teri propri dell'oggetto, ma nella coscienza stessa del sog getto che lo recepisce attraverso l'esperienza. Su di un altro versante, le correnti intellettualistiche, soprattutto francesi, insistono sul carattere oggettivo del bello, pur riconoscendo che, in quanto tale, esso non esiste che in rapporto alla co scienza soggettiva. Il problema quindi per entrambe le corren ti diventa quello della percezione del bello, della sua defì.nibi lità: il problema del bello si pone come problema del gusto 1, Con Shaftesbury cominciano a delinearsi i termini della questione. Gusto è l'idea generale che ci formiamo e la chiara nozione alla quale perveniamo di ciò che si deve preferire e considerare importante in tutti questi argomenti che di pendono dalla scelta e dall'apprezzamento 8; ma anche il senso naturale e comune a tutti gli uomini, irresistibile, coori ginario alla mente, guida dei nostri affetti e fondamento in noi dell'ammirazione, del disprezzo, della vergogna, dell'or rore, dello sdegno e delle altre naturali e necessarie imprese 9• L'accordo della bellezza con il bene e la verità {ali beauty is truth) fa coincidere il buon gusto con il « senso comune » che opera sia in campo. morale che più propriamente este tico. L'uomo gode bellezza e bontà [ ... ] grazie a ciò che v'ha di più nobile in lui: lo spirito e la ragione. In ciò consiste la sua dignità e il suo interesse più alto, in ciò la sua capa cità di bene e felicità 10 • :È così che il gentiluomo riesce a cogliere l'ordine e l'armonia del mondo, un gentiluomo raffi. nato ed educato che sottomette il proprio umore e la propria fantasia a specifiche regole. La fondazione naturale del gusto richiede ugualmente, infatti, che esso venga educato dall'ahi• tudine, dalla pratica, e dalla cultura. Un gusto legittimo e ragionevole non può venir generato, creato, concepito e pro dotto, se non lo precedono il lavoro e le fatiche della cri tica"· Il discorso con Sbaftesbury si va facendo più artico lato e, in una qualche misura, più critico. Il fondamento del giudizio di gusto è, dunque, duplice: nella natura delle cose e [nella] natura degli uomini. La sua legittimità si basa sia
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sul riconoscimento di un valore oggettivo della natura, sia sull'universalità del gusto come facoltà connaturata all'animo umano 12 • Sulla strada segnata dal filosofo inglese, si comin ciano ad elaborare nuove riflessioni e nuovi spunti che ten deranno a mutare radicalmente i termini della questione: non più nell'oggettività dell'opera d'arte verranno cercati i criteri di validità del gusto, ma sarà quest'ultimo a garan tire la validità dell'opera. Del 1712 sono i due saggi di Addison su The Spectator: uno sui Piaceri dell'immaginazione, l'altro sulle Caratteri stiche del gusto. Partendo dalla definizione di facoltà del l'anima che discerne le bellezze di un autore con piacere e i difetti con avversione 13, egli individua per primo, come nota Morpurgo-Tagliabue, la distinzione del giudizio di gusto in specific qualities di un autore, che lo caratterizzano ri spetto agli altri (giudizio di fatto), e distinguishing perfec tions, pregi e difetti di un'opera che implicano quindi un giudizio di valore 14• L'aspetto più rilevante in Addison è comunque l'abbandono di una concezione estetica che si mi suri in termini di maggiore o minore aderenza a criteri pre stabiliti. Il rapporto dell'oggetto con il soggetto diventa fon damentale per il giudizio di gusto, non in quanto più o meno conforme alle regole classiche, ma per quel sentimento di piacere o dolore che genera nell'individuo. La dimensione critica che ha assunto la discussione sul problema nella prima metà del secolo, è accentuata nei suc cessivi interventi. Il comune interesse psicologico degli em piristi per le reazioni del soggetto nella considerazione del bello, sia naturale che artistico, porta in particolare il Ge rard ad una trattazione molto analitica. Nel suo Saggio sul gusto presentato alla Società filosofica di Edimburgo nel 1756, egli lo considera come l'insieme di più facoltà spiri tuali quali il giudizio, l'immaginazione, il sentimento. A pro posito di· Gerard si parla infatti di 'associazionismo este tico ', dell'unione psichica di immagini a sentimenti, per rendere ragione della sensibilità estetica 15• Egli distingueva tre doti del gusto: la sensibilità, il raffinamento, la giustezza, 32 intendendo per la prima ciò che deriva dalla struttura dei
sensi interiori (il nuovo, il bello, il grande), in pratica il godimento immediato che non implica ancora un momento valutativo né comparativo degli oggetti; per raffinamento, la capacità di giudizio sul bello e sul brutto nel confronto fra i vari oggetti; per giustezza, la capacità di ordinare le impressioni ricevute e fornire dunque le regole sicure per giudicare dei meriti e dei difetti 16 • La riflessione del Gerard si rifaceva per molti aspetti ai precedenti contributi di Ad dison e di Dubos, ed ebbe senz'altro influenza sul successivo intervento di Hume. Del 1757 è il famoso saggio Of the standard of taste. Da convinto empirista, Hume non si preoc cupa di definire l'idea di bello, ma di trovare i fondamenti del giudizio estetico, del gusto artistico che è alla base del piacere e del dispiacere. Partendo dalla considerazione della grande varietà dei gusti, egli si pone il problema di cercare una regola del gusto [ ... ] mediante la quale possano venire accordati i vari sentimenti degli uomini, o almeno una de cisione che, quando venga espressa, confermi un sentimento e ne condanni un altro 17• Non esistono V1fatti delle regole a priori a cui riferirsi: la bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla, e ogni mente percepisce una diversa bellezza. Ma pur entro la varietà ed i capricci del gusto vi sono certi principi gene rali di approvazione o di biasimo la cui influenza può ad uno sguardo attento essere notata in tutte le operazioni dello spirito. Ed è qui che Hume si rifà alla struttura originale della fabbrica interiore [di cui] certe particolari forme pia ceranno e [.. ,] altre dispiaceranno; e se il loro effetto man cherà in qualche caso particolare, ciò deriva da qualche evi dente difetto o imperfezione dell'organo. [ ...] In ogni creatura vi è uno stato sano e uno difettoso e si può supporre che soltanto il primo è in grado di darci una vera regola del gusto e del sentimento 18• Il gusto però va educato: deve sa persi liberare dal pregiudizio nocivo al sano giudizio. [ ... ] � compito del « buon senso » il neutralizzarne l'influenza; e da questo punto di vista, come da molti altri, la ragione, anche se non è parte essenziale del gusto, è per lo meno una condizione perché quest'ultima facoltà possa operare ...
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Accade di rado, o mai, che [ ... ] si incontri una persona che abbia un gusto retto senza un intelletto sano [ ... ] soltanto un forte buon senso, unito ad un sentimento squisito accre sciuto dalla pratica, perfezionato dall'abitudine ai confronti e liberato da tutti i pregiudizi, può conferire ai critici questa preziosa qualità; e la sentenza concorde di questi, ovunque si trovino, è la vera regola del gusto e della bellezza 19• La presa di posizione di Hume contro i pregiudizi, contro una considerazione degli oggetti artistici che non tenga pre sente la particolarità della situazione in cui sono prodotti e del pubblico cui si rivolgono 20 , ha giustamente fatto par lare di deciso storicismo. [... ] Il gusto dipende da quel com plesso di civiltà di cui è un elemento e un momento; né si può veramente giudicare e gustare un'opera d'arte astraendo dall'epoca, dalla situazione storica e di civiltà in cui è sorta 21• Pur non chiarendo, in definitiva, se il gusto sia una facoltà innata o il frutto di una particolare educazione, la stretta relazione tra buon gusto e buon senso delinea un ideale umano, vero portavoce della società borghese che comincia ad affermare i suoi valori. La pratica del gusto infatti farà sentire i suoi benefici effetti sul comportamento sociale stesso dell'individuo. La squisitezza del gusto ha lo stesso effetto della squisitezza della passione: allarga la sfera tanto della nostra felicità quanto della nùseria, e ci rende sensibili a pene come a piaceri che sfuggono al resto del genere umano [... ] nulla è più adatto a guarirci dalla squisitezza delle pas sioni che coltivare quel gusto più alto e raffinato che ci mette in grado di giudicare dei caratteri degli uomini, delle com posizioni del genio e delle produzioni delle arti più nobili 22• Si ritrova in Home (1762) l'accostamento tra buon gusto e raffinatezza culturale e naturale, the delicacy of taste, sulla base di un senso comune a tutta la specie, che vale tanto a stabilire le regole di condotta quanto a formulare giudizi su ciò che è bello o brutto, proprio ed improprio, proporzionato o deforme 23; mentre Burke (1759) piuttosto cercherà di dare una fondazione fisiologica all'uniformità del gusto, risalendo all'uguale conformazione degli organi sensoriali in tutti gli 34 uomini.
La posizione degli illuministi francesi introduce elementi nuovi. Un maggiore razionalismo caratterizza l'articolo ' gu sto ' scritto da Voltaire per l'Enciclopedia. Il termine è una metafora che esprime [ ... ] la sensibilità alle bellezze e al difetti di tutte le arti, [ ... ] un discernimento pronto come quello della lingua e del palato, e che anticipa come quello la riflessione. Molto marcata è la differenziazione tra buono e cattivo gusto in base all'adesione o meno ai cardini della concezione filosofica illuminista: nelle arti il gusto depravato consiste nell'ammirare soggetti che ripugnano a menti sane; nel preferire il burlesco al nobile, il prezioso e il manierato al bello semplice e naturale: è una malattia dello spirito [ ... ] le arti hanno bellezze reali, v'è un buon gusto che le discerne, e un cattivo gusto che le ignora 24• Interessante è il tentativo di creare un aggancio storico e sociale al pro blema, tentativo che riflette in pieno le tematiche più di battute dell'epoca. Vi sono vasti paesi ove il gusto non è mai esistito; sono quelli nei quali la società non si è perfe zionata, dove gli uomini e le donne non si riuniscono, dove certe arti come la scultura, la pittura degli esseri animati, sono proibite dalla religione. Quando è scarsa la società, l'in telletto si restringe, il suo acume si smussa, non v'è materia per formare il gusto 25• Le osservazioni ulteriori di Montes quieu (1757) annesse alla stessa voce ' gusto ' dell'Enciclo- . pedia, considerano oggetto del gusto i vari piaceri dell'anima, il bello, il buono, il gradevole, il non so che. Esso è ciò che ci avvince ad una cosa mediante il sentimento; il che non impedisce - aggiunge subito l'autore - che lo si possa ap plicare alle cose dell'intelletto, la cui conoscenza fa tanto piacere all'anima, da essere l'unica felicità che certi filosofi possono comprendere. Dato che l'origine dei sentimenti è da cercare in noi stessi, l'indagarne le ragioni è come ricercare le cause dei piaceri della nostra anima [ ...] ciò potrà aiutarci a formare il gusto, che altro non è se non la pre rogativa di scoprire, con finezza e prontezza, la misura del piacere che ogni cosa deve dare agli uomini. Esistono due diverse specie di gusto, uno naturale che non è una scienza teorica ma l'applicazione pronta e squisita di regole che 35
neppur si conoscono (ed è qui che trova il suo aggancio la
tematica del « non so che», una grazia naturale, un effetto fondato essenzialmente sulla sorpresa) e un gusto acquisito, l'unico a cui si possono riferire le varie regole. Tra i due momenti la relazione è continua: infatti il gusto acquisito esercita, modifica, accresce e diminuisce il gusto naturale, così come il gusto naturale esercita, modifica, accresce e din1inuisce il gusto acquisito 26• Queste considerazioni, se da un lato marcano in maniera forse ancor pitt netta che in Hume e gli empiristi il ribaltamento da un livello ogget tivo ad uno soggettivo nella considerazione dei fatti arti stici, superando l'apriorismo dell'oggetto dato come bello attraverso la facoltà critica di giudizio del fruitore, si in quadrano nella più vasta concezione estetica illuminist� che Diderot sintetizza dichiarando: la percezione dei rapporti è dunque il fondamento del bello; è dunque la percezione dei rapporti ciò che è stato designato nelle diverse lingue con una infinità di nomi differenti, che indicano tutti, in sostanza, differenti specie di bello 27• Nel 1762 a Zurigo vengono pubblicati i Gedanken iiber die Schonheit und den Geschmack in der Maler ei di Anton Raphael Mengs. È la chiara espressione delle teorie neoclas siche, e il capitolo riguardante le « Determinazioni e le regole del buon gusto» appare come una sorta di decalogo. Per risalire all'origine del concetto di gusto nell'arte, Mengs, con siderate imperfette tutte le opere umane, dichiara che si usa nella pittura il termine di gusto per significare che un'opera può avere un gusto di perfezione senza essere ve ramente perfetta. Simile a quello della gola che interessa però la lingua e il palato, il gusto in pittura tocca e muove gli occhi e l'intelletto. In pittura è necessario infatti che . ciascuna cosa che vede l'occhio, tocchi i suoi nervi per pia cere al medesimo. Questo è il gusto ed è equivalente allo stile o metodo che è diverso in ciascuno uomo. Proprio in base a questa equivalenza di gusto con stile è possibile determi nare tutta una serie di regole cui rifarsi nella pratica arti stica. II gusto, non più considerato come momento di giu36 dizio o facoltà critica, viene ad identificarsi con la misura
e l'ordine della composizione, e con la capacità stessa dell'ar tista di scegliere tra le varie possibilità che gli si offrono. Si ritorna a quella accezione in certo modo precettistica che aveva caratterizzato precedentemente il concetto, in buona sintonia, del resto, con i dettami neoclassici che vengono imponendosi. Ecco allora che il miglior gusto che possa dare
la natura è quello di mezzo, poiché piace a tutti gli uomini in genere [ ... ] Le opere di pittura che comunemente si so gliono dire e stimare di buon gusto sono quelle in cui o si vedono solamente bene espressi gli oggetti principali, oppure si osserva una facilità tale nell'esecuzione che la fatica non comparisca [ ... ] II gusto grande consiste nello scegliere le parti grandi tanto dell'uomo, quanto di tutta la natura, con nascondere le parti subordinate e piccole [ ... ] II gusto è quello che nel pittore produce e determina uno scopo prin cipale e che gli fa scegliere o rigettare ciò che al medesimo conviene, o che gli è contrario [ ... ] Se si sceglieranno le cose più belle e più grandi, si faranno opere del miglior gusto [ ... ] Il gusto bello finalmente è quando si esprime tutto il più bello della natura 28• L'artista che vuole conseguire il
buon gusto ha precisi modelli a cui riferirisi. Due sono le vie che egli può seguire sotto la guida della ragione: l'una
è scegliere dalla natura stessa il più utile ed il più bello,
ma è la più difficile perché implica uno speciale discerni
mento e spirito filosofico per distinguere nel complesso delle cose naturali il buono, il meglio e l'ottimo; l'altra, più facile, è apprendere dalle opere in cui. la scelta già è stata fatta. Non resta dunque che ricercare negli antichi il gusto della bellezza, in Raffaello il gusto del significante e dell'espres sione, in Correggio quello del piacevole e dell'armonia, e in Tiziano il gusto della verità e del colorito. Sono queste le pietre di paragone con le quali i principianti nell'arte [...] de vono procurare di giudicare il loro proprio e l'altrui gusto: Alla conclusione Mengs invita a seguire i suoi consigli: chi lavorerà diligentemente col senno e con la mano, riflettendo seriamente su ciò che ho detto, avrà un giorno a gloriarsi della sua fatica e conseguirà il buon gusto 29•
Con Kant il problema comincia ad assumere carattere
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diverso. Pur mettendo in relazione il giudizio riflettente, proprio dell'attività estetica, con il sentimento, non si tratta più di vedere nel gusto solo una facoltà o capacità di sentire il bello e il brutto e basare sull'immediatezza di questo atto un giudizio, ma di fare critica del gusto cioè l'arte o la
scienza che riporta a regole il rapporto reciproco dell'imma ginazione e dell'intelletto nella rappresentazione data 30• Non v'è una scienza del bello, ma solamente la critica di esso 31•
Senza addentrarci nella complessa concezione estetica kan tiana e senza discuterne, per ovvie ragioni, gli aspetti più problematici e, a volte, contraddittori, la definizione più sintetica che Kant fornisce di gusto è quella di facoltà di giudicare del bello 32 messa a fondamento della sua Analitica del giudizio estetico (prima sezione della Critica del giu dizio, 1790). Nell'introduzione egli aveva già cercato di dare una spiegazione più ampia di ciò che intendeva per gusto:
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la facoltà di giudicare mediante [ ... ] piacere (e, per conse guenza, wùversalmente) [un oggetto]; il fondamento del pia cere è posto soltanto nella forma dell'oggetto [ ... ] Si giudica cioè la forma dell'oggetto (non l'elemento materiale della sua rappresentazione, come sensazione), nella semplice rifles sione su di essa - senza alcuna mira a un concetto che se ne potrebbe ricavare - e questo piacere viene pure connesso con tale rappresentazione [dell'oggetto] in modo necessario, e quindi non solo per il soggetto che apprende questa forma, ma per ogni soggetto giudicante in generale 33.l;n problema si pone dunque nei termini di ' giudizio di gu�o '. L'essere cosciente della rappresentazione di un oggetto mediante il sentimento, è cosa del tutto diversa dal rappresentarsi un oggetto attraverso la facoltà conoscitiva: la rappresentazione è riferita interamente al soggetto [ ... ] la qual cosa dà luogo ad una facoltà interamente distinta di discernere e di giudi care, che non porta alcun contributo alla conoscenza, ma pone soltanto in rapporto, nel soggetto, la rappresentazione data con la facoltà rappresentativa nella sua totalità 34• Perciò il giudizio di gusto è puramente contemplativo, è un giudizio, cioè, che, indifferente riguardo all'esistenza dell'oggetto, ne mette solo a riscontro i caratteri con il sentimento di pia-
cere e di dispiacere. Ma questa contemplazione a sua volta non è diretta a concetti; perché il giudizio di gusto non è un giudizio di conoscenza (né teorico né pratico), e per con seguenza non è fondato sopra_ concetti, né se ne propone alcuno 35 • Esso è senza alcun interesse 36• A suo fondamento, come condizione soggettiva, è la possibilità di comunicare universalmente Io stato d'animo prodottosi rispetto alla rap presentazione data 37 • Ma non potendosi dare una regola og gettiva del gusto che determini per mezzo di concetti che cosa sia bello, visto che la causa determinante del giudizio è il sentimento del soggetto, non un concetto dell'oggetto, Kant asserisce che il cercare un principio di gusto che sia il criterio universale del bello mediante concetti determinati, è una fatica vana, perché ciò che si cerca è Impossibile e in se stesso contraddittorio. La comunicabilità universale della sensazione, [ ... ] l'accordo, per quanto è possibile, di tutti i tempi e di tutti i popoli riguardo a questo sentimento nella rappresentazione di certi oggetti: è questo il criterio empirico, per quanto debole e appena sufficiente alla con gettura, col quale si possa derivare un gusto [... ] da quel fondamento, profondamente nascosto e comune a tutti gli uomini, dell'accordo nel giudizio delle forme sotto cui sono dati gli oggetti 38• il sensus communis aestheticus il prin cipio soggettivo che rende possibile la comunicazione del piacere o del dispiacere solo mediante il sentimento· e non mediante concetti 39• Su questo fondamento, il modello su premo, il prototipo del gusto, è una semplice idea che ognuno deve produrre in se stesso, e secondo la quale deve giudi care tutto ciò che è oggetto del gusto, che è esempio del giudizio di gusto, ed anche il gusto di ciascuno. Più propria mente tale modello dovrebbe chiamarsi ideale del bello, un ideale che, se non lo possediamo, ci sforziamo di produrlo in noi 40• Anche in Kant compare un'idea cli educazione seppure con una accezione diversa rispetto alle posizioni dei pensa tori inglesi del Settecento. In relazione al concetto di genio egli parla infatti di gusto come la disciplina (l'educazione) del genio [che] gli ritaglia le ali e lo rende costumato e 39
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polito; ma nel tempo stesso gli dà una guida; [ ... ] e portando chiarezza e ordine nella massa dei pensieri, dà consistenza alle idee, facendole insieme degne di un consenso durevole ed universale, d'esser seguite dagli altri, e di concorrere ad. una sempre progressiva cultura. [ ... ] Le belle arti esigono· dunque immaginazione, intelletto, anima e gusto, e signifi cativamente, le prime tre facoltà trovano nella quarta la loro unione 41 _ L'impostazione critica di Kant introduce la svolta data da Hegel al problema estetico. Con Hegel infatti scompare il concetto di gusto come problema a sé, per rientrare in una più vasta riflessione concernente la fondazione di una 'scienza ' filosofica dell'estetica: il vero e proprio termine per la nostra scienza è « filosofia dell'arte», e più specifica mente « filosofia della bella arte» 42• La discussione estetica approda ora ad un tentativo di sistematizzazione dell'insieme
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dei problemi legati alla creazione artistica e alla riflessione su di essa. Non si tratta più di definire unicamente il bello e limitarsi a fornire parametri o sollevare questioni circa la formazione di un senso capace di giudicarlo. La posi zione di Hegel è estremamente critica rispetto alle teoriz zazioni estetiche precedenti mosse, nella generalità delle loro riflessioni, dall'intento di formare [ ...] il giudizio sulle opere d'arte, « di formare » in generale « il gusto» piuttosto che provocare direttamente la produzione di vere e proprie opere d'arte. Per questi aspetti ebbero grosso successo, secondo Hegel, nella loro epoca gli Elements of criticism di Home e gli scritti di Batteaux e Ramler. In quell'ottica il gusto [ve niva inteso come] la disposizione, il trattamento, l'appro-. priatezza e la compiutezza di ciò che appartiene all'apparenza esterna di un'opera d'arte. Inoltre si aggiungevano ai prin cipi del gusto opinioni appartenenti alla psicologia di al• lora e tratte dalle osservazioni empiriche sulle facoltà e at tività dell'anima, sulle passioni e sulle loro verosimili gra dazioni e successioni [ ... ] e poiché quell'educazione del gusto riguardava solo ciò che è esteriore e povero, e inoltre traeva i suoi precetti solo da una ristretta cerchia di opere d'arte e da una limitata formazione dell'intelletto e dell'animo, la
sua sfera era insufficiente ed incapace di afferrare l'intero e il vero e di acuire lo sguardo per coglierli 43• Una critica così decisa alle posizioni dei suoi predecessori è il primo passo verso una considerazione ' filosofica ' del problema estetico. La filosofia dell'arte non si cura di dare precetti agli artisti, ma deve decidere che cosa è il bello in generale e come si è mostrato nell'esistente, in opere d'arte, senza voler dare regole del gusto in genere 44• Sempre in polemica con la ri• flessione estetica a lui precedente, nota che poiché l'opera d'arte non deve destare solo sentimenti in generale [...] ma li deve destare solo in quanto è bella, la riflessione si è data a ricercare per il bello un « peculiare sentimento del bello » e a rinvenire un « senso » specifico per « esso ». E apparso subito che tale senso non può essere un istinto cieco e sta bilmente determinato dalla natura, il quale distingua già in sé e per sé il bello, e così per questo senso fu richiesta una « educazione », e il senso educato della bellezza fu chiamato « gusto ». Questo, sebbene educato a cogliere e a scoprire il bello, doveva tuttavia rimanere un sentire immediato. Ora, secondo Hegel, proprio la mancanza di principi generali a cui rifarsi fece prevalere più la tendenza [... ] a promuovere la formazione del gusto in generale [che] a motivare un « giu dizio più determinato » e aggiunge ironicamente per inciso non ce n'era la stoffa. Per questi motivi questa formazione del gusto in generale rimase egualmente nel più indetermi nato e si curò solo che il sentimento, come senso della bel lezza, fosse dotato della riflessione in modo che il bello, dove e quale fosse, avrebbe potuto immediatamente essere trovato. Tuttavia la profondità della cosa rimane inaccessi bile al gusto, poiché tale profondità esige non solo il senso e le riflessioni astratte, ma la piena ragione e il solido spi rito, mentre il gusto era rivolto solo alla superficie esteriore, intorno a cui i sentimenti potevano giocare e principi unila terali· farsi valere. Perciò il cosiddetto buon gusto s'impau risce di fronte ad ogni effetto più profondo e tace dove viene in discussione la cosa e spariscono esteriorità e futilità. Colà dove si dischiudono grandi passioni e commozioni di un'anima �rofonda, non c'è più posto infatti per le sottili distin- 41
zioni del gusto e il suo piccolo commercio con delle mi nuzie 45• Valeva la pena riportare l'intero brano per l'efficacia delle espressioni adoperate da Hegel. � posizione comple tamente divergente non solo dall'immediatezza rivendicata degli empiristi o dalla puntuale normativa di Mengs, ma dallo stesso Kant che aveva affermato consistere il giudizio di gusto proprio nel chiamar bella una cosa soltanto per la sua proprietà di accordarsi col nostro modo di percepirla 46, e vi aveva escluso ogni valore conoscitivo. Viene messo in discussione il fondamento su cui fino ad allora si era basato il concetto di gusto e tutti i problemi che intorno ad esso si facevano ruotare, con maggiore o minore rilevanza in cia scuno degli autori. Negata ogni importanza al sentimento, ottusa regione indeterminata dello spirito 47, forma del tutto vuota dell'affezione soggettiva, incapace di immergersi pro fondamente nella cosa 48, il gusto, in quanto fondato su di esso, diventa cosa ' esteriore e futile ' che indietreggia di fronte alla potenza del genio, li dove ancora Kant l'aveva inteso come disciplina ed educazione di esso. L'opera d'arte sta nel mezzo tra sensibilità immediata e pensiero ideale. Essa « non è ancora » puro pensiero, ma, nonostante la sua sensibilità, « non è più» semplice esistenza materiale 49• Per cui poiché l'arte ha come compito di rendere manifesta l'idea . per l'intuizione immediata in forma sensibile, e non nella forma del pensiero e della pura spiritualità in generale, e poiché questo manifestare ha valore e dignità solo nella cor rispondenza e nell'unità dei due lati, l'idea e la sua forma, l'altezza ed eccellenza dell'arte, nella realtà conforme al proprio concetto, dipenderà dal grado di intimità e unità in cui idea e forma appaiono l'una nell'altra elaborate �. Da questo momento in poi il concetto di gusto perde la sua centralità nell'ambito della teorizzazione estetica. Per sino l'uso del termine diviene. assai meno frequente. E le rare volte ·i n cui lo si reincontrerà come momento autonomo · · di riflessione sarà in accezioni del tutto atipiche rispetto agli usi tradizionali. Un capitolo dell'Estetica di Croce (1902) è dedicato a 42 « Il gusto e la riproduzione dell'arte». Ritorna qui l'acce-
zione del termine come momento di giudizio dell'attività e·stetica, ma in pratica esso viene a perdere la sua rilevanza per il fatto che la critica stessa non è più considerata come semplice esplicazione dell'attività del giudizio. Che cosa si gnifica infatti giudicare? Significa, per Croce, riprodurre l'opera, mettersi nel punto di vista dell'artista produttore e rifarne, con l'aiuto del segno fisico da lui prodotto, il pro cesso creativo 51 • In pratica quindi l'attività giudicatrice che critica e conosce il bello, s'identifica con quella che lo pro duce. La differenza consiste soltanto nella diversità delle cir costanze, perché l'una volta si tratta di produzione e l'altra di riproduzione estetica. L'attività che giudica si dice gusto; l'attività produttrice genio: genio e gusto sono, dunque, so stanzialmente identici. In altre parole il critico deve avere alcunché della genialità dell'artista, e l'artista deve essere fornito di gusto; ovvero vi ha un gusto attivo (produttore) e uno passivo (riproduttore) 52• Viene negata in pratica ogni possibilità di divergenza tra critico e artista in nome della necessità spirituale dell'attività espressiva che non può che richiedere una univoca considerazione. Se si ponesse infatti una differenza sostanziale tra critico ed artista, diventerebbe inconcepibile la comunicazione ed il giudizio. Come - si domanda Croce - ciò che è prodotto di una determinata attività si potrebbe giudicare con una attività diversa? Il critico sarà un piccolo genio, l'artista un genio grande [ ... ] · ma la natura di entrambi deve essere la medesima per far sì che nel momento della contemplazione e del giudizio lo spirito dell'uno sia tutt'uno con quello dell'altro 53• Respin gendo sia la considerazione assolutistica del bello. che rife- · risce l'opera ad un modello ideale di cui si serve poi lo stesso critico nel suo giudizio, sia il relativismo e lo psicologismo di coloro i quali, trincerandosi dietro l'antico adagio, che dei gusti non si disputa, credono che l'espressione estetica sia della stessa qualità del piacevole e dello spiacevole, Croce asserisce che il criterio del gusto è assoluto, ma . di una as solutezza diversa da quella dell'intelletto, che sl svolge nel raziocinio; è assoluto dell'assolutezza intuitiva della fan tasia 54, Qualche anno più tardi, nel Breviario di estetica 43
(1912), riproponendo il problema di che cosa sia la vera cri tica, egli introduceva di nuovo il concetto di gusto, mo . mento di giudizio, come una delle tre necessarie condizioni senza le quali la critica non sorgerebbe. Senza il momento dell'arte [ ... ] mancherebbe alla critica la materia sopra cui . esercitarsi. Senza gusto (critica giudicatrice), mancherebbe al critico l'esperienza dell'arte, l'arte fattasi interna al suo spirito, sceverata dalla non-arte e goduta contro quella. E mancherebbe, in fine, codesta esperienza senza l'esegesi, ossia senza che si tolgano gli ostacoli alla fantasia riproduttrice, fornendo allo spirito quei presupposti di conoscenze storiche, di cui ha bisogno, e che sono le legna che bruceranno nel fuoco della fantasia 55• L'imporsi dell'opera d'arte come bella e perfetta in quanto tale, relega l'attività del giudizio, e quindi del gusto attraverso cui si manifesta, alla riaffermazione tautologica di questa bellezza e perfezione. È da giudicare perciò bello qualsiasi atto di attività espressiva che sia davvero tale, e brutto qualunque fatto, in cui entrano in lotta insoluta at tività espressiva e passività 56• Non molti anni dopo, nel 1926, appariva Il gusto dei pri mitivi di Lionello Venturi. Prescindendo in questa sede dal significato che il libro ebbe nella cultura italiana ed europea dell'epoca, ci interessa notare la particolare acccezione in cui il termine veniva riproposto. Questo libro è scritto per recare all'attuale critica d'arte il contributo di una esperienza della «rivelazione» in arte, e non si limita ad una sola per sonalità per chiarire il problema sotto il maggior numero possibile di aspetti, non si occupa dell'arte di questo o di quello o di molti primitivi, non cerca ciò che individua gli artisti, cerca ciò che li accomuna, non la loro arte ma il loro gusto. Non so se la parola « gusto» sia la più adatta a significare quello che intendo; non ne ho trovata una mi gliore. E per evitare equivoci dichiaro che intendo per gusto l'insieme delle preferenze nel mondo dell'arte da parte di un artista o di un gruppo di artisti 57• Questa è l'indicazione programmatica esposta nell'introduzione. Gusto in pratica 44 è il complesso di scelte che l'artista opera all'interno della
propria cultura, il suo rapporto con la tradizione e con i contemporanei. Se le preferenze individuano il loro au tore non assolutamente ma solo in rapporto ad altre pre ferenze, è naturale ch'esse accomunino un artista con altri affini [ ... ] in questo senso il «gusto» accomuna gli artisti di un medesimo periodo storico o scuola o tendenza, co munque si vogliano chiamare ed è la strada che bisogna battere per giungere ad intendere l'arte individuale 58• Come notava Argan, il concetto, così inteso, appariva come .lo svi luppo in senso storicistico del «Kunstwollen ,. di Riegl, com
prendendo esso l'intero processo genetico dell'opera d'arte nel suo interagire con la cultura della società in cui si pro duce 59• Una impostazione storico-ideale coinvolge dunque il problema del gusto e non furono in pochi a fare il nome di Dvohik per l'affinità delle tesi di Venturi con le sue ana lisi 00• ' Gusto ' inoltre, come insieme di preferenze, si di stingue da 'arte ', come momento di creatività. Nell'introdu zione alla sua Storia della critica d'arte (1936) Venturi riba disce infatti che nessuna di quelle preferenze si identifica con la creatività. Esse accompagnano la formazione del l'opera d'arte, sono comprese nell'opera d'arte, ma quando l'opera d'arte è perfetta esse risultano trasformate dalla creatività, e si possono riconoscere solo se distaccate da quell'insieme, da quel carattere di sintesi, che è proprio della creazione. Questi elementi costruttivi del fatto arti stico sono di varia natura, dalla tecnica all'ideale, ma hanno un comune carattere di fronte alla sintesi, alla creazione dell'opera d'arte. Quel comune carattere fu molti anni fa da me chiamato «gusto» 61• La proposta metodologica che scaturisce è il superamento di tutti i disconoscimenti della personalità dell'artista, delle inutili dispute su pregi e di
fetti astrattamente intesi, delle rigide ·precettistiche o dei :vuoti concetti come progresso e decadenza, per richiamarsi all'assoluto della creazione come unico momento universale: tutti i gusti sono relativi rispetto a quell'assoluto· che è la J
creazione artistica; quel che importa è che la creazione ci sia [ ... ] il valore negativo o positivo del gusto non dipende da un assoluto del gusto. Ciascun gusto è ottimo quando è
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adatto alla creatività dell'artista [ ... ] La misura di valore di ciascun gusto si trova soltanto nella personalità dell'ar tista che quel gusto ha adottato 62, imprimendogli carattere eterno 63 • Sulla scia delle posizioni crociane, storia e cri tica d'arte finiscono per convergere nella comprensione del l'opera d'arte che è contemporaneamente giudizio e cono scenza delle condizioni del suo sorgere. Perciò la storia cri tica dell'arte consiste nell'illustrazione dei rapporti tra arte e gusto in ciascun artista, dell'azione dell'arte sul gusto, e delle reazioni del gusto sull'arte 64• La distinzione tra questi due momenti è in pratica per Venturi il parallelo, nel campo delle arti figurative, della distinzione di Croce tra poesia e letteratura, l'una momento di sintesi di individuale e univer sale (arte), l'altra particolare, storicamente determinata. (gusto, ponte tra la creazione del genio e lo svolgimento sto rico 65). E poiché la storia non è storia soltanto di momenti eroici, ma anche della vita quotidiana che permette di col locarli ·e comprenderli, la storia dell'arte è generalmente storia del gusto [ ... ] [lo] analizza e descrive [ ... ] con lo scopo di riconoscere il momento in cui si identifica con l'arte per la forza del genio. Ed è quello il momento in cui la storia dell'arte si identifica col_ giudizio critico 66• Un ulteriore contributo al problema è quello di Guido Morpurgo Tagliabue. Nel suo intervento al Simposio di este tica di Venezia nel 1958, egli lamenta l'odierna mancanza di un principio estetico consapevole 67• Individuato il problema dell'arte non più nell'operazione dell'artista ma nella rea zione del pubblico, egli sente di estrema importanza la ne cessità di identificare un sufficiente criterio di giudizio 68• E propone di pensare i criteri cardinali del gusto, che entrano con preventiva ricognizione nel giudizio, come i risultati della soddisfazione che certi gruppi di attrattive offrono a certi bisogni, o, che è lo stesso, del loro accordo con certe situa: zioni dominanti. In ultima analisi sempre criteri di valore, o del «senso» delle cose, della loro «signifiance» [ ..•] della loro importanza ed efficienza comparativa. Ma lo stesso pro• cedimento di selezione per confronto da cui emergono, impedisce che questi criteri vengano applicati come criteri
esclusivi e assoluti di « metaconfronto » 69 vale a dire di con fronto con una idea precostituita. Ciò che conta infatti non sono tanto i criteri ma i risultati della scelta attraverso cui sono prodotti, risultati i quali poi divengono « modelli » che giustificano la scelta fatta e condizionano le scelte succes sive [ ...] Vi è così una continua dialettica tra i « criteri » e le « attitudini » di scelta che è la ben nota dialettica tra scienza critica e sensibilità critica, tra «giudizio» e «gusto» 10. Sotto tutt'altra angolazione -si presenta l'intervento di Dorfles Le oscillazioni del gusto (1958). Egli si propone di indagare i rapporti tra pubblico e arte contemporanea sulla base di quella curiosa costante - anzi « incostante » - psi cologico-estetica che di solito va sotto il nome di « gusto " 71• Le varie stratificazioni del gusto sono basate essenzialmente sulla distinzione di raggruppamenti culturali, piuttosto che sociali, economici o politici, i quali generano vere e proprie paratie stagne che dividono tra di loro i diversi gradini della \:"urtura'e li rendono tra di loro incomunicabili 72.�La discre panza fra una produzione per la massa e un'arte di avan guardia destinata esclusivamente ad una élite intellettuale costituisce sostanzialmente la vera ragione per l'incompren sione dell'arte « vera » da un lato, e per le rapide oscillazioni del gusto dall'altro. Oscillazioni rese inevitabili dalla scarsa eco che le forme esasperate dell'arte d'avanguardia trovano presso i non iniziati 73• Il problema diventa quello della frui zione estetica più generale, del suo processo formativo, delle stratificazioni socio-culturali che assume, delle implicazioni politico-ideologiche. Una impostazione sociologica, ma in ambito letterario, è quella di Levin Schiicking che nella poco nota Sociologia del gusto letterario (1923) lega in maniera diretta il tema a quello della fruizione. Nella premessa all'edizione del 1961 l'autore dichiara: questo libro parte dall'idea che la concor danza che notiamo nella fruizione delle opere d'arte e che chiamiamo « gusto », non derivi semplicemente dalle qualità intrinseche delle opere stesse, ma sia per lo più il risultato di un processo molto complesso nel quale confluiscono forze di diverso genere, in parte ideologiche, in parte anche di 47
natura molto concreta, che portano ad un risultato non sempre libero dall'influsso di circostanze contingenti 74• L'ot tica con la quale l'autore affronta il suo studio è l'aggancio tra il gusto e i suoi mutamenti con lo « spirito dell'epoca» e i vari strati sociali, attraverso il concetto di esponente-tipo del gusto, nucleo dei diversi gruppi dominanti che assu mono un ruolo determinante nella elaborazione di nuove linee di tendenza culturali. Gli esponenti-tipo infatti sono fautori appassionati della nuova corrente perché si trovano in sintonia con essa ed essa soddisfa pienamente le loro esigenze nei confronti dell'arte 75• Tra gli interventi più recenti è la /potesi per una filosofia del «gusto» (1972) di Paolo Veronese. :f:. un tentativo di rifondazione filosofica del concetto come espressione sim bolica dell'evidenza o meno dell'artisticità 76• L'ipotesi for mulata è quella di un gusto come criterio formale [ ... ] nel senso che non spetta ad esso il compito di specificare in che consista codesta affermata o negata artisticità dell'espe rienza; come assoluta apertura alla problematicità dell'espe rienza artistica [ ... ] rifuggendo da ogni concettualizzazione ed esprimendo [ne] l'integralità n. t:. solo in seno all'inte gralità dell'esperienza artistica, della sua continua proces• sualità, che i due poli, dell'opera e del fruitore, assumono il loro giusto rilievo, escludendo ogni pretesa di dogmatismo. Ormai, l'accezione del termine ha assunto connotati e implicazioni tali da non rendere quasi più possibile limi tarsi alla trattazione di questo singolo aspetto senza pren dere in esame l'intera concezione estetica di cui è parte. Con il complesso delinearsi di nuovi indirizzi metodologici diventa inutile continuare a seguire un 'filo gusto ' che viene sempre più identificandosi con le concezioni generali che determinano le varie linee di tendenza, si tratti delle metodologie di matrice idealista o fenomenologica, o di quelle di impostazione strutturalista, semiologica, e, soprat tutto, sociologica. Da un lato, non si può non riconoscere nel gusto quell'aspetto immediatamente sociale del fatto estetico con cui è inevitabile il confronto; dall'altro, gusto 48 è diventato il problema del ruolo sociale dell'artista, della
committenza, del pubblico, dei suoi rapporti con l'opera, dell'interagire delle diverse componenti sociali e del loro contributo alla determinazione di soluzioni formali e conte nutistiche. L'avvento della tecnologia, dell'arte di massa, l'epoca della « riproducibilità tecnica », hanno investito il gusto di una dimensione sociale che ha assorbito integralmente i dif ferenti connotati filosofici che esso aveva assunto nel tempo. Non esiste che un problema di gusto asseriva a suo tempo Persico 78• Ogni gesto della vita quotidiana implica oggi un, riferimento a questo labile codice figurativo indispensabile. alla comunicazione 19. · .. Ma l'antica sentenza « de gustibus non est disputandum » • perde ogni sua praticabilità. II relativismo estetico, questo menefreghista, è a sua volta parte della coscienza reificata; non è tanto malinconico scetticismo a proposito della propria insufficienza, quanto rancore per la pretesa che l'arte ha alla verità; tuttavia soltanto tale pretesa legittimò quella grandezza delle opere d'arte senza il cui feticcio i relativisti raramente hanno di che vivere 80• De gustibus est disputandum 81• 1 B. CROCE, Estetica come scienza dell'espressione e linguistica ge nerale, Bari 1950, p. 208. 2 Ibidem, p. 209. Croce si riferisce in particolare a El heroe (1637) e a El discreto (1646 ) che trattano di questioni di estetica e poetica. J Cfr. L. VENTURI, Storia della critica d'arte, Torino 1964, p. 29. _.,_. 4 G. W. LEIBNIZ, cit. in V. E. ALFIERI, L'estetica dall'illuminismo al · romanticismo fuori di Italia, in Momenti e problemi di storia de/l'este tica, Milano 1959, voi. III, p. 631. 5 J. DE L\ BRUYÈRE, Les caractères, cap. I, cii. in A. l.AGAROE - L. MICHARD, XVII siècle, Paris 1973, p. 398. 6 L. A. MURATORI, Della perfetta poesia italiana, II, X, p. 464, cit. in G. MoRPURCO TAGLIABUE, La nozione di gusto nel sec. XVIII: Shafte sbury e Addison, in « Rivista di estetica», VII, 1962, fase. II, p. 208. 7 V. E. ALFIERI, op. cit., p. 587. s SHAFTESIJURY, Miscellanee, III, c. VI, cii. in G. M0RPURCO TAGLIABUE, art. cit., p. 206, nota 30. 9 IDEM, Miscellanee, IV, c. II, cii. in L. FORMIGARI, L'estetica del gusto nel settecento inglese, Roma 1962, p. 62. 10 SHAFTESBURY, I moralisti, Bari 1971, p. 203. 11 IDEM, Miscellanee, III, c. II, in M. M. Rossi, L'estetica dell'empi rismo inglese, Firenze 1944, p. 401. Per il concetto di 'critica' in Shafte49 sbury cfr. L. F0RMIGARI, op. cit., pp. 17-33.
12 Cfr. L. FORMIGARI, op. cit., pp. 64-65 e 70. 13 G. ADDISON, in .« Spectator "• 1712, n. 409, cit. in M. M. ROSSI, op. cit., p. 250. 14 Cfr., per questa problematica, G. MORPURGO TAGLIABUE, art. cit., p. 211, il quale conclude dicendo: Il merito di Addison sta nel aver colto quel doppio aspetto del gusto: il godere distinzioni {quallties) e il dJstinguere godimenti (perfections); il suo limite sta nel non aver approfondito la natura di questi aspetti del gusto e il loro nesso dia lettico (p. 226 ). 15 Cfr. sul problema V. E. ALFIERI, op. cit., pp. 611-12. 16 A. GERARD, Essay on taste, London 1757, cit. in G. MORPURGO TA GLIABUE, La nozione del gusto nel XVII sec.: David Hume, in « Rivista di estetica», XV, 1970, fase. II, p. 194. 11 D. HUME, La regola del gusto, Bari 1967, p. 30. 18 Ibidem, pp. 31 e 34-35. 19 Ibidem, pp. 42, 43, 44. 20 Ibidem, pp. 40-41. 21 Introduzione di G. Preti a D. HUME, op. cit., p. 21; cfr. pure L. FORMIGARI, op. cit., p. 114. 21 IDEM, La squisitezza del gusto e della passione, in La regola del gusto, op. cit., pp. 54-55. Per osservazioni critiche generali sull'estetica di Hwne cfr. V. E. Al.FIERI, op. cit., p. 617, e G. MORPURGO TAGLL\BUE, art. cit., 1970. . 23 Cfr. L. FORMIGARI, op. cit., p. 96. 2� Enciclopedia o Dizionario delle scienze, arti e mestieri, Bari 1968, pp. 730-732. 25 Ibidem, p. 732. 26 Ibidem, pp. 733-51. 21 Cfr. la raccolta di articoli dall'Enciclopedia a cura di A. Pons, Milano 1966, p. 150. 28 A. R. MENGS, Opere sulle belle arti, Milano 1836, voi. I, p. 110 e segg. 29 Ibidem, pp. 124 e 161-162. 30 I. KANT, Crtica del giudizio, Bari 1972, p. 142. t,, da ricordare che per Kant dall'armonia tra la facoltà dell'immaginazione e dell'intelletto nasce il sentimento della bellezza, cioè il sentimento colto in modo immediato e diretto, dJ una unità in cui l'intelletto o la natura pos sono liberamente accordarsi. Cfr. L. GEYMONAT, Storia della filoso fia, Milano 1968, voi. II, p. 303. 31 I. KANT, op. cit., p. 163. 32 Ibidem, p. 43. ll Ibidem, p. 31. 34 Ibidem, p. 44. 35 Ibidem, p. SO. 36 Ibidem, p. 52. 37 Ibidem, p. 59. 38 Ibidem, p. 76. 39 Ibidem, p. 83. 40 Ibidem, p. 77. •1 Ibidem, p. 180. 42 G. W. HEGEL, Estetica, Torino 1972, p. 5. 43 Ibidem, p. 22. 44 Ibidem, p. 25. 45 Ibidem, pp. 42-43. 46 I. KANT, Critica del giudizio, cit., p. 137. 47 G. W. F. HEGEL, op. cit., p. 41.
•
50
Ibidem, p. 42. Ibidem, p. 48. so Ibidem, p. 85. 51 B. CROCE, Estetica..., cit., p. 131. 52 Ibidem, p. 132. 53 Ibidem, p. 133. 54 Ibidem, p. 135. 55 IDEM, Breviario di Estetica, Bari 1974, pp. 82-83. 56 IDEM, Estetica ..., cit., p. 135. � L. VENTURI, Il gusto dei primitivi, Torino 1972, p. 14. sa Ibidem, p. 14. 59 G. c. ARGAN, Prefazione a L. VENTURI, op. cit., p. XXII. 60 Cfr. le osservazioni su Venturi di C. L. RAGGHIANTI, Profilo della critica d'arte in Italia, Firenze 1973, pp. 58-68 e 198-200. Anche Argan, 48
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nella sua Prefazione parla del tentativo di « spiritualizzare ", nel senso di storicizzare, gli schemi visivi wolflliniani, cit., p. XVIII. 61 L. VENTURI, Storia della critica d'arte, cit., p. 27. 62 63 M 65 66
Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem,
p. 30. p. 35. p. 35. pp. 39-40. p. 41.
67 G. MORPURGO TAGLIABUE, Giudizio e gusto, in di estetica », Venezia 1958, p. 59.
e
Atti del Simposio
Ibidem, p. 59. -Ibidem, p. 56. 70 Ibidem, p. 55. � 71 G. DoRFUS, Le oscillazioni del gusto, Torino 1970, p. 11. n Ibidem, p. 11. 73 Ibidem, p. 12. 74 L. L. SCHUCKING, Sociologia del gusto letterario, Milano 1968, p. 7. 75 Ibidem, p. 100. 76 P. VERONESE, Ipotesi per una filosofia del «gusto"• Padova, 1972, 68 69
p.
100.
Ibidem, pp. 86-87. E. PERSICO, Profezia dell'architettura, 1935, in Scritti critici e po lemici, Milano 1947, p. 206. 79 R. DE Fusco, Sull'importanza del gusto, ne e Il Messaggero •, 11
78
23-12-1977. 80 T. W. ADORNO, Teoria estetica, Torino 1975, p. 398. 81 IDEM, Minima moralia, Torino 1974, p. 71.
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Alcuni contributi alla critica dell'iconismo GIUSEPPINA DAL CANTON
Nell'ambito della semiotica, il dibattito sull'iconismo è uno dei più ampi e dei più vivaci degli ultimi quindici anni ed è ancora lontano dallo spegnersi sia perché, come ha notato Eco 1, la crisi della nozione di iconismo coincide con la crisi della nozione di segno sia perché alla base della di scussione, che, come qualcuno ha giustamente osservato, in alcuni casi non è stata un'occasione di ricerche e di con fronti costruttivi, ma piuttosto un luogo di frustrazioni 2, esistono diverse concezioni della semiotica e perciò anche diversi sfondi filosofici. Il perno attorno a cui ruota la que stione è la posizione occupata dal referente nella teoria del significato; le risposte oscillano fra l'estremismo dell'esclu sione dell'oggetto dal campo semiotico e quello della sua inclusione 'ingenua', cioè troppo disinvolta e troppo poco critica. Definizioni come quella di Morris, per cui un segno ico nico è il segno simile, per alcuni aspetti, a ciò che denota, con la conseguenza che l'iconicità è una questione di grado 3, o come quella di Peirce, per cui un segno è iconico quando può rappresentare il suo oggetto principalmente per via di similarità 4, aprono una serie di interrogativi e di discussioni intorno a che cosa significhi essere simile al proprio oggetto. Già dieci anni or sono Eco aveva sottoposto ad una ser rata critica la definizione morrisiana di icona 5: a tutti è chiaro infatti che, anche nel caso di un ritratto dipinto con 52 . il più puntiglioso realismo, il ritratto non ha esattamente
le stesse proprietà della persona ritratta ed il problema consiste proprio nel senso da attribuire alla prudente espres sione di Morris è sùnile, per alcuni aspetti, trovandone quella spiegazione scientifica che la semiotica morrisiana non for nisce. Fra le diverse posizioni sul problema del rapporto tra icona e referente emergono, contrapposte, quella di Eco e quella di Maldonado, la cui disputa ha trovato una conclu sione provvisoria, con la risposta di Eco a Maldonado, pro prio sulle pagine di questa rivista 6• Poiché le posizioni dei due studiosi appaiono tuttora due punti di riferimento fon damentali, ci sembra utile riferirle brevemente. 1. Due poli del dibattito: Maldonado ed Eco Tomàs Maldonado, nel saggio Appunti sull'iconicità del 1974 7, attacca la posizione di Eco, legata ad una semantica più che altro intensionale (interessata cioè alle condizioni di significazione e all'organizzazione dei significati), accusan dola di soggettivismo e di idealismo. Maldonado, che eviden temente ha sempre propeso invece per una semantica esten sionale (interessata al rapporto fra i segni e i referenti), af ferma perentoriamente il valore conoscitivo dell'iconicità. Questo è - a suo avviso - inseparabile dalla sua possibi lità di conferma, cioè dalla possibilità di sottoporre a provà sperùnentale il contenuto oggettivo del segno iconico 8•
Nonostante il richiamo all'esame delle pratiche tecnico operative per le quali la riproduzione della realtà materiale diventa realtà comunicativa e viceversa 9, Maldonado di fatto imposta la maggior parte del saggio sulla discussione teo rica di passi fra i più autorevoli sull'argomento, in partico lare passi di Wittgenstein e di Peirce. Il primo problema esaminato da Maldonado è il rapporto icona-proposizione e l'individuazione dei limiti del discorso esclusivamente logico sull'iconicità 10• Egli si rifà innanzitutto alle tesi di Wittgenstein che gli paiono restare immutate nel passaggio dal Tractatus alle Philosophische Untersuchungen e in particolare a quel nucleo costante che è il concetto di 53
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hnmagine come modello, come modellazione della realtà 11• Tale concezione modellistica della proposizione e dell'im magine sarebbe riportabile alla formazione di Wittgenstein, in gioventù studente di ingegneria meccanica a Manchester. Come Wittgenstein definisce proporzionale la natura del «Bild» ( «modello » ), così Peirce definisce proposizionale se non la natura dell' «icon », almeno quella dell' «icon » in quanto eventuale portatrice di un «index » 12• Ma la que stione delle implicazioni logico-epistemologiche dell'iconicità o, più semplicemente, la domanda se l'icona sia o non sia una proposizione, presuppone che si dia per scontato - al meno in via del tutto preliminare - il significato di uno dei due termini (icona o proposizione). Maldonado, per ra gioni «tattiche», dà per acquisito il secondo termine, la proposizione, che, attraverso un mosaico di citazioni «con vergenti » tratte da studiosi di logica formale contemporanei, riduce alla definizione di contenuto oggettivo di un giudizio e di un termine capace di significare uno stato di cose 1 3, sottolineandone quindi la divergenza dall'enunciato. Fa no tare poi come, accettando da un lato la natura proposizio nale dell'icona e sottolineando, dall'altro, la differenza tra proposizione ed enunciato, ci si ponga in pieno di fronte al problema del significato 14• Ma continuando l'esame del rapporto icona-proposizione, Maldonado si chiede se sia possibile sostenere l'isomorfismo tra costruzione iconica e costruzione logica, o, in altri ter mini, se sia corretto ipotizzare che l'icona - o qualche tipo di icona - possa assumere il carattere di una vera e propria « forma proposizionale dichiarativa» 15• L'isomorfismo non sempre è possibile, perché sovente l'icona si organizza in modo diverso dalla forma logica dichiarativa e spesso con un livello articolatorio ridotto rispetto a quello richiesto dal l'articolazione proposizionale: esistono infatti icone i cui ele menti si comportano costitutivamen_te (fotografia, disegno, pittura, ecc.) 16 , icone i cui elementi si comportano somma tivamente (film, televisione, ecc.) 17, ed infine icone in cui alcuni elementi si comportano costitutivamente ed altri sommativamente (ad esempio la cosiddetta scrittura sintetica o
i moderni fumetti) 18• La difficoltà a stabilire un'equivalenza fra articolazione iconica e articolazione proposizionale appar tiene alla stessa natura del sistema iconico, che oggi come oggi non può essere preso in esame separatamente dal pro blema del rapporto tra categorizzazione percettuale e [ ... ] dal problema del rapporto tra struttura del pensiero e struttura della realtà 19• Ma tutta questa problematica, per Maldonado, non può essere affrontata da un'angolazione epistemologica unilaterale, ma da due epistemologie e precisamente, secondo quanto indicato da Piaget, da quella normativa ed insieme da quella genetica (purtroppo, invece, le ipotesi peirciane e wittgensteiniane relative ad un « rapporto isomorfico » tra immagine e proposizione soffrono ancora del limite di essere impostate unicamente secondo l'«epistemologia normativa»). Non bisognerà allora spiegare il processo di categorizzazione di un'icona solo in termini di « categorizzazione concettuale », ma anche e soprattutto quale risultato di un processo di « categorizzazione percettuale » 20 • Pertanto lo spazio iconico e quel particolare ordinamento dello spazio logico che è la proposizione dichiarativa 21, pur essendo fra loro tutt'altro che estranei, come confermerebbero gli esperimenti della « computer graphic », non si identificano perché tra perce zione e pensiero esiste principalmente una discrepanza di forma, ovvero un modo diverso di stabilire le connessioni tra gli eventi, cioè un modo diverso di regolare le « catene causali » 22• Tornando però al problema del significato, Maldonado accusa Eco di aver espresso giudizi troppo sbrigativi e som mari sulle teorie di Frege e di aver rifiutato, senza una critica adeguatamente approfondita, la definizione peirciana del segno iconico e le altre concezioni a questa direttamente collegate; in particolare, nel caso della definizione di Peirce, ciò che disturberebbe Eco sarebbe il riferimento del segno iconico ad una nozione di referente ancora troppo satura di materialità 23 ed insomma implicante in qualche modo un dualismo « referenziale » 24• Inoltre la polemica di Eco contro il concetto peirciano di similarità sarebbe basata - per Mal donado - su presupposti critici assai discutibili e talvolta 55
perfino infondati: infatti egli, oltre a dimostrare una ridut tiva frettolosità nella considerazione delle problematiche gno seologiche implicate dalle teorie peirciane sulla similarità, avrebbe fatto un uso parziale di passi dei Collected Papers relativi al concetto di iconicità, forzando in parecchi punti le tesi in essi sostenute. Le accuse di Eco di circolarità e di tautologia alle definizioni peirciane sarebbero destinate a ca dere di fronte ad una più attenta ed articolata rilettura del pensiero del filosofo americano: la cosiddetta « circolarità » (ma piuttosto che di « movimento ciclico » sarebbe più ap propriato parlare di movimento elicoidale perché il rinvio da una definizione ad un'altra avviene sempre ad un livello su periore) è una componente necessaria di un metodo defini torio in cui la definizione perde il suo carattere speculativo, e diventa fluente, relativa e tangibile, sempre adattabile alle esigenze di verifica o conferma dei fatti esistenziali 25, prean nunciando così la definizione operativa di Bridgman e quella proposta dall'epistemologia genetica di Piaget; per quanto poi riguarda la tautologia, secondo cui definire una cosa in base alla sua similarità con un'altra equivarrebbe a non de finirla affatto, in quanto tutte le cose, in ultima analisi, avreb bero qualche caratteristica in comune 26, Maldonado osserva che tale obiezione di Eco non è diretta contro una partico lare modalità definitoria 27, ma che la sua vera mira è piut tosto quella di negare ogni valore conoscitivo all'idea stessa di similarità, con un atteggiamento che perciò si rivela gra vemente ostile nei confronti degli stessi costrutti teorici che oggi guidano ogni prassi scientifica 28• Infatti, da Galileo in poi, alla base delle operazioni scientifiche si trova sempre l'idea di similarità: modellare e simulare significano costruire similarità; categorizzare e classificare significano ordinare si milarità 29• Resta, s'intende, il problema della definizione del l'isomorfismo nelle varie discipline e in particolare, dal punto di vista della linguistica e della filosofia del linguaggio, re stano le difficoltà di descrivere delle corrispondenze quando non si siano sufficientemente chiarite le questioni connesse alle basi epistemologiche della similarità. Si tratta, in ul56 tima analisi, di vecchie questioni che già Leibniz aveva sa-
puto individuare con eccezionale lucidità; il filosofo tedesco infatti ci insegna che esistono due diversi modi di struttu razione della similarità: quello quantitativo e quello quali tativo. Il primo si definisce tramite l'eteronomia della com presenza; il secondo tramite l'autonomia che presuppone la non-compresenza 30, L'idea che la similarità possa avvenire
tramite un veicolo quantitativo o, invece, tramite un veicolo qualitativo è ripresa ed anzi portata alle estreme conseguenze proprio da Peirce per le sue definizioni di indice e di icona, che appaiono appunto rispettivamente come veicolo quantita tivo di similarità, in cui perciò è d'obbligo la compresenza, e come veicolo qualitativo della stessa, nel quale si può pre scindere dalla compresenza 31 (per compresenza s'intende, in genere, la proprietà che hanno due o più entità di trovarsi presenti allo stesso tempo e nello stesso luogo 32 ). Per quanto
attiene all'indice, il confronto confermativo avviene tramite una trasformazione metrica o proiettiva, mentre l'icona è soggetta a trasformazioni di tipo topologico. A questo punto Maldonado, nel ribadire il valore conoscitivo dell'iconicità, riconosce d'altra parte che non tutti i segni iconici offrono la possibilità di sottoporre a prova sperimentale il loro con tenuto oggettivo; questo accadrebbe per la mancanza di una storia critica delle tecniche di iconicità indessicale 33, man canza che è solo parte di quell'altra, ben più gravida di con seguenze, che Marx lamentava nel Capitale: la mancanza di una storia critica della tecnologia in genere 34• La semio
tica dovrà pertanto, per Maldonado, abbandonare l'attuale posizione idealistico-soggettivistica e scendere sul terreno empirico per studiare le tecniche di riproduzione e di tra sformazione della realtà materiale in realtà comunicativa. Non è il caso di riferire per esteso la risposta di Eco a Maldonado, in quanto essa è apparsa, come s'è detto, sulle pagine di questa stessa rivista, ma è opportuno in ogni caso richiamare sinteticamente i principali punti su cui lo stu dioso italiano imposta la propria difesa.
Innanzitutto Eco ammette di aver corso il duplice rischio, ne La struttura assente e ne Le forme del contenuto (Milano, Bompiani, 1971), di affermare che un'indagine semiotica non 57
abbia nulla a che vedere con i referenti e di affermare che i segni iconici siano «del tutto» convenzionali lS, ma sostiene anche di aver compiuto una progressiva revisione critica tanto della posizione rigidamente antireferenzialista quanto di quella rigidamente convenzionalista sia ne Il Segno (Mi lano, ISEDI, 1973) sia, soprattutto, nel Trattato di semiotica generale (Milano, Bompiani, 1975). Dopo aver notato che talune osservazioni di Maldonado sono pertinenti e fondate perché oggi la nozione di iconismo non può più riposare su luoghi comuni, come quello del l'assoluta arbitrarietà del linguaggio (è dato constatare in vece che l'iconico si nasconde anche in seno ai sistemi detti arbitrari, così come, viceversa, la convenzione si annida al
l'interno di quel trionfo dell'iconismo presunto che sono le immagini visive 36), Eco afferma che nel suo Trattato - che
Maldonado evidentemente non ha preso in esame - il pro blema dell'iconismo viene affrontato cercando di stabilire come vi siano dei segni in qualche modo motivati da stati
di cose e tuttavia capaci di mediare quegli stati di cose at• traverso processi di trascrizione governati da regole conven zionali.,,_ Una volta ribadita dunque la necessità di abban
donare certe sicurezze e di criticare a fondo alcune nozioni «ingenue», come quella di una tranquilla «similarità» del l'immagine disegnata al fatto raffigurato, viene anche sotto lineata dall'autore la diversità della propria posizione ri spetto a quella di Maldonado, di cui si passa a discutere e a ribattere le principali argomentazioni. Una delle principali divergenze fra Eco e Maldonado con siste nella diversa interpretazione della «Abbildungstheorie » ( «teoria del modello») wittgensteiniana. Se per Maldonado sono da: considerare validi quegli assunti e quei nuclei di riflessione sulla teoria del modello che non subiscono modi fiche nel passaggio dal Trattato alle Ricerche filosofiche, per Eco invece quel che resta valido delle Ricerche è proprio ciò che si discosta dal Trattato: . è perciò che mentre Maldo nado sottolinea la fiducia di Wittgenstein nel valore cono scitivo del modello, Eco sottolinea invece come il Wittgen58 stein delle Ricerche sembri mettere continuamente in dubbio
la teoria del modello. Del resto, anche se si ammette che la conoscenza costruisce modelli operativi della realtà 38, resta da spiegare come i modelli funzionino, quali siano cioè le regole, convenzionate, di similitudine [ ... ] in base alle quali si vuole stabilire che un qualcosa sia modello di qual cosa d'altro 39 • I passi di Wittgenstein che Eco riporta a so stegno delle proprie tesi mostrerebbero, oltre alla distinzione del significato dal referente, una considerazione problematica dell'iconismo ed una chiara propensione del filosofo a rite nere I'' iconico ' come frutto di mediazioni culturali e la si milarità legata, in qualche modo, a regole di pertinentizza zione che potrebbero essere comprese - è Wittgenstein stesso ad affermarlo - attraverso lo studio degli . usi con creti, della prassi applicativa. Detto altrimenti, l'icona va studiata non già in rapporto diretto agli oggetti concreti, ma ad un contenuto (nel senso hjelmsleviano del termine) siste mato culturalmente, che è quello che, a propria volta, media il rapporto con gli oggetti concreti 40• È proprio su questo punto che, secondo Eco, si è verificato l'equivoco con Mal donado: questi si riferisce costantemente ed unicamente ad una semantica referenziale, cioè ad una semantica che si occupa, specie in filosofia, del rapporto tra segni e oggetti che questi segni menzionano, mentre invece Eco si avvale per lo più di una semantica strutturale, che si presenta come descrizione o tassonomia del contenuto, ovvero approccio antropologico al modo in cui una cultura organizza il mondo 41• Replicando perciò all'accusa di Maldonado di pra ticare una semiotica « a-semantica», Eco aggiunge anche che una semiotica non referenziale non esclude dal proprio oriz- .. zonte il momento semantico, anzi lo privilegia ed è proprio ,.. quella che ci permette di comprendere la possibilità che i segni hanno di essere usati per mentire 42 • Quanto all'accusa di semiotica «a-pragmatica», Eco fa notare che l'oggetto della semantica strutturale, detto « con tenuto», è proprio la stessa organizzazione del mondo ope rata da una società. E dunque l'oggetto di una scienza delle ideologie e della stessa organizzazione sociale 43• Eco ammette di aver potuto liquidare con l'accusa un po' 59
troppo sbrigativa di « petizione di principio» la definizione di iconismo per similarità di Peirce, ma sottolinea di aver impostato in modo criticamente più profondo, nelle sue ul time opere, l'esame delle nozioni di similarità e di iconismo e sostiene di non aver negato il valore conoscitivo della si milarità 44; fa presente invece di aver sempre affermato il concetto, ben diverso, che la nozione di similarità non chia risce perché i segni detti iconici mi dicano qualcosa circa gli oggetti 45• Aggiunge poi che anche nel caso in cui un'espres sione visiva sia il frutto della proiezione di caratteristiche dell'oggetto, bisogna considerare tali caratteristiche e le stesse modalità di proiezione come il risultato di selezioni avvenute in base a regole culturalizzate. Quindi il problema della conoscenza iconica è ancora una volta quello dell'inter vento culturale umano sui dati percettivi 46• Il rischio corso da Maldonado sarebbe invece quello di confondere l'iconismo della percezione con l'iconismo della rappresentazione se gnica 47 , come è confermato dall'esempio del cannocchiale ga lileiano. Il problema dell'iconismo interviene non nel mo mento in cui Galileo osserva Saturno attraverso il cannoc chiale, ma piuttosto quando decide di rappresentare con un disegno l'immagine di Saturno vista attraverso lo strumento, che è semplicemente una protesi. L'immagine fornita dal cannocchiale pone indubbiamente una serie di problemi di ·«semiotica della percezione», che Eco si limita a segnalare, ma non affronta per ragioni di opportunità: in fondo quel che gli preme ribadire in proposito è che in ogni caso il problema consiste nel capire come dei segni materiali con sentano di proiettare all'indietro verso certi percetti e quindi verso gli oggetti che in circostanze adeguate potrebbero determinare quei percetti. Quando Galileo si accinge a rap presentare il pianeta Saturno, procede ad un disegno basato su modelli culturali del suo tempo: la sua icona di Saturno funziona praticamente, facendo avanzare la scienza astrono mica, e nondimeno è assai poco iconica rispetto alle rappre sentazioni postgalileiane. Eco inoltre afferma che quando Maldonado, esaminando 60 j concetti peirciani di indice e di icona, si rifà all'idea leibni-
ziana della compresenza proiettiva e sostiene che questa è utilizzata per produrre e per verificare la similarità, sembra dimenticare che perfino l'iconismo indessicale delle impronte si configura come un'espressione che rinvia ad un contenuto sulla base di regole culturali: nel momento in cui l'agente imprime, l'impronta non è visibile e la compresenza è perciò soltanto dedotta; poi, per proiettare all'indietro, occorrerà applicare regole di trasformazione, cioè completare ideal mente i tratti che l'impronta ha conservato mediante un confronto con modelli culturali precedentemente acquisiti, che servono appunto come termini di riferimento. L'ultima parte della risposta di Eco è la dichiarazione di accordo con Maldonado sulla necessità di studiare le • mo dalità ' e gli 'effetti operativi' della produzione iconica, per procedere, con l'aiuto della storia della strumentazione scien tifica e dei mezzi riproduttivi, ad una tipologia dei modi di produzione segnica 48•
2. Verso il superamento delle impasses La tipologia dei modi di produzione segnica, in effetti, è da Eco tracciata sotto il profilo teorico, più che verificata nell'ambito sperimentale, nel Trattato. In quest'op _era però vengono di fatto superate numerose impasses che il dibattito degli anni settanta, specie intorno alla semiotica del cinema, aveva trascinato con sé (il duplice problema del l'articolazione iconica e della motivazione iconica era nato infatti con alcuni contributi di Metz 49 e di Pasolini 50). Ne La struttura assente il problema della motivazione veniva superato con disinvoltura forse eccessiva, ma in quel mo mento necessaria per uscire da certi pesanti equivoci, mentre quello dell'articolazione iconica veniva già allora liquidato in base alla necessità di uscire dal dogma dell'articolazione lin guistica. Se le posizioni e le stesse argomentazioni del Trattato appaiono indubbiamente più mature di quelle della Struttura assente, bisogna tener conto che fra un'opera e l'altra si è verificata, da parte degli stessi semiologi del ci nema, la revisione di parecchie posizioni 51, e si è aperta, tra 61
il 1972 e il 1973, una discussione a più voci sull'iconismo proprio nella rivista diretta da Eco, «Versus» (si vedano gli interventi di Farassino, Casetti, Volli, Bettetini, Ver6n e dello stesso Eco), cosicché il dibattito si è infittito ed arric chito di contributi interessanti, facendo subire una svolta decisiva a tutta la questione. L'ultimo Eco ribadisce perciò la necessità di superare il verbocentrismo ingenuo 52: è un errore voler a tutti i costi scomporre l'icona in unità pertinenti codificate e renderla soggetta ad un'articolazione multipla. In linea con le più recenti posizioni della semiotica delle arti visive e della semiotica del cinema in particolare, Eco afferma perciò che occorre eliminare la nozione di segno iconico e sostituirla con quella, più produttiva, di testo visivo, nell'ambito di una tipologia non già dei segni, ma dei modi di produzione se gnica. La crisi della concezione di segno iconico si inserisce, come più sopra si diceva, nella più vasta crisi della conce zione di segno inteso come unità segnica e come correla zione ' fissa ' 53• La nozione di segno va infatti più opportunamente so stituita con quella di funzione segnica, per la quale si intende la correlazione tra un elemento appartenente al piano del l'espressione ed un elemento appartenente a quello del con tenuto, ma senza che si determini fra gli elementi un rap porto stabile e definito, ogni funtivo potendo associarsi con funtivi diversi e originare perciò funzioni segniche diverse e mutevoli. Di qui l'eliminazione dei ' segni iconici ' 54 e la considerazione, invece, dei testi iconici nell'ambito delle tra sformazioni e quindi come risultato di quel particolare modo di produzione segnica che è l'invenzione: il testo iconico infatti, più che qualcosa che dipende da un codice, [è] qual cosa che ISTITUISCE UN CODICE 55• Senza dilungarci ulteriormente nel tentativo di conside rare in poco spazio ciò che Eco espone e dimostra in una serie di capitoli e rimandando invece alla diretta lettura del testo e alle relative argomentazioni sui singoli problemi, 62 basterà qui rammentare che la sua critica dell'iconismo, par-
tita dalla disamina dei rapporti fra iconismo e similitudine, iconismo e analogia, iconisnw e stimoli empatici, iconismo e fenomeni pseudoiconici, si conclude, obbligata dal discorso sull'invenzione, con una considerazione del testo iconico al l'interno della più generale teoria semiotica del testo estetico. Come si è già detto, l'orizzonte allargato di queste teo rizzazioni di Eco si comprende alla luce dell'alla'rgamento e dell'approfondimento della problematica promossi, fra l'altro, dal dibattito su «Versus». Ugo Volli, a suo tempo intervenuto nella discussione su quella rivista, riprende il discorso sull'iconismo in un saggio del 1975 56, in cui vengono messi in luce interessanti aspetti della questione, che affiancano ed integrano, a nostro avviso, le tesi e le dimostrazioni di Eco. La tesi fondamentale dell'articolo di Volli si può riassu mere nell'affermazione che i fenomeni comunicativi e signi ficativi iconici sono caratterizzati in generale per il fatto di essere in linea di principio rappresentabili come funzioni nel senso logico matematico del termine, o meglio come tra sformazioni geometriche 57• L'indagine si vale pertanto di un processo per cosl dire sperimentale di approssimazione, co struendo diversi modelli di relazione astratta, via via spe cificati e particolarizzati per verificare se e in quale misura essi siano interpretabili come funzione segnica e iconica 58• Risulta evidente dalle enunciazioni appena riportate che Volli da un lato elimina, come Eco, le nozioni di segno e di segno iconico in favore di quelle di funzione segnica e di co municazione iconica o, meglio, di funzione iconica, dall'altro afferma l'utilità di affrontare le funzioni segniche con l'au silio della logica, non già per arrivare a definizioni di essenze, ma alla costruzione di modelli 59 di cui sia chiaro il carattere provvisorio e euristico 60 (è un richiamo alle verifiche e alle ricerche ' empiriche ' che si accorda con quanto auspicato da Maldonado e da Eco). Sempre per quanto riguarda le possibilità di uscire da impasses ed equivoci addensati intorno al problema dell'ico nismo, appare oggi doveroso sottoporre ad· una seria rilet tura e ad una revisione critica globale le opere dei ' padri' 63
della questione, soprattutto Wittgenstein e Peirce. Come ab biamo visto infatti esaminando gli scritti di Maldonado e di Eco, le riflessioni sull'argomento e le definizioni fornite tanto da Wittgenstein quanto da Peirce risultano contraddittorie e si prestano ad esser usate per suffragare tesi diverse e perfino contrastanti: da un lato occorre pertanto - ed è . quanto si sta già facendo 61 - un reale approfondimento ed un recupero non parziale degli aspetti semiotici del pensiero dei due filosofi, dall'altro però occorre anche non esagerare nei rinvii alle auctoritates e passare a proposte e verifiche concrete.
3. Dal momento teorico al momento applicativo: Menna ed altri In questi ultimi anni, alla serie dei contributi sull'iconismo nell'ambito teorico non ha fatto riscontro un'altrettanta nu trita ed impegnata serie di contributi nell'ambito di quella • ricerca empirica' da più parti auspicata. E se dei contri buti di un certo rilievo vi sono stati, generalmente non si può certo dire che essi abbiano affrontato il problema del l'iconismo in profondità, affondando cioè l'analisi nelle con crete modalità di produzione dei segni iconici. In alcuni casi si assiste ad un'utilizzazione più che altro esteriore e nomi nale e ad una trasposizione un po' meccanica delle conclu• sioni, delle definizioni e dei termini elaborati in sede teorica, mentre l'indagine sui meccanismi in base ai quali si attua la produzione segnica resta marginale o è esclusa dalla quasi totalità dei saggi applicativi, che lasciano perciò ancora pressoché scoperta la verifica, in sede sperimentale, dei di versi modi di produzione segnica.
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Nell'ambito degli studi italiani si segnalano tuttavia par ticolarmente, se non altro per la concretezza delle esempli ficazioni, tutte ricavate da opere d'arte contemporanea, al cuni saggi rispettivamente di Emanuela Cresti, di Corrado· . Maltese, di Filiberto Menna e di Orsola Ghetti. Sull'articolo della Cresti 62 non ci soffermeremo perché
esso è già stato segnalato e presentato su questa stessa ri vista in altra occasione 63, e perciò passeremo direttamente a discutere gli altri tre saggi. Quanto alle posizioni di Maltese sulla semiotica dei segni iconici, si può notare un approfondimento della trattazione quando si passi dalla lettura del capitolo intitolato Iconi cità e astrazione segnica del suo libro del 1970 64 al saggio Per una semiologia dell'iconismo apparso in «Qui arte con temporanea» 65. Già nel suo scritto del '70, tutt'altro che teorico ed astratto, bensì abbondante di riferimenti concreti all'arte contemporanea e soprattutto alle «tecniche» artistiche o di produzione di visibilità, Maltese aveva concluso la disamina della nozione di iconicità constatando che non esiste un segno di per sé «realistico» (o «figurativo», come erronea mente si continua a dire), né il segno iconico, peraltro dai confini così labili, può essere di per sé più significativo e co municativo di quello aniconico. È qui l'errore teorico del l'identificazione tra iconismo e « realismo socialista » quale è propugnato nell'URSS. Il realismo è solo nella rispon denza del segno alla funzione comunicativa e del segnale al segno, cioè alla sua capacità di significare in un contesto determinato rendendo comune il non comune 66•
Nel saggio del '73, ridefinendo la nozione di iconicità, l'au tore sembra riportarsi alla definizione morrisiana, a più ri prese criticata da Eco come tautologica, quando afferma che l'iconicità di una forma-oggetto consiste in una relazione di rappresentazione rispetto ad altre forme e che maggiore è il numero delle proprietà che si riscontrano identiche, mag giore è l'iconicità della forma-oggetto rispetto alla forma cui viene riferita 67; ma subito dopo si affretta a precisare che
l'iconicità è sempre convenzionale e che vi sono diverse scale di iconicità, tanto che il vero segno iconico è l'og getto medesimo. A riprova di ciò adduce l'esempio delle statue di cera di Madame Tussaud che, pur ripetendo alcune proprietà volumetriche e visive degli oggetti cui si riferi scono, non colgono le proprietà più profonde degli stessi ed escludono il movimento, sicché la loro iconicità può dirsi
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veramente convenzionale. Anche se nel testo che segue non viene forse sufficientemente esaminato in base precisamente a quali regole si siano selezionate talune caratteristiche per tinenti ai singoli oggetti per riprodurle, sempre mediante altre regole, secondo date convenzioni culturali, è a questo punto che, per quanto riguarda la concretezza applicativa, inizia la parte più interessante dello scritto, perché l'autore passa in rassegna alcuni casi di iconismo nell'arte, specie contemporanea. Maltese nota che, dopo la prolungata permanenza otto centesca della cultura artistica occidentale nell'ambito del l'iconismo «organico» e «personalizzato», si è passati alle molteplici esplorazioni nella zona dell'aniconismo, contra state da sopravvivenze e revivals di iconismi «organici» più o meno alterati e mediati (surrealismo, neorealismo, ecc.); in seguito ancora l'arte è approdata a nuove forme di ico nismo: da un lato il new dada con le sue esibizioni di og getti estrapolati dal contesto originario, dall'altro l'iconismo effimero e «meccanico» anziché «organico» delle foto-docu mento dei « poveristi». Infine l'iperrealismo ha proposto un'iconicità - almeno apparentemente - «spersonalizzata» e «meccanica» 68, ma per lo più monumentale nelle propor zioni e tutt'altro che «effimera», in cui la vita sembra fissata e al tempo stesso negata, come in certi ritratti fotografici a smalto applicati. al monumenti funebri a perenne memoria dei cari estinti ffl, t:. infine nella capziosa contraddizione fra la tendenza a spersonalizzare completamente il segno iconico e la necessità di lasciar intravvedere all'osservatore indizi di un'esecuzione «virtuosa», cli un'automaticità voluta e con traffatta anziché irriflessa, che Maltese scorge nella più parte delle operazioni iperrealistiche la volontà di svolgere e dimo strare un teorema segnico nel campo iconico. L'iperrealismo si qualificherebbe pertanto come una forma di metalconismo (meditazione sul segno iconico) 70• Preceduto da alcuni scritti già improntati ad una lettura semiotica dell'arte moderna e rivolti a mettere in luce l'at teggiamento ' analitico ' delle operazioni artistiche dagli im66 pressionisti in poi 71, il libro di Menna La linea analitica
dell'arte moderna. Le figure e le icone (Torino, Einaudi, 1975), tende a sottolineare come, dalla fine dell'Ottocento, l'arte persegua una linea appunto 'analitica ' di ricerca, cosciente che una delle operazioni fondamentali che le appartengono consista nello studio e nella verifica del proprio specifico statuto linguistico. Tale atteggiamento artistico 72 riflette rebbe peraltro quella rottura epistemologica - nel senso che l'espressione assume nella rilettura di Marx condotta da Althusser 73 - venutasi a creare nell'intero ambito delle scienze umane ad opera delle teorie analitiche freudiane e soprattutto delle operazioni strutturali della linguistica saus suriana. :È. infatti in rapporto all'avventura strutturalista 7◄ che l'arte mostrerebbe l'esigenza di costituire in sistema i propri mezzi espressivi e di attribuire loro un'autonomia spe cifica, avviandosi, così, per proprio conto, verso una defini zione strutturale del linguaggio, già interpretato come « en tità autonoma di dipendenze interne » 1s. A dare l'avvio al processo di formalizzazione 76 della pit tura è George Seurat, al quale più che il quadro come rap presentazione interessa la pittura come sistema segnico: quando egli dipinge la Grande latte, scompone il tono e la continuità spaziale in unità minime, che organizza in una struttura secondo precise regole sintattiche. Seurat opera dentro un codice iconico (solo in seguito, e sulle sue tracce, altri artisti concentreranno la loro indagine esclusivamente sulle figure, ossia sui segni elementari del linguaggio visivo), ma il suo interesse dominante non si appunta sull'immagine e sulla rappresentazione, bensì sui segni di base del colore e della linea proprio perché egli si rende conto, lucidamente, che a questo livello è possibile pervenire a una più rigorosa definizione delle invarianti 77• Da Seurat in poi la consapevolezza della convenzionalità del linguaggio artistico si fa strada all'interno delle diverse ricerche estetiche, benché queste muovano secondo due binari d'indagine o meglio due procedimenti pittorici distinti e complementari: quello della superficie e quello della rap presentazione o,. come sopra si diceva, della peinture e del tableau. La peinture tende verso il polo del sistema, si co-
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stituisce sulla base cioè di segni istituzionali, relativamente invarianti, mentre il tableau si avvicina alla polarità del pro cesso, [ ... ] appare quasi del tutto dimentico delle basi siste matiche del linguaggio e si appaga di esibire la propria fa. vola pittorica 1s.
Se le ricerche di Seurat e quelle, per taluni aspetti, ana loghe di Cézanne mostrano di saper mantenere un equilibrio tra i due poli della peinture e del tableau, in seguito, nel l'arte moderna, si assiste invece ad una sorta di • divisione dei compiti ', in quanto l'indagine viene limitata ad una sola polarità del procedimento pittorico e viene imboccata, quindi, come già osservava Kandinsky, o la via della 'grande astra zione ' o quella del ' grande realismo '. A. Menna la linea. analitica dell'arte moderna appare così svolgersi su due diversi livelli di articolazione del linguaggio visivo: quello delle figure; cioè delle unità elementari sprov viste di significato, e quello delle entità linguistiche com plesse dotate di significato, che egli identifica con gli enun ciati iconici. È su questo secondo livello appunto che si imposta la « linea iconica» dell'arte moderna, la quale non abbandona la rappresentazione, ma ne mette in crisi la no zione ingenua, la pretesa capacità di rispecchiare fedelmente il reale. Tale lucida critica dell'iconismo ' dall'interno ' della linea iconica sarebbe dimostrata dagli oggetti presentati, anziché rappresentati di Duchamp, dai paradossi linguistici di Magritte, dalle opere dei più consapevoli fra gli iperrea listi, dalle « antifotografie» realizzate con varie « tecniche di detournement», che spostano l'attenzione dello spettatore dall'oggetto ai segni linguistici. Da posizioni diverse muove la critica alla concezione dell'arte condotta dalle ricerche di ispirazione aniconica (anche se non di rado si registrano alcuni scambi fra le due linee di ricerca): queste rinnegano la rappresentazione, attendono allo smontaggio e alla dis soluzione del codice iconico per giungere ad una serie di unità elementari costituenti il sistema del linguaggio arti stico. Questa linea si snoda attraverso il De Stijl, i costrut tivisti e insomma tutta la 'grande astrazione', specie geo68 metrica, e giunge fino ai nostri giorni, includendo, per certi
aspetti, alcune ricerche di Sol LeWitt. Sullo stesso versante della superficie si possono individuare, secondo Menna, anche quelle esperienze pittoriche che, dietro la scorta di Jakobson, si potrebbero definire metonimiche, appunto perché con trarie ad ogni riferimento metaforico e ad ogni suggestione polisemica: esse costituiscono una direttrice che, nata con Matisse e fin da allora interessata esclusivamente al signi ficante e alla fisicità della pittura, porta sino alle estreme conseguenze della Nouvelle Peinture. Gli esiti ultimi della ricerca analitica sono raggiunti però, per Menna, nell'ambito di alcune ricerche concettuali, che indagano intorno alla natura convenzionale del linguaggio in generale e delle icone in particolare, costituendo così un sostegno delle tesi antireferenzialistiche: infatti, superando definitivamente ogni residuo appunto referenzialistico, al l'operatore estetico non interessa più la relazione tra segno e cosa, ma la relazione dei segni tra loro 79 (si pensi ad One and three chairs e ad altre opere di Kosuth). Ma è soprat tutto B. Venet che ha posto in maniera radicale il problema di una costituzione rigorosamente monosemica del linguaggio artistico 80: elimina dall'opera ogni livello connotativo e la riduce alla pura denotazione, costituita da alcune informa zioni scientifiche ed in particolare matematiche, spingendo così la propria ricerca ai limiti del processo di formalizza zione dell'arte. Verso la fine del saggio Menna precisa tuttavia che il progetto assiomatico e formalizzante del Concettualismo ap pare insidiato dal suo stesso interno, o, meglio, dall'interno della teoria logico-matematica che esso ha preso tra i suoi modelli fondamentali 81: ne discende la difficoltà a formaliz zare completamente l'universo dei fatti artistici (senza contare poi il risvolto non sistematico o irrazionale che contrad� distingue alcune tra le ricerche più rigorose della linea ana litica: si pensi alle posizioni di Mondrian o di LeWitt, che rinviano addirittura ad esperienze mistiche vicine alla spi, ritualità estremo-orientale). Quindi Menna da un lato sotto linea l'opportunità di un approccio ai fatti artistici contem poranei con strumenti critici di tipo semiotico, costitutiva- 69
mente omologhi, pertanto, alla struttura delle opere in esame, dall'altro, nonché rilevare i limiti della linea analitica, mette in evidenza l'angustia di una considerazione esclusivamente logico-formale dei fenomeni estetici e rivendica la necessità di un rapporto reciproco tra ragione analitica e ragione dia lettica per una migliore comprensione del reale e delle sue contraddizioni. :e. su quello che Menna definisce il 'versante iconico della linea analitica • che Orsola Ghetti imposta il suo saggio del 1976 82 e precisamente sull'iconismo, fortemente accentuato dalle nuove tecnologie, delle ricerche pittoriche condotte negli anni sessanta dai più rappresentativi artisti pop: Lichtenstein, Warhol, Rosenquist, Wesselmann. L'autrice, che si rifà esplicitamente sia al Trattato di Eco per il concetto di iconismo sia al libro di Menna testé esa minato, sottolinea l'opportunità di una lettura della faccia «iconica» della Pop, proprio perché questa consente di in dividuare i nessi che legano tale corrente a tutta una diret trice di ricerca che attraversa l'arte del Novecento, inseren dola così a buon diritto nella continuità storica per ciò che riguarda la fonnalizzazi.one dell'opera d'arte, il trattamento della superficie pittorica e le relative tecniche, elementi tutti peculiari e non secondari del linguaggio pittorico 83• L'analisi di Orsola Ghetti tocca quindi le principali tappe della ricerca legata ai valori di superficie, che [ ...] si diparte da Seurat 84 per arrivare agli esiti estremi e più vistosi della Pop Art. Mentre Menna nel suo saggio tende a privilegiare l'aspetto analitico come caratteristico e senz'altro prevalente nelle ope re di Seurat, la Ghetti sostiene la costante compresenza della ricerca analitica e di quella sintetica, interessata cioè alla rap presentazione, nel grande pointilliste, che, anzi, a suo pa rere, dopo la seconda metà degli anni ottanta, mostrerebbe proprio di saper raggiungere il più grande equilibrio delle diverse componenti pittoriche. Vengono quindi passati in rassegna i principali esponenti della pittura à plat, da Gau-. guin a Bernard ai Nabis, toccando quindi il sintetismo e il 70 decorativismo dell'Art Nouveau, di cui viene sottolineato il
ruolo di movimento anticipatore, nel campo della figurazione, delle attuali tecniche dell'immagine. Ma l'anello di congiun zione più importante della catena che unisce le ricerche dei grandi movimenti artistici della fine dell'Ottocento e del primo Novecento con le ricerche degli anni sessanta è costi tuito - secondo l'autrice - da una buona parte delle espe rienze fauves-espressionistiche e soprattutto da Matisse, il quale ha sperimentato la via dell'iconismo e dell'unificazione degli spazi fino agli esiti più arditi, giungendo infine alla sintesi di linea, decorazione e colore 85• Nell'esaminare la Pop Art, Orsola Ghetti sottolinea che tener presente il livello metalinguistico dell'operazione Pop e, del pari, quello culturale a vasto raggio, chiarisce i due momenti distinti ma strettamente integrati nell'opera dei p� pists: quello dell'analisi degli interventi pittorici (dei valori cromoluminari, come accadeva in Seurat), corrispondente al momento aniconico, e quello della sintesi formale, corrispon dente al momento iconico, che ha un rapporto diretto con l'imagerie di massa nel suo aspetto generalizzato, anonimo, disindividualizzato 86• La nuova ricerca iconografica, legata alla critica della so cietà di massa e all'analisi del linguaggio commerciale, è-at tuata con mezzi meccanici per un verso da Lichtenstein, che crea la « nuova mimesi», non già della realtà in se stessa, ma della realtà prevalentemente tecnica del linguaggio indu striale, e per altro verso da Warhol, che rivolge l'attenzione soprattutto all'immagine ripetitiva, accompagnata da un'analisi critica delle riproduzioni massificate. La stessa ricerca, ma con modalità ancora diver�e, è attuata da Rosenquist, che, con tecnica di cartellonista ben addestrato, effettua montaggi di differenti immagini in un continuum fra imme diatezza visiva e memoria e infine da Wesselmann, che, con peculiare consapevolezza, porta i dati linguistici del cartel lonismo contemporaneo a saldarsi con la tradizione pittorica delle precedenti avanguardie. :È proprio perché sottolinea la continuità di tale tradizione che, nell'ultima parte del saggio, l'autrice può arrivare a metter in rapporto la sintesi di talune composizioni di Matisse con certi << interni » di Wes- 71
selmann e perfino i nudi di quest'ultimo con i nudi nel bagno di Bonnàrd. 4.. Alcune considerazioni conclusive Nell'esaminare alcuni testi che si occupano di critica dell'iconismo o teorica o applicata, ci siamo fermati, col saggio di Orsola Ghetti, al 1976: infatti da allora la discus sione e le relative elaborazioni non sembrano esser andate più in là e il dibattito appare tuttora aperto. Ciò nonostante occorre trarre, almeno provvisoriamente, alcune conciusioni. Anzitutto ci sembra non sia più possibile prescindere dalle indicazioni emerse dagli interventi del dibattito degli anni settanta e soprattutto dalla disputa Maldonado-Eco. In par ticolare il Trattato di Eco ci sembra costituire un punto di riferimento fondamentale per sgomberare il campo da as sunzioni 'ingenue', come quella per cui le icone sarebbero motivate dal referente o, al contrario, arbitrarie ovvero del tutto convenzionali rispetto al referente e perciò soggette ad articolazione multipla. Inoltre è necessario rinunciare al l'identificazione dei segni con 'unità' segniche governate da correlazioni 'fisse' ed è preferibile ritenere che alcuni dei procedimenti che regolano i cosiddetti segni iconici possano anche circoscrivere altri tipi di segni, mentre vari procedi menti che regolano altri tipi di segni entrano a costituire molti dei cosiddetti segni iconici 87 : da questa considerazione discende, come più sopra si diceva, la sostituzione di una « tipologia dei segni » con una « tipologia dei modi di pro durre funzioni segniche ». E soprattutto occorre passare alla verifica sperimentale dei modi di produzione segnica ap punto, che nel Trattato sono affrontati più teoricamente che praticamente, procedendo ad analisi precise e magari anche puntigliose, ma al tempo stesso molto elastiche, dei testi visivi, nei quali le relazioni contestuali, come si sa, sono complesse, sicché bisogna aver la pazienza di districare la matassa in cui appaiono intrecciate assieme unità pertinenti e v_arianti libere. Per queste verifiche concrete sarà indub72 biamente utile fare riferimento soprattutto, come ha fatto
Menna, all'arte contemporanea, che generalmente appare in tenta ad una critica in atto dell'iconismo; ma anche qui bi sognerà star attenti a non identificare in certe correnti arti stiche attuali delle vere e proprie forme di pratica semiotica dell'arte (si vedano, ad esempio, il concetto di autoanalisi dell'arte sostenuto da Kosuth o le tesi di Catherine Millet sull'arte concettuale come semiotica dell'arte 88). Secondo noi, sono inconfutabili e la linea autoriflessiva dell'arte moderna e l'omologia di alcune opere odierne rispetto agli strumenti critici d'indagine, poggianti su basi semiotiche, ma non per questo è possibile sovrapporre e confondere il piano delle pratiche artistiche aspiranti all'analisi semiologica con quello di una lettura semiotica delle stesse. Indubbiamente l'arte è stata e continuerà ad essere avvantaggiata nel suo cam mino verso un ruolo e perfino una definizione radicalmente nuovi dall'apertura verso le scienze semiotiche e viceversa la semiotica potrà ricevere degli utili apporti dalle ricerche artistiche a sfondo linguistico proprio perché queste si con figurano come testi esemplari per certe verifiche sulla pro duzione segnica; ma sarà fondamentale, per il buon risultato delle ricerche, tanto artistiche quanto semiotiche, che la se miotica non si accontenti di rimanere alla superficie dell'in dagine e si instauri sui ' discorsi ' artistici come momento analitico ben distinto, senza confondersi col proprio oggetto, per dirci come questo funzioni. Queste osservazioni valgono, ovviamente, per il rapporto semiotica-arte contemporanea in generale; ma venendo alla ' linea iconica ' in particolare, noteremo che la semiotica, nel prender in esame i diversi tipi di icone, dovrà tener parti colarmente conto, caso per caso, della materia del signifi cante perché, mentre nelle immagini riprodotte con artifici fotomeccanici o elettronici le immagini possono essere, con discreta semplicità, scomposte in unità combinatorie a livello di qualità fisiche del segnale, i fenomeni pittorici invee� sembrano sfuggire a tale processo analitico 59 (diciamo «sembrano sfuggire», anziché «sfuggono», perché riteniamo che la postulazione di un idioletto estetico, nel senso conferito a questo termine nel Trattato di Eco, consenta di evi- 73
. tare il rischio idealistico della presunta inanalizzabilità e conseguente •ineffabilità' delle opere). Sarà molto impor tante, in tale analisi, una considerazione contestuale dei testi visivi: anche ammesso che nelle immagini si possano indi viduare dei tratti pertinenti, bisognerà verificare se questi funzionino in un contesto diverso (Eco osserva infatti che, anche quando paiono esistere, le figure iconiche non corri spondono ai fenomeni perché non hanno nessun valore oppo sizionale fisso all'interno del sistema. Il loro valore opposi zionale non dipende dal sistema ma al massimo dal con testo 90). E a questo punto l'ottica con cui affrontare le ana
lisi sarà la stessa con cui occorre affrontare i testi estetici, con tutti i problemi connessi: la ricerca della pertinentizza zione del continuum espressivo e quella, più generale, del l'idioletto dell'opera. Una volta di più perciò i nodi proble matici della comunicazione iconica coincidono con quelli più generali della produzione segnica, sicché la soluzione teorica e la verifica sperimentale degli uni e degli altri appaiono ormai chiaramente inseparabili.
1 U. Eco, Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975,
p. 283.
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2 P. RAFFA, Semiologia delle arti visive, Bologna, Pàtron, 1976, p. 8. 3 C. M0RRIS, Segni linguaggio e comportamento, Milano, Longanesi, 19773, p. 186. 4 C. S. PE!RCE, Collected Papers, Cambridge, Harvard Un. Press, 19311935, 2.276, p. 157. 5 U. Eco, La struttura assente, Milano, Bompiani, 1968, pp. 109-121. 6 U. Eco, Chi ha paura del cannocchiale?, « Op. cit. », n. 32, 1975, pp. 5-32. 7 T. M,u.ooNADO, Appunti sull'iconicità, in Avanguardia e ra-zionalità, Torino, Einaudi, 1974, pp. 254-297. 8 T. MALDONADO, Op. cit., p. 294. 9 Ibidem, p. 297. 10 Ibidem, p. 275. Il Ibidem, pp. 259-260.. 12. Ibidem, p. 262. u Ibidem, p. 265 (la prima definizione è ricavata da A. PAP, Analyti sche Erkenntnisstheorie, Wien, Springer, 1955, p. 2, la seconda da C. I. LEWIS, An Analysis of Knowledge and Valuation, La Salle (lll.), Open Court Publishing, 1962, p. 36). 14 T. MALDONAOO, Op. cit., p. 265. 1s Ibidem, p. 267. 16 "Per configurazione sinottica si intende un sistema i cui elementi si comportano costitutivamente e non sommativamente, ossia: un si-
sterna i cui elementi appaiono in un rapporto reciproco di totale dipendenza formale, strutturale e funzionale. In poche parole, una con figurazione con un alto grado di compattezza sistematica• (T. MAr.oo NADO, Op. cii., p. 266). 17 « A tale categoria appartengono tutti i sistemi iconici che raf figurano oggetti o eventi tramite dei mezzi tecnici di registrazione_ ci netica (film, televisione, ecc.). In questo tipo di organizzazione, contra riamente a quanto accade in quella precedentemente esaminata, non solo c'è articolazione, ma questa si svolge nella temporalità, cioè li nearmente e successivamente• (Ibidem, p. 268). 18 « Si tratta di quelle [configurazioni iconiche] - ormai note da millenni - che tentano di raffigurare oggetti o eventi animati con l'aiuto di mezzi inanimati i quali, grazie ad uno stratagemma sintat tico, riescono a simulare i mezzi tecnici cinematici• (Ibidem, p. 269). 19 Ibidem, p. 271. 20 Ibidem, p. 273. 21 Ibidem, p. 273. 22 Ibidem, p. 274. 2J Ibidem, p. 277. 24 Ibidem, p. 277. 2S Ibidem, p. 286. 26 Ibidem, p. 287. 21 Ibidem, p. 288. 28 Ibidem, p. 288. 29 Ibidem, p. 288. .lO Ibidem, p. 293. 31 Ibidem, p. 294. 32 Ibidem, p. 294, nota 5. 33 Ibidem, p. 295. 34 Ibidem, p. 296. 35 U. Eco, Chi ha paura del cannocchiale?, cit., p. 7. 36 Ibidem, p. 6. 37 Ibidem, p. 7. 38 Ibidem, p. 10. 39 Ibidem, p. 11. 40 Validi esempi della convenzionalità delle rappresentazioni ico niche, legate a diversi contesti culturali, sono quelli - riportati anche da Eco, sia ne lA struttura assente, cit., che nel Trattato, cit. - indi cati da Ernst Gombrich nel suo celebre testo Art and lllusion (tr. it., Arte e illusione, Torino, Einaudi, 1965): la reazione suscitata dalla prima apparizione dei quadri di Constable, il • leone dal vero• di Villard de Honnecourt, il rinoceronte di Diirer, la Cattedrale di Char tres quale appare in una litografia ottocentesca, ecc. 41 Ibidem, p. 19. 42 Ibidem, p. 20. 43 Ibidem, p. 21. 44 Ibidem, p. 24. 45 Ibidem, p. 24. 46 Ibidem, p. 24. 47 Ibidem, p. 25. 48 Ibidem, p. 31. ◄9 C. MErz, Le cinéma: langue ou_ langage?, • Communications », 4, 1964. so P. P. PASOLINI, lA lingua scritta dell'azione, « Nuovi Argomenti•• ?S 2, 1966.
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51 Ci riferiamo in particolare all'evoluzione delle posizioni di Bet tetini e dello stesso Metz e alle interessanti critiche di Garroni. Di G. BETTITTINI si vedano: Cinema, lingua e scrittura, Milano, Bom piani, 1968; L'indice del realismo, Milano, Bompiani, 1971; Produzione del senso e messa in scena, Milano, Bompiani, 1975; di C. Mrrrz, Essais sur la signification au cinéma, Paris, Klincksicck, 1968, tome I (tr. it., Semiologia del cinema, Milano, Garzanti, 1972); tome II, 1972 (tr. it., La significazione nel cinema, Milano, Bompiani, 1975); Langage et ci néma, Paris, Larousse, 1971 (tr. it., Linguaggio e cinema, Milano, Bom piani, 1977); di E. GARRONI, Semiotica ed estetica, Bari, Laterza, 1968; Progetto di semiotica, Bari, Laterza, 1972. 52 U. Eco, Tra/lato, cit., 1975, p. 279. 53 Ibidem, p. 283. S4 Ibidem, p. 282. ss Ibidem, p. 282. 56 U. VOLLI, Analisi semiotica della comunicazione iconica, «Ikon », 95, 1975, pp. 39-72; il precedente intervento di Volli sull'iconismo è Some possible developments of the co11cept o/ iconism, «VS•, 3, 1972, . pp. 14-30. 57 U. VOLLI, Op. cii., 19i5, p. 47. ss Ibidem, p. 47. 59 Ibidem, p. 47. 60 Ibidem, p. 71. 61 Alla semiotica di Peirce, ad esempio, è dedicato il numero 15 del 1976 di «Versus•, con interventi di Bonfantini e Grazia, di Sini, di Caprettini e di Eco; sullo stesso argomento, tra gli altri, segnaliamo: D. GREENLEE, Peirce's Concept of Sign, The Hague. Mouton, 1973 e il più generale testo di C. SINI, Semiotica e filosofia, Bologna, Il Mu lino, 1978. 62 E. CRl:STI, Oppositions ico11iques dans une image de bande des sinée réproduite par Licltlenstein, «VS», 2, 1972, pp. 41-62. 63 Cfr. la rassegna, curata da chi scrive, Problemi di semiotica dell'arte contemporanea, «Op. cit. », 30, 1974, pp. 25-26. 61 C. MALTESE, Semiologia del messaggio oggettuale, Milano, Mursia, 1970 (cap. XII, pp. 155-168). 65 C. MALTESE, Per una semiologia dell'iconismo, «Qui arte contemporanea», 10, 1973, pp. 10-15. 66 C. MALTESE, Op. cii., 1970, p. 166. 67 C. MALTESE, Op. cit., 1973, p. 11. 68 Precisa giustamente l'autore che la caratteristica essenziale del l'iperrealismo «è - tendenzialmente - l'impersonalità meccanica e astratta del segno. Del segno - si badi - non delle forme nel loro risultato globale, cui per forza non può mancare l'angolo visuale par ticolare dei singoli autori• (Op. cit., 1973, p. 13). � C. MALTESE, Op. cii., 1973, p. 12. 10 Ibidem, p. 13. 11 Ci riferiamo in particolare ai seguenti scritti: Per una linea ana- · litica dell'arte moderna, presentazione alla mostra La riflessione sulla pittura, VII Rassegna internazionale d'arte, Acireale, settembre-ottobre 1973; De Stijl e la linea analitica dell'arte moderna, «Ulisse», anno XXVI, voi. XII, fase. LXXVI, 1973, pp. 43-49; Quella domenica, alla Grande latte, «Qui arte contemporanea•, 13, 1974, pp. 25-32. n F. MENNA, Op. cii., 1975, p. 8 sgg. 73 L. ALTHUSSER, Per Marx, tr. it., Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 15 sgg. 74 F. MENNA, Op. cit., p. 8.
75 F. MENNA, Op. cit., 1975, p. 10. 76 Ibidem, p. 10 e passim. n F. MENNA, Op. cit., 1975, p. 16. 78 F. MENNA, Op. cit., 1975, p. 24. 79 F. MENNA, Op. cit., 1975, p. 91. so Ibidem, p. 92. 81 F. MENNA, Op. cit., 1975. p. 104. 82 O. GHETTI, La linea iconica da Seurat alla Pop Art, in R. BA· RILLI (a cura di), Estetica e società tecnologica, Bologna, Il Mulino,
1976, pp. 209-225. 83 M 85 86 87 88
O. GHETTI, Op. cit., p. 210. Ibidem, p. 210.
Ibidem, p. 217. Ibidem, p. 218. U. Eco, Trattato, cit., p. 283. C. MILLET, L'art conceptuel camme sémiotique de l'art, « VH 101 »,
3, 1970.
89 Per questi concetti si veda U. Eco, Trattato, cit., specialmente
pp. 332-335.
90 U. Eco, Trattato, cit., p. 281.
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