Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea
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Edizioni • Il centro ,. di Arturo Carola
A.
TRIMARCO,
Dall'America. Warhol e Kosuth
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G. D'AMATO,
Il design dell'« altra avanguardia,.
S.
L'Intemational Style cinquant'anni dopo
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Libri, riviste e mostre
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VII.URI,
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Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Roberta Amirante, Gabriella D'Amato, Benedetto Gravagnuolo, Maria Luisa Scalvùù, Sil vana Todisco.
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Dall'America. Warhol e Kosuth ANGELO TRIMARCO
1. Troppo a lungo si è insistito sulla diversità Europa/ America. Sull'arte europea legata, di volta in volta, all'ideo logia e all'utopia, alla lotta di classe e alla speranza in un mondo migliore. Sulla cultura artistica americana più disin, cantata e cinica, meno patetica e senza ansie di riscatti o di rinnovamenti sociali. Di questa lacerazione (naturalmente schematica e forse grezza ma sicuramente non del tutto falsa) non c'è dubbio che i campioni ci sono apparsi per tanto tempo Andy War hol e Joseph Beuys. Ci è sembrato che potessero rappre sentare, proprio per le loro decisioni estreme, due modelli di intendere l'arte e la vita, due pratiche differenti. Tanto diverse che, pur non potendosi neppure sfiorare, si possono però mettere a confronto. Un faccia a faccia che, in vero, non è mancato quando Andy Warhol ha congelato Beuys in tre grandi ritratti proprio come anni prima aveva fatto con Marilyn Monroe con Liz o con Mao, con Marlon Brando. Insomma, quando anche Joseph, uomo e angelo insieme, ani male e uomo al tempo stesso, è penetrato nella sconfinata distesa di persone e cose raffreddate nel silenzio di una posa o nell'immobilità di un gesto, gettate infine nell'anoni mato. Mentre questo accade inevitabilmente ritornano quelle parole lontane dette a Swenson da Warhol alla fine dell'au tunno del '63. « Mi resi conto che qualsiasi cosa stavo fa. cendo doveva essere morte ». dunque, da . questa morte 5
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che Warhol è partito per costeggiare personaggi e leggende, per consegnarci immagini senza vita e senza amore, per pa. reggiare Jacqueline Kennedy ai grovigli di rottami e alla Campbell's Soup, per allineare Beuys al vuoto disperato delle
Blue Electric Chairs. Ora, dopo Beuys, è il turno di Giorgio de Chirico, greco cli nascita, con amori profondi per la cultura tedesca e fran• cese (oltre naturalmente che italiana). I nomi che si citano sono quelli famosi della décadence, anzitutto il pensiero di Schopenhauer e poi quello di Nietzsche. E con loro, com'è opportuno, i grandi visionari da Bocklin in avanti. I rac cordi luminosi, dunque, della civiltà filosofica e artistica più recente che ha in odio le grandi narrazioni e il permanente. Ma allora perché de Chirico? O ancora meglio perché Warhol verso de Chirico? Certo, tra tutti gli artisti cli que sto secolo, Giorgio de Chirico, più di ogni altro, suggerisce Bonito Oliva, ha lavorato « a uno stereotipo alto che affonda nella storia dell'arte e che trova il proprio riscatto nella ma nualità esecutiva dell'artista che, ripetendo la propria imma gine, ne rifonda attraverso l'esecuzione la qualità e l'inten sità epifanica: de Chirico manierista di se stesso ». L'imma gine di de Chirico che la critica ha ricostruito in questi anni è senz'altro orientata nella direzione delle ricerche che, con intenzioni diverse, ripensano l'arte come territorio sconfinato di pezzi da montare e rimontare, da citare e tornare a riper correre, da usare come si adopera qualunque aJtra immagine del paesaggio metropolitano. Da questo luogo de Chirico è diventato una porzione di storia privilegiata, come privile giato è risultato l'insegnamento, lungo tutti gli anni Sessanta e oltre, cli Màrcel Duchamp. · Dunque, nell'epoca della parabola del teorico, non più Ducharnp ma de Chirico. Non più un'esperienza che riflette sull'arte e la vita, sui linguaggi dell'arte e sulle tecniche della vita ma piuttosto un modo di fare arte che ritrova lo stereo tipo come bene prezioso, la ripetizione come movimento im percettibile, il museo come elezione del già fatto e del già accaduto. Che ritrova, dunque, il passato per pensare senza 6 futuro, perché ogni cosa si gioca sulla superficie del presen-
te, sotto lo sguardo crudele di Medusa. Del resto l'incontro romano di Warhol con de Chirico è avvenuto appunto sul registro della ripetizione e del già accaduto. Infatti i Mobili nella valle sono del 1962 e Le muse inquietanti del '60 men tre del 1950 i mitici Ettore e Andromaca. Insomma, Warhol lavora de Chirico sullo stereotipo, lo sorprende nel gesto della « citazione e dell'autocitazione"· Sorpassando, quindi, la vec chia querelle di un primo tempo dechirichiano folgorante e del grande tradimento a partire dagli anni trenta: è la tesi formulata con asprezza da Breton (credo prima di ogni altro). Certo, se in Warhol vengono meno la qualità e la tensione ar tigianale per la buona riuscita dell'opera, il gusto dell'ironia e della sorpresa, la gioia dello choc, è perché è caduto l'ul timo puntello: il mito dell'Opera e la leggenda dell'Autore. Quel de Chirico pinxit che non manca a contrassegno della lunga vita di questo greco pellegrino per l'Europa della fine della metafisica. L'idea di Warhol è che, invece, l'arte è sol tanto una metafora (per niente privilegiata) della desolata morte americana e che l'autore deve scomparire per lasciare il posto all'anonimato, a ciò che non ha nome, che non si chiama e che non può essere detto. Sempre a Swenson, in quel fatidico novembre del '63, ha confessato: « Penso che qualcun'altro dovrebbe essere capace di fare i miei quadri. Non sono riuscito a fare tutte le immagini chiare e sem plici e uguali. Penso che sarebbe fantastico se più persone si servissero del silkscreen così che nessuno potesse ricono scere il quadro mio da un altro ». Non c'è dubbio, allora, che questo « tipo di figurazione fredda, dove anche il pathos e le stesse situazioni tragiche si presentano in forma anestetizzate» (Boatto) si trovi all'ini zio (se un inizio c'è mai stato) della condizione postmoderna. E non Cage, come c'invita a credere Lyotard. Non Cage per ché quell'Opera sua capitale, Silence, si riempie attimo per attimo dei rumori e della totalità della vita. 2. Se in Cage, in sostanza, l'arte smette il ruolo di lin guaggio separato dal flusso dell'esistenza, se la Vita e l'Arte si pareggiano, in Warhol si frantuma senz'altro anche questa
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illusione. Il discorso non riguarda più ora l'arte e l'esistenza, l'esercizio di un sistema di segni specializzato e l'andirivieni incerto e precario, felice e doloroso del vivere, le sue cadute e i suoi risanamenti, ma un'altra questione: il legame dell'arte con i media. Meglio il problema dell'esperienza artistica che, usando le tecniche e i modi dei mass-media, non si distingue alla fine dal loro dominio. Anzi, in Warhol, la tensione è che l'arte diventi media nel segno, si è detto, dell'anonimato e della lucentezza della superficie, del senza nome e del già accaduto, del già visto, di ciò che non si dice e di ciò che è anestetizzato. Warhol non esprime più, dunque, nell'epoca della fine della metafisica, la « morte dell'arte in senso forte e utopi co » ma in « un senso debole, o reale »: testimonia, cioè, del l'estetizzazione « come estensione del dominio dei mass-me dia », come occupazione quotidiana del Kitsch. Così, è proprio dalla scena americana che, oggi, giunge una risposta all'apologo warholiano. Se non una risposta, almeno l'indicazione e il suggerimento di un percorso diver so. Dunque, non più l'opposizione netta, frontale, che taglia nel mezzo le cose, di Joseph Beuys, che ritrova ancora nel politico (fosse pure nell'ecologia dei Verdi) ragioni per ali mentare lo spirito d'utopia, ma il ragionare paziente, cauto, di Joseph Kosuth. Si tratta, questa volta, non del dilemma sto• rico, epocale, Europa/America, ma di due generazioni a con fronto, che hanno attraversato (e stanno viaggiando) dentro il sogno americano che è divenuto appunto la morte americana. Warhol è nato quando Beuys aveva nove anni e Kosuth, della generazione del 1945, non credo che abbia fatto a tempo a vedere in diretta le prime opere di Andy, all'ingresso de gli anni Sessanta. Warhol, la pop art, l'arte europea, Kosuth li ha, dunque, studiati, analizzati, provati e riprovati più tar di. Come ha pensato e meditato il contesto culturale e filoso fico di questi anni decisivi. La filosofia del linguaggio, anzi tutto, e il lungo, accanito, dibattito sulle teorie emotive e cognitive dell'esperienza estetica. Ne reca testimonianza quel testo emblematico del 1969, non a caso intitolato Art after Philosophy: uno scritto che si apre con la celebre affermazione che « l'arte è analoga a una proposizione analitica e...
solo un'arte tautologica può tenersi a distanza da presupposti filosofici». Una dichiarazione che mette radicalmente in que stione la funzione della filosofia come sapere assoluto o come rigoroso discorso scientifico a favore dell'arte, distinta sec camente dall'estetica che·« concerne le opinioni sulla perce zione del mondo in generale ». Mentre al contrario, essere � artisti significa interrogare la natura dell'arte», « sviscerare tutte le implicazioni di tutti gli aspetti del concetto di arte». È la stagione conceptual di Kosuth segnata dalla tautologia e dal contesto, dalla semiotica e dalla filosofia del linguaggio, dall'assoluto della logica che sfiora, alla fine, l'ebrezza del silenzio e del mistico. Una soluzione che rende profetico il detto di Sol Lewitt: « Gli artisti concettuali sono dei mistici piuttosto che dei razionalisti ». Una vertigine che Kosuth in terrompe nel 1975, dopo The Tenth Investigation, per l'in trecciarsi, appunto, di due motivi: per la riduzione progres siva dell'arte concettuale a una variante dell'arte d'avanguar dia e del modernismo e per la necessità di cogliere nessi sem pre più stretti fra arte, storia e antropologia. Per eludere, dunque, il Modernismo, il Misticismo, lo Scientismo. Con Kosuth, alla metà degli anni Settanta, si ha una delle prime e più lucide riflessioni sulla fine del Moderno e, insieme, sul Post-Modero (che è termine lungamente adope rato dall'artista). Per Kosuth il Modernism è il territorio dello scientismo, il tempo della tecnica e del suo dominio, il luogo d'elezione della neutralità e del disimpegno, dell'acca demia e della burocrazia. Di questa condizione l'arte ame ricana, dalla pop al Photo-realism, e quella europea sono espressione e rappresentazione puntuale. Il Photo-realism, per esempio, interiorizzando l'ironia pop, non è che la glori ficazione dell'obiettività fotografica e dell'oggettività mecca nica. Al punto, avverte Kosuth, che « l'obiettività meccaniz zata, dipinta a mano, del Photo-realism, finisce in una frode senza problemi, naturalmente, quando ci si rende conto che gli imbrogli selezionati di una realtà intravista sono glorifi cati». Nella frode, appunto, della « perfetta visione burocra tica dell'obiettività». La critica al Modernism investe, dunque, l'oggettività per- 9
versa della presenza, la glorificazione del dato, l'amplifica zone dell'empirico, così come corrode tutte le forme dell'arte europea. fiorite nel segno del vissuto e della partecipazione, del rito e del mito. Tanto da dire, già al tempo di Art after Philosophy, che « l'arte diventa seria come la scienza o la filosofia, che non hanno certo un pubblico. Nella misura in cui si partecipi o no, l'arte concettuale diventa più o meno interessante. Nel passato, lo status privilegiato dell'artista lo confinava a svolgere il ruolo di un grande sacerdote o di uno stregone dell'industria dello spettacolo». Scientismo e Spettacolo sono, allora, i due versanti del Modernism, le sue malattie incurabili. Ma com'è possibile (e con quali soluzioni) abbandonare l'ala fredda dell'oggettività e dell'analitico e insieme il mito e la stregoneria del vécu? Soltanto ritornando a stare dentro, a impegnarsi, a compromettersi con la prassi, a centrare un punto che non riduca lo sguardo ad osservazione e a catalogo. Ma .cosa può significare ai nostri giorni stai·e dentro e non essere disimpegnati, « dis-engaged», o non sentirsi lontani, alienated? È, questo, il filo che scorre e si aggroviglia per tor nare a svolgersi in The artist as anthropologist: un saggio nel quale Kosuth elabora appunto l'idea che « l'artista è un mo dello dell'antropologo impegnato». Giusto alla metà degli anni Settanta, Kosuth, abbando nando i riferimenti culturali a lui più vicini (o, forse meglio, ridefinendoli profondamente), getta la vista sull'antropologia, così come si è configurata nel lavoro di Stanley Diamond e Bob Scholte. « L'antropologia di Diamond e Scholte non è inclusa in questa generalizzazione ... In verità, il loro ruolo di antropologi richiede che siano impegnati», pretende che la loro esperienza non stia « al di fuori della cultura che studia» ma che diventi « parte della matrice sociale ». Uno stare den tro e un diventare parte che non vanno confusi, però, con la partecipazione e il vissuto degli artisti del comportamento e della body art, con la partecipazione prossima al rito e al l'ebrezza mistica, all'acutizzarsi della sensibilità e del senso rio, a un momento di gioia irripetibile (perché ha la leggerezza 1 O dell'effimero).
L'impegno, lo stare dentro, la comunità di cui parla Ko suth (e con lui l'antropologia marxista di Diamond e Scholte) è tutt'altra cosa. È un'analisi rigorosa· della scienza come -di sciplina neutrale, come catalogo oggettivante di fatti e dati, di nomi e rituali, di gesti e parole. È il legame profondo, so prattutto, fra antropologia e storia (« L'antropologo deve es• sere uno storico», consiglia Diamond). È, per altri versi, il progetto che l'arte stessa debba essere storia, proprio attra verso la mediazione dell'antropologia: di una disciplina, cioè, che ha definitivamente liquidato ogni residuo scientista e la leggenda della neutralità. 3. Per Kosuth, dunque, il passaggio dal Modernismo al Post-Modern dice che « l'arte non è né al di sopra né oltre l'esperienza vissuta», ma che anzi, « in quanto riflessione im pegnata (socialmente mediata)..., (è) innestata nel mondo», intrecciata saldamente al groviglio del vivere (« It is part of it»). Un profondo radicamento nel mondo, ·uno starvi dentro ed esserne parte, un aggrovigliarsi nella prassi che, del resto, aveva già suggerito a Kosuth l'idea, al tempo di The artist as anthropologist, del Post-Modern come para-Marxist situa tion: un'idea che più di recente ha sensibilmente smorzato, come vedremo. A Kosuth non è sfuggito, infatti, che il cammino del Post Modern si è orientato verso l'indifferenza dei linguaggi e la manipolazione della storia, verso la presenza del passato come gioco infinito di forme e di luci piuttosto che verso l'analisi e l'approfondimento dell'arte come pratica critica (criticai practice). Ha guardato lo sfiorire del teorico, il suo lento (inarrestabile) declino e l'insorgere, al posto suo, del manierismo che si accompagna a Superman e a Gordon Flash. Si è reso conto che questo transito (dal Moderno al Post Modern) ha lasciato una « sorta di vuoto generalizzato per quanto concerne il· significato». Di questo vuoto il tornare a dipingere è certamente un indice preoccupante e, al tempo stesso, emblematico: il segno dell'inerzia e di una « acritica celebrazione di virtù pittoriche del passato », la svalutazione di quelle stesse « tradizionali 11
qualità pittoriche per l'impiego di una tecnica scadente e per l'intenzionale scardinamento di un concetto passato di qua lità». La testimonianza, estrema forse, che la pittura sta mo rendo o è già morta: « Questo lavoro non è né riflessivo ni esterno, ma ingenuamente interiorizzato; in breve esso si at tualizza in una sorta di infermità finale». Una infermità che è assenza di rapporto critico e perdita di valori sociali, di tensione politica. :F:. appunto il declino del teorico, l'assenza di rapporto cri tico come preferisce dire Kosuth, che impedisce all'arte di « situarsi storicamente assumendosi la responsabilità dei si gnificati elaborati», del sapere proposto. Significati e sapere che, naturalmente, per Kosuth, non trascendono il proprio tempo ma sono l'esito di una lotta che si gioca in una precisa situazione storic�ulturale, in un contesto (Within the con text). Ecco perché, si legge amaramente in Necrophilia mon amour, « il 'vuoto di significato' causato dalla scomparsa del discorso precedente (il Modernismo) e, per lo meno finora, l'evidente mancanza di alternativa ('post-Modernismo' è più una nozione che un vero e proprio discorso) ha fatto sì che New York derivi il proprio significato dai movimenti del mer cato dell'arte». Un vuoto di significato che crea, però, in America e in Europa effetti profondamente diversi: effetti legati alla lunga durata di queste storie. :E:., in fondo, l'ultimo appiglio storici stico di Kosuth (che non rifiuta né la parola né il concetto). « Questo 'ciao, ciao' al Modernismo vuol dire che un Europeo può sempre trovare nella propria cultura un contesto nel quale inserire il proprio lavoro, ma gli americani, al solito, dovranno ripartire da zero». Insomma, al di là della qualità e del valore delle loro opere, « Chia e Clemente avranno meno problemi di Schnabel e Salle » per il fatto che « la migliore arte contemporanea italiana non ha mai perso di vista la pro pria storia o il proprio patrimonio culturale ». Così, Joseph Kosuth, all'ingresso degli anni Ottanta, di fronte alla perdita di significato dell'arte e allo splendore delle sue forme, di fronte alla caduta della pratica critica, 12 smorza gli entusiasmi per il Post-Modem e torna a riflettere
sul progetto moderno. Torna ad interrogarsi sul suo senso, si chiede se, dopo tutto, quel programma è definitivamente fuori corso. « Una volta negata la visione storicistica del Moder nismo... cosa faranno gli artisti americani... - o anche quelli che solo s'interessano d'arte - di fronte alla quasi totale scomparsa di significato?». La posizione di Kosuth è singolarmente vicina a quella di Habermas (che del resto conosce e cita). Ma non nega, pro prio per il richiamo alle culture locali, l'esperienza della trans avanguardia, che fa del genius loci il suo nume tutelare, ap punto. Da questa soglia difficile (dalla fine del Moderno e dagli inizi del Post-Modern) Andy Warhol e Joseph Kosuth, ame ricani di due generazioni, ci mandano parole e segnali diversi, suggestioni e indicazioni incompatibili. Così che l'anonimato e il bisogno di significati, lo stereotipo e la pratica critica, la ripetizione e il contesto, i media come villaggio globale e le culture locali, la morte e la storia, ci appaiono come ma teriali su cui riflettere ancora senza preconcetti.
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1980.
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Il design dell' «altra avanguardia» GABRIELLA D'AMATO
I referenti del design ··Da un punto di vista semiologico l'oggetto o gli oggetti, designati da una espressione, formano il suo referente 1; ora, ammettendo che un oggetto di design sia un segno, questo dovrebbe essere l'unione di un significato e di un significante senza rimandi ad .alcunché di esterno. D'altra parte essendo la denotazione la relazione del segno con la cosa, dovrebbe anche essere possibile rintracciare l'eventuale processo di denotazione tra l'oggetto di design e il termine (il referente appunto) cui esso rimanda o da cui nasce, almeno per i suoi aspetti formali. Rimanendo ancora nell'ambito linguistico, è noto che il referente, la realtà, non è necessariamente •la,. realtà, «li,. mondo. Le lingue naturali hanno infatti li potere di costruire l'universo al quale si riferiscono; possono quindi costruirsi un universo di discorso immaginario 2• Per quanto riguarda l'oggetto di design, richiamandoci ad un recente studio ap parso su questa rivista 3, possiamo affermare che esso è ca ratterizzato da due fini, uno immediato ed osservabile, coin cidente grosso modo con la sua funzione, ed uno mediato e non osservabile, corrispondente ad un livello metaoperativo, vale a dire ad un livello che contempla la capacità di operare su operazioni. Tale componente che può sopravanzare l'altra, come nel caso di opere artistiche, o interpretare una rappre sentazione simbolica, comunque è responsabile in parte dei 14
mutamenti formali degli oggetti, che nel loro consumo non possono essere dettati esclusivamente dal cambiamenti delle
esigenze funzionali le quali, sebbene si vadano evolvendo e specializzando, almeno all'origine sono piuttosto limitate e non suscettibili di grandi variazioni•. Inoltre, anche quando si dà il caso che la componente funzionale è compresente con .quella simbolica, ciò non vuol dire che non sia lecito ammeta tere, « anche » in tal caso, la possibilità di un'investitura se mantica, né tanto meno che questa vada ricercata nella di rezione della funzione; anzi, tanto più necessaria e perti nente appare l'individuazione e l'esame proprio di ciò che travalica la destinazione d'uso, di quel « residuo ,. che non è immediatamente riportabile agli scopi pratici assolti dall'og getto e che consente di distinguere, sul plano della significa zione, manufatti suscettibili di una medesima definizione fun. zionale 5• Si può peraltro ancora dire che, grazie proprio alla dimen sione metaoperativa, l'oggetto funzionale si presta ad un'ul teriore elaborazione (l'iconizzazione) che lo trasforma da « strumento per ,. in « immagine di •· Tale elaborazione ri sulta chiaramente di tipo metaoperativo, essendosi ormai di• stanziata anche dagli scopi mediati ( dalla funzione pratica) mirando infatti esclusivamente a produrre.•. « l'illusione re ferenziale • che lo trasformi in « immagine di • 6• In questa sede, quindi, vogliamo indagare se la funzione referenziale del segno-oggetto abbia dei referenti che non siano necessariamente la realtà bensì un universo culturale capace di caratterizzarla. La sfera delle arti figurative ci sembra senz'altro la più idonea ad essere scandagliata, in primo luogo, perché già di per se stessa è capace di sussu mere e trasformare la realtà oggettiva in un'altra realtà ca rica di significazione e, in secondo luogo, perché, non fos s'altro ·che per la tanto ricercata unità delle arti, ha da sem-· pre costituito un nodo fondamentale per la problematica del design.
Il design e l'avanguardia del disordin�· A questo punto bisogna tuttavia decidere l'ambito della fenomenologia artistica a cui riferirsi e venire alla questione
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fondamentale del nostro discorso. Non è certo il rapporto tra le arti figurative e il design del progetto globale del Bau haus, di De Stijl e del costruttivismo quello che va dimo strato. Infatti è sin troppo evidente come intenti, programmi, presenze stesse di artisti nei due ambiti del design e della ricerca figurativa abbiano provocato un'osmosi tra l'avan guardia corrispondente ad un'istanza razionale e il design stesso. Ciò che invece si vuol dimostrare è che tale legame ha continuato ad esistere, anche quando si è andata scardinando la fiducia nella progettualità, con tendenze dell'« altra avan guardia» facenti leva sull'immaginario, l'irrazionale, l'antico struttivo. In altri termini va chiarito se bisogna condividere quell'interrogativo di Dorfles il quale si chiedeva: a cosa si deve attribuire il fatto che l'astrattismo costruttlvlsta e neo plastlclsta avesse un'analogia, un'affinità coll'oggetto Indu striale dell'epoca bauhauslana, mentre nessuna affinità ap pare tra l'odierno oggetto di disegno industriale e la pittura Informale o la scultura materica? 7• Per quanto riguarda l'informale, Argan, sia pur in termini prevalentemente problematici, avanza l'ipotesi che non vi sia un divario incolmabile tra un quadro informale e un oggetto di industriai design. Il quadro informale - egli sostiene è un oggetto prodotto senza un progetto; l'oggetto disegnato non solo è il prodotto di un progetto, ma è un progetto, o meglio, la stampa o il calco di un progetto, come I « blue prints ,. degli architetti. Conserva, cioè, Intatto il carattere del progetto: e In quanto è il superamento di un tipo pre cedente e contiene la possibilità del proprio superamento In un nuovo tipo, è una forma di transizione; cioè non-forma. Infatti la forma, come valore permanente è esclusa tanto dal tutto-progetto come dal niente-progetto. L'lnformalismo, come carattere dell'arte moderna, è ugualmente reperibile nel de sign come nella pittura o nella scultura di materia o di ge sto'· Ma se il legame con l'informale, a quanto pare, è di natura squisitamente concettuale, più concreto appare invece quello con altre tendenze. Il problema di un nuovo tipo di processo formale dell'oggetto di design basato non più solamente sul mero dato fun-
rente 10 • E poi sono da ricordare gli oggetti ideati negli anni Trenta dagli stessi protagonisti del surrealismo e realizzati in tempi recenti: il divano a forma di labbro di donna proget tato da Dalì; le poltrone di Matta tra cui il « Sacco alato» e « Magritta» ispirata al celebre quadro di Magritte L'uomo in bombetta con la testa di mela; il tavolino dalle zampe di uccello disegnato da Meret Oppenheim e, ancora, « La Gab bia » di Max Ernst, il letto che, perduta ogni riduttiva con notazione di unità di misura dell'Existenzminimum, diventa l'altare surrealistico dei riti fondamentali dell'esistenza umana. Contemporanea�ente, negli anni Sessanta, anche l'arte pop ha contribuito a ispirare, il design benché pure per que sta disciplina al pari dell'« architettura pop » si possa rilevare come l'espressione sia di per sé un'estensione e non indichi la trasposizione in toto dell'ideologia e delle categorie- opera• tive del pop figurativo nel campo dell'architettura, ma sem plicemente l'adattamento di parte di queste agli specifici della disciplina architettonica e il loro uso nell'ambito della prassi progettuale n. Il travaso del pop nel design avviene in due direzioni. Da un lato vi è quel legame più sottile individuato da Menna per cui il design, abbandonato il ruolo di progetta zione globale dell'ambiente umano, tende piuttosto alla defi nizione, e talvolta all'oggettivazione, del panorama urbano, mediante una serie di interventi particolari, ossia con la rea• llzzazione di oggetti e Immagini che escludono dalle proprie finalità sia la cosmesi dello styling che la forma assoluta e mi rano piuttosto al conseguimento di una tipicità caratteristica, ottenuta mediante una rigorosa impostazione del problemi funzionali e il ricorso a sottolineature individualizzanti di or dine simbolico o, a volte, perfino ironico, che facilitano l'in• serlmento dell'oggetto nell'ambiente, sollecitando la simpatia e la complicità psicologica del fruitore. L'oggetto, in questo caso, si affida a un tipo di comunicazione basato non tanto sull'effetto immediato, quanto su un assorbimento ritardato che dovrebbe consentire al fruitore di scoprire per suo conto il messaggio 12• E a questo..parametro della « tipicità carattes 18 ristica » che contraddistingue oggetti come la sediolina per
bambini di Zanuso, la vespa 50 o la Fiat 500, solo per citare alcuni esempi, Menna ne associa altri quali il rifiuto del fe ticismo dell'opera d'arte, una sorta di voluto anonimato, la sostituzione dell'estetica del « permanente» con quella del « consumabile » di cui parla Banham. Dall'altro lato vi sono invece gli oggetti che più vistosa mente attingono dal repertorio della pop art. Referenti figu rativi sono i manichini muliebri, del resto molto simili ai gué ridons del XVII secolo, che Allan Jones atteggia a vassoio o a· tavolino; gli argentei cuscini volanti di Andy Warhol che, assieme ai « pacchi d'aria» di Christo, segnano l'inizio del co siddetto « design pneumatico» (tra i tanti esempi ricordiamo, nel 1962, il sedile di Verner Panton e, nel '68, la poltrona Blow di Scolari, De Pas, D'Urbino e Lomazzi) e, ancora, l'iconografia delle culture orientali adottate dai Figli dei Fiori in opposizione al mito razionalistico della civiltà occi dentale. La corrente neodada, carica di dissacrazione ed iconocla stia, a sua volta, è stata la matrice di gran parte del design radicale tra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settan ta, nonché di una buona sezione dell'attuale design neomoder no 13• In questo campo si contano non solo gli oggetti eversivi còme le sedie inutilizzabili di Lucas Samaras, Gaetano Pe sce,· Jorg Meyr, Mario Terzic, Alessandro Mendini, Joseph Beuys oppure i « tavoli impossibili» di Bigas Lunas, ma an che le edizioni più o meno addomesticate entrate nella produ zione corrente dopo che il fenomeno ·si è trasformato in ten denza. Né peraltro sono mancate a far da modello al design cor renti come - l'arte povera, se entro questo schema facciamo rientrare parte della produzione di architetti austriaci come Hollein e Pichler, gli esperimenti di « autoprogettazione » di Enzo Mari e quelli sulle tecniche povere di Riccardo Dalisi. Con gli esempi si potrebbe continuare, ma non è questo il punto. Con quanto detto finora volevamo solo dimostrare che il design dell'altra avanguardia c'è stato e che tuttora con tinua ad alimentare uno dei filoni più interessanti ·della ricerca sul campo.
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La prospettiva di Lyotard e il design Questo genere di design, anzi, appare oggi, a nostro avvi so, uno dei settori più problematici e vitali della cultura figu rativa. Infatti per quanto riguarda l'architettura, uria volta fallito il progetto totalizzante del Movimento Moderno, essa si è ridotta ad un'attività meramente funzionale, depurata per sino di quella valenza simbolica che, secondo Argan, le attri buivano i suoi creatori, per cui tutto l'interesse del pubblico si è spostato sui valori pragmatici, il bene-casa, il diritto alla casa, il comfort, ecc. L'arte per il suo verso, avendo perduto completamente il rapporto col pubblico, è stata sostituita da nuovi media che per alcuni autori sarebbero più duttili a soddisfare l'esigenza di esteticità, ma non di artisticità. Tut tavia essa, grazie ai suoi moti del gusto, al fare e disfare, al rinnovarsi continuamente, sembra assolvere a quel fine di cui parla Lyotard quando dice che di fronte al tentativo di ri durre il linguaggio all'unità mercantile dell'informazione esi ste una sola possibilità: lottare per questo lavoro di incomu nicabilità, cioè di articolazione della possibilità di frasi nuo ve. Questa lotta è condotta principalmente dagli artisti. Ciò che è importante nell'arte è precisamente la produzione di opere nelle quali le regole che costituiscono un'opera siano interrogate all'interno dell'opera stessa. Per fare ciò non c'è bisogno di teoria 14• In pratica, quindi, lo scandalo, l'irrita zione prodotta dall'arte sarebbero degli strumenti per atti rare l'attenzione del pubblico distratta dai mass media con tutta l'implicita critica al valore di scambio (che rimane ge neralmente teorico) a vantaggio di un valore d'uso. Fra queste due polarità - l'architettura ridotta a pura banausia e l'arte a pura e voluta incomunicabilità - il de sign si presenta come il ·termine medio e forse più interes sante di tale questione. Infatti, grazie all'irrinunciabile valen za funzionale, appartiene alla prima sfera e quindi non può essere ignorato dal pubblico né essere sostituito dall'esteti cità meramente informazionale dei mass media e, nel con tempo, appartiene alla sfera dell'artistico grazie alla sua di20 mensione metaoperativa di cui abbiamo parlato all'inizio e
che lo rende disponibile a vari livelli di significazione e di fruizione, ivi compreso quello di valore di scambio. Finora il design dell'altra avanguardia al par-i degli arti sti di cui parla Lyotard si è servito di categorie teoriche che lo rendono tutto sommato ancora comunicabile, ma c'è anche sicuramente il fatto che gli artisti fanno fatica, oggi, a pro teggersi dietro a quelle teorie (marxiste, semiotiche, di ori gine freudiana), che negli anni sessanta e settanta avevano la funzione di giustificare il paradosso delle opere. Queste teorie, che derivano dalle scienze umane, stanno perdendo credibilità 15• Se ciò fosse vero, anche al design non rimar rebbe altro che ritrovare in se stesso le regole del proprio gioco. Ma non vi sarebbe, in tal caso, il rischio di ricadere nel discorso specifico del funzionalismo? Ecco dunque che uno dei problemi principali del design rimane, a nostro avviso, quello di trovare un referente, non tanto ai fini della comunicazione la cui mancanza, alla luce del pensiero postmoderno, sembra costituire un tentativo per combattere la riduzione del linguaggio all'unità mercantile dell'informazione, quanto per sostenere la sua doppia natura di funzionale e di metaoperativo. Ma in tal caso non vi sa rebbe anche l'altro rischio che possa ritornare dalla finestra quella tanto dibattuta nozione di « arte applicata» che sem brava uscita dalla porta?
1 O. DucROT - T. TODOROV, Dizionario delle scienze del linguaggio, !sedi, Milano 1972, p. 273. 2 Ibidem. 3 Cfr. C. LENZA, L'iconii.zazione del mobile, in e Op. cit. ,. n. 48, maggio 1980. 4 Ibidem. s Ibidem. 6 Ibidem. ·7 G. DoRFLTIS, voce Industriai design in Enciclopedia Universale del l'arte, Firenze 1958, col. 524. 8 G. C. ARGAN, L'informale nella situazione odiema, in Salvezza e caduta nell'arte moderna, Il Saggiatore, Milano, 1964, pp. 92-93.
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9 F. MENNÀ, Design, comunicazione estetica e mass media, in ·« Edi lizia moderna» n. 85, gennaio 1965. 10 E. CRISPOLTI, Anno 1963, Officina Undici, in « Domus » n. 616, aprile
1981.
11 P. NAVONE• B. ORLANDINI, Architettura -radicale, documenti di Ca sabella, Milano 1974, p. 39. 12 F. MENNA, Op. cit. Il Questa rivista si è già occupata del fenomeno del rndical design: cfr. A. DE ANGELIS, L'antidesign, in « Op. cit.,. n. 26, gennaio 1973 e G. D'AMATO, Il design tra « radicale,. e « commerciale », in « Op. cit. • n. 53, gennaio 1980. 14 J. F. LYOTARD, Regole è paradossi, trad. it. in « alfabeta,. n. 24, maggio 1981. 15
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Ibidem.
L'International Style
cinquant'anni dopo
SERGIO VILLARI
Nell'anno appena trascorso si è celebrato il cinquante nario della celebre mostra allestita nel 1932 presso il Mu seum of Modern Art di New York, dedicata in massima parte all'architettura europea del decennio 1922-32. Curatori ne furono lo storico H. R. Hitchcock e l'architetto Ph. John son, che pubblicarono inoltre il saggio dal fortunato titolo The International Style: Architecture since 1922 - solo re centemente tradotto in lingua italiana 1• · Il successo di quel piccolo libro, ancor più della mostra, andò di gran lunga al di là delle aspettative dei suoi stessi curatori-autori. Ad essi venne riconosciuto il merito - definito « di portata sto rica ,. da A. H. Barr jr., allora direttore del Museo - di aver dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio l'esistenza di uno stile moderno altrettanto originale, logico, coerente ed ampiamente diffuso quanto qualsiasi altro del passato 2• Co sicché, almeno per i due decenni successivi, lo stile interna zionale diventò una sorta di prontuario di regole prét à l'usage che influenzò buona parte del dibattito e della produzione architettonica non solo statunitense. · . Il termine «internazionale,. aveva fra i propri antece denti il titolo di una pubblicazione di Gropius del 1925: In ternationale Architektur. Come è stato osservato: Per Gro pius l'aggettivo 'internazionale' era carico di fondamentali implicazioni ideologiche. Non soltanto esso alludeva alla ge nealogia del modernismo, dai grandi edifici industriali 'spon- 23
tanel' in America all'opera del 'pionieri' pre-belllcl - Wright, Behrens, Poelzig, Berlage - ma anche al mito di una Inter nazionale ... anti-nazionallsta ( che echeggiava la Terza Inter• nazionale) - una manifestazione di un universale « Zeit geist li del ventesimo secolo 3• Per Hitchcock e Johnson l'in ternazionalità, nel suo significato di estensione geografica, era considerata una condizione indispensabile per l'esistenza di uno « stile li architettonico: perché internazionali erano stati il Gotico, il Rinascimento, il Barocco, ecc. Nel tentativo di individuare una tendenza emergente nel l'architettura degli anni Venti, fu sacrificata la pluralità e la complessità che caratterizzava quella fase storica. Ad esem pio, dal novero degli architetti rappresentativi dell'Interna tional Style fu esclusa tutta la prima generazione di archi• tetti moderni - da Loos e Hoffmann a Behrens, Van de Vel de, fino a Perret - definiti « semi◄moderni », ma la cui spe rimentazione fu considerata una premessa indispensabile della nuova architettura. Furono esclusi anche quegli archi tetti schierati su posizioni puramente funzionaliste - sebbe ne, anche qui, gli autori non mancassero di riconoscere la benefica influenza delle ·loro teorie sullo stile in gestazione. Fu esclusa, senza riserve, tutta la vicenda espressionista del l'architettura tedesca. Fu escluso infine F. LI. Wright, per ICJ.Uell'irriducibile « individualismo » estraneo ai principi · del nuovò stile 4• A fronte di tali cesure il panorama· dell'architettura con temporanea risultava estremamente compatto. A rappresen tare al meglio lo stile internazionale furono scelti quattro maestri europei, Le Corbusier,· W. Gropius, L. Mies van der Rohe e J. J. P. Oud, la cui opera fu presentata come il prodot to di un avvenuto processo di unificazione stilistica. Venivano cioè privilegiati gli aspetti puramente visivi o formali della nuova architettura; che fu senza dubbio un atto di anti conformismo, al limite della provocazione intellettuale, · al meno nei confronti di quella parte della cultura architetto nica che con fermezza· negava ogni legittimità alle questioni stilistiche. Così, ad esempio, le avanguardie artistiche euro24 pee ; o· i funzionalisti più intransigenti; così anche Gropius,
·-n
il quale infaticabilmente andava ribadendo la propria volontà di elaborare una metodologia d'intervento piuttosto che codi ficare i risultati di una ricerca stilistica; così infine Mies van der Rohe, la cui gelida indifferenza formale, tuttavia, sarebbe successivamente diventata una parte importante dello stile internazionale. Del resto il rilievo accordato da Hitchcock e Johnson alle implicazioni politico-sociali del dibattito archi tettonico europeo era pressoché nullo. Come è stato osser vato: Tra il 1925 ed il 1932, la maggior parte del critici euro pei aveva abbandonato l'ampollosa retorica dell'avanguardia... per concentrarsi più precisamente... sulle cause sociali de� l'architettura. Soprattutto l'edilizia residenziale e la pianifica zione erano diventati punti di contatto unificanti tra gruppi di architetti. L'efficacia dei CIAM dipendeva da un generale consenso sulle Ipotesi relative agli scopi pratici e politici . . : . ..... dell'architettura. Hitchcock e Johnson si trovarono perciò costretti a com piere un duplice gioco di prestigio al fine di rendere accessi bile l'architettura europea ad un pubblico americano. Essi dovettero decontestualizzare il modernismo dalle sue cause politiche e funzionaliste e dovettero Inventare una 'logica estetica' che desse l'impressione di spiegare una prassi ar chitettonica generalizzata, senza però comportare una spie gazione hegellana totalizzante, che sarebbe stata estranea al mondo anglosassone 5• In effetti per Hitchcock e Johnson quello non fu affatto un « gioco di prestigio », bensì il frutto di un'idealistica vi sione dell'architettura che non permetteva segmentazioni del suo corpus teorico in componenti tecnico-scientifiche, funzio nali, estetiche, ecc. Era piuttosto una concezione dell'archi tettura unitaria e globalizzante, fondata sull'evidenza. delle proprie ·.qualità sensibili. Una visione che, · se ci si concede un eccesso di immaginazione, può apparire più vicina a quella che dell'architettura devono aver avuto Brunelleschi .o Bra mante che non Gropius o i funzionalisti europei. Eppure; a dispetto di un siffatto anacronismo, proprio in forza. di quella concezione, ad Hitchcock. e Johnson v.a riconosciuto il grande merito di aver ribadito con fermezza la natura sostanziai- 25
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mente ed inevitabilmente linguistica dell'architettura. In que sto senso la nozione di stile riacquistava piena legittimità. Ma, ciò che più conta, quella nozione era sostenuta da un'in tuizione storicamente assai pregnante: l'attribuzione di qua lità formali, o stilistiche, alla stessa negazione funzionalista del principio estetico in architettura. Scrivono gli autori: cl sono sia architetti sia critici che considerano l'architet• tura non un'arte, come era stata nel passato, ma semplice mente una tecnica subordinata alla civiltà industriale. ( ... ) In certa misura li loro atteggiamento ha avuto un benefico .effetto sull'edilizia americana, anche da un punto di vista estetico 6• E più avanti: Gli edifici continueranno ad essere guardati ol che che usati. Senza dubbio, una delle funzioni dell'architet tura è quella dl fornire materia di apprezzamento estetico. Fortunatamente i funzionalisti non hanno fallito del tutto in questo senso. l loro risultati sono parte importante tra i pro dotti dello stile internazionale 1,_, Detto in altri termini, si po trebbe affermare·che l'assenza di stile postulata dai funziona listi europei è, per Hitchcock e Johnson; uno dei segni più sicuri dell'effettiva esistenza di uno stile. Intuizione che, seb bene implicitamente, percorre l'intera indagine dei due critici americani.. Cosicché il maggior impegno analitico e propositivo viene a concentrarsi nell'individuazione dei principi invarianti del nuovo stile. E nonostante le inevitabili ingenuità, il corpo di regole così ottenuto restituiva un quadro assai fedele del l'architettura presa in . esame; inoltre risultava sufficiente mente formalizzato da trasformarsi, come poi è accaduto, in un vero e proprio codice progettuale. I principi fondamentali venivano indicati in tre punti: In primo luogo, c'è w1a nuova concezione dell'architettura come volume piuttosto che come massa. In secondo luogo, la regolarità, piuttosto che la sim metria assiale, serve come mezzo principale per ordinare il design. Questi due principi, insieme al terzo che bandisce l'uso arbitrario della decorazione, contraddistinguono l pro dotti dello stile internazionale 8• Vale la pena soffermarsi• su tali punti, sia negli enunciati di principio che nelle indicazioni progettuali che da essi derivano.
Il principio-dell'architettura come volume. trova la propria matrice tecnico-costruttiva nell'indipendenza tra la funzione portante dei sostegni e quella di rivestimento delle superfici esterne. Tale indipendenza si traduce in un caratteristico ef fetto di leggerezza delle pareti di rivestimento; definito dagli autori superficie di volume. Questo principio è estetico, oltre che tecnico. Essi infatti stigmatizzano, nella maggior· parte dei grattacieli americani, l'abitudine di caricare.. inutilmente le superfici esterne, occultando cosi con· un effetto di, solidità e di peso, il carattere di struttura non portante delle super fici-schermo 9• Altra caratteristica. delle pareti esterne _è la loro continuità ed uniformità: come corollario al principio di superficie di volume, c'è l'ulteriore requisito che le super fici siano all'apparenza ininterrotte come .una pelle tirata al massimo sopra lo scheletro che la sostiene. Le apparenti ten sioni di un muro di mattoni sono direttamente gravitazionali mentre quelle delle pareti-schermo non sono., polarizzate, in direzione verticale, ma la· loro esistenza· � ·sentita in: tutte le direzioni, come in un pezzo ·di stoffa teso al massimo 10• Da qui l'importanza della disposizione e del design delle fine stre, del tetto piano non aggettante; dei materiali da rivesti mento e di tutti quegli elementi intesi ad aumentare, piutto sto che contraddire, l'effetto primo di superficie di volume 11• La seconda invariante riguarda la regolarità: Nella strut tura a scheletro gli elementi di supporto sono normalmente e tipicamente collocati a distanze uguali, in modo che le ten sioni siano equilibrate. Perciò la maggior parte degli edifici ha un regolare ritmo sotteso... Una buona architettura mo derna esprime nel suo progetto questa caratteristica regolarità della struttura ... attraverso una disposizione formale che accentua l'ordine sotteso 12• Anche 'qui, come ·si vede; la ma trice è tecnico-costruttiva. Ma il principio di regolarità, nelle sue molteplici implicazioni, appare più complesso e più difficile da esplicitare. Non solo, infatti, è connesso a problemi distributivi e funzionali: Il suo scopo è quello di adattare; in maniera razionale, ad una struttura regolare soluzioni appron,; tate per funzioni·· irregolari; e . di esprimere questo . adatta mento in un design chiaro e coerente 13• Né tantomeno è un 27
semplice principio estetico. Bensì si rivela uno strumento di controllo complessivo dell'intero progetto: infatti, scrivono gli autori, questo secondo principio è espresso .in un ordina mento del progetto più coerente di. quello che risulterebbe dal solo ed inconscio uso estetico, per funzioni varie e com plesse, della struttura regolare e di elementi standardizzati. In questo modo l'espressione guadagna coerenza e regola rità visibili. Questo è il shnbolo delle tecniche sottese la cui presenza,. nell'edificio finito, è conosciuta piuttosto che rivelata 14• Dal terzo principio, l'eliminazione della descrizione appli cata, discende l'importanza stilistica assunta dai particolari: Il dettaglio... costituisce la decorazione dell'architettura con temporanea. ( ... ) Il fatto che oggi si faccia un uso così limi tato del dettaglio. aumenta l'effetto decorativo di quel poco che-c'è 15• Tuttavia i particolari svolgono anche una funzione strutturale: La disposizione del dettaglio è il mezzo princi pale attraverso il quale è raggiunta la coerenza delle varie parti del progetto 16• Cosicché: I migliori architetti prestano particolare attenzione ai problemi di dettaglio che, sebbene siano di secondaria importanza, esigono una cura niente af fatto casuale. I dettagli raffinati hanno nel design moderno lo stesso identico scopo decorativo delle colonne funzionali e delle modanature. nell'architettura greca e gotica. Se effetti vamente esiste uno stile architettonico contemporaneo, esso deve controllare nella stessa misura questo tipo di problemi e quelli assai più complessi 17• Questa estetica del dettaglio raffinato, degli elementi minimi, rasenta un atteggiamento mo rale storicamente assai significativo:. Lo stile corrente stabi lisce per la decorazione dei. livelli qualitativi alti ma non ir raggiungibili: meglio niente del tutto a meno che non sia eccellente. Questo precetto è aristocratico piuttosto che puri tano ( ... ) la regola generale è la reticenza 18.-. • , .• Come si vede, nell'analisi di Hitchcock e Johnson, · tutto viene riportato al valore puramente visivo dell'architettura, al valore artistico e .monumentale contro quello meramente pratico. Anche l'affermazione di una chiara distinzione tra 28 « architettura• ed « edilizia », non appare condizionata da
aspetti tipologici, funzionali o e'-:onomici, bensì da una gam ma, o gerarchia, di significato estetico. II grado in cui un edificio, consciamente o inconsciamente, rappresenta ti ri sultato estetico, oltre che tecnico, di uno sforzo creativo de• termina la sua posizione all'interno di tale gerarchia 19. Per sino le Siedlungen - il cui valore, per gli architetti europei, nasceva dall'incontro di teorie sociologiche, ipotesi statisti che e politiche territoriali - potevano elevarsi al livello della vera architettura solo attraverso un cosciente ricorso ai canoni dello stile contemporaneo 20• In altri termini, e per concludere: Nell'ambito di questo stile non esistono « ma niere » ecclesiastiche, domestiche o industriali. ( ... ) · Quando la funzione è espressa in modo chiaro, un tipo di edificio non sarà confuso con un altro. Lo stile internazionale è abba stanza ampio ed elastico da permettere numerose, svariate esplorazioni e ancora molti decenni di sviluppo 21• Naturalmente questa profezia, con la quale si chiudeva il saggio del 1932, non ha retto alla prova dei fatti. Che lo stile internazionale abbia influenzato la produzione architettonica dei decenni successivi è indubbio; meno, che ciò sia avve nuto con l'elasticità e la vitalità previste dai suoi autori. Anzi si potrebbe sostenere che proprio il formalizzarsi di regole stilistiche organizzate in un codice progettuale sufficiente mente stabile sia la causa di una rapida involuzione dello stile a sterile accademia. Così, ad esempio, J. Rykwert so stiene che: Per due o più generazioni il libro ( di Hitchcock e Johnson) è stato usato per legittimare l'uso della parola 'architettura' per orrendi edifici che affollano i centri delle maggiori città del mondo. Quel che è peggio, l loro progettisti hanno avuto il conforto di pensare che quel che stavano fa• cendo aveva la dignità di 'appartenere ad uno stile' 22• Questa sorta di degenerazione stilistica· trova peraltro un'oggettiva motivazione storica .. Come è stato osservato, lo Stile Interna zionale proclama la nascita di una scuola di architettura nel preciso momento in cui i suol principali rappresentanti si ac cingono a disperdersi per li mondo 23• L'involuzione autoritaria dei regimi politici europei segnava inevitabilmente il ter mine di una fase eroica dell'architettura moderna. Il suo cen- 29
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tro-. propulsore, la Germania di Weimar, sarebbe stata, di Il a poco, sepolta dal terrorismo antimoderno dei nazisti. E gli Stati Uniti non potevano offrire che aleatorie garanzie di continuità dell'esperienza· dell'architettura europea. Lo Stile Internazionale, .così come lo abbiamo descritto, delinea con estrema chiarezza quella soluzione di continuità. - A distanza,di vent'anni, in un articolo del 1951 apparso su « Architectural Record » 24 , Hitchcock rivedeva sensibilmente le proprie posizioni. Innanzitutto riconosceva il grande con tributo di Wright: L'opera di molti architetti raffinati come F. L. Wright, i quali non fanno mistero della loro opposizione ai supposti dogmi di uno Stile Internazionale, fa certamente parte ·dell'architettura·moderna nella- stessa misura dell'opera di Gropius e Le Corbusier 25• Inoltre l'intera vicenda dello stile internazionale veniva articolata in modo più complesso. Da un lato,· infatti,• si ribadiva · la legittimità della nozione di « stile »: Ci sarà sempre, comunque, una qualche forma di stile nelle forme artistiche dei periodi storici autocoscienti, che essa sia: riconosciuta come tale o meno 26• Dall'altro tut tavia si -riconosceva che un quarto di secolo dopo ... non è più necessario concludere che lo 'Stile Internazionale' debba es' sere considerato l'unico corretto· programma per l'architet tura moderna n. In particolare, nel merito dei parametri in varianti• dello ·stile, si· affermava: Troppo pochi e troppo li mitati, direi, nel 1951, dei principi così fermamente enunciati nel 1932 ( •.. ) Oggi come oggi aggiungerei senz'altro l'articola zione della struttura, facendone probabilmente il terzo prin cipio. Ometterei anche il riferimento all'ornato, che è un fatto di gusto piuttosto che di principio. II concetto di regolarità è ovviamente troppo negativo per spiegare a fondo il miglior design contemporaneo, ma non riesco ancora a trovare un'al tra frase che definisca in maniera onnicomprensiva le qualità più positive del design moderno 28• Unitamente alla povertà dei principi; Hitchcock infine lamentava anche una loro· trop po letterale e spesso acritica applicazione 29• Non si può, non concordare· con le suddette osservazioni. Tuttavia esse sono indicative di un'inversione di tendenza che, in' modo ancora·· più evidente; si manifesta nella prefazione
del 1966 alla seconda edizione dell'lnternational Style .10. Qui, al ridimensionamento del peso storico dello stile. internazio nale, Hitchcock fa seguire una rivalutazione di quelle cor renti inizialmente considerate « semi-moderne» o come il frutto di isolate sperimentazioni: alcune di queste tendenze conservarono una qualche indipendenza e continuarono, con gradi diversi di vitalità, a fianco dello Stile Internazionale: l'« architettura organica» di Wright, la Scuola di Amsterdam, l'Espressionismo Tedesco, l'Empirismo Scandinavo, ed al• tre 31• E in conclusione, l'idea di stile viene ulteriormente ri dimensionata: Penso si possa essere d'accordo nel sostenere che - lo .Stile Internazionale non f.u semplicemente un movi• mento superficiale, come il Manoelino o l'Art Nouveau, in quanto si occupò di molti, se non di tutti, gli elementi essen ziali di ogni tipo di architettura. Ma oggi nutro dei dubbi sul fatto che le analogie con il Greco ed il Gotico, cui noi ed altri scrittori dell'epoca indulgevamo così liberamente, reg• geranno - o, addirittura, che abbiano retto fino ad ora. Il libro rappresenta un resoconto di giovani ed entusiasti con temporanei della nuova architettura degli anni '20; nel mo mento in cui essa aveva raggiunto il massimo dei risultati, all'inizio del nuovo decennio 32• Questa ·revisione critica por tata a termine, a più di trent'anni di distanza, nei confronti dell'lnternational Style appare certamente legittima, oltre che storicamente avvertita. Tuttavia,- inevitabilmente, assume il tono di un conformistico adeguamento alla .storiografia uffi ciale del Movimento Moderno. Più.radicale, e per certi .versi più coerente, il ripensamento di Ph. Johnson. Questi, in polemica con Jiirgen Joedicke, seri� veva nel 1961: C'è una sola cosa assoluta oggi, ed è il mu tamento.. Non ci sono regole, assolutamente non si danno certezze in nessuna, delle arti. C'è solo la sensazione di una meravigliosa libertà, di possibilità illimitate da esplorare, di un passato .illimitato di grandi architetture della storia da godere . Non mi preoccupa un nuovo eclettismo. Anche Richardson, che .considerava se stesso un eclettico, non lo era affatto. Un buon architetto farà, sempre opera originale. Un cattivo ar- 31
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chltetto farebbe pessima opera 'moderna' come farebbe pes• sima opera ( cioè di inùtazione) con le forme storiche. L'onestà strutturale per me è uno di quegli incubi infan• tilt da cui dovremmo liberarci al più presto... Sono vecchio abbastanza per aver goduto immensamente dello stile internazionale ed aver lavorato nel suo ambito con la più grande gioia. lo credo tuttora che Le Corbusier e Mles siano i più grandi- architetti viventi. Ma ora l'epoca cambia cosi in fretta. Antichi valori si diffondono di nuovo con verti· ginosa eppure elettrizzante velocità. Lunga vita al mutamento! Il ·pericolo che Lei vede di uno sterile eclettismo accade• mico non è un pericolo. Il pericolo è all'opposto, nella steri lità della Sua Accademia del movimento moderno 11• Come si vede, .Johnson è passato dalla codificazione di uno stile al'precorrimento del Post-modernismo. Né in ciò è pos sibile rintracciare una contraddizione, in quanto Johnson sem bra aver sempre nutrito la stessa idea di architettura: un'espe rienza, come si è detto, fondata. sull'evidenza delle proprie qualità visive. Né ancora si tratta di un ripensamento solo personale. Perché, pur riconoscendo a Johnson una posizione di ·punta in entrambi i momenti, l'essere dentro e fuori la vi cenda dell'architettura moderna - e non importa a questo punto chiamarla Movimento Moderno, Stile Internazionale o altro - è un· travaglio che ha investito più di una genera zione. Cosicché non possiamo concordare con J. Rykewrt quando - commentando la celebrazione tenutasi ad Har vard del cinquantenario della pubblicazione del libro - af ferma: A dispetto della sua povertà intellettuale questo libro singolare ha contrassegnato lo stabilirsi di una base di po tere da cui l'architettura della East Coast è stata domina ta. ( ... ) Esso reggerà, per molti anni, l'architettura mondiale e .v a :perciò annotato con attenzione. Ma io penso che se si vuole dare . vita ad un convegno interessante in cui le idee possano essere discusse e persino sviluppate, si dovrebbe partire da un gran buon libro 34• E non possiamo concordare, perché la bontà di un libro, di una proposta, di un'idea non pùò- essere giudicata in sé, ma solo dai risultati che produce; e ciò vale a maggior ragione per la società americana, dove il
concetto appena enunciato è l'assunto centrale del pragma tismo, nell'accezione migliore di questa µlosofia. Che poi il libro sull'lnternational Style contenga già in sé i segni del suo superamento, come è lecito pensare dall'atteggiamento di Ph. Johnson, è un'ulteriore prova della sua vitalità.
I H. R. HITCHCOCK-Ph. JOIINSON, Lo Stile Internazionale, Zanichelli, Bologna 1982. 2 lvi, prefazione di A. H. Barr jr., p. 25. l lvi, introduzione di T. Benton, p. 8. 4 H. R. HITCHCOCK- Ph. JOHNSON, op. cii., p. 39. s Ivi, introduzione di T. Benton, p. 9. 6 H. R. HITCHCOCK - Ph. JOHNSON, op. cii., pp. 48 sg. 1 Ibidem, p. 99. a Ibidem, p. 34. 9 Ibidem, p. 52. IO Ibidem, p. 55. 11 Ibidem, p. 54. 12 Ibidem, p. 65. Il Ibidem, p. 69. •� Ibidem, p. 66. ts Ibidem, p. TI. 16 Ibidem. 11 Ibidem, p. 79. 18 Ibidem, p. 82. 19 Ibidem, p. 85. 20 Ibidem, p. 97. 21 Ibidem, p. 99. 22 J. RYKWERT, / cinquant'anni di 11n libro pericoloso, in e Casabella • n. 481, giugno 1982. 2l H. R. HITCHCOCK- Ph. JoHNSON, op. cii., ·introduzione di T. Benton, p. 7. 24 H. R. HITCHCOCK, The In(ematio11al Style Twenty Years After, in e· Architectural Record •• agosto 1982; trad. italiana in HITCHCOCK e JOHNSON, op. cii., pp. 241-257. 25 HITCHCOCK e JOHNSON, op. cii., pp. 241 sg. 26 Ibidem, p. 244. 21 Ibidem, p. 241. 28 Ibidem, p. 245. 29 Ibidem. lO Ibidem, pp. 16-22. li Ibidem, p. 21. . . 32 Ibidem, p. 22. ll Cit. in P. PORTOGHESI, Dopo l'architettura modema, Laterza, Bari 1980,· p. 68. 33 34 J. RYKWERT, op. cit.