Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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Edizioni « II centro • di Arturo Carola
R.
BONEW
Storiografia e restauro
R. M.
AMIRANTE, F. DUMONTET, PERRICCIOU, S. PONE
Fortuna critica della «Tendenza•
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C.
I.ENZA,
La fotografia: indice o icona?
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Libri, riviste e mostre
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G. GuGLIELMI
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Giuseppina Dal Canton, Maria Rosaria Mioni, Paola Santucci, Arnalda Venier, Claudia Vio.
Storiografia e restauro RENATO BONELLI
"Ricchi apparati e povere idee": così titola Renato De Fusco lo scritto che ha di recente dedicato I alle attuali con dizioni operative e culturali nelle quali si svolgono le atti vità del restauro architettonico. Ed in tal caso gli apparati sono le strutture centrali e periferiche del Ministero dei beni culturali, quelle analoghe delle Regioni e gli istituti universi tari; le idee sono quelle espresse nei documenti ufficiali che enunciano i principi · e regolano la materia, dalla Carta di Atene del 1931 a quella italiana del 1932, alla Carta di Ve nezia del 1964 a quella europea del patrimonio architetto nico del 1975, le quali non hanno recato nuovi apporti di criteri e. di metodi e possono essere invece ricondotte alle tesi presentate dal Boito nel 1883. L'A. appare soprattutto preoccupato dalla povertà di idee e dalla mancanza delle ca pacità di rinnovamento che contraddistinguono l'azione di quegli app<irati, specialmente se si considera la crescente am piezza dei loro compiti, le variate difficoltà e la rilevante entità delle mansioni loro affidate; così che egli dedica solo poche parole alla presenza di una posizione culturale netta mente diversa, la quale considerà il restauro come una dia" lettica « fra storia e progetto, fra critica e creatività ». Eppure. sono proprio :le due co1Tenti di pensiero che si uniscono nell'adottare tale posizione, e cioè quella del cosiddetto re stauro critico 2 ·e l'altra espressa negli scritti di Cesare Brandi 3, ad affermare: che « l'indagine storica è momento prima riq:della :attività· di restauro »,. come dice lo stesso A., il quale S-
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aggiunge che attraverso « operazioni pertinenti alla storia » si deve pervenire ai « criteri che indicheranno quale fabbrica tutelare e perché», delineando le direttive dell'intervento e le destinazioni d'uso; ciò che comporta una preventiva ope razione di intendimento critico dell'oggetto e rappresenta un modo non esplicito di attivare il principio secondo il quale il restauro prende inizio da un atto di valutazione critica Ma per De Fusco l'importante è soddisfare l'esigenza di una rifondazione teorica del restauro; riferendosi al generale consenso dato al principio di considerare l'indagine storica come fondamento dell'intervento restaurativo, egli si doman da quale tipo di indagine storica occorre adottare, sceglien do fra quattro direttive metodologiche precisamente elenca te ed illustrate: formalistica, sociologica, iconologica, semio logica o strutturalistica. Ora, per avviare il procedimento di retto a realizzare questa difficile scelta, bisogna però com pletare la domanda, precisando quali devono essere le esi genze che un indirizzo storiografico è tenuto a soddisfare per fornire al restauro, inteso come una completa operazione filologico-critica, un adeguato supporto storico; cosa che equi vale a richiedere l'enunciazione di una teoria del restauro nei suoi metodi e nei suoi fini. E con questo si è ricondotti alla definizione del restauro ed alla necessità della sua rifonda zione, in un cerchio chiuso in cui il restauro chiede una metodologia storica idonea, e la storia dell'architettura do manda, per fornire una risposta, di quale restauro si tratti, secondo un apparente rapporto dialettico di reciproco con dizionamento-integrazione. Per troncare questo ciclo vizioso occorre rifarsi al momento d'inizio, il quale non può essere che la stessa opera da restaurare, dato esistente e presente, che bisogna anzitutto indagare nella sua reale concretezza, secondo una concezione della storia architettonica valida sia come base metodologica per la comprensione del monumen to, sia quale premessa indispensabile all'intervento di re stauro. I quattro sistemi concettuali primari proposti da De Fusco per la scelta di una linea metodologica dell'indagine storica, 6 prendono in esame rispettivamente le variazioni nel tempo
dei valori visivi e tattili della conformazione specifica nelle singole arti visive, i rapporti causali fra società ed arte- ed i corrispondenti riflessi nelle risoluzioni formali e nella strut tura delle opere, i contenuti individuati attraverso la deci frazione dei significati propri alle figure architettoniche;· il carattere di linguaggio riconosciuto all'architettura intesa qua le comunicazione per segni, decifrabile mediante l'uso di propri codici. Ma nessuno di questi sistemi considera l'opera d'arte, e quindi l'opera architettonica, quale immagine figu rata e cioè quale configurazione visibile. Questo perché l'elen co delle direttive metodologiche fondamentali non compren de quell'indirizzo storicistico-distinzionista di tipo valutativo che, sulla base di una strumentazione filologica .aggiornata, innesta i procedimenti del visibilismo sul tronco della dottri na estetica neo-idealista, e che ha dato i suoi risultati migliori nel ventennio del dopoguerra. Il quadro offerto dalla storiografia architettonica oggi ope rante non corrisponde però alla presentazione dei quattro (o cinque) sistemi già detti: la corrente della pura visibilità è da tempo esaurita come tale, ed ormai sopravvive solo in limitati sviluppi di testi ispirati ad altri criteri; il metodo sociologico, che aveva registrato una fruttuosa stagione ispi rata allo scoperto trasferimento di istanze politiche nell'am bito storiografico, ha poi assunto temi ed adottato argomenti sostanzialmente estranei alle problematiche dell'architettura; anche l'indirizzo iconologico, dopo un rapido successo che lo ha sospinto su posizioni estreme, è stato abbandonato dalla maggior parte dei suoi cultori; l'interpretazione semiologica; infine, ha sviluppato una elaborazione teorica ricca di ai1i colati sviluppi, ma non ha ancora prodotto un sufficiente lavoro di esemplificazione critica. Nello stesso tempo la mag gioranza degli studiosi adotta ancora nei metodi e nei fini i principi ed i procedimenti- del filologismo e di un tenace attribuzionismo analitico, anche se in tali sviluppi mostra chiaramente le molteplici influenze degli altri tipi di inda gine. Si profila perciò per la storiografia architettonica una condizione simile a quella del restauro: nella concretezza pra tica i metodi del restauro critico risultano ignorati, poiché
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strumenti di rilevazione dell'istanza storica ed assegnando al secondo la facoltà di valutazione dell'istanza estetica s. E qui appare necessario aggiungere che l'istanza storica. si manife sta come un agente disomogeneo rispetto alla artisticità as soluta dell'opera. Infatti, se l'istanza stolica riguarda l'opera come prodotto umano attuato in un certo tempo ed in un .determinato luogo, quale testimonianza di una azione com piuta dall'uomo• e indipendentemente dalla specificità e qua lità di quell'atto, la sua specificità riguarda soltanto l'origine antropica, il . luogo ed il periodo storico in cui l'oggetto è stato realizzato. Perciò lo stesso oggetto, considerato soltan to sotto il profilo storico� può assumere solamente la. mera funzione testimoniale, anche se esso possiede le qualità del l'arte. Considerato tutto questo, il prevalere dell'istanza estetica su quella storica risulta motivato dalla « singolarità dell'opera d'arte rispetto agli altri prodotti umani, che non dipende dalla sua .consistenza materiale e neppure dalla sua duplice storicità, ma dalla sua artisticità » �. Essa porta a distinguere meglio le due polarità, in funzione dell'intervento restaurati vo: nell'opera d'arte l'assolutezza della forma supera le mo tivazioni dell'istanza storica e le traspone, inverandole, nel processo formativo della stessa immagine, che pertanto com prende e riassume in una inscindibile unità. figurale quei presupposti, dati in termini di cronaca e di storia. Di con seguenza, la storicità di una forma artistica risiede intera mente nella sua artisticità. - .. · Il problema posto da De Fusco, di una rifondazione teo-, rica del. restauro richiede pertanto, con tutta evidenza, la preventiva· revisione dei metodi della interpretazione stori ca; ·La risoluzione della polarità dicotomica insita nell'opera, riduce grandemente, per il primato della forma sulla testi monianza, la validità ed il campo di applicazione degli in dirizzi storiografici diretti all'esame dei segni, simboli e con ten.uti e delle cause. Ed a questo si può aggiungere la serie delle accuse da tempo rivolte alle quattro dottrine: il visi bilismo è ormai solo . uno strumento per la classificazione dei diversi modi figurativi;· il metodo sociologico produce, nel 9
migliore dei casi, una storia della società e non una storia artistica, ignorando l'arte come soggetto storico; quello ico nologico ritiene il contenuto separabile dalla forma e non fornisce letture, bensì decifrazioni criptografiche; quello se miologico, cui si rimprovera il parallelismo con il linguaggio verbale, non è riuscito a definire il segno architettonico. Il nodo teoretico dell'interpretazione storico-critica riguar da i cosiddetti contenuti, o meglio il rapporto tra i fattori concorrenti al processo formativo dell'opera e l'opera archi tettonica stessa. Considerato che il riconoscimento dell'ope ra d'arte in quanto tale è un atto di carattere intuitivo che si compie nella coscienza individuale 7, poiché ciò è tassativa mente richiesto dalla stessa natura dell'arte che è presenza autonoma rispetto all'esistente espressa in immagine, la sto ria che è critica e la critica che si identifica con la storia non potranno giovarsi dei quattro metodi suddetti, ma dovranno ricorrere ad altro metoclo idoneo ad assicurare una lettura critico-valutativa per immagini, senza indebite intrusioni da parte di interpretazioni per concetti. Il processo formativo dell'opera si svolge secondo una serie di scelte successive, dall'insorgere del nucleo · generato re originario alla conquista della forma definitiva. Il suo mo mento iniziale muove dall'assunzione di un « contenuto pro fondo » che si costituisce ad agente attivo e conduttore del processo, e che si sviluppa e risolve compiutamente e senza residui nell'unità inscindibile della forma figurata. Le scelte fondamentali sono compiute all'origine, accettando o respin gendo premesse storiche e presupposti pratici, concetti este tici e funzioni d'uso, pulsioni, impulsi, intenzionalità seman tizzanti o simbolizzanti, e via dicendo; poi, lungo il percorso formativo, altre scelte compatibili con la struttura del pro cesso si susseguono in presenza di potenziali componenti del procedimento in corso, nel quale ogni nuova aggiunta si tra sfigura fondendosi nell'unità dell'opera. In tal modo il rapporto fra opera e contenuti distingue contenuti veri (profondi, essenziali, permanenti) e pseudo contenuti, rimasti esterni alla forma e perciò non partecipi 10 dell'opera; in virtù del superamento dell'esistente nella costi-
tuzione della immagine artistica, i primi sono riassunti, in verati e rifusi nella unità di questa, i secondi si collegano alla forma secondo un complesso di « rapporti associativi » ' che riguardano riporti gnoseologici o letterari, commistioni ideologiche e riferimenti simbolici, i quali tutti avvolgono l'opera in una incrostazione sostanzialmente estranea e che rappresenta un pesante ostacolo alla sua comprensione. Nel l'ambito della interpretazione dell'opera in quanto opera d'ar te - livello dell'espressione-, unica sede idonea a fornire la legittimità estetica e la vera comprensione stolico-critica, l'as soluta unità della forma non consente di rilevare e distingue re concettualmente· e criticamente i corrispondenti contenu ti; ne consegue che per studiare analiticamente tali compo nenti, occorre trasferire l'indagine sopra un altro piano, ad un livello inferiore - livello dei contenuti -, tracciando at traverso l'opera delle sezioni, coincidenti con i piani di signi ficazione, che sono principalmente il piano ideologico, quello iconologico e quello iconografico. E poiché il vero significato dell'opera è inscindibile dall'immagine, qui si ricava una significazione astratta, dove i contenuti di tali piani assumono il carattere di semplice sostanza conoscitiva della forma. Perciò la proiezione ottenuta sui piani di significazione re stituisce il profilo del soggetto-semàntema (che assume la funzione d'uso pratico o quella anagogica), riporta le istanze simbolizzanti (le quali presentano le posizioni ideologiche adottate), chiarisce i riferimenti tipologici (che indicano gli schemi riassuntivi del processo di formazione), tutti collocati al grado di elementi informativi, che giacciono ad un livello inferiore alla soglia della conoscenza estetica e storica. In questo quadro, nella vigile distinzione fra esame storico critico propriamente detto ed esame analitico dei contenuti nei suoi diversi modi, i metodi sociologico, iconologico e se miologico, ciascuno ormai libero dalla pretesa di rappresen tare l'unico metodo teoreticamente valido, possono e devono dare un contributo decisivo alla comprensione dell'opera ar, chitettonica. E ciò si verifica durante lo sviluppo dell'indagi ne, che è insieme analitica e critica, e che è tenuta a ritrovare il percorso formativo dell'opera onde intenderne le motivazio-. 11
ni, le fasi, i mutamenti e le risoluzioni formali. L'articolazione di questo iter conoscitivo e valutativo distingue fasi prepa ratorie analitiche e momenti critici di sintesi. Così, in breve, la restituzione del quadro storico e dell'ambiente sociale dove l'opera è sorta, spetta alla storia politica ed economica ed all'indirizzo sociologico; l'esame delle fonti nei diversi settori è · operazione filologica, come lo sono l'analisi dei sistemi statico-costruttivi e delle strutture dell'edificio, la ricostruzio ne delle vicende del monumento dai programmi d'uso iniziali ad og&i, e l'intero studio per la ricomposizione cronologica delle sue fasi costruttive; il riconoscimento delle correnti cul turali, e cioè delle componenti figurative rilevabili, è invece compito dell'indirizzo puro-visibilista, l'individuazione delle matrici tipologiche da un lato e dei significati prestabiliti dall'altro riguarda l'iconologia, lo studio dell'asse sintagma tico � dei suoi rapporti associativi 9 con gli agenti esterni, riguarda la semiologia. Sono tutte operazioni analitiche che si sviluppano a livello dei contenuti; sopra quello dell'espres sione si collocano il ritrovamento dell'idea architettonica do minante (che è la forma madre, forma ideale, nucleo genera tore del processo formativo), la connessa ricostruzione delle fasi di progetto e di quelle esecutive nelle loro ripetute inte razioni, la lettura storico-formale dell'opera ottenuta col ri percorrimento del processo, la conseguente valutazione ed il relativo giudizio, che nel loro insieme costituiscono l'esame storico-critico vero e proprip. L'intero procedimento dell'in dagine, guidato dall'idea architettonica originaria ed alimen tato dagli strati _di sostanza conoscitiva, alterna dinamica, mente le fasi analitiche descritte (ed altre ancora) ai momenti di sintesi, che risolvono in unità critica il disomogeneo com plesso dei rilevamenti di ogni tipo. · Questi risultati possono avere· nell'area culturale del re stauro architettonico un solo· esito. sicuro: ·quello della con ferma teorica e metodologica del restauro critico. Una conce zione dell'arte fondata sulla artisticità dell'oggetto e sul va lore individualizzato nell'immagine figurata, conduce obbli gatoriamente a considerare come primaria e prevalente la 12 forma visibile,e perciò come prioritario-il suo recupero,-attra-
verso là reintegrazione della · stessa immagine. Ne consegue_ che questo scritto, non avendo segnato alcun progresso verso una rifondazione teorica del restauro, si può ritenere inutile; ma esso ha. avuto almeno. l'effetto di porre in evidenza, in tutta la sua portata, che anche nel campo del restauro come in quello della storiografia la prima scelta da compiere è fra una concezione- spiritualistico-storicista basata sulla di stinzione critico-valutativa, ed un approccio intellettualistico condotto per contenuti, segni o significati e secondo modi logico-analitici. Quanto sopra detto può anche servire a porre di fronte, in un primo confronto, i possibili risultati del restauro cri• tico, già illustrati in altre sedi 10, con i presumibili esiti del l'applicazione al restauro architettonico delle altre direttive storiografiche.· Tale allargamento. del campo, di sper4ne�ta: zione, avrebbe certamente. come effetto generale un rinnova: to potenziamento del restauro filologico; e questa tendenza è come anticipata dall'apparizione della dottrina che propugna la « pura conservazione», la quale degrada in un anonimo ed arido immobilismo. Quanto alla concezione sociologica, essa ha già prodotto nell'ultimo decennio la teoria del e va lore sociale » dei centri storici, considerati sotto il prevaleute profilo sociale ed economico, e quindi destinati al « riuso » mediante operazioni di riattamento che rifiutano il rispetto dei valori storico-architettonici; teoria inammissible nella sua impostazione concettuale, che è· stata applicata con risultati inaccettabili. A sua volta il metodo iconologico, se può in generale dimostrarsi utile per l'individuazione delle e formi! simboliche » da conservare in quanto tali, ha però originato gravi danni introducendo nel restauro e risanamento dell'edi lizia storico-ambientale il criterio di identificare l'architettura nelle tipologie edilizie, applicando quindi il ripristino per tipi (cioè per schemi) e trascurando di occuparsi delle forme architettoniche; e tale enorme errore potrebbe estendersi al restauro dei monumenti. Da ultimo, è difficile dire quali po trebbero essere i risultati del semiotico codice-stile nella « continua e mutevole relazione dialettica con le opere » (come dice lo stesso De Fusco), e quindi in una lettura storica che 1-3
non dovrebbe accettare il condizionamento recato dalle in• varianti esterne all'autonomia significativa del segno archi· tettonico 11• -·· La considerazione conclusiva sul tema proposto da De Fu sco, riguarda il rapporto fondamentale fra opera d'arte e re stauro, in cui la prima condiziona comunque il secondo; cosl che, considerato che l'opera d'arte è tale solo in seguito al riconoscimento· critico della sua specificità e qualità, è l'inter pretazione storico-critica che condiziona il restauro. Se questo può essere accettato, la risposta a tutti gli interrogativi è anche troppo semplice: considerato che i quattro sistemi sto riografici primari non sono in grado di fornire risultati sod disfacenti, posto che il restauro critico è generalmente rifiu tato, non resta che riproporre alla discussione gli stessi fon damenti della scienza storica. Una rifondazione teorica del restauro richiede tassativamente un radicale rinnovamento della storia artistica e, più in generale, della storiografia. Ma qui dobbiamo fermarci.
I Cfr. e Op. cit. "• n. 49, sett. 1980. · 2 R. PANE, Architettura e arti figurative, Venezia 1948; R. BoNELLI; Architettura e restauro, Venezia 1959. 3 C. BRANDI, Teoria del restauro, Roma 1963. ♦ C. BRANDI, op. cit., p. 33. 5 C. BRANDI, op. cit., pp. 35, 71. -6 c. BRANDI, op. cit., p. 35. 7 C. BRANDI, op. cit., pp. 32, 44. · s E DE SAUSSURE, Corso di linguistica generale, Bari 1967, p. 150 ss. 9 R. DE Fusco, Segni, storia e progetto dell'architettura, Bari 1973, p. 168. 10 G. CARBONARA, lA reintegrazione dell'immagine, Roma 1976. 11 R. DE Fusco, op.cit., pp. 166 ss.
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Fortuna critica della "Tendenza,, R. AMIRANTE, F. DUMONTET, M. PERRICCIOLI, S. PONE
La nostra rassegna si propone di raccogliere i più signifi cativi contributi della critica contemporanea sulla corrente architettonica nota come la «Tendenza». Essa si compone di opere, programmi, esposizioni, e di una letteratura in parte dovuta a critici dell'architettura più o meno favorevo li ad essa, in parte agli stessi protagonisti, identificabili pe• raltro solo in base a considerazioni sulle caratteristiche delle loro opere e dei loro scritti e non per formali adesioni alla teorica del movimento, non essendo mai esistito un manifesto e relativi firmatari. Tutto ciò è stato del resto già rilevato in più occasioni. Giorgio Muratore scrive infatti: architettura di tendenza, termine approssimativo e taumaturgico, coper• tura paraideologica e metastorica di una realtà assai artico lata, variegata, complessa e contraddittoria 1; Renato Nicolini, sempre a proposito dell'uso del termine «Tendenza»: ciò comporta prendere atto della sua attuale equivocità, perché vi corrispondono significati palesemente e direi necessaria• mente diversi 2; lo stesso Aldo Rossi, infine, così si esprime: essa [la « Tendenza »] non può nascere da slogans . o mani• festi, ma dalla realtà di quei lavori - siano studi o pro getti --· che si muovono in una direzione precisa, razionale, ostinata, verso un nuovo significato dell'architettura 3• Ci siamo trovati di fronte ad un materiale molto eteroge neo e ad una produzione in atto, ed è per questo motivo che la nostra rassegna privilegia, rispetto ai brani di lega, 15
mento, i giudizi critici - citati testuahnentè, così" come è nella formula della rivista - che includono tutti i brani ri tenuti più significativi per la ricostruzione di una « immagine globale». Quanto alla cronistoria della vicenda; non la da remo per nota, ma neanche la sintetizzeremo all'inizio della nostra rassegna; essa scaturirà dalla stessa struttura del pre sente lavoro, che in un primo tempo avevamo pensato di articolare per temi (il rapporto con il movimento moderno, l'architettura e la città, la tipologia, la memoria collettiva, la didattica, la storia, il monumentalismo etc.) ma che, ad una più attenta riflessione, ci è sembrato più utile e meno dispersivo organizzare secondo il modello citato. Beninteso, la nostra rassegna non ha la pretesa di essere esaustiva, ma aspira soprattutto ad essere utile strumento di consultazione; il suo obiettivo più ambito è quello di essere un lavoro sinte tico perché basato sulla scelta dei giudizi. ritenuti più signi ficativi. La parola «Tendenza» trova la sua origine -in un articolo di Rossi scritto nel 1966 « L'architettura della ragione come architettura di tendenza» 4• È effettivamente a quell'anno che si può far risalire l'inizio della vicenda. Nel 1966 infatti Rossi pubblica il libro L'a1·chiteltura della città, che dal titolo dice quale sia la sua posizione ... limitata al campo di azione speci• fico dell'architettura, per rivendicare la sua autonomia ed il suo decisivo contlibuto alla forma della città 5• Lo stesso Rossi, nell'introduzione, si pronuncia in maniera chiara sul l'architettura di tendenza: in architettura i problemi di co noscenza sono sempre stati uniti alle questioni di tendenza o· di scelta. Un'architettura che non sia di tendenza non ha né· campo né modo di manifestarsi 0• Nel suo libro Rossi intro duce i temi - che in seguito riprenderà più volte - per la costruzione di una «Tendenza»: un nuovo modo ·di consia derare la città, trasformando gli elementi urbani in elementi architettonici e considerando la città come « un insieme di tanti pezzi in sé compiuti» 7; un nuovo rapporto con la storia, che· costituisce il materiale dell'architettura�;· una nuova· po sizione nei confronti dell'eredità del Movimento Moderno: 16 accettare questa eredità signlfica·-comunque porre su un pia-
no critico il materiale disponibile 9; la critica al funzionalismo ingenuo: ma questo non significa respingere il concetto di funzione nel suo senso più proprio 10; il concetto di abitazione, che non può essere il risultato di un'invenzione: essa è l'espres sione di un modo di vita secolare, dl tradizioni antiche e di tecniche moderne 11; lo studio della tipologia e la criti ca all' Existenzminimum, che organizza nei minimi dettagli la vita degli abitanti di un alloggio 12 e all'architettura organica dove la forma era e resta soltanto la traduzione plastica, qua si l'impronta, di una funzione determinata 13; il concetto di monumento: noi continuiamo a fruire gli elementi la cui funzione è andata da tempo perduta: la loro forma è inti mamente partecipe della forma generale della città, ne è per così dire un'invariante; spesso questi fatti sono strettamente legati agli elementi costitutivi, ai fondamenti della città, ed essi si ritrovano nei monumenti 14• Vittorio Gregotti, in una recensione 15, definisce il libro un'esposizione dei problemi della città ... che è precisamente defmibile come architettura ... ma la caratteristica della città è anche di rappresentare nel suo insieme una testimonianza della continuità storica di un gruppo sociale. Gregotti espone poi brevemente il contenuto dei quattro capitoli di cui il libro è composto e conclude mettendo in risalto quelli che per .lui sono i contributi più « interessanti e creativi»: la no zione di « locus » in cui coincide l'essenza della città come deposito della memoria collettiva, del mito come tramite tra il modello di cultura ed i segni fisici che costituiscono la città, e il fatto che l'opera di Rossi si inserisce in una cultu ra architettonica ed urbanistica, come quella attuale, marca tamente influenzata dal pensiero dei paesi anglosassoni e de gli Stati Uniti in particolare, come un libro europeo. Innanzi• tutto per la scelta delle fonti •.• in secondo luogo per il modo di discuterle e di utilizzarle. A sua volta, Maria Luisa Scalvini individua 16 un signifi cativo filo conduttore in alcuni concetti che l'A. ripropone costantemente in tutto l'arco del saggio ... : puntualizzazione del carattere dl artisticità, di b1dividualità dei fatti urbani .... determinazione delle due componenti, area residenziale ed 17
tlementi primari; a questi ultimi è intimamente connesso quello del ruolo giuocato dai monumenti in una teoria della persistenza, nel cui quadro essi costituiscono un tipico ele mento a funzione propulsiva permanente. Scalvini rileva inol tre, sempre a proposito di Rossi, che il suo contributo è di grande interesse; insiste però sul fatto che molti nessi ... e passaggi ... non risultano sempl'e fluidi e motivati [e] resta dubbia ancora la qualità del tessuto connettivo, ... quel « va lore urbano » che ... si sostituirà all'indefinibile e localizzata « ame de la cité ». Nell'introduzione al suo libro La costruzione logica del l'architettura (che si può considerare un altro punto di rife rimento teorico della «Tendenza» ma che non ne ha avuto il riconoscimento dalla critica) Giorgio Grassi fa esplicito ri ferimento a L'architettura della città di A. Rossi, che definisce la sua opera più importante, quella che riassume la sua ri cerca e il suo pensiero 17; giustifica poi i rari riferimenti a tale teoria presenti nel proprio saggio scrivendo che gli ele menti per una teoria da lui avanzati nella sua opel'a rappre sentano il fondamento di questa mia trattazione ... e più che discuterne determinati aspetti conclusivi ... vale riconoscerne l'impl'onta profonda 18• Negli anni della contestazione (1968-69) Aldo Rossi è a Milano e guida un gruppo di ricerca nella Facoltà di Archi tettura: i riferimenti teorici, sviluppati in lezioni e dibattiti, sono da un lato l'impostazione descrittiva positivistica e dal l'altro l'impostazione legata alla analisi strutturale marxista 19• Un articolo di Giovanna Gavazzeni e Massimo Scolari che si riferisce alla loro esperienza di lavoro nel gruppo diretto da Rossi all'Università di Milano, inserisce la nascita e lo svilup po della «Tendenza» nell'ambito del tentativo di sperimen tazione condotto a Milano a partire dal '68, contro la ridu zione del discorso disciplinare ad una problematica politica più generale da una parte, e contro il professionalismo dal l'altra. La corrente in cui ci muoviamo propone la rifonda zione globale dell'architettura nei termini della tendenza: essa vuole dare pieno spazio all'architettura senza soggezioni 18 o tutele politiche, sociologiche, tecnologiche ... in particolare,
la ricerca sul fatti specifici dell'architettura si prospetta come il più incisivo e più esatto aspetto della formazione di un arclùtetto 20• Agostino Renna e Salvatore Bisogni, in un articolo 21 ap parso nel 1969, parlano del consolidarsi di una disciplina scien• tifica del fatti urbani, una scienza urbana e di una ipotesi operativa che non pretendendo di avere carattere di univer salità, esplicita le proprie valutazioni sul reale, in funzione di una impostazione teorica tendenziosa. Più avanti - dopo aver riferito la posizione di Aymonino per cui compito reale cui si trova di fronte l'urbanistica moderna è quello di pre disporre le immagini e gli strumenti per una nuova forma urbana e che propone quindi un ribaltamento dalla tecnolo gia all'architettura intesa come forma - gli stessi AA. afferma no che la «Tendenza», portatrice di questa nuova « scienza urbana », considera il piano urbanistico come un progetto architettonico sulla città che si realizza in forma chiusa e definita per interventi successivi, aggiungendo pezzi di città finiti a città finite, e concludono affermando che questa ipo tesi muove da una definizione positiva della città e dell'archi tettura come manifestazione esteticamente intenzionata della collettività, fondata su la permanenza dei valori, la funzione della storia come patrimonio dell'uomo, l'architettura come scienza, la progettazione come consapevolezza analitica, e che nella nuova città il monumento ... diventerà il luogo della massima tensione dell'uomo moderno, sarà il e cumulo di terreno • di Loos. Nel 1970 Ezio Bonfanti scrive il saggio « Elementi e co struzione: note sull'architettura di Aldo Rossi», punto di ri ferimento per tutti coloro che in seguito hanno scritto su Rossi e sulla sua « scuola •· Bonfanti dichiara all'inizio del suo scritto 22 di non voler discutere né la vocazione di Rossi e il suo interesse per la formazione di una scuola, né la sua produzione teorica, per quanto Rossi affermi l'inscindibilità dei due termini (teoria e progettazione); e precisa: tratterò qui soprattutto della sua architettura e dei suol progetti. Probabilmente, è proprio da ciò che discende l'importanza del suo scritto. 19
Dopo aver affermato l'importanza della critica accanto all'autodescrizione (evidenziando con ciò un punto di dissen so rispetto a Rossi) Bonfanti esamina le sue opere, che tutte insieme sono state considerate quasi ,un unico progetto nel quale giudizi di valore separati avrebbero un senso relativo ... L'architettura di Aldo Rossi sl presenta con caratteri di inso lita nettezza, di accentuata riconoscibilità e programmaticità. In realtà ad un esame più profondo, tale programmatlcità risulterà molto meno rigida ... [La sua architettura] è analiz zabile, ciò che non vuol dire facile. Essa esibisce comunque Immediatamente ... Il suo carattere dl « composizione per ele menti• ... pezzi, irriducibili ulteriormente ... e parti ... elemen ti più complessi che in qualche caso possono coincidere con architetture intere. Bonfanti enumera i pezzi e le parti di cui Rossi si serve, e sottolinea poi il suo costante ricorso al pro cedimento additivo nella costruzione, che procede per succes sioni o per sovrapposizioni ... Corollario del procedimento ad ditivo è la separabilità; tutto il ciclo che va dagli elementi alla loro addizione e torna alla separabilità, rappresenta il tentativo di tener fede all'assunto di una teoria della proget tazione legata alla forma, agli elementi ricorrenti, agli aspetti dotati di una precisa logicità tecnica o distributiva ... che può essere svolta come un procedimento logico-formale, tra smissibile, didatticamente esauriente e sistematico. Bonfanti si serve delle parole dello stesso Rossi per mettere l'accento sul nuovo rapporto istituito con la storia dell'architettura: 1 monumenti romani, l palazzi del Rinascimento, l castelli, le cattedrali gotiche costituiscono l'architettura; sono parti del la sua costruzione. Come tali ritorneranno sempre non tanto e non solo come storia e memoria, ma come elementi della progettazione 23 e conclude con un accenno all'orientamento analitico e progettuale legato all'idea di «città analoga• (che Rossi nel 1969 aveva delineato prendendo spunto da un qua dro del Canaletto che aveva dipinto una tela con un paesag gio veneziano «fantastico» componendo tre progetti palla diani): Esso è il momento di sintesi tra teoria delle scelte, analisi urbana, procedimento analitico additivo e rappre• 20 senta anche il tentativo di trasferire su di un plano di
sempre minore arbitrarietà U rapporto tra logica e Imma ginazione 24• Ci sembra che con questo saggio Ezio Bonfanti abbia in dicato un pertinente modo di lettura. Per parte nostra, vor remmo notare che la «Tendenza» sembra non aver voluto sviluppare appieno le componenti strutturaliste, e addirittura semiotiche, che erano contenute nelle sue premesse, talora con enunciazioni anche abbastanza esplicite. I temi fin qui trattati possono, in linea generale, essere considerati come i principali assunti teorici della «Tenden za ». Per quelli particolari, e per il dibattito stesso, divide remo la materia incentrandola su alcune «occasioni» proget tuali e su temi specifici.
Il cimitero di Modena Nel 1972 vengono premiati i progetti vincitori del « Con corso nazionale di idee per il nuovo cimitero di Modena ». L'iniziativa di questo Comune, che aveva chiamato la cultura architettonica italiana a cimentarsi con un tema almeno in solito e per lo svolgimento del quale era impossibile rife rirsi ad una tradizione progettuale moderna, ebbe un grande numero di adesioni. In proposito, Portoghesi scrive 25 che da questo concorso emerge l'esistenza di una tendenza quindi la possibilità critica all'interno di un panorama pluralistico, di identificare uno sforzo collettivo, dei denominatori comuni di ricerca; nonché, più avanti, che i progetti vincitori si pos sono considerare tutti all'interno della «Tendenza» accennata e tutti, aggiungerei, seppure in diversa misura, viziati da una scelta riduttiva e inibita del repertorio linguistico. Il ri fiuto della volgarità e del pluralismo imperante nell'edilizia corrente comportano come contropartita il distacco aristo cratico e la ricerca di metafisiche lontananze; e ancora: L'in• discutibile aspirazione arcaistica dechirichiana e i legami con Boullée e con U neoclassicismo ideologico, sono scorie intellet tuali incombuste di un processo sintetico arrestato troppo presto o legittime parentele culturali? Nello stesso scritto Portoghesi riferiva che la decisione della giuria non era stata 21
frutto di un accordo ma di una spaccatura. D'altronde anche l'esito del concorso suscitò aspre polemiche. Nell'aprile del 1973, in un ediloriale dal significativo titolo « Cadaveri archi tettonici » 26, Bruno Zevi scrive: Lo scandalo suscitato dal ri sultati del concorso di Modena manifesta un'ormai atavica « tensione del rientro » che spinge l'avanguardia italiana a compiere masochistici regressi non appena si sia fatto un passo avanti. I progetti sono tutti più o meno neoclassici ... gli architetti mascherano le debolezze e i drammi del loro paese con atteggiamenti intellettuali, retorici e olimpici ... Il Novecento torna ln auge; recuperiamo le più viete espressio ni fasciste cosl cl sentiamo ambientati. Simbolismi ed Ideo logie, magari sinistrorse ma forbite, servono per contrabban dare la reazione. In particolare, a proposito del progetto di Rossi, primo classificato, Zevi parla di tracciati solenni, Iera tici, architettura della (falsa) sicurezza per esorcizzare il ter rore o la: malinconia crepuscolare. Partendo da premesse diverse, sempre a proposito del progetto di Rossi, Glauco Gresleri esprime un analogo dis senso: Se le qualità del progetto ln discussione sono la sua coerenza formale e plastica, il recupero per la città di « ele menti fondamentali» e di « configurazioni elementari » capaci di autodistlnguersl nell'anonimato figurativo dell'intorno ur bano, ed Il suo ricollegarsi ad autori di grande dignità quali Boullée e Ledoux, è pur vero che questa positività sl è otte nuta ad -un prezzo troppo alto: il sacrificio di ogni compo nente umana dello spazio e la sua angosciosa concretizzazio ne ln un ambiente lugubremente ostile 27• Su « Casabella », dove Rossi aveva presentato il suo pro getto « L'azzurro del cielo » dicendo di aver voluto costruire un cimitero che non si discostasse dall'idea di cimitero che hanno tutti, Franco Raggi 21; commenta: i primi tre progetti classificati, ma speciabnente il primo, sl proponevano di em blematlzzare ln termini monumentali il rapporto tra la città del vivi ed li recinto della città del morti, dove si condensa la memoria collettiva; e dopo aver notato che il progetto di Rossi sfiorava il semplicismo nel tentativo di conservare un 22 rapporto con l'impianto precedente del Costa, riconosce in·
vece che la sua architettura si costruisce sugli elementi e con gli elementi del passato al di fuori della citazione stlllstlca che ha con la tradizione un rapporto lmbalsamatorio. Cosi l'uso analogico della forma è w1a scelta che costituisce il carattere della monumentalità del cimitero. In « L'architectu re d'aujourd'hui », un altro commento: II progetto di Rossi prevede la selezione, escludendo il confronto con il divenire del tempo, perché la selezione è sinonimo di introiezione e di scelta esclusivamente personale. II progetto illustra questa attitudine. L'ordine che implica la sua architettura, non va]e come categoria formale ... si tratta di una categoria che si situa al di fuori della storia, che organizza dei segni pietrifi• catl; essa non mette in gioco un linguaggio, perché detiene la chiave di un ordine geometrico, matematico, dinamico in sé, ma privo di riferimenti ad una « langue » 29• Nell'articolo sul cimitero di Modena, Portoghesi aveva anche posto una nuova questione, notando che nella misura in cui la « Tendenza » si realizza e si specifica nel progetto essa perde di significato e di forza persuasiva. Che cosa \'UOI dire questo? Vuol dire che probabilmente è criticamente corretto tener conto di due fenomeni: 1) una tendenza più ampia e aperta a risolvere i problemi dell'architettura con i suoi mezzi specifici senza pretendere di ottenere indicazioni vincolanti e definitive dall'esterno attraverso prestiti e compromessi con altre discipline e una 2) « tendenza nella tendenza• di carat• tere più esclusivo che sembra aver bruciato le tappe nell'iden tificare l'oggettività con un repertorio formale precostituito, frutto di una semplificazione rigolistica, nata da un coacervo di inibizioni, piuttosto che da. scelte coraggiose 111• L'osserva zione di Portoghesi non resterà inascoltata; Vanna Fraticelli · sembra riprendere il discorso in un articolo in cui, dopo aver riconosciuto alla « Tendenza » l'impegno nella ricerca ar chitettonica, lo sforzo collettivo, la volontà di rivedere criti camente i giudizi correnti su avanguardia e storia dell'archi tettura, aggiunge: Questo patrhnonio assai ricco di ripensa mento critico e stimolo di indagini non ha ancora trovato una sistemazione più matura, mentre è piuttosto cresciuto nel l'ambito, forse più ricco nella sua immediatezza, ma di incer- 23
sembra impregnarlo da clma a fondo, mentre il titolo più programmatico e indicativo di « Architettura di tendenza ,. ... ne avrebbe inquadrato le direzionalità e le pretese in maniera più conseguente e pertanto più produttiva ai fini di una com• prensione. E ancora, a proposito del saggio di Scolari che stende il testamento spirituale del movimento di « Tendenza », Gresleri aggiunge: La parte centrale del volume cerca il re cupero di « alleanze di corrente ,. in una serie non troppo articolata di episodi architettonici Internazionali, di firme al di sopra di ogni sospetto ... Scolari spinge a fondo la spiega zione di cosa sia questa tendenza, su quale filosofia si sosten• ga e quali prassi applichi. Le fonti cui attinge a questo scopo si scoprono purtroppo molto limitate tanto è vero che ..• deve attingere a piene mani agli scritti, ai pensieri ed ai saggi di Rossi; e conclude: Se Il lettore ha il dubbio di essere saltato dentro il mondo dell'Accademia, come potremmo dargli torto? Le polemiche suscitate dalla Mostra di Rossi furono molte e di vario tipo, non ultime quelle del Movimento Studentesco· che accusava Rossi per aver accettato l'incarico della Mostra stessa; accusa cui Rossi non si sottrae, riconoscendo anzi un « astratto neoilluminismo » nella posizione che lo aveva por tato a credere che -una mostra seria e impegnata potesse ri scattare i limiti obiettivi della situazione 33• A questo proposito Branzi osserva: Rossi aveva respinto le accuse mossegli da più parti ... scusandosi con il Movimento Studentesco per aver accettato l'incarico alla Triennale, definendosi un ingenuo ac cademico estraneo a simili valutazioni. Ma non cosl ingenuo da non mettere insieme una mostra che oltre alla « Tendenza • allinea tutti i progetti dei più importanti professori univer sitari e rilancia la grande architettura staliniana come antl· borghese 39• L'accusa di riproporre un'architettura di « regime ,. trova vasto eco; ne « L'Espresso » Zevi commenta: L'esposWone architettonica incasellata in una serie dl cubicoli soffocanti, adatti forse ad un convento o forse ad una prigione, è un capolavoro di doppio gioco culturale. Sventolando la bandiera della « architettura razionale •, esalta la tendenza più gratul26 ta, dogmatica, reazionaria e oscurantista: un neoclassicismo
basato su assi, simmetria, iterazione di partiti assonanti, ri gurgiti piacentiniani, rancide citazioni novecentesche. Nessu no contesta ad Aldo Rossi il diritto di esprimere le proprie preferenze ed idiosincrasie; Inaccettabile appare invece la pre tesa di i-iportarcl al sistema Beaux Arts mediante contorti ri chiami alla tradizione del Movimento Moderno. Il trucco è troppo scoperto per non rivelare la sua inconsistenza 40. Più tardi lo stesso Zevi scriverà: ecco spuntare coloro che parlano di « false certezze » e paralizzano il progresso pretendendo una « verifica » e talvolta una « rifondazione ,. dell'architettu ra ... oggi i tendenziosi parlano di autonomia dell'architettura dopo aver raccontato per anni che l'architettura era morta, che la sua crisi dipendeva da quella strutturale della società, che il mondo della architettura era esautorato ... L'autonomia dei tendenziosi confina con un narcisismo autarchico velato di dannunzianesimo, implica che l'architettura vale per .sé, per le proprie forme. Da qui al sistema Beaux Arts il passaggio è diretto: dall'autonomia dell'architettura all'evasione formali stica 41 • E Andrea Branzi ribadisce: La sezione internazionale di architettura ... si è trasformata in un « Summit ,. della Re staurazione disciplinare. La condanna dei gruppi dissidenti è stata imponente, cieca ed intransigente ... Non vedo come si possa parlare di Tendenza quando di fatto si organizza una Mostra che invece di proporci una architettura di tendenza, ci propone una architettura di qualità, usando come unico criterio di selezione una sorta di generico monumentallsmo 42• Tutta un'altra parte della critica si schiera invece a fianco di Rossi e della sua scuola sottolineando la validità del loro impegno culturale e progettuale. Franco Raggi, ad esempio, così si esprime: La sezione di architettura proprio per la sua rigorosa e brutale chiarezza ha suscitato le critiche più aspre ... si è voluto vedere nell'ipotesi decisamente disciplinare di Rossi un sintomo di regressione, o peggio una cosciente stra• tegia della restaurazione culturale ... Si sostiene cioè il signi ficato riduttivo e reazionario dell'impegno progettuale affer• mandone la natura compromessa e strumentale alla rappre sentazione della cultura dominante ... dogmatismo e fonnall smo sono I limiti della cosiddetta « Tendenza •, ma questo 27
non giustifica l'accusa di restaurazione culturale 43• Paolo De ganello aggiunge: la XV Triennale si presenta come il nuovo programma, il nuovo piano per l'architettura moderna. t:: la prima presentazione ufficiale ed organica di una ricerca e di un impegno didattico che, iniziato nel '66, si è andato via via affermando in molte facoltà italiane ... è anche il tentativo di documentare in tutte le sue articolazioni, l'affermarsi, nelle scuole europee e nella cultura architettonica, di questo pro gramma di rifondazione globale dell'architettura 44•
li quartiere Gallaratese. Prima di raccogliere i principali scritti su questo tema, ci sembra giusto accennare ad un saggio di Antonio Mane stiroli che mette bene in rilievo il particolare contributo di · Giorgio Grassi. Questo saggio costituisce una eccezione ad una regola generale che traspare chiaramente dalla nostra rassegna: la quasi totalità degli scritti critici si pronuncia, o sul movimento di « Tendenza» nella sua globalità senza specificarne i protagonisti, o (ed è la stragrande maggioranza dei casi) su Aldo Rossi, considerato da tutti il fondatore ed il principale protagonista di « Tendenza»; e non è un caso che debba essere proprio Monesliroli, egli stesso « tenden zioso», a parlare di Grassi. Egli scrive tra l'altro: Con i suoi progetti Grassi porta nella città del nostro tempo un mondo di forme che con questa è in aperto contrasto. Un mondo che, definito ed unitario, si contrappone non solo alla città capitalista qual è ma anche a tutte le proposte che da questa traggono il loro movente espressivo. Monestiroli aggiunge che la ricerca di Grassi, pur non essendo isolata, resta ignorata dalla critica ufficiale, e conclude che permane il dubbio se sia questo il momento di sventolare la bandiera della « Tendenza » oppure quello di cercare nessi più confor• tanti oltre che un ulteriore approfondimento delle singole ri cerche stesse. Occorre prendere atto peraltro del fatto che nel momento in cui è decretata la « morte dell'architettura » vi siano ancora alcuni esemplari di architetti che contraddi28 cono nei fatti questo vaticinio 45• Anche Vanna Fraticelli ac-
cenna a Grassi: Vi è di notevole nel contrlbulo di Grassi la volontà di superare una nozione storicistica dei fatti dell'ar chitettura: tanto nella sua accezione di contemplazione del passato, quanto nella forma evoluzionistica; che concepisce Io sviluppo storico come sviluppo, reazione, crisi, superamen to di astratti concetti, a ricercare nel passato contraffatti e deformi aspetti del presente. Contributo perciò tanto più im portante in quanto ci aiuta a liberarci di quella « storia della cultura » come fatto sostanzialmente unitario il cui difetto risiede più che nell'inesattezza, nell'inutilità 46• Il progetto per il quartiere Gallaratese di Milano è del 1970, ma la costruzione degli edifici ( progettati da Rossi e Aymonino) è ultimata solo nel 1974. Di quest'anno è l'arti colo di Ferrari che scrive: Linearità e rigore stilistico (Rossi), complessità tipologica ed eclettismo dall'altro (Aymonino), gli uni e gli altri al linùte del tour de force ... E qui lo squilibrio tra la casa come elemento del paesaggio e la casa come abi tazione è evidente ... Queste case non aiutano a vivere; aiutano al massimo a sognare e a giocare. E qui forse cogliamo il senso dell'errore in cui i progettisti sono caduti, errore che sta tutto in un equivoco: altro è cercare di aiutare la gente a combattere, nell'abitazione e con l'abitazione, l'alienazione di cui soffrono all'esterno, altro è fare finta che l'alienazione non esista ... L'utente di tale architettw·a non può essere in senso proprio che uno solo: l'autore, accompagnato al mas simo dai suoi fantasmi preferiti •i. Gli risponde, nello stesso numero di« Casabella », Franco Raggi: L'equazione bello=ric• co è troppo allettante per chi fa della critica demagogica e non si accorge che al Gallaratese vengono riproposte tipologie storicamente collaudate proprio e solo dalle classi popolari (nù riferisco soprattutto all'edificio di Rossi) .a. Del Gallara tese si occupa anche « L'Architecture d'aujourd'hui », nel nu mero dedicato agli arclùtetti italiarù contemporanei: mentre la costruzione di Aymonino è un « saggio », cioè la ricerca di una continuità urbana utopica, sintetizzata nella riproduzione d'immagini storiche tradotte in « omaggi » e « citazioni•, l'edi ficio di Aldo Rossi nel Gallaratese non trasmette alcuna spe ranza e non esprime alcuna continuità. II blocco reside�ale
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è indifferente agli avvenimenti esterni, non fa allusione che alla propria compiutezza e alla permanenza dei segni che hanno per significato l'immobilità ed il silenzio, la lotta per non diventare un organismo. i:: un'architettura « senza qua lità», appartiene al divenire storico dei prodotti �9• Anche la rivista « Arquitecturas bis» si pronuncia, riavvicinando il Gal laratese alle Siedlungen di Karlsruhe e Dessau per l'identità della loro tematica: evidenziare, realizzare la contrapposizio ne tra la Ragione e l'irrazionalità della città del lavoro ... Il gruppo di Aymowno offre da lontano l'immagine variata, de forme, rappresentazione plastica del compromesso, allegoria della rinuncia al dominio sulla forma ... inoltre si offre esiben do tutto il laborioso processo della sua costruzione ... Niente di tutto questo è in Rossi. L'unica variazione del bianco e lungo blocco si produce con l'altezza dei pilastri che lo appoggiano al terreno... Ma le colonne non uniscono il blocco al suolo, lo separano. Il tema rossiano è nel dimostrare la possibilità di fare un'architettw·a immateriale, inattuale, che passi al diso pra della città senza tagliarla 50• Vittorio Savi si servirà del parallelo Rossi-Aymonino per controbattere una delle accuse cui sono soggette le opere di Rossi, il monumentalismo: L'e sempio del complesso residenziale al Gallaratese dove l'edi· ficio di Rossi sta accanto a quello di Aymonino può essere adottato strumentalmente per dimostrare che la più aggres siva manipolazione delle componenti formali, la trascuratezza e l'invenzione variata (Aymonino) sono monumentali quanto l'ordinamento assiale (Rossi). In realtà il vero monumentall smo, che sussume con le strutture fisiche il territorio al ciclo produttivo capitalistico, è altrove: nelle ristrutturazioni terzia rie dei centri storici O<! nei nuovi fenomeni speculativi 51•
l..a «Tendenza» e l'avanguardia.
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Il dibattito sulla «Tendenza», dopo l'impennata dovuta alla XV Triennale e il persistere di qualche accento polemico a proposito del Gallaratese, acquista toni più pacati; vengono infatti a mancare le voci dei più vivaci oppositori, che
sembrano disinteressarsene. Tuttavia la «Tendenza• conti nua ad essere oggetto di numerosi saggi ed articoli. Nell'introduzione a Progetto e utopia, Tafuri scrive: Si è condotti quasi automaticamente a scoprire quello che può anche apparire il dramma dell'arclùtettura oggi: quello cioè di vedersi obbligata a tornare « pura architettura », istanza di forma priva di utopia, nei casi nùgliori sublime inutilità. Ma ai mistificati tentativi di rivestire con panni ideologici l'architettura, preferiremo sempre chi ha il coraggio di par lare di quella silenziosa e inattuale purezza. Anche se essa stessa nasconde un afflato ideologico, patetico per il suo ana cronismo 52• Carlo Guenzi, dopo aver riportato il brano di Tafuri appena citato, afferma: E: un atteggiamento, una ten denza che si è incarnata nella scuola di Aldo Rossi, ma che trova oggi nell'università di massa in via di disfacimento, e poi nel mondo del lavoro che castra ogni ideale professiona le, tutte le sue motivazioni 53• Su « Arquitecturas bis •, Rafael Monéo scrive che per Rossi l'architettura è soprattutto « costruzione logica•• e aggiunge: siamo così poco abituati oggi alla costruzione, che l'imma gine della stessa, nella sua provocatoria elementarietà, si av vicina alle immagini surrealiste e lo stesso Rossi è ben .co sciente di ciò, tanto da non sfuggire alla possibilità e alle immediate concomitanze che legano i suoi disegni alla pittu• ra metafisica di un De Chirico e di un Carrà, per proseguire dicendo che Rossi ed i « rossiani », nell'intento di far inten dere la forza dei loro « principi », sono costretti ad una con tinua provocazione formale che può dar luogo ad una inter pretazione, ad una lettura in chiave espressionista della loro opera 54• Proprio a Monéo pare rispondere Nicolini 55: 1:. legit timo che alcuni abbiano rivendicato l'opera di Aldo Rossi al l'avanguardia, tra surrealismo ed espressionismo ... Giudizio fondato sull'importanza indubbia del ricorso alle analogie nell'architettura di Aldo Rossi ... li rapporto tra opera e realtà risulterebbe invertito rispetto ai moduli consueti: piuttosto che riflesso di un reale, reale di un riflesso, ricerca di un'im· magine mentale della realtà, anziché di realtà. Possiamo acco starvi, per il tipo di analisi dei progetti che credo vi sia im- 31
pllcata, la critica di chi scorge in Aldo Rossi il testimonio inat tuale della « purezza ,. dell'architettura. Nicolini aggiunge che la realtà storico-sociale non è necessariamente nostalgia meta fisica o allucinazione individuale, ma può essere anche qual• cosa che è un valore e che dobbiamo negare o rivendicare .•• l'architettura di Aldo Rossi si presenterebbe dunque in rela zione al presente storico-sociale che la include, come una scommessa sulla capacità di esistenza di una società radical mente post-moderna e non capitalista; e conclude ritrovando in Aldo Rossi un realismo che non è adeguamento passivo alle circostanze, ma progetto di profonda trasformazione so ciale ... Né si intende bene il senso di questo impegno, se non come parte di una tendenza più ampia e che comincia a definirsi anche in relazione ad una problematica più diret tamente politica. Questa •.. non ha molto a che vedere con le avanguardie storiche e con il loro mito. Con Nicolini sembra concordare Bernard Huet: La «Tendenza,. tenta di ricostrui re la disciplina arclùtettonica. Per la « Tendenza ,. l'architet tura trova la sua sola giustificazione nel suo « essere ,. stesso; essa non è investita di alcun contenuto ... e se si riferisce ad una monumentalità è quella che designa la memoria collet• tiva attraverso la storia dei tipi. In una parola essa è « reali sta •· È facile stabilire una sorta di filiazione tra la « Tenden za• e il realismo socialista. Quelli che . se ne scandalizzano e assimilano la •Tendenza,. al formalismo, al fascismo, o al riton10 all'accademia, perpetuano la confusione della « critica formalista• 56• Nel 1976 Giorgio Muratore pubblica un articolo dal titolo emblematico, « C'era una volta la Tendenza,. 57: Purtroppo ... la stagione progressiva fu di breve durata ... i vari tentativi di rivitalizzare e di dare nuova c1·edibilità al discorso dove vano restare al livello di patetica Invocazione ... di minoranze potenti sul piano politico culturale ma disperatamente lon• tane dalle reali dimensioni di un consumo anche sociale dei dati disciplinari e specifici; l'A. più avanti, dopo aver ricono sciuto il valore di Aldo Rossi come architetto e il distacco dai suoi « manieristici epigoni •, aggiunge: resta comunque il fatto 32 che tanti falsi profeti, tanti cervellotici esegeti di una mal rea-
lizzata « saison nouvelle » dell'architettura italiana, dovrebbero costringersi ad una serena quanto radicale autocritica. Con trapposto alla posizione critica di Muratore è un intervento di Carlo Aymonino dal titolo altrettanto significativo, « Un'ar chitettura dell'ottimismo»: La produzione architettonica di Aldo Rossi è un punto di riferimento sia critico che operati vo, tanto nel quadro della situazione italiana quanto a scala internazionale ... per la qualità di ciò che produce, l'architet tura di Aldo Rossi, si oppone sempre più chiaramente alle mode effimere, al mito del progresso perpetuo e alle tecnolo gie dominanti ... L'architettura nasce da una successione di problemi analoghi e di dimensioni simili nei contesti storici differenti ... L'analisi delle tipologie di edifici e quella delle strutture urbane ne danno la prova; attraverso i loro rapporti reciproci si può dissociare il transitorio dal permanente ... non si tratta più di una « architettura del silenzio " o di una « architettura della crisi » ma, ironia della storia, di una archi tettura dell'ottimismo, popolare 5�. In un successivo articolo lo stesso Muratore è portato a rivedere la sua tesi della« mor te della Tendenza»: sembra paradossale, ma le cronache an che recenti confermano che il « morbo rossiano " e la e sin drome di Krier » sia pure precocemente affrontati ed abbon dantemente esorcizzati (ma forse proprio per questo), dila gano e sono a tutt'oggi incurabili, mentre frenetici e appro fonditi studi vengono condotti per debellarli a colpi di e co dici anticlassici » e di « organiche asimmetrie» sq_ Una personale interpretazione della fortuna della« Tenden za» è proposta da Franco Purini e Laura Thermes: in realtà la fortuna della tendenza è stata determinata più dalla distru :1:ione di w1 humus di conoscenze e preferenze personall, pro vocata dalla dequalificazione della scuola, che da scelte cul turalmente motivate. Cosi non è passata la linea rigorosa di Ledoux, di Taut, di Loos, di Mies, di Tessenow, di Muratori e di Rossi, la linea che potremmo definire « oggettiva» nelJa progettazione, ma le architetture personali di questi maestri !11. Viceversa, a favore della prevalenza della « linea oggettiva » sembra esprimersi Renato De Fusco che, a conclusione di . una nota 61 dedicata al « post-modero », mette in rilievo il 33
fatto che molte correnti architettoniche, e tra queste soprat tutto il Protorazionalismo, non sono mai morte, ma hanno invece avuto una esistenza parallela al « trionfante raziona• llsmo », magari incarnandone una versione più « moderata •• Ed era prevedibile che, una volta in crisi l'architettura ra zionale, esse riemergessero più forti e attraenti; per poi chie dersi, concludendo, se molti architetti e tra questi lo stesso Rossi, si rendano conto di costituire con le loro opere la versione più attuale di quel Protorazionalismo, momento chia ve del Movimento Moderno, a suo tempo frettolosamente ar chiviato.
Il « Teatro del mondo "· Gli ultimi contributi critici sulla « Tendenza » prendono spunto dal « Teatro del mondo », presentato all'ultima Bien• nale di Venezia da Aldo Rossi. Portoghesi commenta: Nel Teatro del mondo ... convergono In filigrana, molti dei temi caratteristici della sua architettura, ma forse si apre anche una pagina nuova in una ricerca che, se ha il suo maggior pregio nella concentrazione e nella coerenza, ha anche il me rito di svilupparsi e rinnovarsi periodicamente, attraverso l'acquisizione di nuovi tipi e di nuove qualità a quel « mondo rigido e di pochi oggetti » in cui essa si attua ... la laconicità di Rossi non si smentisce, ma perde sempre più un legame elettivo con le austere cartilagini biancastre del lessico fun· zionalista; egli rileva inoltre che il ricorso alla memoria, sem pre presente nelle opere di Rossi e sempre filtrato attraverso i tipi, si è fatto ora molto più libero e finisce con l'ampliare il gioco delle « associazioni » fino a fame il momento centrale del progetto che diventa così anche il progetto di una opera zione mnemonica che avviene nella mente dell'osservatore 62• Manfredo Tafuri scrive: In realtà il teatro di Rossi non esclude gli spettatori: solo che è esso che dà spettacolo ... D Teatro veneziano è infatti destinato ad apparire e a sparire; anche tale sua condizione è necessario assumere come mate riale del comporre. Si viene così a scoprire che lo stupito 34 spaesamento dell'oggetto di Rossi, pur non avendo questa voi-
ta da reagire contro la cattiva periferia metropolitana, è an cora carico di messaggi alternativi nei confronti del luogo cui esso è destinato ... Il teatro di Rossi è pensato come forma viaggiante ... con un risultato: l'effetto straniante di questa costruzione, che alJ.ude ad un mondo di memorie troppo ricco per essere interamente esplicitato, si moltiplica nel corso del suo realizzarsi e del suo tragitto 63 • Francesco Dal Co, dopo aver considerato il doppio significato della costruzione di Rossi - macchina viaggiante sull'acqua da una parte, e vero e proprio teatro che presuppone quindi l'ordine definito del l'indagine tipologica - aggiunge: ma soprattutto il teatro di Rossi è un ennesimo tributo alla memoria perché si presenta, pur nella ammirevole essenzialità, come un ennesimo mon taggio di immagini di diversa provenienza, ricordi magari già affiorati ma mai precisati nel concreto della costruzione ... il teatrino veneziano placa i ricordi nell'essenzialità ed eleganza della sua geometria, alludendo al contempo ai propri ar chetipi. Alla fine questa architettura dichiara il proprio essere sostanziahnente rappresentazione della « presenza di un'as senza » 64• Anche Daniele Vitale 65 si pronuncia sul teatrino sottolineando il rapporto particolare che questo crea con Ve nezia: è con questa, con la città e con il suo mito che il teatro costruito si misura: così nella città che ha negato di farsi realtà ai progetti dei maestri del Movimento Moderno, il con fronto con l'architettura torna a riproporsi - quasi per ironia - attraverso la povertà di una struttura provvisoria, gal leggiante sull'acqua. Vitale più avanti allarga il discorso for mulando un sintetico giudizio su tutto il movimento di « Ten denza»: Il discorso teorico del movimento italiano degli anni '60-'70, la cosiddetta « Tendenza » si è immiserito e perduto nel corso del suo procedere; inizialmente pieno di idee, di forza di analisi, di spunti ideologici nuovi, esso ha prodotto diverse proposte convincenti, ma non una linea chiara e ge neralizzabile nel campo del progetto; ciò io credo, va valutato come il segno tangibile di una difficoltà e di un'insufficienza. La volontà di ancorare il significato alla città, l'analisi ur bana e degli edifici come base di una teoria, la rivalutazione delle questioni del tipo e del monumento, sono stati aspetti 35
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decisivi di una polemica che ha proposto una direzione di lavoro ed ha costruito gli elementi di una contrapposizione: contro la riduzione dell'architettura a genere di consumo ... contro il mito della creazione come logica delle qualità indi• viduali; a questo punto Vitale nota il riaffiorare di un « vizio ideologico», e cioè la superiorità del contesto rispetto all'ar chitettura, anche se questa volta il contesto non è più quello storico-sociale, ma lo studio analitico delle architetture e delle tipologie della città, e conclude: Mutati i temi è rimasta la stessa incapacità di concepire l'architettura come fatto posi tivo, come proposta di trasformazione che ha le sue radici in relazioni più generali e lontane, in associazioni talvolta imprecise che costruiscono un mondo di oggetti precisi. Per completare la rassegna dei contributi critici più recen ti, può essere utile riportare quasi per esteso un lungo brano di Tafuri dedicato a Rossi: Nulla significano le accuse di fasci• smo scagliate contro Rossi, dato che i suoi tentativi di recu• perare un'aristocratica astoricità delle forme escludono ogni ingenua verbalizzazione dei contenuti ed ogni compromesso con il reale. Dopo aver stabilito una precisa distinzione tra Rossi e i « rossiani » (altro discorso faremmo per la sua scuo la), Tafuri aggiunge: Riteniamo doveroso di consigliare a Ros• si di non insegnare architettura: ma non per isterico o con formistico ostracismo, bensl per aiutarlo ad essere più coe rente con il suo affascinante quanto superfluo silenzio. A pro posito poi della ricerca di Rossi, lo stesso A. scrive che questa perde se stessa nel tentativo estremo di salvare uno statuto umanistico per l'arclùtettura ... [Rossi] non rifonda la disci• plina bensì la dissolve ... alla ricerca dell'Essere dell'architet• tura .•• scopre che solo il limite dell'Esserci è dicibile. Ne scaturisce un risultato teorico di portata fondamentale in realtà già scontato dalla cultura contemporanea ma che di continuo viene accantonato. Il rifiuto della manipolazione in· genua delle forme, opposto da Rossi, conclude il dibattito vissuto personalmente dal primo Loos 66• Si può prendere spunto da quest'ultima citazione per ten tare w1a conclusione, necessariamente dubitativa, della nostra rassegna.
In sostanza, il far salva la sola opera di Rossi, se non addirittura solo un suo aspetto, cioè quello della sua « silen ziosa e inattuale purezza», rappresenterebbe una conferma sul campo della nota tesi tafuriana della « morte dell'archi tettura», o meglio di un suo modo di intenderla. Ma anche a condividere questo giudizio, resta il problema di come con siderare la «Tendenza», che non si può liquidare riconoscen dole i limiti propri ad un fenomeno di proselitismo. Per cui, o si considera tutta la « scuola» come una conferma della tesi suddetta, limite estremo di un orientamento privo di qua lunque indicazione per altri, oppure, riconosciute tutte le sue valenze, all'attivo come al passivo - la rivendicazione della « autonomia dell'architettura»; l'approfondimento dello spe cifico disciplinare, codificabile e quindi trasmissibile; i rife rimenti alla Metafisica e al Novecento; il carattere «elitario• dell'orientamento - e riconosciuto soprattutto, ·pragmatica mente, il successo della «Tendenza» nella scuola e nel dibat tito, la si considera al contrario come uno dei pochl segni di vitalità dell'archltettura contemporanea.
1 G. MURATORE, C'era una volta la Tendenza, in « Controspazio•, n. 2, 1976. 2 R. NICOUNI, Per un nuovo realismo in architettura, in « Contro spazio•, n. 6, 1973. 3 A. Rossi, Presentazione del saggio di G. GAVAZZENI • M. SCOLARI, Note metodologiche, in «Lotus•, n. 7, 1970. • B. HUET, Formalisme et réalisme, in « L'Architecture d'aujour d'hui•, n. 190, 1977. s R. MoNEO, Gregotti & Rossi, in « Architecturas bis•, n. 4, 1974. 6 A. Rossi, L'architettura della città, Marsilio, Padova, 1966. Si cita qui dalla riedizione Clup, Milano 1978, p. 230. 'i Ibidem, p. 240. 8 Ibidem, p. 236. 9 Ibidem, p. 230. 10 Ibidem, p. 232. 11 A. Rossr, L'habitation et la ville, in « L'Architecture d'aujourd'hui•• n. 174, 1974. :U Ibidem. 13 Ibidem.· 14 A. RossI, L'architettura della città, cit., p. 57. 15 V. GREGOTTI, Recensione a L'architettura della città, in « Il Verri•• n. 23, 1967.
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16 M. L. SCALVINI, Recensione a L'architettura della città, in « Op. cit. », n. 7, 1966. 17 G. GRASSI, La costruzione logica dell'architettura, Marsilio, Padova 1967, p. 11. 1s Ibidem, p. 11. 19 A. Rossi, «Introduzione», in AA.VV., L'analisi urbana e la pro gettazione architettonica, Clup, Milano 1974, p. 12. 20 G. GAVAZZENI • M. SCOLARI, Note metodologiche, in « Lotus», n. 7,
1970.
21 S. BISOGNI• A. RENNA, Contributo per un'idea di intervento sulla
città, in « Controspazio», n. 6, 1969.
22 E. BONFA!'ffl, Elementi e costruzione: note sull'architettura di Aldo Rossi, in « Controspazio», n. 10, 1970. 23 Bonfanti trae queste parole di Rossi da Architettura per i musei. 24 E. BOl\'FANTI, cit. 25 P. PORTOGHESI, Città dei vivi e città dei morti, in e Controspazio»,
n. 10, 1972.
26 B. ZEVI, Cadaveri architettonici, in «L'architettura: cronache e storia», n. 12, 1973. 21 G. GRESLERI, ... E le ossa di Etienne Boullée si voltarono nella tomba - ovvero - cosi si muore a Modena, in • Parametro», n. 15,
1973.
28 F. RAGGI, Poesia contro retorica, in « Casabella», n. 372, 1972. 29 F. DAL Co - M. MANIERI ELIA, La génératon de l'incertitude, in ·• L'Architecture d'aujourd'hui», n. 181, 1975. 30 P. PORTOGHESI, cit. 31 V. FRATICELLI, Contributi per un'architettura di tendenza, in « Controspazio», n. 2, 1973. 32 A. BRANZI, Avanguardia e fascismo, in e Casabella», a. 1974, n. 389. l3 F. DAL Co - M. MANIERI ELIA, cit. 34 A. Rossi, «Introduzione», in AA.VV., Architettura razionale, Fran co Angeli Editore, Milano 1975, p. 21. 35 M. SCOLARI, « Avanguardia e nuova architettura», in AA.VV., Archi tettura razionale, cit., p. 168. 36 Ibidem, p. 162. 37 G. GRESLERI, Alla XV Triennale di Milano, in «Parametro», n. 22,
1973.
38 A. Rossi, Perché ho fatto la mostra di architettura alla Triennale, in « Controspazio», n. 6, 1973. 39 A. BRANZI, Apollo e Dioniso a Gallarate, in « Casabella», n. 395,
1974.
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40 B. ZEVI, Cronache di architettura, in «L'Espresso», n. 41, 1973. 41 B. ZEVI, Tra accademia e Strapaese, in «L'architettura: cronache e storia», n. 226, 1974. 42 A. BRANZI, Si scoprono le tombe, in « Casabella », n. 385, 1974. 43 F. RAGGI, 15 Triennale 15, in « Casabella», n. 385, 1974. 44 P. DEGANEU.O, 1968 - XIV Triennale, della contestazione; 1973• XV Triennale, della restaurazione, in « Casabella », n. 385, 1974. 4S A. MONESTIROLI, Teoria e progetto, in « Controspazio», n. 2, 1974. 46 V. FRATICEU.I, Per la tipologia come rapporto tra progetto e storia, in « Controspazio», n. 2, 1974. 47 A. FERRAR!, Case senza tetto, in e Casabella», n. 391, 1974. 48 F. RAGGI, Nota redazionale al progetto del quartiere Gallaratese in « Casabella», n. 391, 1974. ,9 F. DAL Co - M. MANIERI ELIA, cit. so J. QUETGLAS, Rossi: dos construcci6nes, in e Arquitecturas bis», n. 4, 1974.
51 V. SAVI, L'architettura di Aldo Rossi, Franco Angeli Editore, Mi lano 1977, p. 41. 52 M. TAFURI, Progetto e utopia, Laterza, Bari 1977, p. 3. 53 C. GUENZI, La inattuale purezza dell'architettura, in « Casabella ", n. 388, 1974. 5-1 R. MONEO, cit. 55 R. NICOLINI, Note su Aldo Rossi, in « Controspazio •• n. 4, 1974. 56 B. HUET, cit. 57 G. MURATORE, cit. 58 C. AYMONINO, Une architecture de l'optimisme, in « L'Architecture d'aujourd'hui •, n. 190, 1977. 59 G. MURATORE, L'autodidatta nella folla, in «Lotus», n. 21, 1978. 60 F. PURINI - L. THERMES, Una generazione ritrovata, in « Contro spazio», n. 5-6, 1978. 61 R. DE Fusco, Un termine da precisare, in « Il Messaggero•, n. 225, 1980. 62 P. PORTOGHESI, Recenti progetti di Aldo Rossi: il Teatro del Mondo, in « Controspazio», n. 5-6, 1979. 63 M. TAFURI, L'Ephémère est eterne!: Aldo Rossi a Venezia, in « Domus», n. 602, 1980. 64 F. DAL Co, Ora questo è perduto, in «Lotus•, n. 25, 1979. 65 D. VITALE, Ritrovamenti, traslazioni, analogie, in «Lotus•• n. 25, 1979. 66 M. TAFURI, La sfera e il labirinto, Einaudi, Torino 1980, p. 333.
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una volta che si pervenne al fissaggio meccanico dell'immagi ne della camera oscura, poté nascere subito l'aspirazione della neonata fotografia, a valere come pittura, comunque ad es sere annoverata fra le arti figurative�. Ma, come nota Daniela Palazzoli, la fotografia venne im mediatamente riconosciuta non per un'assoluta novità, il che avrebbe potuto rendere problematica la sua acquisizione so ciale, ma per il miglioramento tecnologico di un bene già esi stente: il quadro 3• Tuttavia, l'assenza di un intervento diretto (o creativo) dell'uomo e la presunta automaticità della regi strazione, se da una parte portavano a considerare la foto grafia, secondo un noto giudizio di Baudelaire, rifugio di tutti i pittori mancati, mal dotati o troppo pigri per completare i loro studi 4, garantivano però anche l'incapacità della fotogra fia a mentire; fattore non secondario, dal momento che il tempo in cui compare la fotografia è ... dominato neJle scienze e nelle arti dallo scrupolo dell'oggettività; dalla volontà di re gistrare metodicamente tutte le esperienze nei loro più minuti particolari, per ricavarne il materiale di studio necessario per analizzare i modelli e le forme della realtà. La fotografia po teva perciò essere considerata come lo strumento rigoroso e maneggevole adatto alla ricognizione puntuale dei fenomeni naturali 5• Essa trova dunque il suo inserimento, colmando quegli ·specifici spazi e subentrando in quei compiti, fino ad allora appannaggio anch'essi delle altre arti, in grado di valorizzare meglio il suo potere di obiettivazione: non avendo ancora il carattere dell'istantanea per fissare l'avvenimento fuggitivo, ma essendo sottoposta alle limitazioni tecniche della posa lun• ga, la fotografia individua così inizialmente il suo campo d'ap plicazione, appropriandosi di due generi della pittura che più degli altri richiedevano una trascrizione esatta del reale e dove almeno più stretto risultava il rapporto tra rappresentazione e cosa rappresentata: la natura morta ed il ritratto. La medesima pretesa di oggettività (e credibilità) ne ba poi, col progredire della tecnica, esteso l'uso verso altre de• terminate prestazioni, segnandone la grande affermazione nel reportage: sia esso di guerra, o docun1ento sociale o di vita 41
familiare 6• Insomma, se la fotografia è considerata una regi strazione perfettamente realistica e obbiettiva del mondo vi sibile, è perché ( fin dall'origine) le sono stati assegnati degli usi sociali ritenuti « realistici ,. e « obbiettivi ». Per Bourdieu, dall'incisione al fotoromanzo, sono altrettante ristrutturazioni del campo dei sistemi d'espressione in immagine, che dimo strano come ciascuno di questi sistemi deriva le proprie re gole percettive ed estetiche dal suo uso sociale. La fotografia non si è soltanto impadronita di una delle funzioni fino ad allora appartenenti all'incisione, cioè la riproduzione fedele del reale: lasciando all'incisione l'incarico di illustrare la finzione, ha rafforzato realizzandole le esigenze di obbiettività e di realismo che le preesistevano 7• Stabilitasi una sorta di « divisione di compiti » con la pit tura (che ha posto quest'ultima in grado di seguire comple tamente la propria vocazione modernista, l'astrazione) a la fotografia rimane vincolata e condizionata dal rapporto più immediato con il reale: accreditatasi in virtù della propria obbiettività, considerata costituirne la vera essenza... il suo apporto e anche il suo limite 9, l'immagine fornita dalla mac china si propone all'attenzione più per il suo carattere tran• sitivo (referenziale) che intransitivo (o estetico), più per la fedeltà della rappresentazione che per gli specifici tratti for mali con cui quest'ultima è realizzata, i quali vengono, al più, rapportati a quelli della pittura. A proposito dei ritratti fo tografici, Benjamin osserva: teste simili esistevano da tempo nei dipinti. Quando restavano proprietà di famiglia, accadeva ogni tanto che qualcuno domandasse del modello. Ma dopo due o tre generazioni questo interesse veniva meno: i quadri, qualora durino, durano soltanto in quanto testimonianza del l'arte di colui che li ha dipinti. Nel caso della fotografia, in vece, avviene qualcosa di nuovo e di singolare: nella pesci vendola di New Haven... resta qualche cosa che non si risolve nella testimonianza dell'arte del fotografo Bill, qualcosa che non può venir messo a tacere e che inequivocabilmente esige il nome di colei che ll · ha vissuto, che anche nell'effigie è ancora reale e che non potrà mai risolversi totalmente In 42 arte 10• Nella fotografia, insomma, rimarrebbe sempre, secon-
caratteri e che esso possiede nello stesso modo, sia che quel l'oggetto esista realmente o no 15, ovverosia, ad un segno che rimanda al suo referente in virtù di una somiglianza, di pro prietà intrinseche, corrispondenti in qualche modo a proprie tà dell'oggetto). Tuttavia, l'autore annovera talora le fotografie tra gli indici, e ciò non solo perché la fotografia attrae la nostra attenzione sul frammento di realtà che riproduce ico nicamente 16 (così come un dito puntato su di un oggetto), ma anche perché presenta quel carattere di connessione fisica con l'oggetto « indicato » che caratterizza questo tipo di se gno (ad es. nel caso del fumo che denuncia la presenza del fuoco): infatti, una foto non solo rappresenta un oggetto, come può farlo un disegno, ma ne costituisce implicitamente anche la ' traccia ' e funziona come il cerchio di vino che testi monia la presenza (passata ) di un bicchiere 17•
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La definizione della fotografia come indice, non solo pre suppone, secondo la distinzione proposta da Peirce, un parti colare tipo di rapporto col referente (diverso appunto da quello che istituisce la pittura), ma rimanda anche ad altre e più elementari condizioni, quali: l'effettiva presenza del referente, al momento dello scatto, e, in ultima analisi, il suo carattere reale (a differenza dell'icona, il cui referente può essere non solo assente, ma perfino immaginario: esistono icone attendibili e credibili del drago o dell'unicorno) 18• In questi termini andrebbe posto appunto, per Barthes, il pro blema della specificità fotografica; si tratterebbe, cioè, di in dividuare, anzitutto, in che cosa il Referente della fotografia è diverso da quello degli altri sistemi di rappresentazione. Chiamo « referente fotografico •, non già la cosa ' facoltativa mente ' reale a cui rimanda un'immagine o un segno, bensl la cosa necessariamente reale che è stata posta dinanzi al l'obbiettivo, senza cui non vi sarebbe fotografia alcuna. La pittura, dal canto suo, può simulare la realtà senza averla vista. Il discorso combina segni che hanno certamente del referenti, solo che tali referenti possono essere e sono il più delle volte delle « chimere ». Nella fotografia, contrariamente a quanto è per tali in1itazioni, lo non posso mai negare che ' la cosa è stata là ' ... E siccome tale costrizione non esiste che
per essa, la si deve considerare, per riduzione, come l'essenza stessa, come il noema della Fotografia. Ciò che lo intenziona lizzo in una foto ... non è l'Arte e neppure la Comunicazione, ma la Referenza, che è l'ordine fondatore della Fotografia 1�. La stessa funzione della rappresentazione fotografica non può allora che risultare � particolare »: laddove un quadro, per quanto mi appaia " vero » non è in grado di garantirmi l'effettiva esistenza del suo referente (ponendosi pur sempre come rappresentazione), nella Fotografia il potere di autentl ficazione supera il potere di raffigurazione 20• A tale proposito, ad esempio, la Sontag nota come i tipici ritratti, commissi<> nati da una famiglia borghese nel 700 e nell'800, avevano la propria ragion d"essere nel confermare un'immagine ideale del soggetto (mostrandone la condizione sociale, abbellendo il suo aspetto personale); ed essendo questo il fine, è evi• dente perché i loro committenti non sentivano la necessità di avere più di un ritratto. Ciò che invece il documento fotogra• fico conferma è semplicemente, e più modestamente, che il soggetto esiste: di conseguenza non se ne ha mai troppi 21; come sostiene Barthes, il noema della fotografia è semplice, banale; nessuna profondità: È stato 22• Ciò posto, il limite registrato, relativo all'impossibilità di trascendere del tutto. il soggetto, come invece può fare il quadro, è nella natura stessa della fotografia 23, in quanto, secondo la Sontag, essa non è soltanto un'immagine (come lo è un quadro), un'inter pretazione del reale; è anche un'impronta, una cosa riprodot ta direttamente dal reale, come l'orma di ,un piede o una maschera mortuaria. Mentre un quadro, anche se rispetta i criteri della rassonùglianza, non fa mai nulla di più che enun · ciare un'interpretazione, una fotografia non fa niente di meno che registrare -un'emanazione (onde luminose riflesse da og• getti), un'orma materiale del suo oggetto, come un quadro non è mai in grado di fare 24• Anzi, per questa sua proprietà, la fotografia si porrebbe, per Barthes, come invenzioni dei chimici, più che dei pittori, che le hanno potuto trasmettere l'inquadratura, la prospettiva, l'ottica della camera oscura, ma non la proprietà di captare e fissare l'emanazione del referente e di certificarne la presenza. 45
In definitiva, i realisti, fra cui l'autore si schiera ... non considerano affatto la foto una «copia» del reale, ma la con siderano un'emanazione del' reale passato ': una' magia ', non un'arte 25; sicché per essi non ha senso che il dibattito sulla fotografia sia sottoposto alle solite discussioni sull'immagine 26 e si ponga in termini di Thesis e non di Physis. Contro ogni tentativo di evidenziare l'« artificio» sul «reale», secondo Barthes, niente può impedire che la Fotografia sia analogica, ma, nello stesso tempo, il noema della Fotografia non è affatto nell'analogia (peculiarità che essa condivide con ogni altra forma di raffigurazione) 27 • Infatti, se, come sostenuto da Metz, l'analogia che caratterizza tutti i diversi linguaggi iconici è anch'essa codificata 28, ciò non può esser valido anche per la fotografia (sebbene alcuni codici ne influenzano la lettura) 29 , in quanto questa è appunto, in un certo senso co-naturale al suo referente 30• Secondo quanto ribadito altrove dall'autore, nell'affrontare esplicitamente il problema del messaggio fo tografico, dall'oggetto alla sua immagine c'è certamente una riduzione di proporzioni, di prospettiva e di colore. Ma questa riduzione non è mal una trasformazione (nel senso matema tico della parola); per passare dal reale alla sua fotografia non è affatto necessario scomporre questa realtà in unità e riportare queste unità in segni differenti sostanzialmente dal l'oggetto che rappresentano; tra questo oggetto e la sua im magine non è affatto necessario disporre un codice ... Così appare chiara la condizione particolare dell'immagine foto grafica: è un messaggio senza codice 31• Che si tratti di un carattere specifico della fotografia, Barthes lo ricava estendendo l'indagine alle altre riproduzioni analogiche della realtà (disegni, dipinti, rappresentazioni tea trali e cinematografiche, ecc.) anch'esse, apparentemente, pri ve di codice; in tali messaggi, però, al contenuto analogico immediato verrebbe inevitabilmente ad aggiungersi (e so vrapporsi) un «senso secondo»; insomma, tutte queste artl imitative comportano due messaggi: un messaggio denotato, che è l'analogon stesso e un messaggio connotato che è il modo in cui la società fa trasparire in una certa misura ciò 46. che ne pensa. Questa dualità di messaggi è evidente in tutte
le riproduzioni che non sono fotografiche. Infatti, nella foto grafia (almeno in quella non«artistica» ), per la sua natura di analogo meccanico della realtà, il primo messaggio riempie completamente la sua sostanza e non lascia alcun posto allo sviluppo di un messaggio secondo. Insomma, tra tutte le strut ture d'informazione, la fotografia sarebbe la sola ad essere costituita esclusivamente da un messaggio denotato 32• Tale conclusione, che risente evidentemente dei tradizio nali pregiudizi tecnologico e realista, ammette, comunque, un'eccezione: più precisamente, la presunta condizione di obbiettività, relativa alla perfezione e alla.« pienezza,. del l'analogia, non è assoluta: c'è una forte probabilità che il messaggio fotografico ( almeno il messaggio di stampa) sia connotato. La connotazione non si lascia cogliere subito na turalmente al livello del messaggio stesso ( è se si vuole, nello stesso tempo, invisibile e attiva, chiara ed implicita) ma si può già dedurre da certi fenomeni che avvengono a livello della produzione e recezione del messaggio 33• La connotazione, ovverosia l'imposizione di un « senso secondo » al messaggio fotografico, presupponente un codice, verrebbe recuperata per Barthes soltanto ad un livello ulteriore, e precisamente reto rico (non è casuale, in proposito, che le analisi « semiotiche» di Eco sulla fotografia riguardino l'immagine pubblicitaria); in particolare, essa si realizzerebbe mediante procedimenti che non fanno propriamente parte della struttura fotografi ca 3', -quali trucco, posa, regia (nel senso di: modo deliberato di disporre oggetti e personaggi), e fotogenia, estetismo, sin tassi. Se quindi si ammette la connotazione fotografica, si tratta, però, di una connotazione, per così dire «nascosta», in quanto che, sfruttando appwlto la credibilità dell'immagine foto grafica, indotta dal suo carattere «realista », il messaggio, anche se fortemente connotato, conserva la maschera oggettiva della denotazione 35• Tuttavia, lo stesso Barthes propone una distinzione, raggruppando le suddette figure retoriche in due categorie, a seconda che comportino o meno una modifi cazione del reale stesso. Come nota Lindekens, attraverso il trucco, la posa e la regia, è in realtà l'analogia ad essere sov- 47
vertila 36: si tratta di procedimenti realizzati nel vissuto, tn funzione di una connotazione che questo pseudo-vissuto deve generare, e senza che la struttura propriamente iconica sia minimamente coinvolta 37 (si ha quindi una retorica dell'ana logia, o del referente, attraverso un'immagine). Diverso è, in vece, il caso delle figure che non modificano profondamente il reale (e, cioè, fotogenia, estetismo e sintassi) e dove, dun que, il messaggio connotato è nell'immagine stessa imbellita (ossia sublimata con tecniche di luce e di stampa ) -18• Ci tro veremo, allora, in presenza di una retorica strutturale pret tamente iconica, per realizzare la quale la fotografia sfrutta le risorse della sostanza iconica e quelle della forma ( del codice) del Significante 39• lnfat_ti, quando si definisce la fo tografia un messaggio senza codice, secondo Lindekens, si trascura il fatto che, allo stesso livello retorico, le figure che riguardano la struttura propriamente iconica (fotogenia, este tismo, sintassi ) non modificano profondamente l'analogon, ma, rispettando la rassomiglianza con il Reale, sotto l'apparenza stessa di questa' mimesis ', istituiscono l'effetto del senso reto rico come scarto significativo ..., con il favore di un primo codice... i cui tratti, al loro livello, hanno sovvertito preven tivamente alcune relazioni figurali, d'altronde solo parzial mente analogiche 40• Insomma, per l'autore, riconoscere !"esi stenza di una retorica dell'iconico (e, cioè, di una modificazio ne della struttura dell'immagine) significa postulare la tra sformazione e quindi l'esistenza di un primo codice, di una combinatoria fondamentale _di tratti propriamente ico nici 41•
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Il principale limite delle ipotesi che revocano in dubbio la presenza di tale primo codice, riducendo così il ' linguaggio dell'immagine ' soltanto ad una retorica 42, consiste nell'aver si tuato il denotativo nel referente; infatti, è atteggiamento co mune quello di credere di aver tutto esaurito nei confronti di un'immagine di fronte alla sua « significazione ») ••• quan , do se ne è estratta l'' informazione · ... In realtà noi conside riamo così l'informazione di cui l'oggetto fotografato è por tatore e di cui l'immagine è un veicolo, come la sola signlficazione possibile dell'immagine. E questo veicolo identifica-
tore passa per innocente, trasparente al punto da farcelo con siderare un mezzo comodo cui affidare la resa del reale; a meno che non si riconosca che a livello di propaganda, di pub blicità (in sistemi quindi di persuasione più o meno dichia• rata) :l'immagine è stata proprio 'composta': ma allora è la sua retorica ad essere messa in evidenza o. Identificando (e riducendo) il significato puramente deno tativo con l'informazione, si incorrerebbe in un equivoco fon damentale: indubbiamente, vedere il Reale attraverso le im• magini fotografiche - a meno che non le si guardi da spe• cialisti - è l'atteggiamento più comune 44• In taluni casi ( come quello ad es. della totografia-sostituto di una persona) l'im• magine diviene generalmente un semplice contorno che lo sguardo attraversa facilmente per raggiungere il « Reale•· Un Reale che prende il sopravvento sul suo analogon iconi• co ◄s. Ciò nonostante, il lettore dell'immagine fotografica ri• suita, suo malgrado, sottomesso alle costrizioni dell'analogon iconico, a t-utto ciò che, in questo analogon, costituisce l'ico nico, come rappresentazione del mondo, forse, ma sicuramen te come rappresentazione singolare ' fotografica ', opposta, ad esempio, ad una rappresentazione dipinta 46• In altri termini, per Lindekens, siamo talmente abituati a vedere delle Imma· ginl e, secondo l'uso sociale, a estrarne in un certo senso l'in fonnazione più apparente, cioè il ritratto di una porzione di reale e di servircene dunque come processo di identificazio ne,- a distanza,. e differita, da dimenticare che se c'è effettiva• mente identificazione del reale questa avviene attraverso una 'singolarità sostanziale', un materiale che, per definizione, non è il reale, la cui organizzazione e le cui relazioni strutturali sono senza dubbio particolari e che contribuiscono a fare, di quello che noi chiamiamo ancora abusivamente il reale de notato, un reale investito di un codice, quindi un reale desi gnato come tale certamente, ma anche un reale « interpre tato • 47• Al di là di un giudizio globale di somiglianza, è immediato riconoscere che i tratti del referente reale si sono tramutati in forme bidimensionali, linee, colori, contrasti, ecc., e che quindi l'identificazione del Reale alla quale la riproduzione 49
ta trasmissibilità, dell'esperienza soggettiva, della sintesi per sonale ... questa mancanza di sistematicità, questa incertezza o reticenza a generalizzare pienamente i propri risultati, ( co struendo teoria anche nella storia costituisce un pericoloso alibi per fughe imltatorle e revivalistiche non maturate cri ticamente 31• Andrea Branzi sviluppa un tema analogo, ma lo utilizza per stabilire le « debite distanze» tra Rossi e i « ros siani •: ci può interessare, e molto, come certi processi di involuzione a destra possano nascere da movimenti di avan guardia culturale e come questo pericolo sia permanente in tutti i tentativi di rifondazione radicale della cultura, se si tenta di agire non sui contenuti, ma sul meccanismi sociali di produzione della cultura stessa ... Chi ha letto i libri di Aldo Rossi, sa bene che non è possibile confondere le sue motivazioni con le scelte vuotamente massimaliste dei suoi seguaci, impegnati a gara ad essere « più realisti del re» ... Aldo Rossi fondando una scuola ha perduto quel diaframma terroristico che lo separava dalla realtà della sua opera, dia framma che gli consentiva un margine leggibile di ambiguità e quindi di salvezza 32• Il tema di una« scuola rossiana » si ritrova nell'articolo, già citato, di Dal Co e Manieri Elia: Le ricerche effettuate da Rossi sono state riprese in particolare in alcuni settori delle facoltà di Architettura: perché, benché non sia possibile riprodurla, la sua architettura è facilmente imitabile. Dando vita ad una sorta di scuola essa perde di originalità e tradisce le sue motivazioni. Il successo di Rossi all'Università è d'altronde significativo: aiuta a comprendere la degradazione di questo istituto culturale, divenuto spesso li ricettacolo delle frustra zioni che ingenerano la professione e la clientela; cl si rifugia in un formalismo vuoto senza tenere conto della situazione dell'Università che è stata investita senza essere trasformata altrettanto da enonni fenomeni di scolarlzzazlone di massa 33•
La XV Triennale. 24
Tra la fine del 1973 e l'inizio del 1974 il dibattito sulla «Tendenza» si intreccia con la polemica suscitata dalla sezio-
ne architettonica della XV Triennale curata da Aldo Rossi, che presenta i lavori esposti in questi termini: Crediamo che l'insieme di queste opere possa conformare, sia pure attra verso la tecnica del collage, un solo grande progetto; un pro getto che non rifiuta le contraddizioni della cultura architet tonica di oggi scegliendo però all'interno di essa tra quelle più propositive 34• Rossi, ponendo quindi l'accento sul significato di « progetto collettivo » della Mostra, ne fa praticamente una esposizione della « Tendenza ». La citazione è contenuta nel libro Architettura razionale, presentato quasi come catalogo della Mostra, e che contiene scritti di Bonfanti, Bonicalzi, Ros si, Scolari, Vitale. Particolarmente significativo il saggio di Scolari, che nello stesso tempo racconta la storia e stende una sorta di manifesto della « Tendenza ». Dopo aver fatto risalire le origini del gruppo al 1967-'68, quando attorno al corso poli cattedra Rogers, Rossi, Canella si articola wi confronto di idee che ... riesce a chiarire nei « fatti della progettazione » le sin gole posizioni, superando le ambiguità programmatiche e get tando i presupposti per la costituzione di wia facoltà di ten denza 35, Scolari aggiunge: « Tendenza » non scopre nuove ve rità ma tende all'eliminazione degli errori in un divenire della conoscenza incentrato sull'analisi storica e formale, sullo stu dio della città come manufatto, e sui caratteri che portano w1 certo tipo di architettura a proiettarsi su una certa parte di società. Per « Tendenza ,. l'architettura è un processo cono scitivo che, di per sé, nel riconoscimento della sua autono mia, impone oggi una rifondazione disciplinare; che rifiuta di affrontare la propria crisi con rimedi interdisciplinari; che non rincorre e si immerge negli eventi politici ed economici, sociali e tecnologici solo per mascherare la propria sterilità creativa e quindi formale, ma che li vuol conoscere per poter intervenire con chiarezza, non per determinarli, ma nemmeno per subirli 36 • Glauco Gresleri pubblica un'ampia recensione 37 del libro, definendolo wia copertura culturale alla sezione internaziona le di architettura. A proposito del titolo afferma: l'essersi ti rato addosso il lenzuolo dell'architettura razionale non ha certo servito al volume per scrollarsi l'alone fantasmlco che 25
sembra impregnarlo da cima a fondo, mentre il titolo più programmatico e indicativo di « Architettura di tendenza,. ... ne avrebbe inquadrato le direzionalità e le pretese in maniera più conseguente e pertanto più produttiva ai fini di una com• prensione. E ancora, a proposito del saggio di Scolari che stende il testamento spirituale del movimento di « Tendenza », Gresleri aggiunge: La parte centrale del volume cerca il re cupero di « alleanze di corrente » in una serie non troppo articolata di episodi architettonici internazionali, di firme al di sopra di ogiù sospetto ... Scolari spinge a fondo la spiega zione di cosa sia questa tendenza, su quale filosofia si sosten• ga e quali prassi applichi. Le fonti cui attinge a questo scopo si scoprono purtroppo molto limitate tanto è vero che •.. deve attingere a piene mani agli scritti, ai pensieri ed al saggi di Rossi; e conclude: Se il lettore ha il dubbio di essere saltato dentro il mondo dell'Accademia, come potremmo dargli torto? Le polemiche suscitate dalla Mostra di Rossi furono molte · e di vario tipo, non ultime quelle del Movimento Studentesco. che accusava Rossi per aver accettato l'incarico della Mostra stessa; accusa cui Rossi non si sottrae, riconoscendo anzi un « astratto neoilluminismo » nella posizione che lo aveva por tato a credere che ,una mostra seria e impegnata potesse ri scattare i limiti obiettivi della situazione 38• A questo proposito Branzi osserva: Rossi aveva respinto le accuse mossegli da più parti ... scusandosi con il Movimento Studentesco per aver accettato l'incarico alla Triennale, definendosi un ingenuo ac cademico estraneo a simili valutazioni. Ma non cosl ingenuo da non mettere insieme una mostra che oltre alla « Tendenza » allinea tutti i progetti dei più importanti professori univer sitari e rilancia la grande architettura staliniana come antl borghese 39• L'accusa di riproporre un'architettura di « regime » trova vasto eco; ne «L'Espresso» Zevi commenta: L'esposizione architettonica incasellata in una serie di cubicoli soffocanti, adatti forse ad un convento o forse ad una prigione, è un capolavoro di doppio gioco culturale. Sventolando la bandiera della « architettura razionale», esalta la tendenza più gratul26 ta, dogmatica, reazionaria e oscurantista: un neoclassicismo
basato su assi, simmetria, Iterazione di partiti assonanti, ri gurgiti piacentiniani, rancide citazioni novecentesche. Nessu no contesta ad Aldo Rossi il diritto di esprimere le proprie preferenze ed idiosincrasie; Inaccettabile appare invece la pre tesa di riportarci al sistema Beaux Arts mediante contorti ri chiami alla tradizione del Movimento Moderno. Il trucco è troppo scoperto per non rivelare la sua inconsistenza 40• Più tardi lo stesso Zevi scriverà: ecco spuntare coloro che parlano di « false certezze » e paralizzano il progresso pretendendo una « verifica » e talvolta una « rifondazione » dell'architettu ra ... oggi i tendenziosi parlano di autonomia dell'architettura dopo aver raccontato per anni che l'architettura era morta, che la sua crisi dipendeva da quella strutturale della società, che il mondo della architettura era esautorato ... L'autonomia dei tendenziosi confina con un narcisismo autarchico velato di dannunzianesimo, implica che l'architettura vale per _sé, per le proprie forme. Da qui al sistema Beaux Arts il passaggio è diretto: dall'autonomia dell'architettura all'evasione formali stica 41• E Andrea Branzi ribadisce: La sezione internazionale di architettura ... si è trasformata in un «Summit• della Re staurazione disciplinare. La condanna dei gruppi dissidenti è stata Imponente, cieca ed intransigente ... Non vedo come si possa parlare di Tendenza quando di fatto si organizza una Mostra che invece di proporci una architettura di tendenza, ci propone una architettura di qualità, usando come unico criterio di selezione una sorta di generico monumentalismo 42• Tutta un'altra parte della critica si schiera invece a fianco di Rossi e della sua scuola sottolineando la validità del loro impegno culturale e progettuale. Franco Raggi, ad esempio, cosi si esprime: La sezione di architettura proprio per la sua rigorosa e brutale chiarezza ha suscitato le critiche più aspre ... si è voluto vedere nell'ipotesi decisamente disciplinare di Rossi un sintomo di regressione, o peggio una cosciente stra tegia della restaurazione culturale ... Si sostiene cioè il signi ficato riduttivo e reazionario dell'impegno progettuale affer mandone la natura compromessa e strumentale alla rappre sentazione della cultura dominante ... dogmatismo e formali smo sono i limiti della cosiddetta « Tendenza •, ma questo 27
non giustifica l'accusa di restaurazione culturale 43• Paolo De ganello aggiunge: la XV Triennale si presenta come il nuovo programma, il nuovo piano per l'architettura moderna. � la prima presentazione ufficiale ed organica di una ricerca e di un impegno didattico che, iniziato nel '66, si è andato via via affermando in molte facoltà Italiane ... è anche il tentativo di documentare in tutte le sue articolazioni, l'affermarsi, nelle scuole europee e nella cultura architettonica, di questo pro gramma di rifondazione globale dell'architettura 44•
li quartiere Gallaratese. Prima di raccogliere i principali scritti su questo tema, ci sembra giusto accennare ad un saggio di Antonio Mone stiroli che mette bene in rilievo il particolare contributo di · Giorgio Grassi. Questo saggio costituisce una eccezione ad una regola generale che traspare chiaramente dalla nostra rassegna: la quasi totalità degli scritti critici si pronuncia, o sul movimento di « Tendenza » nella sua globalità senza specificarne i protagonisti, o (ed è la stragrande maggioranza dei casi) su Aldo Rossi, considerato da tutti il fondatore ed il principale protagonista di « Tendenza »; e non è un caso che debba essere proprio Monestiroli, egli stesso « tenden zioso », a parlare di Grassi. Egli scrive tra l'altro: Con l suol progetti Grassi porta nella città del nostro tempo un mondo di forme che con questa è in aperto contrasto. Un mondo che, definito ed unitario, si contrappone non solo alla città capitalista qual è ma anche a tutte le proposte che da questa traggono il loro movente espressivo. Monestiroli aggiunge che la ricerca di Grassi, pur non essendo isolata, resta ignorata dalla critica ufficiale, e conclude che permane li dubbio se sia questo li momento di sventolare la bandiera della e Tendenza » oppure quello di cercare nessi più confor tanti oltre che un ulteriore approfondimento delle singole ri cerche stesse. Occorre prendere atto peraltro del fatto che nel momento in cui è decretata la • morte dell'architettura ,. vi siano ancora alcuni esemplari di architetti che contraddinel fatti questo vaticinio 45• Anche Vanna Fraticelli accono 28
cenna a Grassi: Vi è di notevole nel contributo di Grassi la volontà di superare una nozione stodcistica dei fatti dell'ar chitettura: tanto nella sua accezione di contemplazione del passato, quanto nella forma evoluzionistica; che concepisce lo sviluppo storico come sviluppo, reazione, crisi, superamen to di astratti concetti, a ricercare nel passato contraffatti e deformi aspetti del presente. Contributo perciò tanto più im portante in quanto ci aiuta a liberarci di quella « storia della cultura» come fatto sostanzialmente unitario il cui difetto risiede più che nell'inesattezza, nell'inutilità 46• Il progetto per il quartiere Gallaratese di Milano è del 1970, ma la costruzione degli edifici (progettati da Rossi e Aymonino) è ultimata solo nel 1974. Di quest'anno è l'arti colo di Ferrari che scrive: Linearità e rigore stilistico (Rossi), complessità tipologica ed eclettismo dall'altro (Aymonino), gli uni e gli altri al limite del tour de force ... E qui lo squilibrio tra la casa come elemento del paesaggio e la casa come abi tazione è evidente ... Queste case non aiutano a vivere; aiutano al massimo a sognare e a giocare. E qui forse cogliamo il senso dell'errore in cui i progettisti sono caduti, errore che sta tutto in un equivoco: altro è cercare di aiutare la gente a combattere, nell'abitazione e con l'abitazione, l'alienazione di cui soffrono all'esterno, altro è fare finta che l'alienazione non esista ... L'utente di tale architettw·a non può essere in senso proprio che -uno solo: l'autore, accompagnato al mas simo dai suoi fantasmi preferiti Ji. Gli risponde, nello stesso numero di« Casabella », Franco Raggi: L'equazione bello=ricco è troppo allettante per chi fa della critica demagogica e non si accorge che al Gallaratese vengono riproposte tipologie storicamente collaudate proprio e solo dalle classi popolari (mi riferisco soprattutto all'edificio di Rossi) .a_ Del Gallaratese si occupa anche « L'Architecture d'aujourd'hui », nel nu mero dedicato agli architetti italiani contemporanei: mentre la costruzione di Aymonino è un·« saggio », cioè la ricerca di una continuità urbana utopica, sintetizzata nella riproduzione d'immagini storiche tradotte in« omaggi» e« citazioni», l'edi ficio di Aldo Rossi nel Gallaratese non trasmette alcuna spe ranza e non esprime alcuna continuità. Il blocco reside�ale 29
è indifferente agli avvenimenti esterni, non fa allusione che alla propria compiutezza e alla permanenza dei segni che hanno per significato l'immobilità ed il silenzio, la lotta per non diventare un organismo. � un'architettura « senza qua• lità », appartiene al divenire storico dei prodotti �9• Anche la rivista « Arquitecturas bis» si pronuncia, riavvicinando il Gal· laratese alle Siedlungen di Karlsruhe e Dessau per l'identità della loro tematica: evidenziare, realizzare la cont1·apposizio ne tra la Ragione e l'irrazionalità della città del lavoro ... Il gruppo di Aymo1ùno offre da lontano l'immagine variata, de• forme, rappresentazione plastica del compromesso, allegoria della rinuncia al dominio sulla forma ... inoltre si offre esiben do tutto il laborioso processo della sua costruzione ... Niente di tutto questo è in Rossi. L'unica variazione del bianco e lungo blocco si produce con l'altezza dei pilastri che lo appoggiano al terreno... Ma le colonne non uniscono il blocco al suolo, lo separano. Il tema rossiano è nel dimosti·are la possibilità di fare un'architettura immateriale, inattuale, che passi al diso pra della città senza tagliarla 50• Vittorio Savi si servirà del parallelo Rossi-Aymonino per controbattere una delle accuse cui sono soggette le opere di Rossi, il monumentalismo: L'e sempio del complesso residenziale al Gallaratese dove l'edi ficio di Rossi sta accanto a quello di Aymonino può essere adottato strumentalmente per dimostrare che la più aggres siva manipolazione delle componenti formali, la trascuratezza e l'invenzione variata (Aymonino) sono monumentali quanto l'ordinamento assiale (Rossi). In realtà il vero monumentall smo, che sussume con le strutture fisiche il territorio al ciclo produttivo capitalistico, è altrove: nelle ristrutturazioni terzia rle dei centri storici "' nei nuovi fenomeni speculativi 51•
La « Tendenza» e l'avanguardia.
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Il dibattito sulla «Tendenza», dopo l'impennata dovuta alla XV Triennale e il persistere di qualche accento polemico a proposito del Gallaratese, acquista toni più pacati; vengono infatti a mancare le voci dei più vivaci oppositori, che
fatto che molte correnti architettoniche, e tra queste soprat tutto il Protorazionalismo, non sono mai morte, ma hanno invece avuto una esistenza parallela al « trionfante raziona lismo», magari incarnandone una versione più « moderata •· Ed era prevedibile che, una volta in crisi l'architettura ra zionale, esse riemergessero più forti e attraenti; per poi chie dersi, concludendo, se molti architetti e tra questi lo stesso Rossi, si rendano conto di costituire con le loro opere la versione più attuale di quel Protorazionalismo, momento chia ve del Movimento Moderno, a suo tempo frettolosamente ar chiviato. Il « Teatro del mondo».
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Gli ultimi contributi critici sulla « Tendenza » prendono spunto dal « Teatro del mondo», presentato all'ultima Bien nale di Venezia da Aldo Rossi. Portoghesi commenta: Nel Teatro del mondo ... convergono In filigrana, molti del temi caratteristici della sua architettura, ma forse si apre anche una pagina nuova in una ricerca che, se ha il suo maggior pregio nella concentrazione e nella coerenza, ha anche il me rito di svilupparsi e rinnovarsi periodicamente, attraverso l'acquisizione di nuovi tipi e di nuove qualità a quel « mondo rigido e di pochi oggetti » in cui essa si attua ... la laconicità di Rossi non si smentisce, ma perde sempre più un legame elettivo con le austere cartilagini biancastre del lessico fun zionalista; egli rileva inoltre che il ricorso alla memoria, sem pre presente nelle opere di Rossi e sempre filtrato attraverso i tipi, si è fatto ora molto più libero e finisce con l'ampliare il gioco delle « associazioni » fino a farne il momento centrale del progetto che diventa così anche il progetto di una opera zione mnemonica che avviene nella mente dell'osservatore 62• Manfredo Tafuri scrive: In realtà il teatro di Rossi non esclude gli spettatori: solo che è esso che dà spettacolo ... Il Teatro veneziano è infatti destinato ad apparire e a sparire; anche tale sua condizione è necessario assumere come mate riale del comporre. Si viene cosl a scoprire che lo stupito spaesamento dell'oggetto di Rossi, pur non avendo questa voi-
ta da reagire contro la cattiva periferia metropolitana, è an cora carico di messaggi alternativi nei confronti del luogo cui esso è destinato ... Il teatro di Rossi è pensato come forma viaggiante ... con un risultato: l'effetto straniante di questa costruzione, che allude ad un mondo di memorie troppo ricco per essere interamente esplicitato, si moltiplica nel corso del suo realizzarsi e del suo tragitto 63 • Francesco Dal Co, dopo aver considerato il doppio significato della costruzione di Rossi - macchina viaggiante sull'acqua da una parte, e vero e proprio teatro che presuppone quindi l'ordine definito del l'indagine tipologica - aggiunge: ma soprattutto il teatro di Rossi è un ennesimo tributo alla memoria perché si presenta, pur nella ammirevole essenzialità, come un ennesimo mon taggio di immagini di diversa provenienza, ricordi magari già affiorati ma mai precisati nel concreto della costruzione .•. il teatrino veneziano placa i ricordi nell'essenzialità ed elegan• za della sua geometria, alludendo al contempo ai propri ar chetipi. Alla fine questa architettura dichiara il proprio essere sostanzialmente rappresentazione della e presenza di un'as senza» M. Anche Daniele Vitale 65 si pronuncia sul teatrino sottolineando il rapporto particolare che questo crea con Ve nezia: è con questa, con la città e con il suo mito che il teatro costruito si misura: così nella città che ha negato di farsi realtà ai progetti dei maestri del Movimento Moderno, il con fronto con l'architettura torna a riproporsi - quasi per ironia - attraverso la povertà di una struttura provvisoria, gal leggiante sull'acqua. Vitale più avanti allarga il discorso for mulando un sintetico giudizio su tutto il movimento di « Ten denza »: Il discorso teorico del movimento italiano degli anni '60-'70, la cosiddetta « Tendenza » si è immiserito e perduto nel corso del suo procedere; inizialmente pieno di idee, di forza di analisi, di spunti ideologici nuovi, esso ha prodotto diverse proposte convincenti, ma non una linea chiara e ge neralizzabile nel campo del progetto; ciò io credo, va valuta• to come il segno tangibile di una difficoltà e di un'insufficien• za. La volontà di ancorare il significato alla città, l'analisi ur• bana e degli edifici come base di una teoria, la rivalutazione delle questioni del tipo e del monumento, sono stati aspetti
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decisivi di una polemica che ha proposto una direzione di lavoro ed ha costruito gli elementi di una contrapposizione: contro la riduzione dell'architettura a genere di consumo ... contro il mito della creazione come logica delle qualità indi viduali; a questo punto Vitale nota il riaffiorare di un « vizio ideologico », e cioè la superiorità del contesto rispetto all'ar chitettura, anche se questa volta il contesto non è più quello storico-sociale, ma lo studio analitico delle architetture e delle tipologie della città, e conclude: Mutati i temi è rimasta la stessa incapacità di concepire l'architettura come fatto posi tivo, come proposta di trasformazione che ha le sue radici in relazioni più generali e lontane, in associazioni talvolta imprecise che costruiscono un mondo di oggetti precisi. Per completare la rassegna dei contributi critici più recen ti, può essere utile riportare quasi per esteso un lungo brano di Tafuri dedicato a Rossi: Nulla significano le accuse di fasci smo scagliate contro Rossi, dato che i suoi tentativi di recu perare un'aristocratica astoricità delle forme escludono ogni ingenua verbalizzazione dei contenuti ed ogni compromesso con il reale. Dopo aver stabilito una precisa distinzione tra Rossi e i« rossiani » (altro discorso faremmo per la sua scuo la), Tafuri aggiunge: Riteniamo doveroso di consigliare a Ros si di non insegnare architettura: ma non per isterico o con formistico ostracismo, bensì per aiutarlo ad essere più coe rente con il suo affascinante quanto superfluo silenzio. A pro posito poi della ricerca di Rossi, lo stesso A. scrive che questa perde se stessa nel tentativo estremo di salvare uno statuto umanistico per l'architettura ... [Rossi] non rifonda la disci plina bensì la dissolve •.. alla ricerca dell'Essere dell'architet tura ... scopre che solo il limite dell'Esserci è dicibile. Ne scaturisce un risultato teorico di portata fondamentale in realtà già scontato dalla cultura contemporanea ma che cli continuo viene accantonato. Il rifiuto della manipolazione in genua delle forme, opposto da Rossi, conclude il dibattito vissuto personalmente dal primo Loos 6C1. Si può prendere spunto da quest'ultima citazione per ten tare w1a conclusione, necessariamente dubitativa, della no36. stra rassegna.
In sostanza, il far salva la sola opera di Rossi, se non addirittura solo un suo aspetto, cioè quello della sua «silen ziosa e inattuale purezza», rappresenterebbe una conferma sul campo della nota tesi tafuriana della «morte dell'archi tettura», o meglio di un suo modo di intenderla. Ma anche a condividere questo giudizio, resta il problema di come con siderare la «Tendenza»,.che non si può liquidare riconoscen dole i limiti propri ad un fenomeno di proselitismo. Per cui, o si considera tutta la «scuola » come una conferma della tesi suddetta, limite estremo di un orientamento privo di qua lunque indicazione per altri, oppure, riconosciute tutte le sue valenze, all'attivo come al passivo - la rivendicazione della «autonomia dell'architettura»; l'approfondimento dello spe cifico disciplinare, codificabile e quindi trasmissibile; i rife rimenti alla Metafisica e al Novecento; il carattere «elitario• dell'orientamento - e riconosciuto soprattutto, 'pragmatica mente, il successo della «Tendenza» nella scuola e nel dibat tito, la si considera al contrario come uno dei pochi segni di vitalità dell'architettura contemporanea.
1 G. MURATORE, C'era una volta la Tendenza, in « Controspazio », n. 2, 1976. 2 R. NICOLINI, Per un nuovo realismo in architettura, in e Contro spazio », n. 6, 1973. J A. ROSSI, Presentazione del saggio di G. GAVAZZENI - M. SCOLARI, Note metodologiche, in « Lotus•, n. 7, 1970. 4 B. HUET, Formalisme et réalisme, in e L'Architecture d'aujour d'hui », n. 190, 1977. s R. MoNEO, Gregotti & Rossi, in « Architecturas bis"• n. 4, 1974. 6 A. RossI, L'architettura della città, Marsilio, Padova, 1966. Si cita qui _dalla riedizione Ciup, Milano 1978, p. 230. 1 Ibidem, p. 240. 8 Ibidem, p. 236. 9 Ibidem, p. 230.. 10 Ibidem, p. 232. 11 A. RossI, L'habitation et la ville, in « L'Architecture d'aujourd'hui "• n. 174, 1974. _-12 Il 14
Ibidem. Ibidem.
A. RossI, L'architettura della città, cit., p. ·57. 15 V. GREGOTTI, Recensione a L'architettura della città, in « Il Verri", n. 23, 1967.
37
16 M. L. SCALVINI, Recensione a L'architettura della città, in e Op. cit. ,., n. 7, 1966. 17 G. GRASSI, La costruzione logica dell'architettura, Marsilio, Padova 1967, p. 11. 18 Ibidem, p. 11. 19 A. RossI, « Introduzione,., in AA.W., L'analisi urbana e la pro gettazione architettonica, Clup, Milano 1974, p. 12. 20 G. GAVAZZENI - M. ScoURI, Note metodologiche, in e Lotus», n. 7,
1970.
21 S. BISOGNI - A. RENNA, Contributo per un'idea di intervento sulla città, in « Controspazio•• n. 6, 1969. 22 E. BONFAl\'TI, Elementi e costrnzione: note sull'architettura di Aldo Rossi, in « Controspazio», n. 10, 1970. 23 Bonfanti trae queste parole di Rossi da Architettura per i musei. 24 25
E. BONFANTI, cit. P. PORTOGHESI, Città dei vivi e città dei morti, in e Controspazio »,
n. IO, 1972. 26 B. ZEVI, Cadaveri architettonici, in « L'architettura: cronache e storia,., n. 12, 1973. 27 G. GRESLERI, ... E le ossa di Etienne Boullée si voltarono nella tomba - ovvero - cosi si muore a Modena, in e Parametro,., n. 15,
1973.
F. R.ACCI, Poesia contro retorica, in « Casabella», n. 372, 1972. F. DAL Co - M. MANIERI ELIA, La génératon de l'incertitude, in e L'Architecture d'aujourd'hui », n. 181, 1975. 30 P. PORTOGHESI, cit. li V. FRATICELLI, Contributi per un'architettura di tendenza, in e Controspazio•, n. 2, 1973. 32 A. BRANZI, Avanguardia e fascismo, in e Casabella », a. 1974, n. 389. 33 F. DAL Co - M. MANIERI ELIA, cit. 34 A. RossI, «Introduzione•, in AA.W., Architettura razionale, Fran co Angeli Editore, Milano 1975, p. 21. l5 M. SCOLARI, « Avanguardia e nuova architettura », in AA.VV., Archi tettura razionale, cit., p. 168. 28 29
36
Ibidem, p.
162.
37 G. GRESLERI, Alla XV Triennale di Milano, in e Parametro», n. 22,
1973.
38 A. RossI, Perché ho fatto la mostra di architettura alla Triennale, in e Controspazio•, n. 6, 1973. 39 A. BRANZI, Apollo e Dioniso a Gallarate, in e Casabella», n. 395,
1974.
40 B. ZEVI, Cronache di architettura, in «L'Espresso•• n. 41, 1973. 4 1 B. ZEVI, Tra accademia e Strapaese, in e L'architettura: cronache e storia•• n. 226, 1974. 42 A. BRANZI, Si scoprono le tombe, in e Casabella», n. 385, 1974. 43 F. R.Accr, 15 Triennale 15, in « Casabella », n. 385, 1974. 44 P. DECANEU.O, 1968 - XIV Triennale, della contestazione; 1973 - XV Triennale, della restaurazione, in e Casabella», n. 385, 1974. 45 A. MONESTIROLI, Teoria e progetto, in e Controspazio», n. 2, 1974. in
38
46 V. FRATICELLI, Per la tipologia « Controspazio», n. 2, 1974. 47 A. FERRAR!, Case senza tetto,
come rapporto tra progetto e storia,
in e Casabella», n. 391, 1974. 48 F. RAGGI, Nota redazionale al progetto del quartiere Gallaratese in e Casabella », n. 391, 1974. ,9 F. DAL Co - M. MANIERI ELIA, cit. so J. QuETCLAS, Rossi: dos construcciones, in e Arquitecturas bis», n. 4, 1974.
51 V. SAVI, L'architettura di Aldo Rossi, Franco Angeli Editore, Mi lano 1977, p. 41. 52 M. TAFURI, Progetto e utopia, Laterza, Bari 1977, p. 3. 53 C. GuENZI, La inattuale purezza dell'architettura, in • Casabella ,., n. 388, 1974. 5l R. MONEO, cit. 55 R. NICOLINI, Note su Aldo Rossi, in • Controspazio,., n. 4, 1974. 56 B. HuET, cit. � G. MURATORE, cit. 58 C. AYMONINO, Une architecture de l'optimisme, in • L'Architecture d'aujourd'hui•• n. 190, 1977. 59 G. MURATORE, L'autodidatta nella folla, in • Lotus,., n. 21, 1978. 60 F. PURINI - L. THERMES, Una generazione ritrovata, in • Contro spazio•• n. 5-6, 1978. 61 R. DE Fusco, Un termine da precisare, in • Il Messaggero,., n. 225, 1980. 62 P. PORTOGHESI, Recenti progetti di Aldo Rossi: il Teatro del Mondo, in « Controspazio,., n. 5-6, 1979. 63 M. TAFURI, L'Ephémère est eternel: Aldo Rossi a Venezia, in e Domus ,., n. 602, 1980. 64 F. DAL Co, Ora questo è perduto, in • Lotus ,., n. 25, 1979. 65 D. VITALE, Ritrovamenti, traslazioni, analogie, in e Lotus,., n. 25, 1979. 66 M. TAFURI, La sfera e il labirinto, Einaudi, Torino 1980, p. 333.
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una volta che si pervenne al fissaggio meccanico dell'immagi ne della camera oscura, poté nascere subito l'aspirazione della neonata fotografia, a valere come pittura, comunque ad es sere annoverata fra le arti figurative�. Ma, come nota Daniela Palazzoli, la fotografia venne im mediatamente riconosciuta non per un'assoluta novità, il che avrebbe potuto rendere problematica la sua acquisizione so ciale, ma per il miglioramento tecnologico di un bene già esi stente: il quadro 3• Tuttavia, l'assenza di un intervento diretto (o creativo) dell'uomo e la presunta automaticità della regi strazione, se da una parte portavano a considerare la foto grafia, secondo un noto giudizio di Baudelaire, rifugio di tutti i pittori mancati, mal dotati o troppo pigri per completare i loro studi 4, garantivano però anche l'incapacità della fotogra fia a mentire; fattore non secondario, dal momento che il tempo in cui compare la fotografia è .•. dominato nelle scienze e nelle arti dallo scrupolo dell'oggettività; dalla volontà di re gistrare metodicamente tutte le esperienze nei loro più minuti particolari, per ricavarne il materiale di studio necessario per analizzare i modelli e le forme della realtà. La fotografia po teva perciò essere considerata come lo strumento rigoroso e maneggevole adatto alla ricognizione puntuale dei fenomeni naturali 5• Essa· trova dunque il suo inserimento, colmando quegli specifici spazi e subentrando in quei compiti, fino ad allora appannaggio anch'essi delle altre arti, in grado di valorizzare meglio il suo potere di obiettivazione: non avendo ancora il carattere dell'istantanea per fissare l'avvenimento fuggitivo, ma essendo sottoposta alle limitazioni tecniche della posa lun ga, la fotografia individua così inizialmente il suo campo d'ap plicazione, appropriandosi di due generi della pittura che più degli altri richiedevano una trascrizione esatta del reale e dove almeno più stretto risultava il rapporto tra rappresentazione e cosa rappresentata: la natura morta ed il ritratto. La medesima pretesa di oggettività (e credibilità) ne ha poi, col progredire della tecnica, esteso l'uso verso altre de terminate prestazioni, segnandone la grande affermazione nel reportage: sia esso di guerra, o documento sociale o di vita 41
familiare 6 • Insomma, se la fotografia è considerata una regi strazione perfettamente realistica e obbiettiva del mondo vi sibile, è perché ( fin dall'origine) le sono stati assegnati degli usi sociali ritenuti « realistici • e « obbiettivi ». Per Bourdieu, dall'incisione al fotoromanzo, sono altrettante ristrutturazioni del campo dei sistemi d'espressione in immagine, che dimo strano come ciascuno di questi sistemi deriva le proprie re gole percettive ed estetiche dal suo uso sociale. La fotografia non si è soltanto hnpadronlta di una delle funzioni fino ad allora appartenenti all'incisione, cioè la riproduzione fedele del reale: lasciando all'incisione l'incarico di illustrare la finzione, ha rafforzato realizzandole le esigenze di obbiettività e di realismo che le preesistevano 7• Stabilitasi una sorta di « divisione di compiti» con la pit tura ( che ha posto quest'ultima in grado di seguire comple tamente la propria vocazione modernista, l'astrazione)• la fotografia rimane vincolata e condizionata dal rapporto più immediato con il reale: accreditatasi in virtù della propria obbiettività, considerata costituirne la vera essenza... il suo apporto e anche il suo limite 9. l'immagine fornita dalla mac china si propone all'attenzione più per il suo carattere tran sitivo (referenziale) che intransitivo (o estetico), più per la fedeltà della rappresentazione che per gli specifici tratti for mali con cui quest'ultima è realizzata, i quali vengono, al più, rapportati a quelli della pittura. A proposito dei ritratti fo tografici, Benjamin osserva: teste simili esistevano da tempo nei dipinti. Quando restavano proprietà di famiglia, accadeva ogni tanto che qualcuno domandasse del modello. Ma dopo due o tre generazioni questo interesse veniva meno: i quadri, qualora durino, durano soltanto in quanto testimonianza del l'arte di colui che li ha dipinti. Nel caso della fotografia, in vece, avviene qualcosa di nuovo e di singolare: nella pesci vendola di New Haven... resta qualche cosa che non si risolve nella testimonianza dell'arte del fotografo Hill, qualcosa che non può venir messo a tacere e che inequivocabilmente esige li nome di colei che li ha vissuto, che anche nell'effigie è ancora reale è che non potrà mal risolversi totalmente in 42 arte 10• Nella fotografia, insomma, rimarrebbe sempre, secon-
do Brandi, una troppo alta percentuale di esistenzialltà per poter divenire pittura ( e arte): non potendo fare a meno del modello, e proponendosi di fronte ad esso di conservarne l'esistenzialità, non può passare ad una formulazione che questa esistenzialità estrometta 11. Conseguita la dubbia fama di essere la più realistica, e quindi la più superficiale, delle arti mimetiche 12, la fotografia finisce così per essere scavalcata anche dal proprio derivato, il cinema. Quest'ultimo, infatti, oltre a riappropriarsi nuova mente della finzione, per la combinabilità delle immagini con sentita dal movimento e dal montaggio, viene opposto, dalla critica formalista, quale « procedimento costruttivo» al «pre lievo passivo » della fotografia; e ciò nonostante la comune matrice tecnologica. Per Tynjanov, il cinema è nato dalla fo tografia, ma il cordone ombelicale è stato tagliato nel mo mento in cui il cinema si e trasformato in arte u. Il pregiudizio realista, radicatosi, a tal punto, non solo ha relegato la fotografia in un ruolo marginale e secondario, al l'interno della tradizionale riflessione critica, ma si è chia ramente tramandato, come tara ereditaria, alla stessa ricerca semiotica « sul campo »; anche se, come nota Marra, non d si intestardisce più sulla rozza questione dell'«arte non arte• ... ma più sottilmente si parla di indexicalità o iconicità del• ·l'immagine fotografica 14• In altri termini, la fotografia, pur essendo tra i linguaggi visivi o iconici uno dei più diffusi e comuni, per le sue caratteristiche di «realismo» ha suscitato, anche in semiotica, particolari riserve, al punto che, parados• salmente, la sua stessa appartenenza alla suddetta categoria di linguaggi è stata revocata in dubbio. Significativa, in tal senso, è la posizione dello stesso Peirce, cui si deve, com'è noto, una prima definizione cli segno iconico, nell'ambito della più vasta distinzione dei segni in Indici, Icone e Simboli, a seconda del tipo di legame presunto col referente. Come ci in forma Eco, Peirce non manca di ambiguità nel classificare la fotografia all"interno del proprio schema: stando alle defini zioni, infatti, la fotografia sembrerebbe potersi assimilare, al pari di un disegno, ad un'icona (e, cioè, ad un segno che si riferisce all'oggetto che denota solo in virtù del suol propri 43
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caratteri e che esso possiede nello stesso modo, sia che quel l'oggetto esista realmente o no 15, ovverosia, ad un segno che rimanda al suo referente in virtù di una somiglianza, di pro prietà intrinseche, corrispondenti in qualche modo a proprie tà dell'oggetto). Tuttavia, l'autore annovera talora le fotografie tra gli indici, e ciò non solo perché la fotografia attrae la nostra attenzione sul frammento di realtà che riproduce ico nicamente 16 (così come un dito puntato su di un oggetto), ma anche perché presenta quel carattere di connessione fisica con l'oggetto «indicato» che caratterizza questo tipo di se gno (ad es. nel caso del fumo che denuncia la presenza del fuoco): infatti, una foto non solo rappresenta un oggetto, come può farlo un disegno, ma ne costituisce implicitamente anche la ' traccia ' e funziona come il cerchio di vino che testi· monta la presenza (passata ) di un bicchiere 17• La definizione della fotografia come indice, non solo pre suppone, secondo la distinzione proposta da Peirce, un parti colare tipo di rapporto col referente (diverso appunto da quello che istituisce la pittura), ma rimanda anche ad altre e più elementari condizioni, quali: l'effettiva presenza del referente, al momento dello scatto, e, in ultima analisi, il suo carattere reale (a differenza dell'icona, il cui referente può essere non solo assente, ma perfino immaginario: esistono Icone attendibili e credibili del drago o dell'unicorno) 18• In questi termini andrebbe posto appunto, per Barthes, il pro blema della speciftcità fotografica; si tratterebbe, cioè, di in dividuare, anzitutto, in che cosa il Referente della fotografia è diverso da quello degli altri sistemi di rappresentazione. Chiamo « referente fotografico», non già la cosa ' facoltativa mente ' reale a cui rimanda un'immagine o un segno, bensì la cosa necessariamente reale che è stata posta dinanzi al1 'obbiettivo, senza cui non vi sarebbe fotografia alcuna. La pittura, dal canto suo, può simulare la realtà senza averla vista. II discorso combina segni che hanno certamente del referenti, solo che tali referenti possono essere e sono il più delle volte delle « chimere ». Nella fotografia, contrariamente a quanto è per tali imitazioni, lo non posso mai negare che ' la cosa è stata là ' ... E siccome tale costrizione non esiste che
per essa, la si deve considerare, per riduzione, come l'essenza stessa, come il noema della Fotografia. Ciò che lo intenziona lizzo in una foto... non è l'Arte e neppure la Comunicazione, ma la Referenza, che è l'ordine fondatore della Fotografia 1'. La stessa funzione della rappresentazione fotografica non può allora che risultare x particolare»: laddove un quadro, per quanto mi appaia «vero» non è in grado di garantirmi l'effettiva esistenza del suo referente (ponendosi pur sempre come rappresentazione), nella Fotografia il potere di autentl• fìcazione supera il potere di raffigurazione 20 • A tale proposito, ad esempio, la Sontag nota come i tipici ritratti, commissio nati da una famiglia borghese nel 700 e nell'800, avevano la propria ragion d'essere nel confermare un'Immagine ideale del soggetto (mostrandone la condizione sociale, abbellendo il suo aspetto personale); ed essendo questo il fine, è evi• dente perché i loro committenti non sentivano la necessità di avere più di un ritratto. Ciò che invece il documento fotogra• fico conferma è semplicemente, e più modestamente, che il soggetto esiste: di conseguenza non se ne ha mai troppi 21; come sostiene Barthes, il noema della fotografia è semplice, banale; nessuna profondità: È stato 22 • Ciò posto, il limite registrato, relativo all'impossibilità di trascendere del tutto. il soggetto, come invece può fare il quadro, è nella natura stessa della fotografia 23, in quanto, secondo la Sontag, essa non è soltanto un'in1magine (come Io è un quadro), un'inter pretazione del reale; è anche un'impronta, una cosa riprodot• ta direttamente dal reale, come l'orma di un piede o una maschera mortuaria. Mentre un quadro, anche se rispetta I criteri della rassomiglianza, non fa mai nulla di più che enun · ciare un'interpretazione, una fotografia non fa niente di meno che registrare -un'emanazione (onde luminose riflesse da og• getti), un'orma materiale del suo oggetto, come un quadro non è .mai in grado di fare 24• Anzi, per questa sua proprietà, la fotografia si porrebbe, per Barthes, come invenzioni dei chimici, più che dei pittori, che le hanno potuto trasmettere l'inquadratura, la prospettiva, l'ottica della camera oscura, ma non la proprietà di captare e fissare l'emanazione del referente e di certificarne la presenza. 45
In definitiva, i realisti, fra cui l'autore si schiera ... non considerano affatto la foto una « copia» del reale, ma la con siderano un'emanazione del' reale passato ': una' magia ', non un'arte 25; sicché per essi non ha senso che il dibattito sulla fotografia sia sottoposto alle solite discussioni sull'immagine 26 e si ponga in termini di Thesis e non di Physis. Contro ogni tentativo di evidenziare l'« artificio» sul «reale», secondo Barthes, niente può impedire che la Fotografia sia analogica, ma, nello stesso tempo, il noema della Fotografia non è affatto nell'analogia (peculiarità che essa condivide con ogni altra forma di raffigurazione) 27• Infatti, se, come sostenuto da Metz, l'analogia che caratterizza tutti i diversi linguaggi iconici è anch'essa codificata is, ciò non può esser valido anche per la fotografia (sebbene alcuni codici ne influenzano la lettura) 29, in quanto questa è appunto, in un certo senso co-naturale al suo referente 30• Secondo quanto ribadito altrove dall'autore, nell'affrontare esplicitamente il problema del messaggio fo tografico, dall'oggetto alla sua immagine c'è certamente una riduzione di proporzioni, di prospettiva e di colore. Ma questa riduzione non è mal una trasformazione (nel senso matema tico della parola); per passare dal reale alla sua fotografia non è affatto necessario scomporre questa realtà in unità e riportare queste unità in segni differenti sostanzialmente dal l'oggetto che rappresentano; tra questo oggetto e la sua im magine non è affatto necessario disporre un codice ... Così appare chiara la condizione particolare dell'immagine foto grafica: è un messaggio senza codice 31• Che si tratti di un carattere specifico della fotografia, Barthes lo ricava estendendo l'indagine alle altre riproduzioni analogiche della realtà (disegni, dipinti, rappresentazioni tea trali e cinematografiche, ecc.) anch'esse, apparentemente, pri ve di codice; in tali messaggi, però, al contenuto analogico immediato verrebbe inevitabilmente ad aggiungersi (e so vrapporsi) un « senso secondo»; insomma, tutte queste arti imitative comportano due messaggi: un messaggio denotato, che è l'analogon stesso e un messaggio connotato che è il modo in cui la società fa trasparire in una certa misura ciò 46. che ne pensa. Questa dualità di messaggi è evidente in tutte
le riproduzioni che non sono fotografiche. Infatti, nella foto grafia (almeno in quella non « artistica» ), per la sua natura di analogo meccanico della realtà, il primo messaggio riempie completamente la sua sostanza e non lascia alcun posto allo sviluppo di un messaggio secondo. Insomma, tra tutte le strut ture d'informazione, la fotogi·afia sarebbe la sola ad essere costituita esclusivamente da un messaggio denotato 32• Tale conclusione, che risente evidentemente dei tradizio nali pregiudizi tecnologico e realista, ammette, comunque, un'eccezione: più precisamente, la presunta condizione di obbiettività, relativa alla perfezione e alla « pienezza» del l'analogia, non è assoluta: c'è una forte probabilità che il messaggio fotografico (almeno il messaggio di stampa) sia connotato. La connotazione non si lascia cogliere subito na turalmente al livello del messaggio stesso (è se si vuole, nello stesso tempo, invisibile e attiva, chiara ed implicita) ma si può già dedurre da certi fenomeni che avvengono a livello della produzione e recezione del messaggio 33• La connotazione, ovverosia l'imposizione di un « senso secondo» al messaggio fotografico, presupponente un codice, verrebbe recuperata per Barthes soltanto ad un livello ulteriore, e precisamente reto rico (non è casuale, in proposito, che le analisi « semiotiche » di Eco sulla fotografia riguardino l'immagine pubblicitaria); in particolare, essa si realizzerebbe mediante procedimenti che non fanno propriamente parte della struttura fotografi ca '4, ·quali trucco, posa, regia (nel senso di: modo deliberato di disporre oggetti e personaggi), e fotogenia, estetismo, sin tassi. Se quindi si ammette la connotazione fotografica, si tratta, però, di una connotazione, per così dire « nascosta », in quanto che, sfruttando appunto la credibilità dell'immagine foto grafica, indotta dal suo carattere « realista», il messaggio, anche se fortemente connotato, conserva la maschera oggettiva della denotazione 35• Tuttavia, lo stesso Barthes propone una distinzione, raggruppando le suddette figure retoriche in due categorie, a seconda che comportino o meno una modifi cazione del reale stesso. Come nota Lindekens, attraverso il trucco, la posa e la regia, è in realtà l'analogia ad essere sov• 47
vertita 36: si tratta di procedimenti realizzati nel vissuto, tn (wuione di una connotazione che questo pseudo-vissuto deve generare, e senza che la struttura propriamente iconica sia minimamente coinvolta 37 (si ha quindi una retorica dell'ana logia, o del referente, attraverso un'immagine). Diverso è, in vece, il caso delle figure che non modificano profondamente il reale (e, cioè, fotogenia, estetismo e sintassi) e dove, dun que, il messaggio connotato è nell'immagine stessa imbellita (ossia sublimata con tecniche di luce e di stampa) :is. Ci tro veremo, allora, in presenza di una retorica strutturale pret tamente iconica, per realizzare la quale la fotografia sfrutta le risorse della sostanza iconica e quelle della forma ( del codice) del Significante 39• lnfat_ti, quando si definisce la fo tografia un messaggio senza codice, secondo Lindekens, si trascura il fatto che, allo stesso livello retorico, le figure che riguardano la struttura propriamente iconica (fotogenia, este tismo, sintassi) non modificano profondamente l'analogon, ma, rispettando la rassomiglianza con li Reale, sotto l'apparenza stessa di questa' mimesis ', istituiscono l'effetto del senso reto rico come scarto significativo ..., con il favore di un primo codice... i cui tratti, al loro livello, hanno sovvertito preven tivamente alcune relazioni figurali, d'altronde solo parzial mente analogiche 40• Insomma, per l'autore, riconoscere l'esi stenza di una retorica dell'iconico (e, cioè, di una modificazio ne della struttura dell'immagine) significa postulare la tra sformazione e quindi l'esistenza di un primo codice, di una combinatoria fondamentale di tratti propriamente ico nici 41. Il principale limite delle ipotesi che revocano in dubbio la presenza di tale primo codice, riducendo così il ' linguaggio dell'immagine ' soltanto ad una retorica 42, consiste nell'aver si tuato il denotativo nel referente; infatti, è atteggiamento co mune quello di credere di aver tutto esaurito nei confronti di un'immagine di fronte alla sua « significazione ») ... quan , do se ne è estratta l'' informazione · ... In realtà noi conside riamo così l'informazione di cui l'oggetto fotografato è por tatore e di cui l'immagine è un veicolo, come la sola signi48 ficarione possibile dell'immagine. E questo veicolo identifica-
tore passa per innocente, trasparente al punto da farcelo con siderare un mezzo comodo cui affidare la resa del reale; a meno che non si riconosca che a livello di propaganda, di pub blicità (in sistemi quindi di persuasione più o meno dichia• rata) :l'immagine è stata proprio 'composta ': ma allora è la sua retorica ad essere messa in evidenza o. Identificando (e riducendo) il significato puramente deno tativo con l'informazione, si incorrerebbe in un equivoco fon damentale: indubbiamente, vedere il Reale attraverso le im• magini fotografiche - a meno che non le si guardi da spe• cialisti - è l'atteggiamento più comune�. In taluni casi (come quello ad es. della fotografia-sostituto di una persona) l'im• maginc diviene generalmente un semplice contorno che lo sguardo attraversa facilmente per raggiungere il « Reale •· Un Reale che prende il sopravvento sul suo analogon iconi co 45 • Ciò nonostante, il lettore dell'immagine fotografica ri sulta, suo malgrado, sottomesso alle costrizioni dell'analogon iconico, a tutto ciò che, in questo analogon, costituisce l'ico nico, come rappresentazione del mondo, forse, ma sicuramen• te come rappresentazione singolare 'fotografica ', opposta, ad esempio, ad una rappresentazione dipinta 46• In altri termini, per Lindekens, siamo talmente abituati a vedere delle imma gini e, secondo l'uso sociale, a estrarne in un certo senso l'in• formazione più apparente, cioè il ritratto di una porzione di reale e di servircene dunque come processo di identificazio ne,· a distanza,. e differita, da din1enticare che se c'è effettiva• mente identificazione del reale questa avviene attraverso una 'singolarità sostanziale•, un materiale che, per definizione, non è il reale, la cui organizzazione e le cui relazioni strutturali sono senza dubbio particolari e che contribuiscono a fare, di quello che noi chiamiamo ancora abusivamente il reale de• notato, un reale investito di un codice, quindi un reale desi gnato come tale certamente, ma anche un reale • interpre tato ,. 47• Al di là di un giudizio globale di somiglianza, è immediato riconoscere che i tratti del -referente reale si sono tramutati in forme bidimensionali, linee, colori, contrasti, ecc., e che quindi l'identificazione del Reale alla quale la riproduzione 49
fotografica ci invita, passa necessariamente attraverso una so stanza iconica '"'· Questa fa da supporto all'analogia, ma non è « trasparente»: quello che Lindekens si propone di dimo strare è, in definitiva, che anche l'immagine fotografica« bana le» (ovverosia non retorica), per quanto possa essere ana logica, interpone tra l'oggetto che rappresenta ed il lettore, un codice le cui unità distintive, minimali, denotative sareb bero discernibili non nella struttura dell'oggetto rappresenta• to e neppure nella struttura semantica di questo oggetto, ma nella struttura propriamente iconica 49• A tal fine, per l'auto re, occorre non « mettere tra parentesi» l'immagine, come fanno molti osservatori, nel momento stesso in cui preten dono d'analizzarla, ma partire anzi dalla sua « materia pri ma», dalla sua specificità fenomenale. Si noterà allora che, pur ridotto l'oggetto referente alla sua visualità, escludendo tutte le altre percezioni che nella realtà lo costituiscono, nel l'immagine fotografica positiva la sostanza iconica presenta, rispetto all'immagine aerea (e, cioè, all'immagine ricevuta at traverso lo strato sensibile della lastra o del film, quale l'avrà captata l'obiettivo della macchina) dei caratteri specifici; e ciò in quanto, con riferimento a realtà di fisica ottica, essa si pone come « trasmissione» 5!l finale di una serie di trasfor mazioni, nelle quali intervengono inevitabilmente forti« aber• razioni» 51 • In particolare, relativamente a elementi « struttu rali» dell'immagine fotografica quali il disegno (dato dai par ticolari e dal contorno) ed il contrasto, si può notare come la migliore riproduzione del « disegno» vada a discapito della conservazione fedele dei contrasti, nel senso che essa è otte nuta mediante un contrasto che non corrisponde a quello del l'oggetto, sacrificando, cioè, in qualche modo, una parte del Reale. Già in un tentativo di pura denotazione, quindi, si determina, sotto l'aspetto di una « trasformazione» ed il par ticolare di una scelta tra disegno e contrasto, uno scarto iconico in rapporto al Reale. Inoltre, occorre notare che, al variare di questo partico lare « elemento di iconizzazione» che è il contrasto, non si modifica solo il « disegno» dell'immagine: l'indagine, infatti, SO conferma còme non sia indifferente per la stessa significazione
di un'immagine fotografica, · il fatto; appunto, di sfumare o contrastare il bianco ed il nero che la costituiscono. Insoni, ma, l'iconizzazione 12, che porta dalla realtà visibile alla nuova realtà iconica della fotografia, determina, almeno in parte, anche il senso di un'immagine, in quanto suscita degli effetti di senso iconico, e dà luogo necessariamente ad un percetto del mondo che non deve più l'essenziale della significazione alla sola analogia dell'immagine con l'oggetto del mondo rea le 53• Conseguentemente, per denotazione non può intendersi il potere delle immagini fotografiche di fornirci delle informa� zioni (più o meno verbalizzabili) che esauriscano la significa zione delle immagini; occorre intendere, piuttosto, il potere che queste ham10 di proporci, al di qua di ogni verbalizzazio ne, un senso sui generis 54• Tale senso iconico si troverà certa mente in un rapporto d'implicazione con una significazione identificatrice (informativa), ovverosia con l'effetto di senso risultante dall'analogon, e con una significazione linguistica (concettuale), implicitamente od esplicitaIQente verbalizzata (cfr. l'uso di didascalie); ma esso ha la sua realtà (preverba� le) nella sola sostanza iconica che lo sguardo struttura 55•· Tra i codici eterogenei che costituiscono l'immagine nella sua totalità So bisogna così annoverare anche un codice • ico nico, che, indipendentemente dall'analogia, anzi imponendole le sue «costrizioni», condiziona la lettura di un'immagine. I relativi elementi pertinenti, dalla cui combinatoria derive rebbe il suddetto senso iconico, vengono ricondotti, da Lin dekens, a tratti distintivi formali iconici, una specie d'equiva lente dei tratti fonematici nella lingua articolata�, ognuno dei quali implica una scelta tra i due termini di un'opposizione. Tra questi, un tratto immediatamente individuabile è costi tuito dall'opposizione sfumato/contrastato la cui pertinenza è rivelata dalla variazione di significazione, indotta, come si è visto, dalle variazioni del contrasto: tramite una « prova di commutazione », risulta, cioè, possibile registrare una modi fica (un vero e proprio rovesciamento o, almeno, uno slitta mento) del « senso » dell'immagine, il che prova, ancora una volta, che il lettore è sottoposto agli imperativi della struttu ra iconica.
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non solo il piano del Significante, ma anche quello del Con tenuto, in quanto il significato della verticalità (che va indi viduato per opposizione e differenza con tutte le altre possi bili posizioni) media (o filtra) anche l'analogon. Inoltre, è ben noto come la cosiddetta riproduzione « obbiettiva ;> non renda il reale com'è, né come si vede, soggiacendo alla cultu• raie (e simbolica) prospettiva rinascimentale. Senza conside rare, poi, che il « realismo » della fotografia non solo richie de un processo di funzionalizzazione e di semiotizzazione (è una scelta e prevede condizioni, criteri ed elementi di scel ta) 73 ma costituisce anche il risultato di particolari « moda lità culturali di rappresentazione», cui vengono associate, se• condo una convenzione culturale, valenze di obbiettività e di denotazione assoluta. Tutto ciò risulta ancora più evidente nel caso di una fo. tografia stilizzata (come, ovviamente, per una astratta), le cui modalità di rappresentazione, se non necessariamente più complesse, certamente si esibiscono, in quanto tali, con mag giore evidenza. In tal caso, si -verifica una funzionalizzazione degli stili, operata.dal. fotografo, la cui scelta tecnica, ineren• .te le modalità di rappresentazione, si basa sulla consapevolez• za che si tratti di procedimenti significanti, ed è orientata dal particolare senso di cui si vuole investire l'analogon (persino in un genere come il ritratto, per attenerci a quello cui ci siamo maggiormente riferiti, che per sua natura si fonda sull'analogia, Man Ray adopera il flou, lo sfuocato, i grigi dominanti, per personaggi romantici o comunque arcaici, mentre ricorre alla- solarizzazione, alla volumetrizzazione, alla resa della grana, per le figure che più gli sembrano rivoluzionarie nel contesto culturale contemporaneo) 7i. Di conseguenza, se è necessario conoscere anche i particolari procedimenti tec nico-operativi, per comprendere la trasformazione di un'espe rienza percettiva in un'immagine fotografica, è parimenti ne• cessaria anche la mediazione della particolare « concezione della realtà», relativa a quelle modalità di rappresentazione, per comprendere il tramutarsi del senso preculturale nel Si gnificato dell'immagine (una convincente esemplificazione po trebbe essere fornita a livello di « movimenti fotografici», se 57
grafia dalle strettoie nelle quali è rimasta, fino. ad oggi, im pedita.
I La camera obscura costituisce uno strumento nato molti secoli prima della fotografia: nominato nei testi occidentali fin dal XIII se colo e, probabilmente, adoperato inizialmente dagli astronomi, divenne poi strumento ausiliario dei pittori, sia per lo studio della prospettiva che per una riproduzione fedele, fin nei più minuti particolari, degli oggetti. Nota già a Leonardo, la camera obscura diviene, nel Settecento, un accessorio Indispensabile per li pittore, una vera macchina per dl· segnare. Per citare soltanto qualche nome, è certo che Vermeer in Olanda, il Canaletto e Il Guardi in Italia, se ne servirono. (J. A. KEIM, Histoire de la photographie, Presses Universitaires de France, 1970; trad. it., Breve storia della fotografia, Einaudi, Torino 1970, p. 4). 2 C. BRANDI, Le due vie, Laterza, Bari 1966, p. 141. J D. PALAZZ0LI, Descrizione di una battaglia: l'Immagine, nel Cata• logo della mostra Combattimento per un'immagine, Torino 1975. 4 CH. BAUDELAIRE, Salon de 1859; cfr. il secondo capitolo: li pubblico
moderno e la fotografia. s L. CARLUCCIO, Note per una introduzione, nel Catalogo Combatti• mento per un'immagine, cit. � D. PALAZZ0LI, Op. cit. 7 P. B0URDIEU, Un art moyen. Essais sur les usages sociau:c de la photographie, Les Editions de Minuit, Paris 1965; trad. it., La fotografia,
Guaraldi, Rimini 1972, pp. 123-124 e nota. 8 Ovviamente non· si tratta di un rapporto causale. Cfr. S. SONTANG, On Pltotography, Farrar, Straus and Girou.�. New York 1973; trad. it., Sulla fotografia, Einaudi, Torino 1978: quando... entrò In scena la foto• grafia, la pittura aveva già iniziato per proprio conto la lunga ritirata dalla rappresentazione realistica - Turner nacque nel 1775, Fox Talbot nel 1800 - e il territorio che la fotografia andò a occupare con un successo cosl rapido e completo sarebbe stato probabilmente abbando nato in qualunque caso (p. 82). 9 Il giudizio è di Paul Strand (1917), cil. in C. BRANDI, Op. cit. 10 W. BENJAMIN, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner tech11ischen Re produzierbarkeit, in Schriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1955;, trad. it. L'opera d'arte nell'epoca della ma riproducibilità tec11ica, Einaudi, Torino 1966, pp. 61-62. Su questo punto, cfr. anche B. CROCE, Estetica, Laterza, Bari 1928: la fotografia, se ha alcunché d1 artistico, Io ha in quanto trasmette, almeno In parte, l'Intuizione del fotografo, il suo punto d1 vista, l'atteggiamento e la situazione ch'egli s'è lndu• striato d1 cogliere. E se la fotografia non è del tutto arte, ciò accade appunto perché l'elemento naturale resta più o meno Ineliminabile e Insubordinato (p. 20). Il C. BRANDI, Op. cit. 12 S. S0NTAG, Op. cit., p. 4. 13 Cfr. KlwsK.I, (a cura di). / formalisti russi nel cinema, Milano 1971, p. 68. I◄ C. M.wu, Estetica cine-fotografica come recupero della realtà, in AA.VV., Estetica e società tecnologica, Il Mulino, Bologna 1976, p. · 149. 1s C. S. PEIRCE, Collected Papers, Harvard Un. Press., Cambridge
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1931-35, (52.247); cit. in U. Eco, Segno, ISEDI Milano 1972, p. 116 (la sottolineatura è nostra). 16 Cfr. U. Eco, Op. cit., p. 117. 17 Ivi, p. 53. Anche disancorando, come fa Eco, la distinzione peir ciana da una definizione per rapporto col referente, e traducendola in una definizione per specificità del significante, la fotografia verrebbe ad essere ammessa, nell'ambito dei segni naturali, tra gli indici ed in par· ticolare tra le tracce, caratterizzate da un rapporto causale presupposto, da cui si inferisce una contiguità (non attuale) col referente (al p:iri delle orme sulla sabbia). Per Eco, come dichiarato altrove, la fotografia, nel sistema del possibili sistemi segnici, mantiene nonostante tutto una capacità indicale (U. Eco, Introduzione, in P. CONSACRA, U. Muus, Foto• grafare l'arte, Milano 1973). 11 U. Eco, Segno, cit., p. 117. 19 R. BARTHES, La chambre claire. Note sur la p'1otographie, Editions du Seuil, Paris 1980; trad. it., La camera chiara. Nota sulla fotografia Einaudi, Torno 1980., pp. 77-78. 20 Ivi, p. 90. 21 s. SONTAG, Op. cit., p. 142. 22 R. BARTHES, Op. cit., p. 115. 2l S. SONTAG, Op. cit., p. 83. 24 Ivi, p. 132. 2.5 R. BARTHES, Op. cit., p. 89. 26 Ibidem. 21 Ibidem.
28 C. METZ, Langage et cinéma,: Librairie Linguaggio e cinema, Bompiani, Milano 1977, 29 R. BARTHES, Op. cit., p. 89.
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Larousse, 1971; trad. it., p. 233.
.J> Ivi, p; 77. · JI R. BARfflES, Le message photographique, in e Communications • n. 1, gennaio 1961. (Sull'argomento cfr. M. G. GUGLIELMI, L'immagine· fo tografica tra ·denotazione e connotazione, in e Art Dimension • n. 4, ott.-dic. 1975). J2 Ibidem. n Ibidem. 34 Ibidem. l5 Ibidem. J6 R. LINDEKENS, Eléments pour une sémiotique de la photographie, Aimav-Didier, Bruxelles-Paris 1971; trad. it., Semiotica della fotografia, Il Laboratorio, Napoli 1980, p. 238. Un'esplicita risposta a La chambre claire di Barthes è stata data da Lindekens nella sua comunicazione, Chambre noire. e Chambre e/aire•. al Convegno Strategie di manipo lazione. Pratiche testuali-pratiche sociali, Roma, 13-15 giugno 1980. Con siderate le conclusioni del libro di Barthes, la più efficace risposta ci sembra comunque il tentativo stesso, operato da Lindekens, di fondare una semiotica della fotografia. La sua opera sull'argomento risulta tal mente ricca di indicazioni da non poter essere richiamata qui intera mente: i riferimenti espliciti (ed impliciti) saranno quindi relativi solo agli argomenti più pertinenti al nostro tema. Ma questo lavoro è tribu tario, più di quanto non emerga, della sua ricerca. J7 Ivi, p. 240. l8 R. BARTHES, Art. cit. ·, . � · 311 R. °LINDEKENS, Op. cit;; ·p; 240.. 40 Ivi, pp. 239-240. 41 Ivi, p. 240. 42 Ivi, p. 176. 43 I vi, p. 200.
44 Ivi, p. 233: Ivi, p. 234.
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Ibidem.
Ivi. pp. 227-228. -18 lvi, p. 229.. 49_ Ivi, p. 200. so Per trasmissione fotografica è intesa la trasmissione globale dal l'oggetto all'immagine fotografica. Essa è quindi il risultato di una .serie di • trasmissioni » (essendo chiamata trasmessa ogni ripartizione lumi nosa, trasformata in un'altra ripartizione) individuabili. in: a) un'imma gine aerea piana; b) un'immagine attiva; c) un'immagine argentica; d) un'immagine fotografica. Cfr. R. LINDEKENS, Op. cit., particolarmente il capitolo La trasmissione fotografica. 51 Le aberrazioni si Impongono nel corso della formazione dell'Im magine latente e dell'Immagine argentlca, per non parlare delle aberra zioni puramente ottiche che interessano la fotografia non ricavata per contatto ma attraverso l'obiettivo, né delle aberrazioni di altro tlpo dovute alla stampa o alla trasposizione fotolnclsa (ivi, p. 98). 52 Per iconiu.azione l'autore intende, anzitutto, Il passaggio dall'Im magine attiva all'immagine argentica, Immagine di cui Il «negativo,. renderà conto e che la riproduzione « positiva • modificherà ancora, se si tien conto delle diversità delle condizioni nelle quali l'Immagine foto grafica può essere tirata, stampata e fotolnclsa (ivi, p. 91). 53 Ivi, p. 92. SI lvi, p. 248. ss Ibidem. 56 Ivi, p. 272. 57 Ivi, p. 200. 58 lvi, p. 256. Lo stesso Lindekens suggerisce, a livello di ipotesi, tratti: retinato e non retinato; diretto/rovesciato; ecc. 59 Ivi, p. 175. 60 La medesima osservazione vale per un ulteriore tratto pertinente, e, cioè, positivo/negativo (anch'esso peculiare della fotografia e, anzi, particolarmente rappresentativo, riferendosi ad una delle trasformazioni fotografiche): infatti l'uso dell'immagine al « negativo » mette in discus sione l'analogia. Tale tratto si realizza, solitamente, come opposizione esclusiva (o/o). tranne che, forse, nell'inversione dei toni ottenuta me diante la solarizzazione. 61 F. MENNA, La linea analitica dell'arte moderna, Einaudi, Torino 1975, p. 59. 62 R. LINDEKENS, Op. cit., p. 116. 63 Cfr. ivi, pp. 231-232. 64 Ivi, p. 265. Cfr. anche C. METZ, Op. cit., p. 233: i codici dell'ana logia sono costituiti da un insieme di montaggi pslco-fislologlcl, Inte grati anche all'attività percettiva, e le cui modalità variano notevolmente da una cultura all'altra. 65 P. BouROIEU, Op. cit., p. 128. 66 A. C. Qu1NTAVALU, Saggio introduttivo al Catalogo della Farm Se curity Administration, Panna 1975. 67 R. DE Fusco, C. LENZA, Ipotesi per il segno iconico, in « Op. cit. • n. 44, gennaio 1979. Rimandiamo a tale saggio non solo per la tratta zione della più generale problematica relativa all'iconismo, ma anche per il riferimento al modello hjelmsleviano che sottende tale ipotesi. 68 Ibidem. 69 E. GARRONI, Progetto di semiotica, Laterza, Bari 1972, p. 143. ,o Ivi, p. 144, in nota. 61 71 Tranne che per le tecniche fotografiche che fanno a meno della
camera. Schadografie, rayografie e fotogrammi, creando una relazione ottica elementare... tendono, In definitiva, a ricondurre Il linguaggio fotografico a elementi di base di numero definito e privi, Il più possi bile, di significati denotativi (alla condizione di figure, dunque), tra sformando cosl Il mezzo da strumento di registrazione del reale in una tecnica di natura analitica e autoriflessiva (F. MENNA, Op. cii., p. 60). n
R.
DE
Fusco,
c.
LENZA, Ari. cit.
E. GARRONI, Op. cii., p. 144, in nota. 74 A. C. QUINTAVALLE, Note del Saggio in1rod11ttivo al Catalogo Ugo Mulas, Parma 1973, nota n. 20. Per l'autore, Man Ray... ha inventato una funzionalizzazione de1li stili. 7J
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