Op.cit. rivista quadrimestrale <1i selezione della critica d'arte contemporanea
Direttore: Renato De Fusco Segretaria di redazione: Roberta Amirante Redazione: 80123 Napoli, Via Vincenzo Padula, 2 - Te!. 7690783 Amministrazione: 80122 Napoli, Via Francesco Giordani, 32 - Te!. 684211
Un fascicolo separato L. 3.500 (compresa IVA) - Estero L. 4.000
Abbonamento annuale:
Italia L. 10.000 - Estero L. 11.000 Un fascicolo arretrato L. 4.000 - Estero L. 4.500 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo IV C/C/P n. 23997802 intestato a:
Edizioni e Il centro > di Arturo Carola
G. D'AMATO, R. DE Fusco
Per chi tanto design?
P.
Bucc1AREU.1
L'Espressionismo dopo Scharoun
19
R.
PASINI
Dall'Informale all'Informale
31
Libri, riviste e mostre
43
5
Alla redazione di questo numero hanno collaborato: Marina �ontuori, Liliana Moscato Esposito, Ma ria Luisa Scalvin i, Silvana Todisco, An gelo Trimarco.
Per chi tanto design? GABRIELLA D'AMATO - RENATO DE FUSCO
Un congresso internazionale, quello dell'ICSID (lnterna tional Council of Societies of Industriai Design) 83 tenutosi a Milano nell'ottobre scorso, trentacinque mostre collaterali sparse per la città, numerose azioni informative a largo rag gio, l'interessamento della stampa, della radio e della televi sione, una grande mobilitazione di industriali, designers e cri tici, sembravano puntare, almeno in parte, ad una efficace azione divulgativa. Se in generale l'insieme di queste manife stazioni sembra aver deluso sotto molti aspetti, in particolare, è indubbio che soprattutto la divulgazione è stata l'obiettivo meno raggiunto. L'esito era prevedibile perché già in prece denti occasioni e in quasi tutta la letteratura sul design il tema del rapporto col pubblico, dell'informazione, della domanda e dell'uso dei prodotti è stato costantemente trascurato se non addirittura ignorato. Eppure a nessuno dovrebbe sfuggire che l'intero processo del design è costituito da quattro fondamen tali momenti: il progetto, la produzione, la vendita e il con sumo. Questi, benché corrispondano a fasi successive non pos sono essere considerati divisi; tant'è vero che non si dà pro gettazione se non in vista di un determinato modo di produrre, vendere e consumare gli oggetti, né produzione che non si basi su un particolare modo di progettare, vendere e consu mare, né infine consumo senza oggetti progettati, prodotti e venduti secondo particolari esigenze. Risulta e vidente come il 5
consumo costituisca, in ultima analisi, la conferma, la verifi ca, il segno tangibile del successo o meno di tale processo, il suo punto d'arrivo. L'aver considerato unitario il processo-design comporta che si indaghi anche la sua fase conclusiva con lo stesso me todo critico applicato alle altre. Cosicché, accantonati tutti gli scientismi, le statistiche, le indagini di mercato (a loro volta soggette ad interpretazione) e consapevoli di tutti i limiti in tuitivi, empirici, partigiani, propri alla critica e a quella d'arte in particolare (il design essendo, quali che siano tutte le altre definizioni, certamente arte applicata), vogliamo in questa sede, per ragioni espositive, svolgere alcune conside razioni che riducono l'intera questione del design al suo rap porto col pubblico. Com'è noto, non si dà critica senza storia e viceversa, mentre sembrerebbe che nella cultura del design la rifles sione storica non abbia trovato un suo ruolo tanto da poter considerare l'antistoricismo il vizio di nascita di questa cul tura: il design in luogo delle storiche certezze ha preferito l'avventura delle previsioni. In tal modo è sfuggito a molti che la storia non solo serve a interpretare eventi passati ma anche e soprattutto a sviluppare un'attitudine a comprendere la storicità del presente, quanto meno, a fornire uno stru mento per descrivere la situazione attuale, per muovere dal dato di fatto.
Una sistemazione realistica
6
Prima di entrare nel vivo del tema, di cogliere il rap porto del pubblico col design, tentiamo di dare una siste mazione descrittiva della situazione attuale,· muovendo dal l'ideologia etico-estetica del design storico. Essa puntava ad una logica lineare basata sulla qualificazione (estetica, di du rata, di rispondenza alla funzione), sulla quantificazione (in dispensabile per rendere conveniente il costo di produzione), sul basso prezzo (necessario sia per il motivo precedente, sia per estendere i vantaggi dell'attività industriale all'in-
tera sfera sociale). Questo programma, per una serie di cau se, molte delle quali note e comunque non rientranti nel l'economia del nostro discorso, è rimasto irrealizzato; e tut tavia, mancando la suddetta linearità a tutte le proposte suc cessive, esso va sempre tenuto presente almeno come para metro di riferimento. La grande maggioranza dei prodotti attualmente sul mer cato non reca tracce di design perché quasi tutti gli oggetti sono: a) nati da una concezione e produzione meramente tecnologica; b) esemplari unici, sia per la loro complessità tecnica, sia per il loro uso tanto straordinario da contrad dire il concetto di serie; e) banalmente quantificati tanto da ignorare ogni ricerca di qualificazione della forma; d) ca ratterizzati solo da operazioni linguistiche; e) copia degli stili del passato; f) frutto di un compromesso tra artigianato e industria, e l'elenco potrebbe continuare con prodotti che restano comunque fuori dai tre capisaldi basilari del design storico. Inoltre si può cogliere un ulteriore aspetto di questa realtà per cui un'economia di profitto, una mentalità diffusa, un gusto corrente vogliono sempre più ingegneresco il pro dotto tecnico e sempre più «artistici», decorativi e simbolici il mobile, la suppellettile, gli oggetti personali, ecc. Notiamo per inciso che da vari decenni la cultura del de sign si trova a fronteggiare questa situazione nell'ambigua posizione di confermarla per un verso e di riformarla per l'altro; Infatti, quanto alla conferma, l'industria, parte in tegrante della cultura del design, ha per molti aspetti inte resse a che le cose restino tali, che la maggioranza dei fruitori continui ad utilizzare questo confuso mondo di og getti, perché diversamente dovrebbe affrontare una seria po litica produttiva con tutti i rischi connessi; per di più lo status quo le permette di far emergere per contrasto i suoi pochi e sofisticati prodotti. Quanto alla riforma delle attuali contraddizioni, la cultura del design si limita ad iniziative intellettualistiche, a loro volta distinguibili in uno sbiadito ricordo dell'ideologia del design storico o, all'opposto, in pittoresche proposte eversive. . uaz. one Ritornando al nostro intento descrittivo della sit i
7
8
attuale e pur credenc!.o che ogni settore del design ha una sua specifica problematica - tanto da considerare fallite tutte le ipotesi globali e totalizzanti, le metodologie unitarie, gli slogans utopici ed ottimistici - ci proponiamo di esami nare in maggiore dettaglio quanto detto sopra mediante un raggruppamento della produzione in ordine a quattro gradi di livello tecnologico. I settori a più avanzata tecnologia sembrano puntare ad una immagine del prodotto che deriva la sua forma da pro cedimenti meccanici ormai divenuti sofisticati sistemi. Come osserva Dorfles, si parla. d1 forma e funzione senza essersi resi conto che, per moltissimi prodotti ancora ieri rispon denti a questo imperativo, oggi non esiste neppure una for• ma! per portare semplici esempi: si pensi all'infinita gamma degli elementi basati su microprocessori, su mlnlme lamine d1 silicio grandl come un'unghia, capaci di registrare, met tere in moto, ordinare, ecc., interi meccanismi automatizza ti, laboratori, fabbriche... o si pensi all'infinita gamma degli strumenti Hi-fi: registratori, amplificatori, radlo, microfoni, videocassette, ecc. ormai ridotti a minute scatolette nere che albergano solo qualche piccola lamina su cui sono stam pati misteriosi circuiti. Dove sta la forma in questi casi? La forma non esiste più o è inventata d1 sana pianta e senza nessuna relazione con quanto essa e ricopre • o nasconde, solo per dare all'utente, al compratore, un simulacro d1 quel contenente che è in realtà privo d1 un contenuto morfologi camente corrispondente 1• Di fronte all'estrema efficienza della funzione dell'appa recchio, il pubblico rimane indifferente alla sua forma, non coglie la falsità. del rapporto tra questi termini e anzi il mi stero dei meccanismi lo induce ad un gusto per l'incompren sibile che accentua il fascino dell'oggetto giustificandone, tra l'altro, l'acquisto anche in mancanza di una reale esigenza. Inoltre, il semplicismo della forma dei nuovi oggetti elettro nici, a ben vedere, ·essendo del tutto arbitrario rispetto alla funzione, equivale paradossalmente a quella decorazione ag giunta che il pubblico richiedeva un tempo agli oggetti pa-
leotecnici.
I settori a medio livello tecnologico, non nel senso del pro cesso di lavorazione anch'esso tendente all'automazione com pleta ma in quello delle caratteristiche del prodotto, presen tano un'ulteriore diversificazione rispetto al design storico. Pensiamo all'industria automobilistica come la più emblema tica del campo in esame: bastano pochi minuti per assem blare e rifinire un'autovettura che tuttavia, sostanzialmente non è molto diversa da una degli anni '20. In questo settore i problemi della forma, del consenso degli utenti e del basso prezzo dovrebbero ancora avere il loro peso ed invece assi stiamo ad uno sviluppo morfologico imposto quanto appiat tito: solo un occhio esperto è capace di distinguere un mo dello dall'altro, spesso riconoscibile grazie a motivi di deco razione stilistica. In effetti, si può dire che oggi si sono per dute sia la qualità del design storico, sia quella della stessa varietà di tipi che giustificava l'eterodossia del tanto depre cato styling. Più preoccupante è l'appiattimento tipologico in relazione al prezzo: l'utilitaria va scomparendo sostituita sem pre più da modelli di tipo medio-alto. Un chiaro sintomo di questa politica si poteva già cogliere col caso della e !setta » che malgrado le sue indubbie doti di economia e praticità (segnatamente quella del portellone unico con sterzo incor porato che consentiva il minimo ingombro di parcheggio), restò sul mercato italiano solo tre anni, dal '53 al '56. Nel terzo settore, quello che utilizza procedimenti indu striali associati ad altri di tipo artigianale, grosso modo cor rispondente alla categoria del design degli oggetti domestici, la condizione reale sembra ancora più fluida. :E. in questo campo che si verifica, infatti, il maggiore divario fra la cul tura del design e le esigenze del pubblico, il punto di rottura essendo in gran parte il fattore gusto, un fattore più avver tito che altrove nell'ambiente della casa, condizionato da una tradizione e da una particolare ideologia. Lo storico afori sma, e qualificare la quantità », ha trovato le sue maggiori difficoltà proprio sul primo termine che implicava il concetto di gusto. Per qualità la cultura del design intese una proprietà della forma che la rendesse coerente ed espressiva della fun zione, mentre per qualità degli oggetti il pubblico intese una
9·
10
proprietà della loro forma che li rendesse, nonché rispon denti ad una funzione, attitudine data per ovvia, anche espres sivi, così come era avvenuto in passato, di qualcos'altro. Il mancato incontro sul piano del gusto ha portato la maggio ranza del pubblico a preferire prodotti che fossero copia degli stili storici o comunque oggetti che fossero ricchi di una va lenza simbolica, di una abilità manuale, di una fantasia deco rativa, ecc. E sono stati proprio questi valori o pseudo-valori stratificati nella mitologia della casa a far sì che, nella sua maggioranza, quello stesso pubblico che ha accettato l'idea della città, del quartiere, dell'architettura moderna, dei suoi caratteri distributivi e funzionali, che ha accolto con favore i nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione, persino le pro fonde trasformazioni avvenute nel suo ambiente di lavoro, non accettasse invece che la dimensione privata della casa fosse livellata da oggetti seriali peraltro acquistati ad alto prezzo come vedremo più avanti. I settori ad un livello tecnologico ancora più basso sono quelli che comprendono la maggiore quantità di oggetti, che rispondono alla logica del grande numero e che si possono ritenere nati, per così dire, da un design spontaneo. Come osserva Gregotti, una gran parte degli oggetti che ci circon dano sfugge al controllo formale dei designers... Tuttavia pro prio questo mondo difficilmente catalogabile di oggetti ( che in questo caso si possono definire il design spontaneo) rive lerebbe di aver già maturato, senza teorizzarle, molte delle vocazioni del design ufficiale. � un mondo di oggetti semplici, dall'aspetto effimero, fatti di lamierini stampati, di ribattini, di tondini piegati; risolti con tecnologie elementari, ma in ventate di volta in volta. Il materiale trattato per sezioni sot tili si vitalizza, diventa flessibile, aderisce e reagisce, scatta al comando più semplice con effetti sorprendenti. C'è da es sere sempre più convinti che è questa la vera tecnologia: quella che opera la semplificazione del mezzi in sé e del loro modo di risultare 2• Se è vera quest'ultima osservazione è lecito pensare che proprio questo sterminato campo di og getti - verso i quali il pubblico non offre resistenze, annoverandoli nel genere del « vuotò a perdere ». - potrebbe of-
frire le maggiori possibilità di realizzare il programma ori ginario del design storico. Tutto cade dall'alto Ed entriamo nel vivo della questione del design visto dal l'ottica del pubblico. Design storico, neo-design, moderno o post-moderno, linguaggio funzionalista o organico, linea hard o linea soft, ecc. sono tutti problemi agitati dagli addetti ai lavori che lasciano totalmente indifferente la gente disinfor mata. Termini quali antropocentrismo e società, tanto nomi nati da designers e critici, si risolvono solitamente in mere astrazioni in quanto non si tiene conto delle reali esigenze di comunità condizionate storicamente da tradizioni, econo mie e specifici usi e costumi. Ma vediamo più analiticamente come il consumatore me dio percepisce il fenomeno del design. Anzitutto non come la presunta autonoma e globale esperienza, bensì come un « va lore aggiunto,. pertinente ad ogni specifico campo: quello della carrozzeria quando acquista un'automobile, quello del l'arredamento quando acquista un mobile, quello degli elet trodomestici quando acquista una lavatrice, ecc. Notiamo per inciso che il pubblico col suo modo di percepire il design è arrivato molto prima a quella settorializzazione del feno meno a cui solo recentemente è pervenuta la critica che non crede più ad assunti totalizzanti che trovavano e trovano an cora emblematiche espressioni in slogans del tipo « dal cuc chiaio alla città ». Come osserva Maldonado, l'industria in quanto entità astratta e monolitica, è stato un mito del XIX secolo. In realtà, ciò che esiste veramente sono « le • indu strie. :I:: per questo motivo che non c'è un solo industriai de sign, ma ve ne sono parecchi, molto diversi l'uno dall'altro. La concezione monista di industriai design dovrà essere sosti tuita da una concezione pluralista. Dubito che il problema leggendario del rapporti tra Arte e Industria possa, comun que, essere risolto. Ma di una cosa sono sicuro: per la prima volta saremo in grado di sapere di che cosa stiamo parlan�o 3• Rispetto all'evoluzione del gusto, il pubblico percepisce 11
essenzialmente come fenomeni di moda il razional-funzionali smo; il successivo diffondersi dell'organico mobile svedese; i prodotti della linea espressiva della società opulenta durante il boom degli anni Sessanta e con la riserva che questa ric chezza non pareggia il valore del mobile antico al quale ten denzialmente non ha mai rinunciato; gli oggetti nati dalle nuove tecnologie (le materie plastiche, i procedimenti di stampaggio, le alchimie dei compensati, ecc.) dei quali non coglie le costose difficoltà produttive ma solo l'alto costo al consumo e in fondo la viltà dei loro materiali; il radical-de sign, infine, gli appare come la più ingiustificata di tutte que ste mode, specie quando questo suo elogio dell'effimero, del banale, del kitsch comporta un prezzo alto quanto il più classico dei modelli, antico o moderno che sia. Dall'alto giunge al pubblico anche l'informazione, a sua volta tanto confusa che per un verso sembra confermare il gusto corrente, per l'altro contraddirlo. Se si apre una qual siasi rivista di arredamento o di design, prima del corpus dedicato agli specialisti, si trova una ridda di pagine pub blicitarie che, illustrando indistintamente di tutto, dal pro dotto autentico a quello compromesso col commercialismo più esplicito, col vetero-artigianato e persino col plagio, non fanno che aumentare il senso di disorientamento del pubbli co. Questo infine trova nell'alto prezzo dei prodotti il fattore risolutivo che lo allontana dal design. La questione del prezzo
12
Abbiamo già visto che la crisi del design, specie nel set tore domestico, si è focalizzata sul fattore gusto. Dal canto loro i produttori o hanno aderito incondizionatamente al gusto corrente, preoccupati solo di far fronte alla domanda o, nel migliore dei casi, per continuare in qualche modo la tradizione culturale del design, hanno presto rinunciato alla quantità e si sono rifatti degli alti costi di produzione te nendo ancora più alti i prezzi di vendita. Ma questa linea di condotta rappresenta forse l'unico modo di coprire una precisa area di mercato, quella di un pubblico informato ed
elitario. Peraltro è lecito ipotizzare che la tendenza a ven dere cara la merce si manterrà anche quando una fascia ap pena più larga di consumatori avrà aderito al gusto del de sign. Perché infatti puntare su una laboriosa quantificazione dei prodotti, con tutti i rischi dell'imprenditorialità, con tutte le difficoltà proprie dell'attività industriale, quando per rica vare gli stessi utili basta servire una clientela di pochi, per giunta gratificati di essere tali, di sentirsi anticonformisti e culturalmente aggiornati? Comunque non risulta, tranne ra rissime eccezioni, che il successo di un mobile abbia com portato automaticamente la riduzione del suo prezzo di ven dita. In altre parole, poiché la produzione informata alla cultura del design non ha raggiunto la massa, almeno nel set tore degli oggetti domestici, ha tenuto forzatamente alto il prezzo del prodotto in omaggio all'ideologia della classe agiata che, per dirla con una vecchia e nota tesi di Veblen, identifica il valore della merce con il suo alto prezzo. In un significativo . passo in cui questo autore associa a tali termini anche una valenza estetica si legge: il principio generale... è che un og getto di valore per far appello al nostro senso della bellezza deve conformarsi alle esigenze sia della bellezza che del di spendio. Ma ciò non è tutto. Oltre a ciò, li canone del dispendio influenza anche l nostri gusti in modo tale da fondere inestricabilmente nella nostra valutazione l segni della di spendiosità con le caratteristiche belle dell'oggetto, e catalo gare l'effetto risultante come un apprezzamento della sua bellezza... Questa fusione e confusione degli elementi del di spendio e della bellezza trova, forse, l suol migliori esempi negli articoli di vestiario e di arredamento domestico 4• Se è vera la tesi di Veblen viene fatto di pensare che il fascino del prezzo non riguarda solo la classe agiata, ma tutti indi stintamente perché ognuno vede, nelle private strategie del desiderio, un valore nell'alto prezzo di ogni cosa. Ed è pro babilmente su questa molla psicologica che fa leva l'indu stria per conquistarsi, se non le masse, almeno un numero sempre più crescente di clienti peraltro accattivati dalle at• tuali facilitazioni di acquisto. Cosicché, per un verso O per l'altro, la linea commerciale di alcuni settori della pr oduzione 13
sembra seguire la logica del « prezzo politico», ma all'in verso. A nessuno sfugge che, malgrado tanti accorgimenti, l'in contro fra produzione e consumo rimane elitario e che molte difficoltà in ultima analisi sono rimandate ai cosiddetti « punti di vendita», così come l'amministrazione centrale dello stato demanda molti problemi irrisolti agli organismi periferici. La condizione sovrastrutturale
14
Abbiamo finora tentato di descrivere, evidentemente con le inevitabili riduzioni ed omissioni, una reale condizione del fenomeno design nei suoi rapporti col pubblico; ma tutto resterebbe niente affatto realistico se non includessimo nel nostro quadro le strategie promozionali, le attività meta-ope rative, i discorsi meta-linguistici, gli appelli all'immaginario, ecc., in una parola la nostra condizione sovrastrutturale. Il termine « soprastruttura» non è qui inteso nel senso classico marxiano che denotava qualcosa di ben solido, ov vero il concreto portato di una cultura connesso dialettica mente con l'altrettanto concreta realtà economica, i rapporti di produzione, la « struttura » di una società, bensì nel senso che sta a designare tutti quegli aspetti problematici, incerti, provvisori che contornano e spesso sovrastano i fatti con creti e caratterizzano fortemente l'attuale· momento dell'in tera vita associata. Assumendo come emblematico di questa condizione il pas saggio da una strategia mirante alla qualità, alla quantità e alla riduzione del prezzo a quella basata prevalentemente sulla promozione del prodotto, notiamo che tale strategia è diventata, per una serie di note ragioni, indispensabile ad ogni tipo di attività produttiva, specie a quella del design che, come s'è visto, si trova a fronteggiare un mondo di manufatti eterogenei che, in pratica ignorandolo, si sviluppa autonoma mente. Lo slogan paleotecnico, « tutto va bene purché si ven da», non basta più, il nuovo imperativo è diventato: « ogni successo dipende dal grado di strategia sovrastrutturale adottato ». E l'ordine etico sui generis contenuto nel vecchio slo-
gan oggi è diventato: « ogni strategia sovrastrutturale si le gittima in ordine al grado di successo che riesce a consegui re ». Tuttavia, anche in questa prospettiva, la più spregiudi cata possibile, è ancora necessario il tentativo di operare delle distinzioni. Intanto, per meglio comprendere la condizione sovrastrut turale, vanno ridimensionate molte di quelle critiche che tanta sociologia, con assunti spesso semplicistici, ha incentrato in torno al concetto di eterodirezione. � indubbio che promo zione e pubblicità costituiscano, come abbiamo già notato in precedenza, una sorta di imposizione dall'alto, ma sarebbe falso e fuorviante attribuire alla sola industria e al relativo apparato tecnico-commerciale tutte le cause dei limiti e delle contraddizioni sopra descritte. Gli stessi comportamenti della cultura del design che abbiamo definito ambigui nella loro volontà di confermare, per un verso, e di riformare, per l'al tro, la realtà in atto, possono trovare spiegazione proprio se ci affranchiamo dalla logica della eterodirezione e se attri buiamo un ruolo attivo sia all'uno che all'altro termine del binomio produzione-consumo. Come ha osservato Morin, im possibile porre l'alternativa semplicistica: è la stampa ( o il cinema, o la radio, ecc.) che «fa» il pubblico o è il pubblico che fa la stampa? t;: la cultura di massa che si impone dal l'esterno al pubblico ( e gli fabbrica pseudo-bisogni, pseudo interessi) o riflette i bisogni del pubblico? t;: evidente che il vero problema è quello della dialettica tra il sistema di pro duzione culturale e i bisogni culturali dei consumatori... La cultura di massa è dunque il prodotto di una dialettica pro duzione-consumo, nell'ambito di una dialettica che è quella della società nella sua totalità 5• Ma se la citazione di Morin serve a ridimensionare il con cetto di eterodirezione anche al passaggio dal tema della cul tura di massa a quello della cultura del design, in quest'ul tima non vale il semplicistico ricorso alla dialettica che dice tutto e niente; infatti proprio nel nostro campo la dialettica fra produzione e consumo non si verifica in quanto non si tratta di un rapporto biunivoco, ma di quello fra due mondi ognuno di per sé aperto su una vasta gamma di possibilità e • 15
16
di scelte; il che vanifica ulteriormente l'idea della eterodire zione. Assunta come dato di fatto ed affrancata da ogni ideolo gismo e moralismo, la condizione sovrastrutturale si può ipo tizzare come un fenomeno, per così dire, «neutrale» al pari dei sistemi meccanici nell'età paleotecnìca e di quelli elet tronici in quella neotecnica: sta alla cultura del design se an cora vuole essere una cultura ( questa volta non in senso an tropologico), utilizzare la sovrastruttura criticamente o su birla passivamente. In quest'ultimo caso sono prevedibili notevoli rischi: si sta verificando che i prevalenti sforzi promozionali fondati su pseudo teorie, sempre nuovi tentativi di definizione, pole miche linguistiche, assurdi scontri di poetiche, ecc. vanno troppo oltre il vero e proprio impegno produttivo; che la co sidetta immagine aziendale va oltre la garanzia di un solido marchio di fabbrica; in una parola, che concetti o falsi con cetti superano gli oggetti fino al punto di consentire la teo ria per cui l'informazione si sostituisce al prodotto. E tutto ciò col pericolo di alienarsi anche quel pubblico finora con quistato e quegli stessi mercati esteri che, quando avranno tradotto e decifrato i nostri difficili discorsi, si renderanno conto che, all'indiscusso pregio di molti nostri modelli (l'or mai famoso ltalian-style), si associa una teoria basata più sulla confusione che sulla diffusione. Viceversa, una concezione sovrastrutturale criticamente avvertita può volgere al positivo molti suoi lati. Nel nostro caso, una prima indicazione può vedersi nel sovrastrutturale come opposizione che la cultura del design svolge contro l'or dine vincente, vale a dire contro l'universo produttivo che va avanti ignorandola o riducendo il design al mero supporto di una finn� alla moda. Un secondo punto all'attivo del so vrastrutturale è quello di far critica, autocritica, sperimenta zione che non sono consentite a chi opera in altri settori in dustrialmente più forti, e qui ci riferiamo sia a quelli tec nologicamente tanto potenti da trascurare le altre compo nenti del design, sia a quegli altri che, aderendo al gusto corrente, trovano in ciò la spinta ad industrializzarsi maggior-
mente. Un altro significativo aspetto della sovrastruttura sta paradossalmente in una sorta di realismo sui generis. Di fronte alla complessità dei processi reali, che molto spesso mostrano insolubili aporie, la concezione sovrastrutturale, operando delle utili astrazioni, pone delle questioni niente af fatto trascurabili: ad esempio, vale più costruire un elemento d'arredo o pensare un sistema d'arredo; allestire un arre damento o proporre un nuovo modo d'abitare; operare sul la morfologia o meditare sulla tipologia; al limite scrivere una storia del design che sia registrazione, per quanto critica dei fatti o« inventare» una teoria storica che accentui il dato interpretativo nella speranza di orientare il presente o ad dirittura il futuro? Ovviamente, bisognerebbe fare l'una e l'altra operazione delle singole alternative, ma è altrettanto evidente che nell'impossibilità di far bene le prime, le altre acquistano maggiore valore. Ancora, se è vero che nell'era dell'elettronica l'immagine, l'informazione, la comunicazione valgono più degli oggetti, dovrebbe dedursi che l'area sovra strutturale sia la più idonea a soddisfare tali esigenze. In conclusione e toccando il punto centrale del nostro di scorso, visto che nella condizione sovrastrutturale - in parte nata dalla« forza delle cose», in parte assunta come area del dissenso dall'arte, dall'architettura, dal design e più in ge nerale dalla critica - esistono aspetti positivi e significativi, questi lo sono ad una sola condizione. Così come finora è stato inteso, se col termine sovrastruttura ci riferiamo a. qualcosa che sta oltre o sopra un'altra, si pensi ad un di scorso di design su un reale oggetto, perché il discorso sia equivalente, più significativo o comunque utile al fatto cui si riferisce, è indispensabile che esso sia della massima chia rezza, possibilmente accessibile a tutti. Per affrancare dun que la sovrastruttura dai suoi rischi più frequenti quali il terrorismo culturale, l'ermetismo interessato, il conformismo mascherato da eversione, il prevalere della promozione sulla produzione, quello della pubblicità sulla qualità degli oggetti, ecc., è necessario che essa sia controllabile e lo è evidente mente in quanto esprimibile in termini intelligibili. Ecco allora che la validità della sovrastruttura si riconosce dal grado 17
della sua riducibilità a termini noti, a valori-interessi diffusi e condivisi. Solo così forse il pubblico può divenire parte attiva e finalmente integrata in quel processo - progetto, produzione, vendita e consumo - col quale abbiamo identi ficato il design considerando l'ultima fase quella che sancisce il suo successo. Resta pertanto vero che ogni strategia sovra strutturale sia legittima in ordine al grado di successo che riesce a conseguire, ma rendendo il pubblico criticamente più partecipe, quel successo non andrà più identificato con l'ambiguo termine di consumo, bensì con quello di vasto e intenzionato uso sociale.
1 G. DoRFLES, Dieci anni tra due convegni, Atti del Convegno « L'og getto abitato - l'industriai design nella prospettiva degli anni '80•, in « Caleidoscopio •, a. XIX, n. 34, 1983. 2 V. GREG0TTI, Produzione corrente, in « Edilizia moderna• (nume ro dedicato al design), n. 85, gennaio 1965. J T. MALDONAOO, Arte e industria, in Avanguardia e razionalità, Ei naudi, Torino, 1974, p. 144. 4 T. VEBLEN, La teoria della classe agiata, Einaudi, Torino, 1949, p, 110. s E. M0RIN, L'industria culturale, Il Mulino, Bologna 1963, pp. 40-41.
18
L'Espressionismo dopo Scharoun PIERGIORGIO BUCCIARELLI
Il rapporto tra architettura contemporanea e tradizione moderna è oggi estremamente problematico e contradditto rio. Per i precedenti che lo hanno caratterizzato e gli equi voci a cui può dar luogo, esso riflette una crescente comples sità sia per quanto riguarda l'attuale eterogeneità dei lin guaggi architettonici, sia per le loro implicazioni teoriche e programmatiche. Volendo limitarsi agli aspetti più appari scenti, gli esiti di tale rapporto sembrano oscillare tra due poli emblematici: da un lato una diffusa affezione per gli stilemi del passato, anche remoto, attraverso reminiscenze e citazioni tese a ridimensionare l'esperienza dei maestri; dal l'altro la volontà di delineare nuovi approcci e strumenti di lavoro a partire da una riflessione sull'eredità del Movimento Moderno. In altre parole si assiste a un tentativo di affran camento dai principi del « periodo eroico » e all'opposta esi genza di ricollegarsi ad alcuni suoi caratteri peculiari per continuare nel futuro il dialogo tra l'esistente e il nuovo. A conclusione del suo Rationalism and romanticism in architecture, W. G. Lesnikowski afferma: Il fatto di maggiore Interesse è che ancora una volta la teoria architettonica sembra stia tornando a una divisione dualistica. Da una parte 19
si sta formando una scuola o uno stile razionalista, neo-ra zionalista, neo-classicista, contestualista o semplicemente clas sicista; dall'altra abbiamo a che fare con personalità che tentano di evitare che le concezioni architettoniche diven gano troppo dottrinarie 1 • Peter Blake, uno dei più autorevoli
20
sostenitori ed esegeti dell'ortodossia moderna, ha recente mente lanciato un violento attacco contro i capisaldi delle avanguardie architettoniche tentando di dimostrarne l'in fondatezza ideologica e l'aridità programmatica 2• La pole mica si articola in undici punti ed è incentrata sul dominio della funzione, la fantasia della pianta libera, l'ossessione della purezza, i miraggi della tecnologia e dell'industriallz zazione, l'orgoglio del grattacielo, l'utopia della città ideale, la frenesia della mobilità, la diffusione acritica della zoniz zazione, il paradosso dello housing, l'illusione del design, il mito stesso dell'Architettura. Secondo Blake il programma enfatico di dare risposta col manufatto architettonico ad astratte categorie di bisogni sociali attraverso una rigorosa organizzazione delle funzioni è completamente fallito. Ma, a ben guardare, più che al potenziale di idee e di esperienze maturate in seno al Movimento Moderno nel suo complesso, l'impietoso jeu de massacre dell'ex direttore di « Architec tural Forum » appare rivolto sostanzialmente ai principi dog matici del Razionalismo, soprattutto nei casi in cui si è ten tata una loro disinvolta e generalizzata applicazione al pre sente. Da più parti si registra la tendenza secondo cui alcuni studiosi, prendendo le distanze dagli aspetti più calvinisti dell'architettura (il cambiamento di rotta di Blake è elo quente in tal senso), sembrano individuare, in una serie di esempi emergenti, orientamenti progettuali miranti a riaffer marne la specificità al di là delle connotazioni_ sociologiche o strettamente praticistiche che spesso ne hanno condizionato gli sviluppi. Una delle angolazioni critiche dell'odierno dibat tito sostiene che da questa operazione di salvaguardia dello specifico architettonico nasce una tendenza diffusa a livello internazionale che postula il ritorno a una produzione artigianale, fantastica, legata al genius loci, capace di trasmet-
tere messaggi, che garantisca una maggiore continuità sto rica con la tradizione. Non credo di forzare la realtà affermando che una parte dell'edilizia contemporanea ha le proprie premesse linguisti• che ed espressive in una vena che non si è mai esaurita nel l'arco di sviluppo dell'architettura moderna e che per certi versi è paragonabile al filone espressionista degli anni Venti. L'ultimo numero del 1982 della rivista « L'Architecture d'Aujourd'hui » è dedicato a un gruppo di opere che si di stinguono per un approccio progettuale intuitivo, visionario, un diverso rapporto col passato e con l'ambiente 3• Oltre a un'intervista con Ricardo Porro in difesa dell'atteggiamento romantico che percorre le esperienze antiche e moderne, il fascicolo riporta una rassegna delle realizzazioni più signifi cative riferibili a tale atteggiamento a partire dall'inizio del secolo. A differenza degli edifici coevi del mainstream puri sta, che si configurano secondo un sistema di segni ricor renti che nella maggioranza dei casi coincidono con un corpus codificato e riconoscibile, le architetture incluse nell'antolo gia non presentano un lessico omogeneo, ma alcuni tratti di stintivi di ordine generale come la visione spaziale unitaria, il carattere di plasticità dei volumi, il libero gioco decorativo e l'uso di forme metaforiche: il Goetheanum di Rudolf Stei ner, gli alloggi operai di Michael de Klerk, lo Schauspielhaus di Hans Poelzig, la tomba Wissinger di Max Taut, l'atrio della Hoechstfarbwerke di Peter Behrens, il Merzbau di Kurt Schwitters, il Chilehaus di Fritz Hoger, la torre di Einstein di Erich Mendelsohn, la fattoria Garkau di Hugo Haring, la casa Schminke di Hans Scharoun. Tali opere, costruite tra il 1910 e il 1933 e classificate dagli storici nell'ambito dell'Espressionismo, sono seguite da edifici realizzati nel cinquantennio successivo. Tra questi fi gurano il crematorio di Walter Burley Griffin, la casa Falk di Rudolf Schindler, la chiesa a Imatra di Alvar Aalto, la casa Bavinger di Bruce Goff, la casa Wolff di John Lautner, una cappella funebre di Imre Makovecz, un complesso semi nariale di Erik Asmussen, la clinica a Kazura del Team Zoo e la Chart House di Kendrik B. Kellogg, costruzioni il cui 21
denominatore comune è costituito da una polemica conte stazione delle forme convenzionali. Come le architetture dei primo gruppo, anche queste ultime si caratterizzano per un rifiuto più o meno esplicito della forma geometrica in quanto apriorismo inaccettabile e un diffuso scetticismo nei confronti di un metodo progettuale trasmissibile. La sfortuna critica dell'Espressionismo è quasi incredibi le. I tedeschi lo hanno soppresso ln tre tempi: dal 1925 al '33 l razionalisti vollero obliterare un'arte che documentava la disperazione e le speranze del dopoguerra; dal 1933 al se condo conflitto mondiale, l nazisti ne cancellarono le tracce nel quadro della criminale campagna contro le « degenera zioni » artistiche; infine, dopo l'ultima guerra, cl sl guardò bene dal recuperare l'Espressionismo, indice di tutte le colpe nazionali e la Germania sl lanciò nell'avventura neo-raziona lista adatta all'ideologia del miracolo economico 4• Alcuni sto rici di formazione razionalista hanno addirittura messo in dubbio la sua stessa esistenza, riconducendone le opere emer genti nell'ambito del Funzionalismo quasi che fossero da con siderare indesiderabili deviazioni dalle linee evolutive del Movimento Moderno. Particolare interesse merita la posizio ne di studiosi appartenenti all'area germanica come Giedion, Pevsner e Pehnt, che hanno interpretato la corrente come un fenomeno transitorio dettato dal nostalgico riflusso della tradizione idealistica tedesca 5• L'ipotesi critica di una eredità espressionista si deve in Italia soprattutto ai contributi di Giovanni Klaus Koenig. Se condo Koenig, che pure lascia intendere i rischi del con fronto tra la diversa temperie socio-culturale dell'ambiente degli anni Venti e quello dei nostri giorni, la figura più rap presentativa del passaggio dalle esperienze originarie agli svi luppi successivi è Hans Scharoun. Analizzando la « rivolta antiformale » di Scharoun, egli individua l'urgenza di una grammatica dissonante che, contrastando in Germania la pas siva accettazione del Razionalismo nella sua forma più aset tica, sia in grado di costituire una possibile alternativa alla sua diffusione. L'Espressionismo è visto come l'unico legit22 timo erede di quegli spiriti tedeschi che amarono tanto la
libertà proprio In quanto non erano che una esigua mino ranza... Perduto Mendelsohn, ben presto emigrato, esso ri maneva affidato alle mani di Hugo Haring, Bruno Taut ed Hans Scharoun. La cosa più sconcertante è che questo esile filo, che già pareva prossimo a spezzarsi nel 1930, abbia resi• stito assai più tenacemente della corda d'acciaio che sem brava dover essere il Bauhaus, attraverso la Nuova Oggetti vità e il nazismo, fino a rivivere oggi in opere che, sebbene in numero limitato, sono però le più interessanti di tutta l'architettura tedesca 6• Koenig identifica le varie tappe dell'eredità espressioni sta a partire dal progetto irrealizzato della scuola di Darm stadt (195 I) e in tre opere di Scharoun che coprono un arco di tempo di oltre venti anni: il liceo femminile Scholl di Lilnen (1956-62), la Philharmonie (1960-63) e la Staatsbiblio thek ( 1964-79) di Berlino. Ma molto prima che il maestro te desco raccolga ed elabori i frutti del movimento, questo si è arricchito di altre componenti, in particolare di quella or ganica. In tal senso la figura paradigmatica è Haring, autore della fattoria Garkau. Riconosciuta come importante punto di riferimento nel panorama della produzione di quegli anni anche dai critici più riluttanti, quest'opera si impone subito all'attenzione degli architetti contemporanei per l'originale concezione degli spazi in base alle azioni che si svolgono nel suo interno. Haring precisa in maniera anticonvenzionale (e altri suoi edifici lo testimoniano) un diverso concetto di fun zione, non più intesa nella sua accezione di praticità o ri spondenza all'uso, bensì in relazione alle peculiarità psicolo giche e comportamentali dell'individuo. Sulla scorta dei prin cipi formulati negli scritti teorici, l'organizzazione dello spa zio architettonico trae origine da un attento esame delle ca pacità percettive ed emozionali dell'essere umano. Lo spazio esiste solo grazie all'uomo· che lo completa con la sua pre senza. Secondo Koenig il filone espressionista-organico non è molto diffuso e non potrà mai essere un movimento di mas sa, né trovare un Neufert che Io manuallzzl od un Giedion che lo divulghi 7• L'assenza di una metodologia progettuale 23
24
e la conseguente impossibilità di trasferirne le valenze sul piano didattico non ha comunque impedito che esso divenisse un riferimento antiaccademico, un esempio di libertà com positiva al di là dei condizionamenti imposti da norme e mo de. L'aderenza al contesto ambientale e i contenuti emozio nali, allegorici che ne costituiscono il fondamento, hanno fornito continui stimoli creativi a personaggi estremamente diversi tra loro: Eero Saarinen, che nel terminal della TWA all'aeroporto di Idlewild (1958-61), ispirandosi alla forma di un uccello ad ali spiegate, conferisce all'edificio una fluenza spaziale inusitata e dinamica; Giovanni Michelucci, che nelle sue chiese dell'Autostrada del Sole (1961) e di San Marino (1963) propone involucri in tensione i cui spazi interni con sentono ai fedeli non solo la partecipazione collettiva alla funzione religiosa, ma anche la possibilità di raccogliersi isolatamente in preghiera; Jom Utzon, che costruisce presso il porto di Sidney il teatro dell'Opera (1964), un'ardita strut tura di gusci in successione che presto diventa il simbolo della città (è interessante l'analogia formale del teatro con uno schizzo di Scharoun appartenente al « ciclo della Resi stenza 8); Reima Pietila, che col centro studentesco di Dipoli a Otaniemi ( 1968) realizza una forma gestuale, distorta, ma perfettamente funzionale nella sua apparente illogicità; Jean Renaudie, che progetta a Ivry un complicato intreccio di piani sfalsati .a spigoli acuti a scala urbana (1975-76). Gli esempi forse più interessanti della permanenza espres sionista sono tuttavia da ricercarsi soprattutto in Germania, dove sono ancora vivi lo spirito gotico e la tradizione roman tica, spiritualista. Una delle figure di maggior rilievo è Gott fried Bohm (figlio del famoso costruttore di chiese degli anni Venti Dominikus Bohm), autore di alcune tra le opere più rappresentative dell'architettura tedesca sul finire degli anni Sessanta: il municipio di Bensberg (1965-67), il villag gio per bambini « Betania » a Refrath (1965-68), i complessi parrocchiali di San Matteo a Dilsseldorf-Garath (1967-69) e di Koln-Melaten (1968-70), il santuario di Neviges (1966-72). Osservando le loro complesse volumetrie si è colti da una sensazione di sorpresa, di smarrimento. Spartani e intimi,
ma allo stesso tempo straordinariamente ricchi negli effetti di luce ed ombra , nei cont rasti di tessitura, massa e colore, gli edifici di Bohm sono unici, intensamente soggettivi; in essi funzione form a e struttura sembrano fondersi in una inseparabile unità, mentre i va ri ambienti sono concepiti in una visione organica i cui presupposti linguistici e compo sitivi r imandano all'espressività di un Bartning, di un Hoger, di un Taut. Si confronti ad esempio la planimetria del villag gio di Ref rath col progetto di Bruno Taut per la scuola Folk wang ad H agen (1920): gli alloggi individuali e le aule sono in entrambi i casi raggruppati attorno a una chiesa centrale secondo una forma a gancio 9• In seguito sono i berlinesi Herm ann Fehling e Daniel Go gel, allievi rispettivamente di Mendelsohn e Max Taut, a di most rare la vitalità della tradizione espressionista facendosi interpreti della poetica scharouni ana (non a caso il primo fu incaric ato da Scharoun di portare a termine la Staatsbiblio thek). Intorno agli a nni Settanta essi costrui rono quattro importanti centri di ricerca che si configurano in un insieme di superfici inclinate e ambienti irregolari, contrar i all'insca tolamento delle funzioni: il Max-Planck-Institut per l a ricerca pedagogica (1965-74) e l'Institut fiir Hygiene (1966-74) a Ber lino, il Max-Planck-Institut per l'Ast rofisica (1975-80) e l'Eu ropean Southern Observatory (1976-80) a G arching, nei pressi di Monaco. Come nelle ultime opere di Scharoun, all'interno di questi edifici il movimento di scale, passaggi sopraelevati, pareti e soffitti, coinvolge il visitatore costringendolo a guar darsi intorno: nessun elemento è uguale all'altro e un solo punto di vista non dà alcun ragguaglio. Analogamente, al l'esterno, il complesso gioco dei volumi non consente mai una visione privilegiata, frontale, ma induce l'osservatore a spostarsi continuamente per vedere l'edificio sotto aspetti sempre nuovi 10• In virtù della loro figuratività allusiva e ricca di emo�ionalità, gli spazi aggiungono qualcosa alle fun zioni che alloggi ano. f:: signific ativo che sia Bohm che Fehling e Gogel siano stati invitati direttamente dalla presidenza della Fi at, quali unici rappre sentanti dell'architettura tedesca, a partecipare 25
insieme ad alcuni tra i maggiori progettisti contemporanei (Stirling, Johansen, Gregotti, Meier, Piano, Roche, ecc.) al concorso internazionale di idee sui nuovi utilizzi dell'ex sta bilimento del Lingotto a Torino. Negli anni recenti la corrente espressionista è stata og getto di una rivalutazione da parte della cultura anglosas sone - storicamente poco incline nel suo pragmatismo ad accogliere i principi dottrinari dei razionalisti - soprattutto attraverso «The Architectural Review ». In polemica con la pretesa «oggettività» del dato funzionale, la rivista dedica ampio spazio alle esperienze architettoniche contemporanee che esaltano gli aspetti percettivi e ambientali, con frequenti reportages sulla produzione vernacolare. Significativa, ad esempio, la rassegna di opere del gruppo Pécs: misteriose, inquietanti architetture orientate al recupero delle antiche tradizioni mitologiche o rituali ungheresi. Le loro forme, ispirate a monili, amuleti, scudi, elmetti, emblemi funebri celtici o cristiani, ricordano la Glashaus di Bruno Taut e il primo Goetheanum di Steiner, pur raggiungendo una propria autonomia espressiva 11• Sulla scia di Steiner opera anche Erik Asmussen: nel complesso seminariale di Jarna, a sud di Stoc colma, i vari edifici sembrano instaurare una sorta di dia logo con l'osservatore in modo da suggerire non solo la funzione pratica che rivestono, ma anche quello stimolo di
26
comunione associata che fa parte della dottrina steineriana. Ogni ambiente è pensato per difendere la libertà dell'indivi duo e nel contempo per incoraggiare le relazioni interperso nali 12• «The Architects' Journal » ha pubblicato lo scorso anno i risultati di una ricerca sulle principali tendenze dell'archi tettura contemporanea. A proposito del filone espressionista, il settimanale britannico sostiene che esso non è mai morto e che, reagendo con la lezione organica, rappresenta tuttora un termine insostituibile ed attuale del dibattito, se si considera l'influenza che continua a esercitare sugli architetti della nuova generazione; e aggiunge che, nonostante non rappre senti un movimento coerente e omogeneo, si possono individuare schematicamente delle sotto-tendenze riferibili ai se-
guaci di Scharoun in Germania, di Wright negli Stati Uniti, di Aalto in Finlandia. Sono citati, tra gli altri, Lucien Kroll, Frei Otto e Herb Greene 13• Caratterizzate da una progettazione composita, aperta alla partecipazione diretta degli utenti, le architetture di Lucien Kroll e di Ralph Erskine sono emblematiche di un approccio disciplinare teso ad accogliere la specificità del luogo, del clima, dei comportamenti e delle aspirazioni dei fruitori. Tale approccio, che per molti giovani architetti rappresenta un modello di grande interesse e ricco di indicazioni per il fu turo, amplifica le variabili del processo progettuale inseren dovi aspetti, spesso considerati marginali, legati alla gestione e al consumo del manufatto architettonico. La residenza uni versitaria di Louvain, costruita da Kroll fra il 1969 e il '74, è un complesso realizzato con sistemi costruttivi teoricamente incompatibili e materiali eterogenei (legno, plastica, allumi nio, laterizi, cemento armato ecc.). In una sorta di « babele linguistica»; la varietà dei dettagli e la frammentazione tipo logica, compositiva e distributiva riflette le scelte individuali degli studenti-progettisti. Il caso del quartiere Byker di Ers kine (1969-80) è noto: una lunga e alta parete sinuosa di al loggi integrati col paesaggio e con parte dell'insediamento pree sistente mediante una ricca gamma di spazi socializzanti. La storia dei diversi livelli di coinvolgimento degli abitanti nel processo progettuale è stata dibattuta su numerose pubblica zioni. In un recente editoriale dal titolo The Other Tradition, Peter Davey sostiene che l'Espressionismo ha origine dal « Funzionalismo pittoresco» inglese e dal Gothic Revival teorizzato da A. W. Pugin. Secondo Davey sarebbero poi i seguaci di Ruskin e Morris a suggerire, col volgere del se colo, lo sfruttamento delle qualità plastiche del cemento ar mato e la torre Einstein deriverebbe dal progetto di con corso presentato da Lethaby per la cattedrale di Liverpool (1902). Nel dopoguerra tale tradizione... si impone all'atten zione internazionale grazie ad alcuni degli ulthni edifici di Le Corbusier ( a partire da Ronchamp) e oggi continua a svilupparsi nei lavori di Giinter Behnisch, KJaus Humpert, 27
28
Lucien Kroll, Roger Walker, Giinther Domenig e Imre Ma kovecz 14• L'editoriale introduce due opere che testimoniano in modo emblematico la persistenza del linguaggio espressio nista: un complesso per il tempo libero a Badenweiler (196267) e un centro evangelico a Stoccarda (1971-79), rispettiva mente di Humpert e Behnisch. Il primo si presenta con una serie di terrazzamenti sfalsati e di volumi interrati a diversi livelli sul fianco di una collina. Tornano alla mente le parole di Wright, secondo cui un edi ficio dovrebbe essere della collina, piuttosto che su una collina 15• A due passi dai resti di un vecchio castello, im mersi nel verde, i vari percorsi si intrecciano collegando gli spazi di svago e di sosta: un ristorante, una grande sala da concerto, un auditorium all'aperto, piccoli negozi, locali per mostre, una biblioteca, una sala da gioco e un piccolo tea tro. Il centro culturale di Behnisch è un insieme di edifici raggruppati secondo una forma avvolgente, a ferro di cavallo, con una ricca commistione di spazi pubblici e privati. Il rife rimento a Scharoun è evidente nell'articolazione quasi infor male dei vari corpi edilizi, nel prevalere degli angoli ottusi sia in pianta che in sezione, nell'aprirsi degli ambienti in terni alla luce per mezzo di grandi vetrate inclinate (si con fronti la sala per le attività comuni con i soggiorni di casa Baensch e di casa Endell). L'esuberante attività degli espressionisti e l'appassionata elaborazione delle loro proposte maturate nel clima febbrile della Repubblica di Weimar sono ormai lontane. Il crollo de gli ideali che ne incarnavano l'impeto rivoluzionario, la fra gilità ideologica e la mancanza di un programma operativo comunicabile hanno pesato non poco sulla fortuna critica del movimento, causandone una prematura obsolescenza. Le tesi di Haring, non riuscendo a rappresentare nel tempo in cui vennero formulate un'alternativa praticabile rispetto agli at traenti slogans di Le Corbusier e alla diffusione dell'Inter national Style, furono inascoltate o ignorate anche dagli stu diosi più attenti. Ciò nonostante, dopo anni di silenzio, nu merosi esempi documentano l'esistenza di un retaggio espressionista nell'attuale produzione archite ttonica. Prendendo
spunto dalla lezione di Scharoun, i suoi epigoni perseguono una solitaria, faticosa ricerca, in un quadro denso di riferi menti, di suggestioni e di anticonformismo.
1 W. G. LESNIKOWSK.I, Rationalism and romanticism in architecture New York, 1982, p. 310. 2 P. BLAKE, Form Follows Fiasco, Boston/Toronto, 19n; trad. it.: La forma segue il fiasco, Firenze, 1983. 3 M. EMERY, Architectures Romantiques, in e L'Architecture d'Au jourd'hui », 224, dicembre 1982. 4 B. ZEVI, Erich Mendelsohn. Opera completa, Milano, 1970, p. LXXII. s Nella sua opera piu famosa Sigfried Giedion non parla di Men delsohn né di Gaudì e cita Scharoun solo in riferimento alla parteci pazione alla Weissenhofsiedlung di Stoccarda, sostenendo che l'influen za espressionista non poteva essere salutare, né portare alcun giova mento all'architettura ... Uomini che più tardi collaborarono utilmente allo studio del problema dell'abitazione si abbandonarono ad un mi sticismo di stampo romantico, sognando castelli fatati, che dovevano sorgere sulla sommità del Monte Rosa. Altri costruirono torri di ce mento armato flaccido come la gelatina (Space Time and Architecture, Harvard, 1941; trad. it.: Spazio tempo e architettura, Milano, 1954, p. 477). Nikolaus Pevsner è ancora più esplicito quando nel 1960 giu dica la corrente un breve interludio che segui il primo Gropius. Ri guardo alla ripresa dei temi formali egli ne fa risalire la responsabilità a Le Corbusier (con edifici recenti quali la cappella votiva di Ron• champ) ed al brasiliani, le cui acrobazie struttu1rali sarebbero tenta tivi di soddisfare l'ardente desiderio degli architetti di un linguaggio personale, l'ardente desiderio del pubblico di un'evasione dalla realtà in un mondo sorprendente e fantastico (Pioneers of Modem Design, Hannondsworth, 1960, p. 217; trad. it.: I pionieri dell'archit tura moderna, Bologna, s.d., pp. 210-212). Nel convegno sull'Espressio nismo tenutosi a Firenze nel 1964, O. M. Ungers contrasta l'interpreta zione « estensiva » di Zevi e afferma che poche costruzioni possono essere classificabili all'interno della tendenza. Secondo Ludwig Hil berseimer (Die Berliner Architektur der 20er Jahre, Berlin, 1967;, trad. it.: Architettura a Berlino negli anni Venti, Milano, 1979, pp. 54-59) la posizione degli espressionisti è evasiva rispetto alla stretta rispondenza agli scopi pratici e alla problematica abitativa. Più recentemente Wolfgang Pehnt, autore di uno dei libri più esaurienti sull'argomento (Architektur des Expressionismus, Stuttgart, 1973; trad. inglese: Expres sionist Architecture, London, 1973), ha interpretato il fenomeno nei termini di una protesta utopica destinata a sfociare nell'architettura nazista e di una Weltanschauung assolutamente irripetibile. 6 Le citazioni sono tratte rispettivamente da G. K. KoENI G, L'in_ vecchiamento dell'architettura moderna, Firenze, 1967, p. 235 e Archi tettura tedesca del secondo dopoguerra, Bologna, 1965, p. 30. . 7 G. K. Koenig, nota introduttiva a P. BuccIARELLI, L'architettura 29 di Fehling e Gogel. Vitalità dell'Espressioni smo, Bari, 19 81, P• lO.
s Lo schizzo è riportato in F. BORSI, G. K. KoENIG, Architettura del l'espressionismo, Genova, 1967, p. 352. Si veda anche l'acquerello
« Hauser der Passion», che anticipa di dieci anni la Cappella di Ron champ (p. 355). 9 Cfr. W. PEHNT, Op. cit., p, 11. IO P. BUCCIARELLI, Op. cit., pp. 23-24. 11 J. GLANCY, Group Pécs, in « The Architectural Review», 1018, dicembre 1981. 12 La citazione è riportata in « L'architettura. Cronache e storia», 330, aprile 1983. L'opera è illustrata anche nel fascicolo citato de « L'Architecture d'Aujourd'hui». Il Cfr. l'editoriale de « L'architettura. Cronache e storia», 319, mag gio 1982. 14 P. DAVEY, The Other Tradition, in e The Architectural Review», 1022, aprile 1982. 15 Cfr. F. LL. WRIGHT, An Autobiography, New York, 1931; trad. it.: Io e l'Architettura, Milano, 1955, p. 261.
30
Dall' Infarmale all' Infarmale ROBERTO PASINI
Premessa Sull'Informale e sulle vicende che ne hanno segnato l'iter, sulle caratteristiche più o meno « autre », sul « timore e tre more» di una pittura di così ampio e generoso coinvolgi mento, sui ritmi impressi alle avventure successive e sui ri flessi che queste accusano nei confronti dei germi depositati durante il decennio Cinquanta (almeno per quanto riguarda l'Italia), tanto si è scritto che, forse, se la storia dell'arte non fosse un work in progress, in cui le acquisizioni man tengono sempre una stabilità provvisoria e si decostruiscono ciclicamente per entrare a far parte della nuova facies cul turale, corredata da una confacente costruzione storico-cri tica, anche il capitolo dell'Informale potrebbe considerarsi chiuso, esaurito, certo. Così non è. I meccanismi di sviluppo dei sistemi culturali, di cui le esegesi critiche condividono la sorte, determinano una continua, fertilissima ricognizione sui terreni già esplorati, le cui mappe non soddisfano più l'oc chio famelico di novità e desideroso di riportare al suo co dice visivo i panorami che gli si offrono: l'interesse per un dato momento della storia dell'arte nasce spesso da un'affi. nità con lo Zeitgeist dominante qui e ora, il quale a sua volta fornisce una delle tante possibili letture del fenomeno preso in esame, senza pretendere di esaurire il campo, anzi già sa pendo che i periodi successivi ne smentiranno l'interpreta zione in nome di altre caratteristiche, altre prerogative, altri 31 scopi.
In omaggio a questo relativismo culturale, che ci rende consci dell'arbitrio di ogni scelta, ma anche, al tempo stesso, dell'inestricabile legittimità accompagnata a tale arbitrio, quando i tempi sono maturi si può riprendere in mano il filo critico su un ben preciso ambito artistico, dipanarne la matassa sino a ricomporne una maggiormente idonea alle ,'nuove esigenze, nonché già scaltrita dal lavoro accumulatosi precedentemente. L'ora sembra essere scoccata, fra gli altri, anche per l'Informale, e in ciò siamo confortati da due fatti, ben lontani tra loro: il trentennale del saggio di Arcangeli sugli Ultimi naturalisti 1, che contribuì ad aprire il varco teorico del nuovo orizzonte artistico, e la recente grande mo stra che all'Informale in Italia è stata dedicata dalla Galle ria d'Arte Moderna di Bologna, a cura di Renato Barilli e Franco Solmi 2• Si tratta ora di valutare, calandosi in situazione, la dimen sione dell'esperienza informale, inquadrandola nelle sue coor dinate storiche, attraverso le voci che più rappresentativa mente ne hanno alimentato lo sviluppo; successivamente sarà opportuno compiere il salto all'oggi, per far scoccare la scin tilla del rendez-vous, per vedere, almeno in prima approssi mazione, come ha tenuto tale movimento, dove ha tradito pecche e dove invece si può ancora rivelare provvido di sug gerimenti per il presente.
L'Informale storico
32
L'Informale è una caduta, uno scivolamento senza fine, è il precipitare stesso di Icaro che si era portato alle altitudini iperuranie dell'eidos, dell'idea, dell'essenza. La prima parte del nostro secolo ha infatti la caratteristica di sfrondare via via la realtà dei suoi dati accidentali, di ciò che si presenta come contingente, provvisorio, casuale, per far trionfare il principio dell'assolutezza, o meglio del noumeno. Ognuna delle poetiche primonovecentesche coltiva il sogno di strap pare il famoso velo di Maja, di oltrepassare le apparenze e cogliere il segreto intimo, profondo, indicibile; la pittura tenta il salto, si evince dal fenomenico, lo ripudia in nome di una
ricerca dei valori puri, intonsi, incontaminati. La res cogitans si sbarazza dell'ingombrante, contaminata, compromessa res
extensa.
La storia dell'arte (compresa la situazione italiana, che anzi colla normalizzazione 3 metafisica ha cospicua partecipa zione al movimento di sintesi noetica) si innamora della « re gola» e disprezza l'« emozione». Naturalmente esistono già, all'interno dei meccanismi più schiaccianti e più solidi della fisionomia noumenica, delle falle, delle parche aperture, delle concessioni ai sensi: ne sono espressione il primo Kandinsky, tuffato in una inebriante scoperta della pullulante vita della materia, così come pure nell'ambito surrealista i non figura tivi Mirò e Masson lasciano libero campo alle pulsioni e an ticipano in certo senso le ricerche che prenderanno campo qualche decennio dopo. Potremmo cioè individuare, a grandi linee, due direttrici, due vie: la via hard, che sale dal cubi smo e arriva al concretismo; la via soft, che ha nel Kandin sky degli anni Dieci il suo alfiere, e, attraverso la scrittura automatica di Mirò e Masson, arriva all'Informale. Alle istanze e alle mozioni dell'Es, più che a quelle del Super-io, risponde la genesi del mondo brulicante e appassio natamente giocato sulla propria pelle della poetica infor male. Vi agisce cioè un istinto di non conservazione, di ade• sione-aderenza al mondo, alla vita, alla bios; il mondo è per niente lontano, chiaro e distinto, osservabile a piacere, bell'e fatto: il mondo è qui e ora più che mai presente, ossessiva mente e delicatamente desiderato, amato, odiato, cercato, in terrogato, esplorato fin dentro il cuore, fino ai recessi più nascosti, fino all'imo. L'artista informale non si lascia affa scinare dalle sirene che pretendono di far trovare tesori so pra il fenomeno: egli è un esploratore calato nel suo elemen to, non cerca distrazioni, non aspira ad elevazioni, il suo sta tus mentale non è la contemplazione, bensì l'azione, la pras si, l'Esserci nella sua corporeità e il rapporto profondamente osmotico coll'esistenza. Tre concetti si situano alla base delle meditazione critica sull'In formale: natura, avventura, mondo. Sul concetto di natura, di natura perseguit� ad uno sta- 33
dio ultimo, visitata nel suo farsi, nelle sue interiora, ha dato un contributo teorico e umano di notevole rilievo Francesco Arcangeli. Nel primo dei due saggi fondamentali dedicati al l'argomento, il critico bolognese offre la sua versione di que sto vocabolo così rischioso, sul quale poteva essere facile sdrucciolare: « Natura è la cosa immensa che non vi dà tre gua, perché la sentite vivere tremando fuori, entro di voi: strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento» 4• Vi si avverte subito una spia del nuovo rapporto che la pit tura ultimo-naturalista instaura col reale: non più affidato al solo contatto visivo, non più analizzato attraverso griglie men tali, filtrato, depurato, ma anzi vissuto, sentito, patito, inti mamente partecipato. Natura è perciò uno stato emozionale, è, per riprendere una frase spesa per gli Impressionisti, « la gioia di essere vivi in un mondo impreveduto» 5, è gioia e tormento d'esistere. Un concetto simile di natura pone dunque il problema di una pittura che non si mantiene al di fuori, ma si avvicina, si infiltra dentro il tessuto dell'essere. La sensibilità, la pre parazione, la cultura di Arcangeli tendevano a riportare la nuova nozione di natura, così satura di vita e di umori terra gni, ad una tradizione padana di densità espressiva, di corpo sità, di sensualità, ogni volta resa secondo le peculiarità del momento storico a cui apparteneva: la « marca di settentrio ne » è dunque il luogo di un ricongiungimento con quanto del passato ancora agisce a livello subliminale, attraverso i secoli. In essa si svolge una « ripresa di quei sensi antichi e nuovissimi che potrete ancora chiamare, se vorrete, 'na turalistici'. � un intenso, umano discorso; ha radici remote, ma sembra resistere, rinnovarsi: è anzitutto attiva passione, traboccare di presente» 6• Vale la pena di insistere un· at timo sul valore del termine « radici », che in Arcangeli è una di quelle che Spitzer chiamerebbe « parole-spia ». E ciò torna utile anche per verificare un'altra posizione, di rilevanza cri tica ineluttabile, anche se forse non determinante per gli svolgimenti della situazione italiana: quella di Tapié. Se la natura è una-« cosa immensa», tale immensità però sradica l'essere, non lo fa naufragare, perché esiste pur non 34
sempre un punto di riferimento, appunto una «radice», un nesso .o plesso, ovvero non siamo soli, ma, e qui ritorna· il discorso di Heidegger, profondamente compromessi con ciò che ci circonda, con l'aria, le piante, la luce, le stagioni, la vita. Esserci è apertura, stato affettivo. I pittori ultimo-natu ralistici hanno perciò « qualche cosa di comune», dice Ar cangeli, « fra loro e anche con me. Prima di tutto un rapporto, il senso del 'due': penso che non si illudano, dipingendo, di essere soli a creare, nel mondo; e che il mondo esca fatto dal loro pennello. Lo ricevono, lo amano, lo patiscono » 7• Questo pathos ha il sapore di una colluttazione, di uno scam bio, di un incontrare il mondo: « L'Esserci, in quanto è, è già sempre assegnato ad un 'mondo' che viene incontro. Al suo essere appartiene, in linea essenziale, un esser-assegna to» 8: l'idea heideggeriana dell'assegnazione si ritrova nel nodo di natura della pittura ultimo-naturalistica, in quanto l'artista viene avocato dall'epidermide dell'essere e intrapren de il « folle volo » per arrivare a carpirne l'intimo irraggiun gibile. La sua penetrazione non avviene per estasi noetiche, egli non usa il passe-partout mentalistico, in ragione del fatto che « la fiducia intellettuale di poter dare ancora una vi sione preordinata del mondo, dominata dall'uomo e dalla sua misura mentale, sta involvendosi in se stessa » 9: è crol lata la possibilità di sussumere il reale sub specie aeternitatis, siamo immersi nel fenomeno, nell'inebriante discesa agli in feri, è sparito il distacco, s'è dileguata l'aura, ciò che era lontano ora è vicino, è qui. Sull'idea della vicinanza non è male fare un rilievo. E qui occorre inserire nel contesto della poetica informale anche l'apporto teorico di Miche! Tapié. Il critico francese ci offre una versione per certi versi agli antipodi rispetto a quella arcangeliana. Intanto manca completamente il «senso del due », questa miscela di inestricabile coinvolgimento che sta alla base e costituisce proprio la « radice » esistenziale della macerata meditazione di Arcangeli e che ci illumina piena mente sul tipo di rapporto che la pittura informale instaura con il mondo (sul cui concetto torneremo in seguito). Tapié enuncia un encomio dell'Individuo, d �l creatore solo e sepa- 35
��- il. �� � cl\e « non è possibile tradurre il proprio ine lu..��� ��o al dì fuori dell'eccezionale, del parossi �- ,ìi:e.t .::.��'\>, dell'estasi totale» 10• L'idea di totalità può � i .:::i.le critici, ma le radici dadaiste di Tapié ostrui s..� ��ta ,�rso la « natura », alzando invece le vele del � < Sz,J.tte �. ossia dì una condizione assolutamente nuo ..a. :::n:;..è �;;ma non solo intravista ma nemmeno immaginata, "lit.�-- là'., me::,--:pklrata, di cui non si può predicare alcunché. iL"'� < ant:re,. significa non porsi in relazione a nulla, sra .fu - si � passato, a cui invece Arcangeli tendeva a ricolle !!� r !a pimua dei vari Morlotti, Mandelli, Moreni, Vacchi, B=:sf?:ci; significa iniziare un'avventura indicibile, ineffabile, i:E .me !a. mistica e il rifiuto si danno la mano per approdare c'3a nascendenza estetica. Dice Tapié: « La forma trascen � piena di possibile divenire, sarà pienamente elabo ;ra..ra in questo rischioso limite d'ambiguità, per proporsi a aoi. come un meraviglioso contenuto di ciò che sarà sempre per- l'uomo il più inebriante dei misteri: il Vivace con nien t'altro che il suo totale divenire, la condizione umana con tutto ciò che essa ci propone dì fantasticamente meraviglioso in prove di forza ove l'ebbrezza del dinamico può andare ai limiti dell'estasi in un transfinito in cui si esprimono total mente le nozioni di Bellezza, dì Mistero, di Erotismo, di Mi stico, - persino di estetica. L'arte, allora, non potrà essere se non un'operazione magica estremamente grave, che ci condurrà a raggiungere in assoluta consapevolezza la magni fica vertigine di una prova dì sublime violenza al di là dì tutte le considerazioni di 'critica d'arte',. 11•
36
La posizione di Tapié, pur corroborata da una visione fa scinosa e da una lucida capacità dì approfondimento, rischia di ricondurre l'Informale in una dimensione metafisica che in realtà non gli compete. Se è ravvisabile una metafisica nell'Informale, questa può essere al massimo una metafisica del dolore, la·« metafisica di una fisicità teneramente e sor damente confessata ,. 12, come scrive lo stesso Arcangeli a proposito di Fautrier. Ma l'adesione alla physis è connatu rata alle valenze della poetica informale. Si tratta di vedere quale physis. Abbiamo visto allora le due declinazioni del
sostantivo informale, che per sua definizione stessa appare quanto mai eteroclito. Da un lato, con Arcangeli, la natura è sì natura naturans, ossia natura germinativa, potenza e atto aristotelici inestricabilmente uniti, e in qualche modo la natura viene identificata con la sua causa, superando con ciò il vecchio concetto di natura, di percezione eminente mente ottica, equilibrata, distanziante, costruita, strutturata, laddove la dimensione di «ultimità » del nuovo concetto di natura presuppone che qualcosa si sia frantumato, che l'uomo sia preso nel giro dell'esistenza senza più la mediazione della distanza, ma sia proprio in caduta, in re, dentro con tutti i suoi sensi e con tutto il suo essere; però, al tempo stesso, la natura si cala anche in un paesaggio, quello della «marca di settentrione», con la sua storia, il suo passato, i suòi sor risi e i suoi malumori, la sua pasta vivente, i suoi succhi: il generale si particolarizza, scende o sale alla quota del quo tidiano, si incarna, è manifesto, vive, ha una bios. Con Ta pié al contrario il concetto di natura non sussiste, vale in vece quello di avventura, cioè «qualcosa di ignoto» u, un salto di qualità, una traslazione degli assi, un travalicamento dei limiti; lo stato in cui ci si viene a trovare è la vertigine, che impone l'afasia, arrivando a vette incommensurabili; l'artista è una monade, un apax, un Individuo che crea in solitudine e non si pone in. commercio col mondo, ma si sublima attraverso la creazione: è, in fondo, il Superuomo, che non può accettare «radici ». Ci sembra che tra una teo rizzazione che corre sul filo di un continuo «equilibrio fra schermo interiore della coscienza e schermo esteriore della natura» 14, con l'alea di u·n valore ambiguo come quello di natura (ambiguo perché sul crinale di un universo che sta per sommergerlo) e, viceversa, una teorizzazione che invece esclude addirittura la· realtà, assolutizza i connotati dell'In formale, e spenzola sul baratro del concretismo, non sia inu tile introdurre quel concetto di «mondo » a cui abbiam o già accennato, che ci aiuta a dare un assetto stabilizzante al l'identikit dell'Informale. Per Barilli, « la pittura informale, per sua costituzione, insiste, sporge, si affaccia sul mondo» 15• Ma che cosa si intende per «mondo»? « Mondo... 37
come principio, presenza prima di ciò che è altro dal sog getto, di ciò che questi incontra al termine dei suoi atti. Mondo come ambientalità in cui siamo immersi dalla nasci ta; come universo di tutte le nostre esperienze possibili, come omnitudo realitatis. Mondo, anche, come fonte di ogni contingenza e di ogni imprevisto, come il luogo ove si im pone la pesante e opaca materialità, che i nostri strumenti formali potranno sì alleggerire, penetrare, intersecare, ma in nessun caso mai elidere o annullare» 16• Il mondo è dunque la referenzialità stessa dell'opera, a cui non è concessa in dote un'autorità autotelica, e che anzi si apre ad un « nesso dualistico ». Informale è eteronomia, non inseità. Con ciò si schiarisce l'orizzonte un poco nebbioso, seppur seducente, proposto da Tapié. E al tempo stesso si conforta la nozione di natura, in quanto la si depura dei possibili equivoci. Il mondo, come lo propone Barilli, è appannaggio della filosofia esistenzialista, fenomenologica e pragmatista. La gnoseologia caratteristica degli anni Cinquanta si mostra infatti propensa a privilegiare « la relazionalità, lo stretto legame a binomio, di soggetto e oggetto, il· loro cooperare e incontrarsi in una struttura continua... ,. 17• Vi è già, in nuce, il concetto di « pre senza», che Barilli svilupperà anni dopo 18• Non iato, non die resi, bensì copula. Il concetto di mondo, così espresso, può dirimere la vexata quaestio sulla rappresentatività o meno dell'Infor male, e ci torna utile anche per salire verso la nostra po stazione, di osservatori privilegiati che possono seguire gli influssi apportati dall'Informale alle tendenze successive. L'Informale oggi
38
Anche l'Informale, come ogni svolgimento artistico, ter minando il proprio impeto attualistico e cedendo il posto alla nuova ricerca oggettuale agli inizi degli anni Sessanta, ha definito storicamente l'area in cui si è espresso, ma non ha chiuso la partita con la storia dell'arte. Il tentativo dispe rato di raggiungere la vita, di ghermire la materia nel suo grembo, la stessa tensione di avvicinamento che ci cala nel
torno». Alla capienza dei ritorni non poteva sfuggire l'In formale, anche perché in realtà esso si è in qualche modo trascinato attraverso varie mutazioni al di là del suo recinto storico, come polarità stessa della ricerca. La nostra sensi bilità di uomini giunti all'estremo limite del millennio ci in duce infatti a sentire la fine del secolo come fine in certo modo complessiva, forse inesauriente in quanto tale, ma gra vida internamente di tutto il passato che spinge e preme e scalcia per uscire allo scoperto. Quello che Arcangeli chia mava l'« epitelio di contatto, non soltanto dell'occhio, ma d1 tutto l'essere» 19 si è evoluto fino alla totale partecipazione e alla finale adesione alla storia e all'esistenza. L'Informale conteneva i succhi di un'umanità sbriciolata, polverizzata, in cui l'Esserci era «straniero» e avvertiva intorno a sé la « pe ste»: avvicinandosi la prova del «mille e non più mille», ora, la storia si cimenta colla propria immagine, col ricordo di ciò che è stata, e la vitalità informale ad uscire dai limiti, a superare il limen offerto dalla guaina fenomenica e concre tamente rappresentato dalla tela, si ripresenta sotto forma di estroflessione all'indietro, per superare il limen del pre sente, per presentifìcare tutto. L'Informale è dunque attuale in quanto forma partecipa tiva, laddove ci sembra più che mai fuori gioco in questo momento una riproposizione di eventuali essenze. Dall'In formale in qua, pur con momenti di apparente allontana mento (vedi tutto il settore dell'arte cinetica e programma ta) l'artista, che dipinga o esperimenti altri media, ha cono sciuto un processo di slittamento verso il centro di quel « tut to pieno ,. che sta diventando il mondo, un enorme atomo saturo. I giovani che oggi riprendono il cordone ombelicale della pittura segnica e materica vanno a recuperare il momento · più vicino, nella scala dei ritorni, avvertendone la coesistenza con l'attualità oltre che con quella che oggi usa chiamare «inattualità», ossia il linguaggio dei linguaggi perduti e ri trovati, il nume del nostos. Ma è chiaro che il grafico spira liforme della storia ha i suoi diritti e che non ci si bagna 40 mai due volte nella stessa acqua. Oggi la pittura informale
dimostra le coordinate del tempo rivelando una intensità e una tragicità minori rispetto all'epoca storica: oggi si pone come una condizione di pittura più che come pittura dal di dentro, offre cioè la propria identità per contribuire alla_ di sinvoltura « ricca » dei nostri giorni. Non vi si ritrovano né la natura, né l'avventura; piuttosto il mondo, ma non il mondo tutto sommato ancora greve e condizionato che fu dell'Infor male storico, quanto invece un mondo dilatato a universo, un mondo che comprende l'etere e la sua capillare vicenda, ossia il nuovo mondo delle onde che ci collegano al « tutto pieno ». Tra le frequenze neuroniche e quelle elettromagneti che il microcosmo e il macrocosmo si fanno sempre più vi c1m, tendono a compenetrarsi e ad identificarsi: l'Informale anni Ottanta vibra al battito del grande tam-tam.
I F. ARCANGELI, Gli ultimi naturalisti, • Paragone•. n. 59, nov. 1954, riportato in F. ARCANGELI, Dal Romanticismo all'Informale, Einaudi, To rino, 1977, pp. 313-326, a cui si fa riferimento nel nostro scritto. 2 La mostra, tenutasi alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna nel periodo giugno-settembre '83, è stata corredata di un ampio ed esau riente catalogo, pubblicato da Mazzotta, che portava i seguenti contri buti: R. BARILI.I, La forza e i limiti dell'Informale storico I F. Sm.Mr, L'insinuazione informale / F. ALINOVI, Spaziali e nucleari - L'informe abnorme / A. BACCILIERI, Una situazione non improbabile: fra • ultimo naturalismo• naturalismo informale, e oltre I C. SPADONI, Le poetiche del segno e della materia / F. POLI, Gli anni dell'Informale a Torino I F. PoLI, L'Informale a Milano / M. PASQUALI, La situazione a Bologna I A. BORCOCELLI, Roma: primordi di una pittura di segno e di materia I R. SILICATO, G. TOLOMEO SPERANZA, L'Informale a Roma: svolgimento e maturazione / C. POPPI, Ultimo naturalismo spoletino I V. CORBI, L'In forma/e a Napoli / R. DAOUO, Sviluppi dell'lnfor"!ale / P. SERRA ZANEiTI, La fotografia informale / L. MARTINI, La ceramica informale I E. FA RIOLI, Gallerie private e promozione dell'Informale in Italia I A. AURECLI, Contributo per un'indagine dei periodici dell'epoca I C. GENTILI, Una concezione antimetafisica della natura I S. CALABRESE, li titolo come em blema - Sul rapporto tra parola e immagine I A. BERTONI, L'informe
della parola.
J Sul concetto di •normalizzazione•, come elemento attivo nel meccanismo dei processi culturali cfr. R. B,\RILLI, Culturologia e feno menologia degli stili, Il Mulino, Bologna, 1982. 4 F. AIICANCEU, Gli ultimi naturalisti, cit., p. 317. s F. ARCANGELI, Dal Romanticismo all'Informale, cit., p. 95. 6 Ibidem, p. 325. 7 Ibidem, p. 314.
41
8 M. HEIDEGCER, Essere e tempo, Fratelli Bocca, Milano-Roma, 1953,
p. 100.
9 F. ARCANGELI, Una situazione non improbabile, « Paragone», n. 86, sett. 1956, riportato in F. ARCANGELI, Dal Romanticismo all'Informale, cit. p. 341. 10 M. TAPill, Un'arte altra, Gabriel-Giraud, Parigi, 1952, riportato in E. CRISPOLTI, L'Informale, Carucci Editore, Assisi-Roma, 1971, voi. 4°,
p. 152.
11 Ibidem, p. 156. 12 F. ARCANGELI, Dal Romanticismo all'Informale, cit., p. 401. 13 M. TAPill, Un'arte altra, cit., p. 159. 14 F. ARCANGELI, Dal Romanticismo all'Informale, cit., p. 371. 15 R. BARILLI, L'Informale e altri studi di arte contemporanea, Schei willer, Milano, 1964, p. 32-33, riportato in R. BARILU, Informale Oggetto Comportamento, Feltrinelli, Milano, 1979, voli. 2. 16 Ibidem, p. 32-33. 11 Ibidem, p. 40. 1s R. BARILLI, Tra presenza e assenza, Bompiani, Milano, 1974. 19 F. ARCANGELI, Dal Romanticismo all'Informale, cit., p. 371.
42