Op. cit., 57, maggio 1983

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Op.cit. rivista quadrimestrale di selezione della critica d'arte contemporanea

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Edizioni « Il centro • di Arturo Carola


s

A.

BoNITO OLIVA,

Il mercato come opera d'arte

L.

SACCHI,

New York, reportage 1982

13

La questione dei graffiti

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Libri, riviste e mostre

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A. D'AvosSA,

Alla redazione di questo numero l1anno collaborato: Paolo Apolito, Pa• squalc Belfiore, Gabriella D'Amato, Liliana Moscato Esposito, Giacomo Ricci, Angelo Trimarco.



Il mercato come opera d'arte ·ACHILLE BONITO ·OLIVA

In una società post-industriale, come quella· •in cui ·vi­ viamo, dove non esistono piu ·tabu. o superstizioni : ideolo­ giche causa di. rimozioni e. censure, è possibile ·aprire un discorso e fare un'analisi lucida di un fenomeno quale quello del mercato dell'arte. D'altronde - l'arte contemporanea vive in un sistema articolato di funzioni, corrispondenti ad· al­ trettanti ruoli, giocati· dall'opera, dalla· critica, dal pubblico •.. . , • e dal mercato appunto. Nel Medioevo l'artista vive protetto · dalla struttura ·cor­ porativa delle arti- .e· mestieri, ·in cui la produzione artistica è pareggiata ad altre attività meno culturali, in quanto si pone l'accento prevalentemente sull'aspetto della produzione materiale ed artigianale dell'opera. La committenza parte in prevalenza dalla Chiesa -o dal Comune e non esiste ancora l'idea del collezionismo,- della tesaurizzazione.,· dell'opera '- . . . ·- . . . . ... . , •' ' ., . d'arte. : ·, Nel Rinascimento, verso. la fine del Quattrocento;·l'artista si svincola dalle corporazioni, si emancipa socialmente ri­ spetto al ceto artigianale: entro. ·cui era stato posto prece­ dentemente · ed afferma il privilegio· di• una nuova identità, quale produttore di un- manufatto particolare e prezioso, legato alla fantasia ed · all'invenzione. Questa. emancipazione consegna l'artista ad un nuovo tipo di committenza, ·quella capricciosa del Principe, ·da cui comincia a· dipendere· inte­ ramente la. sua vita. Il Principe,· em?1ato anche dalla corte 5


e dalla nobiltà in generale, colleziona le opere per la sua qua­ dreria privata, comprandole dall'artista anche prima che questi le realizzi, anzi indicando qualche volta i requisiti indispensabili affinché esse vengano accettate. In entrambi i casi, nel Medioevo e nel Risorgimento, la committenza è ben individuata ed esiste un rapporto inter­ personale tra l'artista ed il destinatario dell'opera. Spesso l'artista si muove nella sua produzione proprio sulla cono­ scenza politica e psicologica del suo mecenate, per meglio soddisfare le sue esigenze. Questo non significa asservimento dell'opera, semmai corrispondenza ideale tra le parti. Se re­ stano salde e ferme le istanze filosofiche e religiose dell'opera, è sul linguaggio che l'artista apporta la sua cifra personale che lo contraddistingue dagli altri. .. In ·ogni caso la corte, la curia, il convento piccolo o grande, erano il teatro di accaparramento della committenza per l'artista che spesso vaga da una città all'altra, da una nazione all'altra, per trovare la possibilità di sopravvivenza economica o di· compenso vero e proprio per il suo lavoro. L'interlocu­ tore comunque è sempre ben individuato già da lontano, in quanto detentore del potere ed elargitore di fortuna e di protezione per l'artista. Dunque il rapporto tra il produttore dell'opera ed il suo consumatore è assolutamente diretto e senza altri interme­ diari. Il capriccio del Principe e la fantasia dell'artista tro­ vano una sincronia che consente talvolta anche identifica­ zione morale e culturale tra le due parti. Difficilmente l'opera nasce prima della committenza, della destinazione e dell'am­ biente entro cui si situa. L'opera d'arte è il precipitato di un insieme di fattori che determinano le sue condizioni di -realizzazione. Con l'avvento della civiltà industriale, il sistema dell'arte è andato assumendo, per quanto riguarda la sua organizza­ zione, una progressiva ed inesorabile specializzazione, conse­ guente anche alla divisione del lavoro. Da qui l'emergere di un'attività specializzata come quella della critica d'arte, ed anche l'affermarsi di una distribuzione dell'opera non piu 6 affidata al rapporto diretto tra produttore e consumatore.


Nasce il mercato moderno dell'arte che nell'Ottocento-trova, specialmente in Francia, alcuni esempi precisi. Da questo momento l'artista produce nel chiuso del suo atelier, seguendo la sua ispirazione prevalentemente,· senza conoscere i destinatari della sua opera. Oppure ne conosce i connotati sociali e di gusto, ma non l'identità personale. Ora un mercato impersonale ed oggettivo si incarica di atti­ rare il pubblico e dunque i possibili acquirenti. Naturalmente questo ha comportato una assunzione di rischio da parte del mercato che non funziona certamente solo da deposito del gusto corrente, ma comincia anche a spronarlo. Ambroise Vollard compra Cézanne e non Boldini e dunque realizza attraverso un gesto economico anche uno critico e culturale: individua in Cézanne il portatore di una rivolu­ zione linguistica nell'arte moderna. Naturalmente questo non significa amore astratto per l'arte, bensi capacità di unire imprenditoria ad intuito personale, decisione di scelta ed investimento. Tutto questo significa naturalmente anche lie­ vitazione del valore economico dell'opera che si carica, oltre le sue intrinseche qualità artistiche, di un. valore aggiunto de­ terminato dalla scelta del mercato che l'ha acquistata. Nel Novecento le avanguardie storiche hanno messo a dura prova il mercato dell'arte, mediante la sperimentazione di nuove tecniche e materiali ed anche di un nuovo rapporto col pubblico. Eppure il mercato ha avuto la duttilità di ade­ guare il proprio circuito alle novità dell'arte, promuovendo spazi espositivi privati, capaci di richiamare. un pubblico· in­ curiosito di ricchi borghesi, pronti ad accettare -i linguaggi di una nuova arte che significa anche un nuovo modo di vedere il mondo. Daniel-Hcnry Kahnweiler prende nella sua galleria pari­ gina artisti come Picasso, Braque, Derain, • Gris, Vlaminck, Mirò, -Léger. ·Porta dunque nel gusto corrente della società i risultati, resi oggettivi dalle opere, di una profonda rivoluzione ·culturale che cambia ovviamente anche l'idea del collezioni­ smo, non piu luogo feticistico di riaffermazione dei Valori costituiti ma semmai luogo sperimentale di una nuova iden­ tità culturale ed antropologica: · status-symbol. Proprio per 'l


questo, oltre che per un naturale livello di specializzazione, il mercato comincia sempre piu a dare circolazione soltanto ad· alcuni artisti, secondo scelte precise. · .. Il- paradosso è costituito dall'intreccio tra la generosa uto­ pia delle avanguardie storiche, quella di voler trasformare il mondo, e l'intraprendenza di un mercato dell'arte, legato necessariamente alla iniziativa privata e dunque all'economia di profitto che comporta la regola di considerare l'opera come un prodotto di cui va incentivato il valore, mediante un sistema capace di dilatare l'informazione intorno ad essa ed eventual­ mente anche l'alone mitico che la circonda. Ed il denaro è il parametro che ne determina l'identità di valore. Là galleria è il costume di scena del mercato dell'arte, in quanto rappresenta il teatro espositivo in cui l'opera si incontra col pubblico, quello che fa opinione o che acquista. La galleria costituisce la cornice che fa da cerniera tra la solitudine dell'opera tutta ritagliata dall'immaginario dell'ar­ tista ed il corpo sociale. L'artista non riconosce un interlo­ cutore privilegiato ed individuato della sua opera, semmai riconosce ancora una volta il mediatore del suo rapporto mondano nel mercante, il quale si fa doppiamente garante nei riguardi dell'artista e del collezionista. · · Il denaro è il sigillo universalmente riconosciuto della doppia garanzia che poggia le sue fondamenta sul valore strutturale dell'opera, che è quello eminentemente culturale determinato dall'opinione critica, dal lavoro di riflessione critica · effettuato dal critico d'arte. L'opera diventa il por­ tato di una stratificazione di pratiche che si aggiungono man mano alla realtà iniziale del manufatto artistico. Tale accu­ mulo determina un processo di accrescimento del valore. · Il mercato crea una circolazione incentivata del prodotto artistico che arriva al . pubblico ed al collezionista in ma­ niera ampliata, quanto a statuto e presenza mitica. Il mito è determinato anche dalla qualità del circuito entro cui l'opera si muove, costituita dall'identità culturale e sociale di coloro che· vi gravitano. Il circuito è un circolo, una struttura circolare entro cui si muovono forze culturali, mon8 dane, · economiche e piu generalmente sociali che ·formano



in un tessuto culturale con alle spalle grandi tradizioni filo­ sofiche ed ideologiche. Invece dall'action-painting in avanti (fino alla conceptual-art) siamo di fronte ad una attività arti­ stica che trova nel sistema produttivo americano il suo teatro di diffusione. Il sistema americano dell'arte agisce all'interno di un alveo produttivo estremamente specializzato e pragmatico, in cui l'economia diventa il parametro anche morale di qualsiasi azione. Il mercante è colui che rischia il proprio denaro, e dunque ha il diritto di fare le sue scelte direttamente, senza alcuna mediazione o garanzia critica, la quale interviene sem­ mai successivamente come giudizio sulla qualità del prodotto esposto. L'internazionalizzazione del mercato dell'arte ha creato un'osmosi tra contesto europeo ed americano, dando all'opera una circolazione aperta e diffusa che diventa anche una ma­ niera di affermare una sua immagine di universale qualità. Oggi il mercato dell'arte tende ad attribuire un valore univer­ sale all'opera, dando come sua garanzia il riconoscimento in ogni contesto, anche al di fuori da quello nazionale entro cui l'opera è nata. In tal modo aumenta la certezza della sua interna qualità, capace di omologare gusti differenti di diffe­ renti contesti. Il movimento di economia specifica che determina il va­ lore è il passaggio dell'opera d'arte come qualità a pura quan­ tità, ad entità di scambio che trova però una sua incentiva­ zione nel suo essere per essenza qualità. Tali spostamenti determinano uno slittamento strumentale di identità, demo­ nizzato spesso dalla cultura europea e ritenuto invece rassi­ curante da quella americana. Gli intellettuali e critici europei, imbevuti di cultura idealistica e di ideologie politiche, hanno chiamato tutto questo mercificazione dell'arte, caduta di essa a bruta quantità, a merce tra le altre merci. L'atteggiamento americano, conseguenza del proverbiale pragmatismo anglosassone e dell'etica puritana alla base dello sviluppo capitalistico, è improntato e portato a vedere nella vendita dell'opera d'arte il segno di un lavoro ben fatto, il riconoscimento della qualità interna del prodotto. La strut10


tura circolare della dinamica (qualità, quantità, qualità) ga­ rantisce in questo contesto economico e culturale la bontà dell'operazione ed assolve la coscienza dell'artista da ogni preoccupazione. L'assorbimento dell'opera d'arte sperimentale da parte del sistema è sembrato alla cultura europea una contraddizione delle avanguardie, tradizionalmente legate ad ideologie di si­ nistra ostili al sistema. Da qui una strategia creativa che ha anche provato ad assottigliare ed a smaterializzare l'opera, a farla diventare puro evento. Ma anche in questo caso il feticismo del collezionismo ha avuto il sopravvento, riuscendo a collezionare le tracce ed i residui di questa produzione, in ogni caso sempre veicolata dagli stessi canali del mercato, con qualche passaggio attraverso gli spazi alternativi. Critici antiquariati, piagnucoloni e moralisti hanno spie­ gato i loro fallimenti, circa la previsione di sviluppo inter­ nazionale di linee di tendenze da loro teorizzate, con l'alibi della congiura del mercato che ha invece appoggiato altre linee: un discorso che denuncia una posizione di fondo paleo­ marxista che ancora crede e concede il primato della strut­ tura (l'economia) sulla sovrastruttura (la cultura). Senza ca­ pire che, come spesso può succedere, il mercato, anche se per cinismo, può accettare il suggerimento critico capace di aprire nuove strade nel gusto sociale. Ma va anche detto che il passaggio della qualità dell'opera a quantità ed il suo successivo ritorno a qualità (che la in­ dividua rispetto ad altri prodotti) designa anche la possibilità del mercato di procedere in una propria autonomia che og­ gettivamente funziona da filtro, cosi come funziona da filtro la palese tendenziosità del critico che sceglie le opere e gli artisti secondo un'ottica personale. Le resistenze .dell'opera - dovute alla sperimentazione di un nuovo linguaggio o alla posizione ideologica dell'artista - rispetto al suo assorbimento diventano in ogni caso ulteriori connotazioni che la indivi­ duano rispetto ad altre opere. Il mercato è per definizione amorale e non orientato po­ liticamente, non si interroga sulla direzione politica dell'arte, semmai tende a ribadirne l'autonomia circoscrivendo i con- 11


tenuti dell'opera e riportandoli a particolari connotazioni linguistiche. Il mercato assume fino in fondo l'idea che l'arte è linguaggio e circoscrive a tale definizione l'identità dell'arte stessa. Per natura non può ipotizzare l'esistenza di un'arte contro di sé. Anzi il mercato ha introiettato le proverbiali connotazioni dell'opera e piu in generale dell'arte: l'universa­ lità, la necessità e l'oggettività. Ha cercato di ribaltare e di riqualificare il ruolo di ineluttabile mercifìcatore, presentando come ineluttabili i fenomeni accidentali della creazione arti­ stica e come universale la produzione, storicamente delimi­ tata, dell'arte. Con estrema flessibilità ha adattato la propria attenzione alla specifica e progressivamente differente iden­ tità dell'opera, riuscendo a capire che la qualità specifica dell'opera delle avanguardie storiche era l'insieme di rottura, novità e scandalo che ne costituivano un incentivo di pubbli­ cità, presenza e valore. Ha attraversato il territorio delle neo-avanguardie e del­ la sperimentazione ad oltranza, trovando nella coazione al nuovo il motivo caratterizzante la differenziazione della pro­ duzione. L'azzeramento delle ideologie e dei modelli ha por­ tato ad una maturità dell'arte che opera ormai fuori da ogni coazione ed ha stabilito una diversa identità del suo pro­ dursi: la transavanguardia come possibilità di nomadismo culturale ed eclettismo stilistico in ogni direzione. Anche in questo caso il mercato ha riconosciuto la tra­ sformazione di identità dell'arte. In definitiva si pone esso stesso come opera d'arte. Un ingranaggio lucido che afferma la propria universalità attraverso la distribuzione internazio­ nale del prodotto, la propria ineluttabilità attraverso la capil­ larità dei propri collegamenti ed organizzazione, la propria oggettività attraverso la lampante certezza di dare sussi­ stenza, esistenza e riconoscimento economico all'opera d'arte e dunque all'artista.

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Kassel mette paura, ma poi si scopre che il grosso del mer­ cato è .ancora in mano all'abstract expressionism, e che i graffiti artists vanno bene, e i concettuali con il loro mutismo anche. Borofsky, Chia, Clemente, Cucchi, de Maria, Immen­ dorff, Kiefer, Schnabel e gli altri sono si i nuovi astri che catalizzano l'attenzione generale, ma occupano a tutt'oggi un posto ristretto nel mercato internazionale dell'arte. La massic­ cia presenza degli artisti americani, cui purtroppo corrisponde spesso una modesta qualità, relega, nonostante tutto, i nuovi arrivati nel ghetto delle élites culturali. New York University dedica un lungo seminario al tema « Il linguaggio dell'architettura », nella serie « Arte per gli anni '80 ». Sette settimane di conferenze, colloqui, dibattiti, proiezioni, coordinate da Angiola Churchill, artista e capo del .Dipartimento di Arte e da forge Glusberg, critico d'arte, di Buenos Aires. Il Cooper-Hewitt Museum ospita i disegni di Le Corbu­ sier ed i suoi appunti di viaggio, oltre ad una vasta mostra sul design scandinavo. « The Open Atelier of Design » - che, come dice il titolo, è un accogliente galleria-ambiente di lavoro aperta alle piu varie sollecitazioni -, esibisce le assonometrie a colori di Alberto Sartoris e ospita una conversazione di Frank Gehry sui suoi mobili in cartone pressato (in vendita da Blooming­ dale's) e sui suoi recenti lavori d'architettura in California. Sempre Sartoris parla all'Architectural League, con Mario Botta. Eli Atta, ex coordinatore dello studio Johnson & Burgee, pubblicizza le sue opere tardo-moderne con· una dinamica conferenza al Pratt Institute di Brooklyn. Arthur Drexler cerca di ravvivare lo scarso interesse per la retrospettiva dedicata dal Museum of Modem Art a Richard Neutra. Da Max Protecht, galleria fra le piu in vista e da sempre attenta al disegno d'architettura, sono in vendita i lavori di Venturi & Rauch. Columbia University ospita una mostra di Alvar Aalto ed una conferenza di Aldo Giurgola; Giurgola illustra i suoi recenti lavori, primo fra tutti il progetto vincitore del con14 corso per il nuovo Parlamento di Canberra, in Australia, ed


altri redatti per vari paesi del mondo (fra cui le scuole per il Friuli del dopo terremoto). L'Architectural League, ancora, ospita Fulvio lrace e la sua mostra sul «post-modem» mila­ nese degli anni '30: la «Cà briitta», fotografata da Gabriele Basilico, sembra proprio bella. A Milano avevano già fatto tutto molto prima della biennale di Portoghesi 3• Come si vede, ovunque parole, dibattiti, confronti. E. un fenomeno tipico dell'ambiente «urbano» di New York. Non ha riscontro in altre città degli Stati Uniti, ove le distanze fisiche e la dispersione culturale operano un processo inverso rispetto al coagulo di energie concentrate nei pochi metri qua­ drati del cuore di Manhattan. Vernissages e conferenze costi­ tuiscono continue occasioni di verifica e di incontro per i per­ sonaggi del milieu architettonico. Pochi, molto professionali ma anche un po' divi, raccolti intorno a scuole, gruppi e cor­ renti, si incontrano spesso, a volte si ignorano a vicenda, consapevoli in fondo di detenere una leadership a livello mondiale, di essere un gruppo a cui da tutte le parti si guarda comunque con estremo interesse. New York non è pili in «white & gray», come titolava un celebre numero di «Architecture d'Aujourd'hui» del 1976. I «bianchi» di Colin Rowe, Meier, Gwathmey, Eisenman, non lo sono piu tanto, non tutti almeno. Vivono attualmente la scomoda posizione di modernisti della terza generazione, dopo la prima dei maestri, da Le Corbusier a Mies, e la seconda dei manieristi: Kevin Roche, Paul Rudolph e il primo John­ son. I « grigi» che vi si contrappongono si identificano invece con la prima generazione di architetti « dopo» il Movimento Moderno e l'International Style. Nella linea eclettica dei « grays», codificata da Vincent Scully, troviamo Venturi, Moore, Romualdo Giurgola, Michael Graves, ex bianco, e Bob Stern. C'è poi un gruppo di perso­ naggi «minori», ma non meno interessanti, che tendono a porsi in una posizione di equidistanza o almeno di alternativa: Gandelsonas, Enùlio Ambasz, il gruppo Site, per citarne al­ cuni. E ci sono gli interlocutori europei, sempre presenti a New York, dove hanno anche un soprannome: «Rats», da «rationalists ", ma anche «topi». Il piu famoso è Aldo Rossi, 15


ma la famiglia comprende Ricardo Bofill, i Krier, Kleihues, Scolari, Ungers e l'ultimo Stirling, sempre piu influenzato dal suo ex disegnatore, Leon Krier. I « whites » si identificano ancora per molti con i « Five Architects » di New York. Five Architects è il titolo di un libro nato in seguito ad un incontro avvenuto nel 1971 al Museum of Modem Art fra Richard Meier, Michael Graves, Peter Eisenman, John Hejduk, Charles Gwathmey e un gruppo di critici. Il libro venne stampato nel 1975, con la pubblica­ zione dei nastri registrati durante l'incontro e la presentazione di due lavori per ciascun architetto. Non ci fu mai un gruppo. C'erano evidentemente dei forti legami culturali fra i cinque e le scuole in cui allora essi insegnavano, la Cooper Union e Princeton 4• Da Meier sono esposti i modellini dei suoi lavori piu re­ centi: quello del Museo di Atlanta, in Georgia, è appena rien­ trato dalla ·mostra che il Whitney Museum ha dedicato ai nuovi musei d'arte americani 5• Meier parla di Wright; Aalto, Brunelleschi, Borromini e Bramante 6, ma ammette che da studente, a Cornell, ·era Le Corbusier il maestro cui guardava. Nel 1959 ,- a Parigi, era con Le Corbusièr che sperava di poter cominciare a lavorare. Le Corbusier non voleva americani nel suo studio e Meier tornò in America, .dove trovò lavoro presso Skidmore, Owings & Merril. e difficile, dall'Europa, comprendere l'influenza che l'opera di Le Corbusier ha esercitato e tuttora esercita sugli ameri­ cani. e ancora il termine di paragone: com'è noto, Vincent Scully esordisce, nella prefazione a Complessità e contraddi­ zioni nell'architettura, definendo il testo di Venturi come il. più importante scritto sul _fare architettura dopo « Vers une arcbitecture » di Le Corbusier del 1923 7. Le Corbusier compi un solo viaggio negli Stati Uniti, ma l'influsso della sua opera, dei suoi scritti e dei suoi progetti è ancor vivo e presente, forse paragonabile · ·solo a quello che Picasso ha · ·: · esercitato per la pittura. •: ·John Hejduk, a New York, viene identificato con la sua scuola, la· Cooper Union. e sicuramente una scuola anomala 16 rispetto· alle altre scuole d'architettura americane; non solo


per il suo statuto che le consente di offrire _un insegnamento gratuito agli studenti meno abbienti, adoperando il -denaro dell'importante fondazione di cui fa parte, ma anche e soprat­ tutto per come tale insegnamento è strutturato. Il disegno è visto alla base di tutto, disegno. scisso · dalla .realtà, .al di fuori di ogni problematica sociologica _e storica.- Forse è .pro­ prio la mancanza della dimensione storica· a. costituire il maggiore problema perché gli studenti possano passare dalla teoria alla pratica professionale 8• Peter Eisenman pure è legato ad una scuola, « The Insti­ tute for Architecture & Urban Studies », laus. La scuola versa attualmente in qualche difficoltà: non abilitata a rila­ sciare diplomi di laurea, vede decrescere il numero dei suoi iscritti, nonostante· il forte richiamo esercitato dallo stes­ so Eisenman, da Gandelsonas, dalla Agrest, da Kenneth Frampton. Il nuovo libro di Eisenman, House X, grafica di Massimo Vignelli, viene presentato in un'affollata conferenza all'Architectural League, dallo stesso autore e da Mario Gan­ delsonas. L'architettura va rappresentata in bianco e nero: è il testo ad essere a colori, blu o rosso 9• Il fascino del personaggio Eisenman è indubbio: i suoi• esperimenti « sotto vuoto spinto», come li ha definiti Paolo Portoghesi 10, susci­ tano ammirazione. Ma Eisenman attira anche su di sé il maggior numero di polemici interventi. Si muove davvero come un condannato nella sua cella tra le ombre_ di Le ,Cor­ busier, di Rietveld e di Terragni? 11 Il suo post-funzionalismo, ci ricorda Stero, insiste sulla natura autonoma . dell'architet­ tura, indipendente dalla storia, ma poi è incapace di sfug­ girne e fa esplicito riferimento alle forme. del modernismo ortodosso degli anni '20 e '30 12• Gandelsonas vede in lui il principale rappresentante di una delle due vie percorribili dopo la crisi del funzionalismo del Movimento Moderno (l'altra è quella dell'eclettismo linguistico venturiano) 13•· � che cosa consiste la via _Eisenman?. Un'ipotesi sintetica: rea­ zione contro il segno architettonico in sé, e. in particolare. contro l'idea di un significato inerente il segno, per concen­ trarsi sulla genesi di una struttura linguistica. La querelle linguistica fra « whites » e « grays » potrebbe 17


ricordare quella storica tra i fautori dell'International Style e ·i fautori del linguaggio Beaux-Arts. In realtà per il post­ modernismo, e probabilmente per il post-funzionalismo, si può dire che il Movimento Moderno non ha più attualità del­ l'accademismo del XIX secolo, e benché si possano ricevere messaggi da questi due periodi come dal passato In generale, non si può sostituire un approccio nostalgico ad una valuta­ zione nuova e realistica del problemi contemporanei 14• Alla radice della posizione dei « grays » c'è il rigetto del­ l'architettura antisimbolica, antistorica, ermetica e astratta dell'ortodossia moderna. Per l'architettura « gray », « il piu è piu » 15• Geometrie del compromesso come processo di de• formazione volontaria; ciò che si manifesta con una prefe­ renza marcata per l'Aalto degli anni 'SO piuttosto che per il Le Corbusier degli anni '20, per le piante di Lutyens piuttosto che per quelle di Voysey, per lo Shingle Style americano del XIX secolo. In un noto numero di « Perspecta » del 1965, edito a Yale, Robert Stern raccolse e ordinò le teorie e i progetti di tre personaggi molto diversi tra loro, presentandoli come mani­ festazioni indipendenti di un tema comune: si trattava di Kahn; Moore e Venturi 16• Quel che è avvenuto poi ha dato ragione a Stern. Allievo di Paul Rudolph, Stern è fortemente esposto, nel decennio '60-'70, all'influenza di Venturi. Al suo ruolo di « agent-provocateur,. del movimento post-moderno accoppia, come Stanford Whlte e Phlllp Johnson prima di lui, un'im­ plicita comprensione dei desideri della sua elitaria clientela urbana 17• Il· suo attuale lavoro è caratterizzato dalla ricerca per la persistenza dei segni del passato nel presente; non si tratta di repliche o di riscritture, ma piuttosto delle note tecni­ che eclettiche del collage e della giustapposizione. Per me Il piacere In architettura non è soddisfatto semplicemente nel progettare edifici fini a se stessl, clò che Le Corbusier ha caratterizzato ineffabilmente come il « gioco delle forme nella luce ,., ma richiede che tali forme incorporino la memoria degli edlftci dal proprio passato e dal passato In generale, 18 dalla cultura••. Per Stern, alla base dell'architettura moderna


c'è l'interazione fra tre paradigmi: quello classico, che ri­ prende metodi compositivi e forme di base dal mondo greco­ romano; quello vernacolare, che arricchisce l'architettura con le forme specifiche di una certa cultura; quello produttivo, o tecnologico, un tentativo di stabilire un modello per quelle condizioni proprie dell'era moderna, della civiltà di massa e della produzione industriale. Si è accennato prima ad alcuni personaggi che, in varia misura, si trovano ad essere defilati rispetto ai filoni cultu­ rali dominanti. L'analisi, sia pur sommaria, dell'opera di al­ cuni di essi, può contribuire ad evidenziare il carattere eminen­ temente composito della cultura architettonica newyorkese. Fra i docenti dell'Institute for Architecture & Urban Studies abbiamo già incontrato Mario Gandelsonas e Diana Agrest, entrambi argentini. La loro « via » all'architettura af­ fonda le radici negli studi di semiotica seguiti all'Ecole Pra­ tique des Hautes Etudes di Parigi. La critica di Agrest­ Gandelsonas si appunta contro due diverse posizioni: la « non distanza», caratteristica di chi accetta e lavora all'interno dei limiti ideologici impostigli, senza ricorrere ad alcuna attitu­ dine critica (Venturi); l'« estrema distanza», caratteristica di chi scinde lo specifico architettonico dal contesto culturale e da considerazioni socio-politiche (Eisenman) 19 • La loro pro­ posta implica che la teoria del linguaggio, come discorso critico, ed il contesto urbano, come configurazione critica, permettano una pratica dell'architettura articolata all'interno dell'attuale situazione ideologica e politica. Mentre la teoria linguistica fornisce un modello astratto di attività sociale per eccellenza, il linguaggio, la città fornisce il luogo fisico e simbolico dove si svolge il dramma sociale 20• Si investiga l'architettura non solo come soggettività o come situazione autonoma, ma anche come sistema formale che configura le implicazioni politiche, economiche, ideologiche, del contesto urbano. Se per linguaggio intendiamo la nozione specifica di linguaggio naturale, in senso stretto, dobbiamo convenire sul­ l'impossibilità di creare un linguaggio architettonico total­ mente strutturato. Ma, ce si riferiamo invece ad un sistema di regole istituzionalizzate storicamente, il ricorso al linguaggio 19


diventa inevitabile. La città è vista come punto di partenza per lo sviluppo di nuovi concetti critici, fonte di un nuovo vocabolario e di una piu efficace sintassi dell'architettura. La progettualità funziona contemporaneamente all'interno del e contro il linguaggio classico e quello moderno, il progetto implica la trasformazione del senso, della memoria, del co­ nosciuto. Non è soltanto memoria, ma anche «amnesia». Storia di tre progetti emblematici: la residenza a Punta del Este, in Uruguay, il concorso per la sistemazione della Vil­ lette a Parigi e l'edificio per appartamenti a New York, Park Avenue e 64 5 strada. Progetti che resteranno sulla carta: i clienti non vogliono piu una tale casa; la giuria francese ha conferito un onorevole quanto inutile 2° posto; la torre è stata fermata dalla commissione per la salvaguardia dei landmarks newyorkesi. Immediatamente a sinistra della nuova torre del Museum of Modem Art, progetto di César Pelli, sorgerà il nuovo Museum of American Folk Art, di Emilio Ambasz. L'impor­ tanza che la folk art va assumendo per gli Stati Uniti è gran­ dissima. Varte è arte, sempre; non ha quindi senso parlare di arti minori, o di arte nai:f, o di arte dell'infanzia, o di arte delle culture minori rispetto a pretese culture principali; discorso· indigesto per la sensibilità del vecchio mondo. Per il continente americano l'arte folk dell'area caraibica corri­ sponde a quello che è stata l'arte mediterranea dell'antichità per l'Europa: si tratta dell'unica genuina forma espressiva di una terra che non è piu interessata alle contaminazioni operate .dagli artisti· americani fra culture indigene e tradi­ zione europea. d'importazione. - Il progetto di Ambasz adopera un linguaggio piu tradi­ zionale rispetto a quello cui ci ha abituato il suo autore: le leggi del contesto urbano sono le piu forti. Tuttavia vi si riconosce l'antica predilezione naturalistica per le sinuosità organiche viste in contrapposizione a rigide scelte geometriche. È. il tema ricorrente del. rapporto artificio-natura. Il senso del magico permea di sé modellini e disegni; la natura viene guardata con occhio di ecologo; il sito detta l'architettura; 20 le tecnologie avanzate, i mulini, gli impianti solari, i tralicci


metallici sono usati come terzo polo in costante dialettica con gli altri due, la natura e l'architettura. Questa direzione di ricerca viene percorsa da Ambasz con sicurezza e grande per­ sonalità nei suoi piu recenti progetti: i nuovi uffici di Città del Messico, dove accanto ai volumi destinati ai computers compaiono i tradizionali mulini a vento messicani; l'addi­ zione al Michigan Museum of Beaux Arts, ove ancora una volta l'acqua viene usata per i suoi valori visivi ed acustici; la nuova « plaza» nel centro di Houston, in Texas, scavata al di sotto del livello stradale, ove solo le quinte verdi ricom­ pongono l'unità presente prima degli scavi: gli Schlumberger Research Laboratories, quasi traccia archeologica di una mi­ tica città del passato (o del futuro?), emergente qua e là negli sconfinati spazi texani. Il gruppo Site, Sculpture in the Environment, nato nel 1969 a New York, è un esempio di pacifica coesistenza fra artisti, per lo piu scultori, e architetti. f:. un gruppo inter­ disciplinare, i cui componenti, dai backgrounds culturali piu diversi, hanno iniziato con l'occuparsi di arte ambientale. Il loro manifesto si articola su tre punti programmatici che James Wines, leader del gruppo, scultore, non manca di esporre in ogni occasione: 1) architettura come arte, piut­ tosto che architettura come progetto; 2) architettura come idea, piuttosto che architettura come forma, spazio, strut� tura; 3) l'edificio come materia prima per l'arte, piuttosto che come obiettivo finale. La propaganda è parte essenziale dell'attività del gruppo, proprio per il contenuto in qualche modo provocatorio delle loro proposte. Gli otto shopping centers che il gruppo ha costruito per la « Best Products », una grande società com­ merciale di distribuzione, hanno costituito · la base di una certa popolarità, a dispetto della generale diffidenza che cir­ cola negli ambienti ufficiali. Sono i soli a costituire un esempio •di collaborazione concreta fra arte e architettura. Nel loro lavoro sono facilmente identificabili tre fasi ovvero tre tipi di « trovate»: la prima, apocalittica ed iperrealista, è fatta di angoli crollati, muri pericolosamente inclinati, in­ gressi attraverso i quali si passa e ci si trova ancora al- 21


l'esterno. � il fascino perverso della deroga al gusto codi­ ficato dell'edificio perfettamente concluso, eredità del Movi­ mento Moderno. La seconda fase, naturalistica, è il gradino successivo alla catastrofe, il momento in cui la natura si riappropria con violenza degli spazi sottrattile dall'uomo nella precedente età della tecnologia. Ultimo progetto, non (ancora?) realizzato, ma studiato con dovizia di particolari e in diverse versioni, è la « highrise of homes », dal provo­ catorio titolo che, contraddizione in termini, suona « gratta­ cielo di villette ». Si tratta della fusione dei due prototipi dominanti nella politica degli alloggi negli Stati Uniti, della cultura di Levittown 22 trasferita a Manhattan. Non mancano i riferimenti storici: dal Le Corbusier dell'Unitè d'habitation all'habitat di Moshe Safdie all'Expo di Montreal, dalle torri vernacolari di Bofill agli edifici di Ralph Erskine a Newcastle, agli Smithson, a Lucien Kroll: architetture della consulta­ zione con gli abitanti, « collage architecture ». A completare questo veloce panorama è importante consi­ derare sommariamente l'influsso di razionalisti d'oltre oceano, già sopra ricordati. I legami ideologici fra « Rats » europei e « whites » newyorkesi (con al seguito i vari Koolhaas, Gan­ delsonas, Frampton) sono molto forti. « Oppositions », la ri­ vista edita dallo Iaus, riporta sempre articoli sul razionalismo internazionale a firma Colin Rowe, Tafuri o altri. La famosa mostra di Arthur Drexler dell'autunno '75 dedicata allo sto­ ricismo razionalista dava una buona indicazione sulla dire­ zione del vento che spirava tn Fifth Avenue, dallo Iaus al Moma 23• Il Museum of Modem Art che, si badi, aveva fatto da madre amorevole all'International Style. La parola nuova im­ portata dal razionalismo europeo è fondamentalmente sinte­ tizzata nel rinnovamento del vocabolario architettonico mo­ derno ottenuto sostituendo alle metafore macchiniste ed al purismo geometrico la specifica considerazione del paesaggio urbano. � il messaggio di Rossi. Da parte tedesca Kleihues denuncia l'artificiosità forzata di imparare da Las Vegas 24, cosi come mette in guardia da un ·razionalismo limitativo che rischia di perder di vista quanto sfugge al dominio della 22 ragione. Il problema centrale dell'architettura è forse nella


scelta fra due posizioni diverse: quella « razionale » che ci consente di giungere a delle convenzioni codificate e quella « eclettica » che lascia a ciascuno la possibilità di trovare la propria via all'architettura. Pur senza arrivare a sostenere che il Movimento Moderno degli anni '20 possa essere considerato responsabile del com­ mercialismo dell'International Style, è chiaro che in qualche misura quest'ultimo deriva dal primo. Resta comunque la necessità di essere molto critici nell'assumere elementi proget­ tuali dalla storia. L'interesse degli americani per l'architettura non è gene­ ricamente culturale, ma strettamente legato a quello per l'ambiente in cui, che lo si desideri o no, si è costretti a vivere. Interesse giustificato anche dalla rapidità con la quale le città americane si trasformano sotto gli occhi dei loro abitanti. Il dibattito teorico è vivissimo e lo star system ha ormai mitizzato i nomi degli architetti fino a trasformarli in personaggi, né piu né meno di quanto avviene nel mondo dell'arte, della musica, dello spettacolo, della politica. Alchi­ misti della città, gli architetti dal canto loro accentuano, con atteggiamenti sottilmente snob, questo loro ruolo pubblico; « Whites », ex « whites », « grays », « rats » (con tutte le possi­ bili ramificazioni e sovrapposizioni che un'attenta critica ar­ chitettura riesce a decodificare) costituiscono un manipolo concentrato per lo piu a New York e sulla East Coast, sempre presente sulla stampa specializzata e nelle grandi mostre. Di cultura fortemente europeizzata, il gruppo detiene nelle sue mani tutto il potere delle grandi scuole di archi­ tettura (Columbia, Yale, Harvard, Cooper Union, Iaus, Prin­ ceton), delle riviste, dei punti d'incontro quali l'Architectural League. Sono gli architetti, a tutti noti, di cui s.'è parlato, intorno ai quali ruota uno stuolo di critici informatissimi, attenti, fortemente legati alla tradizione storica del Movi­ mento Moderno, relativamente indifferenti ai fenomeni au­ toctoni della cultura americana. Architetti che paradossal­ mente hanno avuto sinora un'influenza limitata sull'architet23 tura effettivamente realizzata negli Stati Uniti.


La quasi totalità: di quanto di nuovo viene costruito in America è in realtà affidata ai grossi studi professionali che suppliscono alla mancanza di spessore culturale, pur restando attenti all'evoluzione del gusto, con una efficienza ed una capacità progettuale di tutto rispetto. Sono essi ad avere realmente cambiato il volto di città come New York, ma ancor piu di Toronto, Atlanta, Houston, Dallas, Los Angeles. Forti di un sufficiente consenso popolare, prodotto di una tipica cultura americana, gli architetti che « stanno al gioco», i grossi nomi dell'architettura commerciale, sono tuttavia piu accettabili, per il pubblico, di personaggi quali, ad esempio, Frank Gehry o Peter Eisenman. · In questo dissonante processo in continuo divenire è dif­ ficile trovare un filo conduttore. C'è una direzione predomi­ nante, un modello culturale prevalente, adesso e nell'imme­ diato futuro? Si sarebbe tentati di rispondere: si; l'« inclu­ sivismo » è la matrice principale della cultura architettonica contemporanea sulla scena newyorkese. Ma è -una soluzione parziale: l'« inclusivismo», in quanto tale, include anche i fenomeni « esclusivi» e tutte le variazioni intermedie. La chiave alla comprensione di ciò che accade a New York sta probabilmente nella parabola architettonica del suo de­ cano: Philip Johnson. L'At&t Building, la torre del potere, forse inutile sede per la piu grande società del mondo, la Beli Telephones, trovatasi paradossalmente ad essere smem­ brata· fra i vari Stati dell'Unione proprio durante la costru­ zione del · simbolo tangibile di questo potere, resterà un esempio emblematico. Monumento come pochi altri edifici della terra, è destinato a vivere nella frettolosa indifferenza newyorkese, all'interno di uno skyline arricchitosi di recente di tante nuove torri da risultare come appiattito. Invisibile immanenza, come quella del suo creatore, rappresenta forse l'ultimo punto d'arrivo, l'eclettismo totale.

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t Cfr. New York; Ne-.v York '82, Advertising S_upplement to New York Times »; 31/10/1982. ·

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2 Cfr. B. DIAM0NDSTEIN; lnterior Desigii, the new freedom, Rizzoli • . Int., New York, -1982. · . 3 Il titolo della mostra curata da Fulvio lrace è: « Precursor of Post­ Modemism». 4 Cfr. intervista a Richard Meier in B. DIAMONDSTl!IN, American Ar­ chitecture Now, Rizzoli Int., New York, 1980, p. 106. 5 Cfr. New American Art Museums, Whitney Museum of American Art, New York, 1982. 6 Cfr. R. MmER, On Architecture, George Gund Hall, Cambridge, 1980. 7 V. SCULLY, Introduzione a R. VENTURI, Complessità e contraddizioni nell'architettura, Dedalo, Bari, 1980, p. 6. 8 Cfr. Jolm Hejduk et la Cooper U11io11, in « Architecture d'Aujour• d'hui», N. 186, a. 1976. 9 Cfr. P. EISENMAN, House X, Rizzoli lnt., New York, 1982. 10 P. PORTOGHESI, Dopo l'architettura moderna, Laterza, Bari, 1980, p. 123. Il Ibidem. 12 Cfr. R. STERN, New Directions in American Architecture, Braziller, New York, 1977. 1 3 Cfr. M. GANDELSONAS, From Structure lo Subject: the formation of an Arcl1itectural Language, introduzione a P. EISENMAN, op. cii., p. 8. 1 4 R. STERN, Gray Architecture: .quelques variations post-modernistes autour de l'orthodoxie in « Architccture d'Aujourd'hui», cit. 1s Stern, con il suo « more is more», completa il venturiano « less is a bore» (« il meno è una noia»), parafrasi del celebre « less is more» (« il meno è il piu »}, di Mies van der Rohe. 16 Cfr. R. STERN, « Perspecta », N. 9/10, a. 1965. 1 7 P. ARNELL, T. B!CKF0RD, Introduzione a R. STERN, Buildings and Projects 1965-1980, Rizzoli Int., New York, 1981, p. 9. 18 R. StERN, op. cii., p. 11. 19 Cfr. D. AGREST, M. GANDELSONAS, On Practice, dagli Atti del Semi· nario I.C.A.S.A./N.Y.U. « Art for the 80's: thc Lan:;uage of Architec­ ture», New York University, 1982. 20 Ibidem. 21 Ibidem 22 Cfr. « Rcmcdial Housing for Architects, or Lcaming from Levit­ town», uno studio condotto a Yale, cit. in R. VENTURI, D. Scon BR0WN, S. IZEN0UR, Learning from Las Vegas: the forgotten symbolism of ar• chitectural form, M.I.T. Press, Cambridge, 1977. 23 C. JENCKS, « Irrational Rationalism: the Rats since 1960 » in Late Modem Architecture, Rizzoli Int., New York, 1980, p. 137. 24 Cfr. R. VENTURI, D. SCOTT BR0WN, S. IZEN0UR, op. cit.

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La questione dei graffiti ANTONIO D'AVOSSA

Come fenomeno che attraversa la cultura americana (ma in particolare quella newyorkese) da quasi dieci anni, l'espe­ rienza dei graffiti, nelle sue mutazioni di segno che vedono oggi alcuni di questi giovani artisti al centro dell'atten­ zione del mondo dell'arte internazionale, può essere consi­ derata la forma piu autentica dell'espressione metropolitana americana. La rilevante esplosione di quest'arte ha trasci­ nato con sé tutte le caratteristiche di questa cultura, soprat­ tutto perché si è legata per fili diretti ad alcune delle ultime pratiche artistiche statunitensi e agli aspetti delle radici antropologiche in cui larga parte della vita estetica ameri­ cana affonda. Del resto i graffiti, oltre ad aver contribuito a disegnare la città come spazio interno, trasformando le strade e le stazioni della metropolitana in gallerie che espon­ gono l'ultima arte ambientale, hanno certamente influenzato molta arte recente, cosi come il modo di vestirsi della gente della strada influenza continuamente la moda disegnata dagli stilisti. È in tal senso che, nell'occuparci di questo fenomeno, vogliamo dedicare uno sguardo particolare ai momenti piu significativi che precedono l'esplodere ed il passaggio di una pratica spontanea, effimera e senza scuola, dal luogo « muro » al luogo « galleria », cosi come dal supporto « treno » al sup­ porto « tela »; oltre che individuare le emergenze pm sin26 golari di questo recentissimo fenomeno stilistico. I nomi,


ormai noti anche in Europa, di Jean Michel Basquiat, Keith Haring, Futura 2000, George Lee Quinones, Fred Brathwaite, Kenny Scharf, Rammellzee, etc., hanno non solo alle spalle esperienze e storie differenti ma anche direzioni espressive cosi particolari da renderli individualmente protagonisti. 1. Le date di nascita dei graffiti sono: il 1967, anno in cui la direzione del subway di New York stabilisce una multa di 25 dollari o dieci giorni di reclusione, per chi sia sorpreso a cantare, ballare, suonare, o scrivere graffiti nella metropoli• tana 1; il 1968, quando Julio 204 inizia a scrivere regolar­ mente per due anni il proprio nome fuori dalla sua zona di origine (a nord di Washington Heights) e si misura con la città dando cosi avvio ad una pratica che non era apparte­ nuta a nessuno prima di lui; bisogna però aspettare il 1970 e il 1971 per avere una diffusione, anche se ristretta, di queste scritture da parte di Thor 191, autore negro che aveva iniziato a scrivere nel 1969, e Frìendly Freddy, primo scrittore di Brooklyn, anch'egli negro, che aveva esordito nel 1969 nei dintorni di Flatbush Avenue; infine, è in un articolo del « New York Times » del luglio 1971 che si parla per la prima volta dei graffiti come di un fenomeno ormai · consistente. Un ragazzo greco, Taki 183, viene indicato come il caposti­ pite di questa nuova moda, inoltre, nell'articolo si dice che la spesa sostenuta dall'amministrazione della città· per far fronte a questo vandalismo e per pulire i luoghi pubblici dalle scrit­ te ammonta nel 1971 a 300.000 dollari 2• Taki 183, a differenza degli altri scrittori, decide di scri­ vere il piu possibile e dappertutto 3• In pochissimo tempo diventa famoso e tutta New York si accorge di lui. Da questo momento scatta il meccanismo dell'emulazione, che conce­ pisce il graffito come un'attività volta al fine consapevole di To get your name around, alla lettera: Mandare in giro il nome 4• -Migliaia di ragazzi, per ·la maggior parte apparte­ nenti a strati subalterni, quindi portatori di vicende cultu­ rali « altre » (negri, portoricani, sud-americani, cubani, greci, italiani, etc.), di età compresa tra i dodici e i diciotto anni, si raggruppano in cliques e seguendo l'esempio di Taki riem- 27


piono la città di scritte, passando dai muri delle scuole e dei quartieri a quelli della metropolitana e delle sue carrozze. Lo spray diventa il mezzo piu adeguato e veloce con cui si può far conoscere in giro il nome. Ed è con l'uso continuato di questo mezzo che i graffiti raggiungono una reale auto­ nomia formale. La bomboletta di colore richiede infatti una perfetta padronanza dello spray e ogni esitazione, sgocciolio o correzione, è interdetta 5• n· modello di partenza è lo stam­ patello appreso nei primi anni di scuola, ma anche questo modello andrà man mano evolvendo e maturando e si giun­ gerà, oltre che a delle precise differenze calligrafiche, anche a diverse soluzioni o invenzioni stilistiche 6• L'illegalità dei graffi.ti è un fatto che si accentua anche nelle espressioni ger­ gali e nei termini con cui questi giovani provenienti dai quar­ tieri del proletariato urbano come Washington Heights (Manhattan), West Bronx (Bronx), Flatbush (Brooklyn) o da quelli •piu poveri come Lower East Side, Harlem, South Bronx o Brownville, definiscono il loro modo di procurarsi le bombolette. Il furto è indicato con il termine « to invent » (inventare) e fa parte della pratica graffitista come compo­ nente iniziale, dove il rischio del furto è certamente minore di quello che si corre nel coprire velocemente con pittura spray un'intera carrozza della metropolitana; fare un graffito viene indicato con il termine « to hit,. (colpire). Tutto questo, dal furto al graffito, diventa una specie di gioco di gruppo che spesso si concreta nel « commando espressivo,. definito da Richard Goldstein, il primo giornalista che in un articolo apparso nel marzo 1973 tenta di interpretare in modo deci­ samente serio il fenomeno come la prima e autentica cultura giovanile nata dalla strada dopo quella espressa negli anni · !50 dal rock'n roll. Questa è la descrizione .di• Goldstein di un « commando espressivo »: All'inizio sembra una cosa abbastanza innocua. Un gruppetto di ragazzi di Washington Heights si Infila di notte nel depositi del subway, saltando di rotaia In rotaia, vestiti. di tute e polo-shlrts, con l guanti di gomma della mamma e. immense giacche da lavoro dell'esercito che na28 scondono le. bombolette dl vernice, ognuna appositamente



piu eleganti, appaiono ricoperti da una giungla di scritte va­ riopinte. Non vengono risparmiate neppure le auto private. � questo un momento intermedio tra l'illegalità (ancora do­ minante) e la legalità, perché è del dicembre 1972 la prima organizzazione di artisti di graffiti: uno studente portoricano di sociologia al City Center College, Hugo Martinez, fonda la « United Graffiti Artists » (U.G.A.) che raccoglie un centinaio di scrittori. Quest'ingresso dei graffiti nella legalità viene sollecitato da Martinez che intravede negli scrittori di graf­ fiti possibilità artistiche. Fonda un laboratorio dove i graf­ fiti sono scritti su fogli di carta. Ma il richiamo al furto e al treno è piu forte. La base del linguaggio graffitista resta l'ille­ galità. L'U.GA. infatti diventa in seguito una specie di« Super­ cliques » e far parte di questo gruppo diviene, tra il 1972 e il 1973, la cosa piu ambita per gli scrittori di graffiti di New York 11. Ma il riconoscimento avviene con la scenografia di un bal­ letto. Twyla Tharp chiama il gruppo dell'U.G.A. a disegnare la scenografia del balletto moderno « Douce Coupe »: in questa prima esibizione pubblica sul palcoscenico, una decina di membri del gruppo scrive il proprio nome alle spalle dei bal­ lerini su grandi rotoli di carta. Il balletto ha un grande suc­ cesso e diventa veicolo e stimolo di una moda inarrestabile oltre che di un interesse negli ambienti piu radicali e sofisti­ cati di New York che guardano, a questo punto, al fenomeno come a qualcosa di primitivo ma di decisamente affascinante 12• 2. Dall'estate 1973, data del balletto della Tharp, il graffito entra in una nuova fase. Seguirne gli avvenimenti e le muta­ zioni diventa abbastanza complicato. L'inizio delle prime mo­ stre corrisponderà in seguito, oltre che a degli sviluppi sti­ listici e formali, all'interesse di galleristi e di critici che riuscirànno a fondare su questo·fenomeno l'arte e·il mercato del graffito. · . - . La prima mostra viene organizzata dalla New York Foun­ dation of Arts, nel settembre, alla Razor Gallery. I graffiti ven­ gono realizzati su tela. Vi partecipano i maestri dell'U.GA. Il 30 successo è strepitoso, tutti i lavori sono venduti. Le critiche


dei giornali sono tutte favorevoli. Sally Hammond scrive:. I graffiti, se dipinti accuratamente su delle fresche tele bianche, figurano meglio che non scarabocchiati sugli sporchi vagoni del subway 13• Un'altra mostra viene organizzata alla galleria Artist Space di Soho dove i maestri dell'U.G.A. sono presen­ tati in catalogo da uno scritto di Peter Schieldahl 14• Ma il fatto piu importante, che rende definitivamente « arte» il fenomeno dei graffiti, è il volume, e l'analisi in esso contenuta, di Norman Mailer, The Faith of Graffiti, un libro che finalmente (nel 1974) precisa in termini estetici e antro­ pologici il destino e le prospettive dei graffiti di New York. Prendendo posizione per i graffiti, Mailer ne legittima l'entrata nel mondo dell'arte e dell'attività estetica e ne documenta la nascita, lo sviluppo e le piu recenti distinzioni stilistiche di quegli anni. I graffiti vengono visitati teoricamente come un fatto culturale prodotto dalla rivoluzione visuale americana (dell'arte e non) che aveva ormai raggiunto anche gli adole­ scenti dei bassifondi 15• B negli anni seguenti che lo sviluppo stilistico arriva a differenze radicali 16• La prima notizia italiana è invece presente in un lungo ar­ ticolo di Goffredo Parise apparso ne « Il Corriere della Se­ ra» del 7 aprile 1976. Parise, che conosce il libro di Mailer e da questo parte per l'analisi degli aspetti di una cultura na­ zional-popolare americana, scrive: I graffiti non comunicano nulla (sono un messaggio puramente formale); lo stile è uni­ forme ( sono già fissati in un codice grafico); i graffiti sono fatti a mano ( al contrarlo dell'universo americano che è indu­ striale e non artigianale); i graffiti sono ideologia ( cioè non soltanto l'espressione protestataria e politica della prima cul­

tura nazional-popolare americana ma, come in tutte le culture popolari, essi esprimono, al di là dell'apparente mutismo, una potente carica ideologica) 17• Ma è Sol Lewitt, l'artista americano che si è sempre mosso tra il minimal e il concettuale, a consacrarne l'artisticità. Nel 1979 pubblica un libro, frutto del lavoro fotografico sui muri della Lower East Side: On the Walls of. the Lower East Side, Protographs taken within the last two years in a ten-block radius; signs, posters and graffiti 18• E la legittima- 31


zione finale, perché è il lavoro di un artista su altri artisti, che con ordine e severità rende la spontaneità di questi segni prodotti d'arte. · Il resto è storia recente. E. piu facile seguirne le tappe. Sono gli eventi decisivi. I graffiti raggiungono la grande strada dell'arte dopo la mostra « Times Square Show », organizzata nel giugno 1980 da Colab (Collaborative Projects lnc.) e Fa­ shion Moda, una galleria-magazzino del South Bronx aperta quattro anni prima da due artisti, Stefan Eins e Joe Lewis, che la concepirono come uno spazio per gli artisti della peri­ feria. Le attività di Fashion Moda furono riportate nel Village Voice, dopo di che Eins e Lewis sono stati invitati dal New Museum per curare una mostra degli artisti della strada da New Orleans e New York per la fine dello stesso anno. Nel frattempo, un'intera generazione di artisti appartenenti a piu razze e piu etnie faceva la sua apparizione, in gran parte pro­ veniente da disagiate situazioni della vita dei ghetti, per tro­ varsi quasi improvvisamente sorretta da grossi mercanti di New York. Un'altra importante esposizione « New York/New Wave », curata da Diego Cortez e tenuta al P.S. 1 nel 1981, con­ solida il fenomeno artistico e lo presenta, come tale, all'atten­ zione del mondo dell'arte internazionale 19• Non è casuale allora che nella grande e prestigiosa espo­ sizione di Kassel (Documenta 7) del giugno 1982 siano presenti alcuni dei giovani artisti che si erano fatti conoscere in queste. due esposizioni: Jean Miche! Basquiat, Keith Haring e George . : ·· .. , Lee Quinones. · 3. Jean Miche! Basquiat, artista negro nato a Brooklyn riel 1960 da genitori haitiani, può-essere considerato uno dei cam­ pioni dell'esperienza dei graffitL Inizia la sua attività con il nome Samo di cui in una intervista rilasciata alla rivista « Interview » spiega a Henry Geldzahler la genesi: Ho costruito SAMO con un compagno di scuola, in verità non volevo pren­ dere questo nome, ma è diventato mio perché lo sono stato una specie di progettista di esso e vi erano del tecnici che lavoravano con me 20. In effetti la costruzione del nome diventa 32 per Basquiat -passato dal momento in ·cui scrive sui muri


« SAMO IS DEAD ». In questo modo viene sancita la.fine-della sua esperienza di graffitista, come pratica spontanea.e margi­ nale, e l'inizio della sua esperienza di artista legato a situazioni del mondo dell'arte newyorkese: incontra· Andy Wharol ed espone per la prima volta da solo nella galleria di Soho di Annina Nosei nel 1982 21• Il lavoro di Basquiat riportato su tela riprende gli iniziali simboli adottati intorno al suo nome sui muri: prima di tutto una corona che lo distingueva dagli altri SAMO della città. Alla domanda da dove derivi la « sua » co­ rona, Basquiat risponde: Ognuno può avere o può fare c� rone 22• Da questo distintivo. parte per una proliferazione· di segni e simboli appartenenti ad una specie-di erudizione spon­ tanea: numeri arabi e romani, teschi, scheletri, aureole, ani­ mali, lettere alfabetiche, scritte, nomi di filosofi, croci, frecce, etc. Achille Bonito Oliva ha scritto che,· oltre a riportare sulla tela la forza astratto-figu rativa dei graffiti, il loro carattere di­ chiarativo e narrativo, la loro forza esplicita e didascalica, lo stato di confusione ed aggregazione spontanea. degli elementi visivi, per il lavoro di Basquiat sul piano strettamente lingui­ stico, i rimandi sono molteplici, corrono nella direzione di De Kooning per il taglio figurativo delle immagini, nella dire­ zione di Twombly per quanto riguarda la grafia elementare .e verso quella dell'espressionismo astratto di Pollock, da cui U giovane americano recupera il furore del segno- e la sua ca­ pacità di stabilire un avvolgimento dell'immagine 23•.·· • • ·. · · · Keith Haring, nato nel 1958 a Kutztown- in -Pe.cµIsylvania, si presenta invece· come una figura anomala nel mondo .dei graffiti. In primo luogo perché è bianco e ·appartenente· alla « middle class » e perché ha frequentato la School'of Visual Arts di New York, dove è diventato amico di Kenny Scharf ed ha seguito i corsi di Keith Sonnier e Joseph Kosuth; in secondo luogo perché dichiara il suo lavoro come « post-con­ cettuale » 24• In una sua dichiarazione spiega gli inizi della sua attività: Le prime cose che ho fatto erano basate sui caratteri del « New York Post ,. ritagliati e riarrangiati� come una· cosa di Wllliam Burroughs, li ritagliavo· e li ricomponevo come nuove notWe e ognuno reagiva In modi diversi. C'era della gente che faceva arte nelle strade e io ero a conoscenza di ciò, 33


ma non ho fatto niente nella strada fino al momento in cui non ho avuto qualcosa che potesse appartenervi ( ... ) La prima volta che mi sono trovato coinvolto con « la gente dei treni », gli scrittori dei graffiti e delle firme, è stato quando ho co­ minciato a fare un lavoro nei tunnels. C'era un reciproco ri­ spetto 25• In effetti il lavoro nella metropolitana di Haring differisce in modo radicale da quello dei graffitisti. I supporti che sceglie per-il suo disegnare non sono i treni o i muri ma, secondo influenze che sicuramente derivano dall'arte concet­ tuale i pannelli di carta nera che ricoprono le pubblicità sca­ dute: Alla fine del 1980 mentre vive in Times Square, all'im­ provviso si accorge dei vuoti pannelli neri nella metropoli­ tana. Dieci anni di graffiti e di arte concettuale non avevano ancora toccato questi spazi. Cosi, una volta deciso li mezzo, « gesso bianco», perché era li piu economico, cominciò a fare i suoi disegni 26• Considerandosi appartenente alla prima ge­ nerazione dell'era spaziale, nato all'interno di un mondo di immagini televisive, tecnologiche e gratificazioni istantanee, insomma « un bambino dell'era atomica », i suoi disegni ri­ prendono tutto quell'insieme di figure che, dai personaggi delle strisce di fumetti ai cartoni animati, quindi dalla pop art al­ l'arte concettuale e dei video, si evolvono in un suo personale e sistematico vocabolario. Harlng usa un vocabolario di im­ magini apparentemente breve ma in costante evoluzione. Di­ segni velocemente tracciati e felicemente ripetuti danno corpo a personaggi/emblemi che rappresentano uomini, cani, inserti della TV e telefoni che formano il nucleo della sua privata mitologia ( ... ) Disegnati con immediata semplicità, i « picto­ graphs • di Haring tracciati in bianco e nero si situano a metà strada tra il luogo magico dell'arte delle caverne e quello dei cartoni animati. Allo stesso tempo catturano il mistero di antichi rituali e le ossessioni di una società altamente tecno­ logica ( ••• ) La bellezza dello stile dei suoi veloci disegni è evi­ dente, per esempio, nella piccola figura in preghiera con le braccia stese verso l'alto che può essere descritta semplice­ mente come una lettera H umanizzata con un cerchio a signi­ ficare la testa 11• Del resto, le sue figure senza volto sono dotate 34 di una estrema espressività di per sé prese: si inginocchiano


o si sollevano, danzano o pregano in un universo in cui le comunicazioni avvengono attraverso bambini raggianti, dischi volanti, immagini televisive, cani che abbaiano, omini cadenti, personaggi di Walt Disney, etc. 21 • II « bambino raggiante», diventato anche il button che Ha­ ring distribuisce, è la sua firma. I raggi che partono per lo piu dal centro dei disegni stanno ad evocare luce, suono, movi­ mento, energia, paura e aggressione. Richard Goldstein, quel primo giornalista che si era interessato nel '73 al fenomeno dei graffiti nella subway, ha definito i suoi disegni come i migliori tra quelli prodotti dagli artisti dei graffiti. Lo stile dei suoi geroglifici è stato anche definito con il termine «New Wave Aztec ». Al singolare incrocio tra art brut, arte concettuale e pop art e con la coscienza di una maturazione del lavoro, alcune sue recenti dichiarazioni ripropongono tutta la complessità dei suoi «graffiti»: Ml sono sempre interessato della calligrafia cinese, del lavoro di Mark Tobey e all'idea dell'art, brut di Dubuffet. Ecco perché proprio da tempo ero attratto dai graf­ fiti. Volevo disegnare in quel modo in ogni caso, fare linee come quelle. Perfino la gente comune può vedere che nel graf­ fiti sono proprio dei nomi a rappresentare alcuni dei piu bei disegni che io abbia mai visto... Io cerco di enunciare le cose nel modo piu elementare possibile, come i numeri primari, Cosi molte informazioni possono essere convogllate proprio da una sola linea. E un improvviso mutamento di quella llnea può creare un significato completamente diverso... La figura di Topolino venne fuori molte volte nei miei disegni del Mi­ ckey Mouse di quand'ero bambino. Mi è piaciuto questo tor• narci di nuovo perché i disegni che faccio adesso hanno a che vedere di piu con quelli che facevo da ragazzo a scuola piut­ tosto che con quelli che facevo nella scuola d'arte. Lo facevo in parte perché riuscivo a disegnarlo molto bene, in parte perché è un'immagine cosi tanto carica che in ultima analisi è un simbolo dell'America piu di qualsiasi altra cosa. Feci f disegni proprio dopo aver visto la mostra di Disney al Withney Museum. Come gli artisti della Pop Art che Io facevano venti anni fa guardando ai nuovi oggetti culturall da una posizione 35


distaccata. lo sono nato nel '58, uno dei primi bambini del­ l'era spaziale. Sono cresciuto con la TV e sento di essere piu un prodotto del Pop che una persona che vi ha prestato at­ tenzione 2!1. FUTURA 2000, un giovane artista negro nato nel 1955 a New York City, si chiama Lenny McGurr. Prende il nome FU­ TURA 2000 da un'auto prodotta dalla Ford. Chiamato anche il Watteau dello spray, il suo lavoro muove dalle tags nella subway. Nel 1971, mentre frequenta la New York School of Printing e vive nell'Upper West Side di Manhattan, viene coin­ volto dall'interesse per i graffiti: Ero solito andare fino ai Queens e al Bronx solo per guardare i vagoni della metropo­ litana e vedere in che modo avrei potuto contribuire. Dopo tornavo a casa e cercavo di imparare da solo come. usare un marchio, per poi dipingere con lo spray 30• Il suo interesse per i graffiti è particolarmente rivolto al linguaggio quando questo poteva significare trovare una identificazione e la costruzione di un nome, quindi i graffiti erano per lui il veicolo per di­ ventare parte di qualcosa che con l'aggiunta del proprio nome lo avrebbe messo nella possibilità di comunicare con gli altri artisti dei graffiti. Come membro dell'U.G.A. è uno degli espo­ sitori della mostra alla Razor Gallery del 1971. Nel 1974 si è arruolato nella Marina Militare ed è rimasto in viaggio per quattro anni. Al ritorno a New York prende visione della mo­ dificazione che la pratica dei graffiti ha subito. Per un anno e mezzo cerca un suo stile insieme ad altri giovani scrittori di graffiti. In questa fase comincia a prendere sui serio il suo lavoro come artista che inizia rapidamente a cambiare con uno stile che diventa sempre piu spaziale ed astratto. Muovendo dalla tradizionale scrittura del nome in parole e caratteri in largo giunge ad un modo di disegnare e dipingere scenari che prendono a pretesto l'immaginazione. Rifinisce la tecnica dello spray col disegnare caratteri e figure ovali e cerchi perfetti o linee all'improvviso zigzagate. La sua· costruzione della super­ ficie e delle profondità ricorda infatti molto da vicino certe spazialità di Kandinsky o di Matta. Ha anche collaborato con il gruppo rock e The Clash • ed è- forse l'artista dei graffiti piu 36 legato alla pratica dello spray e dei treni: Ma ecco che io rl-


torno nel tunnel della metropolitana, è diventato plu o meno come un mio richiamo; esiste e io sono parte di esso JI. Frederick Brathwaite e George Lee Quinones, nero di Brooklin il primo (1958) e portoricano il secondo (1960), si incontrano per caso di notte nei grandi depositi all'aperto dei treni della sotterranea. Entrambi vi si recavano di soppiatto con il loro carico di bombole e di vernice spray spinti dalla esigenza comune di lasciare una traccia che li distinguesse. Fred Brathwaite (con il nome di FAB 5 FRED ripreso dal nu­ mero 5 del treno della IRT) ha anche·collaborato con il gruppo rock « The Blondie ». Considerati anche dagli altri artisti dei graffiti come tra i piu sapienti nella tecnica dello spray, svi­ luppano il discorso del nome e della firma per completarlo anche di segnali provenienti dalla cultura artistica recente. Come il frutto spontaneo della fusione della pop art americana con l'esigenza di lasciare una traccia i loro graffiti arrivano ad una evoluzione stilistica che non esclude anche la tematica della citazione. Difatti una delle cose per cui FRED è mag­ giormente conosciuto è l'aver dipinto un intero treno con le soups cans derivate dal lavoro di Andy Wharol: Io e Lee vole­ vamo fare qualcosa che facesse notlzla, cosi pensammo qual­ cosa che motteggiasse la cultura pop. Sapevamo che altri scrit­ tori di graffiti non conoscevano li fatto che le Soup Caos fos­ sero appartenute anche ad un contesto artistico._ li mio Soup Can Train è ancora in viaggio, è li treno n. 2 32•. Sembra divenire sempre piu chiaro il fatto .che .ci sono teorie e spiegazioni razionali all'interno di questa forma di scrittura apparsa per la prima volta.nel buio della metropo­ litana. L'arte dei graffiti, che ha avuto un suo inizio in modo del tutto inconscio ed intuitivo, attraverso il lavoro di Ram­ mellzee raggiunge alcune norme precise e dettagliate. Ram­ mellzee ha fatto scritte sui treni negli anni che vanno dal '74 al '79; in questo periodo comincia ad osservare la dinamica interna alle lettere dei graffiti e si va rafforzando in lui una idea prima intuita e poi resa negli ultimi anni una teoria vera e propria, basata su dati e studi precisi, cui ha dato il nome di « Ikonoklast Panzerism ». 1:. Rammellzee stesso, in alc�e in­ terviste, a dichiarare le provenienze e le formulazioni di queste 37


sue teorie (cose peraltro da lui riportate in un pamphlet a cui sta ancora lavorando con l'intento di farne un vero e proprio libro). Afferma come prima cosa che il termine « Iko­ noklast Panzerism » proviene dal vocabolario, come d'altra parte tutte le parole, perché a suo avviso nulla si può creare ma si può solo intervenire su ciò che è e che è dato, e precisa che è tramite una manipolazione dei due termini « iconoclast» e « panzer» che egli nomina la sua teoria che definisce una « pratica di armamento». Questa « pratica di armamento» si basa su un'alta scientificità, su simboli altamente matematici e quindi assoluti; viene applicata ad ogni lettera per distruggere altre pratiche simboliche, siano esse di culto o di altro. La modificazione della « C» in « K» nel termine « Ikonoklast» è determinata dal fatto che secondo le sue formulazioni la lettera « C » è incompleta, mancando 60 gradi alla sua forma­ zione, mentre il « K» si basa su una propria centralità; questo tipo di scienza deriva dalla conoscenza delle formazioni mec­ caniche che nella loro evoluzione si trasformano in strutture elettromagnetiche; c'è anche una stretta relazione tra le let­ tere ed i numeri. Il termine « panzer» si riferisce al « carro armato», quindi al « meccanismo armato» che simboleggia la pratica dell'armamento"· In un'intervista con Moufarrege, Rammellzee, parlando del­ le lettere appartenenti ai vari linguaggi e della loro possibilità di essere armate, spiega la formazione del proprio nome: Sigma è la mia lettera preferita. RAMMELLZEE è una funzio­ ne militare ed una formazione, perché quando lo disegno non è R, A, M, M, E, L, L, Z, E, E; è R, A, M, M, Sigma, L, L, Z, Sigma, Sigma 34• . Che lo scenario artistico newyorkese sia radicalmente mu­ tato in questi anni è un fatto certo. L'irruzione prepotente di una nuova generazione di artisti che dalla strada o alla strada hanno dato e preso è un fatto che si concreta oggi anche in un'attenzione sempre piu sottile alle più esemplari esperienze artistiche dell'America del dopoguerra, prima di tutto la Pop Art 15• Ma intorno agli artisti che dai graffiti hanno tratto la forza 38 di un'arte inedita, perché realmenfe mette in fusione l'arte


bassa con l'arte alta, ed autenticamente metropolitana e ame­

ricana, la polemica non è ancora terminata. Di fronte ad un riconoscimento sempre piu vasto ed autorevole di ·una pro­ duzione artistica che ha anche attraversato, con energia e to­ nicità (come si deve all'America d'oggi), le ultime esperienze musicali, una parte della cultura newyorkese vede in questi giovani solo il carrierismo e la non autenticità nel passaggio dalle strade o dalle metropolitane alle gallerie e ai musei. Ma il problema evidentemente è un'altra. Al di là dei facili ri­ chiami ad una spontaneità perduta, il ruolo e la funzione di tutta una fase di sviluppo del fenomeno resta all'interno delle opere di questi artisti. Del resto, i precedenti come Cy Twom, bly, Ed Ruscha o il René Magritte dell'usage de la parole sono ineliminabili. Cosi come è ineliminabile il ·fatto che nessun artista come loro è stato molte volte capace di avere il pub­ blico piu vasto ed eterogeneo che si potesse avere in un solo giorno di esposizione. Infatti anche gli aspetti piu rivolti al­ l'analisi del consumo dell'opera d'arte presenti in alcune tematiche concettuali sono stati rielaborati. Oggi, il loro ridisegno della città appartiene ormai alla città, ma la loro evoluzione appartiene solo alle loro opere. Allora come la loro storia è lunga già di esperienze e perizia tecnica, di pensieri e teorie, cosi è pensabile che prima o poi si potreb­ be anche incontrare il vecchio TAKI 183 che avrà deciso di cambiare nome e colpire, dopo aver inventato la sua bombola di vernice spray, con TAG L ·

t « New York Times,. 17-2-1968. Le notizie intorno a questa fase ini­ ziale cosi come diverse �itazioni sono riprese dall'analisi che Andrea Nelli riporta nel suo Graffiti a New York, pref. di D. Carpitella, Lerici, Cosenza 1978. La lettura di Nelli del fenomeno si ferma però al 1976. . l A. NELLI Graffiti a New York, cit., p. 8;, e Writers,. o « Graffiti Writers ,. è il termine scelto dai ragazzi fin dall'inizio per designare un autore di graffiti. Il punto è diffondere il !lome'. f:: infatti _intorno al­ l'analisi di questa esigenza di identità che St muovono 1 testi che appa: iono in quegli anni. Notevole le presenza di quest'analisi nel testo d1 Nelli.

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3 Su .TAKI 183 esiste quasi una letteratura. f;. lo scrittore piu citato tra quelli iniziali. Nel primo articolo americano apparso su una rivista d'arte viene ripreso è:ome·il primo e autentico graffitista; vedi R. RICARD, The Radiant Child, in « Art Forum•• december 1981, pp. 35-43. 4 « Il nome è l'atto di fede dei graffiti» dice CAY 161. Ma il nome da che cosa deriva? Dai soliti nomi di strada che ognuno si porta ad· dosso da sempre nei ghetti neri o portoricani. Sull'analisi del nome si veda il capitolo La fedeltà al nome nel libro di Nelli. s Una clique è un· gruppo di scrittori. Le scritte quando non sono fatte con le bombolette spray vengono chiamate tags, il tag è scritto ve­ locemente e spesso senza interrompere il segno. · 6 Gli stili sono stati anche classificati per le differenze calligrafiche: Stile Manhattan, Stile Bronx, Stile Brooklyn, Stile Combo, etc.; su que• sto si veda l'articolo di Goldenstein del '73 e il libro di N. MAILER, The Faith of Graffiti, documented by M. Kurlansky and Joe Naar, Pracger Publischers Inc., New York 1974. Sul libro di Mailer, anche se con no­ tevole ritardo, si veda A. ZANDOMENEGHI, Wat ching My Name Go By, in "Gran Bazar», aprile 1982, p. 127. 7 R. GoLDSTEIN; "New. York .Magazine•. 24-3-1973. · a Dichiarazione di C. OLDENBURG, « New York Magazine•• cit. 9 L'infuriare della polemica vede al primo posto il Sindaco di New York (Lindsay) che nell'agosto del 1972 si sente costretto a prendere po­ sizione e definisce i graffiti un'insensata esplosione strettamente legata a problemi di salute mentale e i loro autori dei codardi insicuri. Fa quindi appello a tutti i newyorkesi per bloccare lo sfregio degli edifici e delle proprietà· offese con pennarelli e bombole di · ·vernice spray. Cfr. • New York Times•. 29-8-1972. 10 H. MARnNEZ, Catalogue « United Graffiti Artists», New York 1975. li A. NELLI, op. cii., p. 17. 12 Twila Tharp, oggi tra le piu conosciute coreografe americane, in­ tuisce per prima la possibilità anche scenografica (perché direttamente legata allo scenario metropolitano) dei graffiti. Un aspetto particolare è invece l'uso di una pubblicità che la VOLVO pubblica in quell'anno, si vede un'auto sullo sfondo di un muro. completamente coperto di graf• ii.ti, lo slogan è: • ·un prodotto civile per un mondo incivile•. · 13 S. liAMMoND, Some elevating subway graffiti, in • New York Post••

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S. GABLIK, Report from New York. The Graffiti Question. in « Art in America», n. 9, October 1982, pp. 33-39. Si tratta forse del migliore articolo apparso sinora sul fenomeno artistico dei graffiti. IS N. MAIUR, The Faith of Graffiti, cit.. Le prime considerazioni ita· liane sono invece nel paragrafo / graffiti di New York del libro di M. CAUMANDREI e G. GORGONI, Art USA, Arte e Vita dell'America d'Oggi, F. Fabbri Editori, Milano 1974, pp. 134-143. 16 Sulle differenze stilistiche e sugli sviluppi, c'è da considerare il fatto che dalla semplice tag si passa all'introduzione nelle lettere di stimoli rielaboratori da comics insegne· al neon, art déco, grafica psiche­ delica, grafie arabe ed orienta'!i, colori della moda afro e quelli delle vecchie banwere nazionali. 17 G. PARISE, E nacqr,te la religione dei graffiti, in « Il Corriere delh, Sera», 7 aprile 1976, p. 3. . 11 S. LEwm, On the Walls o/ the Lower East Side, in "Art Forum», . . December 1979, pp. 46-51. 19 Su quest'ultima e recentissima fase si_ve�ano: C. NADELMAN, Graf­ fiti is .a thing that's kind of hard to explam, m "Art Ne:,vs•• october 1982· G GLUECK Guide to City's Outdoor Sculpture Shows, m "The New 40 York T », iune 11, 1982; R. RICARD, The Pledge of Allegiange, in «.Art 14

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Fo� m•, novem ber 198 2, pp. 42-49; D. GRAIIAM, igns, in « Art Forum •• S l 1?81, PP- 38-43; F. ALINOVI, Arte di frontiera, in « Flash Art•, n. 107 ?b� e raio-ma rzo 1982, pp. 22-26; E. DE AK e D. CORTEZ Discorsi infantili . m • Flash �t ., n. 109,_ estate 1982, pp. 49-53; A. D:AVOSSA, / Watleai: dello spray! m • Il Mattino•, 16 dicembre 1982; V. CONTI, America die­ . tro la vetrina, in «Segno », n. 29, novembre 8 2. febbraio 8 3, pp. 42-45; �- V. l?AST, Report from New York, in «Segno», n. 29, novembre 1982ebbr �•o !98 3, P�- 46-47. Sulla mostra « Times Square Show• si può leggere I 3:rllc<;>lo d1 A. SERGENT-WOOSTER, Graffi, graffiti e altro; l'estetica de lfa nbe(l1one, in « Modo •, n. 36, gennaio-febbraio 1981, pp. 70-71. Un altra singolare esposizione è « The South Bronx Show• curata da Stefan Eins a Fashion-moda: vi partecipano solo artisti r�sidenti nel Bronx. • 20 Intervista a Jean Miche[ Basquiat, by H. GEIDZAHALER, in « Interview•, January 1983, New York, pp. 44-46. 21 Intervista a Jean Miche/ Basquial, cit.. 22 I!7idem, riguardo ai pri m i segni util izzati Basquiat precisa che i soggetti su cui maggiormente lavora sono: Royalty, heroism and the

streets.

23 A. BONITO OLIVA, Il nichilista compiuto, Catal ogo della mostra • _Transavanguardia: Italia/America», Galleria Civica, Modena 1982, p. 11. Si �e?a a:1che, sempre del lo stesso, La Transavanguardia Internazionale, _ Po 1t1 Editore, Milano 1982. In effetti la prima mostra personale di Bas· ! qu1at, ma con il no me di SAMO si è tenuta a Modena presso la galleria di Emilio Mazzoli nel 1981. Su 'aasquiat interessante· anche il testo di M. DIACONO, presentazione a Jean Miche! Basquiat, L'altra strada del­ l'icona , Galleria M. Diacono, Roma ottobre 1982. 24 Scheda biografica di Keith Haring, in « Champions •, catalogo de lla mostra tenuta alla Tony Shafrazi Gal lery, New York, January 1983, p. 46. 25 Dichiar azione di Keith Haring, nel catalogo della mostra • Docu­ menta 7 • di Kassel , voi. 1, Kassel, June 1982, p. 430. La tecnica del « cut up • è l'invenzione letteraria dello scrittore americano William Bur­ roughs. Consiste nel ricomporre e rimescolare brani appartenenti a si• tuazioni diverse ma legate da un filo sottile. 26 Scheda biografica di Keith Haring, in « Champions•, cit. TI B. BLINDERMAN, Keith Haring's subterranean signatures, in • 6,.rt Magazine•. september 1981. 211 Su questo si veda la recensione del la sua recente personale alla Tony Shafrazi Gallery di E. DE A.K e L. LIEBMANN, Keith Haring, in • Art Forum •, January 1983, pp. 79-80. . 29 A mio avviso queste dichiarazioni di Hanng mett�no dec,isa�en_tc in discussione l'articolo di R. BARILLI, Però quel pop e u'! J? O naif, � • L'Espresso », n. 10, 13 marzo 1983, pp. 123-127; dove Banlh �ur ded!· cando l'intero articolo al lavoro di Haring non prende affatto m consi­ derazione l a componente concettuale o post-concettuale del suo lavoro, né ne individua l'incrocio. Addirittura viene scomodato Pollock mentre i riferimenti dichiarati di Haring sono Dubuffet e Tobey. 30 C. NEDELMANN, art. cit.. Su FUTURA 2000 si veda anche il catalog� della mostra « Champions•, cit.; e la sua dichiarazione nell'articol o di S. GABLIK, cit. an inter­ Jl N. A. MOUFARREGE, Lightning strikes (noi once but twice): view with graffiti artists, in « Arts Magazine•, novembre 1982; si tratta di un'illuminante tavola rotonda curata dal critico Moufarrege con un gruppo di graffiti artists (FUTURA 2000, Fred (FAB 5) Brathwaite, Iz 41 the Wiz, Keith Haring, Dondi White, Kenny Scharf e Kano), che nasce


da una recente polemica avviata dall'articolo di A. PARKS, 011e Grn/fito, Two Graffito... , in « Arts Magazine •• september 1982. 32 Dichiarai.ione di FAB 5 FRED in S. GAIILIK, art. cit.;, su Lee Quino­ nes e su FAB 5 FRED sarà utile vedere anche la presentazione al cata­ logo della loro mostra tenuta a Roma presso la galleria La Medusa nel 1979: G. BRUNI SAKRAISCHIK, The purest form o/ New York Art, Roma 1979. ll A conferma della veridicità della sua teoria Rammellzee dichiara che secondo studi approfonditi la scienza su cui si basa si è andata svi­ luppando dal IV secolo al XIV attraverso le scritture dei monaci e l'estensione dei testi gotici; a prova di ciò aggiunge di aver fatto espe­ rimenti presso il FIT (Fashion Institute of Technology). � N. A. MOUFARREGE, art. cit.. 15 La nuova generazione di artisti americani vicini direttamente o in­ direttamente a questa situazione si presenta con Kenny Scharf, Ronnie Cutrone e John Ahearn che esasperano gli stimoli della Pop Art; con i cartoni animati, Scharf; con i simboli e i miti dell'America, Cutronc; con la ripresa della tecnica di Segai in busti di personaggi comuni dei ghetti neri, Thearn; con il lavoro sulle strade di Richard Hambleton, uno schizzare ombre violente e a dimensione umana di figure scure negli angoli e sui muri piu abbandonati della città e con quello di Jenny Holzer attraverso posters con su stampate sentenze sui piu diversi aspetti della vita. Singolare è poi il caso di James Brown, che riprende in una pittura veloce alcuni segni (quasi come dei graffiti) dell'antica cultura americana, soprattutto quella indiana. Altri artisti dei graffiti sono: KANO, Iz the Wiz, DAZE, CRASH, Dondi White, WASP, Tim Rollins, FREEOOM e I...ADY PINK.

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