Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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Edizioni e Il centro ,. di Arturo Carola
G. D'AMATO
e I.
PROZZILLO
A. TRIMARCO A. D'AVOSSA
L'espressione
ÂŤ Movimento
Moderno,.
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Indagini su Carlo
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Note sulla Transavanguardia
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Libri, riviste e mostre
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Rosanna Cioffi, Giuseppina Dal Canton, Daniela del Pesco, Maria Luisa Scalvini.
L'espressione "Movimento Moderno" GABRIELLA D'AMATO • ITALO PROZZILLO
Da anni ormai si parla di crisi del Movimento Moderno, di crisi dell'architettura moderna e, recentemente, di crisi di un più vasto « progetto moderno ». Le tre espressioni, specialmente le prime due che sottintendono l'altra, appaiono in vario modo nei. libri di storia e, in generale, nella lette ratura architettonica relativa alla produzione del nostro se colo. Vi sono, .infatti, autori che parlano specificamente di Movimento Moderno; altri che .lo adoperano come sinonimo di architettura moderna · e disputano tra loro su quali ten denze ed architetti debbano considerarsi «dentro» o e fuori� di. esso; altri. ancora distinguono· l'architettura moderna in tenzionalmente dal Movimento Moderno. Senza la pretesa di giungere ad esaurienti definizioni delle tre espressioni ·sud dette, ci proponiamo in questo scritto, incentrato soprattutto su quella di Movimento Moderno, di apportare un contributo a chiarimento terminologico sperando che ne consegua anche uno concettuale. , Con l'espressione Movimento Moderno andrebbe preci sato, in primo luogo, se si debba. intendere: a) un'entità sto rica ovvero una reale successione di eventi; b) un e artificio storiografico », a sua volta distinguibile in un serio schema metodologico - facente capo, ad esempio; alla nozione di e tipo-ideale » - oppure in una interessata quanto super-
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ficiale nozione di comodo; e) un fenomeno che partecipa del l'una e dell'altra natura. Si tratta cioè di stabilire se il Movi mento Moderno appartenga alla storia, alla storiografia o ad entrambe. Per dare una risposta a quegli interrogativi cominciamo con l'analizzare i termini dell'espressione Movimento Mo derno. Tra le definizioni date dal Lalande alla parola « mo vimento » si legge: Mutamento collettivo di idee, opinioni o tendenze; mutamento di organlzzazlone sociale 1• E in un altro autore, Renato Poggioli, si trova che lo sconfinamento al di là dell'arte, questa aspirazione a quella che i Tedeschi dicono una « Weltanschauung •• è forse il carattere precipuo onde distinguere, da quelle che sl chiamano scuole, quelll che sl chiamano movimenti... Movimento è... un termine tecnico, ormai proprio della storiografia artistica e della cri tica letteraria, in quanto l'una e l'altra sono storia concreta e critica specifica: e quel che più conta, è termine usato non solo dagli osservatori, ma anche dal protagonisti di quella storia. In conclusione, come del resto li termine antitetico scuola, esso è molto più che un mero « flatus vocis "' 2• Ripromettendoci di tornare su quel termine, riportiamo alcune definizioni dell'altro più centrale. Il concetto di Mo derno - come scrive Habermas in un suo recente articolo sl esprimerà ogni volta come coscienza di un'epoca, che si pone in relazione al passato degll antichi, configurandosi. .. come risultato del trapasso dal vecchio al nuovo. E, più avanti, trattando del senso di moderno nell'arte sostiene: L'intenzione di far esplodere la continuità della storia spiega la forza sovversiva di una coscienza estetica che si ribella all'opera dl normallzzazlone della tradizione; che vive del l'esperienza della ribelllone contro ogni normativa... D'altra parte la coscienza del tempo che si articola nell'arte d'avan guardia non è generalmente antistorica; si orienta solo con tro la falsa normatività di una comprensione storica for matasi sull'lmltazione di modelll. SI serve del passati stori camente disponibili ma, nello stesso tempo, sl ribella alla neutrallzzazlone del canoni praticata dallo storicismo quando 6 chiude la storia nel museo 3•
Prima di procedere oltre nella rassegnà terminologica, citiamo un altro autore, Rogers, che, nell'affrontare il tema della crisi del Movimento Moderno - in ciò anticipando il nostro tema specifico - fornisce un significativo giudizio sulla vecchia questione della continuità o della discontinuità della storia. Considerando la storia come processo, si po trebbe dire che è sempre continuità o sempre crisi a se conda che si vogliano accentuare le permanenze piuttosto che le emergenze; ma, per una più precisa comprensione del discorso, è meglio chiarire intenzionalmente l'interpretazione filologica dei termini che uso: il concetto di continuità im plica quello di mutazione nell'ordine di una tradizione. Crisi è la rottura - rivoluzione -, cioè il momento di disconti nuità dovuto all'influenza di fattori nuovi ( non reperibili nel momenti precedenti se non come contrari a quelli che scatu riscono, per opposizione, dall'Impellente esigenza di novità sostanziali). Per stabilire il punto della situazione presente ( nelle sue possibilità future) occorre approfondire I motivi del Movimento Moderno sceverando quelli che sono sorti per ragioni contingenti e che pertanto hanno avuto una e durée • limitata, da quelli che possono ambire a una più lunga « durée » perché ne implicano l contenuti essenziali 4• Il passo citato, che quando accenna alla tradizione si riferisce a quella del Movimento Moderno - grosso modo all'equivalente della « tradizione del nuovo ,,- di H. Rosenberg -, contiene indi cazioni utili ancora oggi benché risalga alla prima revoca in dubbio (almeno in Italia) del Movimento Moderno. Essendo tuttavia ancora lontani da una soddisfacente definizione di Movimento Moderno, riprendiamo la nostra rassegna focalizzando un altro termine: quello di architet tura. Quando si parla di e architettura moderna • l'attenzione è concentrata di solito sull'aggettivo e moderna •, che do vrebbe esprimere la novità delle esperienze contemporanee rispetto alle precedenti, mentre l cambiamenti più impor tanti riguardano invece il sostantivo, cioè il significato da dare a questa illustre parola, e architettura », che non può più essere quello tradizionale ereditato dal Greci e fissato nel Rinascimento. Non cl sentiamo più di considerare l'ar- 7
chitettura come una delle « arti » da enumerare assieme alla pittura e alla scultura... perché non slamo più disposti a considerare le diverse funzioni - la funzione economica, quella tecnica, quella espressiva - come divisioni categoriche della realtà, quindi come oggetti di attività socialmente di stinte, e riteniamo che i valori figurativi custoditi altre volte in un settore speciale dell'esperienza umana debbano inserirsi, come pausa contemplativa, nelle operazioni cosiddette uti litarie, ed essere assorbiti nel giro dell'esperienza quotidiana 5• Meno. circoscritta è la definizione che ne dà Hitchcock. Non è stato finora trovato un termine più appropriato di « moderna • per indicare quella che ha finito per essere l'ar chlte.ttura del secolo XX in tutto il mondo occidentale... è · un fatto però che a partire dal primissimi anni di questo secolo si possono individuare parecchie linee ininterrotte di sviluppo. Quasi tutte assumono andamento convergente negli anni '20, mentre divergeranno sempre più nel decenni centrali del secolo..• È... più aderente al fatti particolari, considerare l'architet. tura moderna come derivata dal lavoro singolo di alcuni architetti guida, anziché determinata da una qualche hegellana necessità storica 6.Abbiamo quanto basta per affrontare l'intera espressione Movimento Moderno. Pevsner nel 1936 fa apparire nel titolo del suo celebre libro la dizione in esame. Ma - al di là della periodizzazione, delle origini, dell'inclusione· o meno di al cune correnti - ci sembra importante per la definizione di Movimento Moderno .un concetto centrale dell'autore ingle se: Ben presto, egli (Muthesius) divenne il principale espo nente di una nuova corrente verso la « Saclùichkeit », che segul alla breve fioritura dell'« Art Nouveau ». L'intraducibile parola « saclùich •, che significa al tempo stesso adatto, pra tico e obbiettivo, divenne l'insegna del nascente Movimento Moderno 7• Ma oltre questo concetto-chiave è questione defi nitoria il riconoscere quali tendenze debbano considerarsi comprese nel Movimento Moderno. Pevsner scrive ancora: Groplus si considera · seguace di Ruskln · e di Morrls, di van de Velde e della Werkbund. Così, il ciclo è completo. 8 La storia della teoria· artistica dal 1890 alla· guerra compro-
va la tesi ... che la fase che va da Morrls a Gropius è un'unità storica comprensibile solo come tale. Morris gettò le fon• damenta dello stile moderno il cui carattere venne definito soltanto con Gropius 8• È evidente che tale brano sembra concludere con l'affer mare che per Movimento Moderno si debba intendere tutto quanto è compreso nella parabola che va dalle Arts and Crafts a Gropius: l'opera di Morris, l'Art Nouveau, il Werkbund, quello che sarà definito Protorazionalismo, ·fino al raziona lismo gropiusiano. Detto questo però rimane il dubbio che tale parabola sia da limitare ai soli pionieri del Movimento Moderno. Giedion, anche se ambiguamente omette alcune tendenze e non parla esplicitamente di Movimento Moderno, è tra gli autori più inclusivi. Molto di quanto fu tentato fra il 1890 e il 1930 - egli scrive, infatti - rimane frammentarlo ed in compiuto; però questo periodo trovò il coraggio di fondare una nuova tradizione a-utonoma 9• E alla domanda quali fu rono le origini di questo . movimento, egli elenca. le istanze morali, il progresso tecnologico e l'apporto delle avanguardie figurative; relativamente al tema dell'inclusione, poi, è signifi cativo che nello svolgere il discorso sul Movimento Moderno apra una grande parentesi sul contributo americano dalla scuola di Chicago a Wright, praticamente annoverandoveli. L'« inclusività » di Rogers - da intendersi in maniera quanto mai estensiva· - più che comprendere -in una gene rica vicenda dell'architettura moderna questa o quella ten denza, avanza la tesi della duttilità dei princìpi propri al Movimento Moderno: il grande equivoco sorge quando si persiste a considerare lo « stile ,. del Movimento Moderno dalle apparenze figurative e non secondo le espressioni di un metodo che ha tentato di stabilire nuove e più chiare·relazioni tra i contenu�i e le forme, entro la fenomenologia di un processo storico-pragmatico, sempre aperto, che, come esclude ogni apriorismo nella determinazione di quelle relazioni, così non può essere giudicato per schemi. Ogni approfondi mento e ogni allargamento dell'esperienza architettonica che non neghi i fondamenti del metodo intrapreso, devono consl- 9
derarsl come derivati dalla normale evoluzione di esso, sia che le forme risultanti assomiglino sia che si discostino dagli esempi precedenti 10•
Viceversa tra gli autori che maggiormente restringono il campo del Movimento Moderno è Benevolo, il quale ne data -l'origine al 1919 quando Groplus apre la scuola di Weimar... Le esperienze che sono collocate logicamente prima di quel passaggio - le esperienze di Morrls, di Horta, di Wagner, di Hoffmann, di Berlage, di Loos, di Perret, di Sullivan, di Wrlght - sono Interessanti ed importanti, poiché hanno reso possibile la formazione del movimento moderno, ma appar tengono ad un altro momento storico, risolvono problemi di versi dal nostri. Da loro possiamo ricevere nobili esempi ed utili esortazioni, ma Le Corbusler, Gropius, Mies van der Robe, Jacobsen, Tange, Bakema, hanno cominciato un'espe rienza In cui tutti slamo coinvolti e da cui dipende il nostro modo di vivere ". La posizione di Benevolo e di tutti coloro che tendono a distinguere Movimento Moderno da architettura moderna trova un suo fondamento nell'idea basilare di progetto mo r demo. Questo, formulato nel XVIII secolo dai filosofi del l'Illuminismo, consiste nell'adoperarsi per lo sviluppo delle scienze oggettivanti, delle basi universalistiche della morale, del diritto e della scienza autonoma, ognuna nel proprio senso; ma nello stesso tempo consiste anche nel liberare dalla loro forma esoterica I potenziali cognitivi che cosl si accumulano, e di usarli per la prassi. Cioè per una creazione razionale di tutte le condlzlonl di vita. Illuministi del tipo di un Condorcet avevano ancora l'aspettativa entusiastica che le arti e le scienze dovessero promuovere non solo li con trollo delle forze naturali, ma anche la determinazione del l'Io e del mondo, li progresso morale, la giustizia delle Isti tuzioni e persino la felicità degli uomini. Nel XX secolo è rimasto molto di questo ottimismo. Ma li problema è ri masto lo stesso, allora come adesso gli spiriti si dividono da una parte In coloro che continuano, anche se In modo In crinato, a rimanere fedeli al progetto dell'Illuminismo; e dal10 l'altra In coloro che danno come perso li progetto moderno u.
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Trasferendo queste considerazioni nel nostro campo e ipotizzando che il Movimento Moderno con i suoi obiettivi razionali, etici e sociali sia l'espressione architettonica del progetto moderno, vi sarebbe chi ancora vi riconosce vali dità e chi lo darebbe per perduto. Questi ultimi sarebbero giustificati dal fatto che di esso, mancate le premesse, sono cadute le conseguenze, prima fra tutte il conciliato rapporto fra l'arte e la civiltà tecnologica. Nessuna delle grandi pro messe della tecnica industriale nel campo sociale - osserva Argan _;_ è stata mantenuta: non la promessa del libero e pacifico scambio di mezzi e prodotti, non la promessa di una società senza classi, non la promessa della libertà poli tica ed economica, non la promessa del benessere universale. Non, soprattutto, la promessa di una società razionale, per fettamente « integrata »: dopo aver creato una grande classe « disintegrata » e « allenata », il proletariato, ha finito per estendere a tutti la desolante « condltion ouvrlère • descritta da Simone Weil: nessuno è più responsabile di un'iniziativa, di un progetto, di un risultato 13• Per queste e numerose altre ragioni il Movimento Mo derno avrebbe fallito i suoi scopi; ma in tal caso come in tendere l'aggettivo « moderna • che comunque resterebbe as sociato all'architettura del nostro secolo? Secondo Portoghesi esisterebbero due modi: Per seppellire I residui devitalizzati dell'arte e del gusto della borghesia ottocentesca, per tagliare i ponti con l'inerzia delle tradizioni accademiche hanno dato il loro contributo due esperienze nettamente differenziate, due tipi di « modernismo »: quello rigoroso e intransigente del Movimento Moderno, ( del quale, più oltre, lo stesso autore sostiene che « aveva promesso come contropartita della semplificazione, dell'autonomia, della sterilizzazione, dell'im poverimento della forma, l'assunzione da parte dell'artista e del designer di un ruolo determinante nella trasformazione della società e nel superamento delle sue contraddizioni ») ... e quello più sfumato e cordiale dello « stile moderno • che, prima della sua definitiva sconfitta alla fine degli anni Trenta ha tentato di contrapporre agli stili del passato uno stile moderno dotato di... un proprio linguaggio comunicativo si-
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1 A. UUNDE, Dizionario critico di filosofia, !SEDI, Milano 1971. 2 R. Pocc1ou, Teoria dell'arte d'avanguardia, Il Mulino, Bologna 1962, pp. 31-33. Q)J. HABERMAS, Die Moderne - ein unvollendetes Projekt (Il Mo derno - un progello incompiuto) trad. it. Moderno, Postmoderno e Neoconservatorismo, in « alfabeta • n. 22, marzo 1981. ◄ E. N. ROGERS, Continuità o crisi?, in Esperienza dell'architettura, Einaudi, Torino 1958, pp. 203-204. 5 L. BENEVOLO, Una i11trodu1.ione all'arclzitettura, Laterza, Bari 1960, p. 153. 6 H. R.
HITCHCOCK, L'architettura dell'Ottocento e
del Novecento,
Einaudi, Torino 1971, p. 419. 1 N. PEVSNER, / pionieri del Movimento Moderno da William Morris a Walter Gropius, Rosa e Ballo Editori, Milano 1945, p. 16. 8 Ibidem, p. 23. 9 S. G1ED10N, Spai.io, tempo e architettura,
p. 283.
E. N. RocERs, op. cit., p. 205. L. BENEVOLO, Storia dell'architettura 197��- 8.
Hoepli, Milano, 1954,
10 Il
moderna,
Laterza, Bari
HABERMAS, op. cii. G. C. ARGAN, Progetto e destino, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 31 . 14 G. M,\SSOBRIO • P. PORTOGHESI, Album degli anni Venti, Laterza, Roma-Bari, 1976, p. 7. 15 R. DE Fusco, Un termine da precisare, ne « Il Messaggero•• 13-9-80. 16 M. TAFURI - F. DAL Co, Architettura contemporanea, Electa Edi trice, Milano 1976, p. 9. 11 T. MAU>ONADO, li Movimento Moderno e la questione 'post', in « Casabella•, nn. 463-464, 1980. (.23)1. 13
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Indagini su Carlo ANGELO TRIMARCO
1. Storia e microstoria, iconologia e fanta-iconologia, storia e storia dell'arte si sono intrecciate, dalla primavera scorsa, in un gioco perverso. Da quando Carlo Ginzburg ha pubbli cato il suo libro Indagini su Piero 1• Su quel Piero che « at tese ... nella sua giovanezza alle matematiche, ed ancora che di anni quindici fusse indiritto a essere pittore, non si ri trasse però mai da quelle» tanto che nelle « cose di geome tria e di prospettiva... non fu inferiore a niuno ne' tempi suoi, né forse che sia stato in altri tempi giammai». Tanto non inferiore a niuno, continua malignamente Vasari, che Fra Luca dal Borgo, vale a dire Luca Pacioli, pubblicò sotto suo nome proprio « tutte le fatiche di quel buon vecchio», che, a causa della cecità corporale, non « potette .. mandar(le) in luce» 2• Delle fatiche sue, come del resto della produzione degli artisti del '400, ci resta soltanto una piccola parte: non c'è dubbio, comunque, che di questo esiguo, enigmatico, abissale catalogo il Battesimo, il ciclo di Arezzo, La flagellazione di Urbino costituiscano le soglie privilegiate per accostare Piero. E perciò non sorprende che Ginzburg abbia lanciato la pro pria sfida alla storia dell'arte proprio da queste posizioni. Sembra che Ginzburg, di fronte a Piero, non guardi in faccia nessuno: né la grande storia dell'arte che fa dello stile la sua passione, né quell'altra che cerca aggiustamenti e mediazioni, raccordi e legami, con le istituzioni sociali e le strutture economiche, con quella che un tempo si chiamava la realtà. E meno che mai (perché anzi sono proprio 16
loro i veri nemici) con gli iconologi. Certo, una formazione ben in vista che va a caccia di simboli e di arcani, di pre-testi e di misteri. Un'iconologia selvaggia come la definisce sprezzan temente, facendo eco a quell'altra ingiuria non meno sangui nosa di Settis che aveva parlato di iconologi di manica larga, che non hanno perso il « vecchio habitus rabdomantico del critico-attribuzionista», che lavorano senza una « precisa di sciplina di metodo» 3• Ma di Settis, che non ha il nome né lo stile di Ginzburg, ha fatto scempio, si sa, Vittorio Saltini quando ha scritto che in tempi ,meno confusi dei nostri La «Tempesta» interpretata si sarebbe ridotta a un articolo da pubblicare negli Atti dell'università. Ma chi sono questi iconologi di manica larga, questi cam pioni dell'iconologia selvaggia o della fanta-iconologia (secon do l'infamante etichetta di Zeri). Almeno qui da noi si chia mano Maurizio Calvesi e Eugenio Battisti. Sono loro i nemici da abbattere, da sconfiggere. Ma cosa hanno fatto per meri tare tanto? E come si discolpano (ammesso che di colpe si tratti)? Per adesso non resta che segnalare, velocemente, gli scritti incriminati e le posizioni sotto inchiesta. Battisti ha pubblicato nel '71 due volumi su Piero della Francesca (tra dotti anche in diverse lingue), Maurizio Calvesi è intervenuto, ripetutamente, sia su Giorgione che su Piero. La prima opi nione di Calvesi su Giorgione è del '62, la seconda più arti colata e tesa è degli anni settanta, La « morte di bacio ». Saggio sull'ermetismo di Giorgione. Al Sistema degli equiva lenti ed equivalenze del Sistema in Piero della Francesca del '75 spetta, invece, per ora il primato della «ridicola presun zione» di lavorare il testo di Piero come «pretesto.per una serie di libere associazioni, basate generalmente su una pre sunta decifrazione simbolica » 4• Intanto, Battisti e Calvesi come rispondono e cosa dicono. Battisti, che abitualmente viene maltrattato un po' 'da tutti, ha scritto poche righe ma sentite. Eccole. « Domina... , dopo decenni di ringhiosa opposizione - alla periferia dell'impero sono venduti i brevetti scaduti ,- l'iconologia, con i casi pa tetici di neowarburghiani rigoristi di ritorno, come Ginzburg e Settis ecc. che difendono, non i meriti, ma i difetti del- 17
l'ultimo Warburg totalmente epurato dell'originaria aggres sività antropologica» 5• Un suggerimento interessante sul quale converrà ritornare, evidentemente. E Maurizio Calvesi? Sentiamolo, perché è più esplicito e tagliente con questi giovanotti, con Salvatore Settis, archeologo di mestiere, e c:on il Ragazzo Carlo, storico per vocazione. L'unico merito di Ginzburg, per Calvesi, è dunque quello di avere fatto « sca dere da tempo il dibattito storico-artistico in Italia ad un tono da lavanderia romanesca». Per il resto, è un inutile e forsennato tramestio fra dati e tesi già proposti e discussi, una fastidiosa passeggiata su documenti già vagliati. Col ri sultato inaccettabile di sforzarli e deformarli 6• Ma, com'era prevedibile, l'amore e l'odio, il consenso e l'ingiuria si sono estesi. E. prevalso il desiderio di parteci pare, di alimentare il dibattito e la querelle. Cosl sono inter venuti storici dell'arte (di formazione e cultura diverse), poeti e romanzieri, giornalisti e uomini semplici che non leg geranno mai le Indagini su Piero. Sull'ultimo « alfabeta» c'è poi un titolo che è sicuramente un emblema (tecnicamente una condensazione): dice I bronzi di Piero. Proprio così. E Antonio Porta, poeta, definisce splendido il saggio di Ginz burg: splendido che è, appunto, aggettivo che si adopera da noi per la Poesia, la Bellezza e il Sapone. Ma leggiamone in sieme qualche brano per diletto. « Forse suggestionato dalla lettura appena terminata dello splendido saggio di Carlo Ginz burg su Piero della Francesca e dalla sua tagliente lettura della Flagellazione di Urbino non ho quasi potuto fare a meno di vedere nei due bronzi l'immagine di due corpi passati attraverso la morte e trasfigurati nello spazio di una comme morazione che è la messa in opera, da parte di un artista geniale, di una concezione dell'esistenza che dall'umanesimo in poi abbiamo chiamato neo-platonismo (per questa via dunque il collegamento immediato con il ragazzo morto di Piero, che guarda da un'altra parte, che guarda dove noi non siamo, di là...) » 1• Così, proprio il ragazzo morto della Flagel lazione che serve a un poeta a guardare i bronzi di Riace, quello cieco come Edipo e l'altro che ha occhi per vedere, 18 fa scattare a uno storico dell'arte, a Federico Zeri (che pure
non mostra di apprezzare l'iconologia secondo Battisti e Cal vesi), il tarlo del sospetto e dell'incredulità. La necessità, a lettura finita, di passare ai voti, come si usava un tempo il giorno degli esami. E a soffrirne sono proprio la Flagella zione e quel ragazzo morto, che non si sa chi e dove guardi. A loro Zeri riserva appena un 4 (« Non oserei spingermi oltre il 4 », confessa) mentre più generoso si dimostra con il Battesimo, che guadagna un bel 10, e con gli affreschi di Arezzo (8 ½ come il film di Fellini). Peccato per Antonio Porta, ma per la Flagellazione non c'è proprio nulla da fare: è « fuorviante... e la interpretazione che ne viene proposta scade nell'abusivo. È questa la parte in cui si avverte l'assolu ta inadeguatezza delle conoscenze storico-artistiche dell'auto re» 8• In verità, anche là dove per Zeri il Ragazzo Carlo si dimostra attento e pronto, diligente e intelligente, per altri, ad esempio per Filiberto Menna, l'esegesi, invece, è tutt'altro che pacifica e tranquilla. È appunto il caso del Battesimo, la cui lettura a Menna sembra incerta e viziata non meno della Flagellazione 9• Ci troviamo, dunque, di fronte a un puzzle, a un diver tente gioco estivo un po' sadico e un altro poco masoclùsta, al cospetto di un libro da scansare perché inutile e fuor viante, di un capo d'opera o, più semplicemente, di un'inda gine critica con tutti i limiti e anche le cose utili alla migliore conoscenza di un oggetto scelto come punto di attacco? È una domanda che ora s'impone, visto che neppure (ma era prevedibile) si è raggiunto tra gli interpreti un accordo sulla scrittura di queste Indagini su Piero. Si altalena, infatti, dal vertiginoso « splendido» di Antonio Porta alla scrittura fati cosa, impervia, notata da Cesare de' Seta che, per conto suo, propone un gioco tipografico (non ricordo se proprio nuovo). « •• Si ha la sensazione che moltissima parte del testo potrebbe precipitare (come in una soluzione) nei corpi più piccoli delle note. Se sottoponessimo a questa prova tipografica il testo di Ginzburg, credo che ne verrebbe fuori un saggetto intrigante, di godibile lettura» 10• Insomma, c'è sempre qual cosa in eccesso, in più o in meno. Soltanto da Giovanni Pre vitali, almeno per le letture fino ad ora fatte, questi nuovi 19
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indizi su Piero sono salutati come i benvenuti e, quel che più conta, valutati senza amore né odio, senza passione. Queste indagini, suggerisce Previtali, ci aiutano a com�ren dere alcuni passaggi oscuri della vicenda/Piero, ci dicono qualcosa in più (forse anche poco) sulla committenza, sul l'ambiente culturale, sulla destinazione originaria del Batte simo, sul Traversari e la sua politica di conciliazione delle chiese, su Giovanni Bacci. Il giudizio sulla Flagellazione è negativo (del resto, è questo un filo comune che lega opinioni diversissime) come tiepido è quello sul metodo (« In realtà ... non è dal punto di vista del metodo che lo scritto del Ginz burg si presenta particolarmente nuovo») n. Anche se bisogna aggiungere che le ambizioni di Ginzburg vanno proprio in direzione del metodo e della sua novità, del manifesto come ricorda de' Seta. Basti pensare al titolo: indagini rinviano direttamente a Spie e al paradigma indiziario, allo storico come Kunstdetektive. Un complesso sistema che, come è noto, conduce a Freud, questa volta occultato in nota. Ma è un margine essenziale per non citarlo: « Nella deformazione di un testo vi è qualcosa di simile a quanto avviene nel caso di un delitto: la difficoltà non è nell'esecuzione del misfatto, ma nell'occultamento delle tracce» 12• E insieme al titolo non va dimenticato il nome della collana che lo ospita, Microstorie. E la microstoria fa pensare alle Annales, a Febvre, a Braudel, a Bloch, al loro tradimento (come è stato detto). Ad altre polemiche, ad altre ferite. A Furio Diaz che ironizza sulle microstorie e le microanalisi augurandosi che le « menti bal danzose di questi 'nuovi storici' fossero sfiorate dal dubbio che i comportamenti quotidiani dei paesani del Friuli e le idee confuse (tra spunti di origine ereticale e credenze popo lari) del loro mugnaio; le superstizioni dei contadini emiliani nel loro colloquio con i 'benandanti'; le strutture e vicende dei dialetti, della religiosità, delle feste, dello spettacolo; l'antropologia di una società complessa come la contadina; gli spaccati di singole comunità rivelati dalla microanalisi sto rica; i movimenti demografici, eccetera, vengano infine a rag giungere un'incidenza storica effettiva quando s'incontrino e s'inseriscano nei grossi movimenti della società e dell'eco-
nomia dove la volontà politica è pur sempre il grande centro motore dello svolgimento storico, progresso o non progresso che ci si voglia vedere» 13• � sul metodo, dunque, sulla sua rilevanza e non sulle cose concrete, sui singoli passaggi, che il testo di Ginzburg ci invita a riflettere, a pronunziarci, ci spinge a scegliere. 2. Cerchiamo di capire, adesso, rileggendo direttamente Carlo, le intenzioni e le mosse teoriche di queste sue indagini. Già dalla soglia s'individuano due temi, un duplice punto di vista: la committenza e l'iconografia. Mentre si legge que st'avvertenza: « Degli aspetti propriamente formali di queste pitture non parlo, perché me ne manca la competenza (sono uno studioso di storia, non di storia dell'arte) ». « Si tratta di un limite grave», si chiede con candore. « Può una ricerca così circoscritta giungere a risultati rilevanti»?. La risposta è naturalmente: « Penso di sì» 14• Non si tratta, però, di una dichiarazione (del resto banale) di modestia o di delimitazione territoriale, ma della consapevolezza che una ricerca, centrata sull'iconografia e la committenza, offra garanzie di rigore e di risultati, giungendo a proporre datazioni assai prossime a quelle avanzate da Roberto Longhi: col vantaggio, si capisce, che queste date sono argomentate con ricchezza di materiali e di documenti. Una modestia, infine, messa in questione da quel saggio del '66 (che per tanti versi è all'origine di certe decisioni odierne), Da A. Warburg a E. H. Gombrich (Note su un problema di metodo), e dal recente contributo scritto insieme a Castelnuovo per la einaudiana Storia dell'arte
italiana 15•
Dunque, dal punto di vista dell'iconografia e della com mittenza Ginzburg torna a guardare Piero, e più precisa mente il Battesimo (oggi alla National Gallery di Londra), la Leggenda della vera Croce e la misteriosa Flagellazione di Urbino. Per il Battesimo di Cristo, la spia è un'anomalia segnalata nel '63 da de Tolnày: i tre angeli non reggono, secondo l'ico nografia tradizionale, le vesti di Cristo immerso nel Giordano 21
ma, mentre l'angelo di sinistra fissa la scena, quello di destra tiene il braccio sulla spalla dell'angelo di centro, al quale stringe la mano. De Tolnay ha interpretato questo gesto come un'allusione alle Grazie, simbolo di Armonia. Più di recente Tanner ha ricondotto la scena alla concordia religiosa tra la chiesa d'Occidente e quella d'Oriente sancita dal Concilio di Firenze del 1439. E, quel che più conta dal punto di vista teologico, ha visto che la stretta di mano simboleggia l'in troduzione della formula Filioque al Credo, cioè il passaggio dello Spirito Santo dal Padre al Figlio. Ginzburg accetta questa tesi, scartando come infrequentabile l'altra di Battisti, aggiungendo di suo una riflessione sulla committenza, la « tes sera mancante della ricostruzione della Tanner ». Un'atten zione che dovrebbe definitivamente chiudere la questione. Chi è, dunque, il committente? Certamente non può essere stata la Confraternita di San Giovanni Battista di San Sepol cr�, per il fatto non trascurabile che una confraternita di questo nome a San Sepolcro non è mai esistita. E allora? Si tratta, evidentemente, della solita fuorviante invenzione di un erudito locale, troppo a lungo creduto meritevole di fede. TI vero, unico committente è invece, per Ginzburg, l'Abbazia camaldolese, luogo in cui originariamente si trovava il Bat tesimo. Individuare gli abati camaldolesi come committenti di Piero significa riferirsi ad Ambrogio Traversari, abate ge nerale dell'ordine e umanista sottile, protagonista al Concilio di Ferrara-Firenze (1437-38) della riconciliazione delle due Chiese. Il Battesimo serve, dunque, a commemorare l'azione di mediazione di Traversari: « Non solo, mediante il gesto della concordia e la simbologia trinitaria degli angeli, per aver contribuito in maniera decisiva al successo del concilio, ma anche, forse, mediante l'immagine del Borgo sullo sfondo, per avere difeso i diritti della badia camaldolese in un mo mento difficile della sua storia », conclude Ginzburg 16• Attraversando gli studi di de Tolnay e della Tanner e le ricerche più recenti sulle confraternite di Borgo San Se polcro, Carlo Ginzburg si limita a precisarne i contorni, come si diceva una volta, e a sottolineare l'opera e la presenza 22 di Ambrogio Traversari. Quanto alla data della tavola, viene
la riconquistata reliquia della vera croce già di proprietà dei Paleologi. La relazione iconografia/committenza si dimostra utile, secondo il progetto ginzburghiano, a dare conto, finalmente, della datazione tradizionalmente contraddittoria e difficile, oscillante e incerta. Le date di Longhi, Clark, Battisti, sono inaccettabili. Per Ginzburg una parte del ciclo è stata realiz zata prima del viaggio di Piero a Roma (1458-59), un'altra parte al suo rientro. Il disegno è ormai chiaro: Ginzburg vuole sospingere i dipinti di Piero nel cuore delle vicende politico-religiose del tempo. Il concilio di Firenze, Traversari, Bessarione, Giovanni Bacci sono i protagonisti. Così, la Flagellazione s'incontra con il Battesimo e la Leggenda della vera Croce: un filo comune, tenace, li attraversa e li rende evidenti. Dunque, l'enigma sembra svelato, dato che Ginzburg ci dice chi sono i tre personaggi in primo piano sulla destra e quali relazioni intrattengono con la scena che rappresenta la flagellazione in secondo piano, sulla sinistra. Smentendo tutto e tutti, da Longhi in poi, con azzardate manovre su una sterminata mappa di referti e di documenti, si afferma che i personaggi in primo piano, da sinistra a destra, sono Bessa rione, Buonconte da Montefeltro e Giovanni Bacci. Tornano dunque, a chiudere il cerchio, Giovanni Bacci e Bessarione. Mentre Buonconte è il figlio illegittimo di Federico da Mon tefeltro, morto di peste ad Aversa nel 1458, a diciassette anni. La proposta di Ginzburg è che la Flagellazione è stata ispirata da Bessarione, commissionata a Piero da Bacci, de stinata appunto a Federico da Montefeltro per convincerlo a fare una crociata contro i turchi in Grecia. Bessarione illustre rebbe a Bacci la flagellazione di Cristo, metafora della Chiesa violata dai turchi. Da quest'ipotesi Ginzburg passa a dirci anche quando è avvenuta questa conversazione tra Bessarione e Bacci al cospetto del giovane morto. � avvenuta a Roma di fronte alla facciata settentrionale di San Giovanni in La terano come risulta almeno da tre elementi. Dalla scala santa 24 di fianco a Ponzio Pilato, dall'idolo sulla colonna alla quale
possibile credere - insiste Zeri - che le quattro colonne di marmo della 'mensura Christi' siano quelle oggi nel chiostro lateranense? Le colonne riprodotte a tavola 63, 66, 67 sono del Quattrocento, e del Quattrocento molto avanzato, forse per sino posteriori al soggiorno di Piero a Roma. Cosl, è del tutto infondato suggerire che gli edifici alla destra della Flagella zione alludano al Laterano: con quel tipo di tetto e di men sole in legno?» 22. Ad essere corretti, del resto, al di là del tono deciso e si curo dell'argomentare, Ginzburg si è reso conto del carattere congetturale, d'ipotesi, d'azzardo, dell'analisi. Tanto che, oltre le stesse cautele di volta in volta avanzate, in conclusione sente il bisogno di riferire che « in attesa di nuove scoperte documentarie, bisogna ammettere che l'interpretazione che abbiamo presentato è in buona parte congetturale. Trattan dosi di un quadro iconograficamente anomalo, di cui igno riamo il destinatario e la collocazione originari, era probabil mente difficile procedere in maniera diversa» 23• Come sempre non manca di suggerire la sua datazione. Accettando, questa volta, un invito di Longhi, contenuto in un famoso saggio giovanile, Piero dei Franceschi e le origini della pittura veneziana, a considerare « l'identità... perfetta» del misterioso giovane della Flagellazione con il profeta di Arezzo, situato a destra del finestrone del coro (l'unico dipin to da Piero), Ginzburg, tenendo conto naturalmente dell'in finita catena delle sue congetture, propone che « Piero ter minò la Flagellazione e dipinse il profeta di destra tra la fine del 1459 e il principio del 1460» 24• In sostanza, il compi mento della Flagellazione coinciderebbe con la ripresa degli affreschi di Arezzo, al ritorno dall'esperienza romana.
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3. Una riflessione sul rapporto iconografia/committenza a questo punto s'impone: questa relazione rimette in gioco e ridefinisce (o cerca di farlo) l'intera pratica della disciplina nata con Aby Warburg. L'attacco di Ginzburg, si è accennato, muovendo appunto da Warburg, investe la grande storia del l'arte longhiana, gli stessi esiti sociologizzanti di questa scuola (l'esempio è Previtali), le deformazioni a cui è giunta l'ico-
da Giorgio Vasari pittore aretino con nuove annotazioni di Gaetano Milanesi, tomo II, Firenze 1906, ristampate nel 1973, pp. 490, 488, 487. 3 S. Sm-ns, La «Tempesta» interpretata. Giorgione, i committenti, il soggetto, Torino 1978, p. 16. 4 c. GINZBURG, op. cit., p. XIX. 5 E. BATTISTI, Le difficoltà della critica, in Teoria e pratiche della critica d'arte, a cura di E. Mucci e P. L. Tazzi, Milano 1979, p. 241. 6 M. CALVESI, Ma il mio Piero è più vero del suo, in e L'Espresso» del 31 maggio 1981, p. 92. 7 A. PORTA, I bronzi di Piero, in « alfabeta », n. 28, settembre 1981, p. 8. a F. ZERI, Dieci in Battesimo quattro in Flagellazione, in e L'Euro peo», n. 25, giugno 1981, p. 98. 9 F. MENNA, Tanto rumore, ma quasi per nulla attorno a questa • Indagine su Piero», in « Paese Sera» del 14 luglio 1981, p. 5. 10 C. DE SETA, Manifesto per storici, in • Il Mattino» del 6 agosto 1981, p. 3. 11 G. PREVITALI, Benvenuti anche questi nuovi indizi su Piero, in «Rinascita», n. 19, 17 luglio 1981, pp. 23, 24. 12 S. FREUD, L'uomo Mosè e la religione monoteistica, trad. it., To rino 1977, p. 51, citato da GINZBURG, op. cit., alla p. 47, n. 58. 13 F. DIAZ, E così la storia finisce in crusca, in e L'Espresso» del 10 febbraio 1980, p. 97. Si v. anche la lettera ferma e puntuale di Ruggero Romano inviata ad « alfabeta» nel marzo 1980. 14 C. GINZBURG, op cit., p. XIII. 15 C. GINZBURG, Da A. Warburg a E. H. Gombrich (Note su un problema di metodo), in « Studi medioevali», serie III, VII 2, 1966. E aooastanza smtomatico ricordare la critica che muove a Gombrich per certe mosse più recenti. « In conclusione, è ben comprensibile che... il Gornonch metta in guardia gli storici dell'arte dal considerare gli stili del passato come una mera espressione del Tempo, della razza o della s11uazzone di classe [l'accostamento degli ultimi due termini è carattensuco de1 presupposti icteo1og1c1 dell'autore]: ma si ha la netta 1mpress1one c11e questa ms1stenza rmpllchi uno scarso interesse, o meguo una notevole dutidenza verso la ricerca dei nessi tra le opere d·ar1e e la s1tuaz1one storica in cui esse nascono» (p. 1052). Sulla que snone;uomoncn c1 sia consentito rinviare ai nostri itinerari freudiani. Sulla critica e la storiografia dell'arte, Roma 1979 (in particolare alle pp. 59-92). E. CASTELNUOVO e c. GINZBURG, Centro e periferia, in Storia ae1rarte italiana, vol. I, Torino 1979. 16 Il saggio di DE TOLNAY, Conceplions réligieuses dans la peinture de Piero della .Francesca, è in « Arte antka e moderna», VI, 1963 mentre quello di M. TANNER, Concordia in Piero della Francesca's 'Baptism of Christ ', è in • The Art Quarterly», XXXV, 1972. La cita zione di Ginzburg è in Indagini, cit., pp. 12-13. 17 R. LoNGHI, Piero della Francesca, in Opere complete, III, Firenze 1963. Questa monografia degli Anni Venti riapre, com'è noto, il di scorso su Piero, un artista diventato, presto, punto di riferimento prestigioso per la cultura figurativa del ritorno all'ordine. 18 c. GINZBURG, op. cit., p. 19. 19 c. GINZBURG, op. cit., p. 75. 20 M. CALVESI, art. cit., p. 92. 21 M. CALVESI, art. cit., p. 92. · 29 22 F. ZERI, art. cit., p. 98.
op. cit., p. 94. op. cit., p. 95. 25 E. H. GoMDRICH, Immagini simboliche. Studi sull'arte nel rinasci mento, trad. it., pp. 47-53. 26 c. GINZBURG, op. cit., p. XVIII. 2J
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GINZBURG,
GINZBURG,
Note sulla Transavanguardia ANTONIO D'AVOSSA
Una riflessione sulla storia recente, sui vuoti e i pieni delle definizioni, sugli itinerari e le enunciazioni teoriche che topo graficamente aspirano più al disorientamento che a percorsi e formulazioni indolori e privi di crocicchi o devianze: il presente lavoro vuole infatti essere, nella sua brevità, una comprensione critica del fenomeno della transavanguardia e dei suoi aspetti più discussi oltre che dalle sue più visibili risonanze. 1. Per non andare troppo indietro e per non rischiare l'abbandono all'alba degli anni ottanta come ad un'alba di
ricominciamenti, ritorni e riflussi, è alla marcatura di alcune pratiche estetiche oltre (ma perché non soprattutto?) ad al cune evidenze teoriche degli anni sessanta e specialmente degli anni settanta che bisogna fare riferimento. 1968/1977: l'opposizione delle due date evidentemente da sola poco significa, se non che le mutazioni erano già prima e sono anche oggi fenomeni da cogliere in modo sottile tra le continuità e le discontinuità dei fatti, nella transizione comunque, nella discesa della curva del teorico certamente. L'arte di quest'ultimo decennio ha attraversato molte prove, anche in rapporto a fenomeni legati ed attinenti alla politica, alle lotte del movimento giovanile e del femminismo, parte cipando ad elaborare una mentalità diversa ed alternativa. Il rapporto con la natura e la cultura ha trovato nel lavoro 31
artistico, la possibilità di articolarsi secondo nuovi modi di pensare, di vedere e di sentire 1• Era quasi l'assemblaggio con il mondo. Si realizzava nel vitalismo dell'uso dei materiali, nell'occupazione fisica dello spazio, nello sconfinamento dalla cornice del quadro, nell'appropriamento cleptomane ed essen zialmente, forse frontalmente, conflittuale con l'atmosfera del reale. La sicurezza cleptomane è infatti dimostrata dall'asso ciazione dei materiali, dall'incrocio dei media, dall'assunzione della citazione come meccanismo concreto e mentale allo stesso tempo. E se allora sono l'arte povera, il comportamento, da una parte, e le ricerche analitiche e concettuali, da un'altra, a caratterizzare il periodo indicato, saranno anche i rigorosi espropri che la critica compie nei confronti delle scienze umane (prima di tutto la semiotica, la psicoanalisi, la socio logia e l'antropologia) a caratterizzare le letture di queste ricerche estetiche, di queste espansioni e di queste concen trazioni, per muoverci ancora (come è necessario in questo caso) all'interno di una struttura bipolare 2• 1968/1977: per riprendere fa parentesi, per riconoscere un nuovo contesto politico e lo scoppio dei nodi ideologici, come un filo che va ritrovato negli aspetti del rifiuto radicale e dell'introiezione (si è parlato, per errore, di ritorno al privato) o di implosione tipici del movimento del '77 che ha (anche) visto l'allargarsi e uno sviluppar-si dell'autonomia organizzata_ a livello di massa 3• � stata infatti la crisi delle forme della razionalità classica e dei suoi modelli politici a far emergere in questi ultimi anni una serie di posizioni che si sono pre sentate come le più forti strategie disgregative di una conce zione storica di tipo linearmente evolutivo. Accanto a questo, e non di lato, si situa anche il declino del politico come cate goria ormai non più praticabile dove l'attraversamento del torrente delle contraddizioni si risolve, culturalmente, nel passaggio dalla formula della contraddizione semplice del l'uno che si divide in due, di maotsetungiana e telqueliana memoria, alla formula della contraddizione complessa del l'uno che si divide in dodici (non a caso il titolo di un'opera 32 che Francesco Clemente ha esposto nel 1979) 4• Ma lo spazio
l'artista degli anni 70 risente il dramma dell'io come entità a più voci e non si preoccupa più né del pubblico né della politica ( ... ) e l'unica salvezza risiede nella posizione eccen trica dell'essere intimo 7, per Achille Bonito Oliva la nuova soggettività si afferma proprio attraverso il suo frantumarsi, il suo affermarsi attraverso l'accidentalità dell'immagine che · non si pone mai come momento unitario e totalizzante ma sempre come visione precaria che non coglie, e non vuole farlo, il senso del mondo e l'idea dell'infinito che lo accon:,. pagna •. :E!., insomma, con questa nuova sensibilità che ci si viene di colpo a incontrare, come a dire che dopo un decennio di dissezione e di annullamento dei materiali e dei linguaggi, che aveva annientato tutte le amplificazioni dei sentimenti, c'è un riapparire delle pulsioni dei dispositivi energetici nel momento in cui passano nelle mani dell'artista (che final mente recupera anche una autentica - perché specifica manualità) che ristabilisce e reinventa tutti quei luoghi che l'arte della neoavanguardia aveva demolito: lo stato di grazia dell'invenzione e il sacro della creazione. Il definitivo abbandono del mito della sperimentazione, e la reale impossibilità di omologare linguisticamente il lavoro degli artisti dell'ultima generazione, coincidono con la deca denza della sincronia e della partecipazione agli altri aspetti della realtà culturale e sociale; questa coincidenza (fisica) è il segno più evidente del decentramento e dell'inaugura zione delle nuove vocazioni dell'arte, non più fondate sull'uni ca base del centro ma sgretolate in un pulviscolo di punti con la sapienza di riuscire ad affrontare il dialogo con il passato e con il presente all'interno di un atteggiamento recente mente avvicinato al manierismo e definito come neo-manieri ristico: L'arte attuale assume del manierismo l'idea della crisi, ribaltandone però l'insito dramma e portando l'opera fuori da ogni competizione col mondo 9• Ed è certamente in torno a questa più generale idea di una impossibile presa diretta sul mondo che si attestano e si sviluppano la ten sione, l'ansia e l'attitudine con cui l'artista dell'ultima gene razione, specialmente italiana, calibra la propria coscienza 34 linguistica; è attraverso l'uso della citazione come ripresa di
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tista ha fatto esplodere una pratica dell'arte dalle connota zioni moralistiche: nessuna riparazione perché non c'è per dita o ferita, o perché è stata totale, e fine della coazione al nuovo perché la linea di sviluppo, a questo punto, non può più essere unitaria e lineare. L'accidentalità di questi percorsi, l'impossibilità di portare unità ed equilibrio, la preferenza per la deriva n, l'intendere l'arte come espressione diretta, rendono il contesto della catastrofe come quello più attuale dell'arte; e in questo pro cedere irregolare non si vive più la paura di darsi intera mente al piacere di errare, di rendersi colpevole, di essere nomade, senza astuzie. L'uso del concetto di catastrofe ci rende meglio l'irregolarità di questi itinerari: L'arte della fine degli anni settanta si presenta positivamente frantumata, disseminata in molte opere, ciascuna portante dentro di sé l'intensa presenza della propria esistenza regolata da un im pulso circoscritto alla singolarità dell'opera creata. Così si de linea il concetto di catastrofe, intesa come produzione di discontinuità in un tessuto culturale retto negli anni sessanta dal principio dell'omologazione linguistica 14• Anche il con cetto di catastrofe, dunque, viene inserito nell'organizzazione dell'arte come rafforzativo di un discontinuo che trascina dietro di sé la questione sfinge della differenza. Di deriva zione matematica - si deve infatti com'è ben noto a René Thom il merito di una sua formulazione metodologica -, la teoria delle catastrofi appartiene ormai ad universi ben più dilatati. Considerabile come un generatore di modelli, da parte dei suoi teorici più agguerriti essa viene rappresen-. tata come una curva chiusa (grafico di una catastrofe teorica) ed è una sorta di linguaggio che permette di organizzare i dati dell'esperienza nelle condizioni più varie 15 ; è difatti pro prio il tentativo ermeneutico di spiegare le nuvole di punti con delle entità matematiche più semplici e più mobili. All'in terno di queste nuvole bisogna entrare con dei parametri na scosti: sono questi parametri che fanno sviluppare l'interesse principale nei confronti dei modelli catastrofici. Il processo di discontinuità.attivato e scoperto da un concetto di differenza libera o liberata mette distanza tra i livelli
della creazione e quelli della produzione e cioè tra il desi derio dell'arte e quello della merce. La catastrofe e l'acciden talità, in effetti, non creano nessun disagio, ma all'interno di un piacere (che si muove lungo i binari della seduzione e della produzione) presentano un'immagine (per noi quella dell'ultima creatività) che lavora le immagini come se l'arte si muovesse all'interno di un film. E se è vero che, natural• mente e meno naturalmente, le attuali derive dell'arte si dirigono verso il lato di un recuperato piacere, è anche vero che il piacere di un'arte desiderata e desiderabile attraversa anche il suo bisogno come una convulsa esigenza di deside rare, percepire e sentire. Contro e al di là dei teorici della sua morte, dei suoi azzeramenti, delle sue misteriosofie e delle sue irripetibilità, le frammentazioni nietzscheane riescono ancora a convin cerci: « Fisiologicamente», l'istinto creativo dell'artista e la distribuzione del seme nel sangue... e Il bisogno d'arte e di bellezza » è un bisogno indiretto delle estasi dell'istinto ses suale da esso trasmesso al cervello. Il « mondo divenuto per fetto », attraverso « l'amore »... 16• Centrata, con le innumere voli contraddizioni che la caratterizzano, l'estrema mobilità dell'attuale produzione artistica, d ritroviamo nel pieno del l'istinto della menzogna e della simulazione che prorompe dall'artista. 2. Che la situazione artistica italiana della fine degli anni settanta sia segnata dalla Transavanguardia è di trasparente evidenza. La mobilità degli stili, la rigogliosa inattualità del l'uso della pittura e del disegno, l'apertura al piacere, la riscoperta di una attività creativa a metà strada tra l'ironia e il senso del gioco, e altre ancora sono le caratteristiche più riconoscibili nelle definizioni date da Bonito Oliva, come l'attraversamento della nozione sperimentale dell'avanguar dia, secondo l'idea che ogni opera presuppone una·« manua lità » sperimentale, la sorpresa dell'artista verso un'opera che si costruisce non più secondo la certezza anticipata di un progetto o di un'ideologia, bensi si forma sotto i suoi occhi
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e sotto la pulsione di una mano che affonda nella materia dell'arte, in un immaginarlo fatto di un incamamento tra idea e sensibilità 17 e come apertura verso l'intenzionale scac co del logocentrlsmo della cultura occidentale, verso un pragmatismo che restituisce spazio all'istinto dell'opera che non significa atteggiamento prescientifico ma semmai matu razione di una posizione post-scientifica che supera li fetici stico adeguamento dell'arte contemporanea alla scienza mo derna: l'opera diventa il momento di -un funzionamento ener getico che trova dentro di sé la forza dell'accelerazione e dell'inerzia 11• L'incontro con queste definizioni avviene dun
que intorno ai termini di un registro difficilmente riportabile alla prevedibilità perché continuamente negata dai processi messi in atto dagli artisti cui la definizione si riferisce. Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino, che sono fra gli innegabili pro tagonisti degli ultimi anni settanta e fra i punti di riferimento dell'inizio degli anni ottanta, si muovono all'interno di questo imprevedibile registro, all'interno di questo campo, transi tando liberamente dentro tutti i territori senza alcuna pre clusione e con rimandi aperti a tutte le direzioni 19• Sono questi i motivi che fanno intendere tale tipo di definizione, la più ardita e la più interessante che ritroviamo nell'ambito italiano, come la specifica assunzione dell'opera quale luogo di transizione, compreso il passaggio da uno stile all'altro, evitando perciò di fissarsi in uno schema fisso, in un continuo slittamento dei procedimenti pittorici, tanto che il figurativo e l'astratto si incrociano insieme alla ornamentazione ed alla rappresentazione. Entrare nel merito delle singole produzioni diventa, a questo punto, obbligatorio. Ma più che l'esame dell'insieme dei percorsi, assai diversi tra loro, che sono stati sviluppati da questi artisti, è su alcuni spessori espressivi estremamente particolari che andremo a puntare l'interrogazione che ci per metterà di ritornare alle definizioni iniziali e di meglio pre cisarne la natura. In questo senso, le prime possibilità ven gono offerte dai lavori di Sandro Chia e di Francesco Cle38 mente. Entrambi sfuggono ad una formulazione da svolgi-
mento continuo perché in entrambi l'indice della « curvatura » delle relazioni tra la pittura (ma anche dell'indifferenza ad essa) e il rischio di un linguaggio in cui è messo in discus sione il linguaggio stesso sono attraversati da una disinibita osservazione mentale. Provenienti da precedenti esperienze post-concettuali (infatti inizialmente il loro lavoro si pone nella linea del taglio tracciata dagli azzeramenti concettuali) ne hanno superato gli stretti recinti eccedendo in una pro fessione di sensibilità che salva un'idea felicemente trasfi gurata. Per altri moduli e per altri sentieri questo procedere appartiene anche al lavoro di Mimmo Paladino. In Chia si ritrovano tutta quella serie di elementi che prima sono stati indicati come le domande che l'ultima gene razione di artisti si è posta, e il suo lavoro si fa padrone (senza nessuna identificazione) delle domande più autentiche: una manualità non separata dall'idea, l'operare su un ventaglio di stili talmente dilatato nelle tessiture che le sue maniere non escludono i significativi movimenti all'interno delle opere di Carrà, Chagall, Cézanne, De Chirico e Picasso; infine, la pre senza di un'immagine, affiancata da un titolo o una dida scalia, che rende il meccanismo dell'opera attraverso figure comiche o drammatiche segnate anche da timbri forti o leg geri. In Clemente, invece, è l'uso delle tecniche e dei materiali ad essere in divaricazione: pittura, fotografia, disegno, affresco, mosaico. Ma è, almeno nelle nostre intenzioni, la passione per un guardarsi da fuori della serie degli Auto ritratti che rende toccante il timore di non poterci mai sba razzare dell'io: è come gettare la maschera della propria soggettività nel momento dell'assunzione dell'immagine di essa. Nuova soggettività, neo-manierismo, citazione ritornano allora sorretti dall'uso di una pittura radicalizzata ai limiti dell'idea dell'arte 20• Ma di pittura solo nei termini di un approdo provvisorio e dove in ogni caso l'immagine e la rappresentazione non conoscono le regole gerarchiche della cultura visiva. Che di ritorno alla pittura non si possa parlare è evidente anche nella lucida esposizione che Mario Diacono costruisce a proposito di Clemente: I tennlnl « im magine ,. e « rappresentazione • non costituiscono affatto va- 39
lori normali che il lavoro di Clemente pone in essere. Se la sua (anche) è un'arte/immagine anziché un'arte/concetto ( ... ) il mezzo « pittura/rappresentazione » è in lui chiaramente finalizzato e strumentale alla costruzione di un senso men tale ( ... ) la problematica non è quella della «pittura», ma quella dell'arte: da questo discrimine teorico segnato da Ko suth intorno al 1969 non mi pare sia possibile alcun ritorno indietro e se in Clemente il disegno emerge appunto solo in quanto significazione, è perché essa si pone in modo nuovo il problema dell'lnnergia, dell'esplicitazione di un parlare dell'energia interna 21. Diverse · 1e radici del lavoro di Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino. In Cucchi c'è da sottolineare l'amore sapiente per il disegno e l'uso di ima pittura pre disposta alle aggregazioni di materia pittorica, ceramica e metallo. Sul lavoro di Cucchi, Bonito Oliva scrive che trova le sue ascendenze nel tessuto di una pittura volutamente minore, legata a un territorio culturale e antropologico stret tamente italiano 22 e che dal punto di vista del linguaggio visivo i suoi punti di riferimento più frequentati sono Sci pione e Licini: dal primo riprende l'usò del colore come sbavatura, dal secondo il senso dinamico dello spazio e la libertà• di collocare gli elementi figurali fuori da qualsiasi riferimento naturalistico. Santo ·delle Marche, Santo di Lo retò, Soluzione divina a Gallìgnano, Grande Uomo delle Mar che, sono alcuni dei titoli delle ultime opere di Enzo Cucchi che ci portano a pensare con più forza al territorio (anche geografico) che vede all'opera la sorgente di energia creativa nei modi avanzati dal riemergere di una specifica idea del genius loci: un'ispirazione che nasce dai luoghi culturali, dal territorio antropologico su cui risiede l'artista ( ... ) una tensione neoromantica che porta l'artista a ritrovare le pro prie radici, ad affermare la propria identità, adoperando un linguaggio che però non diventa mai dialetto, ma resta lingua seppure con varie inflessioni 23• Per Nicola De Maria non differente è l'impraticabilità di qualsiasi interpretazione (velata o chiara che sia). 11 suo la40 voro, fatto per estensioni di pittura sulle pareti o di restri-
zioni a piccole emozioni personali (per questo resta indica tivo lo scorrere dei titoli delle sue opere), è il risultato della costante preoccupazione di sottolineare invece i luoghi mi steriosi della sensibilità 24_ Intorno al lavoro di Mimmo Paladino rispunta l'evidenza dei segni di una pittura di superficie e di una pratica di attraversamento delle esigenze più rarefatte della tradizione offerta dall'opera di Kandinsky, Klee e Picasso; ma accanto a questi intimi risuoni c'è anche . il motivare le pause di riflessione con una alterazione delle ragioni di cui l'opera rende frequentemente la forza 25• Come elementi strutturali della soggettività, che i giovani artisti italiani trasmettono nell'opera, Achille Bonito Oliva indica: la mutevolezza, la provvisorietà, la contraddizione e l'amore per il particolare. La mutevolezza è data dal carat tere transitorio dello stile che non è mai assicurato dall'idea di continuità e di stabilità. ( ... ) La provvisorietà è nella fat tura dell'opera che non si attarda mal in un perfezionismo accademico ma è sempre in transito tra la pulsione del fare e la stabilità del risultato. ( ... ) La contraddizione nasce pro prio dal desiderio di non lasciarsi chiudere nella geometria di una coerenza legata ad un'idea del mondo fissa, bloccata dall'ideologia ( ... ) L'amore per li particolare è l'esigenza di cogliere piccole sensazioni e piccoli pensieri 26• Infatti è Io slargarsi di questi aspetti nei singoli temperamenti degli artisti a permetterci la riflessione sulle possibilità delle at tenzioni che l'attitudine sostenuta dalla transavanguardia ri porta all'indefinitezza di un'area che accomuna gli artisti non per tendenze ed affinità linguistiche, bensl per atteggia• mento e filosofia dell'arte che punta sulla propria centralità e sul recupero di una sua propria ragione interna, ( ... ) e che inoltre non vanta li privilegio di una genealogia a senso unico ma una, invece, aperta a ventaglio su antenati di diversa estrazione e provenienza storica n. E: questa· indicazione a chiarirci ancora di più il senso di una definizione che, facendo piazza pulita �i altre letture, ha portato alle presenze italiane che più caratterizzano la mobilità dell'attuale produzione nella mostra Aperto 80 della XXXIV Biennale di Venezia dove, non 41
per caso, erano presenti anche i lavori di Mimmo Germanà ed Ernesto Tatafiore. Il lavoro di Germanà, siciliano, vive infatti una sorta di rivisitazione del calore mediterraneo attraverso i colori. Le sue tele completamente piene di colore relazionano le figure e i paesaggi che si orientano spesso intorno a storie mitiche siciliane. Quando dipingo un quadro, dice Germanà, aspetto quasi che proprio il colore abbia la necessità di prendere quella forma; che è, in fondo, un modo per riproporre una pittura a metà strada tra le formule della tradizione italiana e la temporalità che le vede in trasformazione 28• Tatafiore, invece, con le allusioni alla storia, che lo ve dono operare intorno ai luoghi più narrati della Rivoluzione Francese sfiorati dalla possibile irruzione delle fascinazioni naufragate (uno dei suoi ultimi lavori è intitolato Titanic), ritrova tra disegno e illusione di esso un problema di assai più vasta portata: dipingere la storia nella direzione di un'apertura a tutti I fermenti, agli stimoli, alle crisi, alla realtà, alla vita ( ... ) con l'opportunità di esprimersi e con temporaneamente guardare al passato 29• Anche gli ultimi lavori di Nino Longobardi si sono posti, con la prepotenza di una qualità inedita, all'interno di questo atteggiamento. Nelle sue più· recenti esposizioni ha infatti reso più stretti i legami di un'attività estremamente liberata e diversificata. La sua dimostrazione è nel recupero di una materia pittorica a volte sgradevole, anche sporca, come quadri e da osteria», in assoluta libertà, senza controlli per la composizione 30•
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3. C'è da dire, a questo punto, che l'idea dell'emergere di una nuova generazione (non in senso anagrafico) che ha stra tegicamente conquistato gli spostamenti dei procedimenti creativi passando (in crescita) sulla complessità linguistica della transavanguardia si è fatta in quest'ultimo periodo più concreta 31• Tra le più significative presenze, limitandoci alle aree geo grafiche sicuramente più vivaci (Napoli e Roma), di notevole interesse sono le esperienze di Maurizio Cannavacciuolo, Pa-
trizia Cantalupo, Bruno Ceccobelli, Ernesto D'Argenio, Gianni Dessl, Stefano Donati, Pietro Fortuna, Felice Levini, Enrico Luzzi, Roberto Pace, Enrico Pulsoni, Donatella Scalesse e Marco Tirelli. Come i portatori dei multiformi linguaggi di un'arte che non trova assestamento, perché di nomadismo e di riflessione impulsiva si nutre e vive, questi artisti esaspe rano in precipitazione le condizioni visive della transavan guardia rivolgendo le evidenti contraddizioni del fare pittura oggi al proprio interno o ad un esterno vicino, quindi dalla citazione all'immagine, per la figurazione o l'astrazione, ri propongono il problema dello stile, forse il più emblemati camente dichiarato dalla esperienza della transavanguardia, attraverso condensazioni e spostamenti di linguaggi. Cannavacciuolo frequenta, con un lavoro di pittura d'im pronta pop rivista alla luce di un disimpegnato. umorismo, i temi delle nuove generazioni (discoteche, bar, isole tro picali, etc.); Patrizia Cantalupo rivolge uno sguardo iperbolico ad architetture in fuga e per prospetitve infantili; Ceccobelli sconvolge di frequente le aggregazioni di materiali all'interno di un attraente aumento di superficie e volume; in D'Argenio si intravede una durezza espressiva indiscreta come strano risultato di effetti intimi dolci per un dipingere oltre i confini della pittura stessa, quasi un galleggiare tra le varie possi bilità della figurazione e della rottura del suo schema; Dessì dichiara un'astrazione unita ad interventi figurativi e scrit turali; Donati dall'ambiguità figurativa apertamente emer gente si sposta verso un fondo che è di memoria e di incon scio; Fortuna si muove per gesto veloce e di riempimento, l'astrazione è spessa, l'impronta rappresenta un mezzo di identificazione; Levini colora con emblemi e sim�oli la fred dezza e la lucidità di una pittura divertentemente svagata; Luzzi si rintraccia all'interno di pieghe meditate come in una lenta costruzione di qualità interiore; Pace rispetta i termini di una ipersensibilità dovuta al privilegio di uno sguardo ispirato; Pulsoni con materie pittoriche eterogenee sviluppa in altezza un pensiero di pittura di stampo medievale; Dona tella Scalesse usa su ampie superfici la gelidità piatta del colore acrilico in una costante ripetizione di forme disegnate 43
e dipinte; Tirelli, nello spessore materico di segni arcaici solo nelle apparenze, polverizza la possibilità di un andare avanti che non sia anche un tornare indietro. Altre significative conferme, di un inventario che per mo tivi silenziosi si è ristretto nelle aree, sono le pratiche pitto riche di Marco Del Re, Daniele Degli Angeli e Fabio Peloso. La pittura di Del Re, rivolta ad allusive architetture di un'Italia metafisica e futurista, è costruita per ciminiere senza soggetti e per bandiere senza aste che sono quasi ap prensioni colorate per potere esercitare ancora su tela la pro pria distanza da paesaggi passati attraverso il filtro della cita• zione. Degli Angeli mantiene la forza delle sue materie riu tilizzandole in regressioni personali visivamente favolistiche ed a volte amorosamente quotidiane, come nel caso dei suoi disegni esplicitamente ed autobiograficamente erotici. Peloso raggiunge i luoghi più imprevedibilmente nascosti dell'auto matismo e della macchinosità ripetitiva di una radicale deco razione.
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· Ora, se è possibile muoversi, l'unico modo sarà quello cli un movimento indecisamente restante nel tour de farce che si è iniziato ricamando intorno alla chiusura del cerchio delle avanguardie e delle neoavanguardie. Ma di ricamo e non di nodo si tratta. Di ricamo con movimenti a rosone impercet• tibilmente decentrati e allontanati uno dall'altro proprio come l'arte che si è avviata ad essere. Allora, nessuna sicurezza di continuità perché mai come oggi la contraddizione del• l'opera d'arte è lampante, essa si perpetua nella manifesta zione di una quasi-presenza perché convinta di rappresentare possibilità più che storiche. Tra origine e fine dei rapporti di parola, dei rapporti sociali esasperati, le relazioni sono sovranamente buie, nella lumi nosità delle opere sono invece eccezionalmente chiare. Qui trova nutrimento la contraddizione. Non c'è più la distinzione tra la superficie e la profondità perché non c'è più spazio tra un vedere particolare e un vedere totale. I rapporti di parola nella loro esasperazione si sono fatti portatori di seduzioni mentre l'artista, se prima non poteva, ora non wole parlare
linguaggi della transavanguardia in una pratica critica estremamente singolare e pertinente. Su questo si confrontino anche i volumetti editi da E. Mazzoli Editore nella collana Con/Arte. Tra i commenti più centrali all'uscita del volume La Transavanguardia Italiana c'è da se gnalare E. Coc:UCCIONI, Il privilegio del recinto, in e Segno•, n. 19, gennaio-febbraio 1981, pp. 14-15. 19 A. BONITO OLIVA, La Transavanguardia Italiana, cit., p. 52. 20 Tonto, Autoritratto come un giardino, Autoritratto senza lo spec chio, Autoritratto con lo specchio di Clemente trovano (perché salta in primo piano) il loro precedente più problematico nelle pratiche dell'autoritratto manierista (si pensi all'Autoritratto allo specchio con vesso del Parmigianino) dove l'autoritratto non coglie l'atteggiamento generale dell'artista, bensì l'attimo del riguardarsi per dipingersi, UD momento che è preliminare al dipinto e corrisponde più puntualmente al dipingersi. A. BONITO OLIVA, L'ideologia del traditore, Feltrinelli, Mi lano 1976, p. 177. 21 M. DIACONO, Presentazione al catalogo della mostra di Francesco Clemente, Roma 1980. Si veda anche l'interessante serie di osservazioni a questo proposito, anche se in una sede consacrata alla recente situa zione statunitense, espresse da P. SERRA ZANETII nel suo articolo U.S.A. New Work/New York, in e Meta•, n. 3, Febbraio-Marzo 1981, dal quale abbiamo ripreso il brano di Diacono. 22 A. BONITO OLIVA, La Transavanguardia Italiana, cit., p. 63. 23 Io., Genius Loci, presentazione al catalogo della XIV Rassegna Internazionale d'Arte, Acireale, 1980 e Ferrara 1981. 24 G. CELANT, La fenice di Nicola, in e Domus•, n. 607, giugno 1980, p. 50. 2S Su Mimmo Paladino si confronti l'elegante testo di T. TRINI, Mimmo Paladino, la lingua Mozart, in e Domus•, n. 615, marzo 1981, p. 50, da aggiungere all'orizzonte tracciato dalla recente intervista rea· lizzata da Francesco Vincitorio nella sua rubrica La parte dell'occhio, in «L'Espresso•• n. 27, 12 luglio 1981, p. 87, dove Paladino ricono scendo come padre indiretto Mario Schifano, dice: DI lui - adesso più che mal - ml piace il suo eroismo passivo, quella specie di piccolo, minimo gioco poetico. Forse è per questo che amo anche certi pittori minori medievali, il loro Intimo e piacere della pittura•· E di fre quente ml viene In mente Pasollnl attore, che In UD film Interpretava la parte di un pittore di affreschi. Era uno strano fantasma di pittore e s'Intuiva subito il suo particolare rapporto, 11 suo segreto bruciarsi nel lavoro. Appunto come Schifano. .2 la mia stessa idea dell'arte, anzi dell'artista. 26 A. BONITO OLIVA, La Transavanguardia Italiana, cit., p. 59-60. TI Io., Genius Loci, cit. 28 « Si sta già trasformando... •• colloquio con Mimmo Germanà, in e Domus •• n. 610, ottobre 1980, p. 54. 29 Conversazione di Ernesto Tatafiore con Michele Bonuomo, in e Attraverso sei mostre», Amelio Editore, Napoli 1981, p. 14. JO Conversazione di Nino Longobardi con Michele Bonuomo, in e Attraverso sei mostre•• cit., p. 12. li Sulla nuova generazione di artisti rinviamo a I. MUSSA, Le avventure della pittura nella nuova scuola romana, in e Flash Art•• n. 103, maggio 1981, pp. 43-45; A. BONITO OLIVA, La porta dell'attimo, in e TAIDE. materiali minimi•• n. 2, maggio/agosto 1981; A. BONITO OLIVA, In trecci, in « Flash Art », n. 104, estate 1981, pp. 27-30. Sulla recente situazione napoletana rinviamo al colloquio dal titolo L'arte bagna Napoli tra A. Bonito Oliva e L. Amelio, Amelio Editore, Napoli 1981.
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