Op. cit., 51, maggio 1981

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Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea

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Edizioni e Il centro " di Arturo Carola


S.

VILI.ARI,

Classicismo e razionalismo in J. N. L. Durand

G.

DAL CANTON,

Modelli interpretativi delle tendenze artistiche odierne

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Architettura come testo

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M. FRASCARI,

Libri, riviste e mostre

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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Giuseppina Dal Canton, Gabriella D'Amato, Fulvio Irace, Maria Rosaria Mioni, Maria Luisa Scalvini, Claudia Vio.




Il suo insegnamento in quella scuola è sintetizzato nei due volumi del Précis des leçons d'architecture pubblicati nei primi anni dell'Ottocento, di cui la critica moderna si è spesso occupata anche se mai sistematicamente e, forse, in modo non esaustivo. Perciò, tenendo presente anche contri­ buti apparsi su questa stessa rivista 5, cerchiamo in queste pagine di ricostruire il senso e la portata, sotto diversi aspetti ancora attuali, del suo insegnamento. Sebbene conosciuto a stimato dai contemporanei, Durand non ebbe mai grande notorietà: e ciò perché ancor prima che artista o architetto egli fu soprattutto un simple citoyen, prodotto del nuovo impegno rivoluzionario borghese; ovvero l'homme inconnu, cosciente dei propri doveri civili, che ri­ ,fugge da ogni forma di notorietà, ma che lavora nell'ombra alla costruzione della nuova società rivoluzionaria. Come si vede, un modello accuratamente rifinito di anonimato che in­ contra per giunta, in una promettente penombra, la conso­ lidata esperienza sul campo dell'insegnante, o ancor più del pedagogo. Più precisamente all'oscurità tipica dell'insegnante si sovrappone il nuovo e più complesso attributo borghese che di tale oscurità si libera ma alla cui ombra allo stesso tem­ po si ripara: con fermezza infatti, e per la prima volta senza senso di colpa, ci si dichiara indipendenti ed autosufficienti, senza relazioni né protezioni aristocratiche. Purtuttavia è nel­ l'istruzione pubblica, nel grande ideale di una rinnovata co­ scienza sociale, nei nuovi valori della specializzazione e della professionalità, insomma nell'idea grandiosa della civilisation che ci si immerge fino a ritrovare, dell'oscurità suddetta, l'ombra più sicura. Cosl J. N. L. Durand, professore d'archi­ tettura all'J!cole Polytechnique, descrive con la sua vita il tableau grandioso ed effimero di una carriera borghese. Non possiamo qui fornire che brevi cenni biografici a sostegno della nostra tesi 6• Ammesso all'Académie Royale d'Architecture nel 1777, Durand riporta nel 1780 il secondo Grand-Prix; ma l'anno successivo, nonostante la promettente carriera scolastica, abbandona gli studi, votandosi così al più totale isolamento fino a quando, negli anni della rivolu6 zione, la Convenzion_ e non sopprimerà l'Académie e le strut-



meglio vedremo in seguito, i principi della teoria di Durand sono già tutti presenti nei contenuti del suo corso che, di lì a pochi anni, avrebbe assunto la forma definitiva delineata nel Précis des leçons. Quest'ultimo, come abbiamo visto, apparve nei primi anni dell'Impero napoleonico che, come è stato giustamente no­ tato, anziché rappresentare, come talvolta si è supposto, l'apo­ geo del movimento neoclassico, ne segna li rapido declino e la sua decisa Involuzione a semplice « revival " aptico, impo­ verito di tutte le nobili idee e della forza di convinzione che avevano ispirato I suol capolavori 12• Ora, in contrasto con le tendenze dell'arte ufficiale dell'Impero, l'architettura di Du­ rand raccoglie in pieno l'eredità del movimento riformatore della seconda metà del Settecento. Ne ripropone, selezionati, i contenuti più fecondi; si costituisce cioè come compimento di quell'esprit des lumières che aveva impegnato tanto pro­ fondamente teorici ed architetti di una generazione preceden­ te. Ciò spiega come Durand possa tanto ironizzare su autori come l'abate Laugier, che pure fu tra i maggiori esponenti del razionalismo illuminista, tanto ignorare completamente settori pur rilevanti della sperimentazione architettonica fin de siècle come I'architecture parlante di Boullée e Ledoux. E spiega altresì come quella continuità si verifichi invece prevalentemente sul piano della ricerca di una dimensione scientifica dell'architettura: l'architettura è allo stesso tempo una scienza ed un'arte: come scienza richiede delle cono­ scenze; come arte, esige del talento. Per apprendere perfetta­ mente una scienza, bisogna ascoltare, comprendere ed assi­ milare... 13• L'architettura dunque può e deve essere studiata, ed insegnata, scientificamente e in quanto tale - ciò che più conta - richiede uno studio altamente specializzato: biso­ gnerebbe che la conoscenza di quest'arte fosse generalmente diffusa, ma poiché ciò non è, occorre che almeno quelli che devono esercitarla ne abbiano una conoscenza approfondita 14•

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Inoltre l'architettura deve dichiarare apertamente i suoi fini, delimitare drasticamente il campo delle proprie appli­ cazioni: per occuparsi con successo di un'arte qualsiasi, blsogna occuparsene con amore... Non potendo amare ciò che


non si conosce... bisogna sapere perché ci se ne occupa, e come in generale bisogna occuparsene; in altri termini, bi­ sogna conoscere gli scopi che quest'arte si propone, e i mezzi· che deve impiegare per raggiungerli 15 • Gli uni e gli altri non saranno difficili da individuare: l'utilità, e la più grande utili­ tità pubblica e privata: questo è l'unico scopo dell'architet­ tura 16; e più avanti infine: la convenienza e l'economia, que­ sti i mezzi che l'architettura deve naturalmente impiegare 17. Tuttavia un'impostazione così radicale non poteva fon­ darsi che su una palese «riduzione» dell'intera disciplina, il che urtò la sensibilità di _tutti coloro, primo fra tutti il suo più illustre contemporaneo Napoleone 18, che consideravano l'architettura la più nobile tra le arti. Ad essi, sorprendente­ mente, Durand rispondeva: o la società è fatta per l'architet­ tura e gli architetti, o l'architettura e gli architetti per la so­ cietà: vi è qualcuno, degno del nome di architetto, che a que­ sto interrogativo possa anche solo per un istante rimanere in imbarazzo? 19• È da questa insolita prospettiva, da que­ st'interrogativo diremo storicamente precoce sul ruolo so­ ciale dell'architetto che nasce, all'alba della società contem­ poranea, l'insegnamento di Durand all'Ecole Polytechnique. Il Parallèle e l'idéologie. Tuttavia ancor prima che come professore d'architettura, Durand fu noto ai contemporanei e alle generazioni succes­ sive come l'autore del Recueil et Parallèle des édifices de tout genre, anciens et modernes remarquables par leur beauté, par leur grandeur ou par leur singularité, et dessinés sur une meme écl-1elle, opera che fin dalla sua pubblicazione sul fi. nire del 1799 incontrò uno straordinario successo, e che avrà in seguito un'inconsueta diffusione e notorietà: esposta in­ fatti al Salon de l'an VII, recensita da tutte le maggiori ri­ viste del tempo, testo di studio per gli allievi dell'Ecole Po­ lytechnique, ripubblicata numerose volte in Francia, fu pub­ blicata anche in Italia con testo originale a fronte, e con nu­ merose edizioni successive e appendici, fino al 1860 20• Il Parallèle, più noto come Le Grand-Durand, nel corso 9


di tutto l'Ottocento fu considerato testo esemplare· e sacro del « classicismo razionalista» dell'inizio del secolo: ancora in quegli anni Sessanta, aII'.Ecole des Beaux-Arts di Parigi si faceva giurare agli allievi più giovani odio a Viollet-le-Duc sulla bibbia del classicismo razionalista - appunto Le Grand­ Durand 21; in Italia il lungo e complesso titolo fu sintetiz­ zato in quello di Fabbriche classiche, e come tale conosciuto e considerato fino ai nostri giorni. Eppure difficilmente il Parallèle sembra prestarsi a simili fraintendimenti. Da quando J. D. Leroy nel 1758 aveva misu­ rato e disegnato i monumenti della Grecia antica, le raccolte d'architettura del passato o di paesi e civiltà lontane si erano moltiplicate a velocità impressionante. Ora, mentre ognuna di queste raccolte si proponeva all'attenzione del pubblico co­ me documentazione dell'architettura di una determinata so­ cietà secondo uno spirito più o meno appassionato quanto revivalistico, il Parallèle invece raccoglieva quasi asettica­ mente un po' di tutto. L'architettura antica della Grecia e dell'Egitto, l'architettura romana e quella cinese, l'Italia del Rinascimento e il Medio Oriente, l'India, l'Inghilterra elisa­ bettiana e la Francia contemporanea si susseguono nelle ta­ vole del Parallèle in un repertorio sorprendente, ma non pri­ vo di logica, di stili e di forme. Si potrebbe pensare indub­ biamente ad un manifesto del nascente eclettismo storicisti­ co. E la critica moderna infatti, considerando più l'aspetto superficiale e la fortuna dell'opera che non il suo valore au­ tentico, non è mai andata oltre la considerazione del Paral­ lèle come esemplare semmai pregiato della moda del tempo divisa tra classicismo, esotismo ed eclettismo storicistico 22• Ma non fu esattamente questo lo spirito nel quale fu con­ cepita l'opera. In una recensione apparsa sul Journal de l'.Eco­ le Polytechnique si legge che scopo principale dell'opera è quello di fornire agli studiosi uno strumento orientato di consultazione. Vi si raccolgono perciò, comparandoli tra loro, gli edifici più importanti di ogni genere - oggi diremmo tipo­ logie - costruiti nel corso dei secoli dalle diverse civiltà 23• Uno spunto illuminante per la comprensione del significato 10 del Parallèle ci è fornito da un breve articolo apparso nella


« Décade philosophique», che dopo aver fatto l'elogio di Du­ rand e della sua opera, nota che a quest'ultima non manca che di essere inquadrata in un sistema di comparazioni filo­ sofiche 2�. Il «sistema» auspicato per un'opera come il Paral­ lèle non può essere altro che un'applicazione di quella meto­ dologia della ricerca antropologica, o più in generale relativa al più vasto campo delle « scienze dell'uomo», che proprio in quegli anni veniva definito dai membri di una nascente société savante di ambiente idéologique: la Société des Ob­

servateurs de l'homme 25• Jauffret, uno degli Observateurs, delineando il program­ ma di ricerca che la società si proponeva, scriveva nell'intro­ duzione alle Mémoires de la Société: gettando lo sguardo sul­ le diverse parti del mondo antico si rivelerà_. l'ardimento del­ ruomo che le copri di monumenti, alcuni dei quali sussistono ancora... si risalirà fino a quelle epoche nelle quali la tradi­ zione ha posto la culla delle arti, delle leggi e delle scienze; si cercheranno le tracce della grandezza umana fino nelle ro­ vine che attestano la sua nullità ( ... ) Indagini sistematiche e numerosi studi particolari sui popoli antichi ... gettarono una grande luce sull'Antropologia comparata ( ... ) Che cosa vi è di più adatto infatti per illustrare i punti più oscuri della storia primitiva che il paragonare insieme sia i costumi, sia le abitudini, sia il linguaggio, sia l'industria dei diversi popo­ li... 26• Sergio Moravia d'altronde così riassume i diversi og­ getti della nascente disciplina antropologica: la nuova disci­ plina doveva considerare tra i suoi compitL.. lo studio delle inter-relazioni con il « milieu ,. naturale... e quello dei diversi modi di alimentazione, abbigliamento, abitazione, vita asso­ ciata... 'Il. Del resto, se tentiamo di cogliere l'unicità o individualità del Parallèle rispetto alle numerose raccolte d'architettura del tempo o precedenti, non possiamo non notare, nella vo­ lontà organizzatrice per generi o tipologie, e nella loro mutua comparaison, un analitico spirito di ricerca sulla vita asso­ ciata e sui modi di abitare - in una parola sulla « cultura materiale» dei diversi popoli, studiata attraverso l'architet­ tura intesa come modello di organizzazione funzionale: Un'in- 11


trodutlone alla storia generale dell'architettura, osserva an­ cora la « Décade » qualche anno dopo, sempre a proposito del Parallèle, ..• fa vedere in cosa consiste il sublime nell'ar­ te, ... pone al primo posto lo studio delle scienze matemati­ che e l'osservazione continua della natura; infine distingue nei monumenti antichi e moderni i differenti stili dovuti al• l'influenza del clima, dei materiali e degli usi specifici del popoli, e dimostra che l diversi caratteri degli edifici sono una conseguenza naturale delle diverse origini o delle rivolu­ zioni che la storia ci ha reso note 22• La singolarità e novità del Parallèle appaiono evidenti soprattutto sul piano meto­ dologico: nell'adozione cioè di quel metodo comparativo, con­ tributo fecondo del pensiero scientifico francese tardo-illu­ minista, che ben presto estendendo il proprio campo d'azio­ ne si rivelerà determinante nella definizione di più d'una mo­ derna disciplina - basti pensare alla Grammatica comparata di F. Bopp (1933) e alla nascita della linguistica strutturale. Tuttavia non manca un precedente storico all'opera di Durand, costituito dal VI libro dell'architettura di Sebastiano Serlio - « Delle habitationi di tutti li gradi degli homini » opera nella quale si analizza comparativamente un tipo edi­ lizio, l'abitazione, nei suoi diversi gradi - dalla minima ca­ sipola del povero contadino... fin alla casa del principe 29 e nell'architettura di due diversi paesi: l'Italia e la Francia. Comunque l'opera del Serlio non sembra inficiare la nostra tesi sulla novità e il valore originale del Parallèle: infatti il VI libro serliano, limitandosi ad un solo tipo edilizio, non sembra sottendere una metodologia analitica di ricerca sul­ l'organizzazione delle diverse funzioni umane, né tantomeno una metodologia comparativa, in quanto gli esempi tratti dal­ l'architettura francese paiono essere più indicativi che ap­ punto di metodo: in questo mio sesto libro jo tratterò in scrittura et apparente dissegno della commodità et del de­ coro insieme acordati, servendomi assai delle commodità di franza le quali veramente ho trouate buone 30• Abbiamo visto dunque come il Parallèle si inquadrasse in una prospettiva culturale più ampia e feconda, e come 12 in particolare condividesse quella metodologia comparativa



voluzionario moderato, come tutti gli altri idéologues, Durand pagò con il silenzio e l'isolamento l'opposizione politica e mo­ rale al regime napoleonico 37• Analyse e strutturalismo nelle Leçons d'architecture. E veniamo al Précis des leçons d'architecture données à l'E.cole Polytechnique, pubblicato in due volumi nel 1802 e 1805: nonostante la specificità del testo, l'opera fu accolta con entusiasmo non solo nell'ambiente dell'E.cole ma anche all'esterno 38• La fortuna del Précis è comunque attestata dalla sua diffusione: alla prima edizione ne seguirono in­ fatti altre tre nel 1817, 1823-25 e nel 1840 - quest'ultima po­ stuma - alle quali si aggiunsero nel 1818 un Nouveau pré­ cis des leçons e nel 1821 la Partie graphique des cours d'ar­ cltitecture; infine l'opera fu tradotta e pubblicata in tedesco nel 1831 col titolo: Abriss der Vorlesungen i�ber Baukunst, gehalten in der k. polytechnischen Schule zu Paris. Va notato a questo punto che se in Italia Durand fu co­ nosciuto e, come abbiamo visto, soprattutto frainteso grazie alla traduzione del Parallèle, ciò non avvenne invece in Ger­ mania dove la metodologia delle leçons, grazie alla citata edi­ zione, influenzò architetti come L. von Klenze e K. F. Schin­ kel e, attraverso la loro opera, tutto il Klassizismus tedesco tardo-romantico w. Le Leçons d'architecture furono un'opera prevalentemente· didattica, adottata come libro di testo all'Ecole Polytechnique fino alla metà del XIX secolo, ed è soprattutto in questo senso che è possibile rintracciarne pienamente l'interesse e il signi­ ficato. Innanzitutto, come già accennato, l'insegnamento del­ l'architettura è qui profondamente modificato sia rispetto alle tradizioni didattiche dell'Académie d'Architecture, sia rispetto alla prima definizione che la materia ebbe alla stessa E.cole Polytechnique 40• Infatti delle tre discipline in cui tradizio­ nalmente veniva articolato lo studio dell'architettura - de­ corazione, distribuzione e costruzione - nessuna era giudi­ cata adatta a fornire una conoscenza allo stesso tempo gene14 rale ed esaustiva della materia. Inoltre il metodo didattico



ri ». Nella prima p arte gli elementi architettonici - mura, pilastri, architravi, arcate, volte, solai, etc. - sono trattali in rapporto alla qualità e all'uso dei materiali e sotto il pro­ filo formale. La seconda sezione, parte centrale della metodologia del P1·écis, è interamente dedicata alla composition, concetto che nasce, con l'opera di Durand, dalla critica del vecchio con­ cetto di distribu zione: per distribuzione non si intende alti·a cosa che l'arte di mettere in ordine, secondo i nostri usi at­ tuali, le differenti parti che compongono un'abitazione 45• Quella di distribuzione non è dunque un'idea che conviene a tutti gli edifici ( ... ) tanto è vero che non si dice mai distri­ buire un tempio, un teatro, un palazzo di giustizia, etc. 45. Per composizione si intende invece l'insieme delle leggi che regolano la combinazione o assemblaggio a livelli diversi di elementi e parti architettoniche: noi vedremo innanzitutto come gli elementi architettonici devono combinarsi tra loro, vale a dire come devono disporsi gli uni in rapporto agli altri, tanto orizzontalmente che verticalmente; in secondo luogo come, attraverso queste combinazioni, si perviene alla for­ mazione delle diverse parti degli edifici, come porticati, atri, vestiboli, scale tanto interne quanto esterne, sale di ogni spe­ cie, corti, grotte, fontane. Essendoci poi ben note queste par­ ti, noi vedremo infine come devono combinarsi a loro volta nella composizione dell'insieme degli edifici 47 • Come si vede è possibile distinguere almeno due livelli di composizione: il primo riguarda le leggi di combinazione degli elementi e la formazione delle parti; il secondo la composizione delle parti e la formazione dell'insieme degli edifici. Al primo li­ vello inoltre, la combinazione degli elementi può avvenire secondo due distinte direzioni: si ha di conseguenza una di­ spos1Z1one orizzontale, rappresentata dalle piante, e una di­ sposizione verticale, rappresentata dalle sezioni e dai pro­ fili 48•

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Per q�to riguarda la disposizione orizzontale degli ele­ menti è possibile formulare nno schema grafico estrema­ mente sintetico quanto generale: dopo aver tracciato degli assi paralleli equidistanti, e tagliati perpendicolarmente que-


sti assi con degli altri distanziati gli uni dagli altri quanto i primi, alla distanza di tanti interassi quanto si giudica con­ veniente si pongono le mura sugli assi, e le colonne, i pila­ stri, etc. sulle intersezioni; in seguito si dividono in due gli interassi, e sui nuovi assi cosi ottenuti si pongono le porte, le finestre, le arcate, etc... 49• � questa una regola estrema­ mente semplice, tuttavia non superficiale in quanto adeguata al livello di composizione in esame: secondo lo stesso Du­ rand infatti, niente è più semplice che questa parte deJla composizione ...50• Ma proporzionalmente al livello di compo­ sizione, cresce anche il suo grado di difficoltà: le combina­ zioni verticali sono ancora cosi semplici come quelle oriz­ zontali ..., visto che non ve ne è alcuna che non nasca da quelle. Tuttavia poiché ciascuna disposizione orizzontale può generare più disposizioni verticali, queste ultime sono più nu­ merose delle altre 51 • E così fino al secondo livello di compo­ sizione - assemblaggio delle parti - dove non è più possi­ bile fornire alcuna formula grafica esemplificativa, ma tutt'al più osservare che le parti o unità derivanti dal primo livello di composizione risulteranno necessariamente allineate su assi comuni. Ora questi nuovi assi possono combinarsi in mille modi diversi e dare origine con le loro combinazioni ad un numero infinito di disposizioni generali differenti 52• In tal modo il grado di libertà del sistema è assicurato, così come è fugato ogni dubbio sulla superficialità di tale « mec­ canismo compositivo ». Meccanismo che ci interessa per almeno due buone ra­ t:,rioni. La prima, di ordine strettamente storico, si riassume nel passaggio da una concezione monolitica dell'opera d'ar­ chitettura ad una sua radicale definizione in quanto prodotto di una composizione per parti: l'uno, intiero e ben finito corpo palladiano, già vacillante sotto i colpi del principio barocco della gradazione, si frantuma ora nella composizione quasi seriale dei suoi elementi. In particolare lo spazio ar­ chitettonico esplode, frammentandosi, quasi come se fosse stata minata alla base la sua supposta, eterna indissolubili­ tà: e quei frammenti hanno bisogno ora di una normativa che regoli il loro ordine combinatorio. 17


E addirittura con chiarezza che Durand ci descrive que­ sto processo nelle tavole del suo Précis: partendo da un mo­ dello di riferimento costituito, a meno di qualche particola­ re, dalla «Rotonda» palladiana (Précis, parte II, tav. 2, fg. 1), dopo aver riequilibrato o invertito le sorti tra l'invaso cen­ trale e quelli al contorno (Précis, parte II, tav. 2 fg. 2), pre­ figura addirittura, con un procedimento di ripartizione e ri­ produzione quasi meccanica dello spazio, una loro combina­ zione in tipologie a schiera (Précis, parte II, tav. 20. es. 8, 10, 13, 14). Si vede l'importanza di tale processo per il valore di anticipazione di analoghe esperienze novecentesche: e ad un secolo di distanza esso appare, nel suo contesto storico, più adeguato e forse più fecondo. Ma veniamo ora alla seconda ragione, questa volta di natura semiotica. Se cerclùamo in una sola parola di definire con approssimazione soddisfacente il meccanismo composi­ tivo proposto da Durand, non possiamo non ricorrere, per pertinenza e sinteticitià, al termine di « articolazione », nel­ l'accezione che esso assume in linguistica. Un suggerimento in questo senso ce lo fornisce lo stesso Durand: gli elementi architettonici stanno all'architettura come le parole al di­ scorso, le note alla musica, e senza una loro perfetta cono­ scenza sarà impossibile andare più lontano 53• E più avanti, ancora più esplicitamente: si vede come lo studio dell'archi­ tettura ... si riduca ad un numero poco considerevole di ele­ menti, ma che è sufficiente alla composizione di tutti gli edi­ fici; a combinazioni semplici e poco numerose, ma i cui ri­ sultati sono così ricchi e cosl vari come quelli della combina­ zione del linguaggio 54• Beninteso non è la prima volta nella storia che si istituisce un parallelo tra architettura e linguag­ gio - basti pensare ad alcuni passi del Milizia. Tuttavia mai con tanta precisione era stata individuata un'analogia tra i meccanismi della composizione in architettura e dell'artico­ lazione del linguaggio. Cosa che crea un precedente tutt'al­ tro che indifferente per la moderna semiologia architetto­ nica 55• Se si prescinde infatti dall'identificazione - per noi imprecisa - tra elementi architettonici e parole della lin18 gua, i due livelli di composizione proposti da Durand pre-



parte del Précis un'assoluta novità storica e considerato di conseguenza Durand come padre del moderno concetto di ti­ pologia 59• Non sarà difficile convincersi del contrario. I re­ cueils d'architecture, genere editoriale diffusissimo nel corso di tutto il Settecento, si strutturavano come veri e propri inventari tipologici, più o meno estesi a seconda dell'impor­ tanza dell'opera. Lo stesso metodo didattico generalmente usato si basava, come abbiamo visto, sulla copia e lo studio di modelli o progetti tipo; così come infine i concorsi a sog­ getto dei Grands-Prix non erano, in ultima analisi, che eser­ citazioni su assegnate tipologie. Inoltre i tipi edilizi descritti da Durand non sono, come invece si è tentati di credere, il risultato di un'analisi elaborata sulle necessità funzionali delle nuove città all'uscita dell'ancien régime, ovvero delle città capitali. Bensì sono in gran parte derivati dal codice classico: su tutti infatti trionfano i templi, ma seguono a ruota, per vocazione classicista, gli archi di trionfo, i ginna­ si, i macelli, i fori, le terme, etc. È evidente quindi che tanto nel concetto di tipologia quanto nell'inventario dei tipi, la terza parte del Précis non appare così significativa se non in rapporto alle parti precedenti: segnatamente come mes­ saggio elaborato in base a leggi grammaticali definite, vale a dire in quanto rapporto tra langue e parole. Ritorniamo perciò alla composizione e tentiamo di definirne ulteriormen­ te il carattere grammaticale. Durand era un fautore della purezza e della semplicità nell'arte, e al pari degli architetti della generazione prece­ dente, nutriva un sincero quanto viscerale odio nei confronti dell'architettura barocca; in questa linea, giunge al punto di criticare spietatamente edifici come la basilica di S. Pietro di Michelangelo - e relativo colonnato del Bernini - ed il Panthéon di Soufllot.. Tuttavia tale critica, ormai scontata, diviene lo spunto per un discorso più complesso sull'auto­ nomia e la specificità del linguaggio architettonico: senza dubbio la grandezza, la magnificenza, la varietà e il carat­ tere che si notano negli edifici sono... altrettante cause di piacere che noi riconosciamo al loro aspetto. Ma c'è biso20 gno di correre dietro a tutto ciò? Se si dispone un edificio


in modo conveniente all'uso al quale è destinato, non avrà naturalmente un carattere, e ciò che più conta un suo pro­ prio carattere? Se le diverse parti di quest'edificio, destinate a diversi usi, sono disposte nella maniera nella quale devono essere, non differiranno necessariamente le une dalle altre? Questo edificio non avrà ciò che chiamiamo varietà? Se in­ fine questo edificio lo si dispone nel modo più economico,... più semplice, non ci apparirà quanto più grande e magnifico possibile, poiché l'occhio abbraccerà allora contemporanea­ mente il più gran numero delle sue parti? Dov'è dunque questa necessità di correre dietro a tutte queste bellezze par­ ticolari? 60• L'intero linguaggio architettonico si esaurisce in

definitiva nel solo problema compositivo i cui attributi par­ ticolari sono « semplicità » e « economia », e la cui specifica capacità è di permettere, nella fruizione dell'opera, la per­ cezione del « più gran numero delle sue parti »: vale a dire che caratteristica peculiare del linguaggio architettonico è la «continuità», anche qui nel senso linguistico del termi­ ne. Va sottolineato quindi che nelle Leçons d'architecture se da un lato si indica un processo compositivo articolato per parti - ovvero la scomposizione o riduzione ad unità di­ screte del linguaggio architettonico - dall'altro, esaltando la visione d'insieme e l'unità dell'opera, se ne ribadisce il ca­ rattere continuo. Il che, anche oltre ogni metodologia ana­ lytique, costituisce una feconda intuizione dell'analisi strut­ turale. Una conferma di ciò ci è data dalla distinzione che Du­ rand opera tra una fase di studio, o di analisi, ed una pro­ priamente di progetto, distinzione rintracciabile peraltro ad ogni livello di composizione. Così a proposito delle combi­ nazioni orizzontali e verticali degli elementi, Durand afferma: quando si compone, queste due specie di combinazioni

devono presentarsi simultaneamente allo spirito; ma quando si studia si può, anzi si deve, per rendere lo studio più facile, considerarle separatamente 61• E più in generale rispetto al processo compositivo nel suo insieme: combinare tra loro i diversi elementi, passare in seguito alle differenti parti degli edifici, e da queste parti all'insieme, questo è il cammino che

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si deve seguire allorché si vuole imparare a comporre; quan• do si compone, al contrarlo, si deve cominciare dall'insieme, continuare con le parti, e finire con I dettagli 62• L'analogia con il linguaggio è ancora una volta evidente: quando si im­ para una lingua - salvo più recenti metodologie - in ge­ nere si inizia dall'alfabeto, vale a dire dalle unità più di­ screte, si passa poi alle parole, infine alla grammatica, etc. Quando si parla una lingua, invece, è il suo carattere di con­ tinuità che si tiene unicamente presente. Infine se avessimo ancora bisogno di un'ulteriore con­ ferma dell'approccio strutturale della metodologia delle Le­ çons d'architecture, ecco una sorprendente definizione ante litteram del lavoro strutturalista: ... noi abbiamo esteso il nostro metodo d'insegnamento alla parte grafica: così, come nella parte orale noi abbiamo scomposto l'idea generale di architettura in idee speciali e quelle in idee particolari, nella parte grafica abbiamo scomposto l'idea generale di edificio In quelle delle sue parti, e queste ultime In quelle dei loro primi elementi; rimontando insieme gli elementi fino all'in· sieme degli edifici, vale a dire analizzandoli, noi siamo giunti a farci delle idee esatte, così come eravamo giunti a creare un'idea esatta dell'architettura, analizzando con questo pro­ cedimento l'idea generale 63. L'idea esatta di architettura a cui accenna Durand in quest'ultimo brano è quella sviluppata nell'introduzione del Précis e che riguarda in massima parte la teoria classica degli ordini architettonici. Come è noto tale teoria si ripro­ pone nel Settecento, diventando parte centrale del dibattito architettonico in quanto complesso veicolo di significati sui rapporti tra arte e natura, e natura e progresso. Gli elementi di questa teoria sono il mito della primitiva capanna lignea, e la concezione antropomorfica degli ordini: come è stato sinteticamente osservato, la capanna è l'immagine Intorno a cui il Settecento svolge la sua estetica architettonica ( ... ) L'arte è imitazione, e tutte le arti hanno un loro modello; questo deve essere naturale perché ogni sapere ed opera­ zione umana si forma sulla natura ( ... ) la capanna, opera 22 dell'uomo primitivo, nella sua innocenza, tiene quasi la san-



Leçons d'architecture come un trattato di grammatica gene

rale grazie proprio al principio di arbitrarietà. Tale nozione, infatti, negando ogni origine mimetica all'architettura, gli consentiva di sottrarre valore simbolico agli ordini - usia­ mo qui il termine « simbolico » nel significato indicato da F. de Saussure 72; gli permetteva cioè di piegare gli ordi­ ni, pretesa essenza dell'architettura, alle leggi grammaticali, cioè normative della composizione. In altri termini, era pos-· sibile in tal modo non istituire nessuna gerarchia di valori tra i diversi elementi o parti del linguaggio architettonico, se non nei termini delle rispettive funzioni propriamente lin­ guistiche. Inoltre, nella teoria di Durand l'arbitrarietà del segno o dell'elemento architettonico sembra essere sovradeterminata da una valutazione di natura economica dell'elemento stesso: ... gli ordini non rappresentano per niente l'essenza dell'archi­ tettura, ... il piacere che ci si attende dal loro hnpiego e dalla decorazione che ne risulta è nullo, ... infine questa stessa de­ corazione non è che una chimera, e le spese alle quali ob­ bliga una follia 73• Tra l'altro la nozione di economia non sembra peccare né per genericità, né per astrattezza meta­ storica: .•. da sempre gli uomini quando hanno costruito edi­ fici, ... hanno cercato di costruirli quanto più decorosamente possibile all'alba della civiltà, e quanto meno dispendiosa­ mente in seguito, allorché il denaro divenne il prezzo del la­ voro 74• Potremmo pensare in prima approssimazione che conside­ razioni di questo genere siano dettate da singolari preoccu­ pazioni in materia economica o di politica degli investimenti in rapporto all'impegno sociale e rivoluzionario del nostro autore. Riteniamo tuttavia, pur non ignorando certo tale im­ plicazione, che nelle Leçons d'architecture l'idea di economia giochi un ruolo tutto particolare - già E. Kaufmann rilevava tale particolarità, senza tuttavia riuscire a coglierne il signi­ ficato 75 • Si tratta a nostro avviso non già di un ruolo dicia­ mo cosl esterno all'architettura - che tenga conto cioè di una serie di variabili economiche quali costi dei materiali, 24 dell'impresa, committenze pubbliche e private, e relativi capi-



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Poissonnière. Disegni, rilievi e descrizioni si trovano in J. N. L. DURAND, Précis des leçons d'architecture données à l'Ecole Polytechnique, Paris 1823-25, voi. II, tav. 23; LEGRAND et LANDON, Descriptiorz de Paris ..., Paris 1818, pp. 219 sg., tav. 53; J. Ch. KRAFFT, Choix de maisons et édi-{ices publics de Paris et ses environs, Paris 1838, pp. 4 sg., tavv. 33-34. 9 Observations sur le nouvel établissement d'une Eco/e centrale re­ lative aux travaux publics, Paris, 29 Vendemiaire, an III. Si trova alla Bibliotlièque Nationale. 10 « Journal de l'École Polytecniquc » cab. III, Prairial an. IV, pp. XVII sg.; anche cab. VI, Thermidor an VII, p. 246; FoucRY, Histoire de l'Eco/e Polytec/111iq11e, Paris 1828, p. 126; G. PINET, Histoire de l'Ecole Polytechnique, Paris 1887, p. 19. li « Journal de l'École Polytechnique », Cahier VI, cit., p. 256. 12 H. HoNOUR, Neoclassicismo, Einaudi, Torino 1980, p. 113. Il J. N. L. DURAND, Partie graphique des cours d'architecture, Paris 1621, p. 1. 14 J. N. L. DURAND, Précis, cit., voi. I, p. 5. 1S J. N. L. DuRAND, Partie, cit., p. 3. 16 Idem. 11 Ibidem, p. 4. 1s L. HAUTECOEUR, Histoire de l'architecture classique en France, Paris 1943 sgg., voi. V, p. 279. 19 J. N. L. DURAND, Partie, cit., p. 28 sg. 20 Appendice alla Raccolta e parallelo delle fabbriche classiche..., G. Antonelli, Venezia 1859. 21 Cfr. M. RAGON, Storia dell'architettura e dell'urbanistica moderne, Editori Riuniti, Roma 1974, voi. I, p. 297. 22 Così ad esempio R. GABETTI - P. MARCONI, L'insegnamento dell'ar­ chitettura nel sistema didattico franco-italiano, in « Controspazip » n. 3, marzo 1971, p. 35. 23 « Journal de l'École Po!ytcchnique" Cahier XI, Messidor an X, p. 361 sgg. 24 « La Décade philosophique,. n. 4, 10 Brumaire, an VIII, p. 22. 2S Sull'attività di questa Société, e in generale sul pensiero scien­ tifico francese fin de sitcle, si veda il fondamentale studio di S. MORAVIA, La scienza dell'uomo nel Settecento, Laterza, Bari 1978. 26 L. F. JAUFFRET, Introduction aux Mémoires de la Société des Obser­ vateurs de l'homme, tradotta e riportata nell'Appendice al testo di S. MORAVIA, cit., pp. 268 sg. 27 S. MORAVIA, cit., p. 75. 28 « La Décade philosophique » n. 22, Floréal an IX, pp. 234 sg. 29 SEBASTIANO SERLIO, Delle liabitationi dì tutti lì gradi degli homini, s.l., s.d., p.1. 30 Ibidem. Jl Sull'idéologie e sul gruppo degli ìdéologues, cfr. S. MORAVIA, Il tramonto dell'ìlluminismo, Laterza, Bari 1968. 32 A. L. C. DESTUIT DE TRACY, Mémoire sur la Faculté de penser, in Mémoìres de l'Instìtut National des Sciences et Arts, Classe de Scìences Morales et Politiques, Paris an VI, citato in S. MORAVIA, Il tramonto, cit., p. 17, n. 14. Jl M. J. CHENIER, Tableau hìstorìque de la littérature française, in Oeuvres posthumes, Paris 1824, citato in S. MORAVIA, Il tramonto, cit., p. 19 e n. 19. 34 Su e La Décade philosophique,. si veda S. MORAVIA, /I tramonto, cit., pp. 249-261 e 583-589. 3S S. MORAVIA, Il tramonto, cit., pp. 373 sgg. J6 « La Décade philosophique" a. 4, 10 Brumaire an VIII, pp. 200-207.



Modelli interpretativi delle tendenze artistiche odierne GIUSEPPINA DAL CANTON

Premessa

Chi si accosta alla complessità dei fenomeni artistici re­ centi, sente il bisogno di sistemare una materia ancora mag­ matica e spesso in ebollizione mediante il ricorso a schemi e modelli interpretativi che permettano una valutazione pon­ derata e quanto più possibile corretta, anche se tutt'altro che definitiva, di una realtà storica molto vicina ma non per questo sfuggente a pertinentizzazioni e a giudizi. Chi si serve di 'tipologie formali' però conosce, o dovrebbe conoscere, anche i limiti degli schemi impiegati, giacché i fatti, nella loro ricchezza, quasi sempre oltrepassano le costrizioni im­ poste dalle diverse griglie interpretative e richiedono dei « correttivi » utili ad una loro comprensione più piena e me­ glio articolata. L'uso dei modelli il più delle volte sembra in­ fatti condurre a generalizzazioni stilistiche, che risolvono i fenomeni in contrapposizioni dicotomiche riduttive se non addirittura depauperanti; ma il difetto, in questi casi, non ri­ siede nelle categorie formali in se stesse, quanto in una loro assunzione restrittiva ossia nel non tener conto che ogni opera d'arte essendo non solo una struttura formale, ma un prodotto complesso e storicamente determinato, va affron­ tata da punti di vista diversi e non da un punto di vi.sta uni­ camente formalistico: se esiste un formalismo rigido e fine 28 a se stesso, esiste però anche la possibilità di un incontro



più diretta matrice ottocentesca (da William Morris all'Art Nouveau), non senza sottolineare che, d'altra parte, tutte le avanguardie storiche [ ... ] hanno avuto nel loro pacchetto di rivendicazioni il proposito di uscire dal « quadro » per in· ,radere l'ambiente e per riscattare sul piano del valore l'in• tero habitat umano 4, Barilli passa in rassegna le « forme

aperte» più vicine nel tempo. Queste sarebbero rappresen­ tate, nel secondo dopoguerra, dall'Informale, che sposta la tradizione di forme aperte dalle zone ideali e mentali in cul l'avevano per lo più tenuta futuristi e dadaisti verso zone più fisiche e sensuose e, ciò che più conta, impone ad essa una svolta di ordine quantitativo, che poi faranno propria

anche i movimenti successivi 5• Alla fine degli anni Cinquan­ ta, si porrebbe nella medesima linea il New Dada, che ere­ dita dall'Informale il criterio quantitativo, più tardi sfociante nell'happening, il quale segna anche il punto massimo di of­ fuscamento dei confini tra arte e arte, e concessioni al caso,

e di rinnovato gusto per il teatro e lo spettacolo 6• Ma le « for­ me chiuse» sono pronte a rispuntare: la Pop Art e l'Op Art riportano la farne di artificialità, di accettazione del pano­ rama urbano [ ... ] entro lidi di pulita e netta sagomatura 7•

Non è da meno la Minimal Art; senonché uno dei suoi pro­ tagonisti, Bob Morris, intorno al '67, comincia a non usare più i materiali hard, ma il feltro, che, essendo soft, cade im­ prevedibilmente, assecondando la forza di gravità: all'inter­ no di una corrente attestata sul versante del « chiuso » emer­ ge un'istanza all'apertura che porta all'Anti-form. E se que­ st'ultima ha luogo nella seconda metà degli anni Sessanta, già nella prima metà di quegli anni si opponeva alla « chiu­ sura» e alla « rigidità » della scuola di New York la Funk Art della californiana scuola del Pacifico, con le sue softnes­ ses e le sue sensuosità. Intanto però, fra i due poli della ten­ denza neoconcretista - nella declinazione ottico-cinetica e in quella minimalista - da un lato e della Funk-Art dall'al­ tro, si sviluppa in Europa l'arte povera, che, se per un verso costituisce il nuovo volto dell'« apertura» e della « mon­ danità », per altro verso sembra mediare e sintetizzare le due 30 opposte tendenze. Sulla sua scia, poi, si manifesta una se-


rie di grandiosi fenomeni di «estasi materialistica ,. •: Arte del Processo, Land Art, Comportamentismo e via dicendo. Tutti questi fenomeni hanno in comune l'elementarità, l'ap­ propriazione indiscriminata della realtà materiale che ci cir­ conda e soprattutto la smodata estensione quantitativa (an­ che in senso geografico, come nel caso della Land Art). Ma ad un certo punto la materialità si sconfigge da se stessa, scopre di non poter andare al di là di un contatto immediato e locale; per un più ampio margine d'azione occorre ritro­ vare il segno, la trascrizione simbolica; subentra l'uso di map­ pe, di piante, di tracciati topografici; dagli « earth-works ,. [ ... ] passiamo a fasi «concettuali» e pressoché ideografiche. Sicché, dopo i tripudi dell'apertura più libera e indiscrimi­ nata, riprende forse ad esercitarsi nuovamente l'attrazione del «chiuso» 9, Nel '79 10, introducendo questo ed altri suoi scritti, frutto di vent'anni di lavoro critico, Barilli ritorna sulle proposte in esso avanzate, ampliandole con l'esame di altri fenomeni che nel frattempo si sono avvicendati ed arricchendole con l'aggiunta e la specificazione di nuove categorie interpreta­ tive, non sempre sinonimiche di « aperto » e «chiuso». Com­ paiono, fra gli altri, termini contrapposti quali «freddo» e «caldo», «estetico» ed «artistico", «presenza» ed «assen­ za », «esplosione" ed « implosione», ecc., termini tutti la cui accezione è ben nota a chi conosca almeno alcuni degli scritti pubblicati da Barilli nell'ultimo quindicennio: L'azio­ ne e l'estasi (Milano, Feltrinelli, 1967), riguardante la critica letteraria, Tra presenza e assenza, (Milano, Bompiani, 1974), i saggi contenuti in Estetica e società tecnologica (a cura di R. Barilli, Bologna, il Mulino, 1976) e quelli contenuti nel volume Al di là della pittura (in L'Arte moderna, Milano, Fab­ bri, 1978). Se nell'intervento che poco più sopra abbiamo sunteggiato appare l'espressione «estasi materialistica » nel senso di una apertura al mondo, all'ambiente circostante, si registra, tanto nell'introduzione in esame quanto in contributi antecedenti, la contrapposizione di questa all'« azione» e, successivamente, la corrispondenza dell'« estasi• alla «presenza" e del-

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possibilità per le odierne avangu.ardie: «esplodere» nello spazio estetico (non più artistico) oppure, con una marcia in dentro, implosiva, «rimbalzare•, tornare sui propri passi per rieditare, secondo ingegnose regole di ars combinatoria, i « tipi » storici in altri tempi concepiti 14: tale ipotesi, riba­ dita nel '79, all'autore appare un a prospettiva proponibile anche per l'arte degli anni ottanta: Quando si Incontra un muro, o lo si sfonda, oppure si accetta di rimbalzare indie­ tro. Se si vuole una formJia, è questa l'alternativa tra esplo­ sione e implosione: un'alternativa probabile per gli anni '80 15. Tornando all'introduzione al vo i. I di Informale Oggetto Comportamento, vi si legge, ad integrazione di quanto espo­ sto nel precitato saggio del '69, che un'altra coppia dicoto­ mica emergente a proposito di fenomeni come il rigoroso e asettico Minimalismo da un lato e l'irregolare e pittoresco fenomeno Funk dall'altro, è il binomio ordine-disordine 16, poi superato dalla fase dell'Arte povera, che ristabilisce, pur con le debite differenze, una nuova situazione informale 17 • C'è una diversità, però, fra l'Informale storico e la situa­ zione artistica della fine degli anni sessanta: se infatti già nell'Informale storico convivevano una tendenza al «caldo» ed una tendenza al «freddo» 18, nel senso attribuito ai due termini da MacLuhan 19 , le correnti più recenti assumono una piega risolutamente«fredda». A questo punto va aperta una parentesi per ricordare come, interpretando e sviluppando il pensiero di McLuhan, a più riprese 20 Barilli abbia eviden­ ziato le correlazioni tra cultura, arte e tecnologia: alla fase «gutemberghiana-meccanica» corrispondono le « culture cal­ de», alla fase dell'energia elettrica corrispondono, invece, le « culture fredde ». Se la fase «gutemberghiana-meccanica» è caratterizzata dal predominio della stampa e quindi del mo­ .dello della pagina stampata, dall'angolo retto e dalla « gab­ bia tipografica ,.-che conducono al « meccanomorfismo», la fase dell'energia elettrica e dell'elettronica e delle relative derivazioni (telegrafo, telefono, radio, nastro elettromagne­ tico, ecc.) è caratterizzata, invece, dal coinvolgimento globale dello spazio tridimensionale; ne· consegue, sul piano artistico, che alle «età calde » corrispondono forme artistiche ten- 3.3


denti a privilegiare l'organo della vista e quindi una frui­ zione dell'opera passiva e contemplativa, mentre alle « età fredde» corrispondono forme artistiche che favoriscono la dimensione partecipativa e il coinvolgimento intersensoriale. Ecco perciò che tutta la storia delle avanguardie può essere riletta secondo una linea di approssimazione, progressiva e diversificata, al polo del «freddo», un'approssimazione che tocca un punto decisamente saliente con l'informale, in cui la nozione tradizionale di pittura appare sconfitta dall'azio­ ne e dal coinvolgimento concreto e globale del corpo dell'ar­ tista all'interno del 'quadro-arena '. Ma nell'Informale uno spazio limitato e limitante, il quadro appunto, rimane ad ostacolare, con la propria presenza, un pieno e completo rag­ giungimento della « meta-fredda» di McLuhan, mentre inve­ ce, come più sopra si diceva, il «freddo » si impone netta­ mente nelle correnti della seconda metà degli anni sessanta. Queste ultime fanno registrare una più decisa intersensoria­ lità, la sconfitta della bidimensionalità e della rigidità gutem­ berghiane da parte di una spazialità libera e avvolgente ti­ pica dell'era della galassia elettronica 21, la partecipazione più completa del pubblico, che quasi non si differenzia più da­ gli artisti, il prevalere dell'anoggettualità, generalmente cor­ rispondente alla volontà di eliminare la mercificazione e il « possesso privato ». A tutto ciò si accompagna il primato del1' «estetico», legato al piano mentale dei «concetti» e a quello dei «comportamenti», sull'«artistico », legato, inve­ ce, per la sua stessa etimologia, a un momento di fabbrica­ zione di un oggetto obbligatoriamente provvisto di consisten­ za plastica, e quindi esposto a una fruizione in termini pre­ valentemente visivi 22• Ora, «estetico» ed «artistico» costitui­ scono già, nella letteratura artistica sulle avanguardie stori­ che 23, una coppia dicotomica largamente usata, nella quale all'«estetico» si accompagna il concetto di «morte dell'ar­ te», di quell'arte il cui statuto specifico è andato configuran­ dosi attraverso i secoli passati 24 ; ma nell' «estetico» più vi­ cino a noi si potenzia illimitatamente il carattere distruttivo dell'avanguardia grazie allo sconfinamento totale di ogni set34 tore artistico attuato dalle performances ed affini.



anche in architettura, con i revivalismi e le rivisitazioni di certo ' postmodernismo ' e nella letteratura, con i romanzi costruiti per mezzo di frasi fatte e di testi già scritti). Infine, proprio in questi giorni, intervenendo al dibattito promosso da«Alfabeta» su«Postmoderno/Moderno», Baril­ li ribadisce il concetto dell'odierna convivenza dei due atteg­ giamenti suindicati grazie proprio alla nuova tecnologia, ca­ pace di conciliare i due corni del problema: l'andare avanti e il ritrovare doti «antiche ,. più vivibili per l'uomo ( quelle che per McLuhan sono le doti del raccoglitore - ora non più di frutti e di altri beni naturali, s'intende, ma di informazioni e di dati memorizzati grazie al « software•, all'elettronica-, in posizione di vantaggio rispetto al piantatore costretto ad attività fisse). Infatti oggi forse sono inverificabili i due estre­ mi al limite, della esplosione o dell'implosione allo stato pu­ ro: né totale dissoluzione energetica nell'etere, né citazioni­ smo letterale. Gli artisti si situano nello spazio di mezzo (De­ leuze e Guattari direbbero nel «plateau»), ponendo in equi­ librata tensione reciproca le due spinte di segno opposto 31• 2. «Analitico »-« non analitico» Altre categorie interpretative dei fenomeni artistici con­ temporanei ci vengono fornite da Filiberto Menna. Premesso che, secondo Menna, da un secolo a questa par­ te l'arte è contraddistinta dall'«analiticità» cioè dalla ten­ denza all'autoriflessione, all'indagine sul proprio statuto lin­ guistico e sui propri procedimenti costitutivi 32, è critica­ mente pertinente esaminare le particolari maniere e i diversi gradi di realizzazione dell'« analiticità» da parte delle cor­ renti artistiche odierne. Dagli scritti di Menna si possono in­ fatti ricavare tre diversi punti di vista dai quali considerare l'« analiticità»: come un modello interpretativo dell'arte mo­ derna, certo non staticamente ripetitivo, ma soggetto a mo­ dalità di coniugazione sempre differenti;· come qualcosa di più e cioè come un vero e proprio modello culturale, in quan­ to si tratta di un atteggiamento artistico corrispondente alla 36 rottura epistemologica verificatasi nelle scienze umane a par-


tire dalle teorie psicoanalitiche di Freud e dagli studi lingui­ stici di de Saussure '"; infine, negli ultimi interventi, quasi come una discriminante assiologica, il cui polo opposto, per­ tanto, sarebbe dato dalla «non analiticità» e sulla cui base sarebbe possibile valutare la serietà dell'impegno, la coeren­ za e quindi la validità delle operazioni artistiche più vicine a noi. Se infatti la « linea analitica dell'arte moderna», che si snoda lungo i due binari opposti e complementari dell'ico­ nismo e dell'anicomismo arriva alle sue conseguenze più radi­ cali nell'Arte Concettuale >1 e raggiunge traguardi considere­ voli nella Nuova Pittura, nella Nuova Fotografia, nella Nuova Scrittura, nelle diverse investigazioni linguistiche sui nuovi media 35 e nelle nuove fonne dl allegorismo alla Gino De Do­ minicis e alla Vettor Pisani 36 , in alcune ricerche recenti, spe­ cie appartenenti alla fascia della cosiddetta «transavanguar­ dia», l'« analiticità» sembra invece scarseggiare determinan­ do un'ingenuità del prodotto artistico tutt'altro che convin­ cente. Vediamo di chiarire meglio quanto sopra affermato. Constatato che, a partire dalla seconda metà degli anni sessanta e fino· alle soglie degli anni settanta, si assiste ad una biforcazione dell'operare artistico, da un lato nella direzione della « dispersione » o « espansione» o « sconfinamento» os­ sia del vitale», tipico dell'Arte di Comportamento, dall'altro lato nella direzione della «concentrazione» ossia del « men­ tale», tipico dell'Arte Concettuale 37, Menna ritiene raggiunta la più rigorosa «analiticità » proprio da quest'ultima. Le pun­ te estreme di tale ricerca sarebbero rappresentate dall'arte come proposlzlone linguistica 38 di Kosuth, dai lavori del gruppo Art-Language fino ai primi anni settanta e dell'arte aspirante al modello dei linguaggi scientifici 39 di Venet e altri, quindi dall'insieme di quelle esperienze che Barilli suol indicare come Concettuale «tautologico» o «puro » o «ana­ litico », spesso orientato verso il « modello dell'assenza » e contrapponibile, pertanto, al Concettuale « mondano ,. o « mi­ stico», ispirato, invece al «modello della presenza» 40La meta dell'« analiticità» ra dicale conseguita dal Concet­ tualismo «puro » o « tautologico ,. non rappresenta però, co- 37


me si potrebbe credere, un vertice in una scala di valori con­ seguiti e conseguibili dall'arte moderna; anzi, Menna eviden­ zia anche i limiti delle ricerche concettuali di tipo « tauto­ logico » sia per le difficoltà costitutive di formalizzazione com­ pleta da parte dei fatti artistici sia perché le investigazioni concettuali di questo genere non si sono-rese conto fino in fondo che la ragione analitica è solo un momento, anche se un momento necessario, della ragione dialettica 41 e che « ragio­ ne analitica » e « ragione dialettica » devono invece necessa­ riamente convivere perché l'arte possa sussistere e conti!}ua­ re ad agire nella realtà contemporanea con una precisa co­ scienza critica delle contraddizioni di quest'ultima. È una necessità questa, di cui, ad un certo momento, si sono resi conto anche gli stessi artisti, tanto che nelle declinazioni più recenti dell'Arte Concettuale (il lavoro Materialismo dialetti­ co di Art-Language, del '76, Praxis I di Kosuth, certe opera­ zioni di Burgin, di Agnetti o di Matarrese), pur non venendo meno la componente autoriflessiva [ ... ], ciò che muta è l'in­ tenzione dell'artista, la direzione della sua ricerca, che, ora, tende a individuare i limiti dell'arte intesa come una pra­ tica linguistica fine a se stessa, tentando invece di confron­ tarsi e di porsi in relazione dialettica con altre pratiche e, in ultima istanza, con la serie dei fatti sociali 42• Si diceva dunque che l'Arte Concettuale non rappresenta un vertice rispetto ad una scala di valori; eppure essa è uno dei momenti più significativi del processo di « smaterializza­ zione dell'arte » 43 e della ricerca « analitica» sull'arte, in se­ guito alla quale, e precisamente a partire dai primi anni set­ tanta, sembra affermarsi con maggiore determinatezza non più la doppia polarità dell'« estroversione» e della « concen­ trazione», ma il momento critico di riflessione sull'arte e sul linguaggio proprio alle diverse arti 44 • Certo vi sono parecchie differenze tra l'Arte Concettuale e le ricerche artistiche degli anni settanta. Queste ultime infatti sono contraddistinte da un atteggiamento più generale di ordine analitico e autori­ flessivo per cui l'operazione artistica si presenta in un certo senso divaricata in due momenti, che però coesistono e si 38 sovrappongono l'un l'altro: il momento linguistico, in cui



della comunicazione, ossia al dl qua del significati conven­ zionali veicolati dai segni 4s_ :e. chiaro, a questo punto, che, riacquistando la «materialità», la Nuova Scrittura ricupera anche la soggettività; e la questione del soggetto è, del resto, un termine di riferimento fondamentale delle esperienze ar­ :tistlche recenti: la Narrative Art, ad esempio, che opera sul doppio livello verbale (il testo) e visivo (l'immagine fotogra­ fica non manipolata), mostra chiaramente la volontà di ri­ cuperare sotto forma di diario o di memoria l'emittente del messaggio 50• Con questa linea, del ricupero della soggettività, siamo pe­ rò giunti ad un'altra importante tappa dell'arte contempora­ nea: si tratta delle esperienze artistiche più vicine, che, co­ me si diceva, possono essere raggruppate sotto l'etichetta di « transavanguardia » e che l'ultima Biennale veneziana ha pre­ sentato con il titolo di « Aperto '80 » 51• Per Achille Bonito Oliva la « transavanguardia » è possi­ bilità di transitare liberamente dentro tutti i territori senza alcuna preclusione con rimandi aperti a tutte le direzioni 52; è attraversamento della nozione sperimentale dell'avanguar­ dia 53, è assunzione del nomadismo di un immaginario senza soste o punti di ancoraggio e di 1:1ferimento 54, insomma li­ bero transito da uno stile all'altro senza mai assumerne uno di fisso e definitivo. In tale prospettiva avviene la riscoperta del piacere della manualità e, con questa, la ripresa del pia­ cere di una soggettività che si afferma proprio attraverso il suo frantumarsi, il suo affermarsi attraverso l'accidentalità dell'immagine che [ ... ] si pone sempre come visione preca­ ria 55; e della soggettività le opere della « transavanguardia » contengono infatti gli elementi strutturali che la caratteriz­ zano: la mutevolezza, la provvisorietà, la contraddizione e l'amore per il particolare 56• Ora, Menna non parte da pregiudizi nei confronti di que­ ste nuove esperienze che utilizzano i più svariati strumenti linguistici e che ritornano all'espressività individuale della pittura, al piacere della materia e del colori, all'abbandono narrativo sul filo di libere associazioni di immagini 57: non 40 sembra prevenuto verso gli strumenti linguistici impiegati



limiti della serie di oggetti che intende analizzare 63 ( « fun­ zione teorica»), non può non passare a scelte fondate su di un'Ipotesi di futuro che riguarda, In prima istanza, li futuro possibile ( e ritenuto auspicabile) dell'arte a partire da un de­ terminato contesto storico, ma che coinvolge li senso e li va­ lore che l'arte può avere nella configurazione di un futuro riguardante una condizione più generale di esistenza 64• 3. « Diastematico »-« adiastematico »

« Diastematicità » e « adiastematicità » sono le due no­ zioni contrapposte (quindi utilizzabili come poli di una cop­ pia dicotomica), che legano insieme i vari argomenti trattati da Gillo Dorfles nel suo ultimo libro, L'intervallo perduto (Torino, Einaudi, 1980) 65• Quello che in gre_co si definisce il didstema è qualcosa che separa due eventi, due oggetti, due note ( nel caso della mu­ sica) 66 ed è la presenza o l'assenza di tale elemento interval­ lare a determinare buona parte del bene o del male, non solo della creazione artistica, ma addirittura di numerose condi­ zioni di esistenza della nostra epoca 67• Del resto, già in un intervento del '78 68 l'autore aveva af­ fermato: Nell'arte di tutti i tempi si è data la presenza d'un fattore isolante, di pausa esistentiva, di alone semantico, di fase intervallare tra spettatore e opera d'arte, tra pubblico e creazione. Questo fattore « isolante » o « intervallare » è stato, negli ultimi tempi, indubbiamente scalzato, frantumato, messo in non cale [ ••• ] Occorre dunque [ ...] ottenere la re­ Introduzione della « pausa» - sonora, plastica, ambientale ( a seconda dei casi) - per poter riottenere una equa possi­ bilità valutativa e quindi un ricupero del nostro autentico giudizio assiologico che non sia più basato soltanto sopra un gusto estemporaneo o sopra un mero fattore di moda 70• Da quanto sopra riferito, appare chiaro che in quell'in­ tervento la « diastematicità» poteva esser considerata non so­ lo come un modello interpretativo inerente all'operazione cri­ tica e finalizzabile pertanto al giudizio assiologico, ma come 42 un fattore più o meno presente all'interno dell'opera stessa: flJ



tendenze adiastematiche sono entrambe accettabili - si af­ fretta a precisare l'autore-: infatti le une e le altre non sono affatto valutabili sulla base di questioni di « valore » [nel senso tradizionale di questo termine], giacché potremmo fa­ cilmente riconoscere la presenza di maggiore perfezione e compiutezza in alcune tendenze artistiche in fase di esauri­ mento e di declino 75• Il ' parametro comune ' per discrimi­ �are le due tendenze è, appunto, un altro ed è precisamente, come sopra si diceva, la capacità di includere o meno l'« ele­ mento intervallare», con il conseguente recupero della « crea­ tività » artistica. Ne deriva una bipartizione del corso dell'ar­ te contemporanea in una fase catabolica, di rarefazione, di stanchezza di certe forme artistiche 76, la quale non comporta però, come si sarebbe indotti a credere, una connotazione ne­ gativa 77, e in una fase anabolica, di recupero, di ripresa di spunti non ancora usurati 78• Nella prima fase o categoria pos­ sono essere inclusi, fra gli altri, l'arte astratta, l'Informale, i vari filoni dell'arte concettuale, la Cibernetic Art e altre forme artistiche che si servono di mezzi meccanici e pro­ grammati; nella seconda, invece, possono essere indicati al­ cuni aspetti della Body Art e della Land Art e altre forme ar­ tistiche che hanno saputo svincolarsi da una tradizione « avanguardista» ormai decrepita 79• Si potrà poi parlare di « anabolismo » da parte delle varie esperienze artistiche solo a patto che queste riescano a raggiungere tre mete, indispen­ sabili alla « credibilità dell'opera » 80: funzionalità, semanti­ cità, assiologicità. Queste ultime non vanno ovviamente in­ tese in senso restaurativo e retrodatativo, anche se il tono generale del discorso di Dorfles potrebbe dar luogo a qualche equivoco: infatti, per funzionalità dell'arte l'autore intende una nuova funzionalità, molto diversa dall'abituale e precisa­ mente una funzionalità di carattere psicologico o addirittura - se vogliamo - terapeutico ( come si verifica in parecchi tentativi di Body Art ed esperienze affini o nel teatro contem­ poraneo, in cui avvengono ricuperi magici e rituali e mutua­ zioni di posizioni corporee o respiratorie dalle pratiche estre­ morientali zen o yoga) 81; per assiologlcltà o quoziente assio44 logico intende non già il valore oggi troppo spesso legato a


ragioni d'ordine prevalentemente mercantile si, bensì un va­ lore intrinseco, non dato una volta per tutte, ma variabile, come dimostra l'evolversi della storia dell'arte e delle civiltà (in passato, del resto, il valore intrinseco dell'arte ha potuto essere a volte magico, a volte terapeutico, a volte etico, a volte politico, ecc.); infine per semanticità intende una signi­ ficazione artistica di tipo nuovo, in base alla quale, di con­ tro al parere di quegli studiosi che ritengono ormai irrever­ sibilmente avvenuta la filosofizzazione dell'arte e la perdita di qualsiasi semanticità della stessa, auspica che avvenga il recupero di quei valori magici, mitici, persino terapeutici che, non costituendo una significazione nel senso più palese e corrente, sono stati ignorati per troppo tempo mentre meri­ tano di riprendere il loro giusto ruolo 83• Dopo le contamina­ zioni reciproche dei diversi linguaggi artistici 84 e il confluire di questi in un territorio di libera simbiosi, senza più demar­ cazioni tra gli specifici ambiti e con il continuo rischio di non riuscir più nemmeno a separare momenti di arte da momenti di esistenza, ora, grazie al fattore intervallare, Dorfles vede dunque ristabilita la distanza tra le opere e la vita quotidia­ na e vede altresì profilarsi, nei tempi più recenti e in quelli a venire, grazie al riacquisto di quei tre « valori » di cui si è detto, la possibilità di un rientro nei binari assegnati all'ar­ te. È uno spostamento verso quella che Barilli chiamerebbe la fase dell'« implosione» dopo le effervescenze e le dilata­ zioni iperboliche della fase dell'« esplosione» 15, è il ritorno ad una fase, grosso modo, « chiusa», anche se non si tratta di un « ritorno» sempre uguale a se stesso (e del resto ab­ biamo visto che da ciascuno· è ben acquisito il concetto di una storia non banalmente e semplicisticamente ripetitiva). È chiaro però a questo punto che, come ha notato Ba­ rilli, essendo per lo più le varie coppie di èoncetti e le varie tipologie formali di cui si serve la critica, dei semplici schemi di comodo, resta il doveroso impegno di studiare quali fattori materiali, sociali, culturali, ecc. di volta in volta rendano unica e inconfondibile una determinata fase « aperta » o « chiusa» rispetto alle altre analoghe che l'hanno preceduta 86• In­ fatti, se è vero che per la sua peculiarità strutturale e mor- 45


fologica, l'opera d'arte è costitutivamente esposta alle oscil­ lazioni formali, ai cambiamenti nella configurazione dei tratti, è però anche vero che non si rompe, non si fa oscillare il pen­ dolo soltanto per ragioni di pelle, di morfologia; al contrarlo, se le oscillazioni pendolari si presentano con una loro piena legittimità, vuol dire che risultano collegate a mutamenti materiali, sociali, culturali di largo raggio. In pratica, lo sche­ ma formale delle coppie si compone, come in un parallelo­ gramma delle forze, con le spinte esterne, dando luogo a una risultante di volta in volta unica e inconfondibile�.

1 R. BARILLI, L'« aperto » e il « chiuso » nelle recenti vicende arti• stiche, relazione presentata al Colloquio Internazionale di Estetica di· retto da L. Anceschi, San Marino, settembre 1969, ora in R. B.11uLLI, Informale Oggetto Comportamento, Milano, Feltrinelli, 1979, voi. Il, pp. 55-63. 2 Si scopre ben presto ... come l'arte non sia ritornata ad un punto dove già era stata una volta, e che soltanto l'Immagine di un movimento a spirale potrebbe meglio rispecchiare il vero stato delle cose (H. WOLFFLIN, Concetti fondamentali della storia dell'arte, La formai.ione dello stile nell'arte moderna, Milano, Longanesi, 1953, p. 462; titolo ori· ginale: Kunstgeschichtliclte Grundbegriffe. Das Problem der Stilent• wicklung in der neueren Kunst, Miinchen, 1915. 3 R. BARILLI, Op. cit., voi. Il, p. 57. 4 Ivi, p. 58. s lvi, p. 59. 6 Ibidem. 1 Ivi, p. 60. 8 lvi, p. 62. 9 I vi, pp. 62-63. 10 R. BARILLI, Op. cit., voi. I, pp. 5-21. 11 R. BARILLI, Tra presenza e assenza. Due modelli culturali in con• flitto, Milano, Bompiani, 1974, p. 5. 12 Ivi, p. 6. U lvi, p. 5.

R. BARILLI, Due possibilità per l'avanguardia: esplosione o im­ plosione?, in Fine delle avanguardie?, numero monografico de « I pro­ blemi di Ulisse•• anno XXXII, voi. XIV, fase. LXXXV, maggio 1978, p. 25. 15 R. BARILLI, Op. cit., 1979, voi. Il, p. 6. 16 R. BARILLI, Op. cii., 1979, voi. I, p. 15. 17 Ivi, p. 16. 1, Per questa interpretazione dell'Informale cfr. R. BARILLI, Dal­ l'Informale caldo all'Informale freddo, in AA.VV., Al di là della pittura, Milano, Fabbri, 1978, pp. 1-32. 14

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19 Per il significato dei due termini si vedano le opere p1u impor­ tanti di McLuhan: The Gwemberg Galaxy, Toronto, Un. Press, 1962 e Understanding Media, New York, McGraw-Hill, 1962 ( tr. it., Gli stru­ menti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1967). 20 Si vedano R. BARILLI, L'estetica tecnologica di McLuhan, in AA.VV., Estetica e società tecnologica, a cura di R. Barilli, Bologna, Il Mulino, pp. 15-50, già apparso sul « Mulino •, n. 266, marzo-aprile 1973, poi ri­ preso anche in Tra presenza e assenza, cit., nonché tutti i testi citati. nelle note precedenti. 21 R. BARILLI, Op. cii., 1979, voi. I, p. 16. 22 Ivi, p. 17. 23 Cfr. ad es., G. C. ARG.\N, L'artistico e l'estetico, conferenza tenuta alla Gal!. Naz. d'Arte Moderna di Roma il 3/12/1972, ora in « Arte e società •• n. 6, 1973. 24 A questo riguardo si vedano i diversi interventi contenuti in AA.VV., Fine delle avanguardie?, cit. 25 [ ••• ] la coppia del «caldo• e del e freddo• non [è] esattamente sovrapponiblle al precedente storico del e chiuso ,.... aperto • (R. BA­ RJLLI, Op. cit., 1979, voi. I, p. 10). 26 Ivi, p. 16.

li Ibidem.

23 Ivi, pp. 20-21. 29 Ivi, p. 18. JO Ibidem. 31 R. BARILLI, Boccioni e De Chirico, in « Alfabeta •• n. 24, maggio 1981, p. 7. 32 Si veda in particolare F. MENNA, La linea analitica dell'arte moderna. Le figure e le icone, Torino, Einaudi, 1975, passim. ll Ivi, pp. 8-9• .ll Ivi, pp. S..8. l5 Ibidem. 36 F. MENNA, La Biennale di Venezia. Gli anni settanta: questi (mi)sconosciuti, in « Op. cit. », n. 49, settembre 1980, p. 27. " F. MENNA, Op. cit., 1975, pp. 3-4, e ID., L'arte concettuale, in AA.VV., Al di là della pittura, cit., p. 129. JS F. MENNA, L'arte concettuale, cit., p. 133. 39 Ivi, p. 144. 40 Per queste classificazioni di Barilli si vedano i diversi saggi citati in precedenza e in particolare Tra presenza e assenza, pp. 197-230 e L'arte concettuale mondana, in AA.VV., Al di là della pittura, cit., pp. 97-128. 41 F. MENNA, Op. cit., 1975, p. 108. 42 F. MENNA, L'arte concettuale, in AA.VV., Al di là della pittura, cit., p. 160. 43 Per il concetto di « smaterializzazione dell'arte• si veda L. LIPPARD • J. CHANDLER, The Dematherialisation of Art, in e Art International •• febbraio 1968. 44 F. MENNA, Fotografia Analitica, Narrative Art, Nuova· Scrittura, in AA.VV., Al di là della pittura, cit., p. 193. 45 F. MENNA, La Biennale di Venezia, cit., p. 24 (per lo stesso con­ cetto si veda anche Fotografia Analitica, Narrative Art, Nuova Scrit­ tura, cit., p. 193). 46 F. MENNA, La nuova Pittura, in AA.VV., Al di là della pittura, cit., p. 162.

41 Ibidem.

48 F. MENNA, Fotografia Analitica, Narrative Art, Nuova Scrittura, cit., p. 224.

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Ibidem. so Ibidem.

s1 Naturalmente, in questo caso, il termine non era usato nel senso di Barilli che, almeno in parte, lo fa corrispondere ad « esplosivo • (ché, anzi, in questa esposizione prevaleva semmai un atteggiamento e implosivo• di libero recupero degli stili dell'arte precedente). ma nel senso più comune e più generico di e disponibile alle più svariate esperienze », in quanto la mostra si proponeva di essere libera da ideo­ logie, impegnata ad aprire e sottrarre alla critica tutto e rimescolare tutto (H. SZEEMANN, Aperto '80, in Catalogo generale de La Biennale di Venezia - Settore Arti Visive, Venezia, Ed. e La Biennale di Venezia•• 1980, p. 45). 52 A. BONITO OLIVA, Tlze ltalian Trans-avantgarde/ La Transavanguardia italiana, Milano, Giancarlo Politi Editore, 1980, p. 52. S3 Ivi, p. 53. 54 Ivi, p. 57. ss Ivi, p. 56. 56 Ivi, p. 58. 57 F. MENNA, La Biennale di Venezia, cit., p. 28. 58 Ibidem. 59 Ivi, pp. ZS-29. 60 F. MENNA, Critica della critica, Milano, Feltrinelli, 1980, p. 62. 61 Ivi, p. 80. 62 Ibidem. 63 Ivi, p. 78. 61 Ivi, p. 80. 65 Segnaliamo, tra le recensioni di questo libro, quella di R. BA­ RILI.I, Non rompete il tempo, ne « L'Espresso», n. 45, anno XXVI, 9 novembre 1980, pp. 116-117; per un resoconto dei saggi contenuti nel volume si veda anche la nota di M. R. MIONI in e Op. cit.•• n. 50, gen­ naio 1981, pp. 66-69. 66 G. DORFLES, L'intervallo perduto, Torino, Einaudi, 1980, p. XV. 61 Ibidem. 68 G. DORFLES, I:. ancora possibile un giudizio assiologico?, relazione tenuta al convegno e Critica O•• svoltosi a Montecatini nel maggio 1978, ed ora pubblicata in AA.VV., Teoria e pratiche della critica d'arte, a cura di E. Mucci e P. L. Tazzi, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 11-17. ffJ Ivi, p. 16. 70 Ivi, p. 17. 71 G. DoRFLES, Op. cit., 1980, p. XV. . n Ivi, p. 15. 73 Ivi, p. 16. 74 Ivi, p. 30. 7S Ivi, pp. 173-174. 76 Ivi, p. 173. TI Ivi, p. 174. 11 Ivi, p. 173. 19 Ibidem.

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ao Ivi, p. 174. 81 Ivi, p. 175. 12 Ibidem. 83 Ivi, p. 177. � Ivi, p. 172. ss Per quest'osservazione si veda R. BARILI.I, Non rompete il tempo, cit., p. 116. 86 R. BARIW, Informale Oggetto Comportamento, cit., voi. I, p. 10. r7 Ibidem.


Architettura come testo· MARCO FRASCARI

L'uomo che viaggia e non conosce ancora la città che lo aspetta lungo la strada, si domanda come sarà la reggia, la caserma, il mulino, il tea1 ro, il bazar. In ogni città dell'impero ogni edificio è differente e disposto in un diverso ordine: ma appena il forestiero arriva alla città sconosciuta e getta lo sguardo in mezzo a quella pigna di pagode e abbaini e fienili, seguendo il ghirigoro di canali orti immondezzai, subito distingue quali sono i palazzi dei principi, quali i templi dei grandi sacerdoti, la locanda, la prigione, la su­ burra. Così - dice qualcuno - si conferma l'ipo­ tesi che ogni uomo porta nella mente una città fatta soltanto di differenze, zma città senza figure e senza forma, e le città particolari la riempiono. ITALO CALVINO, Le città invisibili

Le spiegazioni più ricorrenti dell'architettura generano tipologie della sua produzione che dipendono da regole im­ poste da limiti funzionali, sociali, strutturali o iconografici. Una spiegazione basata sul concetto di architettura come testo può generare una tipologia che soddisfa molti dei puntf richiesti dalle altre tipologe e allo stesso tempo ammette l'uso dei termini di spiegazione come termini di produzione. Scopo di questo scritto è un tentativo di spiegazione della produzione architettonica, basato sul concetto che ogni pro­ dotto architettonico è un testo. Un testo architettonico esi­ ste in funzione del tipo e del modello, costituisce cioè il ri­ sultato di una regola - il carattere generato all'interno di un contesto culturale - che assegna ad un elemento dell'in­ sieme dei tipi un elemento dell'insieme dei modelli. Esami* Una versione ridotta di questo scritto è stata presentata al Se­ condo Congresso della I.A.S.S. , International Association for Semiotic Studies, tenutosi a Vienna nel giugno 1979.

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neremo qui i concetti di 'tipo', 'modello', e 'carattere', con riferimento ad alcune importanti ipotesi teoriche maturate, in epoche diverse, nella cultura architettonica; tenteremo, al­ tresl, di delineare una correlazione con concetti specifici del campo semiotico e di altre linee portanti della cultura con­ temporanea. I termini tipo, modello e carattere sono estremamente controversi nelle loro definizioni, sia pure limitandosi al cam­ po dell'architettura. In molti casi i tre termini sono stati in­ terscambiati nell'uso. Nel suo Dictionnaire, Quatremère de Quincy spiega il termine /modello/ secondo il suo uso più comune, dal quale poi egli ricava la sua definizione del con­ cetto. Un modello architettonico è la rappresentazione tridi­ mensionale di un futuro edificio; esso può andare da dimen­ sioni ridotte a dimensioni reali, può rappresentare un in­ tero edificio o una parte di esso, può essere fatto di mate­ riali effimeri o di materiali durevoli. La funzione basilare di questo tipo di modello è quella di verificare visivamente l'aspetto, e a volte anche le proprietà strutturali, di un fu­ turo prodotto architettonico. Quatremère, nella sua sequen­ za di esempi, dà la preferenza ai modelli di dimensioni reali, come quello dell'Arco di Trionfo di Blondel a Parigi. In quel­ la occasione un modello di mattoni, in scala al vero, fu eretto sul luogo al fine di mostrare l'aspetto del futuro edi­ ficio, da costruire in pietra. Questi esempi di modelli di di­ mensioni reali introducono al concetto di Quatremère de Quincy, discusso nella sua interezza nell'ambito della defini­ zione del termine /tipo/. Il 'modello' è un oggetto completo destinato ad una rassomiglianza formale, ma non è un dop­ pio. Inoltre, riguardo al termine /carattere/, Quatremère af­ ferma che una copia, un doppio, è al di fuori del « regno della vera imitazione» e quindi al di fuori del dominio del­ l'invenzione. _ La definizione del concetto di /tipo/ha inizio con un esame filologico del termine. Poi, dopo una breve esposizione sugli usi della parola in franc_ese, Quatremère comincia la discus­ sione della sua teoria relativa ai concetti di tipo e modello.

SO La parola 'tipo' non presenta tanto l'immagine di una cosa



'·

le regole agli altri due. Quatremère ne ricorda la denomina­ zione Vitruviana - ichnografia - e fa notare che in greco ichnos significa l'impronta del piede; egli rileva inoltre la di­ stinzione di significato tra una pianta generata dall'applica­ zione della geometria descrittiva all'architettura, e il dise­ gnare una pianta intesa come atto di produzione architet­ tonica. La triade di Quatremère - tipo, modello e carattere presenta una sorprendente e spiccata somiglianza con una delle triadi di classificazione dei segni - type, token e tone - individuate da C. S. Peirce. Un type è, secondo Peir­ ce, una legge che è segno mentre un token è un esempio di type e un tone è un indefinito carattere significante. Come il tipo di Quatremère, anche il tipo di Peirce è una semplice qualità in un dato esistente o in una legge generale. Il pro­ blema per cui uno stesso type dà luogo a tokens che non hanno alcw1a rassomiglianza tra di loro, viene risolto da Peirce in un'analisi genetica che tiene conto della posizione occupata dal singolo token in relazione ad altri tokens pro­ dotti nella stessa occasione. Un tone, che a volte Peirce chia­ ma una tinge o un mark, è un segno della natura e dell'ap­ parenza. La differenza tra il type e il tone è che il type ha un'identità definita, mentre il tone (il carattere per Quatre­ mère) non ha identità e possiede soltanto l'apparenza. Al posto dell'identità ha una grande similarità. La relazione tra type e token è importante per compren­ dere il modo di produzione dell'architettura medioevale. Nel­ le cronache medioevali riguardanti le attività edilizie dell'epo­ ca si dice spesso che un edificio è stato costruito come una replica di un altro edificio. Al giorno d'oggi i lettori di quelle cronache che vogliano paragonare gli edifici in questione possono chiedersi che tipo di somiglianza tra di essi potesse essere stata vista dagli scrittori e dai loro lettori contempo­ ranei. L'esempio più sorprendente è rappresentato dalla se­ rie di repliche del Santo Sepolcro. A partire dal quinto se­ colo e fino al diciassettesimo, innumerevoli costruzioni sono 52 state erette come repliche del suddetto venerato edificio. In



qualsiasi cosa avente quattro lati, indipendentemente dall� relazione dimensionale tra loro. È il numero quattro, la leg­ ge che determina la forma quadrata, non la sua composizio­ ne. Nel caso del Santo Sepolcro, il rilievo dell'edificio origi­ nale viene scomposto in singoli elementi e la replica li ricom­ pone in una nuova guisa. L'architetto di una replica medioe­ vale non mirava a costruire il suo prodotto tale e quale al­ l'originale; egli intendeva riprodurlo tipice o figuraliter. Que­ sti due termini vengono usati, infatti, in una cronaca del do­ dicesimo secolo che descrive S. Stefano a Bologna come un insieme di edifici che replica la Città Santa. Il gruppo delle chiese costituenti il complesso riproduce la struttura urbana di Gerusalemme tra il settimo e il dodicesimo secolo. Il te­ sto originale - Gerusalemme - era stato esaminato dall'ar­ chitetto, e il risultato non era una vilis figuratio, ma l'indivi­ duazione del tipo incorporato nel testo. Come dire l'indivi­ duazione delle leggi, o della legge, che mette in relazione gli elementi-base architettonici. Le misure giocano un ruolo importante nel processo. I compilatori delle cronache dicono che S. Petronio, il mitico architetto del complesso, lo pro­ gettò sulla base delle misurazioni da lui stesso effettuate durante il pellegrinaggio in Terra Santa. Nel progettare, S. Pe­ tronio non si limitò alla procedura basata sul tipo, tipice, ma lavorò anche coi modelli, figuraliter, e quando elaborò la parte del complesso chiamata Golgotha, installò una croce dalle « giuste dimensioni e strutture». I processi di produzione architettonica esaminati sin qui indicano l'architettura come manifestazione fisica di una cul­ tura. Secondo Vitruvio, all;inizio del secondo libro del suo trattato sull'architettura, il raggrupparsi degli esseri umani attorno al fuoco aveva originato lo sviluppo culturale basato su di un modello linguistico della realtà. Lo stesso raggrup­ pamento attorno al fuoco aveva generato l'architettura che, come il linguaggio, è un modello della realtà e possiede un sistema di regole che converte esperienze dirette in prodotti architettonici. ... Gli uomini... constatando qual grande como54 dità per il corpo fosse starsene al calor del fuoco... condus-


sero altri uomini e mostravano col cenni l'utilità che dal fuoco poteva trarsi. Intanto in quelle riunioni si emettevano vari suoni dalla bocca; e così, giorno per giorno ripetendoli secondo il bisogno, giunsero a costituire i vocaboli; in un secondo tempo poi, significando più spesso le varie cose via via che si verificavano, cominciaron per avventura a parlare e intrecciaron discorsi fra di loro. La scoperta del fuoco è stata quindi la causa onde nacque la convivenza umana; e cosi si radunarono più uomini in un sol luogo, avendo da natura come privilegio... di maneggiare facilmente ogni og• getto che volessero colle articolazioni delle mani. Così, in quella società gli uni cominciarono a fare il tetto di fronde, altri a scavar caverne sotto i monti, altri, imitando la co­ struzione dei nidi di rondini, a costruir con fango e stec­ chi ripari per rifugiarsi. Osservando poi le capanne altrui e utilizzandone i perfezionamenti o creandone col proprio spi­ rito inventivo, fabbricavano abitazioni via via migliori. Secondo Juri Lotman, la cultura possiede un sistema se­ miotico di regole che vengono usate per trasformare in testi le esperienze dirette. Il principio fondamentale è che la cul­ tura sintetizza un gruppo di testi e continuamente produce testi nuovi. Lotman descrive la cultura come un meccanismo semiotico per la produzione e conservazione di informazio­ ne: secondo lui la cultura è una somma di testi, che sono varianti di quelli che egli chiama testi culturali. Un testo cul­ turale è un modello astratto della realtà [dal punto di vi­ sta) di una data cultura. Il processo è dinamico e la sorgen­ te principale di questo dinamismo semiotico di produzione di un testo è il processo costante di immettere nell'area del sistema elementi extrasistemici e di espellere nell'area del non sistema elementi sistemici... La pietra che i costruttori di un sistema formato e stabilizzato rigettano perché dal loro punto di vista è superflua e non necessaria, diventa la pietra angolare del sistema successivo. In un sistema culturale ciò che entra e ciò che esce con­ siste di testi, ma i modelli - il nido di rondini di Vitruvio - devono precedere i testi, che sono quindi capiti con l'aiuto dei modelli. Un modello, come lo definisce Lotman, è 55


qualunque cosa che riproduca l'oggetto tenendo conto del processo cognitivo. Un modello è un utile sostitutivo dell'as­ segnazione di misure e di norme, ed allo stesso tempo per­ mette di intuire che cosa un testo voglia essere. La struttura base dell'idea di cultura di Lotman è costi­ tuita dalla comunicazione, e proprio il desiderio di comuni­ care è il fine basilare della teoria architettonica di Louis Kahn. Egli ha affermato che esprimere è la ragione del vi­ vere e che la comunicazione viene raggiunta per mezzo del­ l'arte. Un'opera d'arte è li compimento di una vita; l'archi­ tetto sceglie e organizza, con li fine di- esprimere in termini di spazio, ambiente e correlazioni, le istituzioni umane. Vi è arte, allorché l'ispirazione all'istituzione, e la sua bellezza, sono compiute. Il celebre interrogativo di Kahn - Cos'è che l'edificio vuole essere? - indica la sua ricerca per la comprensione dell'istituzione come testo, e questo stesso interrogativo sug­ gerisce che l'edificio possiede una propria legge, che deter­ minerà la soluzione. Questa legge può essere individuata a vari livelli; la si può scorgere nel modo in cui vengono messi assieme i mattoni, gli spazi interni, e anche le istituzioni. Una città è un luogo di raccolta delle istituzioni; e un'isti­ tuzione è un insieme di spazi in grado di costituire un luogo in cui si possa imparare, vivere e lavorare bene. L'insieme degli spazi è interconnesso da elementi di correlazione dotati di caratteristiche proprie, e al materiale che li costituisce occorre chiedere ciò che esso vuole essere; è così che diviene possibile affermare, come Kahn appunto ha fatto, che la trave di un mattone è un arco. L'architettura è vista come il medium in grado di comu­ nicare l'uomo in quanto unità culturale. Kahn sottolinea il fatto che vi è un ordine che preesiste al progetto; questo ordine è radicato nell'uomo stesso e nella sua globale espres­ sione culturale. Le città esprimono il desiderio dell'uomo di comunicare; di più: la citazione che Lotman rielabora dal 56 brano di Geremia, vale anche per Kahn; egli cerca di trovare,


attraverso lo strumento del progetto, una nuova espressione

per vecchie istituzioni.

I testi di una cultura sono tutte quelle manifestazioni che hanno un carattere pubblico e di rilevanza; tutti questi testi sono parte degli archivi della cultura. In questo 'depo­ sito', le sezioni architettoniche raccolgono - come la biblio­ teca di Borges - tutti i prodotti architettonici che hanno un posto nella coscienza dell'uomo. 'I:. questa la concezione di 'archivio' di Foucault, ed è questo il concetto che Kahn ha delle istituzioni; la sua ricerca delle loro origini lo rie­ cheggia. Foucault afferma che, nell'ambito di un determinato stra­ tum di una cultura data, vi è un ordine, un sistema che obbedisce a leggi specifiche. Questo ordine costituisce una «rete archeologica» che ordina tutte le forme del sapere. Nell'ambito di questa «rete» di concetti generati da e di­ scorsi » - come ad esempio l'economia, la medicina, la gram­ matica, lo studio degli esseri viventi - sussiste un tema co­ mune: quello dei testi culturali invarianti di Lotman. Il te­ sto, o discorso, deve essere considerato non come proiezione di un soggetto che propone e stabilisce il proprio significato, ma piuttosto come· un nodo interno ad una rete. L'esistenza reale di un testo sta in un sistema di relazioni che da quella rete trae la propria coerenza. Un esempio di nodo nell'ambito di una rete è la teoria della produzione architettonica elaborata da Antonio Aver­ lino detto Filarete - ossia colui che ama le virtù - nella seconda metà del Quattrocento. Filarete scrisse un trattato di architettura, incentrato sulla storia del progetto e della costruzione di una città quasi-ideale, Sforzinda. La città è progettata per un principe del Rinascimento, ma la sua strut­ tura urbana è mutuata da un modello medioevale. Filarete pone sì i palazzi del principe e della sua corte in una posi­ zione preminente, ma nel vero e proprio cuore urbano di­ spone edifici di carattere pubblico quali la zecca, la dogana e il mattatoio. Alla periferia della città Filarete pone i luoghi dedicati allo svago, mentre organizza la struttura residen- 57


ziale e i suoi servizi intorno a piazze minori. Questi piccoli spazi aperti sono circondati da case di mercanti con i loro negozi, case di artigiani con le loro officine, uffici, bagni pub­ blici, taverne e pollai. La struttura del trattato di Filarete è molto complessa e il gioco viene complicato ulteriormente dal fatto che il te­ sto letterario possiede a sua volta un tipo e un modello. La città di Sforzinda, la cui costruzione è descritta nel testo, ha il suo tipo e modello e gli edifici che la compongono hanno a loro volta dei tipi e modelli. Filelfo, uno studioso alla corte degli Sforza, gioca un ruolo importante nella ste­ sura del trattato. Sotto la sua influenza, Filarete lo scrive come se fosse un complemento greco al trattato romano di Leon Battista Alberti. L'aiuto di Filelfo viene esplicitamente ricordato: Inscofrace da Notilento (anagramma di Francesco da Tolentino, nome secolare di Filelfo) aiuta Filarete a com­ prendere gli statuti di un paese descritto nel 'libro d'oro', un ipotetico testo greco. La città descritta in questo libro diver­ rà poi il modello per la seconda città di cui si parla nel trat­ tato, Plousiapolis; quest'ultima è progettata sulla riva del mare, così come quella descritta nel 'libro d'oro'. 11 modello di Plousiapolis è l'Atlantide di Platone; come Atlantide, essa viene costruita con marmi bianchi, rossi e neri. Sfor­ zinda invece trova il suo modello in Atene. Anche la relazione spaziale delle città progettate da Filarete conferma ulterior­ mente i loro modelli, in quanto Sforzinda e Plousiapolis sono localizzate nel tempo e nello spazio come Atene ed Atlantide. I modelli scelti da Filarete appartengono, nel suo mecca­ nismo di cultura, allo spazio esterno. Ma i tipi da lui scelti appartengono alla sfera interna di questa cultura. Osserva Lotman: la funzione culturale della tensione tra gli spazi interni (chiusi) e quelli esterni (aperti) è rilevata chiara­ mente nella struttura delle case ( ed altri edifici). Nel fare una casa l'uomo quindi suddivide una parte di spazio che, in contrasto con la sfera esterna, è percepita come cultural­ mente assimilata e regolata. Tuttavia questa iniziale opposi­ zione acquista significato culturale solo contro .uno sfondo 58 di continue rotture verso la direzione opposta. Così, da un



è la madre e in sette od otto mesi lo genera. Durante questo tempo l'architetto fa disegni nella sua mente. Dopo la ge­ stazione, il risultato: un disegno rilevato piccolo di legname che viene presentato al padre, il cliente. H risultato è quindi un modello tridimensionale. Nel modello c'è lo strumento per ogni tipo di misurazione ed esso viene quindi usato anche per calcolare le quantità dei materiali necessari alla costruzione. Il disegno di lineamento viene prima del modello architettonico ed è quello che con­ tiene il tipo; esso sta al modello come il tracciato con corde e picchetti sta all'edificio finito. La definizione del concetto di carattere nella teoria archi­ tettonica inglese della seconda metà del Settecento presenta molti punti di contatto con il concetto di carattere sviluppato in Francia da Blondel e da Boffrand, e che servirà da base alla formulazione di Quatremère. Nonostante ciò, il concetto · inglese riflette una posizione peculiare. L'idea base è che il carattere operi mediante associazioni indotte attraverso le capacità sensibili dell'osservatore. In altre parole, il carat­ tere è un segno che, sebbene operi nell'apparenza e in rela­ zione ad altre apparenze, induce connessioni più profonde tra elementi che a prima vista non sembrano razionalmente as­ sociabili. Una formulazione completa di questo concetto di carat­ tere può essere trovata negli scritti di Thomas Whately, in cui il carattere è individuato come la qualità centrale e primaria di ogni produzione architettonica. Il carattere non è visto co­ me mezzo di classificazione delle apparenze dell'oggetto ar­ chitettonico, quali: serio, gaio, monumentale, semplice, etc.; ma piuttosto come segno della sua capacità di influire sul fruitore. Whately afferma che il potere di questi caratteri non è limitato solo alle idee che gli oggetti suggeriscono in maniera immediata, ma piuttosto a quelle che, collegate ad altre, conducono a poco a poco ad altri soggetti che forse sono completamente rimossi dal -pensiero originarlo e con­ nessi con questo soltanto dalle similitudini di sensazioni che 60 provocano.






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