Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
Direttore: Renato De Fusco Segretaria di redazione: Maria Laura Astarita Redazione: 80123 Napoli, Via Vincenzo Padula, 2 - Tel. 7690783 Amministrazione: 80122 Napoli, Via Francesco Giordani, 32 •· Tel. 684211
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Edizioni e Il centro • di Arturo Carola
M. L.
ScALVINI
C. LENZA e R. DE Fusco
A. CASCAVILU, A. D'AVOSSA, R. DB ROSA
e A. TRIMARCO
Architettura: la
«
rimozione del nuovo>
Ipotesi per il segno iconico
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Storia dell'arte, storia delle cose
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Libri, riviste e mostre
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Pasquale Bel.fiore, Urbano Cardarelli, Gian Carlo Ferulano, Stefano Masi, Maria Luisa Scal vini, Angela Tecce.
Architettura: La «rimozione del nuovo» MARIA LUISA SCALVINI
Negli ultimi tempi, il dibattito sull'architettura contem ,oranea è andato spostando il proprio accento dall'analisi lelle tendenze in atto, ad una riflessione critica sulle posi :ioni teoriche che a queste stesse tendenze sono sottese. 3eninteso, non che tale componente in precedenza mancasse; ,iuttosto, essa risultava per lo più implicita in articoli e ·assegne I che solo in alcuni casi andavano al di là di una :sposizione dello state of the art. Di recente, invece, la dimensione teorica è andata assu nendo un peso ed un'autorità crescenti nell'ambito della ·iflessione sulla « post-modero architecture » 2, confermando :on ciò il più rapido ritmo con cui prendiamo oggi le di ;tanze dal nostro ieri; così che se gli anni sessanta possono tbbastanza a buon diritto dirsi caratterizzati da un inedito aglio storiografico sulla « tradizione del nuovo », il decennio :he va ora concludendosi può dirsi già dominato da una ,recisa esigenza di analisi e di riflessione critica sul presente, •issuto non più tanto come condizione in cui si è immersi, 1ensì come condizione-oggetto di analisi. Che il movimento moderno appaia, pressoché senza ec� :èzioni, come un'esperienza che sta orinai alle nostre spalle ,er motivi che vanno al di là delle date, risulta étà molti egni evidente; almeno nella stessa misura, però·, in· cui : evidente la constatazione che, come vedremo, sembra im1ossibile rinunciare a fame tuttora un punto più o meno 5
esplicito di riferimento cui ancorare - e sia pure per dia lettica contrapposizione - le tendenze attuali e l'analisi por tata su di esse. In questo senso, il ricorrere del prefisso «post-» (che con poche eccezioni ha sostituito il «neo-», così carico per un verso di connotazioni eclettiche ottocen tesche, e per l'altro di più recenti implicazioni, connesse an che alla non dimenticata polemica sulla «Italian retreat from modem movement») è assai significativo, ben al di là di una mera denotazione del 'dopo '. Così che, non diversamente dalle molte altre analoghe, l'espressione «After Modem Ar chitecture» con cui «Arquitecturas bis » 3 intitola il proprio recente n. 22 (maggio 1978), dedicato a presentare il dibat tito svoltosi a New York nel febbraio del '77 4, riflette una complessità semantica che investe assieme i fatti e le valu tazioni, le tendenze emergenti e quelli che potremmo defi nire, insieme, il feeling e l'idea di ciò che continuiamo a chiamare architettura contemporanea. Ci si può chiedere, anzitutto, il perché di questo ricor rente definirsi 'rispetto a•. Un motivo fondamentale sembra essere quello per cui, nonostante che la storiografia recente della tradizione del nuovo abbia mostrato le pluralità e le divergenze sotto l'apparente unitarietà, le crepe e i distacchi che - a guardare da vicino - segnano la bianca superficie di immateriali intonaci del movimento moderno, tuttavia sovente si continua ancora a riferirsi ad esso come ad una esperienza e ad una vicenda culturale sostanzialmente uni tarie ed omogenee 5• Così che di fronte alla ben più flagrante evidenza delle attuali contrapposizioni e dicotomie - esclu sivismo/inclusivismo; «gray »f«white »; storia/utopia; «neo realismo »f «neo-razionalismo»; «neo-funzionalismo»/«post funzionalismo » e così via - e alla difficoltà di ricondurle tutte ad un'unica sigla, ad una unitaria 'cifra' di contempo raneità, il ricorso ad una espressione come «post-modem architecture» 6 sembra tutto sommato a molti come la più praticabile delle sorties de secours. Non intendiamo qui, però, riprendere il discorso da più parti già avviato, nel senso di un panorama critico sulle ten6 denze dell'architettura contemporanea. Piuttosto, cogliendo
lo spunto offertoci da « Arquitecturas bis» che ne ripropone i testi, vorremmo ricollegarci ad un nucleo teorico di discus sione, i cui termini contrapposti furono enunciati qualche tempo fa rispettivamente da Mario Gandelsonas e da Peter Eisenman, negli editoriali intitolati Neo-Functionalism e Post Functionalism della rivista « Oppositions» 7• Ci sembra in fatti che essi si prestino sia a rimettere in discussione il problema del rapporto fra l'architettura contemporanea e il passato in un'ottica più ampia, svincolata dal taglio già precostituito implicito nel termine « post-modern »; sia, ciò che per noi più conta, a continuare un discorso sui rapporti fra approccio semiotico e settori disciplinari diversi - nel nostro caso, com'è evidente, l'architettura - cui questa ri vista ha costantemente contribuito, e che recenti lavori di revisione critica hanno riproposto all'attenzione dei più o meno ' addetti ai lavori '. « Neo-razionalismo » e « neo-realismo » costituiscono, per Gandelsonas, le due fondamentali tendenze antagonistiche, identificabili intorno alla metà degli anni sessanta fra Europa e Stati Uniti 8; la prima centrata sull'idea di un'autonomia disciplinare di valore metastorico, su di un'architettura il cui linguaggio « parla di se stesso e non comunica altre idee se non quelle che gli sono proprie» 9;_ la seconda, il « neo realismo», tesa a 'risucchiare ' dalla realtà contemporanea tutti i fenomeni sociologici e mass-mediologici più caratte rizzanti, pronta a « imparare da Las Vegas» e impegnata a sostituire lo « ugly and ordinary» al posto dello « heroic and originai», il « decorated shed» al posto del « duck » 10• Come si vede, non è difficile ricondurre queste due ten denze contrapposte, rispettivamente alle nozioni di esclusi vismo e di inclusivismo, nonché, con ulteriori ' aggiusta menti' teorici, alla dicotomia « white »/« gray». Ma mentre la maggior parte dei critici - e degli esponenti di entrambe le tendenze - punta a porre in risaltò le specificità dell'una rispetto all'altra (oltre che nei confronti del movimento mo derno) 11, quello che invece sta a cuore a Gandelsonas è di sottolineare l'aspetto che, malgré elles, le accomuna: l'im postazione « antifunzionalista», riconducibile ad « una vi- 7
sione manichea, oggi· molto diffusa, secondo cui il funzio nalismo sarebbe un'ideologia negativa e regressiva·», a di spetto della quale, peraltro, entrambe le tendenze hanno sviluppato, o vanno sviluppando, «frammenti» isolati della teoria funzionalista stessa. Ciò si ricollega a quella valenza, del funzionalismo, che più andrebbe oggi, a parere di Gandelsonas, ripresa e svi luppata con strumenti culturali aggiornati: precisamente la valenza semantica che - attraverso la sequenza logica «form follows function», interpretabile nel senso che « la fun zione è uno dei significati che la forma può articolare » permetterebbe di 'recuperare', ad un neo-funzionalismo a farsi, proprio la dimensione del significato dell'architettura, oggi affrontabile con armi teoriche ben più affilate di quelle disponibili nel periodo razionalista, allorché tale dimensione semantica della funzione, pur presente, non giunse ad essere adeguatamente esplicitata. In verità, Gandelsonas sembra utilizzare «simbolo» e « significato» come termini fungibili, in pratica coincidenti, il che naturalmente non può che suscitare perplessità e ri serve 12• La sua proposta è comunque di riconnettere, attra verso lo strumentario teorico contemporaneo, le tendenze emergenti alla fine degli anni sessanta, ossia il neo-raziona lismo ed il neo-realismo, con quelle degli anni venti. Obiet tivo fondamentale di questo «neo-funzionalismo» - che avrebbe il merito di qualificarsi come un'ideologia progres sista e non regressiva, in quanto consentirebbe di superare dialetticamente la natura idealistica del funzionalismo ' ar caico' - sarebbe « la introduzione del problema del signifi cato, in maniera sistematica e consapevole, nel processo pro gettuale ». Non si può non scorgere, in questa presa di posizione, un filo sia pure fragile - ma chiaramente leggibile nella com plessa trama dell'architettura degli ultimi cinquant'anni cir ca - che intesse un difficile discorso di 'continuità', in certo senso rivendicando al movimento moderno, al di là di ogni riserva che possa pesare sul giudizio storico, un preciso va8 lore, allora, « progressista» 13• Del resto, la « opposition» ri-
petto al terreno teorico dal quale muove invece Eisenman resa trasparente dalla stessa scelta dei prefissi al termine Functionalism »: «neo-», per Gandelsonas; «post-» per il �orico della «cardboard architecture» 14: ovvero continuità ersus frattura. Solo che la posizione di Eisenman non è ffatto accomunabile a quelle degli esegeti della «post-modem rchitecture», dai quali anzi prende abbastanza risolutamente ! distanze 15• Ancora una volta, si parte con Eisenman dalla messa a affronto di due tendenze antitetiche: il «ritorno dell'archi ettura a se stessa come disciplina autonoma, o pura», ri •roposto dalla Mostra dell'Architettura Razionale alla Trien1ale del '73; il «ritorno al passato», e al peculiare rapporto unzione-forma che governava l'eclettismo storicistico, pro lamato dalla Mostra newyorkese del '75 sull'Ecole des Beaux .rts 16. Antitetiche, e reciprocamente escludentisi; perciò tanto ,iù sorprendentemente accomunate, secondo Eisenman, dal atto di collocare entrambe la propria 'idea di architettura ' ll'interno della polarità funzione-forma (se pure, evidente riente, con diverse oscillazioni e distanze dall'uno e dall'al ro estremo), e quindi dal « confermare con ciò un atteggia riento, nei confronti dell'architettura, che non differisce se 10n in maniera irrilevante dalla tradizione, vecchia ormai li cinque secoli, dell'umanesimo ». Per un lungo periodo infatti, e ancora nell'ambito della ocietà e della cultura pre-industriali, le oscillazioni tra i lue poli non rompono quello che può sostanzialmente defi1irsi un equilibrio, sia pure alternante tra il privilegiare i ,roblemi dell'un termine - la funzione - o dell'altro, la orma 17• Ma la inedita tematica progettuale e la ben mag iore complessità funzionale delle tipologie derivanti dalla ivoluzione industriale spostano definitivamente il precedente quilibrio; e questo « shift in balance » ha fatto sì che «negli 1ltimi cinquant'anni, gli architetti abbiano guardato alla ,rogettazione come al prodotto di una ipersemplificata for riula del tipo ' form-follows-function ' », e ciò anche quando; ome in anni relativamente recenti, le circostanze avrebbero 9
legittimato un atteggiamento diverso dall'Engllsh Revisio nist Functionalism dei Banham, Price o Archigram. Positivismo etico e neutralità estetica cioè, né più e né meno come nelle polemiche pre-belliche, caratterizzano se condo Eisenman questo atteggiamento «neo-funzionalista», con il perpetuarsi della sostituzione di criteri «morali» a criteri più specificamente «formali»; il che non ha senso, egli osserva, giacché «nell'esperienza contemporanea, quell'im perativo morale che costituiva la fondamentale giustificazio ne per le soluzioni formali, non vige più ». Tutto ciò rende la cultura architettonica contemporanea 'in ritardo' rispetto ad altri campi; l'ostinato ancoraggio ai principi del funzionalismo non le permette di svincolarsi dalla sfera culturale dell'umanesimo e di adeguarsi a quel «diverso atteggiamento mentale nei confronti degli artefatti del mondo fisico» che è tipico di ciò che Eisenman chiama « modern sensibility » 18; questa si è già da tempo espressa, ad esempio, nella musica atonale e dodecafonica, nella pit tura astratta, nella ' atemporalità ' di certa narrativa, e così via, mentre sarebbe ancora· lungi dal manifestarsi in campo architettonico 19. Al «neo-funzionalismo» preconizzato da Gandelsonas, Ei senman contrappone dunque un «post-funzionalismo » nel quale la polarità funzione-forma non viene più considerata come elemento essenziale ed ineliminabile di ogni teoria ar chitettonica, ma al contrario è collocata nella prospettiva della sua stagione storica � la cultura dell'umanesimo in senso lato - e vista quindi come un dato relativo e non assoluto, culturale e non universale. In questa prospettiva, all'oscillazione forma-funzione si sostituisce « una relazione dialettica interna all'evoluzione della forma stessa», in cui giuocano - ma contrapponendosi e non ' convergendo ' due distinte tendenze. In effetti, queste sono poi due inter pretazioni, per così dire, della forma stessa: la prima tuttora ancorata ad una concezione tradizionale della forma archi tettonica, intesa come frutto di « una riconoscibile trasfor mazione operata a partire da una geometria preesistente o da un solido platonico»; la seconda in cui « la forma è con10
cepita come una serie di frammenti, - segni privi di rela zione con un determinato significato. e, ciò che più conta, privi di referenza ». Prese assieme, queste due tendenze for mano l'essenza della dialettica che sta alla base della «mo dern sensibility», rispetto alla quale, tuttavia, l'espressione «post-funzionalismo » si definisce solo come «un termine di assenza» 20• Non vi è dubbio che questo dibattito riproponga, mutati alcuni termini, sia il problema del rapporto fra l'architettura di oggi e la tradizione del nuovo, sia quello del rapporto fra l'architettura del movimento moderno, e la tradizione 'classica '. Se infatti, con qualche semplificazione, si può dire che Gandelsonas miri ad ' annettere ' il movimento moderno alla problematica attuale e flagrante dell'architettura, pro ponendo recuperi e sviluppi che, pur non nascondendo cri tiche e riserve, si collocano però in una prospettiva di so stanziale continuità, non sembra dubbio che invece Eisen man tenda ad ' annettere ' il movimento moderno alla ar chitettura di una stagione culturale, di una episteme, che nascerebbe con l'umanesimo per protrarsi in architettura - con una maggiore ' inerzia • rispetto ad altri settori della cultura - fino appunto a tutto il movimento moderno in cluso, in pratica fino ai nostri giorni. Ora, che il linguaggio formale del movimento moderno sia stato ampiamente influenzato dalle esperienze anticipa trici o parallele di varie avanguardie fra cui certamente quelle figurative, è cosa messa in risalto da interi capitoli di ' storie ' tra le più diversamente angolate; ma in ogni caso, non è questo il punto di vista dal quale si vuole discutere la que stione sollevata dal dibattito su « Oppositions ». Più in gene rale, non è dal punto di vista della storiografia, che si vuole analizzare la polarità funzione-forma, bensì da un'angolazione teorica, nel nostro caso con una ipotesi di lettura semiotica delle due posizioni sopra ampiamente citate. Proviamo. Fatte salve tutte le possibili osservazioni sull'uso appa rentemente 'intercambiabile ' che Gandelsonas fa dei ter mini «simbolo» e «significato» (uso che del resto sembra 11
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rientrare nella ' disinvolta ' utilizzazione della terminologia semiotica che molti autori praticano e che altrettanti critici censurano 21 ), resta tuttavia indubbio che, nella sua prospet tiva, alla coppia «funzione-forma » corrisponderebbe la cop pia «significato-significante», ovvero «piano del. contenuto piano dell'espressione». Com'è ampiamente noto, con diverse formulazioni - quali più semplici, quali più complesse - l'idea che il « signifi cato » dell'architettura corrisponda alla « funzione » è ricor rente in molte interpretazioni dell'architettura in chiave semiotica, a partire dalla linea Morris-Koenig, e gli studiosi che· hanno lavorato attorno a questa ipotesi non me ne vorranno per averla riassunta in maniera così brutale e sche matica: mi interessa qui, infatti, operare per grandi con trapposizioni. Se ci si muove lungo la linea che per brevità chiameremo della « funzione come significato » - linea che, ripeto, ha visto formulazioni teoriche anche molto sofisticate - non si può che pervenire ad individuare nella funzione stessa .;._ in quanto corrispondente alla dimensione di significazione dell'architettura - un ' universale ' appunto architettonico, un dato invariante, di valore assoluto e non relativo, meta storico e non culturale; e ciò, beninteso, indipendentemente dallo storico variare delle sue definizioni ed interpretazioni, e dal suo 'incarnarsi' in valori diversi nell'ambito di culture diverse. Viceversa, nella prospettiva di Eisenman le cose cambiano radicalmente. Nel senso che 'fino ad un certo momento', la funzione avrebbe avuto un suo ruolo come' antipolo' della forma, mentre deve cessare di averlo se si vuole uscire dalla sfera culturale architettonica dominata dal pensiero e dai concetti dell'umanesimo, ed entrare nella nuova episteme che corrisponde alla « modem sensibility ». Ciò, naturalmente, comporta che la funzione non possa corrispondere ad uno dei due piani fondamentali che arti colano l'architettura in una interpretazione semiotica, visto che il suo ruolo è postulato come transeunte in una prospettiva storica allargata, mentre sembra evidente che i piani
fondamentali debbano corrispondere ad invarianti specifiche del sistema semiotico considerato. Saremmo dunque nella linea di una diversa interpretazione del « significato » dell'ar chitettura,. ad esempio in quella che fa corrispondere alla coppia « significato-significante» l'altra « interno-esterno» (an che qui, chiedo scusa della drastica semplificazione operata). Personalmente, nell'ambito di questo secondo orientamento ho appunto ritenuto che la funzione non corrispondesse ad uno dei piani semiotici fondamentali, ma che. andasse piuttosto riguardata come un 'obiettivo' del sistema stesso conside rato al suo livello più elementare e basic; e ciò in analogia a quanto si verifica per le lingue naturali, in cui la comu nicazione ·p1.,1ò appunto, ci sembra, essere considerata come un 'obiettivo ' di tipo· elementare. D'altra parte, tutti. i si stemi semiotici ammettono livelli più complessi, per così dire di ordine ' secondo '; in questa ottica suggerivo anni or sono il ricorso alla nozione hjelmsleviana di semiotica con notativa (ossia di una semiotica il cui piano dell'espressione è a sua volta una semiotica), proponendo per il sistema ar chitettonico una analogia con quello letterario, non con quello delle lingue naturali. Nella mia ipotesi 22, vi era quindi un livello di base, èostituito da un piano dell'espressione e da un piano· del contenuto (entrambi strettamente caratteriz zanti la specificità del medium architettonico, e quindi so-· stanzialmente riconducibili alla dialettica esterno-interno--, o se si vuole involucro-invaso - nella linea che per brevità chia-· merò Saussure-De Fusco); tale livello. di base; corrispon dente alla lingua naturale, trovava però il proprio correlato in un 'livello secondo', corrispondente ad un uso « conno tativo» del sistema di base-e anch'esso strutturato secondo un piano dell'espressione (che era appunto formato dalla semio tica corrispondente al primo livello, ossia da un piano del contenuto interagente con un piano dell'espressione) e da un piano del contenuto « connotativo». Qual è dunque la possibile 'lettura ' semiotica della posi zione di Eisenman, da raffrontare a quella delineata inter pretando· il discorso di Gandelsonas? Se ci riferiamo a quanto sop,r� riportato a proposito della dialettica compresenza, 13 0
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asserita da Eisenman, di due tendenze «non-corroborating » all'interno dell'evoluzione della forma, troviamo naturalmente una conferma del concentrarsi dell'attenzione di Eisenman su quest'ultima. Ma sarebbe errato derivarne, in termini semiotici, un corrispondente privilegiamento tout court del piano dell'espressione su quello del contenuto. In realtà, come ci è parso anche di poter suggerire altrove 23, Eisenman con la sua ricerca sulle deep structures non è affatto 'disin teressato ' al problema del contenuto del livello secondo, ossia della significazione connotativa dell'architettura, anche se sembra tendere a metterlo per così dire 'tra parentesi '. Quanto al piano del contenuto del primo livello, e al cor rispondente piano dell'espressione, direi che proprio la com presenza delle due tendenze di cui egli parla ne suggerisca una interpretazione semiotica convincente. In effetti, par tendo dalla nozione di semiotica connotativa, e fermandoci però ad analizzare la semiotica del primo livello, corrispon dente alla specificità del medium architettonico, e costituente quello che poi funzionerà come piano dell'espressione del secondo livello, nella dialettica tensione generata dalla com presenza delle due tendenze «non-corroborating ,. possiamo ritrovare proprio la dinamica 'interna ' all'evoluzione della forma. (Ed è forse il caso, qui, di richiamare anche il valore ' astratto ' che il termine «form» ha in contrapposizione all'altro, pur esso reso in italiano come «forma», di «sha pe» ). Nell'ambito del primo livello, quindi, al piano dell'espres sione corrisponderebbe la prima tendenza, in cui «fonn is usually understood through a series of registrations designed to recali a more simple geometrie condition»; mentre al pia no del contenuto corrisponderebbe la seconda, in cui la for ma architettonica è vista «in an atemporal, decompositional mode, as something simplified from some pre-existent set of non-specific spatial entities ». Come si vede, l'interpreta zione semiotica che qui si è 'costruita' sul discorso di Ei senman si ricollega al valore «convenzionale», ribadito da molti autori e in particolare dallo stesso Hjelmslev, che i termini « espressione » e «contenuto » assumono nell'approccio semiotico, e per entrambi i piani postula corrisponde.nze
strettamente attinenti alla specificità del medium architet tonico. Ma ribadito ciò, resta comunque messo in parentesi, o se si vuole ' sospeso ', il problema del piano del contenuto del secondo livello, che è poi quello che più ci interessa. In vestendo il tema della significazione in senso lato, questo punto ripropone non poche questioni: qui ci limiteremo, come si vedrà, a sollevarne solo alcune. La tesi sin qui esposta, ossia l'interpretazione in chiave semiotica della polemica Gandelsonas-Eisenman, si fonda sull'ipotesi che un tale approccio all'architettura sia legit timo; che sia anche, in qualche misura almeno, utile, starà alle conclusioni di questo scritto mostrarlo. Ma a questo punto, è proprio sulla legittimità dell'approccio semiotico che dobbiamo ritornare, in quanto a richiederlo è lo stesso 'nodo' problematico costituito dal problema della signifi cazione. Nel recente saggio Ricognizione della semiotica 24, Emilio Garroni ha operato una critica rigorosa e approfondita di vari problemi, ed anche di posizioni da lui stesso preceden-. temente espresse 25• In maniera molto sintetica, e quindi con inevitabile imprecisione, mi sembra di poter dire che, lad dove il grosso sforzo operato in Progetto di semiotica mirava, fra l'altro, ad un 'allargamento ' della definizione hjelmsle viana di semiotica (in ispecie attraverso il fatto di postulare la biplanarità non conforme come condizione sufficiente ma non necessaria per lo status semiotico}, viceversa nel saggio più recente, che muove dalla contrapposizione descrittivi tà/esplicatività 16, si rileva una precisa tendenza a 'restrin gere ' per così dire il campo semiotico, ad 'espellerne • set tori e discipline che, ad una più attenta, appunto, ricogni zione, risultano a parere di Garroni non riconducibili allo status semiotico. Il criterio proposto per operare questo 'restringimento del campo' è quello della «riformulazione», grazie al quale è possibile « una delimitazione accettabile dei fenomeni lin guistici e paralinguistici (cioè linguistici in senso ampio o semiotici in senso restrittivo)» 27; criterio che certamente 15
non .risolve tutte le difficoltà, soprattutto per le situazioni 'intermedie ', ma che è tale da far sì «che in certi casi la riformulazione venga avvertita, non nece_ssariamente da tutti, come sufficiente e in altri casi come insufficiente (rispettiva mente, per esempio, nel caso della riformulazione di un di vieto di svolta a destra o della Pietà di Michelangelo)» :ia. La proposta di Garroni, come si vede, diverge da altre 29, cen trate - anziché sul criterio della riformulazione - sul con cetto di un 'campo ', la semiologia della significazione, in globante q!Jello più ristretto della semiologia della comuni cazione, quest'ultima comprendente, a sua volta, i linguaggi naturali come un sub-insieme specifico, caratterizzato dalla doppia articolazione. Nell'ambito del disegno teorico di Garroni, particolare ri lievo acquista l'analisi dei cosiddetti·« codici», termine del quale egli non manca di rilevare l'uso estensivo e quindi im proprio 30• È infatti legata al criterio di riformulazione la proposta di distinguere tre situazioni diverse, le prime due proprie «del comportamento linguistico (non convenzionale) e di quei comportamenti (convenzionali) che possono essergli assimilati», la terza invece nella quale non è di codice che si può parlare, ma piuttosto di «sistema» nel senso ribadito da Eco, ossia di un insieme di elementi legati tra loro da determinate regole. «In conclusione: parleremo, nel caso del linguaggio vero e proprio, di codici sui generis, in quanto essi non si fondano su una convenzione e non possono essere spiegati ad esempio in funzione di una tavola referenzialistica di corrispondenze; di codici veri e propri, nel caso dei lin guaggi artificiali, riportabili ad una convenzione; e, negli altri casi, di pseudocodici» 31• Naturalmente, al campo architettonico - che in base al criterio di riformulazione 'resta fuori ' dell'ambito semiotico inteso in senso ristretto - risulterebbe applicabile la no zione di pseudocodice o di sistema, non quella di codice. «Questo è un fatto che la semiologia artistica - o quell'in sieme di tentativi e ricerche che vanno sotto questo nome non può permettersi di eludere, facendo finta che esistano 16 'codici architettonici ' allo stesso titolo dei codici linguistici.
In realtà, non esistono. Esistono soltanto sistemi fattuali che condizionano storicamente l'operare architettonico, esplicita bili solo empiricamente in schemi o norme, e che per se stessi possono sempre essere violati e trasformati anche ra dicalmente ... » 32_ Saremmo quindi in presenza di un sistema - appunto quello architettonico - per il quale risulta impossibile (e sia pure con tutte le cautele implicite nella nozione di codice come stile epocale 33) parlare di codice nel senso di una ri spondenza fra elementi appartenenti rispettivamente - ci si passi, ancora una volta, la semplificazione - al piano del contenuto e a quello dell'espressione, o se si vuole a quello del significato e a quello del significante. Ma, a parte che lo stesso Garroni riconosce come tale situazione sia riscontra bile solo nei linguaggi artificiali, francamente mi pare che rispondenze di questo tipo, intese cioè come biunivoche cor relazioni termine a termine, non siano mai state postulate nell'ambito di una semiotica architettonica non centrata sul l'equivalenza funzione-significato; tanto meno poi da chi ha inteso invece l'approccio semiotico al campo disciplinare del l'architettura come un quadro teorico di riferimento mutua bile dall'analisi semiologica e strutturale della letteratura, non della linguistica strutturale. Al contrario, mi è occorso più volte di ribadire come l'articolazione dei due piani fon damentali fosse ' disomogenea ', nel senso che i valori di significazione, coordinabili alle strutture formali che era pos sibile riconoscere, erano 'organizzati ' secondo unità, cer niere, ecc. non corrispondenti alle unità, cerniere ecc. del l'altro piano: né più e né meno come si verifica per la strut tura di un romanzo, in cui piano dell'espressione e piano del contenuto sono 'organizzati' secondo articolazioni che non si corrispondono affatto termine a termine. È probabile, peraltro, che su questo punto la mia posi zione sia più vicina di quanto non appaia a prima vista, a quella che Garroni esplicita in maniera rigorosa allorché parla di « semiotizzazione » degli strumenti e delle opera zioni, soprattutto con riferimento alla dimensione metaope rativa: l'intervento di quest'ultima corrisponde al 'prendere 17
le distanze' dagli scopi, e il suo divenire dominante, a quella 'assenza di �copi ' che caratterizza ciò che siamo soliti chiamare arte. Allorché infatti la componente metaoperativa diviene dominante (com'è nel caso dei 'linguaggi artistici'), « l'opera sempre più ribadisce la sua correlazione con la sfera dei significati, cioè sempre più si carica di valenze simbo liche, anche nel senso che su di essa possono essere almeno in parte proiettati significati multipli, non necessariamente coerenti tra loro ... », e diviene allora possibile parlare di « quasi-codici simbolici » 34• Come si vede, ritroviamo per tutt'altro percorso quella separazione tra funzione e significazione, che già avevamo individuato come necessaria ad un approccio semiotico nel campo che ci interessa. Anzi, nella posizione di Garroni è ribadito in maniera molto chiara il concetto che ad un mas simo di significazione, anche simbolica, corrisponde un mas simo di' distanza dagli scopi ', o al limite di assenza di questi (ma personalmente adotterei, per la sua 'fuclusività, la no zione del 'prendere le distanze', più funzionale alla consi derazione di una sfera dell'estetico, alla Mukarovsky, che non quella di 'assenza', legata alla sfera dell'arte). Sembra quindi di poter 'concludere in via provvisoria', per un primo aspetto, dicendo che appare senz'altro pos sibile accogliere l'invito di Garroni ad un uso più 'cauto ' del termine codice; nessuna difficoltà a considerare quello architettonico un sistema nel senso sopra precisato, purché con l'avvertenza di porre l'accentç, non tanto sugli elementi, quanto sulle regole combinatorie del sistema stesso: il va riare infatti delle seconde - i primi restando, 'almeno ap parentemente', gli stessi (e ammesso che ciò abbia un senso per il sistema architettonico dove è massimo lo scarto « type/token ») - è sufficiente già di per sé a determinare spostamenti e inversioni di senso del sistema stesso (si pensi, se proprio si vuole un esempio, al Manierismo rispetto all'architettura rinascimentale; o al procedimento di layering, di stratificazione e sovrapposizione, cui alcuni esponenti del cosiddetto gruppo dei Five assoggettano elementi tipici del 18 . linguaggio razionalista degli anni venti e trenta).
Assai più riluttante, invece, mi trova la proposta dello stesso Garroni per una definizione 'ristretta' del campo se miotico. Nel caso dell'architettura, la sua 'espulsione' com porterebbe infatti il rischio di ricadere in un ambito di analisi impoverito delle componenti inerenti alla significazione, di nuovo delimitato dalle più o meno raffinate esegesi sui valori 'formali' in senso tradizionale, o, all'opposto, da approcci centrati ancora una volta soltanto sulla nozione di « fun zione». Naturalmente, non si può sorvolare sulla difficoltà di articolare in maniera adeguata il problema della significa zione architettonica nella sua duplice dimensione simbolica e semantica, o in altri termini i modi del processo semio tizzazione del sistema architettonico. Ritengo tuttavia che, usciti ormai dalla fase delle ricerche ' ingenue ' di mecca niche analogie e trasposizioni dal modello linguistico, si possa invece studiare ' come ' la struttura delle combinatorie che reggono i sistemi architettonici, nel loro storico configurarsi, sia tale da 'produrre senso ', tale cioè da determinare il fenomeno per cui l'architettura, oltre che fruita e anche quando non viene fruita, viene comunque 'letta' a diversi livelli di complessità interpretativa 35• Naturalmente, questo scavo semiotico ex post sui pro cessi interpretativi dell'architettura esistente (di pietra o di carta che sia 36), non può essere automaticamente trasposto, per così dire'all'inverso ', nella didattica della progettazione; ma i suoi risultati non potranno non riflettervisi, se pure in maniera mediata. E naturalmente, l'analisi non va centrata solo sugli episodi di eccezione. Per ritornare all'analogia più volte riproposta, ci pare che la fenomenologia dell'attuale produzione architettonica possa senza difficoltà essere posta sul medesimo piano di va rietà e di complessità della fenomenologia della produzione letteraria e paraletteraria: come nell'universo della produzio ne di testi entrano il fumetto e la 'poesia concreta, il best seller e il romanzo • per pochi', cosi nell'universo architetto nico si producono • oggetti' dai caratteri più diversi, élitari e ' di consumo ' 37, alcuni rigorosamente finalizzati ad un certo 19
tipo di utilizzazione, altri caratterizzati dalla 'gratuità ': e naturalmente, avendo chiarito il n1olo del termine « fun zione», sappiamo che si tratta di una 'gratuità• solo appa rente, e che ogni tempo, e non solo il romanticismo, ha le sue « follies» 38 • Beninteso, queste ultime osservazioni non vogliono affatto contrabbandare il ricorso ad una qualsiasi gerarchia di va lori, né in senso 'morale' (architettura delle case economiche versus architettura dell'effimero e del ludico), né in senso 'formale ' (architettura 'colta ' versus architettura • di con sumo ' ·o 'di intrattenimento', Joyce versus Puzo). Si vuole solo sottolineare che la fenomenologia della produzione ar chitettonica, al pari di quella letteraria, mostra la compre senza di una pluralità di obiettivi, complessi e talora mu tuamente interferenti, di cui la «funzione» (o la « comuni cazione»), quando c'è (e non è che 'ci sia' sempre), è solo uno, intrecciato ad altri, inglobato in altri. In realtà, sembra proprio che l'unico parametro al quale è sempre possibile ancorare l'analisi di un testo architettonico, quale che esso sia, sia appunto quello della significazione. In questa ottica, anche il panorama composito della « post modern architecture», con la sua proliferante varietà di ac centi e di tendenze, riacquista unità proprio attraverso la interpretazione semiotica, che del piano « del sistema» (pia no dell'espressione) valorizza tutta la specificità e diversifica zione delle articolazioni 'formali ', e del piano « della signi ficazione» (piano del contenuto) recupera grazie al processo di semiotizzazione i simboli e significati che 'sono vissuti' come tipici e ricorrenti nell'architettura contemporanea, e sia pure riconosciuti solo ex post come comuni a tendenze apparentemente antitetiche. Questo piano « della significazione», nel caso della « post modern architecture », sembra essere caratterizzato dal ruolo predominante assunto dall'immagine 39 e dal simbolo; dal rifiuto della coerenza formale (vedi il gusto dello 'sgarro' alla regola), ma anche dell'originalità ad ogni costo; da un avido'recupero' della storia (remota e recente), talora osten20 tato e talaltra 'rimosso '; dalla ricerca della polisemia e del-
l'ambiguità; dal gusto di un 'più ', magari 'minimo', perse guito con lo stesso accanimento con cui la tradizione del nuovo aveva, « puritanamente », puntato al 'meno ' 40• Ma tutti questi sono elementi di «significazione» che il processo interpretativo ricollega e coordina al sistema architettonico appunto grazie ad un complesso percorso di semiotizzazione, non sono certo singoli «significati» rintracciabili come cor relati di specifici elementi del sistema. E il lavoro appare ancora tutto, o quasi, a farsi. È probabile che questo approccio non possa definirsi semiotico in senso rigoroso, e tuttavia - volto com'è alla messa in luce della dimensione cli significazione dell'archi tettura - non saprei come altrimenti definirlo; né - anche se non esplicativo - mi sentirei di dichiararlo, nelle inten zioni almeno, puramente descrittivo. Ché se invece dovessi mo limitarci ad un'analisi ' formale ' nel senso tradizionale, allora davvero credo che ci sperderemmo in un universo ' de scrittivo ', e non sapremmo come riconnettere !a pluralità delle tendenze, la diversificata fenomenologia delle opere, ad un quadro unitario che non fosse quello, ridotto alla sola eti chetta o poco più, di «post-modern» o di «supermanne rism»; e per di più, riconfermeremmo, per altra via, quella 'riduzione alla sintassi ', con esclusione del piano della signi ficazione e privilegiamento assoluto di quello del significante, che caratterizza molte posizioni contemporanee. Con questo, naturalmente, non si vuole affatto proporre l'approccio semiotico come qualcosa di più e di diverso . da ciò che riesce ad essere: un possibile filtro interpretativo, una e non la chiave cli lettura di opere e autori, tendenze e 'generi'. Né, naturalmente, intendo qui avanzare qualcosa che vada al di là di alcune ipotesi per una discussione. Tuttavia, la 'lettura semiotica' della polemica Gandelso nas-Eisenrnan deve farci riflettere. È probabile che la « fun zione » vada oggi ' ripensata' in ben altri termini da quelli consueti - e di fatto in parte lo è già. Non più dato reputato «universale» (e del quale quindi ci si può anche dimenticare di ridiscutere, tanto lo si ritroverà comunque al suo posto), bensì dato riconosciuto come «culturale», nei cui confronti 21
quindi occorre operare delle scelte, la « funzione» - aperta com'è evidente a tutte le possibili ri-definizioni (e anche, alla Rosenberg, s-definizioni) - si ripropone come una va riabile aleatoria di obiettivo, da collocare (o meno, e sta a noi), nell'ambito di una gamma più complessa di obiettivi, assumendosi le relative responsabilità. In effetti, riflettere all'architettura come sistema che 'produce senso' a molti livelli e anche per così dire 'al di là delle intenzioni', può servire sia, da un Iato, a ripensare radicalmente il concetto di funzione, se non dall'umanesimo, almeno da Lodoli in giù; sia, dall'altro, a chiedersi intanto « che fare» affinché nel 1988, « dopo Orwell», il n. 22 + n di « Arquitecturas bis» non rischi di intitolarsi, anziché « After Modero Architecture »,. « After Architecture», tout court.
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t La bibliografia è notevolmente vasta, e in queste note verranno richiamati solo alcwù scritti. Comunque, dell'argomento si è oc cupata anche questa rivista, e in particolare rinviamo il lettore allo scritto di F. IRACE, Le ricerche di architettura più attuali ed insolite (nonché alla relativa bibliografia), in « Op. cit.» n. 38, 1977. 2 Fra i libri recenti, vanno citati CH. JENCKS, The Language of Post Modem Architecture, Academy Editions, London 1977 (Il edizione), che ha suscitato un ampio dibattito soprattutto in Inghilterra (cfr. in par ticolare « Architectural Design», n. 4, 1977, Post-Modernism; e n. 1, 1978, Post-Modem History); e C. R,\Y SMITH, Supermannerism, Dutton, New York 1977 (cfr. recensione in questo stesso numero). J La rivista « Arquitecturas bis» ha molti meriti, fra cui quello di proporre, in una formula di grandissima semplicità ed efficacia grafica, un equilibrato dosaggio di quelle che sono le collaudate com ponenti di un periodico di architettura: teoria e critica, storia, ras• segna di tendenze e opere contemporanee. � edita, com'è noto, a Bar cellona, da La Gaya Ciencia. 4 Organizzato dalla rivista « Oppositions » (pubblicata a New· York dalla MIT Press per The Institute for Architecture and Urban Studies), il dibattito vide la partecipazione delle riviste « Lotus», « Controspa zio», « Architecture-Mouvement-Continuité» e, appunto, « Arquitecturas bis». Quest'ultima nel n. 22 ha pubblicato, oltre alla traduzione spa gnola degli editoriali di « Oppositions » n. S, 6 e 7 (rispettivamente dovuti a M. Gandelsonas, P. Eisenman e A. Vidler), che in certo senso costituirono un punto di partenza per la discussione a New York, tre saggi: di R. MoNro, Entrados ya en el ultimo cuarto de siglo; di O. BoHfGAS, Después de « after modem architecture» y el asesinato de Pépé le Moko; di H. Pn16N, El final de la escapada. s « La consapevolezza del fatto che siamo già ' after modem ar chitecture ', del fatto che è finito per sempre il periodo eroico nel quale si lottava per un comune e generico ideale di • architettura mo derna ', è una sensazione diffusa, condivisa dalle tendenze più diverse,
e forse sarebbe ormai anche il momento di constatare ·qualcos'altro, che caratterizza questi anni: il fatto che le nuove generazioni non sono omogenee come lo furono invece quelle passate, quando il movimento moderno affratellò tanta architettura, da indurre qualcuno a proporre per essa l'aggettivo di internazionale" (R. MONEO, art. cit.). 6 « Negli ultimi vent'anni, in campo architettonico è andata svi• luppandosi una situazione, che sta oggi molto rapidamente sfociando in un processo di messa a punto di un nuovo stile, e di un nuovo approccio. Questo è scaturito dal movimento moderno, in modo molto simile a quello in cui l'architettura manierista scaturì da quella rina scimentale - come, cioè, una parziale inversione e modificazione del precedente linguaggio. Questa tendenza è attualmente chiamata, in genere, Post-Modern architecture, perché l'espressione è sufficientemente ampia da includere tutta la gamma dei punti di partenza, e tuttavia indica la comune derivazione dal movimento moderno ...» (CH. JENCKS, cit., p. 6). Il riferimento al Manierismo - che Colin Rowe ha ipotiz zato per primo - viene condiviso da molti critici; fra gli altri è di Paul Goldberger l'affermazione che « ••.se le radici formali del post modernismo stanno da qualche parte, è nel Manierismo che stanno ... » (cfr. Post-Modernism: an Introduction, in «Architectural Design», n. 4, 1977). 7 Nei nn. 5 e 6 del 1976. s In verità, se è facile concordare con Gandelsonas quando indica in R. Venturi l'esponente più importante del «neo-realismo», molto dubbiosi lascia invece la affermazione secondo cui « •.• i neo-raziona listi sono rappresentati, in Europa da Aldo Rossi, e negli Stati Uniti da Peter Eisenman e John Hejdu.k ... "· Giustamente, a nostro parere, H. Piii6n, nell'articolo citato, nota che « Di altra natura [rispetto alla posizione di A. Rossi] è l'uso dell'architettura razionalista da parte degli esponenti più puri del gruppo di New York ... "· 9 « Il neo-razionalismo si fonda sull'idea di un'architettura ' auto noma ', ossia, secondo gli architetti più radicali di questa tendenza, un'architettura che trascende la storia e la cultura; un'architettura che ha anni sue proprie, un linguaggio che parla di se stesso e non comunica altre idee se non quelle che gli sono proprie» (M. GANDEL SONAS, Neo-Functionalism, cit., ripubblicato in « Arquitecturas bis» n. 22, dal quale traduciamo a nostra volta, non disponendo al mo mento del testo originale). 10 Cfr. R. VENTURI - D. Scorr-BROWN, Ugly and Ordinary Architecture, or the Decorated Shed, in «Forum», novembre-dicembre 1971 (poi in serito in Learning from Las Vegas). Scrive Gandelsonas: «Il neo-rea lismo, al contrario [del neo-razionalismo], si interessa al presente e agli altri aspetti della cultura - come ad esempio la pop art, la pub blicità, il cinema e l'industriai design - e fa sì che l'architettura ne sia partecipe». 11 Da questo punto di vista, ci sembra molto interessante lo scritto di R. STERN, At the edge of post-modernism: some methods, paradigms and principles for architecture at the end of the modem movement (in «Architectural Design», n. 4, 1977), fra l'altro allorché individua in tre principi, « o almeno atteggiamenti », i tratti che caratterizzano oggi il post-modernismo: «••• Contextualism ... ; Allusionism ...; Oma mentalism ... ». 1z Ad esempio allorché cita « •.. il problema del significato o della dimensione simbolica dell'architettura». II sembra da noi usato di pende dalla doverosa cautela con cui utilizziamo non il testo originale bensì una traduzione (della cui fedeltà, tuttavia, non abbiamo motivo di dubitare).
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Il « All'epoca, il funzionalismo fu un'ideologia progressista; forse una delle più progressiste della storia dell'architettura. Si batté per l'abbandono dell'architettura classica, e creò un nuovo linguaggio ar chitettonico ...• (M. GANDEI..SONAS, cit.). 14 Cfr. « Casabella •, n. 374, 1973. Nella letteratura critica americana ricorre spesso l'espressione « cardboard corbu », a proposito dei Fiv� di più stretta osservanza, e in particolare di Eisenman. 1s t:. infatti con schietta intonazione ironica che il suo editoriale si apre: « L'establishment dei critici di architettura ci ha comunicato che siamo entrati nell'era del 'post-modernismo '. Il tono con cui questo annuncio viene dato è invariabilmente di sollievo, simile a quello che accompagna la proclamazione del fatto che si è finalmente usciti dall'adolescenza ... » (P. EISENMAN, Post-Functionalism, in « Oppo sitions •, n. 6, autunno 1976). 16 « La prima [manifestazione], partendo dall'asserto che l'archi tettura moderna è stata un funzionalismo passato di moda, dichiarò che l'architettura può essere generata solo attraverso un ritorno a se stessa come disciplina pura, o autonoma. La seconda, vedendo l'ar chitettura moderna come un formalismo ossessivo, si tradusse nel l'implicito giudizio che il futuro sta paradossalmente nel passato, nel l'ambito di quella peculiare risposta alla funzione, che ha caratteriz zato l'eclettismo storicistico ottocentesco•· 17 « Le diverse teorie dell'architettura che possono essere chiamate ' umanistiche ' sono caratterizzate da un'opposizione dialettica: una oscillazione fra l'attenzione ai problemi dell'organizzazione interna - il programma, e il modo in cui viene concretato - e quella all'a1·tico lazione, nella forma, di alcuni temi ideali - come, ad esempio, quelli manifestati nella conformazione 'semantizzata ' della pianta. Questi atteggiamenti furono intesi come i due poli di un'esperienza unitaria, continua ... » (P. EISENMAN, cit.). 18 « Il modernismo, inteso come un modo di sentire basato sul fondamentale spiazzamento dell'uomo [dal centro del mondo], costi tuisce quello che Miche! Foucault chiamerebbe una nuova épisthème. Derivando da un atteggiamento diverso da quello dell'umanesimo per quanto concerne il rapporto fra l'individuo e il suo ambiente fisico, esso rompe con il passato, sia riguardo ai modi di vedere l'uomo come soggetto, sia, come si è detto, riguardo al positivismo etico di forma e funzione. Pertanto, esso non può essere messo in relazione col fun zionalismo. t:. probabilmente per questo motivo, che fino a questo momento il modernismo non è stato elaborato in campo architetto nico• (P. EISENMAN, cit.). Poche righe più sopra, aveva ribadito il suo dissenso dall'establishment dei critici, osservando che « la diversità potenziale fra la teoria dell'umanesimo e quella modernista ... sembra sia passata inosservata da parte di quelli che oggi parlano di eclettismo, post-modernismo, o neo-funzionalismo ... ». 19 Naturalmente questo giudizio non vede affatto un'unanimità di consensi. Proprio in « Arquitecturas bis • n. 22, R. MONÉO nell'articolo già citato scrive che « ••• il primo quarto di secolo vede la lotta intra presa dagli architetti moderni per imporre una sensibilità parallela a quella che si manifesta in qualsiasi altro campo di attività, dalla pittura alla poesia, dalla fisica alla musica ... ; il secondo quarto di secolo vede come queste tendenze si consolidino e siano finalmente ac cettate ... » (e qui, a riprova, Monéo mette in parallelo le due vicende dell'edificio dell'ONU a New York in questo dopoguerra, « costruito in termini di assoluta e incontrastata modernità», e del concorso per la sede della Società delle Naziorù, nel 1927).
20 Infatti il post-funzionalismo, « nella sua negazione del funziona lismo suggerisce alcune alternative teoriche positive ... ma, in sé e di per sé, non si propone affatto di costituire l'etichetta per quella nuova consapevolezza, in campo architettonico, che ritengo ci sovrasti già potenzialmente ... • (P. EISENMAN, cit.). 21 Vedi ad esempio la recensione di G. BROADBENT, in « Architectural Design• n. 4, 1977, al libro citato di CH. JENCKS, in cui si avanzano riserve sia sull'uso di termini inerenti a specifiche figure retoriche (come fra tutte la metafora), sia su quello di termini semiotici specialistici come icona. indice, simbolo, usati ad esempio da Peirce in modo molto specifico. 22 Formulata in maniera abbastanza elaborata in L'architel/ura come semiotica connotativa, Bompiani, Milano 1975; ma già, in forma embrionale, in Meaning in Arcltitecture, nel n. 20, 1971, di « Op. cit. ». 23 Cfr. M. L. ScALVINI, Ornamento: semiosi?, in « L'Architettura Cronache e storia•, n. 257, 1977. 2� E. GARRONI, Ricognizione della semiotica, Officina edizioni, Roma 1977. Recensito in « Op. cit. • n. 41, 1978. 25 Soprattutto in E. GARRONI, Progetto di semiotica, Laterza, Bari 1972. Recensito in « Op. cit. » n. 26, 1973. 26 Cfr. E. GARRONI, Ricognizione della semiotica, cit., in particolare il primo paragrafo del primo capitolo: « .•. La semiotica è ancora una disciplina in misura non marginale intuitiva e informale, un ' discorso di tipo preliminare' rispetto al momento costruttivo e applicativo della ricerca scientifica vera e propria ... In questo senso essa rischia di essere di fatto, vedremo, soprattutto una scie11za descrittiva e 11011 sufficien temente esplicativa» (p. 15). n Ibidem, p. 41. 1s Ibidem, p. 42. 29 Cfr., fra gli altri, L. PRIETO, « Sémio)ogie », nel volume Langage de l'Encyclopédie de la Pléiade. 30 « Prendiamo ad esempio una parola-chiave ... : la parola 'codice •, passata ormai fin nel linguaggio comune per indicare l'insieme di con venzioni, di caratteristiche o tratti distintivi, propri dei più diversi comportamenti o fenomeni. In realtà, • codice' (anche nel caso del l'espressione tecnica e ben esplicita di • codice genetico ') o equivale semplicemente a • struttura ', • regolarità•, e simili, cui di volta in volta debbono essere associate specificazioni opportune, o rappresenta una estensione puramente metaforica, priva cli ogni incidenza scientifica, di • codice (linguistico o paralinguistico)'• (E. GARRONI, Ricognizione della semiotica, cil., p. 41). 31 Ibidem, p. 84. 32 Ibidem, p. 88. 33 Ci riferiamo qui, com'è chiaro, alla definizione che di codice come stile epocale dà R. DE Fusco utilizzando anche la nozione webe riana di Ideal-Typus (cfr. Storia dell'architettura contemporanea, La terza, Bari 1974, p. VII; e vedi anche, dello stesso A., Storia e struttura, E.S.I., Napoli 1970, pp. 173 e segg.). � « .•. sebbene, prosegue Garroni, non si tratti in tutti i sensi di
codici (trattabili allo stesso modo dei codici veri e propri, per esempio paralinguistici); restando sempre per fermo che una compiuta e ade guata analisi dell'opera deve puntare non semplicemente sulla sua im mediata semioticità, ma sulla correlazione che essa stabilisce tra com portamento operativo e comportame11to semiotico; il che richiede 11e cessariame11te, oltre un'analisi della cultura esplicita correlata all'opera in questione, anche un'analisi della configurazione operativa di questa•
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(cit., pp. 114-115; e rimandiamo il lettore anche alle pagine successive per un interessante richiamo alle posizioni di Cesare Brandi). 35 Su questo problema - da riferire sia all'architettura del pas sato che all'attuale - le citazioni bibliografiche potrebbero essere mol tissime. Ci limitiamo a due, a nostro parere entrambe sintomatiche. La prima è un richiamo all'articolo di S. RAY, Il 'silenzio' dell'architet tura contemporanea, apparso in « Op. cit. • n. 24, 1972. La seconda è tratta dal già citato, recente volume di CH. JBNCKS, « ..• [l'architettura come linguaggio] è di necessità totalmente schizofrenica, radicata come è in parte nella tradizione, nel passato, in parte in una società che cambia rapidamente, e con sempre nuovi obiettivi funzionali, nuovi materiali, nuove tecnologie e ideologie. Da un lato, l'architettura pre senta un cambiamento lento, al pari della lingua (riusciamo ancora a capire l'inglese del Rinascimento); dall'altro, è altrettanto rapidamente mutevole ed esoterica quanto l'arte e la scienza moderne ...» (p. 24). E ancora: « In termini molto generali, si può dire che vi siano due ampie sfere culturali: una prima, in cui vig� il codice moderno fon dato sul tirocinio e sull'ideologia degli architetti moderni; una seconda, in cui vige il codice tradizionale, basato sull'esperienza, che ciascuno ha, di elementi architettonici codificati ... Poiché spesso molti edifici inglobano più codici, possono essere visti come metafore multiple, e con significati opposti: è così che quel che ad un architetto moderno appare come un 'volume puro, armonioso e ben proporzionato ', agli occhi del pubblico diventa una 'scatola da scarpe ', ovvero uno 'scaf fale per pratiche ' » (p. 60). 36 Fra i tanti aspetti sui quali riflettere, va incluso appunto quello della presente 'fortuna ' dell'architettura disegnata, ossia di quella che viene concepita assumendo già in partenza l'espressione grafica come obiettivo finale. Questa « architdtura di carta » va posta in relazione « da un lato, con l'accentuarsi dello squilibrio fra capacità di produzione della forma e domanda sociale di questa, dall'altro, con il ripiegarsi della disciplina su se stessa ...»; e si badi che « la funzio nalità di un'attività che vorrebbe essere autonoma - quasi margi nale - presuppone invece il suo inserimento nei circuiti del qualificato consumo della forma astratta ... Fondazioni, pubblicazioni e università, sono le istituzioni grazie a cui si regge l'esistenza parassitaria di coloro che, paradossalmente, rivendicano l'autonomia della propria discipli na ... • (H. PIN6N, cit.). 37 « Ha fatto la sua comparsa una vasta produzione architettonica di alto livellò commerciale, cui è assurdo, da qualsiasi posizione cultu rale, negare il diritto di cittadinanza. Questa architettura - che è nelle mani delle grandi società di progettazione e degli anonimi uffici tecnici delle grosse imprese statali - ha assunto un'importanza tale da creare, già allo stato, una situazione del tutto nuova: da un lato ha iniziato a crearsi degli strumenti critici e di ricerca suoi propri, dall'altro, ha fissato i punti di riferimento del gusto e del consenso collettivo». Così O. BoHfGAS, nell'articolo citato, in cui tra l'altro ri prende una serie di temi, in parte legati all'attualità statunitense, per i quali rimandiamo anche al n. 186 de « L'Architecture d'Aujourd'hui», 1976. 38 Oggi certo non più di legno e stucco come tante 'pittorèsche' finte rovine tardosettecentesche, ma magari di acciaio inossidabile, come la ' sagoma ' della vecchia casa di Franklin a Franklin Court (Filadelfia, 1972-76), di Venturi e Rauch. 39 « Ciò che caratterizza l'architettura 'post-modem', dunque, non è uno specifico gruppo di immagini (benché ve ne siano alcune che, per la frequenza con cui sono scelte, sembrano venire preferite) bens\
la predominanza dell'immagine, la tendenza a far sì che sia l'immagine a determinare la forma, piuttosto che il contrario •· (P. GoIDBl!RGl!R, cit.). 40 Il celebre « less is more,. è naturalmente all'origine di non pochi calernbours: da « mess is more » a « less is a bore», da « more is more» a « Moore is more», e così via. Ma certo, una delle più note - e autorevoli - invettive contro l'antistoricismo puritano del movi mento moderno rimane quella di Philip Johnson: « Mies è un tale ge nio! Ma io invecchio! e mi annoio! La mia strada è chiara: tradizione eclettica ... Cerco di cogliere ciò che mi piace prelevandolo da tutto l'arco del passato. Non possiamo non conoscere la storia» (citato in J. JACOBUS, Philip Johnson, G. Braziller, New York, 1962).
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Ipotesi per il segno 1con1co CETTINA LENZA - RENATO DE FUSCO
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f:. un dato della nostra esperienza quotidiana che, per comunicare, ci serviamo, assai spesso, accanto al linguaggio verbale, dei cosiddetti linguaggi visivi, e che questi ultimi si differenziano dal primo perché, al contrario delle parole, le immagini, sebbene a gradi diversi, assomigliano in qualche modo alle cose rappresentate. Inoltre, che ciò non costituisca un attributo accessorio delle immagini è provato dal fatto che il loro valore comunicativo 1 è, in larga parte, affidato proprio a tale « somiglianza », che ne consente la prima e più imme diata decodifica; sicché, per tale caratteristica, i sistemi visivi sembrano meritare un posto a parte all'intemo della teoria generale della comunicazione, che li ingloba 2, infatti, nel l'ampia categoria dell'iconismo .. La nostra indagine è volta appunto all'intero complesso di tali sistemi, riservandoci, naturalmente, di tornare in altra occasione ad interessarci singolarmente di ciascuno di essi, per individuare, ad esempio, il sistema della pittura, quello della scultura, della grafica, ecc. In altre parai�. non ci occu peremo qui né del g,rande progetto semiotico generalizzante (convinti, oltretutto, che gli studi compiuti in tal senso se, da un lato, hanno il merito di fornire, ai vari ambiti della semiotica, una concezione unitaria, dall'altra hanno il limite, a nostro avviso, di appiattirne ogni differenza specifica), né della fenomenologia dei singoli campi d'applicazione, ma, ad un livello intermedio, di ciò che accomuna al di là delle distinzioni esistenti, i vari sistemi di comunicazione visiva consen-
tendoci di considerarli appartenenti ad una particolare cate goria, definibile come tale. Quest'ultima, traducendo in termini semiotici quanto è avvertito dal senso comune (non per fornire la suddetta defi nizione, ma per provvedere alla necessaria delimitazione pre liminare del campo di ricerca), includerebbe tutti i sistemi fondati su segni (intesi come segni di una realtà esterna) caratterizzati da un particolare rapporto col referente (spesse volte, quest'ultimo, un oggetto specifico e concreto), non arbitrario e codificato, come per i segni verbali, ma motivato e basato sulla somiglianza. Quella specificità del segno iconico che intendiamo cogliere sembra dunque essere legata a una considerazione del referente, la quale, se può apparire pro blematica per il linguaggio verbale, risulta irrinunciabile per quelli visivi; tant'è che viene chiamata in causa non solo dal l'interpretazione intuitiva del fenomeno, ma anche dalla defi nizione di segno iconico, formulata inizialmente da Peirce 3 (un segno avente una certa nativa somiglianza con l'oggetto cui si riferisce), e ripresa, in seguito, da Morris 4 (per il quale è iconico il segno che ha le proprietà dei suoi denotata). In tal modo, la nostra riflessione risulta circosc1itta al l'esame di un problema nel problema, nel senso che, propo nendoci la questione dei sistemi iconici, di cui manca ancora una spiegazione corretta e convincente, al punto da revocare in dubbio la stessa leg.ittimità di una simile classificazione, siamo costretti ad affrontare il più vasto problema del refe rente, ombra di Banco che riappare in tutti gli studi semio logici, nonostante i tentativi per esorcizzarla, tagliando i ponti che consentono un aggancio sulla realtà, in nome del principio di autonomia. D'altra parte, se il referente sembra coinvolto più diret tamente nel caso dei segni iconici, anche questi ultimi, ovvia mente, non possono ridursi ad esso. Già partendo, come è nostra intenzione, dalla stessa interpretazione intuitiva del fenomeno siamo in grado di indagare più a fondo sul parti colare rapporto che si stabilisce tra immagine e cosa rappre sentata; in quanto la stessa nozione «ingenua» di somiglianza allude alla possibilità, per l'osservatore, di cogliere non solo 29
ciò che accomuna l'immagine e il suo oggetto (o, megjlio, ciò che consente di passare dall'una all'altro), ma anche ciò che li distingue, e non permette di identificare semplicemente la prima con il secondo, o con un suo duplicato. Tra cosa ed immagine, insomma, sussiste uno ,scarto, frutto d'intenzionalità e di artificio, che ci fa stabilire di trovarci di fronte ad un atto comunicativo, e non ad un fenomeno naturale. In questa operazione, l'immagine avrà perduto parte dei caratteri propri alla cosa, mentre ne avrà acquistati altri, suoi particolari, sui quali deve appunto concentrarsi l'atten zione del semiologo. Essa avrà, infatti, messo in evidenza solo alcuni aspetti del modello percettivo del referente, trasfor mandoli e attribuendo loro un particolare senso, facendo sì che non possono porsi sul medesimo piano non solo la cosa e la sua immagine (come è.evidente), ma nemmeno la perce zione e l'interpretazione della prima con quelle della seconda, che risultano già più «orientate». Come nota Lindekens, dalla percezione dell'immagine ... alla percezione del reale, si ha, in qualche modo, un intervento in meno. Essendo l'autore dell'immagine ( e del messaggio che essa comporta)... l'ini ziatore di un «senso», il lettore è..• «reso cosciente di qual che cosa» 5• Quello che, comunque, ci preme sottolineare è che questo scarto che istituisce il linguaggio, essendo relativo, come ab biamo visto, tanto agli aspetti percettivi, quanto a quelli se mantici, si detennina sia nella linea della visione che in quella del senso, ovverosia, su ciascuno dei due piani (dell'espres sione e del contenuto) che, con Hjelmslev 6, consideriamo messi in relazione dalla funzione segnica. Per quanto rigjUarda il piano dell'espressione, l'immagine riproporrà alla perce zione solamente alcuni tratti, e talune relazioni (oltretutto allontanandosene di più o di meno) già proposte dall'oggetto reale (forma, colore, volume, dimensioni, movimento, propor zioni, ecc.); il che è dovuto alla pertinentizzazione dei dati visivi, che costituiscono già un'elaborazione, operata da quel l'acuto selezionatore che è l'occhio, su quelli reali. Relativa mente al piano del contenuto, sarà, invece, fornito un senso 30 «oltre» la cosa, che può considerarsi come l'organizzazione
delle valenze presemiotiche dell'oggetto, che vanno, a loro volta, al di là del mero valore referenziale. Tutto ciò ci porta ad indagare sul meccanismo di produ zione segnica, responsabile di tale scarto, e ad a.J.?.alizzarlo, oltretutto, relativamente a ciascun piano, visto che la distin zione di Hjelmslev ci consente di prevedere, tanto per l'espres sione che per il contenuto, un analogo processo di trasforma zione dei due insiemi di dati di partenza. Questi ultimi, come si è visto, sono entrambi riportabili al referente, considerato, ovviamente, non come cosa in sé, ma come oggetto della nostra esperienza; di un fenomeno (ad esempio, un albero), ci interessano, infatti, la sensazione visiva ed il senso (di pro tezione, di frescura, di riparo, ecc.) che suscitano in un osser vatore, quale che esso sia, un uomo, o, al limite, un animale, ad uno stadio, dunque, preculturale. Interrogato da una spe cifica cultura (di una determinata epoca ed area geografica) quel medesimo oggetto-referente darà ancora una duplice ri sposta, nella linea della visione e del senso, che costituisce già una prima elaborazione culturale dei dati immediati. Ma, soprattutto, quest'ultima si accompagna, nella produzione se gnica, ovverosia nel tradursi di quell'albero in un disegno, in una pittura, in una scultura, in una immagine, insomma, correlata ad un suo contenuto, all'azione di un vero e proprio filtro, in grado di mediare, su ciascun piano, il passaggio dal referente al segno, cioè alla struttura formale (dagli aspetti sensibili della cosa, al significante o immagine, da quelli se mantici al significato, o concetto figurativo, plastico, ecc.). La presenza di tale filtro sul piano del contenuto è evi dente: il passaggio dal senso preculturale del referente al significato (di una parola, come di un'immagine) implica l'azione selezionatrice ed elaboratrice dell'esperienza cultu rale riguardante quel dato oggetto, comprendente le valuta zioni, l'uso, le conoscenze o emozioni che una società o un singolo vi fa corrispondere. Ma la presenza di un analogo filtro può registrarsi anche sul piano dell'espressione, se si considera che la stessa percezione (o, meglio, appercezione) è una esperienza in qualche modo culturale, e tanto più lo sono i procedimenti di produzione dell'immagine, le diverse moda- 31
lità di rappresentazione e persino i processi riproduttivi della fotografia o del cinema, che, sebbene più tecnici di quelli, ad esempio, della pittura, non possono ridursi ad un intervento puramente meccanico. Questa scissione del passaggio dal referente al segno, ope rata solo per motivi analitici, non deve, però, far credere che tale trasformazione avvenga in maniera non solo parallela, ma anche indipendente su ciascun piano. Questi ultimi risul tano strettamente correlati, sicché, ad esempio, le stesse mo dalità di rappresentazione, costituenti il filtro tra la sensa zione del referente e l'immagine significante, non sono neutrali nei confronti del piano del contenuto, in quanto che esse veicolano una particolare concezione della realtà che agisce, a sua volta, quale filtro nei confronti del senso preculturale del referente. Esemplificando, se è necessario richiamarsi a quell'insieme di regole per la rappresentazione che costi tuisce la prospettiva per comprendere la trasformazione di una particolare esperienza percettiva in una determinata im magine pittorica, parimenti è necessaria la mediazione della concezione antropocentrica (corrispondente a quella modalità culturale di rappresentazione) per capire il mutarsi del senso associato ad uno stato della realtà in un concetto figurativo. Inutile dire che tale corrispondenza sussiste a maggior ragione tra immagine e concetto, a livello, cioè, del vero e proprio segno, stabilendosi qui un legame addirittura neces sario tra i due termini, che si presentano l'uno esclusiva mente come il corrispondente dell'altro, e viceversa. Anzi, essendo la relazione che istituisce il segno una solidarietà tra i due piani, l'organizzazione formale dell'immagine è in funzione del solo concetto, e non deriva dai dati sensibili del referente: in tale insieme verranno cioè trascelti e tra sformati gJi elementi pertinenti a seconda della particolare significazione (pittorica, scultorea, filmica, ecc.) che s'intende comunicare, coerentemente con il carattere arbitrario del segno che, avendo introitato, in entrambi i piani, una consi derazione del referente, si ripropone in ciascuno di essi.· Ciò che è impor:ante, comunque, è che, se le osservazioni 32 svolte sulla nozione« ingenua» di iconismo, ci hanno condotto
ad uno sdoppiamento del fattore culturale e di quello refe renziale, analogamente alla struttura duplice del segno, questo ci permette di stabilire, per ciascun piano, la presenza. di una invariante, di una variabile e di un dato pre-linguistico. Abbia mo ottenuto, insomma, uno schema più allargato che, senza compromettere la correttezza della definizione di segno, ci con- sente di recuperare, sia nella linea della visione che in quella del senso, considerazioni di ordine diverso, relative ad una componente formale (il segno), ad una storico-sociale (la cul tura), e ad una, per così dire, «reale» (il referente), neces sarie tutte per fornire una interpretazione più esaustiva del complesso fenomeno della comunicazione iconica. Si sarà notato che, affrontando il tema dell'iconismo,. par tendo dall'interpretazione intuitiva del fenomeno, si sono egual mente chiamate in causa complesse questioni generali (quali la concezione del segno, il problema del referente, quello del l'arbitrarietà, ecc.) che intendiamo adesso approfondire, espli citando anche la posizione assunta nei confronti delle principali tesi emerse dal dibattito sull'argomento. Non sembra inutile sottolineare, anzitutto, che già il nostro proposito di individuare ciò che caratterizza in particolare i sistemi iconici costituisce una presa di posizione preliminare nei confronti di quanti negano loro una specificità, o stem perandola, ampliandone la categoria relativa oltre i suoi limiti tradizionali, fino ad includere sistemi da cui la componente iconica viene comunemente esclusa 7; o contraendola, fino al l'annullamento della categoria medesima 8• Se sul fronte lin guistico si è, infatti, tentato di assorbire, nell'ambito del l'iconico, la stessa lingua, ridimensionandone la consueta concezione di sistema caratterizzato dal più alto grado di arbitrarietà, d'altra parte, su quello semiologico, insistendo sull'aspetto esclusivamente convenzionale delle immagini, si è assunto, a riguardo, un atteggiamento che Ugo Volli para gona a quello della volpe di Esopo nei confronti dell'uva troppo distante. Allorché gli studi semiotici hanno prestato una certa attenzione al fenomeno dell'iconismo (non che questo sia accaduto molto spesso... ), ciò è stato fatto al fine 33
di negare la loro specificità, di « ridurli » ad altro fenomeno arbitrario che li sottenda e/o li sovrasti, e così via 9• Ovviamente, negare la specificità costituisce solo un modo di aggirare l'ostacolo, senza fornire una chiave interpetrativa a quella differenza tra linguaggio verbale. e visivo, che il senso comune avverte distintamente e che una scienza, come la se miologia, che si propone di coprire l'intero sistema -sociale di comunicaz_ione, dovrebbe farsi carico di spiegare, Banale come può essere, ciò che bisogna riconoscere è che i segni iconici esistono ... Così bisogna lavorare verso una loro com prensione, piuttosto che « ridurli », o pensare di essersene libe rati negando la loro realtà. E dire che i segni iconici esistono equivale a dire che essi contraggono una particolare relazione col loro oggetto. Sicché, una delle principali ragioni che hanno portato la semiotica a trascurare lo studio delle caratteri• stiche generali e specifiche dell'iconismo, anche all'interno dl quei suoi settori che sono primariamente connessi con segni iconici (il canale visivo, per es.) ... è che una definizione di iconismo può difficilmente evitare di coinvolgere caratteri dei referenti che appaiono oggettuali ed extrasenùotici, mi• nacciando di conseguenza di spezzare il circolo chiuso che inolti studi semiotici hanno cercato di stabilire, alla moda· idealistica, fra testi e testi 10• . · Se è vero, dunque, che la questione dell'iconismo e quella del referente sono strettamente connesse (dal momento che la prima implica necessariamente la seconda), è ovvio che le resistenze incontrate dalla nozione di segno iconico sono state una conseguenza, per così dire, « indotta »: nel senso che lo studio di quei sistemi comunicativi, costituiti da segni per qualche verso simili alla cosa rappresentata, è stato inve stito della stessa diffidenza che le teorie semiologiche hanno ereditato dalla linguistica nei confronti del referente. Questo ci consente di esplicitare una ulteriore presa di posizione riguardo, appunto, a tale termine che, a nostro parere, occorre introitare in uno schema interpretativo dei fenomeni semiotici e particolarmente di quelli iconici. Naturalmente, un simile tentativo di recupero non può, 34 però, trascurare i fondati motivi che hanno generato la sud-
detta diffidenza verso ciò che costituisce, pur sempre, una presenza imbarazzante che rischia di compromettere la pu rezza teorica della teoria stessa 11• L'origine della nuova
scienza linguistica è segnata proprio dall'abbandono della considerazione del referente che, fino allora, ne aveva costi• tuito il fondamento. Infatti, se si fa eccezione esclusivamente per la primitiva concezione magica, che affidava alla parola un ruolo attivo nei confronti della realtà, in quanto si rite neva che essa creasse ciò su cui verteva I}., la lin!ljua era stata confinata sia dall'« opinione superficiale del gran pubblico», sia dalla riflessione teorica, in un ruolo esclusivamente pas sivo. Non sarebbe stato altro, cioè, che il riflesso di un mondo che non solo esiste indipendentemente, ma che, ancora indi pendentemente, è organizzato e articolato in categorie di og getti perfettamente distinti, ciascuno, di necessità dotato d'una sua designazione in ciascuna lingua 13. Storicamente, la prima sistemazione organica della con• cezione della lingua come repertorio di elementi riflettenti puntualmente gli elementi costitutivi di una realtà unica e universale 14, si deve, com'è noto, ad Aristotele. Si. determi
nava, in tal modo, il superamento della interpretazione inge nua del linguaggio, secondo la quale il rapporto nome-oggetto, era regolato dal principio di identità in quanto che la parola era vista « come legata alla cosa» e, per di più, immobil mente 15 (per i primitivi, nota De Mauro, come per i bambini studiati dal Piaget, la pai-ola sole « sta nel sole, ed è nata col sole, quando l'astro stesso è stato creato 16). Ma se, nella più matura concezione aristotelica, il rapporto tra realtà e parola (intesa quale corpo fonico) è considerato convenzionale, non si abbandona egualmente il principio di identità, che semplicemente passa ad interessare la relazione (considerata, dunque, non convenzionale) tra il significato della parola e la cosa; per Aristotele le cose e le immagini mentali delle cose si corrispondono una ad una. Questa concezione della lingua quale nomenclatura che, subordinando quest'ultima alla struttura del reale, la riduceva ad un mazzo di etichette da attaccare a cose preesistenti 17, nonostante fosse legata ad un preciso momento della storia
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e del pensiero 18, si è a tal punto radicata nella cultura occi dentale che, tramandandosi per secoli, si perpetua anche in età moderna, ad esempio nella grammatica razionalistica di Port-Royal, che sostanzialmente la riflette 19, fino al Tractatus del primo Wittgenstein 2ll ed ad alcune odierne teorie seman tiche. Le indubbie carenze di tale concezione, comunque, hanno fatto sì che, dalla sua critica (operata tanto nell'ambito lin guistico che in quello filosofico) 21 si è passati immediatamente al suo completo ribaltamento, per cui la lingua, da passiva registrazione del reale, si è assunta quale attiva organizzazione della nostra esperienza; per il relativismo estremista di Mar tinet ad esempio, il mondo, la nostra esperienza del mondo, si decompone in oggetti, in cose diverse, a seconda del sistema linguistico di riferimento che scegliamo. La linea di demarcazione tra questi due opposti atteggia menti relativi al problema del rapporto linguaggio-realtà, è costituita dalla concezione sistemica di Saussure. La perni ciosa nozione di lingua-repertorio, con la relativa identifica zione di significato e referente, era scaturita dall'aver assunto una componente extra-linguistica quale base di definizione, per cui il superamento di una simile interpretazione del fenomeno linguistico, imperante per secoli, poteva ottenersi solò riba dendo il principio di autonomia sistematica della lingua stessa, abbandonando dunque la considerazione del referente per sostituirla con quella del sistema. Per Saussure, infatti, se un oggetto potesse, dove ciò fosse possibile, essere il termine su cui è fondato il segno, la linguistica cesserebbe all'istante di essere quella che è, da cima a fondo; e così del resto lo spirito umano 22• Sicché tralasciando la consueta relazione unilaterale che ciascun termine, isolatamente, contrarrebbe col proprio referente, il nuovo criterio di autonomia sistematica pone in luce la rete di rapporti che ogni elemento del sistema contrae con tutti gli altri; anzi, è solo in base al posto assunto in questa struttura che un termine può individuarsi e definirsi. È evidente che, per sostituire alla consueta concezione referenziale della lingua la nuova concezione strutturale, si consideri dannoso che, nell'affrontare uno studio linguistico, 36
si cominci col mescolarvi come elemento primordiale questo
dato degli oggetti designati i quali non vi hanno parte alcuna 2i; ma se l'atteggiamento, per molti versi soprattutto precauzio nale, di Saussure è perfettamente conseguenziale, esso non va trasformato, però, in una definitiva rinuncia della semio tica ad identificare il ruolo che, anche nella nuova logica, può legittimamente attribuirsi al referente. Occorre inten dersi: il superamento della considerazione del referente può e deve accettarsi, se equivale a ribadire la sua non semplici stica identificabilità col significato, che non è, dunque, ciò a cui il segno si riferisce. Ma, come nota Ponzio, c'è invece un'altra questione che è estremamente controversa e tutt'ora aperta, e riguarda anch'essa la funzione referenziale, il rap porto significato-referente: si tratta di stabilire se il referente debba o no essere considerato come una componente essen ziale della situazione-segno e quindi di stabilire la pertinenza o la non pertinenza della nozione di referente nella prospet tiva semiotica 24_ Per l'Eco de La struttura assente e de Le forme del conte nuto (come ancora di Segno e, sostanzialmente, dello stesso Trattato) in una prospettiva semiologica il problema del referente non ha alcuna pertinenza 25; per cui il sif?iDificato di un termine non si coglierebbe in nessun caso in rapporto ad uno stato reale dei fatti, bensì in rapporto ad altri segni, ovverosia ad una catena di intepretanti (linguistici o no), in un processo indefinito di rimandi (la cosiddetta semiosi illi mitata di Peirce), non a torto sospettata di idealismo :z.< . Come è stato notato, Eco non riesce a contrapporre ad -una interpretazione metafisica orientata nel senso del materia lismo ingenuo, meccanicistico, una interpretazione alternativa. Non sa proporre altra soluzione' che quella della liquidazione del ricorso al referente, oppure quella che riconosce -il refe rente come entità semiotica ma solo a patto che lo si riduca al significato del segno stesso o di un altro significante rispetto al segno in questione del quale tale significante funge da inter pretante 27• Anche quest'ultima possibilità, suggerita da Eco nel Trattato, non sembra, però, fornire una soluzione adeguata, in quanto la semiotizzazione del referente, equivalendo all'an- 37
nullarsi di quest'ultimo nel significato, sembra ricadere, con equivoco opposto, e per una sorta di storica vendetta, ne « la dannosa identificazione di significato e referente », la
quale si può realizzare non solo riducendo il significato al referente - contro la qual cosa Eco prende giustamente posizione - ma anche riducendo li referente al significato 2a.
Quello che qui si propone è, dunque, un recupero effettivo del referente e della funzione referenziale, che non ricada, però, in qualche modo, in una concezione aristotelica. Infatti, non bisogna credere che la lezione saussuriana abbia fatto eclissare definitivamente un'interpretazione ipostatizzante, metafisica, naturalistica del referente, inteso come dato e causa del significato. Non raccogliendo a fondo la critica a t�le nozione, anche la linguistica che si propone come « moderna » è ... in realtà tutt'altro che aliena dal continuare a prestare fede a concezioni semantico-sintattiche di estrema arcaicità 29• Infatti, i primi tentativi di recupero del referente,
operati nell'ambito semantico, sono assai deludenti, com'è per il triangolo di Ogden e Richards, di cui il referente occupa -uno dei vertici, ma dove la relazione che lega il simbolo al pensiero· ed il pensiero alla cosa resta una relazione causale, senza intendere, quindi, il· pensiero saussuriano. Inoltre, sia i comportamentisti e semiotici come Morris, sia studiosi strutturalisti con forti inclinazioni formalistiche come Antal concepiscono il valore semantico delle parole come un rap porto tra corpi fonici e cose, intese come entità precostituite, come « elementi primari» 30•
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Occorre, insomma, evitare di scavalcare all'indietro la dot trina saussuriana nella sua concezione del sistema, dell'arbi trarietà del segno, della lingua come forma; sicché, l'unica soluzione corretta del problema sembra essere un recupero del referente proprio come termine rispetto al quale soltanto è consentito stabilire tali principi. :È. interessante notare com� una tale possibilità sia offerta dall'ambito dello stesso pen siero saussuriano, anzi dalla sua radicalizzazione: ci riferiamo alla tricotomia forma, sostanza, materia che Hjelmslev prevede tanto per il piano della espressione, quanto per quello del contenuto 31; I primi due termini (forma e sostanza), erano già in
Saussure, che ribadiva, appunto, come la lingua fosse forma e non sostanza. Come si è detto, in conseguenza della conce zione sistemica, Saussure era infatti portato a distinguere l'aspetto relazionale (o formale dell'entità linguistica, da co gliere in base alla considerazione del sistema) da quello, per così dire, concreto (o sostanziale), basato sull'esame · della realtà fonico-acustica delle fonie e su quella psicologica delle significazioni. Questa distinzione tra sostanza e forma, cioè tra concrete fonie e concreti sensi che costituscono, la parole, e le relative classi astratte o formali (rispettivamente, significanti e signi ficati) che, nel loro insieme, formano la lingua, è accolta da Hjelmslev, che esplicitamente differenzia, in ciascuno dei due piani della funzione segnica ( quello dell'espressione, o del significante, e quello del contenuto, o del significato), lo «strato» della forma da quello della sostanza, per ribadire; anche egli, che il segno è generato dalla relazione di inter dipendenza delle sole due forme (forma dell'espressione e· forma del contenuto). A questa distinzione forma/sostanza si aggiunge, però, senza sostituirla, l'opposizione forma/materia, tra elemento attivo, cioè, ed elemento passivo, la cui combinazione genera la sostanza 32• Proprio per sottolineare il carattere formativo, oltre che formale, l'aspetto strutturante, oltre che struttural e della lingua, che conforma linguisticamente la nostra espe rienza del mondo, inattingibile in sé, al di fuori di una qua lunque forma di pensiero (linguistico, figurativo, plastico ecc.) che la organizzi, Hjelmslev introita, insomma, nello schema interpretativo della funzione segnica, un terzo termine (la materia, appunto) cioè l'istanza amorfa prelinguistica, che sul piano del contenuto corrisponde proprio alla suddetta esperienza del reale. La pertinenza linguistica di una considerazione del refe rente, nella sua accezione tradizionale, assunto, però, non più come base di definizione, ma quale oggetto della struttu razione linguistica, ci sembra stabilita, senza incorrere nelle · aporie di una concezione pre-saussuriana. Inoltre, come nota Garroni, viene recuperato... perfino l'ingenuo referenzlalismo 39
che concepisce il segno come segno di qualcosa e in questa sua greve semplificazione esprime tuttavia un'istanza che non può essere trascurata 33, conciliando, in un certo senso, sia il punto di vista tradizionale (che vede il segno come segno di qualcosa), sia quello della linguistica moderna (per la quale il segno è un'unità generata esclusivamente dalla connessione tra un'espressione e un contenuto, senza altri rimandi). Se, intuitivamente, pare che sia vero che un segno è segno di qualcosa, e che questo qualcosa si trova in un certo senso al di fuori del segno stesso 34, la riflessione ci rivela come quest'ultimo si costituisca, in realtà, come segno di un'entità che la lingua stessa ha ritagliato e individuato nel continuum della nostra esperienza (che solo grazie alla lingua si articola, per noi, in oggetti distinti, individuabili come tali). Sicché, trattandosi di un'entità pertinentizzata dalla lingua, viene anch'essa assorbita all'interno del modello complessivo di funzione segnica, tra i cui termini si stabilisce, quindi, anche la relazione riportabile alla consueta funzione denotativa.
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Il modello hjelmsleviano di funzione segnica (di cui ab biamo, per ora, più dettagliatamente esaminato il solo piano del contenuto) ci ha consentito quel recupero del referente, che, particolarmente per i segni iconici, ci pareva indispen sabile. Se la scelta di un modello teorico adeguato costituiva una necessaria premessa logica, ci troviamo, però, a dover ancora affrontare il problema della « specificità » dell'iconismo, a tentare di dar conto, cioè, di quella somiglianza che, a diffe renza della parola, che pure è dotata anch'essa di referente, l'osservatore riscontra tra un'immagine e la cosa raffigurata. La soluzione sembra, così, essere relativa ad una diversità di « natura ». dei segni iconici, rispetto a quelli verbali; un primo contributo 35 di Christian Metz su tale questione sotto lineava, infatti, il carattere analogico dell'immagine, contrap posto a quello convenzionale del linguaggio verbale; ma tale posizione è stata in seguito oggetto di una radicale revi sione da parte dello stesso autore. In Au-delà de fanalogie, l'image, apparso nel '70, Metz, con osservazioni autocritiche,
notava: nei primi numeri di « Communications », certi arti coli relativi ai messaggi visivi (e i nostri in particolare!) avevano il torto di stabilire un'opposizione troppo forte fra « l'analogico » e il « codificato », fino al punto di suggerire che l'analogico escludesse in pieno diritto ogni codice. Questo esempio, come molti altri, dimostra che il fermarsi sull'ico nicità fa pesare su ogni tentativo di semiologia visiva il rischio permanente di una specie di malattia di gioventù 36• Per l'autore, infatti, l'arresto all'iconicità non solo determi nerebbe l'opposizione brutale fra « visivo » e « verbale », ma, inoltre, non potrebbe che avere effetto paralizzante sullo studio dell'immagine, rischiando di isolarla nella contempla zione indefinita della propria iconicità, di staccarla da ogni altra considerazione, di mutilarla dei mille legami che la uniscono alla semiologia generale e a una riflessione sulle culture r1. Sottrarsi alla ·tentazione di iconicizzare troppo l'icona, non vuol dire, comunque, per Metz, negare il carattere analogico dell'immagine. L'analogia iconica è, pur sempre, una nozione da conservare nella misura in cui designa una caratteristica assai evidente di molte immagini 38, anche ammettendo, natu ralmente, variazioni tanto quantitative (i vari gradi di ico nicità), quanto qualitative (la « rassomiglianza » è valutata di� versamente secondo le culture 39). Si tratta, cioè, non di rifiutare tale nozione, ma piuttosto di circostanziarla e rela tivizzarla: L'analogico e il codificato non si oppongono in maniera semplice 40; anzi, come è esplicitamente dichiarato in Langage et cinéma: l'analogia non è il contrario della codi ficazione, è anch'essa ·codificata, anche se i suoi codici ·hanno la caratteristica di essere sentiti come naturali dall'utente sociale: si tratta di tutto un insieme di montaggi psico fisiologici, integrati anche all'attività percettiva, e le cui mo dalità variano notevolmente da una cultura all'altra 41 • Cosic ché occorre condurre il lavoro della semiologia visiva oltre la nozione di analogia ... (altrimenti si potrebbe pensare - con ,una certa esagerazione ironica - che dell'immagine non ci sia più niente da dire se non che è rassomigliante '2), per individuare tanto i codici che si applicano all'analogia
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"' (dunque al di là dell'analogia) quanto quelli (al di qua) che la realizzano. In definitiva, il rapporto dell'immagine col referente non si svolQerebbe, neppure secondo Metz, sulla base di una natu ralistica somiglianza, ma mediante codici: anzi, sotto la coper tura dell'iconicità, al centro dell'iconicità, il messaggio ana logico prenderà a prestito i codici più svariati 43• Prima di tutto verrebbero coinvolti codici percettivi e codici di ricono scimento (l'analogico, fra il resto, è un mezzo di trasferimento di codici: dire che un'immagine assomiglia al suo oggetto significa dire che, proprio grazie a questa rassomiglianza, la decodifica dell'immagine potrà servirsi dei codici che inter venivano nella decodifica dell'oggetto «reale» 44, e, inoltre, la stessa lingua, o meglio il codice delle « denominazioni iconiche» (che costituisce un sistema di corrispondenza fra i tratti pertinenti, che permettono di identificare con l'imma gine una figura visiva ricorrente, e i tratti pertinenti seman tici del lessema... che, in una data lingua, designa l'oggetto riconoscibile, rendendolo così ancor più riconoscibile ◄;)_ Come si vede, sono codici culturali ad essere chiamati in causa: così è per la lingua, e per gli stessi codici percettivi e di riconoscimento, dal momento che anche la somiglianza è qualcosa di codificato, poiché fa ricorso al giudizio di rasso miglianza: col mutare dei tempi e dei luoghi gli uomini non giudicano somiglianti sempre le stesse immagini 46• Sicché, come ha dimostrato una più approfondita verifica; anche la coppia analogico/codificato, supera la presunta opposizione tra i suoi due termini, non risolve il problema della specifi� cità dei segni iconici, che stabiliscono anch'essi, col referente, una relazione niente affatto diretta ma, anzi, mediata, filtrata da convenzioni culturali. D'altronde, a una revisione (benché di segno opposto) è stato costretto anche Eco, partito da posizioni antitetiche, rispetto a quelle di Metz 47, avendo infatti inizialmente riba dito la natura esclusivamente convenzionale e arbitraria dei segni iconici, per ammetterne, poi, il carattere motivato. Nella sua critica ·alla nozione di iconicità operata ne La strut42 tura assente, Eco sostiene che un segno iconico arbitraria-
mente denota una data condizione della percezione, oppure globalmente denota un percetto arbitrariamente ridotto a una configurazione grafica semplificata <8• Dopo questa frettolosa liquidazione dei segni iconici, ri dotti alla stregua degli altri fenomeni arbitrari, Eco, nel Trattato, si sofferma magg,iormente sulla comprensione del l'indubbia differenza che esiste tra la parola cane e l'imma gine di un cane, ribadendo, comunque, che questa differenza non è così chiara come lo vuole la partizione dei segni in ar bitrari (e convenzionali) e iconici 49• Il ripensamento del Trattato riguarda appunto la nozione di «convenzione• che non è coestensiva a quella di « legame arbitrario », ma è comunque coestensiva a quella di legame culturale !>O. Questo perché l'opposizione, secondo Eco,_ si stabilirebbe tra arbi trario vs motivato e tra convenzionale v.s naturale, sicché il carattere di motivazione e quello di convenzionalità non si escluderebbero a vicenda. Essi sono appunto compresenti nei presunti segni iconici che, per Eco, sono culturalmente codi ficati senza per questo assumere che essi siano del tutto arbi trari 51 , e quindi risultano motivati e retti da convenzioni 51• Se il carattere motivato è ciò che caratterizzerebbe speci ficamente i segni iconici, l'aatore sottolinea che, dicendo ciò, non si sta seguendo l'uso comune di asserire che c'è motiva zione quando l'espressione è motivata dall'oggetto del segno! 53 (in tal modo verrebbe infatti reintrodotta nella definizione quella nozione di referente che Eco, come si è visto, considera non pertinente). Ciò che motiva l'organizzazione dell'espressione non è, dunque, l'oggetto, ma il contenuto culturale corrispondente a un dato oggetto 54• In tal modo la motivazione viene portata all'interno �ella stessa funzione segnica, nel senso, cioè, che essa verrebbe a regolare non il rapporto esterno del segno col suo eventuale referente, ma la relazione tra gli stessi due funtivi, espressione e contenuto, della funzione segnica. :t:. certo interessante come Eco cerchi di recuperare, in qualche modo, una specificità dell'iconismo, non in quanto particolare categoria di segni (alla luce, oltretutto, della più generale critica condotta da Eco alla nozione di se�o, quale 43
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correlazione fissa) ma come particolare modo di produrre funzioni segniche, per cogliere il quale bisogna non solo consi derare le modalità di produzione del segnale fisico· ma anche le modalità di correlazione tra i due funtivi, dato che anche questa costituisce un momento della produzione ss. La sud detta « specificità » sarebbe costituita appunto dal fatto che il modo in cui una parola o ,una immagine sono correlate al loro contenuto non sono gli stessi 56 , e ciò perché, nel caso della parola, l'occorrenza espressiva si accorderebbe al pro prio tipo espressivo (e si ha ratio 51 facilis), mentre, nel caso dell'immagine, sarebbe accordata direttamente, in virtù della suddetta motivazione, al proprio contenuto, che funge, dunque, da tipo espressivo (e si ha rntio difficilis). Avere individuato la specificità della funzione segnica ico nica nel legarne motivato che sussisterebbe, al suo interno, tra espressione e contenuto, se consente ad Eco di evitare il richiamo al referente, pur tuttavia mette in crisi la stessa nozione cli funzione segnica, che, se vede in pericolo il suo carattere convenzionale 58, perde comunque l'aspetto arbitrario che le pertiene. F. noto come, per Saussure, il principio fondamentale di tutta la realtà linguistica fosse l'arbitrarietà del segno, e lo stesso Hjelmslev ha ribadito il carattere arbitrario della fun zione semiotica che riunisce forma dell'espressione e forma del contenuto 59 • Anzi, avendo definito la funzione segnica una relazione di reciproca presupposizione, Hjelmslev evita le cri tiche alla concezione convenzionalista dell'arbitrarietà, che si è voluta individuare in Saussure, rivolte dal Benveniste (,(J. Quest'ultimo sosteneva che, essendo il si�ficato unicamente la contropartita del significante, senza corrispondere ad una realtà autonoma, identificabile indipendentemente dalla situa zione segno, il legame tra significante e significato doveva considerarsi necessario e non già convenzionale. In realtà, una tale posizione era tutt'altro che estranea allo stessò Saussure, tant'è che l'uso indiscriminato del termine « conven zionale », quale sinonimo pressoché equivalente di « arbi trario », dal 1894 in poi è evitato... e con delle motivazioni teoriche, in quanto egli giustamente avverte che la conven-
zionalità implica necessariamente una concezione del signi ficato e del significante come due dati sui quali opera secon dariamente la convenzione umana per associarli 61. De Mauro ha messo quindi in evidenza come nella mente e nella esposizione di Saussure coesistessero una lectio facilior, per cui è immotivato il rapporto del significante, in quanto corpo fonico, al significato, in quanto concetto; e una lectio difficilior, un « senso profondo » per cui, « se ci si domanda che cosa sono in se stessi significante e significato, si deve constatare che essi non esistono se non in virtù del loro legame, che è arbitrario, ossia che né l'uno, né l'altro corri sponde ad una realtà precostituita 62• Questa interpretazione del principio dell'arbitrarietà che ribadisce l'esistenza di un legame necessario tra due entità che vivono del loro reciproco farsi, fa apparire la stessa nozione hjelmsleviana di funzione segnica come diretta con seguenza di tale principio. Si comprende, dunque, che l'in terpretazione fornita da Eco della funzione segnica iconica, come basata sulla motivazione, introdurrebbe, rispetto all'ar bitrarietà, una eccezione non trascurabile. Inoltre, Eco prevede la preliminare organizzazione del contenuto in tratti pertinenti che dovranno essere 'proiettati' in un certo continuum espressivo per mezzo di alcune tra sformazioni 63, facendo sì che tale contenuto provochi una sorta di « impressione » sulla materia dell'espressione. Ma in tal-modo il contenuto verrebbe ad essere una entità (cui si subordinerebbe, oltretutto, l'organizzazione dell'espressione) già costituita (in tratti pertinenti), indipendentemente dalla funzione segnica, contraddicendo l'assunto che un'espressione è espressione solo grazie al fatto che è espressione di un contenuto, e un contenuto è un contenuto solo grazie al fatto che è contenuto di un'espressione. Non ci può, dunque, es sere... un contenuto senza un'espressione, né un'espressione senza un contenuto 64• Sicché pare vero che la nozione di fun zione segnica discenda immediatamente (o sia almeno stret tamente le�ata) al principio di arbitrarietà, tant'è che (nono stante si tenti di conservare la suddetta nozione), contravve-. nendo al secondo, si esautora la prima. 45
Tirando le somme di quanto si è osservato fin'ora, siamo in grado di stabilire che la specificità dei segni iconici non può essere riportata né al recupero, sul solo piano del conte nuto, del referente (in quanto ciò è comune anche ad altri tipi di segni), né al rapporto segno-referente (filtrato anch'esso da convenzioni culturali e non puramente e immediatamente analogico), -né, infine, al legame tra espressione e contenuto (che deve rimanere, pena la non utilizzabilità della stessa no zione di funzione segnica, arbitrario in quanto necessario). Da qui l'ipotesi che tale specificità debba rintracciarsi all'interno del piano dell'espressione, che, fino ad ora, abbiamo tralasciato dall'esaminare dettagliatamente. Di questo avviso è Metz, che riferisce appunto la specificità alla natura mate riale (fisica, sensoriale) del significante, o più esattamente, del « tessuto » in cui sono ritagliati i significanti 65 , che costi tuisce la materia dell'espressione e, cioè, il termine corrispon dente, su tale piano, a quella massa linguisticamente amorfa del pensiero che consideriamo, a sua volta, la materia del contenuto. Per Metz, la materia dell'espressione sarebbe, in fatti, la sola che distingue i linguaggi gli uni dagli altri, dal momento che la materia del contenuto, come osserva ancora Hjelmslev, è comune a tutti i fenomeni semiotici, che pos sono prendere i propri significanti da sfere diversissime (visiva, uditiva, ecc.), ma i loro significati appartengono sen1pre e solo alla sfera semantica; a quella « materia » ideale - materia immateriale, se si può dire così -, a questa materia psico-sociologica che è il « senso » 60• Per cui l'autore conclude che, in ogni caso, la specificità dei codici specifici è comunque attinente a certi tratti della materia dell'espres sione e le considerazioni di « materia»..• devono essere rein trodotte nell'esatta misura in cui concernono appunto i codici 67• Per i codici che investono l'« immagine» in quanto tale ( ogni tipo d'immagine) riguardanti, cioè, tutti i linguaggi vi sivi, che sono relativamente numerosi: disegno figurativo, pittura figurativa, affresco, fumetto, disegno animato, tele visione, fotografia, sequenze di fotogrammi ( come i fotoro46 manzi), è pertinente, nella materia dell'espressione, il tratto
della iconicità visiva e questo solo. Questa caratteristica pro pria a tutte le immagini cosiddette reali (non mentali) e « figurative », ossia debolmente schematizzate 611, che costitui
sce, dunque uno « specifico », sebbene di una specificità mol teplice (comune, cioè, come si è visto, a più linguaggi) sarebbe legata ad un tratto pertinente della stessa materia · visiva. Insomma, tutto avviene come se esistessero, in rapporto a
ciascun codice, tratti pertinenti della materia del significante, sebbene in una prospettiva hjelmsleviana ortodossa, questa definizione può sembrare contraddittoria fin nei suoi termini, perché un tratto pertinente, per il fatto stesso d'essere per tinente, diventa un fatto cli forma (o almeno di sostanza) e la materia in quanto tale non può presentare tratti che siano pertinenti 69•
Ma l'aver considerato l'iconicità un dato « a priori » e non il risultato del lavoro della forma nella materia, ha conse guenze tutt'altro che insignificanti: il rapporto forma-materia risulterebbe addirittura capovolto, e quest'ultima, da istanza amorfa prelinguistica, suscettibile di formazione, di qualun que formazione 70, si tramuterebbe in un materiale« 01ientato » specificamente, al punto tale da influenzare la stessa forma. Quest'ultima varierebbe, dunque, a seconda del continuum in cui viene ad iscriversi, ed, infatti, per Metz, la scelta del l'una o dell'altra materia dell'espressione non è affatto cosa indifferente 71• Si contravverrebbe, in tal modo, non solo alla definizione stessa di materia, come si è notato, ma, nuova mente, al principio di arbitrarietà che, oltre a riguardare la relazione interna al segno (e cioè la funzione semiotica che riunisce forma dell'espressione e forma del contenuto) inte ressa anche il rapporto che ciascuno di queste ultime contrae con la rispettiva materia 72, sicché anche il costituirsi del significante formale non può dipendere meccanicamente, de terministicamente, da caratteri fisici o da motivazioni intrin seche del veicolo materiale in cui si manifesta. Più interessante, allora, sarà considerare tale tratto del l'iconicità quale prodotto dell'opera di pertinentizzazione com piuta dalla forma, e in questa direzione ci sembra muoversi il contributo di René Lindekens. Nel suo Eléments pour une 47
sémiotique de la photographie, egli definisce l'iconizzazione del reale un fenomeno capitale... In una forma di civiltà che affida all'immagine, per una gran parte, il compito di rappresentare (re-présenter) il mondo� fenomeno che occorrerebbe però astenersi dal considerare realisticamente o idealisticamente, facendo dell'iconicità, nell'uno dei due casi, un attributo di natura, una specie di ultima incarnazione del reale, nell'altro, trattando l'iconizzazione da significazione pura, da « capacità iconica • dell'immagine ridotta alla sua informazione logica, al suo valore sociale di scambio 73; - Tralasciando le indicazioni specifiche che l'autore fornisce per una semiotica dell'immagine fotografica, è però, metodolo gicamente interessante che egli consideri l'universo iconiz zato un «trasformato» dell'universo reale. L'immagine stabi lisce, infatti, uno scarto rispetto al reale - intendiamoci: al reale referenziale, perché non occorre dire che... la foto grafia nella sua materia specifica, nella sua sostanza e forma proprie, costituisce a sua volta un reale, In parte autonomo, un reale iconico, nel quale, mediante un rapporto di inclu sione, il reale referenziale è iconizzato 74, sicché l'oggetto iconico va considerato nella sua singolarità e nel suo rapporto con l'oggetto iconizzato - che si situa esso stesso In rapporto con l'oggetto visuale che proviene dalla realtà visibile 75• Questi successivi e graduali passaggi trovano una interpre tazione, nel progetto teorico proposto, proprio nella trico tomia hjelmsleviana materia, sostanza, forma. Per materia dell'espressione s'intende appunto la realtà visibile, nella quale il fotografo può prelevare ( a livello fenomenologico) degli oggetti visuali isolati o raggruppati, ecc. 76• La sostanza dell'espressione sarebbe costituita, invece, dal l'oggetto iconizzato; quest'ultimo che è una pre-formaliz-za zione dell'oggetto iconico come tale, In qualità di una prima organizzazione della materia dell'espressione, costituisce l'iconicamente organizzablle, a -un certo livello d'lndifferenzia zione in cui non si può ancora parlare di fotografico opposto a pittorico, ad esempio 77• Come Lindekens si esprime altrove, l'oggetto iconizzato va inteso come uno degli stadi successivi 48 di una trasformazione, come una fase In cui... l'oggetto passa
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da un campo visuale diretto, in un campo visuale indiretto, o più esattamente..., passa in un campo visuale indiretto organizzabile come tale, anche se il lettore non ne ha coscienza 78• La stabilizzazione, nell'iconicità, dell'oggetto iconizzato si ha con l'oggetto iconico; la materia (realtà visibile) diviene sostanza formata, da cui procede la forma dell'espressione fotografica come tale, opposta all'espressione pittorica, per esempio. L'oggetto iconico equivale dunque alla forma del l'Espressione o forma del Significante nella sua iconicità 79• Il passaggio da materia a sostanza e a forma può venire, quindi, interpretato come una serie di successive elaborazioni della realtà visibile (o me�lio, dei dati provenienti da tale realtà), che coinvolgono tanto meccanismi percettivi e psico logici (operanti su tali dati con successive selezioni) quanto, ovviamente, i procedimenti tecnici che permettono di realiz zare l'oggetto iconico (relativi, ad esempio, nel caso specifico, alla mutazione dell'immagine attiva nell'immagine argentica del negativo e alla sua traduzione, mediante ulteriori trasfor� mazioni, in positivo). Inoltre Lindekens, pur limitandosi ad un dettagliato esame del solo piano dell'espressione (riservando per uno stadio ul teriore delle.. ricerche l'analisi del contenuto dell'immagine fotografica 80) è partito dalla formulazione dell'ipotesi preli-. minare che il senso di una immagine fotografica dipende, per una parte almeno, dall'iconizzazione degli oggetti di cui essa è la somma figurale e che vi sono inoltre rappresentati ana logicamente, a gradi diversi di rassomiglianza 81• Da ciò la necessità, per Lindekens, di approfondire l'esame di tale fe nomeno che, quindi, oltre ad interessare specificamente il piano dell'espressione, non può non riflettersi sul piano del contenuto, dal momento che il mutarsi dell'oggetto iconizzato in oggetto iconico, senza poter escludere il reale, gli impone, in ogni caso, almeno degli effetti di senso iconico 82• La messa in immagine o iconizzazione degli oggetti del mondo 83, dunque, dando luogo a un percetto del mondo che non deve più l'esstnziale del suo senso al solo analogon del l'immagine 84 non ci consente di ridurre alla significazione 49
informativa, anàlo0ica, il senso iconico dell'immagine, che, quale insieme complesso, in cui si trovano contaminati codici linguistici e antropologici, si pone in un rapporto di implica zione, che resta da definire, con wta significazione identifica trice (informativa) e una significazione linguistica ( concet tuale) implicitamente o esplicitamente verbalizzata 85•
E. evidente quali interessanti indicazioni possono trarsi dal progetto semiologico di Lindekens: anzitutto, il recupero del referente, relativamente ai suoi aspetti visivi, anche sul piano dell'espressione, il che ci permette di stabilire, per l'intera categoria dei segni iconici, una duplice pre,senza del referente, o meglio, un suo sdoppiamento, in un «senso» (costituente la materia del contenuto) e in un complesso di dati sensibili (che confluirebbero nella materia dell'espressione; la quale, per i segni linguistici, si identifica, invece, semplicemente con il continuum sonoro inanalizzato, o con l'insieme delle possi bilità fonico-articolatorie dell'uomo). Una simile interpretazione dei fenomeni iconici ci sembra, d'altronde, correttamente consentita dal modello hjelmsle viano, avendo l'autore più volte ribadito non solo la struttura zione simmetrica dei due piani, ma anzi l'esistenza di una situazione... analoga per l'espressione e per il contenuto, al punto da sottolineare questo parallelismo ricorrendo per entrambi alla stessa terminologia, parlando, appunto, accanto ad un senso del contenuto, di un senso dell'espressione senza lasciarci trattenere dal fatto che la designazione non è usuale 86 (proprio in base a tali premesse si è potuto rimproverare a Hjelmslev la sproporzione che, invece, si può riscontrare tra la materia del contenuto, includente l'intero reale, e quella dell'espressione, relativa a un settore estremamente limi tato dell'universo, e cioè a un determinato inventario di suoni 17). Ma, soprattutto, la presenza del referente su entrambi i piani appare legittimata dal fatto che, a seguito della sum menzionata simmetria, Hjelmslev prevedeva che anche l'aspet to referenziale del segno dovesse essere raddoppiato: si dovrà dire addirittura che il segno è segno di qpalcosa in un du50
plice senso 88, per quanto ciò possa sembrare paradossale,
non sussistendo nessuna ragione per considerare il segno sol-. tanto come segno della sostanza del contenuto o... soltanto come· segno della sostanza dell'espressione. Il segno è una entità a due facce che guarda, come Giano, in due direzioni, e si volge « all'esterno » verso la sostanza dell'espressione, e « all'interno » verso la sostanza del contenuto 89._ Alla luce ancora del parallelismo dei due piani, il referente, se è posto da Lindekens alla base di un processo di trasforma zione che porta, sul piano dell'espressione, all'oggetto iconico, o forma del Significante, può assumersi, per ciò che riguarda il suo senso preculturale, quale punto di partenza di un ana logo processo di trasfo_rmazione, che si conclude col signifi� cato; processo, quest'ultimo, che, come si è notato a propo-. sito del senso iconico, non è oltretutto, per la correlazione esistente tra i due piani, indipendente dal primo. Entrambe, inoltre, richiedono un passaggio intermedio; anche il recupero del referenzialismo può verificarsi, infatti, solo a certe condizioni, costituite dai « livelli ,. della sostanza, senùotica, che prevedono una mediazione tra il livello fisico, o della « cosa », e la forma, mediazione operata da un livello valutativo o « sostanza semiotica immediata,. 90• Hjelmslev è partito dall'osservazione che, per cogliere il · significato di un termine, non ci si può basare sulla descri zione fisica della cosa significata, dal momento che una sola e medesima « cosa » fisica può ricevere delle descrizioni se mantiche ben differenti, a seconda della civiltà considerata. Il che non vale solamente per i termini di valutazione imme diata, come 'buono' e 'cattivo', né solamente per le cose create direttamente dalla civiltà, come 'casa', 'sedia', 're', ma per gli stessi oggetti naturali 91• Per caratterizzare utilmente l'uso semantico adottato in una comunità linguistica, occorre richiamarsi piuttosto a le valutazioni adottate da questa comunità, gli apprezzamenti collettivi, l'opinione sociale 92; sicché, la stessa sostanza imme diata del contenuto sembra consistere in degli elementi di valutazione, cioè, in altri termini, il suo livello primario, immediato perché solo direttamente pertinente dal punto di vista linguistico e antropologico, è un livello di valutazione 51
sociale 93 • Assunto là cui portata "fu chiaramente intuita dallo stesso Hjelmslev, il quale osserva che se questo risultato è stato raggiunto sopratutto mediante un esame del linguaggio, esso potrà facilmente essere generalizzato, in modo da valere come principio per non importa quale semiotica 94• Questo livello di valutazione sociale (corrispondente , sul l'altro piano, al livello appercettivo, anch'esso, analogamente, di natura valutativa), è, dunque, gerarchicamente privilegiato rispetto a quello meramente referenziale 95• Anzi, sembra operare da vero e proprio filtro selezionatore nei confronti del referente, dal momento che arbitrariamente mette in evi denza certe qualità attribuite di !)referenza... all'oggetto considerato 96. :· 1=. tale filtro ·a determinare, con le sue variazioni, quegli slittamenti,. mutamenti e stratificaziòni di sensi che si veri ficano solitamente in un segno '17, pur senza incidere, ovvia mente; sulla struttura formale di quest'ultimo, che resta inva riata. Ma la nostra ipotesi è che tale fattore antropologico culturale, se interviene nell'uso comunicativo (la cui com prensione richiede, come abbiamo visto, il ricorso a una simile considerazione), tanto più viene coinvolto nel momento della produzione· segnica, dove, nel nostro caso, per tramutarsi in segno iconico; il referente, visto ormai anch'esso come entità a due facce, passa per il vaglio della generale cultura ·della società è/o· di quella particolare dell'artista, la quale condi ziona i meccanismi, percettivi su di un piano e psicologici sull'altro, e gli stessi procedimenti tecnici e metodi rappresen tativi, che vengono impegnati nella costruzione dell'immagine e. del suo còntenuto. Da qui la necessità di dare il giusto peso, anche in un approccio di tipo semiologico ai messaggi visivi, all'azione di tàle filtro; anzi; per Hjelmslev, il primo dovere... del semio logo, ·quando si accinge all'esame del concreto atto comuni cativo, consiste nel descrivere quello che abbiamo chiamato il livello di valutazione collettiva, seguendo i corpi di dottrina e· d'opinione adottati nelle tradizioni e gli usi della società considerata 98, spingendosi, dunque, al di là del semplice si52 gnificato referenziale (o pre-iconog;rafico, diremmo con Pa-
nofsky), per cogliere il senso culturale (o iconologico) che dal primo si sviluppa. In conclusione, siamo in grado di rivedere, alla luce delle_ considerazioni svolte, la stessa nozione ingenua di iconismo. Sembra vero che la specificità di questa categoria di segni riguarda in un certo senso il rapporto che essi instaurano col referente; ma non in quanto essi possano basare la loro defi nizione su tale termine extra-linguistico, facendovi dipendere l'organizzaziòne formale che, al contrario, ne pertinentizza i dati arbitrariamente, in funzione, cioè, della sola produzione segnica e non dei dati stessi. Piuttosto, ci sembra che occorra· considerare la proprietà, che hanno i segni ico:riici, di �ussu mere il referente quale materia non solo del piano del cono tenuto, ma anche, per i suoi aspetti sensibili, del piano del l'espressione. Riassumendo la nostra proposta·, questa si può così sin tetizzare: a) mai dimenticando che ciò che pertiene la semiosi è il segno, abbiamo recuperato, però, in uno schema più allar gato, considerazioni relative anche a realtà extra-semiotiche quali il filtro culturale e il referente; a queste ultime abbiamo esteso lo stesso sdoppiamento che è �onsentito, in sede ana litica, anche per il segno, in una componente « significante » e. in una componente « significato », ovverosia, nel nost_ro caso, in una parte visiva e in una parte concettuale. b) Tale articolazione ampliata (ed estesa, ripetiamo, a realtà extra-semiotiche), ci consente di evitare ogni rimando esterno, introitando nello stesso schema il rapporto di deno� tazione (equivalente per i sistemi iconici a quello di rappre sentazione). Infatti, se nella produzione segnica la modalità culturali di rappresentazione, applicate alla sensazione del referente, servono a « conformare » il segno ( ovviamente la sua parte visiva, il suo «significante» concreto), questo, a sua volta, nella comunicazione, grazie a quelle modalità, rap presenta (esprime, denota) il referente (ormai nei suoi aspetti percettivi pertinentizzati). Analogamente, se le valenze con cettuali delle modalità di rappresentazione, applicate nella produzione segnica, al senso pre-culturale del referent�, con- 53
sentono il passaggio al concetto figurativo (ovvero al concreto «significato»), questo, a sua volta, nella comunicazione, rap presenta (esprime, denota) il referente (ormai nei suoi aspetti semantici pertinentizzati). Quanto s'è detto dovrebbe essere valido per tutti i sistemi iconici; lo studio della loro struttura specifica, che essendo appunto indipendente dal comune dato referenziale di par tenza, li differenzia, rientra, invece, in un altro tipo d'indagine, che può trovare nell'ipotesi qui formulata un'utile premessa.
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1 Parliamo di comunicazione, anziché di significazione, in quanto, senza soffermarci specificamente sulle distinzioni esistenti, faremo gene ralmente riferimento alle immagini quale segni «volontari». 2 Il termine allude al fatto che, secondo alcuni, «dal punto di vista dei canali coinvolti, non vi è dubbio che i fenomeni iconici non siano affatto caratteristica esclusiva dei fatti visivi, ma che invece trovino posto anche nel campo del sonoro, del gestuale e di altri media più astratti •· (U. VoLl.I, Analisi semiotica della comunicazione iconica, in «Ikon,. n. 95, 1975). Qui, però, ci limiteremo ai soli sistemi visivi. l Cfr. C. S. PEIRCE, Collected Papers, Harvard Un. Press., Cambridge 1931-35, 11. 4 Cfr. C. MoRRis, Signs , Language and Behavior, Prentice Hall, New York 1946. s R. LINDEKENS, E:léments pour une sémiotique de la photographie, Aimav, Bruxelles, Didier, Paris, 1971, p. 8 (le osservazioni di Lindekens, pur essendo relative specificamente all'immagine fotografica, ci sem brano legittimamente generalizzabili; l'autore, a sua volta, cita J. J. GIB SON, Théorie de la perception picturale, in Signe, lmage, Symbole, La Connaissance, Bruxelles, 1968. 6 Cfr. L. HJELMSLEV, Omkring Sprogteoriens Grundlaeggelse, Koben havn, 1943; trad. it., / fondamenti della teoria del linguaggio, Einaudi Torino, 1968. 7 Cfr. ad es., P. VALESIO, Icone e schemi nelle strutture della lingua, in «Lingua e Stile"• n. 3, 1967. Per il Valesio «è possibile distinguere due tipi fondamentali di relazioni fra signans e signatum nei simboli linguistici... Nel primo tipo la relazione è completamente convenzionale o «arbitraria•: le relazioni di questo tipo, le quali costituiscono l'og getto tradizionale e fondamentale dell'analisi linguistica, possono essere chiamate schemi ». I meccanismi convenzionali, diversi da un codice linguistico all'altro, da cui si originerebbero gli schemi, « sono gli ele menti della struttura linguistica che colpiscono maggiormente l'atten zione, sia del profano, sia del linguista, e che, quindi, hanno attratto, fino ad ora, più ricerche di quel che abbiano fatto le icone •· Ma il loro studio non esaurirebbe affatto il fenomeno linguistico; esisterebbe, in fatti, un secondo tipo di relazioni, non completamente convenzionali, in quanto «la struttura del signans mostra certi aspetti della struttura del signatum, cosicché si può parlare, in questo caso, di un tipo di rappresentazione linguistica realistica; le relazioni di questo tipo pos sono essere chiamate icone•• e si riscontrerebbero soprattutto «ai livelli più profondi della struttura linguistica, i livelli morfologico e sintat• tico... In effetti, i processi fondamentali della morfologia (derivazione
e flessione) hanno un valore iconico, poiché la frammentazione e la combinazione dei signantes può essere considerata come una rappresen tazione realistica della frammentazione e della combinazione dei si gnata: .. Quanto alla sintassi, la successione di elementi in una frase può essere considerata, da un punto di vista generale, come un modo reali stico di raffigurare la successione di signata ». Secondo il Valesio, insomma, • nella lingua umana esiste una dialettica di icone e di schemi, come· due tipi di relazioni linguistiche intimamente connesse nella struttura della lingua». Cosicché egli propone uno studio iconico della lingua, . sicuro che questo «possa aprire nuove prospettive all'analisi delle relazioni tra forma e significato e, in particolare, possa portar e. a un nuovo orientamento di tutta la discussione scientifica sul secolare problema dell'arbitrarietà dei segni linguistici "· s Una tale conclusione potrebbe trarsi, secondo Umberto Eco, dalla stessa definizione data da Morris di segno iconico, quale segno che possiede alcune proprietà dell'oggetto rappresentato o, meglio, che ha le proprietà dei suoi denotata .Riprendendo solo alcune proprietà, l'ico nicità sarebbe materia di graduazione: «il ritratto di una persona è iconico sino a un certo punto, ma non lo è completamente, perché la tela dipinta non ha la struttura della pelle, né la facoltà di parlare e di muoversi che ha la persona ritratta. Una pellicola cinematografica è più iconica, ma non lo è completamente»; sicché, estremizzando il discorso, • un segno completamente iconico... è esso stesso un deno tatum». Da ciò deriverebbe, quindi, che solo l'oggetto medesimo, o un suo «doppio», nei termini di Eco) potrebbe correttamente considerarsi l'icona di se stesso, per cui, ovviamente, la categoria dell'iconico si appiat• tirebbe sino ad annullarsi. (Cfr. U. Eco, La struttura assente, Bompiani, Milano 1968, pp. 110-11). Conclusione che, lungi dallo spaventare Eco, è quella da lui stesso proposta ancora nel Trattato di semiotica generale, (Bompiani, Milano 1975): «il termine-ombrello di iconismo copre diversi fenomeni: alcuni non hanno nulla a che fare con la significazione..., altri si dispongono lungo un continuo di graduazioni da un minimo di convenzionalità... sino a un massimo di stilizzazione,. (p. 274). Constatata l'eterogeneità dei fenomeni, ·«a questo punto, di fronte a delle risul tanze cosi deludenti, sembra possibile una sola decisione: la categoria di iconismo non serve a nulla, confonde le idee perché non definisce un solo fenomeno e non definisce solo fenomeni semiotici. L'iconismo rappresenta una collezione di fenomeni messi insieme, se non a caso, almeno con grande larghezza di idee così come probabilmente nel Medio Evo la parola pestilenza copriva una serie di malattie diversis sime,- (p. 282). 9 U. Vour, Some possible developments of the concept of iconism, in «Versus», n. 3, 1972. 10 Ibidem. Dello stesso autore abbiamo già citato l'interessante sag gio: Analisi semiotica della comunicazione iconica, che non abbiamo modo di discutere qui. In esso, dopo aver criticato la circolarità della definizione morrisiana di segno iconico, si propone uno studio della comunicazione iconica che si avvalga degli strumenti della logica mate matica. Per il Volli, tralasciando come «pericolosa,. e •innaturale,. la nozione di segno iconico, occorrerebbe, dunque, parlare di funzione se gnica iconica, che è quella relazione che si stabilisce tra due insiemi, caratterizzata dal fatto che, a parti pertinenti, cultùralmente riconosciute del primo, e alle parti pertinenti di queste parti..., corrispondono parti del secondo, nel giusto ordine. 11 U. Eco, Trattato di semiotica generale, cit., pag. 91. 12 Cfr., ad es., la concezione biblica: fiat lux, dice l'Onnipotente, e la luce viene creata.
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· 13 A. MARTINET, Élémetits de linguistique générale, Parigi 1960-, pag. 15. · 14 T. DE MAURO, Introdu..ione alla semantica, Laterza, Bari, 1970, • · ·pag. 42. · 1s Cfr. nuovamente la concezione biblica del libro della Genesi: ·• formati, dunque... tutti gli esseri animati della terra, e tutti quanti i yolatili del cielo, li condusse ad Adamo per vedere che cosa chiamarli; tutto infatti quel che... Adamo chiamò, quello è il suo nome. E Adamo chiamò col loro nome tutti gli esseri animati e tutti i volatili del cielo e tutte le bestie della terra». Ma una tale concezione è presente anche nella cultura greca pre-aristotelica: con Eraclito il nome sembra ancora ·considerato una qualità obiettivamente inerente alla cosa. 16 T. DE MAURO, La parola nella storia, in « Terzo Programma», N. I, 1966, ma cfr. anche, delio stesso autore, Introdul.ione alla semantica, cit., pag. 43. 17 L. HJELMSLEV, I fondamenti, cit., pag. 64. 11 Com'è noto, la concezione linguistica aristotelica era stata in parte ·dettata dalla necessità contingente di garantire i fondamenti logici, su cui poggiava l'ordinamento etico, politico e sociale dello stato, dagli attacchi dello scetticismo « sofista» o « naturalista». 19 Nella grammatica razionalistica di Port-Royal si ritrova, infatti, l'assunto che « gli oggetti del nostro pensiero sono o le cose, come la terra, il sole, l'acqua, il bosco, quello che solitamente si chiama -sostanza, o la maniera delle cose, come l'essere rotondo, l'essere duro, l'essere sapiente, etc., quello che si chiama accidente. (A. ARNAULD, C. l.ANCELOT, Grammaire générale et raisonnée de Port-Royal, Parigi 1810, 271). ·pag. · 20 Per « il Wittgenstein del Tractatus, la parola è immagine della cosa:· tra oggetto e segno esiste una corrispondenza perfetta...' Il nome .- scrive Wittgenstein - significa l'oggetto. L'oggetto è il suo significato (3.203) ». (Cfr. A. PONZIO, Fenomenologia del significato, in « Aut Aut•• · .marzo 1967, N. 981. 21 In ambito linguistico da Saussure, Trier, Hjelmslev, Martinet, in quello filosofico dal secondo Wittgenstein. 22 F. DE SAUSSURE, Corso di linguistica generale, Laterza, Bari 1970, pag. 410. 23 Ibidem. 24 A. PONZIO, La semiotica in Italia, Dedalo, Bari 1976, p·.· 73. 25 U. Eco, La struttura assente, cit., p. 33. 26 Sono note le accuse di Maldonado, per il quale « nessuna delle pregevoli qualità espositive di Eco - né la sua versatilità, né là sua in gegnosità, né la sua plasticità - riesce a nascondere l'oltranzismo idea listico della sua filosofia». · (T. MALOONADO, Avanguardia e razionalità, · Bompiani, Milano 1974, p. 282). TI A. PONZIO, Op. cit., pp. 82-83. 21 Ivi, pp. 94-95. 29 T. DE MAURO, Op. cit., p. 192; (cfr. anche, dello stesso autore, le Note a F. DE SAUSSURE, Op. cit., pp. 408-409). JO Ivi, p. 183. 31 Una lettura di segno opposto del pensiero hjelmslevianc f è fornita ·da Barilli, che propone il linguista danese « come il più valido esempio, .nel nostro tempo, cli una assenza neo-razionalistica». (R. BARILLI, Tra presenza e assenza, Bompiani, Milano 1974, pag. 126). Per il Barilli, in .fatti, la suddivisione cli ciascun piano, in forma e materia o sostanza (la distinzione tra questi due ultimi termini non è affatto specificata) risponderebbe alla « illusione che basti moltiplicare i passaggi intermedi per allontanare indefinitamente il temuto momento di fissare uil anco raggio su qualcosa di altro dalle forme• ·(p. 134).
• 32 La distinzione tra sostanza e materia è portata a pertinenza HJelmslev solo nel saggio: La stratification du langage, in «Word», X, 1954. Cfr., in proposito, l'interessante studio di G. GRAFFl, Struttura, forma e sostanza in Hjelmslev, Il Mulino, Bologna 1974. 33 E. GARRONI, Progetto di semiotica, Laterza, Bari 1972, p. 173. 34 L. HrnLMSLEV, / fondamenti, cit., p. 34. . � Cfr. ad es., C. METz, Le cinéma: langue ou langage?, in « Commu mcalions », n. 4, 1964 . .l6 C. METZ, Au-delà de ['analogie, l'image, in «·communications», n. 15, 1970, ripubbl. in C. M.rrrz, La significazione nel cinema, (da cui citiamo), Bompiani, Milano 19n, p. 128. · 37 lvi, p. 131. 38 lvi, pp. 137-8. 39 Ivi, p. 136. 40 Ivi, p. 128. 41 C. METZ, Langage et cinema, Librairie Lanouse, 1971; trad. it., Linguaggio e cinema, Bompiani, Milano 1977, p. 233. 42 C. METZ, La significazione nel cinema, cit., p. 138. 4l Ivi, p. 128.
44 Ibidem.
45 C. MEr.l, Linguaggio e Cinema, cit., p. 233. Esemplificando: « allo spettatore di lingua italiana basta vedere sullo schermo un quadrupede dalla corsa rapida e dal pelame rigato per pensare « zebra », senza aver bisogno di più ampie informazioni visive »; quindi, « il riconoscimento non avviene a: partire dall'insieme dell'immagine, ma solo dai tratti pertinenti del significante iconico, che corrispondono, a loro volta ai tratti pertinenti del significato linguistico» (p. 205). Metz si richiama cosi, apertamente alle analisi di A. J. GREIMAS, (cfr. Del senso, Bompiani, Milano 1975), e di U. Eco, (cfr. La struttura assente, cit.,•in part. p. 114), avvicinandosi notevolmente alla posizione, inizialmente antitetica, di quest "ultimo. 46 C. METZ, La significazione nel cinema, cit., pp. 128-129. 47 L'avere rapportato la posizione di Eco a quella di Metz non è casuale, in quanto, secondo Calabrese, « concretamente, il problema dei segni iconici cominciò a porsi solo a proposito della validità di una semiotica del cinema, e a proposito della applicabilità delle categorie della linguistica generale allo studio del film... Nel dibattito che coinvolse fra il 1964 e il 1968 Christian Metz, Pier Paolo Pasolini, Emilio Garroni, Gianfranco Bettetini, Eco individuava neJJa ristrettezza del problema del la doppia articolazione e della motivazione i termini che avevano isteri lito il dibattito... Risulta evidente, in questo quadro, che Eco dovesse attaccare qualsiasi accenno alla motivazione, ivi compresa l'ancora ma lintesa categoria di similarità proposta da Peirce •· Insomma, secondo Calabrese, « le diversità di impostazione del problema dei segni iconici in Umberto Eco non dipendono probabilmente da sue oscillazioni teoriche, ma dalla diversità stessa delle questioni di fondo proposte dal dibattito teorico in corso nei vari momenti in cui i suoi testi sono apparsi. Ecco allora che certe debolezze e contraddittorietà de La strullura assente, per esempio, vanno ricondotte alla... discussione imperniata intorno alla querelle fra sostenitori e detrattori dell'esistenza di uno « specifico linguaggio cinematografico», che, fra gli altri, ha impegnato anzitutto Metz. (0. CALABRESE, Arti figurative e linguaggio, Guaraldi, Firenze 1977, pp. 28-29). 48 U. Eco, La struttura assente, cit., p. 114. 49 U. Eco, Trattato, cit., p. 255. .lO lvi, p. 256. s1 lvi, p. 257.
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Ivi, p. 282. S3 Ivi, p. 247. 54 Ivi, p. 272. 55 Ivi, p. 256. 56 Ibidem. 57 Col termine « ratio » si indica il rapporto che si stabilisce tra tipo e occorrenza ( « type-token-ratio »). sa La funzione segnica iconica apparterrebbe, secondo lo stesso Eco, a quelle « situazoni in cui la motivazione esercitata dal contenuto sull'espressione sembra essere cosi forte da sfidare ... la stessa nozione di funzione segnica come correlazione codificata» (Trattato, cit., p. 251). Per Eco « l'unico modo di mantenere valida la prima definizione è di mostrare che anche nel caso dei segni motivati la correlazione è posta per convenzione» (p. 256). Quando, ad esempio, un pittore ha comin ciato a lavorare ad un quadro, egli ha dovuto inventare una nuova funzione segnica, e poiché ogni funzione segnica è basata di un codice, ha dovuto proporre un nuovo modo di codificare, e quindi una nuova correlazione. Quest'ultima, non potendosi fondare su una convenzione, che non esiste ancora, dovrà basarsi « su qualche motivazone evidente, per esempio uno stimolo. Se l'espressione come stimolo riesce a dirigere l'attenzione verso certi elementi del contenuto da suggerire, la correla zione è posta (e, après-coup, potrà persino venir riconosciuta come ·nuova convenzione)» (p. 253). 59 L. HJ'lluVISLEV, La stratifìcation du langage, cit., p. 174. 60 Cfr. E. BENVENISTE, Natura del segno linguistico, in Problemi di linguistica generale, il Saggiatore, Milano 1971. 61 T. DE MAURO, Note a F. DE SAUSSURE; Op. cit., p. 413. 62 T. DE MAURO, Introduzione alla semantica, cit., p. 136. (A sua volta De Mauro cita R. GODEI., Nouveaux documents saussuriens: les cahiers E. Constantin, « Cahiers F. de Saussure », 16, 1958-1959, p. 31). 63 U. Eco, Trattato, cit., p. 253. 64 L. HJELMSLEV, I fondamenti, cit., p. 53. 65 C. METZ, Linguaggio e cinema, cit., p. 213. 66 Ivi, pp. 216-217. 67 Ivi, p. 224. 68 lvi, pp. 232-233. 69 Ivi, p. 227. 70 L. HJELMSLEV, I fondamenti, cit., p. 82. 71 C. METz, Linguaggio e cinema, cit., p. 224. n Hjelmslev notava, a tale proposito: « questo fatto... ·rivela un'ana logia tra la funzione semiotica e la manifestazione» (La strati'[ication, cit., p. 174). 73 R. LINDEXENS, Op. cit., p. 84. 74 Ivi, p. 11. 75 Ibidem. 76 Ivi, p. 264. 77 Ibidem. 78 Ivi, p. 105. 79 Ivi, p. 264. 80 Ibidem. a1 Ivi, p. 263. 82 Ivi, p. 113. 83 Ivi, p. 112. 84 Ivi, p. 11. 85 Ivi, p. 262. 86 L. HJELMSLEV, I fondamenti, cit., p. 61. 87 L'appunto è mosso a Hjelmslev da E. Fischer-Jrgensen; cfr., in 52
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proposito, B. MALMBERG, La linguistica contemporanea, il Mulino, Bo logna 1972, p. 217. 88 E. GARRONI, Op. cit., p. 173. 89 L. HJEI.MSLEV, I fondamenti, cit., p. 63. 90 E. GARRONI, Op. cit., p. 173 e nota. Per Hjelmslev « una stessa so stanza comporta a sua volta più aspetti, o, come preferiamo dire, più livelli» (La stratification, cit., p. 175). Hielmslev ne individua, tanto per la sostanza del contenuto, che per quella dell'espressione, tre: il livello fisico (della cosa significata, corispondente a quello, detto anche acu stico, dei suoni), il livello socio-biologico (relativo ai meccanismi psico fisiologici su di un piano e a quelli articolatori sull'altro); e il livello valutativo (dell'opinione sociale e dell'appercezione) -che costituisce· « la sostanza per eccellenza, la sola sostanza... che dal punto di vista semio tico sia immediatamente pertinente,. (p. 177). Come nota Hjelmslev, la presenza di tali livelli » è un fatto molto importante, ma forse mal studiato» (p. 175): « Sembrerebbe che i livelli costituiscano, senza rife rimento alla sostanza considerata, un sistema universale» (p. 179). La considerazione di tali livelli, sebbene poco sviluppata dallo stesso autore, è in grado, dunque, di fornire numerosi e interessanti spunti ad un'analisi semiotica. 91 L. HJELMSLEV, La stratification, cit., p. 176. 92 Ivi, p. 175. 93 Ivi, p. 176.
94 Ibidem.
95 « Ogni sostanza semiotica... comporta più livelli, tra i quali vi sono naturalmente delle funzioni definite e un ordine gerarchico. Sembrerebbe che il livello che è a capo di questo ordine gerarchico è il livello di valutazione collettiva,. (HJELMSLEV, La stratification, cit., p. 177). 96 Ivi, p. 176. 'fl Hjelmslev si limita solo ad alcune indicazioni: « come semplice . accenno, diciamo che il metodo che consiste nel descrivere il livello di valutazione sociale, presenta anche il vantaggio, indispensabile per il linguista, di poter rendere conto sufficientemente delle 'metafore', che in qualche caso giuocano un ruolo almeno altrettanto considere vole che il « senso proprio», e che per lo più derivano per l'appunto da una tale valutazione collettiva» (ivi, p. 176). 98 Ivi, p. 177.
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Storia dell' arte, storia delle cose A. CASCAVILLA, A. D'AVOSSA, R. DE ROSA, A. TRIMARCO
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Civiltà materiale, vita quotidiana, cultura materiale sono nozioni ricorrenti nella storia e nelle altre scienze umane da diversi anni, oramai lo sappiamo. Così come si è consa pevoli (e lo hanno sottolineato di recente Bucaille e Pesez) dell'incertezza semantica che accompagna questi dispositivi, del loro alone d'indeterminatezza. Insomma, si. può dire subito che, nonostante il suo significato globale appaia evi� dente ..., la nozione di cultura materiale continua ad essere, di fatto, imprecisa e insieme contraddistinta dall'illusione della trasparenza; essa è comunque carica d'un insieme di connotazioni abbastanza diverse, di cui sembra non siano stati ancora fatti né la recensione particolareggiata né il bilancio 1• Bilancio che, appunto, tentano i nostr,i · autori: recensione per certi versi puntuale perché coglie la storia semantica della cultura materiale dalla preistoria ai suoi arrangiamenti nell'area dell'archeologia, della storia econo mica e sociale, della storia delle tecniche, ma per un altro lato (che è quello che ora ci interessa) assai deludente. De ludente perché in questa sfilata la storia dell'arte viene nuovamente rimossa. Il destino della storia dell'arte nei confronti della cultura materiale o della storia delle cose (se si preferisce) è dav vero singolare: ora si dice, con risibile boutade, che la Cap pella Sistina vale quanto un cassettone (poco più poco meno) ora, per via di un altro delirio, si riafferma la poesia della Pittura o dell'Architettura contro la prosa dell'oggetto. Non
si esce, cioè, dalla svista di un materialismo ingenuo o dalla grandeur dell'idealismo. 1. Supponiamo che il nostro concetto di arte possa essere esteso a- comprendere, oltre alle tante cose belle, poetiche e non utili di questo mondo, tutti in generale i manufatti, dagli arnesi di lavoro alle scritture 2• Non c'è dubbio che lo sfondamento dei confini teorici della storia dell'arte, proposto da Kubler negli anni '70, si avvale di strumenti e di tecniche, di concetti e di analisi dell'universo antropologico: un esercizio che non comporta solamente la consueta verifica interdisciplinare ma implica, radicalmente, la possibilità di ribaltare il punto di vista, di passare dalla storia dell'arte come storia dei prodotti alti ad una più generale storia delle cose. Nel 1975 Kubler, sfidando i colleghi americani, critica quella che sembrava ormai la parola d'ordine, la massima teorizzata negli anni 'SO da Phillips e Willey e definitiva mente consacrata nel 1970: L'archèologia americana o è an tropologia o non è niente 3• In realtà, questa formula, asse rita con tanta certezza, riesce solo a. testimoniare l'assenza di un metodo specifico al quale l'archeologia possa riferirsi e l'urgenza di individuare una teoria alla quale ricollegarsi. Comunque viene indicata come teoria altra l'antropologia generale. E tuttavia· è inevitabile che il credo americanista ponga subito degli interrogativi relativi all'analisi e alla dif ferenziazione dei prodotti di scavo e alla classificazione dei reperti archeologici. . Questi problemi, secondo Kubler, possono essere risolti solo se si accetta di trasformare tale formula in· un'ipotesi meno dogmatica e più aperta: l'archeologia del Nuovo Mondo è tanto antropologia quanto tutto quello che non è incluso nell'antropologia 4• Si tratta, in tal caso, di far reagire la sto ria dell'arte e l'antropologia in un'ipotesi di etnostoria, dové i modelli dell'antropologia· (la differenziazione nello spazio e l'individuazione delle culture altre) si accompagnino ai mos delli storici di differenziazione nel tempo tra culture diverse ma· anche tra momenti diversi della stessa cultura. 61
Evidentemente Kubler sospetta che l'antropologia sia sprovvista di strumenti di analisi storica - la sua critica investe soprattutto il funzionalismo malinowskiano degli anni '40 e le sue basi antistoriche - e in questa direzione l'esempio dell'analogia etnologica, un modello poco attento alle questioni delle lunghe durate e ai problemi relativi ai meccanismi di mutamento culturale, viene indicato come il caso più esemplare delle procedure antropologiche. Così l'urgenza di riguadagnare i momenti della storia conduce l'autore all'interno delle discipline da sempre preoccupate di elaborare teorie relative al tempo storico (quelle umani stiche), mentre su un altro versante l'antropologia stessa viene riattraversata per individuare le tappe di una rifles sione sui problemi della cultura (Kroeber sarà infatti un punto di riferimento centrale). Senza dubbio l'antropologia, attenta alle differenze nello spazio tra culture diverse e dunque non omogenee, aprendosi ai problemi del tempo storico, non può non rilevare l'insuf ficienza dei modelli tradizionali della storia dell'arte quasi sempre giocati sulla continuità dei temi e delle forme, sul l'ipotesi evoluzionistica di un progresso per accrescimento e non per cambiamento, sulla rimozione del discontinuo, degli intervalli e delle cesure. L'elemento di rottura e di messa in discussione di tali procedure, nel percorso kubleriano, di venta la panofskiana nozione di disgiunzione 5 che, usata originariamente per caratterizzare il rapporto tra l'arte clas sica· e il medioevo, viene ora indicata come il modello dello sviluppo storico in generale, riletto (quest'ultimo) come svol gimento nel tempo di periodi di differente lunghezza, non sovrapponibili né omogenei e dunque tra loro discontinui. Inoltre, in una tappa di ricognizione all'interno dei territori della storia dell'arte (criticando la moda iconologica), Kubler ricerca altre definizioni dell'arte, intesa come sistema di re lazioni formali, e indica il modello/Focillon come il punto di partenza per un'urgente revisione teorica. Così le informazioni che intorno agli anni '40 quest'autore, attraverso la mediazione di Bergson, fornisce sul tempo ar62 tistico nei suoi rapporti con il più generale tempo storico,
le ipotesi sulla natura della storia (come durata differenziata e sovrapposizione di realtà non omogenee), la definizione di forme del tempo come modi di coesistenza di serie non identiche ma dotate di durate non omologabili tra di · loro (il tempo dell'economia, della politica e dell'arte), infine l'in dividuazione non di una ma di più storie, diventano altret tanti percorsi obbligatori della proposta kubleriana 6• I momenti dell'itinerario di Kubler, teso a individuare i confini dell'etnostoria e a definirne i caratteri, sono già trat ciati nel 1972 con Le forme del tempo, dove viene esplicita mente richiesto un allargamento di campo• fino al punto da far coincidere l'universo delle cose fatte dall'uomo con la storia dell'arte, con la conseguente e immediata necessità di formulare una nuova linea di interpretazione nello studio di queste stesse cose 7• Tuttavia i metodi di interpretazione co stituiscono proprio l'elemento più debole dell'intera dimo strazione, mentre centrale diventa l'individuazione dei mo delli per la suddivisione/differenziazione delle cose. Si tratta del concetto di · sequenza che dovrebbe caratterizzare sia le differenze tra gli oggetti sia il processo del loro sviluppo temporale. Nel tentativo, poi, di approntare tecniche di misurazione adeguate alla natura della sequenza (discontinua al suo in terno e nel rapporto con altre serie), Kubler rileva l'insuffi cienza dei modelli tradizionali della storia che non conosce una tavola periodica degli elementi né classificazioni per tipi e specie: c'è soltanto la misura del tempo solare. e qualche vecchio sistema di raggruppamento, senza però alcuna teoria di struttura temporale 8• Come modello alternativo viene in dicata una ipotesi relativa ai periodi, alle loro lunghezze e durate: l'indizione, la generazione e il secolo. Adesso il punto di riferimento diventa Kroeber e l'analisi condotta in col laborazione con la Richardson sulle durate e i periodi di· trasformazione della moda femminile 9• Senz'altro Kroeber costituisce una stazione obbligatoria dell'attraversamento antropologico operato da Kubler nella misura in cui l'attenzione di quell'autore è rivolta verso uno sforzo di mediazione del punto di vista delle scienze naturali 63
e delle discipline umanistiche. Inoltre esiste nel progetto kroeberiano il tentativo di pervenire ad una visiòne estetica della civiltà, dove i problemi della storia dell'arte assumono una centralità rilevante 10• Certamente l'indicazione che la civiltà costituisca un or dine che va ricondotto all'interno della natura, dalla quale affiora attraverso una rottura, un'evoluzione emergente (tor na ancora la lezione bergsoniana), un salto, una discontinuità, permetterà a Kubler di ricondurre la storia dell'arte all'in terno della storia delle cose più in generale, ma anche di sottolinearne le differenze. Su un altro versante l'ipotesi che il metodo più pertinente per i fenomeni culturali sia l'ap proccio storico-descrittivo, contrapposto a quello analitico scientifico, sarà un ulteriore elemento di mediazione. L'infor mazione, poi, che gli elementi culturali intanto sono ricono scibili in quanto sono riferiti a un modello di base, e l'indi viduazione oltre che dell'appartenenza anche della posizione all'interno del modello, potrà costituire il punto di partenza per la classificazione degli oggetti in sequenza, attraverso l'analisi delle loro caratteristiche comuni 11• Tuttavia è necessario rilevare subito che la sequenza nella prospettiva di Kroeber si costituisce a partire da un modello di base che viene esplicitamente riconosciuto come modello inconscio. Questo nodo teorico consente, infatti, di indivi duare le differenze tra le serie, mentre in un'altra direzione e analizzando un singolo segmento culturale (la moda), l'uso del modello inconscio permette di determinare le relazioni tra i diversi elementi del costume e di stabilire le leggi di evoluzione della sequenza 12• Non c'è dubbio che nel percorso kroeberiano esiste pure uno sforzo teso a definire i compiti della storia e i modelli dell'analisi storica. ....;,. La storia è sempre, a suo modo, interpretativa;· ... perciò si occupa di relazioni funzionali: ... è per sua stessa natura rico struttiva; e non può mai fare a meno a lungo andare di in terpretazioni. E ancora: in realtà tutta la vera storia non è altro che un'interpretazione ottenuta mediante la descrizione · 4 dei fenomeni in ternùni di .contesto u_ 6
Distrutto l'ingenuo modello realistico, che postula l'ogget tiva realtà del fenomeno, da registrare • ordinare - classifi care, Kroeber apre su una prospettiva di natura strutturale:. La preoccupazione principale, tuttavia, non è quella. dl rin tracciare gli spostamenti spazio-temporali di un'unità:invaria, bile e fissa ..., bensì di seguire i mutamenti di questa unità nelle sue forme e nelle sue funzioni, di individuarne i deri vati, le perdite e le aggiunte ..., le sistematizzazioni e le sem plificazioni, le mancate accettazioni, le associazioni di pre.:. stigio, le modificazioni stilistiche, le cristallizzazioni e l mu tamenti rivoluzionari 1◄• Il ruolo di struttura viene qui giocato dalla nozione di modello: l'attaccamento alle forme e alle successioni dei fenomeni stessi nella loro reale concatenazione o nelle loro reali contiguità, consente un riconoscimento di modelli che è affine alla formulazione degli stili 15• La nozione sotto accusa diventa il fattore-tempo, che una certa storia ha per troppo tempo privilegiato: l'elemento tem porale non è il fattore più distintivo della storia, come si ritiene e si afferma ancora spesso, ma con superficialità. Nella storia la determinazione spaziale è importante quanto la de terminazione temporale (..) l'elemento temporale tende ad es.sere spesso una delle incognite che occorre ricercare, anche se l'obiettivo fondamentale è pur sempre una configurazione qualitativa, uno stile o una fisionomia, rispetto ai quali la collocazione spazio-temporale aderisce come una proprietà. Storie particolari possono sopprimere, o considerare co stante, ora il tempo ora Io spazio [ ... ] E come altrimenti si può designare l'etnografia, se non soprattutto come un reso conto di un particolare stile culturale, di un brano di storia senza tempo? 16• Non si può non rimarcare che le indicazioni di Kroeber relative alla storia e l'urgenza di definire gli elementi per una teoria di analisi storica diventeranno centrali nel per corso levi-straussiano (ancora una volta si insisterà sul carat tere interpretativo della storia e il modello assumerà· una chiara marca strutturale). Il disinteresse per le proposte kroeberiane relative - alla
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storia e l'irrilevanza del rapporto fenomeno/modello rende estremamente difficile a Kubler il compito di stabilire modi di differenziazione tra gli oggetti, e questi sarà costretto ad utilizzare strumenti sospetti e poco pertinenti. Inoltre, l'at tenzione ai· fenomeni disposti in sequenza e alle misurazioni delle loro variazioni;. richiede. che· la. teoria individui una legge di sviluppo della serie indipendente da altri tipi di condizionamenti. In .Kroeber .questa funzione sarà. svolta dalla nozione di stile, cui si chiede di individuare una suc cessione come sequenza e di porsi contemporaneamente come modello di differenziazione e di discriminazione. E sarà pro prio il concetto di stile ad essere investito, nell'ipotesi kroe beriana, dai caratteri di discontinuità, sia nella relazione tra fenomeno e modello, sia nei rapporti con gli altri stili. Ma la nozione di stile rientra nell'insieme di quegli strumenti teorici espulsi dal vocabolario di Kubler: Tutta l'immensa letteratura artistica esistente è radicata nei labirinti della nozione di stile: le sue ambiguità e le sue inconsistenze ri flettono tutta l'attività estetica nel suo insieme. Stile descrive una figura specifica nello spazio più che un tipo di esistenza nel tempo 17• Tale _rifiuto viene assunto direttamente dal la-. varo di Schapiro del 1958 18 - un riferimento obbligatorio per riflettere sul concetto di stile - saggio di cui Kubler effettua subito una utilizzazione in negativo: Schapiro passa in rivista le principali teorie correnti sullo stile, per conclu dere sconsolatamente che « Una teoria dello stile adeguata ai problemi psicologici e storici non è stata ancora formu lata,. 19• Eppure già nel 1968 Uspenskij proponeva una lettura di Schapiro (che in realtà non liquida la nozione di stile, ma ne sottolinea la problematicità interna) in una più pertinente direzione semiotica, per verificare se in tale prospettiva sia possibile sciogliere certe impasses teoriche. A partire dall'indicazione di Schapiro tendente a privile giare l'accezione collettiva di stile, inteso come fenomeno socio-culturale, rispetto ad altre definizioni che puntano sul l'aspetto privato ed individuale del fenomeno, Uspenskij cono 66 cede lo statuto di semiotico solo al primo tipo di approccio,
in grado di porre e di differenziare i due piani dell'espres sione e del contenuto: la peculiarità della differenziazione stilistica dipende sostanzialmente dal fatto che i differenti stili che si possono considerare come sistemi minimi (micro linguaggi) di comunicazione, sono caratterizzati dalla varia bilità, vale a dire costituiscono delle varianti all'atto della realizzazione di un certo sistema d'ordine più generale (ma crolinguaggi) o, in altre parole, come del sottolinguaggi so stanzialmente equivalenti di una stessa lingua 20• L'apertura sulla semiotica consente a Uspenskij di individuare nello stile un fenomeno di natura strutturale, analizzabile con strumenti linguistici, e di superare al tempo stesso le polemi che sulla definizione dell'ambigua nozione di stile 21• Registrando l'assenza di questi decisivi nodi teorici, la proposta di Kubler risulta debole proprio nel punto focale dell'intera dimostrazione: l'individuazione dei criteri di di stinzione degli oggetti all'interno della storia delle cose e la definizione dei modelli di differenziazione tra serie diverse. La contrapposizione operata tra oggetti della scienza (utili) e oggetti dell'arte (inutili), con assunti dichiàratamente kan tiani, rigerarchizza gli oggetti precedentemente ricomposti sotto un'unica rubrica e attribuisce connotazioni supplemen tari e privilegiate ai prodotti artistici - la qualità, l'uni cità, l'inutilità. Così che la storia dell'arte, pur dislocata in una storia più generale di cui condivide i modi di esistenza e di sviluppo nel tempo, finisce con l'essere se non un caso particolare almeno un caso speciale. Ma non basta: il progetto di Kubler si rivela non solo inadatto a fornire adeguati modelli di differenziazione per l'analisi delle singole sequenze, ma anche poco pertinente a conservare alla storia il carattere di discontinuità che la teoria vuole salvare ad ogni costo. Il discontinuo, tematizzato da Kubler, conserva l'omogeneità degli elementi della serie - in cui le posizioni sono determinate in anticipo e soprattutto già registrate -, e così la storia della sequenza continua a svolgersi lungo una traiettoria .orizzontale a partire da una preistoria quasi mitica fino ai tempi più recenti. In tal modo, assegnando discontinuità solo agli intervalli tra le serie e
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salvando la continuità delle forme - di cui sono sempre pre viste le possibili variazioni - la teoria kubleriana finisce per riconsegnare al discontinuo gli stessi caratteri della conti nuità: omogeneità e linearità. Le contraddizioni dell'ipotesi di Kubler sembrano ascri versi al limite teorico dell'intera proposta che registra l'as senza di un approccio corretto ai modelli della linguistica. Infatti la specificità del prodotto artistico, che un'attenzione ai modi di costruzione dell'oggetto avrebbe meglio configu rato, è ricalcata su schemi ormai abbandonati anche dalla più consapevole storia dell'arte: le singole serie non hanno carattere di sistema, le differenze di sequenza non si conno tano come differenze di strutture. Il percorso di Kubler rien tra, perciò, ancora nei modi tradizionali della storia del l'arte, come testimonia, tra l'altro, l'analisi di un testo sul l'architettura spagnola, scritto nel '59, quando gli interessi antropologici erano tuttavia già dichiarati 22• Qui il discorso si limitava all'attribuzionismo e all'analisi tipologica degli edifici esaminati nella loro insularità di pianta, mentre ri tornano vecchi modelli storiografici legati ai concetti di scuola, personalità e stile.
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2. Diventa pertanto urgente, nel tentativo di dare altri fondamenti alla proposta kubleriana (un atlante della storia delle cose) percorrere sentieri diversi all'interno dei territori dell'antropologia, alla ricerca di più corrette definizioni del l'oggetto. La culturologia e l'ecologia culturale ci offrono, senz'altro, la possibilità di praticare una nozione di cosa meno compromessa da residui kantiani e ridefinita da con notazioni materialistiche. Per White la cultura consiste di oggetti materiali - arnesi, utensili, ornamenti, amuleti ecc. ..:_ atti, credenze e atteggia menti che funzionano in contesti caratterizzati dal simbo leggiare 23• Quest'intricata rete di rapporti costituisce il si stema attraverso il quale viene controllata energia e sfruttata al servizio dell'uomo. La legge dell'evoluzione culturale che White va quindi a formulare pone l'accento sull'importanza determinante degli strumenti tecnologici, rispetto ai quali i
sistemi sociali e filosofici sono aggiunte ed espressioni: Altri fattori rimanendo costanti, la cultura si evolve coll'au mentare della quantità di energia catturata e sfruttata pro,; capite per anno, o coll'aumentare dell'efficienza dei mezzi strumentali adibiti nell'impiego dell'energia 24• La produzione culturale è così indicata come una variabile dipendente dalla sua base materiale, me.I?-tre le leggi di trasformazione culturale sono riferite alle più importanti leggi di trasforma zione tecnologica. La strategia materialistica di White riceve ulteriori pre cisazioni dalla distinzione operata all'interno della struttura culturale, pensata come una relazione di relazioni: il sotto sistema tecnologico, quello sociologico e quello ideologico. II sistema tecnologico è composto dagli strumenti materiali, meccanici, fisici e chimici e dalle tecniche relative al loro uso, mediante i quali l'uomo, in quanto specie animale, af. fronta e domina il suo habitat naturale. Troviamo qui gli arnesi della produzione, i mezzi di sussistenza, i materiali di ricovero, gli strumenti di offesa e difesa. II sistema sociolo gico è costituito da relazioni interpersonali espresse in mo delli di comportamento, così collettivi come individuali. In questa categoria troviamo i sistemi sociali, di parentela, eco nomici, etici, politici, militari, ecclesiastici, occupazionali e professionali, ricreativi ecc. II sistema ideologico è composto da idee, credenze, conoscenze, espresse nel linguaggio articolato o in altra forma simbolica. Mitologie e teologie, leggende, letteratura, scienza, saggezza popolare e • buon senso » co mune danno luogo a questa categoria 25• L'interazione delle tre categorie vede la tecnologia assolvere al ruolo di deter minante: un sistema sociale è una funzione di un sistema tecnologico ... c'è un tipo di pensiero per ogni tipo di tecno logia 1.6; e infine, per dare ordine alle relazioni causali fra i tre strati: I sistemi sociali sono pertanto determinati dai si stemi tecnologici, e le filosofie e le arti esprimono l'esperienza così come è definita dalla tecnologia e rifratta dai sistemi so ciali 'li. I tratti culturali reagiscono uno con l'altro immedia tamente e direttamente: una zappa è un prodotto culturale. Esso agisce direttamente su - e influenza altri - prodotti 69
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culturali come la divisione del lavoro fra i sessi, le usanze relative alla residenza, le abitudini alimentari, le credenze religiose e le cerimonie, e così via 28• Anche se, nel tentativo di definire i confini della culturo logia, e di indicare i suoi oggetti di analisi, White tende ine vitabilmente a identificare la cultura con le visioni del mondo e il prodotto culturale con l'atto di conoscenza, l'oggetto di cultura è riguadagnato alle sue basi materiali e al suo rap porto con le tecnologie, situandosi ad un livello differente rispetto agli strumenti di produzione, ma certamente non separato né privilegiato. Che poi la dimostrazione tenda a rilevare una scienza della cultura, come continuum che ha in sé le sue leggi, è provato da enunciazioni di causalità nomo tetica con caratteri di prevedibilità: Il principio di causa ed effetto opera nel regno dei fenomeni culturali come in ogni altro campo della nostra esperienza. Ogni data situazione cul turale è stata determinata da altri eventi culturali. Se certi fattori sono operanti, si realizzerà un certo risultato. All'in verso, certe realizzazioni culturali non possono essere effet tuate, per quanto caldamente possano essere desiderate, se i fattori necessari alla realizzazione non sono presenti ed operanti 29• Nel rapporto a due termini che White stabilisce tra cul tura e tecnologia, Steward 30 introduce un terzo elemento (l'habitat) al quale viene assegnato il compito di spiegare le differenze tra culture diverse, come pure di ricercare le cause del cambiamento culturale, con formulazioni alternativa mente sincroniche e diacroniche. L'ecologia culturale registra la tendenza delle culture ad evolversi secondo linee sostan zialmente simili quando si trovano in situazioni tecnico ambientali analoghe. Se i mutamenti delle culture sono fatti risalire a nuovi adattamenti resi necessari dal cambiamento della tecnologia e delle soluzioni produttive, Steward è pure attento a come le tecniche vengono usate da ambienti di versi comportando assetti sociali differenti. Accanto alle va riabili tecnico-economiche, diventano qui determinanti le va riabili tecnico-ambientali, in grado di modificare culture storicamente determinate.
L'analisi, che nella proposta della culturologia tendeva a marcare la lettura diacronica su scala globale 31, nell'ipotesi di Steward individua i tagli orizzontali e verticali della storia, puntando non sulle continuità culturali ma piuttosto sui tratti specifici, i buchi e le fratture del tessuto storico. Il percorso dell'ecologia attraversa non blocchi omogenei di culture ma tipi culturali, costellazioni particolari di tratti tra di loro interconnessi causalmente, che sia dato di ritrovare in due o più culture ma non necessariamente in tutte 32• Così, l'in dividuazione dei livelli di integrazione socioculturale, corro dendo una presunta unità delle culture nazionali, salva la specificità e il discontinuo: Il concetto di livelli può essere utilizzato come strumento analitico per lo studio del muta mento all'interno di qualsiasi sistema socio-culturale parti colare, dal momento che ogni sistema si compone di parti che si sono sviluppate a stadi diversi e attraverso processi diversi e che, benché specializzate da un punto di vista fun. zionale nella loro dipendenza dal tutto, continuano ad inte grare certe porzioni della cultura 33• Inoltre la cultura, non più identificata con le filosofie/vi sioni del mondo, in maniera più decisa viene riscritta nel nucleo culturale - insieme degli elementi che sono più stret tamente connessi con le attività di sussistenza e con le solu zioni economiche - e assume, posta accanto agli strumenti di produzione e alle tecnologie, Io stesso ruolo di protagonista nel processo di cambiamento socioculturale. La ridefinizione dell'oggetto culturale come oggetto tecni co-materiale e l'apertura su modelli di indagine storica at tenti alla discontinuità costituiscono certamente le linee più interessanti della proposta di Steward, anche se bisogna rile vare che l'analisi ecologica, diretta alla ricerca di leggi, recu pera i modelli ricorrenti più che le differenze. Harris, dal canto suo, facendo reagire questi due universi teorici - culturologia ed ecologia culturale - mette fine alle sterili polemiche sull'unilinearità o sulla multilinearità del l'evoluzione culturale e legge in questi tentativi il progetto di pervenire ad una scienza della cultura capace di rendere conto sia della continuità che delle trasformazioni: non si 71
Insisterà mai abbastanza sul fatto che la riabilitazione della strategia del materialismo culturale ... dipende ... dalla possi bilità che l'impostazione dia origine a ipotesi esplicative fon damentali, sottoponibili ai collaudi della ricerca etnografica e archeologica, modificabili se necessario, e incorporabili in un corpus di teoria capace di spiegare i caratteri più gene ralizzati della storia universale e le particolarità meno co muni di culture specifiche l4. All'incrocio tra questi due nodi, il materialismo culturale apre la strada alla nozione di cultura materiale, dove torna il concetto di cosa ridefinita, però, come oggetto di produzione. Nella lettura di Kula la storia della cultura materiale si occupa dei mezzi e dei me todi praticamente impiegati nella produzione, cioè di que stioni relative alla produzione e al consumo nel più ampio significato di questo termine 35.
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3. In questa prospettiva diventa, naturalmente, centrale l'attenzione all'archeologia, perché è in grado di fornire ul teriori informazioni sullo sviluppo culturale e sulle civiltà sepolte. Questa relazione avverte ancora Harris ha recato vantaggi in due direzioni; ha svolto cioè una funzione chiave sia nel mettere a disposizione delle questioni nomo tetiche i risultati dell'archeologia, sia nel consentire l'utiliz zazione dei frutti positivi della strategia cultural-materialistica nello svolgimento e nell'interpretazione della ricerca archeo logica 36. Non c'è dubbio che Carandini, tra i primi, ha colto questo nodo quando ha sottolineato che il metodo archeologico non appare più come uno strumento erudito per lo studio di determinate società antiche, bensì un metodo di ricerca per lo studio della ' storia reale ' umana dalla preistoria ai giorni nostri, metodo che .ci insegna a scoprire ed intendere il lin guaggio delle cose, mezzi non soltanto di produzione e di sostentamento ma anche di comunicazione di messaggi 37• La nozione di cosa, ridefinita dal materialismo culturale come oggetto di produzione, riceve ora una calibratura più precisa inscrivendosi all'interno dell'universo segnico. t:. determinante, come vedremo, la lezione di Lévi-Strauss. Infatti,
esplicitamente, Carandini, nell'affermare che le cose sono « si gnificanti di significati», richiama quel celebre passo lévi straussiano dell'Elogio dell'antropologia dove è detto che le tecniche prese isolatamente possono sembrare un dato grezzo mentre invece vanno intese come l'equivalente di al trettante scelte che ogni società sembra fare ... nell'ambito di una serie di possibilità; ad esempio un certo tipo d'ascia di pietra ... (può) essere un segno: in un. determinato contesto esso sostituisce ... l'utensile diverso che un'altra società uti lizzerebbe per gli stessi scopi 38• L'idea che le cose si organizzano in sistemi e che tali sistemi debbano essere decifrati con modelli di analisi semio tici viene, però, ridotta da Carandini ad una questione di semplice « parallelismo linguistico»: si passa, così, dai mo nemi e fonemi della lingua ai formemi e factemi delle cose. Questa risoluzione, ingenua semioticamente, riduce la stessa portata teorica dell'antropologia strutturale. Lévi-Strauss ci ha insegnato che la lingua è il sistema significante per eccel lenza; non può non significare; e il tutto della sua esistenza sta nel significato. Invece, il problema va esaminato con ri gore crescente, man mano che ci si allontana dalla lingua per considerare altri sistemi 39• Ed ancora, come ha ribadito di recente nell'introduzione a La linguistica e le scienze del l'uomo di Jakobson, il linguaggio, come ogni altra istituzione sociale, presuppone delle funzioni mentali operanti a livello inconscio. Solo riconoscendo questo carattere della lingua e, più in generale, dei sistemi semiotici ci si mette in grado di raggiungere dietro alla continuità dei fenomeni, la discon tinuità dei ' principi organizzatori ' che normalmente sfug gono alla coscienza del soggetto parlante o pensante 40• Cosa significa, in sostanza, questo intenso transito teorico avanzato da Lévi-Strauss se non l'individuazione di livelli di discontinuità radicali al di sotto di zone di storia, ciascuna delle quali è definita da una frequenza propria e da una codificazione differenziale del prima e del poi? 41• Non c'è dubbio che lungo quest'argine si rivelano inadeguati e man canti, come si è accennato, il discontinuo kubleriano (che salva l'omogeneità della sequenza) e la multilinearità della 73
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evoluzione culturale di Steward (che registra più le ricor renze che le differenze). Si dimostra non meno inadeguata la manovra di Caran dini. E, su un registro un po' diverso, risulta difficile la tesi di Barilli, che, da una postazione culturologica, aggredisce il discorso semiotico per la propensione a considerare la pro duzione non nel suo darsi in atto, nel suo aggredire-lavorare trasfonnare l'ambiente, ma nel momento in cui essa diviene un 'fatto', cioè un dato informativo, codificabile e tra smissibile ... Il culturale viene così coartato nel solo aspetto conservativo, nell'accumulo, nella banca o ' memoria ' dei dati 42• Tanto che Segre, rileggendo gli stessi autori di Barilli (cioè Uspenskij e Lotman) avverte dal canto suo che questa grande banca semiotica della cultura ha comunque del testi come input, ancora dei testi come output. Si vorrebbe allora esaminare il funzionamento di accumulo dei testi (o meglio il loro contenuto) e di produzione di nuovi testi. Su questo problema Lotman è altrettanto realista che per quello dei rapporti col mondo rappresentato: egli usa testi per descri vere culture, ed esamina ugualmente testi per descrivere la produzione culturale 43• Sorprendenti risultano, invece, per l'approfondimento del nostro discorso, le ricerche di Leroi-Gourhan che· utilizzando gli esiti delle scienze naturali e della linguistica, dell'antro pologia come dell'archeologia per rileggere il sistema degli oggetti come sistema di relazioni e per analizzare le strutture formali che lo costituiscono, evita le tipiche e pericolose ge rarchizzazioni tra l'oggetto d'uso e l'oggetto d'arte. La rifles sione sull'oggetto, infine, è accompagnata da una riformula zione di un'estetica del comportamento umano direttamente collegata con le tecniche di fabbricazione 44• Il senso qui dato alla parola « estetica » è abbastanza va sto ... Se si tratta di ricercare effettivamente ciò di cui la filo sofia ha fatto la scienza del bello nella natura e nell'arte, bisogna porsi ... in una prospettiva paleontologica in senso generale, prospettiva nella quale il rapporto dialettico fra natura e arte segna i due poli dell'aspetto zoologico e di quello
sociale. Non si tratta, in tale prospettiva, di limitare all'emo tività essenzialmente uditiva e visiva dell'homo sapiens la nozione del bello, ma di ricercare in tutta la profondità delle percezioni il mondo come si costituisce nel tempo e nello spazio un codice delle emozioni che assicura al sog getto etnico l'essenziale dell'inserimento affettivo nella sua società 45• Il procedimento di rilettura attivato da Leroi-Gourhan tiene in primo piano i due criteri principali che garantiscono la composizione di quel tessuto di relazione fra l'individuo e il gruppo, vale a dire tutto quello che si riferisce al compor tamento estetico 46: la tecnicità e il linguaggio considerati nella loro comune origine. E, ancora più precisamente, rela zionando tecnica, linguaggio ed estetica come tre manifesta zioni fondamentali della qualità dell'uomo ... strettamente in terdipendenti 47, l'etnologo giunge alla determinazione di un codice specifico per lo studio dell'oggetto. Per Leroi-Gourhan l'oggetto è insieme forma e senso. Ora, è dell'organizzazione delle forme, del loro schema coerente che bisogna trovare la formula, ed è alla sintassi propria del linguaggio manuale, di cui le produzioni plastiche sono le forme, che va a raccordarsi lo studio sistematico dell'oggetto che non può iniziare che attraverso un'analisi morfologica dettagliatamente estesa, ma dove evidentemente, il « codice» plastico non è analogo ad un sistema linguistico, è piuttosto un sistema di correlazioni che solo una analisi minuziosa di tutte le variabili che si rapportano all'oggetto può pem1ettere di definire 48• La riflessione e l'analisi che segue la progressione « ma teria • forma• stile» - precedute dall'esame, sotto differenti angolazioni, di quella parte che si rapporta alla materia e all'attrezzatura (fabbricazione dell'oggetto) e di quella parte che si rapporta alla forma, alla composizione e alla struttura geometrica dell'opera - sceglie tutti i dati propriamente morfologici per procedere all'inchiesta etno-stilistica che assume, in questa prospettiva, il ruolo di stazione terminale. Ma se la materia, prima stazione della progressione, insieme alle tecniche di fabbricazione, svolge il ruolo di supporto di 75
forme e se è dalle sue leggi che possono essere tratti quei principi utili a costituire un'estetica funzionale di cui Leroi Gourhan si preoccupa di rendere una definizione che af fonda le radici nell'equilibrio che si istituisce tra la funzione e la forma dell'oggetto, resta decisivo, per definire l'inda gine, l'attraversamento della fondamentale nozione di stile etnico 49• Lo stile etnico definito come il modo proprio di una collet tività di assumere e di contrassegnare forme, valori e ritmi 50, rappresenta quella invariante strutturale, quel minimum. (co me ama dire Leroi-Gourhan) che rende conto dell'aspetto più reale del valore dell'etnia: questa particolarità etnica che
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trasforma la banale enumerazione di asce, soffietti e formule matrimoniali nella espressione dello « spirito » di un popolo, non può rientrare nella classificazione verbale, rappresenta uno stile che ha un suo valore proprio e che investe la totalità culturale del gruppo 51• Infatti, se nessun gruppo umano si ripete due volte, ogni etnia è diversa da se stessa in due momenti della propria esistenza 52• L'assorbimento di uno stile, nella vita quotidiana, nelle sue produzioni e nelle innu merevoli variabili che ne caratterizzano la continuità o la discontinuità, è un fatto profondo destinato a segnare per sempre generazioni successive: certi atteggiamenti, certi ge sti di cortesia o di comunicazione, il ritmo del passo, il modo di mangiare, le pratiche igieniche, hanno toni etnici che si trasmettono attraverso le generazioni. Nelle pratiche figura tive come la musica, la danza, la poesia o l'arte plastica, si produce una netta separazione fra la base comune e le va rianti individuali perché la figurazione comporta gli stessi livelli operazionali; si può vedere sopravvivere per lunghi secoli l'ossatura della figurazione in un genere musicale o plastico grazie alla possibilità che esso offre agli indivi dui di organizzare varianti personali senza alterarne l'archl tettura 53• La complessità di questa nozione e contemporaneamente l'estensione del campo che essa prevede lasciano concreta mente intravedere che la personalità estetica, lo stile etnico, specialmente nelle sue manifestazioni e produzioni materiali
non è per nulla inafferrabile e si può concepire un metodo analitico altrettanto preciso di quello della tecnologia e della sociologia descrittiva. Le gamme dei gusti - continua Leroi Gourhan - degli odori, del tatto, dei suoni, dei colori rivelano una estensione e differenze molto caratteristiche; la distanza che separa In una determinata cultura le posizioni naturali e gli atteggiamenti In società dà la misura della trascuratezza collettiva; la forma degli utensili si presta a una analisi fun zionale precisa, come l'integrazione spazio-temporale degli individui nel loro ambiente domestico e più generale. Più In là sono disponibili i metodi di studio delle arti; agli effetti di una rlcer,ca comparata sarebbero d'altronde. da organizzare perché lo stile etnico è una espressione complessiva s.. Dunque Leroi-Gourhan costruendo un quadro morfologico dell'insieme degli aspetti che caratterizzano la linea di co struzione degli oggetti, e ponendo principi metodologici, at traversati dalla nozione di stile etnico, costruisce un nucleo di riflessioni sicuramente assumibili come punto di partenza per un rinnovamento dello studio delle arti plastiche, dagli oggetti d,'uso agli oggetti d'arte, soprattutto a causa della loro sistematicità e della costante preoccupazione di esplorare in tutte le direzioni di ricerca restando quanto più possibile legati ali'oggetto stesso, alla sua specificità 55• . 4. Storia dell'arte o storia delle cose sono, in conclusione, gli aspetti; simmetricamente rovesciati, della stessa « svista » teorica: .l'idea che si diano blocchi compatti e omogenei di storia e non piuttosto zone di storia scandite da frequenze proprie e· da discontinuità radicali, da una codificazione dif ferenziale del prima e del poi. La questione, allora, non è certamente quella di contrapporre la storia dell'arte alla sto ria delle cose (e viceversa) ma di affrontare, ridefinito il campo della storia dell'arte e della storia delle cose come territorio della comunicazione, un apparato concettuale adatto ad analizzare gli oggetti (opera d'arte, manufatti, arnesi, ecc.) secondo gli specifici gradi di semplicità o complessità se miotica. È semplicemente un'indicazione che potrebbe aiutarci a 77
colmare la tradizionale scissione tra « storia alta ,. e « storia bassa» (e tra i rispettivi metodi di indagine) evitando, al tempo stesso, la riduzione all'identità indifferenziata della categoria ogget lo-di-produzione.
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Il presente lavoro si riferisce ad una più ampia ricc·rca svolta nel l'ambito dell'insegnamento di Storia della critica d'arte dell'Università di Salerno (in corso di pubblicazione). I primi risultati sono stati già letti al Congresso di Storia dell'Arte del C.N.R. 11/14 settembre 1978). 1 R. BUCAlLLE, J. M. PESEZ, Cultura materiale, Enciclopedia Einaudi, voi. IV, Torino 1978, p. 271. Si cfr. anche D. MORENO, M. Qu,\INI, Per una storia della cultura materiale, in « Quaderni Storici», 31, genn.-apr. 1976. 2 G. KueLER, La forma del tempo, trad. it., introd. di G. Prcvitali, Torino 1976, p. 7. 3 G. KueLER, • Storia ' o • Antropologia ' dell'arte?, trad. it., introd. di G. Previtali, in « Prospettive,., n. 6, 1976, p. 9. 4 G. Ku&LER, op. cit., p. 10. 5 Ogni volta che nel maturo e tardo Medio Evo un'opera d'arte prende In prestito uno schema da un significato classico, a questo sche• ma si attribuisce quasi sempre un significato non classico, solitamente cristiano; ogni volta che nel maturo e tardo Medio Evo un'opera d'arte prende in prestito un tema dalla poesia, dalla leggenda, dalla storia o dalla mitologia del mondo classico, questo tema è senza eccezioni rappresentato secondo uno schema formale non classico, solllamente contemporaneo. E. PANOFSKY, Rinascimento e rinascenze, trad. it., Mi lano 1971, p. 105. Questo « principio di distacco• aveva costituito per Kubler un mo mento di riflessione già nel 1961, in una recensione alla I edizione del testo panofskiano: G. KueLER, Disjunction and Mutational Energy, in « Art News,., LIX, n. 10, 1961, pp. 34-55. 6 H. FoclLLON, Vita delle forme, in Scultura e pittura romanica in Francia, trad. it., introd. di E. Castelnuovo, Torino 1972, pp. 223-227. Quasi negli stessi anni, le indicazioni di Focillon verranno assunte' da Bastide all'interno di un diverso orizzonte teorico: la sociologia del l'arte (R. BASTIDE, Art et société, pref. di J. Duvignaud, Parigi 1977). C'è da rilevare che Kubler, nel momento in cui salta tale riferimento, trascura i problemi relativi al rapporto tra l'arte e le altre istituzioni sociali. Si cfr. A. d'AvossA, Roger Bastide, un'estetica sociologica come problematica dell'immaginario, in « Misure critiche•, dic. 1978. 7 G. KueLER, La forma del tempo, op. cit., p. 7. a Ibidem, pp. 115-116. 9 A. L. KROEBER, L'ordine nei mutamenti della moda, in La natura della cultura, trad. it., introd. di F. Remotti, Bologna 1974, pp. 619-628 e A. L. KROEBER e J. RICHARDSON, Tre secoli di moda femminile, un'ana lisi quantitativa, in A. L. KRoEBER, op. cit., pp. 669-696. k 10 A. L. KROEBER, Lo «stile» nello studio comparato delle civiltà, in AA.VV., L'Antropologia culturale, trad. it., introd. di A. Bonin, Milano 1970, pp. 329-345; e soprattutto A. L. KROEBER, Style and Civilizations, Berkeley and Los Angeles, 1963. 11 Per un approccio preliminare ai momenti della teona kroebe riana cfr. F. REMOITI, introd. a A. L. KROEBER, La natura della cultura, op. cit., pp. VII-XXXVIII.
12 Rileggendo tali indicazioni e certamente forzando l'interpreta zione, Lévi-Strauss definirà strutturali queste analisi sulla moda, anche se l'approccio di Kroeber è storico e non scientifico. Cfr. F. REMOTI!, op. cit., p. XXIX. Il A. L. KROEBER, Storia ed evolu;zione, in La natura della cultura, op. cit., p. 170. 14 Ibidem, p. 173. IS Ibidem, p. 179. 16 Ibidem, pp. 181-182. 17 G. KuBLER, La forma del tempo, op. cit., p. 10. ia M. SCHIAPIRO, Style, in Ant11ropology today, a cura di A. L. KROEBER, Chicago/London 1955. 19 K. KuoLER, La forma del tempo, op. cit., pp. 10-11. 20 B. A. UsPENSKIJ, Problemi semiotici· dello stile alla luce della lin guistica (1968), in J. M. LoTMAN -·B. A. USPENSKIJ, Semiotica e cultura, trad. it., introd. di D. Ferrari-Bravo, Milano-Napoli 1975, p. 37. 21 Per i problemi della storia dell'arte, che deve la sua peculiarità proprio all'utilizzazione del concetto di stile, e soprattutto per il su peramento della dicotomia stile individuale / stile epocale attraverso l'ipotesi stile = struttura, cfr. R. DE Fùsco, Storia e struttura. Teoria della storiografia architettonica, Napoli 1970. 22 G. KUBLER - M. SORIA, Art and Architecture of Spain and Portugal and their American Dominions, Pelican History of Art, 1959. 2l L. WHITE, La scien;za della cultura, trad. it., Firenze 1969, p. 329. 24 Ibidem, p. 333. 2S Ibidem, p. 330. 26 Ibidem, p. 331. 21 Ibidem, p. 351. u Ibidem, p. 115. 29 Ibidem, p. 370. JO H. STEWARD, Teoria del mutamento culturale, trad. it., Torino 19TI. li Il fwulonamento di ogni particolare cultura sarà naturalmente influenzato dalle condizioni ambientali locali. Ma, considerando la cultura nel suo complesso, possiamo fare la media di tutti gli ambienti per formare un fattore costante che può essere escluso dalla noslra formula dello sviluppo culturale. L. WHITE, op. cit., p. 333. 32 H. STEWARD, op. cii., p. 35. JJ Ibidem, p. 76. l4 H. HARRIS, L'evol11;zio11e del pensiero antropologico, trad. it., in trod. di C. T. Altan, Bologna 1971, p. 924. JS W. KuLA, Problemi e metodi di storia economica, Milano 1972, pp. 61-66, cit. in A. CARANDINI, Archeologia e cultura materiale, Bari 1975, p. 98. Per il dibattito sulla lunga durata cfr. inoltre AA.VV., La storia e le altre scien;ze sociali, a cura di F. Braudel, trad. it., Bari 1974, con i contributi di Braudel, di Rostow, di Kula, di Lévi-Strauss. La pro posta di analisi della cultura materiale che si ponga esclusivamente come ricognizione sulle tecniche è avanzata da BRAUDEL, nel 1967, in Capitalismo e civiltà materiale, trad. it., Torino 1977. l6 H. HARRJS, op. cit., p. 909. 37 A. CARANDINI, op. cit., p. 101. Ja C. Uv1-STRAUSS, Elogio dell'antropologia, in Ra;z;za e storia e altri studi di antropologia, trad. it., a cura di P. Caruso, Torino 1967, p. 58, cit. in A. CARANDINI, op. cit., p. 103. J9 C. Uvx-SrRAuss, Antropologia strutturale, trad. it., Milano 196(,, pp. 62-63.
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40 C. Uvr-SrRAuss, Introduzione a R. JAKOBSON La linguistica e ' le scienze dell'uomo, trad. it., Milano 1978, p. 14. 41 C. Uvr-STRAuss, Il pensiero selvaggio, trad. it., Milano 1964, p. 281.
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Su questo problema della discontinuità e della multilinearità storica oltre al già citato capitolo del Pensiero selvaggio ( « Storia e dialetti'. ca»), si v. anche la recente discussione tra C. Uv1-SrRAuss, M. AuGll e M. GOOELIER, A11thropologie, Histoire, ldéologie, in "L'Homme », juil. déc. 1975, pp. 177-188. Così ancora in un articolo del 1968: « Non c'è una ma delle storie, una moltitudine di storie, una polvere di storie» (C. Lllv1-STRAUSS, La grande aventure de l'ethnologie, in « Le Nouvel Ob servateur », n. 166). 42 R. BARTLLI, Difficoltà di un approccio semiotico alla culwra, in « Op. cit. » n. 35, 1976. 43 C. SEGRE, Semiotica, storia e cultura, Padova 1977, p. 19. -w A. LER0I-GOURHAN, E1·ol11tion et 1ec/111iques. L'homme et la matière, Paris 1943 e 1971, in particolare di questo volume i capitoli dedicati alle tecnicl1e di fabbricazione (pp. 162-326); Il gesto e la parola (trad. it., 2 voli., Torino 1977); Ethnologie et esthétique (Dispue Vert/n. I, Bruxelles 1953); L'homme, Encyclopédie Clartés, voi. 4 bis, Paris 1956 (in particolare La vie esthétique, fase. 4860, e La domàine de l'esthéti que, fase. 4870); L'art sans l'écriture, Institut d'Ethnologie, Paris 1968. Sul problema del rapporto storia/etnologia si v. il breve intervento Ethnologie évolutive ou etlmo-histoire?, in AA.VV., Etimologie et Histoire, Paris 1975, pp. 11-13. Su questa tematica rinviamo a C. BR0M· BERGER, Ethnologie, ling11istique, esthétique. Note sur le « style ethni que», e L. PERR0IS, Fo11de111ents d'une approche systematique des arts traditionnels, entrambi in AA.VV., L'homme hier et aujourd'hui, Re c11eil d'ét11des e11 hommage à André Leroi-Gourhan, pref. di M. Sauter, Paris 1973. 45 A. LERor-GouRHAN, Il gesto e la parola, op. cit., p. 317. C'è da sottolineare (ma non è questo il luogo per entrare nel merito della que stione) che questo codice è fondato su proprietà biologiche comuni all'insieme degli esseri viventi, quelle dei sensi che permettono una percezione dei valori e del ritmi (ibidem). 46 Ibidem, p. 315. 41 Ibidem, p. 322. 48 L. PERR0IS, Fo11deme11ts d'une approche systematiq11e des arts traditionnels, op. cit., p. 283. 49 L'analisi degli oggetti di uso pratico come utenslll, macchine, motori, case, città, lascia intravedere proprietà estetiche particolari, direttamente legate alla loro funzione. 2. certo che un giudizio sull'adat tamento In senso positivo o negativo di una forma alla funzione asse gnatale equivale in pratica alla formulazione di un giudizio estetico. :I;. anche sorprendente constatare che tranne poche eccezioni, se non sempre, il valore estetico assoluto è direttamente proporzionale all'ade guamento della forma alla funzione ... L'analisi estetica funzionale è dunque il più delle volte solo la misura dell'approssimazione funzio nale ... Il « momento • estetico si colloca sul percorso di ogni forma, nel punto In cui questa si avvicina di più alla formula: l'amigdala molto evoluta, il raschiatoio molto curato, il coltello di bronzo perfettamente adattato al suo uso specifico lasciano trasparire in eguale misura la qualità estetica dell'incontro fra funzione e forma ... Ogn i fabbrica zione è un dialogo fra l'artefice e la materia e apre un altro margine di approssimazione funzionale (A. LER01-GoURHAN, /I gesto e la parola, cit. risp. alle pp. 349, 352, 354, 358). so A. LER01-GouRHAN, Il gesto e la parola, cit., p. 326.
s1 Ibidem, p. 323. 52 Ibidem, p. 325. 53 Ibidem. 54 Ibidem, p. 326. 55 Avvisa Perrois: C'è da sottolineare che non si fa mal [nelle analisi di Leroi-Gourhan] menzione della funzione delle figure, nÊ del loro significato riconosciuto o supposto. Le considerazioni etnologiche, se esse sono Indispensabili alla conoscenza del fenomeno estetico, ven gono dopo l'analisi dell'oggetto per partecipare Infine a una sintesi che finora mancava principalmente di questi elementi di base (cit., p. 285).
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